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PIERLUIGI CASTALDI anno

ANNA MARIA ROSSI A

VANGELO
A COLAZIONE
Commento
al Vangelo
di ogni giorno
in famiglia
Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

SHEMà
Ascolto e Annuncio
Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010
Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

PIERLUIGI  CASTALDI
ANNA MARIA  ROSSI CASTALDI

VANGELO
A COLAZIONE
Commento
al Vangelo di ogni giorno
in famiglia

Anno A
Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

Ringraziamo l’amico Gabriele Bottai


che, con la sua preziosa collaborazione,
ha reso possibile la pubblicazione di questo libro.

Copyright © 2010 per i testi biblici


Libreria Editrice Vaticana
Città del Vaticano

Imprimatur
Padova, 26 agosto 2010
Onello Paolo Doni, Vic. Gen.

ISBN 978-88-250-2710-5

Copyright © 2010 by P.P.F.M.C.


MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO – EDITRICE
Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova
www.edizionimessaggero.it
Prima edizione digitale 2010
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Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio,
prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso
senza il previo consenso scritto dell’editore.
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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

Presentazione

Genesi del libro

Sono passati molti anni da quando i nostri figli erano pic-


coli e noi insegnavamo loro a pregare, a non dire bugie, a fare
i compiti e ad andare in bicicletta. Ora sono cresciuti, hanno
tutti il loro titolo di studio e un’attività professionale. Molti si
sono formati una loro famiglia e ci hanno resi ricchi di nipoti e
tutti, ormai, sono usciti dalla casa paterna.
Per ben trent’anni, al mattino, ci siamo alzati e abbiamo ini-
ziato la giornata, tutti seduti intorno al tavolo del tinello lungo
più di quattro metri, a far colazione, attratti dal profumino del
pane tostato e lieti di pregare e meditare le Sacre Scritture. Poi,
dopo una mezz’oretta, ciascuno andava verso i propri impegni
della giornata: noi genitori al lavoro, i figli a scuola o all’asilo,
e la nonna a casa a preparare il pranzo e a tenere in ordine i ve-
stiti per tutti. Così, un giorno dopo l’altro, siamo tutti cresciuti
alla luce della parola di Dio.
Le parti fondamentali del nostro pregare insieme erano, e
sono tuttora, la lettura delle Sacre Scritture – con preferenza
per il vangelo della liturgia del giorno – seguita da qualche ri-
flessione, la lode e il ringraziamento al Signore per tutti i doni
di cui continuamente ci ricolma, oltre alla richiesta di interces-
sione per i bisogni nostri e delle persone che vivono momenti
di particolare difficoltà. Ed è sempre stato molto bello passare
dalla preghiera di richiesta per una grazia particolare, a quella
di ringraziamento per averla ottenuta.
Poiché alcuni figli sono stati adottati e sono giunti, già ab-
bastanza grandi, da paesi lontani, noi genitori ci siamo trovati
a dover gestire, educare e far crescere giovani di età diversa, di
cultura diversa, di formazione diversa e anche di lingua diversa.
In realtà eravamo tutti da educare, noi come genitori e loro
come figli. Così, su suggerimento degli amici Chiara e Alberto
Natali, che qualche anno prima si erano trovati in una situa-

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zione molto simile alla nostra, abbiamo deciso di andare tutti a


scuola affidandoci alla parola di Dio che ogni giorno la chiesa
ci propone nella liturgia.
Grazie a Dio, noi genitori, pur con qualche acciacco dovuto
agli anni che passano, godiamo di buona salute; sembra ci sia
ancora abbastanza sabbia nella parte superiore delle nostre cles-
sidre, e vorremmo impiegare bene questo meraviglioso tempo
della «sera che non imbruna». Così siamo andati a ritrovare, a
volte attualizzandolo, ciò che il Signore ci ha detto nel corso
degli anni, durante le nostre preghiere del mattino.
È un desiderio nato qualche tempo fa; lo abbiamo lasciato
covare sotto la cenere, poi ne abbiamo parlato a padre Raniero
Cantalamessa, che ci ha incoraggiati con queste parole: «L’idea
mi sembra ottima, risponde all’invito di Gesù dopo la moltipli-
cazione dei pani: “Raccogliete i pezzi avanzati perché nulla va-
da perduto”» (Gv 6,12). Poi è arrivato l’amico Gabriele Bottai,
che ha raccolto le nostre riflessioni, battute e organizzate nella
forma in cui oggi si possono leggere.
Nel raccogliere i pensieri è nato in noi il desiderio di offrirli
anche ad altri: a tutti coloro che desiderano arricchire le gior-
nate di nuovi significati e nuove speranze. In particolare vor-
remmo essere d’aiuto alle famiglie nella fatica quotidiana di
far crescere i figli. Molti genitori, infatti, desiderano educare
cristianamente i figli, ma spesso non sanno come fare e da dove
cominciare, perché non conoscono un metodo facile e sicuro.
Quante volte abbiamo riflettuto sull’importanza di alimen­
tare in noi e nei nostri ragazzi l’atteggiamento della gratitudine
e del ringraziamento, spesso aiutandoci con la lettura dei salmi,
che ne sono ricchissimi! Via via che questo sentimento vie-
ne assimilato, l’occhio e il cuore divengono sempre più capaci
di riconoscere e di gioire per tutte le meraviglie che il Signo-
re opera ogni giorno nella nostra vita, nella creazione e nella
storia. Questa è anche la medicina più efficace per debellare
tristezze, incontentabilità e depressione, oggi sempre più diffu-
se. Se i genitori, che dicono di non riuscire a trovare il tempo
per pregare con i figli, sapessero quanto ne guadagnerebbero e
quante delusioni e dispiaceri si risparmierebbero, troverebbero
subito il tempo di farlo.

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Per concludere aggiungiamo che ancor oggi, dovunque i no-


stri figli siano andati, con le loro nuove famiglie o nei contesti
nei quali si sono trovati a vivere, hanno mantenuto l’abitudine
della preghiera e della meditazione della parola di Dio, al mat-
tino durante la colazione.
Noi genitori, che nel frattempo siamo diventati nonni già
sedici volte, siamo tornati a essere in due, come quando ci
siamo sposati, ma la preghiera del mattino va sempre avanti.
All’inizio si pregava con i figli, ora si prega per i figli, per le loro
famiglie, per i nipoti, per gli amici, per la società e per quanti
ci chiedono un «memento» per loro. Così, anche se siamo ri-
masti in due, continuiamo a essere in comunione di preghiera
con tutti.

Pierluigi e Anna Maria

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tabella  annuale  dellE  celebrazioni  mobili
Settimane  del  Tempo  Ordinario
Ciclo Ciclo I  domenica
Anno Ceneri Pasqua Ascensione Pentecoste prima  della  Quaresima dopo  il  Tempo  pasquale
dom. feriale di  Avvento
n°  settim.   fino  al  giorno da  settim.     dal  giorno  
2011 A I 28  nov.  (2010)   9  marzo 24  aprile   5  giugno 12  giugno 9   8  marzo 11 13  giugno
2012 B II 27  nov.  (2011) 22  febbr.   8  aprile 20  maggio 27  maggio 7 21  febbraio 8 28  maggio
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2013 C I   2  dic.  (2012) 13  febbr. 31  marzo 12  maggio 19  maggio 5 12  febbraio 7 20  maggio
2014 A II   1  dic.  (2013)   5  marzo 20  aprile   1  giugno   8  giugno 8   4  marzo 10   9  giugno
2015 B I 30  nov.  (2014) 18  febbr.   5  aprile 17  maggio 24  maggio 6 17  febbraio 8 25  maggio
2016 C II 29  nov.  (2015) 10  febbr. 27  marzo   8  maggio 15  maggio 5   9  febbraio 7 16  maggio
2017 A I 27  nov.  (2016)   1  marzo 16  aprile 28  maggio   4  giugno 8 28  febbraio 9   5  giugno
2018 B II   3  dic.  (2017) 14  febbr.   1  aprile 13  maggio 20  maggio 6 13  febbraio 7 21  maggio
2019 C I   2  dic.  (2018)   6  marzo 21  aprile   2  giugno   9  giugno 8   5  marzo 10 10  giugno
2020 A II   1  dic.  (2019) 26  febbr. 12  aprile 24  maggio 31  maggio 7 25  febbraio 9   1  giugno
2021 B I 29  nov.  (2020) 17  febbr.   4  aprile 16  maggio 23  maggio 6 16  febbraio 8 24  maggio
2022 C II 28  nov.  (2021)   2  marzo 17  aprile 29  maggio   5  giugno 8   1  marzo 10   6  giugno
2023 A I 27  nov.  (2022) 22  febbr.   9  aprile 21  maggio 28  maggio 7 21  marzo 8 29  maggio
2024 B II   3  dic.  (2023) 14  febbr. 31  marzo 12  maggio 19  maggio 6 13  febbraio 7 20  maggio
2025 C I   1  dic.  (2024)   5  marzo 20  aprile   1  giugno   8  giugno 8   4  marzo 10   9  giugno
2026 A II 30  nov.  (2025) 18  febbr.   5  aprile 17  maggio 24  maggio 6 17  febbraio 8 25  maggio
2027 B I 29  nov.  (2026) 10  febbr. 28  marzo   9  maggio 16  maggio 5   9  febbraio 6 17  maggio
2028 C II 28  nov.  (2027)   1  marzo 16  aprile 28  maggio   4  giugno 8 29  febbraio 9   5  giugno
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Introduzione

La pedagogia di Gesù

Offriamo questa breve riflessione sulla «pedagogia» di Gesù,


perché i genitori cristiani, che lo desiderano, possano farla pro-
pria per l’educazione dei loro figli.
Il Figlio di Dio, e Dio egli stesso, si è incarnato nella perso-
na di Gesù di Nazaret, è venuto sulla terra per la salvezza del
mondo e l’ha realizzata tramite la liberazione e la redenzione
dell’uomo dal peccato. Il riscatto per quest’opera di salvezza è
stato pagato, una volta per tutte, da Gesù Cristo stesso sulla
croce, ma perché quell’evento non fosse un episodio ristretto
agli uomini della Palestina del suo tempo e potesse coinvolgere
ogni uomo, di ogni tempo e luogo, egli ha istituito la chiesa.
La costituzione della chiesa richiedeva, da parte di Gesù, la
formazione di alcuni uomini i quali, dopo la sua morte e risur-
rezione, avrebbero dovuto prenderne le redini.
I vangeli, che in futuro sarebbero stati scritti da quelle stes-
se persone, mettono chiaramente in evidenza la strategia della
loro formazione. È vero che Gesù ha dedicato buona parte del
suo tempo alle folle, ma dalla lettura dei vangeli risulta chiaro
che il suo impegno prioritario è stato rivolto alla crescita di
quel ristretto numero di uomini, che egli chiamò apostoli.
Perché Gesù ha dedicato gran parte della sua missione alla
formazione di pochi uomini? Con gli annunci appassionati di
Giovanni il Battista che risuonavano nelle orecchie delle molti-
tudini, egli avrebbe potuto facilmente avere un seguito di mi-
gliaia di persone, se avesse voluto. Perché non lo ha fatto? La
risposta a questa domanda mette a fuoco la strategia del suo
piano di evangelizzazione.
Lo scopo di Gesù non era quello di far accorrere le folle,
ma di introdurre un regno che si allargasse fino a raggiungere
ogni uomo, di ogni luogo e di ogni tempo. Per realizzare questo

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progetto egli aveva bisogno di pochi uomini, adeguatamente


formati e preparati che, in futuro, potessero guidare moltitudi-
ni di persone.
Una folla, come egli stesso l’ha più volte definita, è un gregge
senza pastore, disposta a seguire chiunque le prometta un po’
di benessere, allora come oggi. Dopo la sua morte, una folla sa-
rebbe stata facilmente dispersa dalle autorità religiose che, nella
Palestina di quel tempo, controllavano completamente la vita
e gli affari di tutto il popolo. Gesù, del resto, ben conosceva la
volubilità della natura umana e la realtà delle forze sataniche
di questo mondo, da sempre in guerra per invadere e occupare
l’umanità, e tramite questa il mondo intero.
Le moltitudini di persone confuse e senza pastore erano
pronte a seguirlo, ma egli decise di concentrare la sua attività
apostolica su poche persone, che poi avrebbero diffuso la buo-
na novella in luoghi sempre più lontani, fino a raggiungere, nel
corso dei secoli, gli estremi confini della terra.
Anche noi genitori, oggi in particolare, ci troviamo nella
stessa situazione di Gesù di Nazaret: abbiamo l’opportunità di
collaborare alla salvezza del mondo, non soltanto per come ci
impegniamo nella società, nella professione e nella chiesa, ma
ancor più per come educhiamo i nostri figli alla fede e ai valori
cristiani.
Ecco, allora, che il vangelo ci offre un metodo e un pro-
gramma formativo, ideato da Gesù stesso, che ci permette di
collaborare alla salvezza del mondo. Ma soprattutto ci offre il
modo di conoscere lui, il suo stile di vita, il suo modo di co-
municare e di comportarsi nei vari momenti della giornata, che
costituiscono i capisaldi del suo metodo formativo.
I testi del vangelo non sono libri solo da leggere, sono da
ascoltare e da meditare. Essi sono stati ispirati dallo Spirito San-
to e nello Spirito Santo devono essere ascoltati, allo stesso mo-
do in cui i due discepoli di Emmaus, ascoltando Gesù dopo la
risurrezione, hanno capito tutto: «Ed ecco… due di loro erano
in cammino per un villaggio di nome Emmaus, e conversavano
di tutto quello che era accaduto… Gesù in persona si accostò
e disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi
durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste… Ed egli

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disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei
profeti!...”. E cominciando da Mosè… spiegò loro in tutte le
Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,13-27).
L’esperienza di quei due discepoli ci suggerisce come trovare
Cristo anche oggi: lo si deve cercare tra di noi, sulla nostra stes-
sa via, ma non lo possiamo riconoscere se, come loro, viviamo
le nostre giornate con il volto triste e se il Signore non invia
il suo Spirito ad aprirci la mente e il cuore alla comprensione
delle Sacre Scritture.
«“Che cosa cercate?” – sono le prime parole di Gesù ai di-
scepoli nel Vangelo di Giovanni –. Gli risposero: “Rabbì (che
significa Maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”
(Gv 1,38-39). Anche in questo nostro tempo il Signore rivolge
le stesse domande a quanti annaspano per venire a capo dei loro
problemi esistenziali: «Che cosa cercate?… Venite e vedrete».
Noi possiamo testimoniare che lo si può incontrare, ascolta-
re e contemplare nella sua parola, ed egli stesso prende dimo-
ra presso di noi se ogni giorno rimaniamo nella sua parola. È
tramite le Sacre Scritture che il Signore ci parla, ci attira a sé,
ci modella e risponde, uno dopo l’altro, ai molti problemi che
assillano la nostra mente e il nostro cuore durante la giornata.
Le Scritture, partendo dalla Genesi fino all’Apocalisse, ci par-
lano di Gesù Cristo, la Parola vera che il Padre ci ha mandato,
perché in lui possiamo trovare «la via, la verità e la vita», che
ciascuna persona va cercando.
In questo cammino di conoscenza progressiva del Signore
noi non siamo soli: siamo guidati, un passo dopo l’altro, dallo
Spirito Santo, il quale non solo ci illumina le Scritture, ma fa
anche in modo che ne ritroviamo le orme nella nostra vita. A
poco a poco succede che, per un meraviglioso effetto di osmosi,
non ci sia discontinuità tra ciò che leggiamo e ciò che vivia-
mo. La verità confluisce nella nostra vita e questa nella verità,
finendo per farci vivere e pensare sempre più come il Signore,
seppure con molte contraddizioni, indotte dal nostro peccato e
dai nostri limiti umani.
È in questo modo di vivere le nostre giornate che ci educhia-
mo tutti, genitori e figli, alla fede e ai valori del vangelo. È il
Signore il vero Maestro.

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Avvertenza per i lettori


«In una mano la Bibbia e nell’altra il giornale», diceva il teologo
svizzero Karl Barth per affermare che la Parola di Dio e la vita di
tutti i giorni si illuminano a vicenda. Non si può capire l’una se non
alla luce dell’altra. È per questo motivo che, nelle brevi meditazioni
familiari che si trovano in questa raccolta, si incontrano, di tanto in
tanto, dei riferimenti alla nostra vita personale e di famiglia. Sono
il frutto dell’osmosi tra vangelo e vita che, con l’andare del tem-
po, tende a realizzarsi. Quando il lettore incontra queste pagine,
gli suggeriamo di prenderne atto e di ricercare anche nelle proprie
esperienze personali le stesse correlazioni, che certamente esistono e
che costituiscono le orme del Signore nella vita di ciascuno.
Possiamo assicurare che la pratica del «vangelo a colazione», con
il passare degli anni, modella sempre più i pensieri, i sentimenti,
le parole e le azioni di ogni persona della famiglia, avvicinandola
sempre più a lui, origine e fine ultimo della nostra vita.

Il nostro sito internet


Terminata la stesura di questa raccolta di riflessioni sulle Sa-
cre Scritture della liturgia del giorno, ci siamo resi conto che oc-
correva trovare il modo di farle vivere nel tempo, perché la pa-
rola di Dio è viva e ogni giorno aggiunge qualcosa a se stessa.
Una sera, a cena, ne abbiamo parlato ai nostri amici Marina
e Maurizio Degioanni, che operano nel campo dell’informatica e
sono entusiasti della loro professione. Quella sera Marina e Mauri-
zio hanno deciso di regalarci il sito internet «Vangelo a colazione»,
coinvolgendo nostra figlia Maria Francesca per la parte grafica. Per-
tanto, coloro che lo desiderano, possono entrare in comunione di
preghiera con noi e trovare le nostre riflessioni giornaliere all’indi-
rizzo www.vangeloacolazione.it.

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TEMPO DI AVVENTO
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I settimana di Avvento – Domenica


La fine dei giorni
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo.
Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano,
prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò
nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse
tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini
saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne
macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate
dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate
di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene
il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi
tenetevi pronti». Mt 24,37-44

Nei suoi ultimi anni il nonno Renzo trascorreva lunghe ore


seduto nel giardino della casa di Castiglioncello. Si godeva i
nipoti, ai quali amava raccontare le storielle della sua infan-
zia, le prime bravate scolastiche, e il gironzolare scalzo per i
campi assolati, durante l’estate. Il ricordo preferito della sua
fanciullezza era, infatti, quel suo andare sempre in giro per la
campagna in cerca di frutta da rubacchiare o, come diceva lui,
citando il Manzoni, ad «alleggerire ai contadini la fatica della
vendemmia». Quando i nipoti erano al mare e rimaneva a casa
da solo, il nonno Renzo si sedeva spesso in giardino a guardare,
attraverso il cancello, il passeggio delle persone sulla strada; e
pensava alla nonna Rita, morta qualche anno prima, alternan-
do ai ricordi qualche preghiera. Il suo modo di pregare più vero
era quel riflettere sul mistero della vita, godendone e, al tempo
stesso, prendendo le distanze da tutto ciò che gli appariva su-
perfluo, per prepararsi all’incontro con il Signore. Era il suo
modo di «trafficare» gli ultimi spiccioli dei talenti che aveva
ricevuto.
Il sipario del nuovo anno liturgico si apre proprio con lo
scenario della fine dei giorni: è una visione escatologica della
storia, della creazione, dell’universo. Non ci è dato conoscere
come la fine del tempo avverrà, ma, per fede, sappiamo che
avverrà, perché tutto ciò che è stato creato o che nasce, alla
fine muore. E anche il tempo, creato da Dio con il mondo,

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avrà fine. Sappiamo solo che sarà una fine gloriosa e gioiosa,
una festa dell’uomo e di tutta la creazione, finalmente liberata
dal peccato e salvata da Gesù Cristo, nostro Signore. Altro non
sappiamo, ma questo ci basta. Possiamo solo intuire come tutto
ciò avverrà riflettendo sulla fine dei nostri giorni terreni. Ogni
creatura di questo mondo, anche la più piccola ed effimera, ri-
specchia infatti tutta la storia dell’universo, allo stesso modo in
cui – direbbe padre Raniero – «una goccia di rugiada sulla siepe
di una strada di campagna, riflette tutta la volta del cielo».

I settimana di Avvento – Lunedì


La fede del centurione
Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo
scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato
e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione
rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma
di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io
un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va;
e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli
lo fa». Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano:
«In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così
grande!». Mt 8,5-11

La figura del centurione sembra venirci incontro da un libro


di storia, più che da una pagina del vangelo. Egli non viene
chiamato per nome, bensì viene indicato con il suo ruolo mi-
litare, che ci evoca uno degli imperi più grandi mai esistiti, la
forza e l’orgoglio di un esercito vincitore, in contrasto con la
debolezza di un popolo vinto, di un paese occupato. Tuttavia
il nostro animo non prova avversione per questo uomo d’armi,
perché le sue parole sono ispirate dalla fede nel Signore e da
carità fraterna nei confronti del suo servo. E le nostre categorie
mentali, con le quali solitamente giudichiamo e cataloghiamo
persone ed eventi, ne risultano scompigliate.
È un ufficiale dell’esercito occupante, è uno dei dominatori,
ma sa riconoscere la propria indegnità ad accogliere la perso-

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na di Gesù come Salvatore. Chiede la guarigione con umiltà,


ma, al tempo stesso, con una logica stringente, paragonando
la propria autorità militare alla signoria di Gesù sul male. E
Gesù, non solo accoglie la sua richiesta, ma indica ai presenti,
e anche a tutti noi, questo militare romano come esempio di
umiltà e di fede. Quella fede che strappa le grazie al Signore
può fiorire sotto una corazza militare o inaridirsi in chi ne ha
fatto una scelta di vita, quando diventa routine. Sarà forse per
tutto questo che ci suonano così dolci le parole di questo pa-
gano quando riecheggiano in chiesa, ogni volta che stiamo per
ricevere l’eucaristia: «Signore, io non sono degno».

I settimana di Avvento – Martedì


Dio abita nell’uomo
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti
rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto
queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre,
perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal
Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre
se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai
discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete.
Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate,
ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
 Lc 10,21-24

Nel vangelo di oggi Gesù ci parla del legame che unisce il


Padre al Figlio e il Figlio al Padre. Non lo spiega, è un an-
nuncio, e mentre lo annuncia Gesù esulta nello Spirito Santo,
perché Dio ha rivelato i misteri del regno dei cieli ai piccoli e
li ha nascosti ai sapienti. «Queste cose», come egli le chiama,
non vanno capite: sono verità che devono essere ascoltate e alle
quali bisogna prima credere, per poterle capire. Una di queste
verità, quella che ci viene annunciata oggi, è il rapporto di co-
noscenza e di comunione che intercorre tra il Padre e il Figlio:
«nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se
non il Figlio». È un rapporto che, anche se in forma umana,

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tutti abbiamo sperimentato. Quando Gabriele chiama Gian


Mario o Claudia chiama Giannandrea, essi si voltano, perché
riconoscono la voce dei figli; e le persone presenti realizzano,
dall’immediatezza delle risposte e dalla naturalezza dei com-
portamenti, che sono i loro padri. È la stessa sensazione che
proviamo noi quando, nei vangeli, Gesù parla del Padre.
Ma c’è di più: in quel legame profondo che unisce in modo
inscindibile Gesù al Padre, siamo trascinati anche noi. Lo dice
sant’Agostino: «Dio non avrebbe potuto elargire agli uomini
un dono più grande di questo: ci unì a lui come membra in
modo che egli [Gesù di Nazaret] fosse Figlio di Dio e figlio
dell’uomo, unico Dio con il Padre, un medesimo uomo con
gli uomini». È per questo motivo che, giorno dopo giorno,
meditiamo il vangelo e le Sacre Scritture: per familiarizzarci
con Gesù e con il Padre, in modo da assimilarne lo spirito e il
pensiero. Poi, durante la giornata, abbiamo il dovere di trasfe-
rirlo nelle opere e di trasmetterlo alle persone che incontriamo.
Se rimaniamo fedeli, un giorno dopo l’altro a queste nostre
riflessioni del mattino, alla fine potremo dire, con san Paolo:
«Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16).

I settimana di Avvento – Mercoledì


Nel deserto si con-divide
Gesù si allontanò di là, giunse presso il mare di Galilea e, salito sul
monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé
zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi,
ed egli li guarì, tanto che la folla era piena di stupore nel vedere i muti
che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che
vedevano. E lodava il Dio d’Israele.
Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per
la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non
voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino».
E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani
da sfamare una folla così grande?». Gesù domandò loro: «Quanti pani
avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla
di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà. Portarono


via i pezzi avanzati: sette sporte piene. Mt 15,29-37

Quando abitavamo a Castellanza ci capitava, ogni tanto,


di ricevere la gradita visita della signora Corsignana, sempre
preceduta dal profumo della sua focaccia pugliese: nessuno la
sapeva fare come lei e tutti ne erano golosi. Io approfittavo di
quelle occasioni per farmi raccontare episodi della sua vita: un
cammino faticoso, perché era rimasta sola a far crescere i suoi
ragazzi. Lei voleva che tutti studiassero, ma i soldi che aveva a
disposizione, facendo e rifacendo bene i conti, non sarebbero
stati in alcun modo sufficienti. Ella, tuttavia, invece di scorag-
giarsi, pregava e si affidava alla Provvidenza. Mi raccontava che,
quando andava a prendere il denaro «nel tiretto del comò», ce
ne trovava sempre abbastanza e anche un po’ più del necessa-
rio. Io l’ascoltavo con ammirazione e mi rafforzavo nella fede.
Penso che ciascuno di noi, durante il proprio cammino spi-
rituale, attraversi dei periodi in cui si trova in luoghi solitari,
con tanti bisogni, come quella folla di malati che seguiva Gesù.
Porsi alla sequela del Signore significa sfidare il deserto, dove la
vita è più libera, ma più difficile. Nel deserto si fa l’esperienza
del Signore, e ogni evento è un motivo per rendergli gloria. Nel
deserto la vita è un miracolo continuo e ci sentiamo fratelli.
Nel deserto siamo disponibili a condividere i «sette pani» e i
«pochi pesciolini», che nella matematica divina si trasformano
in abbondanza, poiché il Signore moltiplica tutto ciò che si
con-divide. Al termine dei suoi racconti la signora Corsignana,
alta e forte, mi salutava stringendomi con un grande abbraccio
e io tornavo alla mia giornata con il cuore ricolmo di fede e di
gioia. Erano le «sette sporte piene» che mi rimanevano dopo
aver ascoltato i suoi racconti.

I settimana di Avvento – Giovedì


Convertirsi nei fatti
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei
cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli… Perciò

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chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un


uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia,
strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma
essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste
mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha
costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi,
soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua
rovina fu grande». Mt 7,21.24-27

Nella parabola del seminatore Gesù ci esorta ad accogliere la


sua parola come un terreno buono accoglie il seme, per portare
molto frutto e per resistere alle tribolazioni e alle persecuzioni.
Oggi il vangelo ci parla di due modi diversi di accogliere la sua
parola: come due case, una costruita sulla sabbia e l’altra sulla
roccia. Al cader della pioggia, allo straripare dei fiumi e al sof-
fiare dei venti, la prima cade e la seconda rimane stabile. Con
immagini diverse questi due brani del vangelo ci richiamano a
una conversione vera, calata nella concretezza di tutti i giorni,
nei rapporti familiari e sociali, e nella professione. Non una
conversione emozionale, come di chi dice «Signore, Signore»
e basta, ma ricca di scelte di vita, di impegni autentici. Vi rac-
conto due fatti.
Nel 1980, quando frequentavamo gli incontri di preghiera
del Rinnovamento Carismatico, che suor Francesca organizza-
va presso le suore del Cenacolo di Lentate, cominciò a parteci-
parvi anche fratel Ettore, missionario camilliano. Venne tre o
quattro volte e poi sparì, tant’è che tutti pensavamo che si fosse
stancato o che la spiritualità del Rinnovamento, tutta impron-
tata alla lode, non fosse fatta per lui. Non era così. Era venuto,
era stato colpito da una parola, il Signore aveva rinnovato la
sua chiamata e lui era partito, iniziando una stupenda opera di
evangelizzazione e di assistenza verso i barboni di Milano.
Nel 1986, don Pigi Perini, parroco della parrocchia di
Sant’Eustorgio, in Milano, frequentò, anch’egli, per un po’ di
tempo il Rinnovamento Carismatico, poi il Signore lo chia-
mò a rinnovare la sua parrocchia ed egli partì. In pochi anni
ha lanciato, prima nella sua realtà parrocchiale, poi in Italia e
in Europa, una stupenda opera di evangelizzazione per mezzo
delle cellule di preghiera. Queste sono scelte concrete, non solo
preghiere.

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I settimana di Avvento – Venerdì


I primi annunciatori del vangelo
Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguirono gridando:
«Figlio di Davide, abbi pietà di noi!». Entrato in casa, i ciechi gli si
avvicinarono e Gesù disse loro: «Credete che io possa fare questo?». Gli
risposero: «Sì, o Signore!». Allora toccò loro gli occhi e disse: «Avvenga per
voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li
ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti,
ne diffusero la notizia in tutta quella regione. Mt 9,27-31

Gesù ha chiamato i primi discepoli che, per tre anni, hanno


vissuto con lui, hanno ascoltato le parabole, hanno assistito ai
miracoli e, giorno dopo giorno, hanno assimilato il suo modo
di vivere. È stato un cammino di fede e di conversione che
lentamente li ha portati a riconoscere, in Gesù di Nazaret, il
Messia atteso da Israele. È stata questa la pedagogia di Gesù nei
loro confronti. Nel vangelo di oggi, mentre i discepoli stanno
compiendo questo lento cammino, al termine del quale rice-
veranno il mandato a evangelizzare il mondo e a essere i primi
pilastri della chiesa, questi due ciechi passano improvvisamen-
te dalla completa cecità, degli occhi e della fede, all’illumina-
zione sulla signoria di Gesù e diventano i primi annunciatori
del vangelo. Probabilmente sanno poco di Abramo, di Mosè e
dell’Antico Testamento, sanno solo che prima non ci vedevano
e ora ci vedono. Questo è tutto il contenuto del loro annuncio
evangelico.
Per quale motivo i due ciechi colgono, in un lampo, quel-
la verità che i discepoli, invece, raggiungono così lentamente?
La risposta è solo una: perché si sono fatti toccare da Gesù e
sono guariti. Questo fatto nasconde un grande insegnamento
anche per noi. Il segreto del nostro cammino di fede non sta
solo in un lento approfondimento della signoria di Gesù me-
ditando, giorno dopo giorno, le Sacre Scritture. Nemmeno la
preghiera che facciamo insieme, nel suo nome, è sufficiente.
Sono momenti di crescita importanti, ma il vero salto nella
fede in Gesù lo faremo quando, consapevoli della nostra inca-
pacità a penetrare le verità del vangelo e ad amarci come lui ci
ama, andremo come questi due ciechi a pregarlo di guarirci. A

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un certo punto dovremo urlare anche noi: «Figlio di Davide,


abbi pietà di noi!», che non sappiamo amare e che meditiamo il
vangelo solo con la mente, non con il cuore. Il Signore, allora,
personalmente ci sussurrerà all’orecchio: «Credete che io possa
fare questo?». Se in quel momento noi risponderemo come i
due ciechi: «Sì, o Signore», i nostri occhi e le nostre orecchie
si apriranno, capiremo veramente le Scritture e diventeremo
testimoni credibili del vangelo.

I settimana di Avvento – Sabato


La strategia di Gesù
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite
come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La
messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore
della messe, perché mandi operai nella sua messe!»… Chiamati a sé i
suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli
e guarire ogni malattia e ogni infermità… «Strada facendo, predicate,
dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate
i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete
ricevuto, gratuitamente date». Mt 9,36-10,1.7-8

Oggi ci troviamo di fronte al brano del vangelo che meglio


evidenzia la strategia di Gesù per realizzare il piano di salvez-
za universale. È un piano strategico infinitamente più lungi-
mirante di quelli, seppur notevoli, che ai giorni nostri hanno
attuato Henry Ford e Bill Gates nel lanciare i piani industriali
dell’automobile e del computer per tutti. Gesù, come Messia,
è stato rifiutato dal potere religioso della Palestina, per cui già
da tempo si rivolge alle «folle... stanche e sfinite, come pecore
che non hanno pastore». Nel brano di oggi, però, comincia a
mettere in atto la sua strategia missionaria definitiva. Come
prima mossa chiede ai suoi discepoli di pregare «il signore della
messe, perché mandi operai nella sua messe!». Successivamen-
te, per prendersi cura di ogni persona della folla, costituisce
un gruppo di dodici uomini, ai quali dà il nome di apostoli, e
decide di dedicare tutto il tempo necessario alla loro formazio-
ne. Essi, dopo la sua morte in croce e risurrezione, dovranno

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iniziare l’opera di salvezza delle moltitudini. Questo gruppo di


operai per la sua messe è stato il primo embrione di chiesa. Essi
lo seguono, lo ascoltano e vivono con lui già da tempo, per cui,
nel vangelo di oggi, li invia a fare la prima esperienza missio-
naria, dopo aver conferito «loro potere sugli spiriti impuri per
scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità».
Questi due momenti, del vivere in comunità con Gesù e
dell’andare poi in missione, costituiscono anche oggi la stra-
tegia della chiesa. Essi, pur essendo distinti, sono inseparabili
e non devono mai essere confusi, riducendone uno a favore
dell’altro. Se non coesistono entrambi, si cade o in una fede
disincarnata dalla realtà del mondo, o in un puro efficientismo
cieco e vuoto. Quest’ultimo orientamento sembra essere il di-
fetto predominante nella chiesa del nostro tempo, molto dedi-
ta ai problemi sociali, ma forse non sufficientemente sorretta
dalla preghiera e dalla forza della fede.

II settimana di Avvento – Domenica


Vivere da convertiti
In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della
Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli
infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce
di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate
i suoi sentieri! E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello
e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e
miele selvatico. Allora… accorrevano a lui e si facevano battezzare da
lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei
e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi
ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un
frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di
voi: “Abbiamo Abramo per padre!”… Io vi battezzo nell’acqua per la
conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono
degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
 Mt 3,1-12

Un giorno la tartaruga volle uscire nella notte. «Dove vai? –


le disse il rospo – Come fai a vedere dove metti i piedi?». La tar-

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taruga uscì lo stesso, e difatti inciampò e si rovesciò. «Te l’avevo


detto! – le disse di nuovo il rospo – E ora come fai a vivere gi-
rata al contrario?». «Non lo so – rispose felice la tartaruga – ma
ora vedo le stelle!». È questo il senso della conversione: vivere al
contrario di come vive il mondo per contemplare il cielo stellato.
La conversione della quale parla oggi Giovanni il Battista,
però, è diversa da quella a cui si riferisce Gesù. Egli chiede di
accogliere lui come Signore della vita, mentre Giovanni parla
del presupposto per poterlo accogliere: raddrizzare i nostri sen-
tieri tortuosi. Giovanni, inoltre, con la sua franchezza e il mo-
do di vivere essenziale, insegna che cosa significhi raddrizzare i
sentieri tortuosi per essere liberi di accogliere il messaggio del
vangelo. È difficile, oggigiorno, essere franchi, perché la comu-
nicazione viene usata più per nascondere che per comunicare
la verità. Non sempre questo avviene perché i nostri pensieri
non sono presentabili; spesso non siamo franchi per timidezza,
per falsa modestia, per insicurezza o per eccessivo rispetto del-
le opinioni altrui. È difficile anche essere essenziali, perché il
modo di vivere semplice che il Battista oggi propone è in con-
trasto con le continue offerte del mercato, che tende a creare
nuovi bisogni, per poi soddisfarli. La franchezza nel parlare e la
semplicità nel modo di vivere, in controcorrente con il mondo,
costituiscono i primi frutti di conversione. Altrimenti rischia-
mo di far la fine di quel fico del vangelo, che, non avendo dato
frutti, si inaridì. Meglio fare come la tartaruga: usciamo di not-
te e viviamo al contrario per contemplare le stelle.

II settimana di Avvento – Lunedì


I tempi messianici
Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come
fiore di narciso fiorisca… la gloria del Signore, la magnificenza del nostro
Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite
agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio… Egli
viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno
gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia
la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno

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torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso
sorgenti d’acqua. I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno
canneti e giuncaie. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via
santa… Non ci sarà più il leone, nessuna bestia feroce la percorrerà… Vi
cammineranno i redenti. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e
verranno in Sion con giubilo. Is 35,1-10

Questa pagina del profeta Isaia è un annuncio, come si usa-


va fare nei tempi antichi quando il messaggero del re giunge-
va al galoppo in mezzo alla piazza, fermava il cavallo, srotolava
la pergamena e proclamava ai sudditi il messaggio reale. Og-
gi il profeta Isaia ci annuncia che il Signore ha vinto la guer-
ra di liberazione del suo popolo, per il quale si apre un futuro
di splendore, di gloria e di pace: «Coraggio, non temete! Ecco
il vostro Dio… Egli viene a salvarvi». È un proclama di vittoria
su Satana, il serpente antico che teneva schiava l’umanità e la
creazione: «Si rallegrino il deserto e la terra arida… fiorisca la
steppa… Irrobustite le mani fiacche… le ginocchia vacillanti…
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi… gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua
del muto…».
Dopo che il Signore ha vinto la morte e ha trionfato nella
risurrezione, questa liberazione dell’umanità e della creazione
è già avvenuta o dobbiamo ancora attendere che avvenga? Da
uno sguardo globale sul mondo e sulla storia, constatiamo che le
carestie e le malattie, le violenze e i soprusi, il dolore e la morte
esistono ancora e quindi dovremmo dedurre che questa profe-
zia si debba ancora realizzare. In effetti, nella sua pienezza si re-
alizzerà nei tempi escatologici, ma in modo parziale è già in atto
da duemila anni e lo è anche oggi, grazie agli uomini di buona
volontà che spendono la loro vita per il bene e per la salvezza
del mondo. Purtroppo non è una vittoria definitiva, anche se il
Signore ha già vinto. Il fatto è che l’umanità non ne ha ancora
presa coscienza piena, per cui molti continuano a combattere
dalla parte di Satana, come quel manipolo di giapponesi che,
non avendo saputo che la seconda guerra mondiale era finita,
continuavano a guerreggiare in una piccola isola del Pacifico.
Per coloro, però, che ne prendono coscienza, la profezia di Isaia,
in modo misterioso, ma reale, si sta avverando oggi.

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II settimana di Avvento – Martedì


Dio e l’uomo nella Bibbia
«Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce,
non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è
smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella
più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del
Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».
 Mt 18,12-14
Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro
Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il
dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come
un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli
agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri». Is 40,9-11

«Due cose riempiono l’animo di ammirazione e di riverenza


sempre nuove e crescenti, quanto più spesso e a lungo il pensie-
ro vi si sofferma: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in
me». Questa affermazione del filosofo tedesco Immanuel Kant
è forse lo scalino più elevato al quale l’indagine del pensiero
umano sia arrivata. Per poter vedere oltre, occorrono gli occhi
della fede. È il solo mezzo che permetta di cogliere, nella storia
umana, il cuore di Dio in continua ricerca dell’uomo, come il
pastore nella parabola della pecorella smarrita, la quale sintetizza
il senso di tutta la storia della salvezza. È dai tempi del peccato
originale che Dio sta cercando l’uomo per ricondurlo nel «para-
diso terrestre», come il pastore cerca la pecorella smarrita. Più di
quattromila anni fa Dio ha chiamato un uomo, Abramo, con il
quale l’umanità ha iniziato una storia nuova, che poi è diventa-
ta quella della sua famiglia e, con il trascorrere dei secoli, quella
del popolo di Israele, per costituire il quale Dio ha chiamato
un altro uomo, Mosè. Duemila anni dopo, quando ha ritenuto
che i tempi della storia fossero maturi, Dio ha mandato addi-
rittura suo Figlio, incarnatosi nella persona di Gesù di Nazaret,
il quale, tramite la chiesa, ha esteso la salvezza a tutti i popoli.
Durante il dipanarsi di questa storia, Dio si è fatto man ma-
no conoscere sempre di più, finché in Gesù Cristo si è rivelato
completamente. Di questa continua rivelazione si ha la perce-
zione pensando a come si è evoluto il concetto di Dio nell’uo-

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mo, dal tempo di Abramo al Nuovo Testamento. Leggendo le


Sacre Scritture sembrerebbe che Dio, lungo la storia della sal-
vezza, si sia evoluto, ma, in realtà, è la conoscenza che l’uomo
ha di Dio che è cresciuta. Quello che nella storia sembra essere
il cammino di Dio, è, in realtà, quello dell’uomo riflesso in Dio,
come in uno specchio. La conoscenza di Dio nell’uomo ha il
suo apice in Gesù Cristo, il quale ha rivelato tre verità che da
soli non avremmo mai percepito: Dio è Padre, è amore, è per-
dono. Arrivare a prendere coscienza di queste verità vuol dire
essere stati ritrovati da Dio e ricondotti all’ovile, come il buon
pastore della parabola di oggi vi riconduce la pecorella smarrita.

II settimana di Avvento – Mercoledì (1)


La preghiera del cuore
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile
di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e
il mio peso leggero». Mt 11,28-30

Per i primi discepoli che hanno seguito Gesù per le strade


della Palestina, andare a lui voleva dire avvicinarlo, ascoltarlo, e
riceverne in cambio quella pace interiore che possiede solo chi
è arrivato alla sorgente della vita. Gesù di Nazaret possedeva la
pace del cuore perché conosceva il progetto che il Padre aveva
predisposto per lui, lo aveva accettato con mitezza e umiltà, e
questo è stato il suo giogo che, senza ribellarsi, si è portato fin
sul monte Calvario. Quando i discepoli, stanchi e oppressi da
preoccupazioni e impegni, molti dei quali inutili, si avvicina-
vano a lui, trovavano la tranquillità di una persona serena che
aveva ben chiaro il suo ruolo e il suo scopo in questa vita che
passa. Incontrarlo e stare con lui, voleva dire essere aiutati, per
induzione, a conoscere e sposare il proprio progetto di vita, con
mitezza e umiltà di cuore. E questo era il «giogo dolce» e il «pe-
so leggero» che ne ricevevano, dopo aver depositato ai suoi pie-
di preoccupazioni, altri gioghi e altri carichi con i quali erano

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arrivati. Anche noi, quando siamo stanchi e oppressi, abbiamo


la stessa necessità di incontrare il Signore per conoscere meglio
il nostro progetto di vita, per dare un senso ai nostri giorni,
accettando con mitezza e umiltà il suo giogo e il suo carico,
che sono leggeri, perché commisurati ai talenti che abbiamo
ricevuto. Come e dove possiamo incontrare, oggi, il Signore,
per giungere anche noi alle sorgenti della vita, dove il nostro
progetto è scritto con chiarezza? Lo possiamo incontrare nel
silenzio e nella preghiera interiore, dopo aver dato il tempo di
cadere a terra alla polvere delle preoccupazioni, delle stanchezze
e delle oppressioni, che vivendo via via accumuliamo. In questa
«preghiera», che viene detta «del cuore», quando abbiamo de-
positato il bagaglio del nostro orgoglio, comincia il colloquio
con il Signore. Chi si trova all’inizio del cammino spirituale,
pone un certo tipo di domande, quelle che riguardano i grandi
interrogativi dell’uomo: Chi sono io? Perché mi trovo in questo
mondo? Qual è il significato del male, del dolore e della morte?
Che cosa c’è dopo questa vita? Chi è Dio?…
Con il passare del tempo, però, quando le risposte a que-
sti interrogativi sono state ricevute e interiorizzate, si pongono
altre domande e si fanno altre richieste: Signore, aumenta la
mia fede… Fammi conoscere meglio il mio progetto di vita…
Dimmi che cosa devo fare oggi, in questa circostanza… Aiu-
tami a perdonare e ad amare… Donami la calma, la pace e la
pazienza nelle situazioni che sono chiamato a vivere…
Donami, Signore, un sorriso per gli altri e la gioia per me!

II settimana di Avvento – Mercoledì (2)


Il Signore guida i suoi servi
«A chi potreste paragonarmi, quasi che io gli sia pari?» dice il Santo.
Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato tali cose? Egli fa
uscire in numero preciso il loro esercito e le chiama tutte per nome; per la
sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuna. Perché
dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: «La mia via è nascosta al Signore e il
mio diritto è trascurato dal mio Dio»? Non lo sai forse? Non l’hai udito?

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Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si
affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dà forza allo
stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si
stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore
riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi,
camminano senza stancarsi. Is 40,25-31

Oggi il profeta Isaia ci svela un grande mistero: è il Signore


a muovere la danza degli astri nell’universo e a donare la forza a
chi ha scelto di realizzare il suo progetto di vita. Nella creazio-
ne, oltre alla terra, ci sono astri e pianeti con la quale formano
il nostro sistema solare. Insieme a esso ci sono altri sistemi che
fanno parte della nostra nebulosa la quale, insieme a molte altre,
costituisce una galassia. Ma ci sono altre galassie che, insieme
alla nostra, compongono l’universo. E poi, dicono gli scienzia-
ti, ci sarebbero altri universi che fanno pensare all’esistenza di
uno spazio infinito come Dio. Niente è fermo nella creazione,
tutto si muove e vive di una vita ricevuta da Dio in ogni istan-
te: «Egli non si affatica né si stanca». Il poeta inglese George
Byron, in una poesia, ha immaginato la fine del mondo come
la perdita di questa vita divina, per cui gli astri non si muovono
più armonicamente guidati da forze invisibili, ma si perdono e
cozzano tra loro nello spazio, come ubriachi nella notte. È Dio a
guidarli, a mantenerli in vita e a chiamarli come fa il cacciatore
coi suoi cani: «Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e
li chiama tutti per nome». Lo stesso fa il Signore con gli uomini
che accettano di realizzare il suo progetto di vita: «Egli dà forza
allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato». Se così non fos-
se non si spiegherebbe ciò che hanno realizzato Madre Teresa di
Calcutta e papa Giovanni Paolo II nell’arco della loro vita. Ma,
nel nostro piccolo, nemmeno noi riusciremmo a spiegarci, ora
che siamo anziani, come abbiamo fatto a mettere al mondo,
educare e far crescere nove figli nostri e a fare altrettanto con gli
altri cinque arrivati da terre lontane. È il Signore che, insieme
a impegni e fatiche, ci ha donato anche lo spirito, la forza e la
sua Provvidenza, giorno dopo giorno. È stato lui a illuminarci
e a guidare i nostri passi, anche tramite gli angeli, dei quali
abbiamo avvertito sempre il brusìo. È un meraviglioso miste-
ro che scopre chi si apre alla vita in modo completo e totale.

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II settimana di Avvento – Giovedì


I privilegi del Regno
«In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande
di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande
di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli
subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i Profeti e la Legge
infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui
quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!». Mt 11,11-15

I personaggi della storia della salvezza sono sempre in viaggio,


alla ricerca di una realtà diversa da quella nella quale si trovano.
È un’irrequietezza che riflette quella del cuore umano, alla con-
tinua ricerca di Dio. Abramo esce dalla sua terra di Ur, in Meso-
potamia, per andare verso un’altra terra, senza sapere nemmeno
quale fosse; e Giacobbe, con tutta la sua famiglia, lascia la Pale-
stina per andare verso l’Egitto. Nei quattrocento anni di perma-
nenza in Egitto la famiglia di Giacobbe cresce di numero fino a
diventare il popolo di Israele, che, però, è schiavo del faraone.
Per tornare a essere libero Israele, guidato da Mosè, esce
dall’Egitto e va verso la Terra Promessa, la Palestina. Poi ci sa-
ranno i cinquant’anni di deportazione in Babilonia e infine il
ritorno in patria nel 583 a.C. In Palestina il cammino di Israele,
da spostamento geografico, diventa un itinerario spirituale ver-
so la nuova realtà del regno dei cieli, che Gesù stesso definisce
non di questo mondo, pur essendo calata nella storia di questo
mondo. In quel periodo emergono le figure dei profeti, che
additano continuamente la strada da percorrere, come i cartelli
stradali indicano la città alla quale siamo diretti. Di questi car-
telli indicatori, Giovanni il Battista è l’ultimo, colui che indica,
in Gesù di Nazaret, il Messia, il Figlio di Dio che finalmente
instaurerà la nuova realtà del regno dei cieli. Giovanni il Batti-
sta, tuttavia, non entra nel Regno, si ferma al confine, e quindi
non gode dei privilegi del nuovo stato. È ciò che succede anche
oggi a un cittadino straniero: può essere anche una persona im-
portante, ma, non avendo diritto di voto, non gode di potere
decisionale. Il più piccolo del regno dei cieli, dice Gesù, è più
grande di Giovanni il Battista, perché gode dei privilegi di esse-

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re cittadino del Regno. Per i primi discepoli i privilegi sono stati


la conoscenza di Gesù, l’ascolto diretto della sua parola, l’assi-
stere ai miracoli. In seguito, con l’inizio della chiesa, i privilegi
sono diventati lo Spirito Santo, che riceviamo nel battesimo,
il dono dell’eucaristia, gli altri sacramenti e le Sacre Scritture.

II settimana di Avvento – Venerdì


Il vangelo della gioia e della pace
«A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che
stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato
il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete
battuti il petto!”. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono:
“È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono:
“Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie».
 Mt 11,16-19

La generazione qui descritta è simile a quella odierna, per-


ché oggi sembra proprio che niente riesca a rendere le persone
contente di quello che hanno e di quanto fanno. Sebbene non
manchino uomini di fede che vivono grati al Signore per i beni
di cui li ricolma, la cultura dominante è ben diversa. I messaggi
che ogni giorno invadono i nostri spazi, continuano a sottoline-
are gli aspetti negativi della realtà, creando sensi di scontentezza,
insoddisfazione o, addirittura, di ribellione. Si è visto, nel giro
di alcuni decenni, passare da accanite proteste e scioperi inter-
minabili per far diminuire di qualche ora l’orario settimanale di
lavoro, a cortei, in tutto e per tutto simili, organizzati per recla-
mare il lavoro, che era venuto a mancare. Il problema più grave,
tuttavia, consiste in un semplice dinamismo psicologico che è
venuto instaurandosi: spesso gli atteggiamenti si autoalimenta-
no e tendono a ingigantirsi da soli. Chi è tendenzialmente in-
soddisfatto trova sempre nuovi motivi per esserlo ancor di più.
Chi invece ne è esente è il cittadino del regno dei cieli, che riesce
sempre a scorgere i segni dell’amore di Dio nella realtà che lo
circonda: dallo sguardo dei bimbi al susseguirsi delle stagioni,
al pane quotidiano. Per lui cessano il desiderio di avere altro e la

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smania di essere altrove. Con questa pace nel cuore è possibile ri-
conoscere più chiaramente il progetto che il Signore ha predispo-
sto per noi e adoperarci per portarlo a compimento. Collocarsi
in tale dimensione significa, come abbiamo più volte sperimen-
tato, vivere con lievità di spirito, passando oltre gli inevitabili
ostacoli che la vita ci oppone e godendo delle gioie che ci offre.

II settimana di Avvento – Sabato


L’attuale battaglia sui valori
Allora sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come
fiaccola… Tu sei stato assunto in un turbine di fuoco, su un carro di
cavalli di fuoco; tu sei stato designato a rimproverare i tempi futuri…
 Sir 48,1.9-10
Allora i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono
che prima deve venire Elia?». Ed egli rispose: «Sì, verrà Elia e ristabilirà
ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto;
anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio
dell’uomo dovrà soffrire per opera loro». Allora i discepoli compresero che
egli parlava loro di Giovanni il Battista. Mt 17,10-13

Per avere un’idea della situazione che si era creata in Palesti-


na quando comparve Giovanni il Battista, potremmo pensare a
quella che si era formata nelle cittadine americane fondate dai
primi pionieri che, in carovana, erano andati all’Ovest. Erano
arrivati portandosi dietro la legge dei luoghi di provenienza,
ma, con il passare del tempo, i primi arrivati, diventati ricchi
e potenti, hanno cominciato a manipolare la giustizia a loro
vantaggio, non disdegnando di corrompere gli sceriffi e i pochi
uomini di legge che si trovavano tra loro. Qualcosa di simile
era successo in Palestina quando comparvero Giovanni il Bat-
tista prima e Gesù di Nazaret dopo. Il popolo di Israele era
arrivato in quella Terra Promessa portandosi dietro la legge di
Mosè e la propria tradizione, ma, con il passare del tempo, gli
scribi e i farisei, che erano le classi sociali dominanti, le avevano
manipolate così bene a loro favore, da farne degli strumenti di
potere. Quando è apparso Giovanni il Battista, che ha comin-
ciato a denunciare quello stato di fatto, anziché essere accolto

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come il nuovo Elia, è stato osteggiato e combattuto da tutto il


potere religioso costituito. Questa situazione potrebbe sembra-
re d’altri tempi, se non fosse per il fatto che, anche oggigiorno,
le stesse vicende di Giovanni il Battista le vive il messaggio
del vangelo. È in atto una grande tendenza a manipolarlo da
parte della cultura dominante, spesso asservita al potere costi-
tuito, per crearne uno strumento di conferma e di supporto del
proprio stato e delle proprie opinioni. Ringraziando Dio, gli
ultimi pontefici hanno mostrato una fermezza sui principi cri-
stiani degna di Giovanni il Battista; ma c’è stata, ed è ancora in
atto, una grande battaglia che ha per oggetto i valori cristiani,
in particolare nei campi della famiglia e del rispetto della vita.

III settimana di Avvento – Domenica


La fede è ricordo e attesa
Siate dunque costanti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate
l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché
abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi,
rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non
lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il
giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di
costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore. Gc 5,7-10

Immergiamoci oggi nello spirito di questo brano della Let-


tera di Giacomo, per vivere in pienezza il tempo dell’Avvento.
Noi dobbiamo avere due certezze, una storica e l’altra nella fe-
de: quella storica è radicata sul fatto che Gesù Cristo, colui che
doveva venire, è già venuto; la certezza nella fede proviene dal
fatto che egli dovrà ritornare nel mondo perché l’ha promesso.
Viviamo tra il ricordo del passato e l’attesa del futuro, come
l’agricoltore che, sapendo di aver piantato il seme, «aspetta con
costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le
prime e le ultime piogge». La nostra è una certezza escatologi-
ca, che si realizzerà secondo i tempi del Signore, legati all’arri-
vo delle piogge, che sotto terra fanno marcire il seme e fanno
crescere la spiga della nuova umanità. Queste piogge sono le
vicende della fede e della storia: l’evangelizzazione, le conver-

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sioni, le persecuzioni, i tradimenti e le benedizioni del Signore,


in una dinamica nella quale sono coinvolti il cielo e la terra.
Quella del morire e risorgere a vita nuova è stata l’esperienza
umana di Cristo ed è continuamente l’esperienza della chiesa
nei secoli, e quella di ogni uomo di fede nella vita di tutti i gior-
ni. Dobbiamo, come dice oggi Giacomo, attendere la seconda
venuta di Cristo, con la stessa «sopportazione» e «costanza» che
ebbero i profeti nell’attesa della prima. Alcuni, in questa attesa
che è più lunga di quella immaginata da Giacomo, si scorag-
giano perché è facile perdere la consapevolezza che Gesù Cristo
sia già venuto nel mondo, ma la chiesa non si scoraggia. Essa
conosce da dove viene e dove va. E aspetta la seconda venuta
di Cristo nella fede e nell’amore, come la sposa nel Cantico dei
Cantici: «Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per
i monti, balzando per le colline. L’amato mio somiglia a una
gazzella o ad un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro mu-
ro; guarda dalla finestra, spia dalle inferriate» (Ct 2,8-9).

III settimana di Avvento – Lunedì


L’autorità e la libertà di Gesù
Entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei
sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste
cose? E chi ti ha dato questa autorità?». Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò
una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità
faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli
uomini?». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci
risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli
uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni
un profeta». Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora
anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste
cose». Mt 21,23-27

Ci sono dispute di Gesù che riguardano la sua libertà dalla


legge e altre, come quella odierna, che riguardano la sua libertà
dal potere costituito, ma entrambe discendono dall’autorità di-
vina. Non si tratta di un’autorità qualunque, ma di quella della
sua parola che opera quello che dice, vincendo lo spirito del

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male, come la prima parola di Dio aveva vinto il caos primitivo.


Nel vangelo di oggi i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo,
vedendo minata la loro posizione di privilegio da un uomo
che abbatte ogni potere costituito, dichiarando che «il Figlio
dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire»
(Mc 10,45), gli pongono una domanda che è un vero e pro-
prio processo: «Con quale autorità fai queste cose?». Gesù non
risponde e il suo silenzio coinvolge anche noi, perché riguarda
il modo di addivenire alla fede. Nelle lunghe passeggiate con il
mio amico Sergio, in continua ricerca di prove inoppugnabili
per credere in Gesù Cristo, ho cercato più volte di dimostrargli
la sorgente della mia fede, ma non ho ottenuto grandi risultati,
perché nel campo della fede chi prova troppo non prova nien-
te. Resomi conto di questo, un giorno ho cambiato strategia:
«La fede è un rischio – gli dissi –, è un salto nel buio, è accettare
la persona di Gesù di Nazaret come Figlio di Dio, nell’oscurità
dell’intelligenza e nel vuoto di ogni sicurezza umana. Non che
manchino dei segni che conducano alla fede, perché tutta le
realtà è un segno, ma questo può essere recepito e letto solo alla
luce della fede stessa». Questo discorso Sergio lo ha accettato
e credo si sia messo silenziosamente in cammino. È la strada
maestra per addivenire alla fede, e oggi ci aiuta a comprendere
il rifiuto di Gesù ad autenticare e giustificare la sua autorità.
Essa proviene direttamente dall’alto, dal Padre, ma affonda le
radici nella sua libertà: Gesù è libero dall’egoismo, dalla ricerca
del potere e del successo, dai legami e dalle imposizioni della
legge giudaica che ha il suo centro nella sinagoga. Forse il segno
più grande della sua divinità è proprio questa libertà da tutto,
anche da se stesso, tanto da essere pronto a morire in croce.
E anche la non-risposta di Gesù ai sacerdoti e agli anziani del
popolo, nel vangelo di oggi, è un segno della sua libertà.

III settimana di Avvento – Martedì


Salvati dalla misericordia del Signore
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi
passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via

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della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece


gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi
siete nemmeno pentiti così da credergli». Mt 21,31-32

Stanotte ho fatto un sogno. Mi trovavo nella sala d’attesa del


regno dei cieli, e stavo parlando con un vescovo e un teologo,
che erano seduti accanto a me. A un certo punto sono entrate
tre signore di colore, abbastanza scollacciate, con tacchi a spillo
e minigonna rossa, che si sono sedute in disparte. Mi sembra-
va di conoscerle, ma non ricordavo dove le avessi incontrate.
«Forse mi sbaglio», mi sono detto; ma, guardandole meglio,
mi sono convinto che da qualche parte le avessi proprio viste.
Frugando ben bene nella memoria, alla fine mi si è accesa una
lampadina: «Ecco!... sono le prostitute che cantavano nel co-
ro della chiesa di Castelvolturno, quando hanno celebrato il
matrimonio di quella coppia nigeriana». Un anno fa, infatti,
quando ero andato a Castelvolturno a far visita a Gianluca, mi
era successo di partecipare alla santa messa celebrata per quel
matrimonio. «Vedi babbo – mi aveva detto Gianluca – quelle
donne, che cantano nel coro, sono tre prostitute». «Ma davvero!
– risposi – non avete nessun altro da far cantare?». «No – preci-
sò Gianluca – qui la maggior parte degli abitanti sono nigeriani
o ghanesi, e fra di loro vi sono molti spacciatori di droga e pro-
stitute. Sono professioni ben rappresentate fra quelli che vedi
oggi in chiesa». Stavo ancora rovistando tra i ricordi, quando si
apre la porta d’ingresso del regno dei cieli, compare un angelo
che, rivolgendosi alle tre signore, dice: «Prego, accomodatevi».
«Veramente sono arrivato prima io», ha commentato il teologo
con il quale stavo parlando. «Non si preoccupi – ha risposto
l’angelo – chiameremo anche lei». Il vescovo e il teologo si sono
guardati perplessi, e tutti e tre abbiamo continuato a conversa-
re. Dopo un po’ la porta si apre di nuovo, l’angelo chiama me
e sono entrato. Quando sono stato dentro non ho potuto fare
a meno di commentare: «Complimenti! finalmente un posto
dove si dà la precedenza alle signore». «Non è per cavalleria –
ha risposto l’angelo –, è per meriti, che sono entrate prima le
tre signore». «Ah, sì! – ho ribattuto – e quali meriti particolari
hanno?». «Ne hanno due – ha soggiunto l’angelo –. Anzitutto
sono consapevoli di essere state accolte per la misericordia del

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Signore e non per i meriti propri. Eppoi, avendo fatto la vita


che hanno fatto, sono state sempre clementi con il peccato de-
gli altri». «Ho capito – ho risposto – e grazie per avere accolto
anche me». «Questo è stato il sogno, e così ve l’ho raccontato»,
ho detto alla preghiera del mattino.

III settimana di Avvento – Mercoledì


La forza della preghiera
[Giovanni] li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire
o dobbiamo aspettare un altro?». Venuti da lui, quegli uomini dissero:
«Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui
che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». In quello stesso momento
Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la
vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a
Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi
camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano,
ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in
me motivo di scandalo!». Lc 7,19-23

La fede ha bisogno di conferme. È una realtà delicatissi-


ma, come quei fiori della campagna toscana che, da bambini,
chiamavamo soffioni. Si coglievano e... bastava un soffio per
rimanere con lo stelo nudo in mano. Nel vangelo di oggi an-
che Giovanni il Battista ha bisogno di essere confermato nella
fede, tant’è che manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù se lui
fosse veramente il Messia. Gesù non risponde con argomen-
tazioni, ma con i segni: rende la vista ai ciechi, fa camminare
gli storpi e fa parlare i muti. Anche per noi, oggi, i miracoli
sono mattoni con i quali costruiamo l’edificio della nostra fede.
All’inizio i mattoni sono pochi, ma, con il passare degli anni,
aumentano velocemente, perché il nostro occhio diventa sem-
pre più esperto nel cogliere il susseguirsi dei miracoli nella vita
di tutti i giorni. Alla fine ci rendiamo conto che tutta la vita
è un miracolo. Quasi sempre non ne dobbiamo nemmeno far
richiesta: è la Provvidenza stessa che ci raggiunge in tante for-
me che sono la risposta concreta dell’amore di Dio: il lavoro,
il pane quotidiano, una persona che ci consiglia al momento

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giusto. A volte le situazioni della giornata si incastrano così


bene tra loro da far pensare che tutto sia Provvidenza, e che il
Signore sia disposto a combinar le cose in modo che la nostra
fede trovi continua corrispondenza negli eventi. Un giorno mi
trovavo in Tunisia insieme a tre colleghi di lavoro. All’ora del
tramonto stavamo attraversando il deserto di sale, dal quale il
sole mandava gli ultimi riflessi della giornata. A un certo punto
uno dei miei compagni di viaggio propone di raggiungere in
fretta la città di Tunisi per trascorrere la serata in un famoso
night club dove – diceva lui – le signore erano particolarmente
disponibili. Non ero d’accordo con il programma, ma il mio
dissenso non avrebbe affatto scalfito i loro propositi; così mi
sono messo silenziosamente a pregare, perché il Signore mi to-
gliesse da quell’imbarazzo. Dopo qualche chilometro puff, si
fora una gomma. Scendiamo, sostituiamo la ruota forata con
quella di scorta e si riparte. Facciamo ancora qualche chilo-
metro e... puff, si fora anche una seconda gomma. Abbiamo
passato la notte nel deserto di sale, aspettando un soccorso che
è arrivato sul far del mattino.

III settimana di Avvento – Giovedì


Lo stile dell’apostolo
Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare
di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una
canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo
vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono
nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere?
Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale
sta scritto: Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli
preparerà la tua via. Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più
grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di
lui». Lc 7,24-30

Nell’arco dell’anno liturgico abbiamo spesso occasione di


riflettere sulla figura di Giovanni il Battista, cogliendone di
volta in volta aspetti diversi. Nel vangelo di oggi Gesù stesso
ci parla di Giovanni, definendolo il suo «messaggero» e sotto-

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lineando che questo ruolo è più importante di quello di «pro-


feta». Vediamo, allora, qual è la sottile differenza tra «profeta»
e «messaggero», e chiediamoci se noi siamo chiamati a essere
questo o quello. Il profeta è colui che parla in nome di Dio
perché da lui «illuminato», il messaggero parla a nome di Dio,
perché da lui «inviato». Isaia, Ezechiele e Daniele sono profeti:
essi prevedono, ricordano, annunciano e ammoniscono. L’ar-
cangelo Gabriele, che è il messaggero direttamente inviato da
Dio a Maria, annuncia e dispone: «Non temere, Maria, perché
hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo
darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1,30-31). Anche l’apo-
stolo del Nuovo Testamento, direttamente inviato dal Signore
ad annunciare il vangelo, è un messaggero: «E Pietro disse loro:
“Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di
Gesù Cristo”» (At 2,38). Giovanni il Battista, che ha vissuto
nella sua carne il passaggio tra l’Antico e il Nuovo Testamento
può essere considerato contemporaneamente l’ultimo profeta
e il primo messaggero del Signore. All’inizio del brano di og-
gi, Gesù ci dice anche come deve vivere il messaggero di Dio:
non deve agitarsi come una canna sotto i venti del suo tempo,
e deve vivere in sobrietà stando lontano dagli eccessi e dalle
mollezze della società. Credo che questi debbano anche essere
il nostro ruolo e il nostro stile.

III settimana di Avvento – Venerdì


La fede arde e risplende
«Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato
testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma
vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e
risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che
il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo,
testimoniano di me che il Padre mi ha mandato». Gv 5,33-36

Giovanni Battista è stato l’ultimo profeta dell’Antico Testa-


mento e, al tempo stesso, il primo seguace di Gesù Cristo, pur
precedendolo. «Egli era la lampada che arde e risplende». Il

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calore e lo splendore sono le caratteristiche della fede che fanno


di un uomo una lampada che permette di vedere Cristo nella
persona di Gesù di Nazaret. Essi illuminano le menti e scal-
dano i cuori di coloro che aderiscono alla verità del vangelo.
I discepoli di Emmaus erano a conoscenza dei fatti avvenuti a
Gerusalemme, ma non avevano creduto alla risurrezione: «Ma
alcune donne... affermano che egli è vivo» (Lc 24,22-23). Solo
dopo che Gesù li ha avvicinati e ha spiegato loro ciò che essi sa-
pevano già, vi hanno creduto: «Non ardeva forse in noi il nostro
cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci
spiegava le Scritture?» (Lc 24,32). A quel punto i due discepoli
sono diventati testimoni della risurrezione e sono tornati a Ge-
rusalemme a spiegare agli altri ciò che era veramente successo.
Il testimone annuncia il vangelo perché gli uomini possano sal-
varsi, ma è il Signore che dà potenza, senso e significato alle sue
parole. È Gesù che accredita Giovanni Battista, non viceversa:
«Io non ricevo testimonianza da un uomo». Solo il Padre testi-
monia la divinità del Figlio facendogli compiere le sue opere:
«Le opere che il Padre mi ha dato da compiere… testimoniano
di me che il Padre mi ha mandato». Anche oggi sono le opere
– i miracoli e il modo di vivere – a rendere credibile il missio-
nario. È Gesù che l’ha promesso: «Andate in tutto il mondo e
proclamate il Vangelo a ogni creatura... Allora essi partirono e
predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con
loro e confermava la Parola con i segni che la accompagna-
vano» (Mc 16,15.20). Succede anche oggi quando un uomo
testimonia il vangelo. Occorre solo avere lo sguardo abbastanza
attento da saper riconoscere i segni della presenza del Signore.

IV settimana di Avvento – Domenica


Giuseppe, padre di Gesù
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa
di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per
opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non
voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre
però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo

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del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere
con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene
dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù:
egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati»… Giuseppe fece come gli
aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. Mt 1,18-24
Nel concepimento di Gesù, Giuseppe non ha avuto alcun
ruolo, ma è stato chiamato a essergli padre e a essere sposo di
Maria. Ciò significa che per Dio è stato importante che suo Fi-
glio crescesse e fosse educato in una famiglia. Quella di Nazaret
è una famiglia normale, ben inserita nel contesto sociale del suo
tempo, gode del giusto benessere, assicurato dal lavoro di Giu-
seppe e dall’attività casalinga della madre. Maria e Giuseppe si
amano, si rispettano e collaborano all’educazione di Gesù. Nel-
la sua semplicità è il modello della famiglia cristiana. Su Maria,
durante l’anno liturgico, avremo ancora occasione di riflettere;
oggi meditiamo la figura di Giuseppe, per conoscere il profilo
dell’uomo scelto da Dio per essere il capo della Santa Famiglia di
Nazaret. Giuseppe riflette l’immagine del Padre celeste: è buo-
no, misericordioso e provvidente; si prende cura della famiglia,
lasciandosi illuminare e guidare da Dio, come deve fare un servo
fedele e di buon senso. La bontà e la misericordia di Giuseppe si
rivelano, in tutta la loro grandezza, nel brano del vangelo di oggi.
Giuseppe, non ancora informato dall’angelo che Gesù era sta-
to concepito per opera dello Spirito Santo, decide di licenziare
in segreto Maria per non esporla alla pubblica accusa, e successi-
vamente alla lapidazione, come le donne infedeli. La sua docili-
tà a lasciarsi guidare da Dio si rivela, invece, nell’obbedienza ad
eseguire ciò che, via via, gli angeli a lui inviati gli suggeriscono:
«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Ma-
ria, tua sposa», «fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò:
Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13),
«va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano
di uccidere il bambino» (Mt 2,20). E Giuseppe ubbidisce ed
esegue sempre. Egli, dalla Galilea, decide di andare con Maria
a Betlemme, in Giudea, per il censimento, perché è rispettoso
degli obblighi sociali; porta Gesù al tempio per la circoncisione
e, quando è adolescente, lo riconduce al tempio secondo l’usan-
za, perché è ligio nel rispetto della legge di Israele. Giuseppe a

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Nazaret è stimato e rispettato da tutti, tant’è che Gesù, in quella


città, è sempre stato considerato il figlio del falegname. La gran-
dezza di Giuseppe è autentica, perché si manifesta tanto nelle
situazioni eccezionali quanto nei comuni bisogni della vita quo-
tidiana. Egli è il modello perfetto di marito, padre e cittadino.

Ferie di Avvento – 17 dicembre


La storia della salvezza
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo
generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò… Iesse generò
il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie
di Uria, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia… Dopo
la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò
Zorobabele… Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è
nato Gesù, chiamato Cristo. In tal modo, tutte le generazioni da Abramo
a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia
quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.
 Mt 1,1-17

Trent’anni fa, quando abbiamo iniziato a meditare le Sacre


Scritture, questa pagina del vangelo ci procurava lo stesso en-
tusiasmo di quando si consulta la rubrica telefonica, perché ci
sembrava solo un elenco di nomi. Con il passare del tempo,
però, avendo acquisito una certa familiarità con la storia del-
la salvezza, quei nomi, al solo leggerli, si animano e prendo-
no vita, come quando si sfoglia un vecchio album di famiglia.
L’elenco delle persone che compare nel vangelo di oggi è la sin-
tesi dell’Antico Testamento: esso ci evoca i fatti accaduti a quei
personaggi e al popolo di Israele. L’insieme di quegli eventi
costituisce l’antica storia della salvezza, alla quale seguirà quella
del Nuovo Testamento.
La Bibbia non è altro che il resoconto scritto di una storia
vera, alla quale, nella nostra meditazione, dobbiamo restituire
la vita che non ha più. Quei personaggi, tuttavia, non costitu-
iscono un elenco di santi, ma di uomini, con le loro grandezze
e le loro miserie, con il loro peccato e la loro santità, nei quali
noi ci riconosciamo come in uno specchio. Solo alcuni costi-

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tuiscono un modello di vita. Abramo può esserci modello per


la fede; Mosè può illuminare i genitori a essere servi di Dio e
di una famiglia, come lui lo è stato per il suo popolo; Maria
ci illumina sul modo di essere al servizio della storia della sal-
vezza; Gesù ci illumina sull’amore del Padre, sulla fedeltà al
progetto di vita e sulla preghiera; san Paolo ci insegna a esse-
re missionari. La chiesa, infine, trova il suo modello in quella
comunità descritta all’inizio degli Atti degli apostoli: piccola,
ma perfetta. Leggendo la Bibbia con questo spirito, come da
trent’anni stiamo facendo, la parola di Dio diventa una storia
affascinante e viva, come se i personaggi di gesso del presepio,
improvvisamente animati dallo Spirito di Dio, cominciassero
a muoversi e a vivere, trasformando il memoriale di una storia
passata in vita che si rinnova ogni giorno.

Ferie di Avvento – 18 dicembre


Dio è un gran signore
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa
sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta
per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto
e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un
angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di
prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei
viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai
Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati»… Quando si destò
dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e
prese con sé la sua sposa. Mt 1,18-24

Dopo l’evento dell’Annunciazione il Signore invia, in sogno,


un angelo a Giuseppe per informarlo sul concepimento di Ge-
sù e coinvolgerlo nella storia della salvezza. Prima però attende
che egli si dimostri degno di quel ruolo. La prova alla quale vie-
ne sottoposto riguarda la giustizia, che è qualcosa di molto più
grande della legalità. La legge, infatti, gli avrebbe permesso di
ripudiare Maria; ma Giuseppe decide di «ripudiarla in segreto»,
evitandole il pubblico disonore. La mamma e io, da giovani, ab-

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

biamo avuto il privilegio di conoscere una persona con un tale


senso della giustizia. Era padre Cipriano Ricotti, allora priore
del convento domenicano di San Marco, in Firenze. Padre Ci-
priano ci ha guidato durante tutto il periodo del fidanzamento,
e alla fine ha celebrato le nostre nozze nella chiesa di San Mar-
tino a Mensola. Una sera di molti anni fa, stavamo guardando
un programma televisivo dedicato alla religione ebraica, duran-
te il quale hanno parlato di quel «viale degli uomini giusti» che,
in Gerusalemme, è stato dedicato alle persone che, durante la
seconda guerra mondiale, hanno salvato degli ebrei dalla per-
secuzione, a rischio della propria vita. A un certo punto è stato
intervistato padre Cipriano Ricotti, insieme ad alcuni ebrei mi-
lanesi, che egli aveva salvato e che lo hanno voluto ringraziare
pubblicamente. Siamo rimasti colpiti, perché non ne sapeva-
mo niente: padre Cipriano non ne aveva fatto alcun accenno.
Ci siamo subito informati e abbiamo scoperto che, a Firenze,
aveva messo in salvo un gran numero di ebrei, cominciando
a nasconderli nelle soffitte del convento e poi in tutta la città.
Padre Cipriano non solo era giusto, era anche un uomo di
misericordia. Un giorno, dopo aver celebrato la santa messa
durante la settimana di Passione, ci raggiunse, come sempre,
per salutarci. Aveva gli occhi lucidi: «Scusatemi – ci disse – ma,
celebrando l’eucaristia in questa settimana, mi capita spesso
di commuovermi». Era una persona grande, ma noi eravamo
troppo giovani per comprenderlo pienamente. Con il passare
degli anni, però, i suoi insegnamenti e il suo esempio hanno
continuato a guidarci in molte scelte della nostra vita.

Ferie di Avvento – 19 dicembre


Gli angeli e i bambini
Al tempo di Erode… vi era un sacerdote di nome Zaccaria… che aveva
in moglie… Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio… Essi non
avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli
anni. Avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue funzioni sacerdotali…
Apparve a lui un angelo del Signore… Quando lo vide, Zaccaria si turbò
e fu preso da timore. Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua
preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo

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chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza… sarà colmato di Spirito


Santo fin dal seno di sua madre… Egli camminerà innanzi a lui con lo
spirito e la potenza di Elia, per… preparare al Signore un popolo ben
disposto». Zaccaria disse all’angelo: «Come potrò mai conoscere questo?
Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni». L’angelo gli rispose:
«Io sono Gabriele, che sto dinanzi a Dio e sono stato mandato a parlarti
e a portarti questo lieto annuncio…». Dopo quei giorni Elisabetta, sua
moglie, concepì… e diceva: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore,
nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna fra gli uomini».
 Lc 1,5-25

Oggi lasciamo ai sacerdoti, durante la messa, l’esegesi di que-


sta pagina del vangelo; noi, nella chiesa domestica della nostra
famiglia, ne facciamo una tutta nostra. Da due anni viviamo
un meraviglioso periodo di nascite. A Giannandrea e Francesca
è arrivata Claudia; ad Anna Rita ed Eugenio sono arrivati Car-
lotta e Paolo; a Gianmario e Francesca è arrivata Luisa; a Maria
Letizia e Gianluca sono arrivati Chiara e Mattia, a Maria Fran-
cesca e Davide è arrivato Edoardo, a Marcos e Valentina è arri-
vato Pierluigi, che si sono aggiunti a Elisabetta, Maria Serena,
Gabriele, Sara, Paola, Alicia e Letizia Maria, nati in preceden-
za, e Maria Letizia è in attesa di un terzo bambino. Ogni figlio
che nasce è una benedizione del Signore per la famiglia, è un
segno che egli ha fiducia in noi: è la vita che si rinnova, men-
tre noi nonni serenamente stiamo invecchiando. Non ci sono
parole per esprimere queste meraviglie della vita. Nella storia
della salvezza, quando Dio vuol dare un impulso nuovo al cam-
mino dell’umanità, manda sempre gli angeli come messaggeri;
e dopo gli angeli arrivano i bambini. Da Abramo e Sara è nato
Isacco, da Anna è nato Samuele, da Zaccaria ed Elisabetta è
nato Giovanni, da Maria e Giuseppe è nato Gesù. Sono stati
tutti concepiti in modo eccezionale, quando i genitori erano
già anziani o, nel caso di Maria, addirittura per opera dello Spi-
rito Santo, perché fosse chiaro il segno che quelle nascite sono
avvenute con l’intervento diretto di Dio. Ogni bambino che
nasce, tuttavia, è un segno dell’amore di Dio per gli uomini,
dovunque e comunque venga alla luce; è un segno che il Signo-
re vuole rinnovare il mondo, perché insieme a un bambino che
nasce c’è un nuovo progetto di Dio per l’umanità. Di fronte alla
meraviglia di ogni nascita, sentiamo solo il desiderio di pregare.

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Ferie di Avvento – 20 dicembre


Il matrimonio tra cielo e terra
Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della
Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo
della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse
un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai
trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce
e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo;
il Signore Dio gli darà il trono di Davide… e regnerà per sempre… e il
suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà
questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo
scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra.
Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed
ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un
figlio…: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del
Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da
lei. Lc 1,26-38

Il vangelo di oggi permette di meditare il matrimonio te-


ologico tra cielo e terra, tra Dio e l’umanità. È terminato il
lungo fidanzamento iniziato, duemila anni prima, con il «sì»
di Abramo, e si celebra il matrimonio con il «sì» di Maria, che
rappresenta tutta l’umanità. È un matrimonio effettivo, perché
da questa unione nascerà Gesù che, come tutti i figli, asso-
miglierà sia al padre che alla madre. In Gesù coesistono due
nature: quella umana di Maria e quella divina di Dio. Tra qual-
che giorno celebreremo il Natale, la nascita del Figlio, e si farà
festa in cielo e in terra; alla capanna di Betlemme ci saranno
invitati celesti, gli angeli, e invitati terrestri, i pastori e i Magi.
Oggi, però, siamo chiamati a meditare e a partecipare spiritual-
mente alle nozze tra Dio e l’uomo, che si sono celebrate nella
casa di Maria, nella città di Nazaret. Grazie a quell’unione, il
matrimonio tra Dio e l’umanità dura anche oggi e durerà per
sempre; e noi, per il battesimo che abbiamo ricevuto, siamo
diventati, come dice san Paolo, figli adottivi di Dio e di Maria.
Possiamo pertanto chiamare Dio col nome di Padre e Maria

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

col nome di Madre. Ringraziamo i nostri genitori che ci hanno


donato la vita fisica e, facendoci battezzare, hanno permesso
che diventassimo anche figli di Dio. Lo sa bene la nostra ami-
ca Renata, donna di fede inesauribile che, nel combattere le
molte battaglie della sua vita, quando deve sostenere qualche
confronto difficile, usa dire al suo interlocutore, tra il serio e il
faceto: «Lei non sa chi è mio Padre!».

Ferie di Avvento – 21 dicembre


L’aborto è un omicidio
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa,
in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel
suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce:
«Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa
devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto
è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo.
E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha
detto». Lc 1,39-45

Da quando, in Italia, è entrata in vigore la legge 194/1978,


ogni anno il Ministro della Sanità denuncia ufficialmente due-
centocinquanta mila aborti. Ciò vuol dire che quelli effettivi
dovrebbero essere trecento-trecentocinquanta mila. Ogni an-
no scompare, senza lasciare alcuna traccia, una potenziale città
come Firenze. E l’incredibile è che ciò avvenga non per mano
della malavita, ma in applicazione della legge e con la collabo-
razione delle strutture sanitarie. Il brano del vangelo di oggi
racconta che «appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria,
il bambino sussultò nel suo grembo». Dunque quel feto, che in
futuro sarebbe diventato Giovanni il Battista, al saluto di Ma-
ria fu pieno di Spirito Santo, ancor prima di sua madre. È un
fatto che fa riflettere: quel bambino non ancora nato, per vie
misteriose ma reali, ha avvertito immediatamente la presenza
del futuro Messia nel grembo di Maria. Siamo di fronte al mi-

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stero della vita: fin dal suo concepimento, un essere umano ha


una sensibilità e anche una vita spirituale, seppur inconsapevo-
le. Sono verità da annunciare a ogni donna che si presenti in
ospedale a chiedere l’aborto. «Il bambino che porti nel grembo
– occorrerebbe dirle – ha già avvertito la tua volontà di soppri-
merlo. Torna a casa, chiedigli perdono e amalo come Dio già
lo ama». Non è bene affidare il mistero della vita e della morte
alle mani di medici senza fede. Il nostro amico Franco Pianetti,
ostetrico-chirurgo, un giorno ci ha confidato: «La mia gioia più
grande, ora che sono anziano, è la consapevolezza di aver aiu-
tato a venire alla luce quasi quindicimila bambini e di essermi
sempre rifiutato di procurare aborti volontari». Tutte le volte
che ci incontriamo mi viene in mente un pensiero di Plutarco:
«È bello invecchiare con l’animo onesto, come in compagnia
di un amico sincero».

Ferie di Avvento – 22 dicembre


La preghiera del Magnificat
Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito
esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora
in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per
me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua
misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti
dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha
rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi
della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la
sua discendenza, per sempre». Lc 1,46-55

Di fronte alla preghiera del Magnificat, con la quale Maria


dà inizio ai tempi messianici e alla storia della chiesa, la nostra
meditazione si fa silenzio, come quando contempliamo il mi-
stero della grotta di Betlemme. Ogni commento rischierebbe
di appannare il fulgore delle parole di questa donna ebrea, che
risplendono come stelle nel cielo. Ve n’è una, in particolare,
che ci fa riflettere, perché appare in netto contrasto con le ca-

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tegorie del pensiero contemporaneo: è la parola «umiltà». Sem-


brerebbe indicarci atteggiamenti di pochezza, di insignificanza,
di scarso valore. Ed è proprio in questo senso che, talvolta, si
sceglie di presentarsi in maniera umile, allo scopo di evitare le
fatiche e i rischi di progetti grandi, coraggiosi. Ma questa non
è vera umiltà, bensì un comodo alibi. Maria ci insegna la vera
umiltà: quella che deriva dalla consapevolezza di essere tanto
piccoli, ma strumenti di un Signore tanto grande e disposto ad
affidarci i suoi progetti. Allora la fronte si alza e il pensiero vola
alto, sulle ali della stessa fede che spinge san Paolo a scrivere,
nella Lettera ai Filippesi: «Tutto posso in colui che mi dà la for-
za» (Fil 4,13). Le parole del Magnificat ci esortano a metterci
umilmente al servizio del Signore che, secondo i suoi piani,
opererà in tutti noi cose grandi, a lode e gloria del suo nome.

Ferie di Avvento – 23 dicembre


Richieste e ringraziamenti
A te, Signore, innalzo l’anima mia, mio Dio, in te confido: che io
non resti deluso!… Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami
i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei
tu il Dio della mia salvezza; io spero in te tutto il giorno. Ricòrdati,
Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre. I
peccati della mia giovinezza e le mie ribellioni, non li ricordare:
ricòrdati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore…
Volgiti a me e abbi pietà, perché sono povero e solo. Allarga il mio cuore
angosciato, liberami dagli affanni. Vedi la mia povertà e la mia fatica e
perdona tutti i miei peccati… O Dio, libera Israele da tutte le sue angosce.
 Sal 24

Era proprio una bella giornata d’estate quella in cui mi re-


cai per la prima volta, insieme a Pierluigi, al santuario della
Madonna di Montenero. Con la nostra vecchia Kadett, aveva-
mo percorso tutti i tornanti della strada che sale in mezzo alla
macchia mediterranea, assolata e cespugliosa, fino ad arrivare
in cima alla collina che sembra proteggere il porto di Livorno,
con le sue navi che vanno e vengono.

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Tanta bellezza, tuttavia, riusciva a fugare soltanto un poco


i pensieri tristi che mi affliggevano per il mio desiderio inap-
pagato di maternità. Erano ormai trascorsi due anni di matri-
monio e mi ero anche sottoposta a un impegnativo intervento
chirurgico per rendere possibile la gravidanza che tanto desi-
deravo. Cercavo di rassegnarmi, di ipotizzare altri modi per
riempire quel vuoto, ma spesso piangevo di nascosto, per non
rattristare Pierluigi.
Inginocchiata in quel santuario, mi misi silenziosamente a
pregare, guidata dai versetti del salmo di oggi. «A te, Signore,
innalzo l’anima mia, mio Dio, in te confido... Volgiti a me e ab-
bi pietà... Vedi la mia povertà e la mia fatica». A un certo punto
rivolsi lo sguardo verso l’immagine della Madonna e mi accorsi
che era circondata da una corona di angeli dal volto tondo e
sorridente, simili a tanti bambini felici. Di slancio rivolsi una
preghiera alla Madonna: donami tanti bambini quanti sono
questi tuoi angeli! Poi li contai e vidi che erano quindici. Poco
prima di Natale mi accorsi che era in arrivo il primo bambino
e, con il rapido passare degli anni, ne sono arrivati altri tredici,
o nascendo in un reparto di maternità o giungendo in volo da
paesi lontani. Ogni estate torno a Montenero per ringraziare la
Madonna con il cuore colmo di gratitudine, e mi interrogo su
chi sia quell’angioletto che non è mai arrivato. Penso che tale
posto sia riservato alle persone che, di volta in volta, hanno
bisogno di essere accolte, come Davide, il ragazzo che abbiamo
avuto in affido.
Ti ringrazio, Maria, perché hai presentato la mia preghiera
al Signore.

Ferie di Avvento – 24 dicembre

Il senso vero del Natale


Zaccaria, suo padre, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo:
«Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo
popolo, e ha suscitato per noi un Salvatore potente… E tu, bambino,
sarai chiamato profeta dell’Altissimo perché andrai innanzi al Signore a

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preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza


nella remissione dei suoi peccati. Grazie alla tenerezza e misericordia del
nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli
che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi
sulla via della pace». Lc 1,67-79

Giriamo per le strade della città tra insegne luminose e ne-


gozi luccicanti. La gente carica di pacchi colorati si incrocia
per la strada e si augura «Buon Natale». I giornali, la televisio-
ne e tutto il mondo della comunicazione e dello spettacolo ci
augura «Buon Natale». Ovunque incontriamo persone vestite
da Babbo Natale e non esiste casa dove non ci sia un albe-
ro scintillante di luci e palle colorate. «Buon Natale» di qua,
«Buon Natale» di là, «Buon Natale» da tutte le parti. Sono ma-
nifestazioni di gioia che allietano il cuore, suscitando attese e
trepidazione nei piccoli e in coloro che sanno tornare piccoli.
Se questa atmosfera di festa, che illumina il cuore dell’inver-
no, non si riduce solo a questo, è cosa bella. Occorre, tuttavia,
evitare il rischio di trasformare il Natale in una festa avulsa dal
suo vero significato e dal suo potere di rigenerarci nello spirito.
L’uomo, sempre più «stanco e oppresso», ha un bisogno pro-
fondo di vivere il Natale, trovando momenti di silenzio e di
meditazione per prepararsi ad accogliere il Signore che viene.
Questo cantico di Zaccaria, sgorgato dalla felicità per la nascita
di quel figlio che da grande diventerà Giovanni il Battista, ci
indica la strada per ricuperare il senso vero del Natale. Trovia-
mo allora, dentro di noi, dei momenti di silenzio per meditare
il meraviglioso evento del Natale, come ci viene annunciato dal
vangelo di oggi: Dio «ha visitato e redento il suo popolo, e ha
suscitato per noi un Salvatore potente». Questa verità di fede
che, in Gesù di Nazaret, Dio entra a far parte della nostra uma-
nità, ha bisogno di tempo e di silenzio per attecchire e mettere
radici nel nostro cuore. Tempo e silenzio, per far nascere anche
in noi quel bambino che, una volta cresciuto, diventerà «pro-
feta dell’Altissimo» e andrà «innanzi al Signore a preparargli
le strade». È questa la via per diventare testimoni del vangelo,
negli ambienti nei quali siamo stati chiamati a vivere.
Fa’, Signore, che questo cantico di Zaccaria diventi il nostro
cantico, la nostra testimonianza gioiosa.

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TEMPO DI NATALE
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25 dicembre – Natale del Signore


Il Natale tra i barboni
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza
di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la
luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno
vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni…
Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel
mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo… Venne fra i suoi, e i
suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere
di diventare figli di Dio… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare
in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come
del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità…
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia…
Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno
del Padre, è lui che lo ha rivelato. Gv 1,1-18

Gesù nasce a Betlemme, in una stalla, tra i poveri, lui che ap-
parteneva alla buona famiglia di un artigiano. È Dio che ha vo-
luto così e, perché questo accadesse, ha silenziosamente sugge-
rito all’imperatore Augusto di indire il primo censimento della
storia. Si sono messi in moto tutti i cittadini dell’impero roma-
no per andare a farsi registrare nel luogo di origine. Anche Ma-
ria e Giuseppe, che abitavano a Nazaret, in Galilea, son dovuti
andare in Giudea, dove aveva origine la famiglia di Giuseppe,
che era discendente di Davide. In quel movimento di persone,
gli albergatori hanno preferito dare ospitalità a persone meno
impegnative di una donna che stava per partorire; così Maria e
Giuseppe non hanno trovato posto nell’albergo e Gesù è nato
tra i poveri. È proprio Dio a pilotare gli eventi della storia: gli
uomini sono solo strumenti! Questa vicenda ci fa ritenere che
anche le migrazioni e la globalizzazione del nostro tempo, con
tutto l’intreccio di culture, di religioni, di razze e di lingue che
comporta, siano opera sua. Anche il fatto che Gesù sia nato tra i
poveri, significa che Dio ha una predilezione per loro. E i pasto-
ri, i primi ad accorrere alla capanna di Betlemme, all’epoca di
Gesù, erano i più poveri e i più emarginati della Palestina. Anche
noi, negli anni Ottanta, abbiamo avuto il privilegio di rivivere,
in un certo qual modo, la natività nel «ruolo» di Maria, Giusep-

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pe e il bambino. Doveva essere un presepe vivente, ma per noi


è stato molto di più. Fratel Ettore, che da poco aveva iniziato la
sua avventurosa missione di dare assistenza e dignità ai barboni
di Milano, ci chiese di impersonare la Sacra Famiglia, insieme a
Gianluca che era nato da poco, nella santa messa di Natale tra
i barboni. Accettammo e fu un’esperienza irripetibile. Ci tro-
vammo a rivivere il Natale nel ruolo di Maria e di Giuseppe, in
quell’ambiente un po’ oscuro, con le facce dei barboni che guar-
davano stupefatti e che dovevano essere poco diversi dai pastori
del presepe. È stata una vera immersione nel mistero del Natale.

I Domenica dopo Natale – Santa Famiglia


Ascolto e libertà
Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati,
prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché
non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo»…
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe
in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’
nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il
bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra
d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao
al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno,
si ritirò nella regione della Galilea. Mt 2,13-15.19-23

Credo che, per un ingegnere, il lavoro più affascinante sia


quello del project manager. Ti viene affidato un progetto, un
budget di spesa e un tempo per realizzarlo. Da quel momento
il progetto è tuo: hai l’autorità di operare scelte e di prendere le
decisioni necessarie; però, alla fine, devi render conto della sua
realizzazione a chi ti ha affidato l’incarico. È ciò che succede a
ogni persona che viene al mondo: ha un progetto da realizzare,
un tempo a disposizione, dei talenti da spendere e la libertà
di prendere le decisioni opportune. Il progetto esiste fin dalla
nascita, ma il Signore lo comunica dopo, nel corso degli anni,
via via che la persona diviene capace di recepirne l’importanza
e i contenuti. Per poterlo conoscere, tuttavia, è necessaria la co-
munione con il Signore. Ecco il motivo della preghiera, ed ecco

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perché Gesù andava sempre sul monte a pregare il Padre! È nel-


la preghiera e nella comunione con Dio che il progetto ci viene
man mano comunicato, come il dipanarsi di un gomitolo di lana.
A Giuseppe, nella storia della salvezza è stato affidato un
compito unico e un ruolo fondamentale, tanto che le deci-
sioni importanti da prendere per realizzare il suo progetto, gli
vengono suggerite direttamente dagli angeli, i messaggeri di
Dio: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con
te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei
viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). «Àlzati, prendi con te il
bambino e sua madre, fuggi in Egitto», «Àlzati, prendi con te
il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele». Giuseppe
ha sempre ubbidito fedelmente ai comandi del Signore, sen-
za rinunciare, però, alla libera iniziativa per la soluzione dei
problemi alla sua portata di uomo, come mostra il vangelo di
oggi: «Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Ar-
chelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi». In
colui che vive in comunione con il Signore nella preghiera, si
instaura un meraviglioso equilibrio tra illuminazione e libertà,
ma la decisione finale è sempre dell’uomo. Il modo di comuni-
care che il Signore sceglie è assai vario: può essere una persona,
un’intuizione improvvisa, un versetto del vangelo o un angelo;
oppure può essere una porta che, senza motivo apparente, si
chiude e un’altra che si apre nella vita quotidiana. Noi dobbia-
mo solo vivere in preghiera e in ascolto.

26 dicembre – Santo Stefano


Il martirio di santo Stefano
«Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi
flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e
re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando
vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi
sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare,
ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il
fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li
uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà
perseverato fino alla fine sarà salvato». Mt 10,17-22

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Ieri abbiamo vissuto un gran bel Natale. Tornati dalla prima


messa del mattino, abbiamo alzato il riscaldamento e ci siamo
rintanati in casa a preparare il pranzo insieme all’amica Mary,
la cui presenza per questa festa è per noi un’istituzione. A
mezzogiorno sono arrivati Gianmario, Giannandrea, e Maria
Francesca con le loro famiglie e alcuni amici. A tavola eravamo
diciotto persone. La domenica a pranzo siamo normalmente
di più, ma ieri alcuni figli hanno festeggiato il Natale con i
nostri consuoceri. La comunione tra noi, un ottimo pranzo,
la preghiera insieme, lo scambio dei doni, lo scorrazzare dei
bambini e gli auguri telefonici, hanno riempito la giornata di
cose vere, genuine e, nella loro semplicità, anche sante.
Oggi la chiesa celebra la prima persecuzione dei cristiani e
il martirio di Stefano, per ricordarci che la vita di tutti i giorni
non è solo festa: è anche lavoro, fatica, missione e persecuzione.
Realtà, queste, che abbracciano tutti i campi e i vari aspetti
della vita: la professione, la famiglia, la politica, lo sport, gli
impegni sociali e il tempo libero. In ogni momento della
giornata, il bene e il male, le vittorie e le sconfitte, le gioie e
le persecuzioni, si intrecciano come fili diversi di uno stesso
arazzo. Intendiamoci, la persecuzione non è un privilegio solo
dei cristiani, perché è forse la manifestazione più comune e
lampante del male esistente nel mondo; però lo è il motivo.
Mentre le altre persecuzioni sono mosse da ciò che si ha o non
si ha, che si fa o non si fa, la persecuzione contro i cristiani è
mossa da ciò che si è.
Gesù ci dice, oggi, che il fatto stesso di essere cristiani è
motivo di persecuzioni. «Se hanno perseguitato me – dice il
Signore –, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Il vivere
in modo semplice, lineare e in pace, l’abitudine alla preghiera
e l’avere impresse sul volto una gioia e una speranza che il
mondo non ha, è talvolta motivo di ammirazione, ma, molto
più spesso, di invidia e di persecuzione. «E spesso – dice oggi
il Signore – sarete chiamati anche a difendervi in qualche
tribunale, sia esso familiare o sociale. Ma non preoccupatevi
di ciò che direte e di come lo direte, sarà lo Spirito Santo a
illuminarvi e a farvi rendere testimonianza al Signore». Come è
successo a santo Stefano.

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27 dicembre – San Giovanni apostolo ed evangelista


Il mistero dell’amore di Dio
[Maria Maddalena] Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro
discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il
Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora
uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme
tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per
primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse
intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò
i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con
i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo,
che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Gv 20,2-8

Come a tutti i nonni, succede anche a noi, di quando in


quando, di dar consigli a figli e nipoti, alla luce delle esperienze
vissute e degli errori commessi nel corso degli anni. Oggi Le-
tizia Maria, la bambina più grande di Anna Rita ed Eugenio,
mentre pranzavamo con gli avanzi del pranzo di Natale, ha
domandato: «Perché quando uno è più grande dà sempre con-
sigli?». «Perché la vita, come i romanzi gialli, si capisce bene alla
fine!», ho risposto. Lo stesso è per la vicenda umana di Gesù
di Nazaret, il Figlio di Dio fatto uomo. L’evento dell’Incar-
nazione, che abbiamo vissuto in questi giorni del Natale, per
quanto lo si mediti, rimane sempre un mistero dell’amore di
Dio per l’uomo. Tuttavia lo si penetra un po’ di più alla luce
della manifestazione d’amore, ancor più grande, che è la morte
in croce di Gesù, per la nostra liberazione dalla schiavitù del
peccato. San Paolo la chiama «lo scandalo della croce» (Gal
5,11). Questi due eventi che si illuminano a vicenda, tanto da
divenire un unico mistero dell’amore di Dio per l’uomo, sono
solo la porta d’ingresso per accedere al primo gradino del mi-
stero d’amore ancora più grande che è la risurrezione: mistero
d’amore del Padre per il Figlio, che non avrebbe potuto farsi
superare dall’amore di Gesù Cristo per l’uomo. Stiamo par-
lando di vette d’amore per noi inarrivabili e incomprensibili,
sulle quali, però, è bello cercare di arrampicarci fino a dove
sia possibile. È per questo motivo che la chiesa, subito dopo i
giorni del Natale, ci propone di meditare la morte in croce e la
risurrezione di Gesù.

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28 dicembre – Santi Innocenti martiri


L’eterna lotta tra bene e male
Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati,
prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non
ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si
alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove
rimase fino alla morte di Erode… Quando Erode si accorse che i Magi si
erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che
stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni
in giù. Mt 2,13-18

Ogni giorno, sfogliando le pagine dei giornali, siamo colpiti


dalla incessante lotta delle forze del bene e del male che, all’in-
terno degli eventi narrati, si contrappongono come eserciti in
battaglia. E il campo di battaglia è l’uomo. Da una parte forze
che vogliono eliminare, soffocare, distruggere la vita; dall’altra
persone che la vogliono difendere, alimentare, salvare. Da una
parte si uccide, dall’altra si donano gli organi; da una parte si
spaccia la droga, dall’altra nascono le comunità di recupero dei
tossicodipendenti; da una parte si procura l’aborto, dall’altra si
adottano i bambini. Nel brano del vangelo di oggi questa dina-
mica assume dimensioni teologiche: Gesù nasce a Betlemme e
si immolerà sul Calvario per liberare e salvare l’uomo dai suoi
limiti e dal suo peccato. È una strategia divina chiara anche alle
forze del male che, sin dall’inizio, si scatenano per combatterla
con ogni mezzo, perché vogliono che l’uomo sia soggiogato,
schiavizzato e schiacciato dal peccato. Questa continua lotta
tra le forze del bene e quelle del male porta alla luce un gran-
de mistero, che la rivelazione spiega con il peccato originale
dell’inizio dei tempi. In effetti, che il male sia connaturato con
l’uomo è evidente anche nel bambino che comincia a parlare,
le cui prime parole, insieme a quelle di «babbo» e «mamma»,
sono «no» e «mio». Tra i nostri molti figli ce ne fosse stato uno
che, cominciando a parlare, avesse detto: «sì», «tuo» o «nostro»!
Nemmeno uno. Il loro grido di battaglia è sempre stato «no!»,
oppure «è mio!». Tuttavia, nonostante la rivelazione biblica e
le molte conferme quotidiane, permane un mistero: perché le

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forze del male hanno dei diritti sull’uomo?… A questa doman-


da non c’è, a parer nostro, una risposta esauriente, ma solo
una certezza: al disopra del bene e del male c’è Dio, che opera
continuamente perché il bene abbia il sopravvento sul male.
Il fatto che, nel vangelo di oggi, il Signore mandi un angelo a
parlare, in sogno, a Giuseppe per illuminarlo su come mettere
in salvo Gesù, è la certezza che Dio sostiene coloro che com-
battono dalla parte del bene. E questo ci basta.

29 dicembre
Lo Spirito soffia sulla chiesa
Quando furono compiuti i giorni… portarono il bambino a Gerusalemme
per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore… Ora
a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che
aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito
Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima
aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e,
mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù… lo accolse tra le braccia
e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua
salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle
genti e gloria del tuo popolo, Israele». Lc 2,22-35

Alla fine degli anni Sessanta, dopo che lo Spirito Santo ave-
va soffiato potentemente sui vescovi del concilio Vaticano II,
cominciò a soffiare su tutta la chiesa. Vi fu un grande fiorire
di movimenti, associazioni e correnti spirituali che, in breve
tempo, si propagarono in tutto il mondo, come il fuoco spinto
dal vento della savana. Ovunque sorsero gruppi di preghiera e
incontri spirituali, che infusero vita nuova in molte persone,
la cui fede si era un po’ atrofizzata. Vi fu un risveglio generale
che ricordava il rivivere delle ossa aride nella visione del profeta
Ezechiele: «Il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella
pianura che era piena di ossa... lo spirito entrò in essi e ritorna-
rono in vita e si alzarono in piedi» (Ez 37,1-10). In quella nuova

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primavera della chiesa, era nato a Milano un gruppo del Rin-


novamento Carismatico, nel quale un bel numero di persone si
incontravano per pregare e lodare il Signore in un modo libe-
ro, più spontaneo e gioioso rispetto alle vecchie consuetudini.
Viveva in quel tempo, a Milano, padre Tomaso Beck, un
gesuita che, venuto a conoscenza di quegli incontri, mosso dal-
lo Spirito, si recò a vedere che cosa succedesse. L’incontro di
padre Tomaso con quella nuova realtà spirituale ebbe un esito
straordinario: fu come se l’uno e l’altro si cercassero da tempo.
Avvenne che il Rinnovamento Carismatico di Milano trovò
la sua guida spirituale e quel sacerdote incontrò la chiesa che
aveva sempre sognato. Lo Spirito che aveva suggerito a padre
Tomaso di recarsi in quel gruppo di preghiera era lo stesso che
duemila anni prima aveva suggerito al vecchio Simeone di re-
carsi al tempio, nello stesso momento in cui Giuseppe e Maria
vi portavano il bambino Gesù per farlo circoncidere. L’anziano
sacerdote, illuminato dallo Spirito, riconobbe in quel bambino
il Messia, e dal suo cuore ricolmo di gioia proruppe il meravi-
glioso cantico del Dimittis: «Ora puoi lasciare, o Signore, che
il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei
occhi hanno visto la tua salvezza».

30 dicembre
Al servizio del tempio
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser.
Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo
matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non
si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e
preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e
parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero
ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si
fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. Lc 2,36-40
Quaranta giorni dopo la nascita del figlio primogenito, la
legge di Mosè prescriveva che i genitori si recassero al tempio di

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Gerusalemme per offrirlo al Signore e per la purificazione della


madre. Nella circostanza del vangelo di oggi, però, non è il
bambino che viene offerto al Signore, ma è il Signore stesso che
viene offerto da Maria e Giuseppe per la salvezza dell’umanità e
del mondo. È questo il mistero che viene colto dalla profetessa
Anna e dal vecchio Simeone, che, illuminati dallo Spirito San-
to, si abbandonano alla gioia e alla lode. Il compimento della
lunga attesa ricolma di gratitudine il cuore del vecchio Sime-
one, che, come abbiamo sottolineato nella riflessione di ieri,
prorompe nel meraviglioso cantico del Dimittis: «Ora puoi la-
sciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace» (Lc 2,29). Oggi,
però, il vangelo è incentrato sulla figura di Anna alla quale,
come al vecchio Simeone, per la sua fedeltà al servizio del tem-
pio, lo Spirito Santo concede di riconoscere nel bambino Gesù
il futuro Messia. Anna mi ricorda una vecchietta del mio paese
delle Sieci che, insieme ad altre signore, andavano a pulire la
chiesa durante la settimana. Finiti i lavori, le altre signore se
ne andavano e lei rimaneva lì, a pregare sola sola. «Questo è il
momento della giornata in cui il Signore è tutto mio – mi disse
un giorno –; lui è contento per ciò che ho fatto e io godo della
sua presenza come una serva cui, finito il suo lavoro, è concesso
di parlare con il suo Signore».

31 dicembre
Gesù Cristo, luce vera
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui…
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini… Venne un uomo
mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per
dare testimonianza alla luce… Veniva nel mondo la luce vera, quella che
illumina ogni uomo… Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito,
che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Gv 1,1-18

Il russo Yuri Gagarin, primo astronauta della storia, al suo ri-


torno dallo spazio fu intervistato da giornalisti di tutto il mon-
do. Fra le tante domande che gli furono rivolte, gli chiesero:

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«Ha visto Dio, lei, nel cielo?». «In cielo non esiste alcun Dio»,
rispose Gagarin. La nonna Rita, che ascoltò questa risposta,
mandata in onda durante un telegiornale mentre stava sgra-
nando fagioli in cucina, da brava fiorentina non poté fare a me-
no di commentare: «O che s’aspettava, di trovarlo appeso lassù
come un prosciutto?!». È difficile non riconoscere nell’armonia
dell’universo la mano potente di un Dio creatore e ordinatore,
anche se qualche raro scienziato non se n’è ancora accorto. La
fede cristiana, però, va molto oltre: noi crediamo che Dio si sia
incarnato nella persona di Gesù di Nazaret, scegliendo di far-
si uomo tra gli uomini. Non siamo cristiani perché crediamo
nell’esistenza Dio, ma perché crediamo nella sua incarnazione
in Gesù di Nazaret.
È questa la rivelazione dell’evangelista Giovanni nel prologo
al suo Vangelo. Egli annuncia che il Verbo – la parola creatrice
di Dio – che all’inizio dei tempi ha creato il mondo, a un certo
punto della storia si è incarnato in Gesù, e con la sua nascita
«veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uo-
mo». Ogni volta che leggiamo questo versetto, ci vengono i
brividi per l’altezza sublime alla quale ci eleva: è la premessa
che convalida tutta la rivelazione biblica. Gesù di Nazaret ci
ha rivelato verità su Dio e sull’uomo inaccessibili alla mente
umana. Pensiamo al sovvertimento dei valori apportato dalle
beatitudini: «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra»,
«Beati i misericordiosi... Beati i perseguitati per la giustizia»
(Mt 5,5-10). Pensiamo alle parabole: raccontini semplici, che
ci rivelano verità assolute, che lo scorrere del tempo non ha mi-
nimamente scalfito. Pensiamo ai miracoli: segni che ci parlano
della compassione e della misericordia di Dio per l’uomo. Al di
sopra di tutto, però, egli ci ha rivelato che Dio è Padre, amore
e perdono: verità, queste, che l’uomo da solo non avrebbe mai
potuto raggiungere. Un giorno, durante un dibattito televisivo
tra scienziati sul tema dell’universo, il conduttore si rivolse con
queste parole ad Antonino Zichichi: «Vedo che siete tutti d’ac-
cordo sull’esistenza di un Dio creatore e ordinatore del cosmo,
ma lei, professore, come è giunto alla fede cristiana?». Rispose
Zichichi: «Per un motivo che nell’universo non è scritto: per-
ché il Dio di cui ci parla Gesù Cristo è soprattutto perdono!».

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1 gennaio – Maria Santissima, Madre di Dio


La festa di Maria Santissima
Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino,
adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del
bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle
cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste
cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e
lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto
loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione,
gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che
fosse concepito nel grembo. Lc 2,16-21

Oggi la chiesa celebra la festa di Maria Santissima, Madre di


Dio. I pastori, avvisati dagli angeli, giungono alla capanna di
Betlemme e vi trovano Maria, Giuseppe e il bambino, che gia-
ce nella mangiatoia. È una scena meravigliosa: Dio nasce nella
pace di una stalla, tra lo stupore dei pastori, lontano dal tram-
busto dell’albergo, pieno di persone che provengono da ogni
parte a motivo del censimento indetto da Cesare Augusto. Se
anche noi, in questi giorni, siamo riusciti a isolarci un po’ dalla
confusione della città e abbiamo trovato il tempo di andare a
contemplare il presepe allestito nella veranda e spesso scosso dai
«terremoti» provocati dai nipotini più piccoli, abbiamo gustato
un po’ di quella pace e siamo entrati nel mistero del Natale. A
me è successo. Quei personaggi di gesso, nel silenzio della pre-
ghiera, si sono come animati e mi hanno trasportato nel clima
del Natale, come nel vangelo di oggi è accaduto ai pastori. È
stata una immersione, non un cammino. Adesso che le feste
sono finite ed è ripresa la vita di tutti i giorni, prego il Signore
perché ci faccia vivere, nei giorni a venire, la gioia festosa dei
pastori che tornano al loro gregge lodando Dio, alternata con
quella più pacata e profonda di Maria, che serba «tutte queste
cose, meditandole nel suo cuore». Sono due atteggiamenti che
si alimentano a vicenda: la gioia bambina dei pastori durerà nel
tempo se sarà alimentata da quella più consapevole di Maria, la
quale, nei trent’anni della vita nascosta di Nazaret, chissà quan-
te volte avrà ripensato alla capanna di Betlemme, per ritrovare
lo spirito di quella notte, l’incanto gioioso di quella maternità.

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Oggi si celebra la festa di questa donna ebrea che, dopo il


«sì» dell’Annunciazione, ha trascorso una vita nella normalità
e nel silenzio, ma è sempre stata presente nei momenti forti
della fede: a Cana, quando Gesù ha iniziato la vita pubblica,
sotto la croce e nel Cenacolo, il giorno della Pentecoste. Da
duemila anni, fino ai nostri giorni, Maria Santissima ha sempre
partecipato attivamente alla storia della chiesa, apparendo in
paesi diversi, per illuminare, per esortare e per farci riprendere
il cammino tutte le volte che siamo divenuti fiacchi o che ab-
biamo perso la strada.
Sii benedetta, o piena di grazia!

II Domenica dopo Natale


La creazione, atto d’amore di Dio
La sapienza fa il proprio elogio, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria.
Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere
proclama la sua gloria… Allora il creatore dell’universo mi diede un
ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: «Fissa
la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele». Prima dei secoli, fin
dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno…
Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio
potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del
Signore è la mia eredità. Sir 24,1-2.8-12

Questo brano di oggi è tratto dal Siracide, uno dei libri sa-
pienziali, così denominati perché, in modo a volte palese e in
altre tacito, trattano l’argomento della sapienza ebraica, come
dono di quella divina. Il libro del Siracide si può dividere in due
parti: la prima è una raccolta di massime, l’altra è un elogio dei
grandi personaggi della storia di Israele. Di tale sapienza l’espres-
sione e la codificazione concreta è costituita dalla Legge, dona-
ta da Dio al popolo ebreo. Della sapienza divina, di cui si parla
all’inizio del brano di oggi, si dice che «nell’assemblea dell’Altis-
simo apre la bocca», pertanto la chiesa la identifica con la perso-
na dello Spirito Santo, del quale parla Gesù Cristo nei vangeli.

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Nel pensiero di Israele è stata la sapienza di Dio a creare


il mondo, l’uomo e l’universo, i quali vivono e si muovono
seguendo armonie e leggi divine. Nel corso dei secoli e dei
millenni la scienza poi cercherà di dare a queste leggi, intuite
anche dalle altre culture e religioni, una formulazione fisico-
matematica, fino a scoprire una legge di gravitazione universa-
le. Sarà una scoperta progressiva, che inizierà con Galileo, sarà
perfezionata da Newton e quindi da Einstein, fino ad arrivare
alle formulazioni attuali. Qualunque sia la sua espressione ul-
tima, è ormai chiaro che gli astri dell’universo e gli elementi
dell’atomo si muovono su traiettorie armoniche come equili-
brio dinamico delle attrazioni dei corpi tra loro. È la sapienza
di Dio che vivifica tutti i corpi e tutte le cose. Gesù Cristo,
però, ci ha rivelato che l’espressione più elevata di Dio non è la
sapienza, ma l’amore: tutta la creazione è il risultato dell’amore
di Dio. E all’amore di Dio fanno capo non solo le attrazioni e i
moti dei corpi e delle cose, ma anche quelli degli uomini. Negli
uomini, tuttavia, a causa del peccato, quelle che dovrebbero
essere attrazioni divengono spesso repulsioni, quando non si
trasformano addirittura in guerre. La nostra fede, però, ci dice
che il motore di tutto l’universo è l’amore, e quando gli uomini
mettono in atto la pratica del perdono, si uniformano al me-
raviglioso disegno della creazione, e in tal modo entrano nella
circuitazione di Dio.

2 gennaio
Lo spirito del missionario
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono
da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli
confessò…: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque?
Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli
dissero allora: «Chi sei?… Che cosa dici…?». Rispose: «Io sono voce di
uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il
profeta Isaia». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo
interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo,

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né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In


mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a
lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Gv 1,19-28

Questo brano del vangelo, che sembra riferito solo a Gio-


vanni il Battista, in realtà è da considerarsi la magna charta di
ogni missionario, di ogni credente e, addirittura, della chiesa
stessa. La chiesa è nata per evangelizzare e se non evangelizza
non è chiesa; e ogni cristiano che non si senta missionario, è un
cristiano in pantofole. Così dovrebbero procedere le cose alla
luce del «mandato»: «Andate in tutto il mondo e proclamate il
Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).
Purtroppo, oggigiorno, non sentiamo l’urgenza del «man-
dato» all’evangelizzazione, e la chiesa stessa sembra combattere
una guerra di posizione, piuttosto che lanciarsi nella missione.
Si cerca più il dialogo che un franco annuncio della «buona
novella». La missione viene più interpretata come lotta con-
tro le ingiustizie sociali, non come annuncio di salvezza totale
dell’uomo. Quando, invece, il mandato viene vissuto in pie-
nezza e con coraggio, ci troviamo di fronte alla potenza della
grazia che l’accompagna: il Signore compie opere straordinarie
con persone semplici, come Madre Teresa di Calcutta. Il mis-
sionario è, inoltre, soggetto a molte tentazioni: la prima risiede
nel fatto che il mondo tende a trasformare in miti viventi le
persone divenute straordinarie per grazia di Dio. Difficilmente
si accetta che un uomo possa brillare di luce riflessa: si prefe-
risce accreditare ogni merito alla persona, trasformandola in
un idolo. A questo punto subentra la seconda tentazione: il
missionario rischia di credere che l’opera compiuta da lui sia
merito proprio e non del Signore. Finisce, così, per diventa-
re testimone di se stesso, dimenticando che è il Signore che
manda, che dona lo Spirito e che fa compiere cose grandi a
persone piccole. Il risultato finale è l’utilizzo della missione a
proprio vantaggio: nascono le sette e talvolta anche i patrimoni
personali. È la tentazione contro la quale si trova a combattere
Giovanni il Battista nel vangelo di oggi: «Tu, chi sei?», «Io non
sono il Cristo», «Io sono voce di uno che grida nel deserto». Ec-
co che cosa è un missionario: una voce, uno strumento suonato
dallo Spirito Santo.

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3 gennaio

Io non lo conoscevo
Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello
di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto:
“Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io
non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse
manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo
Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non
lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua
mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che
battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è
il Figlio di Dio». Gv 1,29-34

È credibile che Giovanni il Battista non avesse mai incon-


trato Gesù prima che questi iniziasse la sua vita pubblica, dal
momento che il primo aveva sempre vissuto in Giudea e il se-
condo a Nazaret, in Galilea. Tuttavia quando Gesù va da lui
per farsi battezzare nel Giordano, l’affermazione di Giovanni
«Io non lo conoscevo» ha un significato teologico che va al di
là della semplice conoscenza personale. Vuol dire proprio che
Giovanni non sapeva, prima che lo Spirito lo illuminasse, che
a Gesù di Nazaret fosse stato conferito il potere di battezzare
l’umanità nello Spirito Santo, introducendola di nuovo, dopo
la caduta del peccato originale, nella circuitazione della vita di
Dio. Lo stesso potere Gesù, alla fine della sua vita terrena, lo
affiderà alla chiesa, la quale, in modo visibile, battezza in acqua
come Giovanni, ma, di fatto, battezza in Spirito Santo, come
Gesù annuncia a Nicodemo: «In verità, in verità io ti dico, se
uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno
di Dio» (Gv 3,5).
Con l’immissione nella vita dello Spirito, i cittadini del re-
gno dei cieli vivono in un’altra dimensione: vengono loro affi-
dati a poco a poco i segreti di Dio e il progetto di vita che sono
chiamati a realizzare, vivono la gioia messianica e partecipano
del pane della Provvidenza, come gli uccelli del cielo e i gigli
del campo. Avviene tutto gradualmente, come i bambini che,
venuti alla luce, crescendo imparano a conoscere i genitori, il

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mondo che li circonda, la storia che li ha preceduti, insieme


a quanto è loro necessario per vivere e destreggiarsi nella vita
di tutti i giorni. Dobbiamo riconoscere che anche a noi, du-
rante questa preghiera del mattino, vengono confidati segreti
dei quali prima non avevamo avuto la percezione. Avviene nei
modi più diversi, ma la via maestra è la meditazione delle Sacre
Scritture. La cosa più sorprendente, tuttavia, è che abbiamo
scoperto la vita come un miracolo continuo, del quale il pane
quotidiano sulla tavola è solo una manifestazione. In questo
senso, come la luce dell’aurora a poco a poco si fa più intensa e
illumina tutte le cose, alla fine di ogni giorno possiamo anche
noi dire del Signore: «Io non lo conoscevo».

4 gennaio
Giovanni il Battista
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e,
fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E
i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si
voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli
risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». Disse
loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e
quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno
dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito,
era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello
Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo –
e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei
Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
 Gv 1,35-42

Capita spesso di mettersi in viaggio per andare a incontra-


re una persona, spinti da un motivo importante. Via via che
ci avviciniamo al luogo e al momento dell’incontro, chiedia-
mo sempre più frequentemente informazioni e conferme sulla
strada da percorrere. Anche la storia della salvezza, nell’Antico
Testamento, può essere pensata come un uomo che all’inizio
si fosse messo in cammino con Abramo e, chiedendo infor-
mazioni ai personaggi che gli sono succeduti nel tempo, fosse

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arrivato fino a Gesù. Alcuni avrebbero dato informazioni mol-


to generiche, ma due di loro sarebbero stati di una precisione
assoluta: Isaia, l’annunciatore del Messia futuro, e Giovanni
il Battista, l’annunciatore del Messia presente. Nel vangelo di
oggi il Battista indica a Giovanni e Andrea, i due discepoli che
erano con lui, la persona di Gesù di Nazaret come il Messia
atteso dall’umanità fin dalla prima chiamata di Abramo. Quei
due discepoli che si staccano da Giovanni il Battista per seguire
Gesù, rappresentano tutta l’umanità che si consegna a lui. In
quel «passaggio del testimone» brillano la grandezza e l’umiltà
del Battista. Egli non va con i suoi discepoli, la sua missione è
compiuta; bisogna che egli diminuisca, perché Gesù cresca. È
ciò che deve fare, anche oggi, ogni annunciatore del vangelo:
cambia soltanto la direzione verso la quale indicare il Salvatore
del mondo. Per Isaia annunciare il Messia equivaleva a indicare
il futuro e per il Battista il presente; per noi vuol dire rivolger-
si a quel passato, per renderlo presente e portatore dell’unico
futuro che davvero valga la pena di essere vissuto. Dobbiamo
indicare la persona di Gesù di Nazaret, vissuto duemila anni fa,
morto in croce sul monte Calvario e risuscitato da morte. La
direzione da mostrare è diversa, ma l’atteggiamento di annun-
ciare e ritirarsi nel silenzio vale anche per oggi. La strategia di
indicare, insegnare e farsi da parte è valida anche per i genitori,
i maestri e le guide spirituali, sebbene non sempre sia facile. La
tentazione, infatti, è quella di rimanere presenti, magari per
raccogliere i frutti del servizio.

5 gennaio
I primi discepoli
Il giorno dopo Gesù… trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!»… Filippo
trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto
Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret».
Natanaele gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo
gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva
incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità».

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Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima


che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi».
Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio». Gv 1,43-51

Tutti i profeti dell’Antico Testamento erano stati espressi


dalla Giudea e anche il Messia, stando alle profezie, avrebbe
dovuto nascere in quella regione, come dice Gesù alla Samari-
tana: «Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che
conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei» (Gv 4,22).
Gesù, infatti, era nato a Betlemme, in Giudea, anche se Ma-
ria e Giuseppe lo avevano condotto ben presto a Nazaret, in
Galilea, dove abitavano. Natanaele, che poi diventerà l’apo-
stolo Bartolomeo, non conosceva questi antefatti e, pertanto,
quando Filippo gli annuncia di aver trovato il Messia, «Gesù,
il figlio di Giuseppe, di Nàzaret», egli, che era uno spirito sem-
plice e immediato, rispose: «Da Nàzaret può venire qualcosa
di buono?». Bartolomeo, che Gesù aveva già visto sotto il fico
a riposare tranquillamente, diceva con franchezza quello che
pensava. Gesù dice di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non
c’è falsità». Anche Filippo era un tipo così, e questa affinità li
rendeva amici.
In tempi successivi, quando Gesù comincerà a parlare agli
apostoli del Padre, Filippo, con altrettanta franchezza, gli ri-
sponderà: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8).
Chissà come si dovevano sentire, all’inizio, Bartolomeo e Filip-
po, a stare insieme a persone «navigate» come Giuda e Matteo,
o concrete come Tommaso, o con quell’idealista di Simone,
lo zelota, un rivoluzionario contro Roma! Del resto anche Si-
mone, possiamo immaginare, non avrà visto di buon occhio
Matteo, che era esattore delle tasse per conto dei romani. E
anche Pietro, Giacomo e Giovanni, costretti a pagare i tribu-
ti sul pesce che pescavano, non dovevano apprezzare molto la
compagnia di Matteo. Eppure saranno proprio queste persone,
così diverse e nemmeno amiche tra loro, che Gesù sceglierà
come apostoli. Esse, con l’esclusione di Giuda, andranno per
il mondo ad annunciare il vangelo e moriranno da martiri. Se
pensiamo che, insieme a Paolo e a pochi altri, sono stati questi
personaggi a costituire la prima chiesa, ci rendiamo conto del
potere trasformante dello Spirito Santo. Anche oggi!

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6 gennaio – Epifania del Signore

L’Epifania
Alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è
colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella
e siamo venuti ad adorarlo»… Gli risposero: «A Betlemme di Giudea,
perché così è scritto per mezzo del profeta…». Udito il re, essi partirono.
Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse
e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella,
provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino
con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro
scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di
non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
 Mt 2,1-12

«Epifania» è una parola di origine greca che significa ma-


nifestazione, rivelazione. In effetti, questa festa celebra la più
grande rivelazione, dopo quella che Gesù è Figlio di Dio, e Dio
stesso: lo è per tutti. Si è lasciato contemplare dai poveri pastori
che si erano recati alla grotta di Betlemme; si è lasciato adorare
da ricchi e sapienti come i Magi; si è manifestato agli ebrei che
lo hanno atteso fin dalla chiamata di Abramo, e ai pagani che
non ne avevano avuta alcuna notizia; e continuerà a manifestarsi
come Dio agli schiavi e ai padroni, ai bianchi e ai neri. Benché
questa grande verità sia stata misteriosamente rivelata da quella
stella che ha guidato i Magi fino alla capanna di Betlemme,
all’inizio della chiesa lo Spirito Santo ha dovuto manifestarla di
nuovo a Pietro, a Paolo e agli altri apostoli. Gesù Cristo è Dio
degli ebrei, degli arabi, degli indiani, dei cinesi e delle tribù
africane, anche se la maggior parte di loro ancora non lo sa o
non ci crede: ma la chiesa è stata istituita proprio per annuncia-
re ovunque questa stupefacente verità. Gli incontri ecumenici
sono un’ottima occasione per portare l’annuncio del vangelo
alle altre religioni; non basta ricercare delle verità comuni, qua-
le base per intendersi, come se si cercasse una super-religio-
ne accettabile da tutti, e come qualcuno ha tentato di fare.
L’unica cosa che dobbiamo aver chiara è che agli ebrei, agli
arabi, agli indiani e ai cinesi, noi dobbiamo annunciare la buo-

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na notizia che Gesù Cristo è morto e risorto anche per loro,


come ha fatto Paolo all’Aeropago di Atene. Non importa se
lo hanno creduto in pochi, meglio pochi convinti che molti
tiepidi. Se i Magi, quando sono arrivati a Betlemme, avessero
incontrato i pastori, sarebbero usciti da quella capanna lodan-
do Dio insieme a loro, perché quando si è incontrato il Signore
non hanno più senso la provenienza, il ceto e il passato: siamo
fratelli in Cristo e basta. È significativo, però, il fatto che per
arrivare a Betlemme, i Magi abbiano ricevuto le informazioni
necessarie a Gerusalemme. Non importa se coloro che li hanno
informati, a Betlemme non ci sono andati – essere informati
non vuol dire credere –, però le informazioni erano a Gerusa-
lemme. Da allora la nuova Gerusalemme è la chiesa, che cu-
stodisce le notizie necessarie per arrivare a Gesù Cristo, perché
egli abita lì.

7 gennaio

L’annuncio è: «Convertitevi!»
Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella
Galilea… oltre il Giordano… Galilea delle genti!… Da allora Gesù
cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli
è vicino»… Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro
sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di
malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la
Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e
dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle
cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme,
dalla Giudea e da oltre il Giordano. Mt 4,12-17.23-25

L’annuncio del vangelo viene trasmesso nella storia come un


testimone che passa da un atleta a un altro, in una staffetta che
si correrà sino alla fine dei tempi. Giovanni è stato arrestato e
ha finito la sua corsa, Gesù raccoglie il testimone e comincia la
propria fino al Calvario; poi toccherà alla chiesa che inizierà la
sua frazione con Pietro, Paolo e gli altri apostoli, e anche loro

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termineranno con il martirio. Questo messaggio, che da due-


mila anni è passato da una persona a un’altra, ora è in mano
della chiesa attuale, della quale anche noi facciamo parte. Pro-
babilmente la nostra corsa non terminerà con un arresto o con
il martirio, come per Giovanni il Battista, ma se correremo una
buona frazione, conosceremo anche noi la persecuzione, che
potrà essere occasione di ulteriore testimonianza, come è stato
per tutti coloro che ci hanno preceduto. Lo stadio nel quale
dovremo correre ce lo indica oggi Gesù, è la Galilea delle genti,
il luogo del nostro quotidiano. Ciò che dovremo annunciare
non è una legge, come accadeva tra gli ebrei dell’Antico Testa-
mento, o delle opinioni, come spesso si tende fare oggi, in que-
sto tempo di relativismo imperante, ma Gesù Cristo, Figlio di
Dio, morto in croce sul Calvario e risorto. È a quest’annuncio
che occorre convertirsi, «perché il regno dei cieli è vicino». È
vicino perché il tempo si è fatto breve, ed è urgente che i popoli
credano al messaggio del vangelo e cambino vita, perché ogni
uomo ha diritto di percorrere quel cammino di liberazione che
Gesù ha percorso per primo. L’annuncio è: «Convertitevi». La
conversione porta un nuovo senso della «giustizia», una nuova
«libertà» dalle cose di questo mondo, la «pace» del cuore di chi
è arrivato alle sorgenti della vita, l’«abbondanza» come frutto
della Provvidenza, la «verità» di chi ha compreso il senso ulti-
mo delle vicende umane e della storia, la «fedeltà» al Signore,
e l’«amore» per gli uomini, chiunque e comunque siano. È un
altro modo di vivere.

8 gennaio
I nostri pani e i nostri pesci
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro,
perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro
molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli
dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che,
andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da

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mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli
dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare
loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a
vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci». E ordinò loro
di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di
cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al
cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché
li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono
a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto
restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila
uomini. Mc 6,34-44

Le feste del Natale sono finite e noi riprendiamo le nostre


attività abituali. I grandi eventi che abbiamo appena festeggia-
to hanno avuto tutti origine dal «sì» di Maria, dalla sua rispo-
sta all’arcangelo Gabriele, con la quale ha sposato, senza porre
condizioni, il progetto di Dio su di lei. Pensando alle richieste
semplici che il Signore fa a noi tutti i giorni e alle piccole rispo-
ste di fedeltà che siamo chiamati a dare, ci rendiamo conto di
vivere in un’altra dimensione spirituale rispetto a Maria. Noi
possiamo soltanto ammirare la grandezza del suo «sì» e chieder-
le che anche su di noi possa posarsi un raggio della sua celeste
disponibilità ad accogliere la volontà del Signore nella nostra
vita.
Ci è più vicina la dimensione di quei discepoli che, oggi,
mettono a disposizione di tutti i loro cinque pani e i due pesci.
Persone che sono semplicemente di buona volontà, come credo
siamo anche noi. Tuttavia, anche in questo caso il Signore ha
operato un grande miracolo partendo dal loro piccolo «sì» di
disponibilità totale: hanno offerto tutto quello che avevano. Il
Signore si serve sempre dei nostri «sì» per fare delle cose grandi.
Prendiamo allora, oggi, un impegno: ogni volta che facciamo
una scelta di vita, piccola o grande che sia, chiediamoci se ab-
biamo lasciato al Signore lo spazio per «esserci», per illuminar-
ci, per agire in noi e attraverso di noi. Se abbiamo l’impressione
che lui non sia minimamente presente per realizzare cose gran-
di nel nostro piccolo quotidiano, forse abbiamo tenuto troppo
stretti i nostri pani e i nostri pesci.

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9 gennaio

La vita è un miracolo
E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo
sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando
li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. Venuta la sera, la barca era
in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. Vedendoli però affaticati nel
remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò
verso di loro, camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. Essi, vedendolo
camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare,
perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito
parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». E salì sulla
barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati,
perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.
 Mc 6,45-52

Alla fine della loro esperienza del mare in burrasca, di Ge-


sù che cammina sulle acque, del vento che si placa improv-
visamente e del mare che torna a essere liscio come un olio,
i discepoli – dice il Vangelo di Marco – sono stupiti. Non
stentiamo a crederlo! L’evangelista, però, conclude questo rac-
conto con un commento personale sul motivo dello stupore:
«perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore
era indurito». È mai possibile – verrebbe da pensare – che la
difficoltà dei discepoli a capire in profondità il miracolo della
moltiplicazione dei pani, abbia un nesso con quella burrasca?
È un argomento che è bene approfondire, per tentare di coglie-
re la dinamica spirituale di quell’evento e, al tempo stesso, di
quei contrattempi che accadono anche a noi nella vita di tutti i
giorni. Estrapolando il pensiero di Marco e facendolo confluire
in un’esortazione per noi, il vangelo oggi sembra dirci: «State
attenti, perché, se non cogliete il senso del miracolo nella vo-
stra vita, vi imbatterete in molti problemi». Andando, allora,
a spigolare tra gli eventi del nostro passato, dobbiamo ricono-
scere che quando la nostra fede è stata all’altezza di cogliere che
la vita è un miracolo continuo, gli eventi negativi, che sono
sempre in agguato, sono stati come esorcizzati e noi abbiamo
camminato tranquilli nel campo minato di questo mondo.

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Quando, invece, siamo stati giù di fede, ogni tanto mette-


vamo un piede su una mina. Abbiamo ricercato, in preghiera,
la logica di questa dinamica spirituale, e lo Spirito ci ha dato
questa spiegazione: «Essere persone di fede e cogliere che la vita
è un miracolo continuo è la conseguenza del vivere alla sequela
del Signore, il quale è passato per le strade di questo mondo
senza che le forze del male avessero alcun potere su di lui, fino
a quando il suo tempo si è compiuto. Anche oggi, chi vive alla
sua sequela gode delle stesse protezioni fino alla fine. Quando il
tempo sarà concluso, le protezioni termineranno e le forze del
male otterranno l’effimera vittoria della morte corporale. Poi,
sarà tutta una gloria».

10 gennaio

Alzarsi e annunciare
Gesù… con la potenza dello Spirito… di sabato, entrò nella sinagoga e
si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò
il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo
mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il
lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la
vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del
Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella
sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire
loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti
gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che
uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».
 Lc 4,14-22

Siamo nella sinagoga di Nazaret, frequentata, il giorno di


sabato in particolare, da anziani, sacerdoti, dottori della legge e
tutta la nobiltà della religione ebraica. Gesù ha da poco ricevu-
to il battesimo da parte di Giovanni Battista, lo Spirito Santo
è disceso su di lui e poi lo ha condotto nel deserto, dove, per
quaranta giorni è stato tentato dal diavolo (Lc 4,1-12). Dopo
aver superato le tentazioni della gloria, della potenza e della

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ricchezza, è pronto per iniziare la sua missione terrena, e oggi


entra in scena nella sinagoga della sua città.
Mentre tutti sono seduti in attesa che venga proclamata la
parola di Dio, Gesù, mosso dallo Spirito Santo, si alza a leggere.
Uno dei presenti, mosso dallo stesso Spirito, gli dà il «rotolo del
profeta Isaia». Gesù lo scorre velocemente con gli occhi e trova
il passo che ufficialmente lo consacra come il Cristo, l’atteso da
sempre: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha
consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri
il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai
ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare
l’anno di grazia del Signore». Poi annuncia personalmente l’in-
vestitura di quel momento: «Oggi si è compiuta questa Scrit-
tura che voi avete ascoltato». Dopo questo incipit sembrerebbe
che la sua missione fosse destinata a essere tutta in discesa, ma
non sarà così. I presenti, infatti, denunciano subito il motivo
principale per cui egli sarà sempre osteggiato: «Non è costui il
figlio di Giuseppe?». Non accettano la sua divinità nella nor-
malità. Tuttavia Gesù, oggi, ci dona una grande testimonianza:
il coraggio apostolico di alzarsi e di parlare nel nome di Dio.
È lo spirito profetico che la chiesa, con gli ultimi pontefici, ha
ritrovato e del quale l’umanità ha assoluto bisogno.
Aiuta anche noi, Signore, ad alzarci per proclamare la nostra
fede e per affermare i valori cristiani.

11 gennaio
Il mistero del peccato
Mentre Gesù si trovava in una città, ecco, un uomo coperto di lebbra lo
vide e gli si gettò dinanzi, pregandolo: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi».
Gesù tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato!». E
immediatamente la lebbra scomparve da lui. Gli ordinò di non dirlo
a nessuno: «Va’ invece a mostrarti al sacerdote e fa’ l’offerta per la tua
purificazione, come Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro». Di lui
si parlava sempre di più, e folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi
guarire dalle loro malattie. Ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare.
 Lc 5,12-16

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Nella campagna toscana del Mugello, si narra che Leonardo


da Vinci impiegasse più di vent’anni a dipingere il famoso Ce­
nacolo, che rappresenta l’ultima cena di Gesù insieme agli apo-
stoli. Sembra che all’inizio abbia impiegato molto tempo nella
ricerca della persona che potesse far da modello per dipingere
Gesù. Poi trovò un giovane, con un bel volto dall’espressione
buona e dallo sguardo limpido, e poté iniziare l’opera. Dipinse
Gesù e i primi undici apostoli, poi si interruppe perché non
riusciva a trovare una persona dall’espressione sufficientemente
torva e sfuggente che potesse fargli da modello per dipinge-
re Giuda. Finalmente trovò anche quella e Leonardo si rimise
all’opera per ultimare il suo meraviglioso Cenacolo. Mentre di-
pingeva Giuda, all’uomo che faceva da modello cominciarono
a scendere delle lacrime sul volto. Leonardo gli chiese: «Perché
piangi?». «Perché sono la stessa persona che venti anni fa ti ha
fatto da modello per Gesù», rispose quell’uomo. «Ma davvero?
E com’è che ti sei ridotto così?». Rispose: «È stato il peccato!».
Forse è solo una delle tante leggende toscane, tanto care alla
nonna Rita, che le narrava sempre ai suoi scolari, tuttavia de-
scrive bene l’effetto del peccato sull’uomo. Il peccato è come
la lebbra: deturpa il volto di una persona al punto da renderla
irriconoscibile. Il vangelo oggi ci pone davanti un lebbroso, che
chiede a Gesù di essere guarito ed egli lo guarisce. È un mira-
colo che si pone a cavaliere tra il periodo di Natale, durante il
quale abbiamo meditato il mistero dell’Incarnazione, e la Qua-
resima, che si concluderà con la morte e risurrezione di Gesù.
Esso ci parla dell’umanità, che ha bisogno di essere liberata
dalla lebbra del peccato. Questa schiavitù, che è connaturata
con l’uomo, rimane un mistero. È un mistero che l’uomo trovi
soddisfazione nel falso concetto di libertà che si nasconde nella
«trasgressione». È un mistero che dei giovani, durante la notte,
trovino soddisfazione a distruggere e deturpare la città, come
sono un mistero i tanti atteggiamenti aggressivi contro se stessi
e gli altri, che riempiono le pagine dei quotidiani. Il peccato,
per quanto Gesù lo abbia vinto sulla croce, rimane nel mondo
ed è un mistero, come lo è la lebbra che, subdola e distruttiva,
deturpa le sembianze umane.

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12 gennaio

La vera umiltà è nobiltà


Dopo queste cose, Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della
Giudea, e là si tratteneva con loro e battezzava. Anche Giovanni battezzava
a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a
farsi battezzare. Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione.
Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo
riguardo alla purificazione rituale. Andarono da Giovanni e gli dissero:
«Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale
hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui».
Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data
dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il
Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. Lo sposo è colui al quale
appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta
di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve
crescere; io, invece, diminuire». Gv 3,22-30

Una volta, presso la nobiltà, era in uso una certa prassi:


quando un giovane di una famiglia nobile si invaghiva di una
ragazza di ceto inferiore e desiderava conoscerla per sposarla,
anziché farsi avanti personalmente, era la famiglia a rendere
manifeste le sue intenzioni, affidando il primo contatto a un
amico, di solito appartenente a un ceto intermedio. Succedeva
talvolta che la ragazza si innamorasse dell’amico che aveva co-
nosciuto, il quale, da uomo d’onore, non doveva approfittarsi
della situazione, ritirandosi in buon ordine per lasciare il cam-
po libero al nobile che egli aveva avuto l’incarico di rappre-
sentare. È ciò che è successo tra Gesù di Nazaret e Giovanni il
Battista. Dio aveva affidato a Giovanni il mandato di far cono-
scere al mondo le sue intenzioni di apparentarsi con l’umanità,
facendola sposare con suo Figlio, Gesù di Nazaret. La sposa,
a sua volta, entrando a far parte della famiglia divina avrebbe
cambiato nome: si sarebbe chiamata chiesa, non più umanità.
Il brano del vangelo di oggi ci dice che Giovanni il Battista
ha eseguito da vero signore il mandato che gli era stato affidato:
«Non sono io il Cristo», ma: «Sono stato mandato avanti a lui».
Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello
sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello

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sposo: «Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io,
invece, diminuire». Questa è umiltà, e lo è al punto di divenire
autentica nobiltà.

I Domenica del Tempo Ordinario


Battesimo del Signore

La vita donata
Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi
battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono
io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma
Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo
ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì
dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio
discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal
cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio
compiacimento». Mt 3,13-17

La scena del battesimo di Gesù è il preambolo che inqua-


dra e anticipa tutta la sua vita terrena. Egli, pur essendo senza
peccato, è in fila con i peccatori per ricevere il battesimo di pu-
rificazione amministrato da Giovanni e, nel contempo, per an-
nunciare la morte dell’uomo vecchio e l’inizio della vita nuova.
«Colui che non aveva conosciuto peccato – dirà Paolo –, Dio
lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo
diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21).
Come alla sua morte «il velo del tempio si squarciò a metà»
(Lc 23,45), ora si squarcia il cielo e scende su di lui lo Spirito:
è la proclamazione della sua missione di Messia. Con il batte-
simo nel Giordano, Gesù consacra la sua vita all’obbedienza a
Dio e all’amore per gli uomini. È il mistero dell’Incarnazione
che si riconsacra nel battesimo. È un evento grandioso. A noi
ricorda ciò che fanno i genitori: mettono al mondo i figli, li
educano e li accompagnano nella vita fino a quando cammina-
no con le proprie gambe; e poi li sostengono con la preghiera
per tutto il resto dei loro giorni. È ciò che fanno i missiona-

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ri che consacrano la loro vita all’annuncio del vangelo, quegli


operatori sociali che sposano fino in fondo la causa dei poveri,
e i medici come il dottor Moscati, che si dedicano con tutte le
loro energie fisiche e spirituali alla cura dei malati. Anche la
nostra vita, qualunque sia il progetto che dobbiamo realizzare,
può essere vissuta come una consacrazione alla volontà di Dio.
Il battesimo di Gesù è l’esaltazione dello spirito di servizio e la
condanna di ogni brama di autoaffermazione, di ogni desiderio
di dominio e di possesso. È il segno della vita donata.

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TEMPO DI QUARESIMA
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Quaresima – Mercoledì delle Ceneri


Testimonianza, non ostentazione
«Quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come
fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente.
In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre
tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra… e
il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non
siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze…
In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando
tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che
è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando
digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti… In verità io vi
dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni,
profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni,
ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto,
ti ricompenserà». Mt 6,2-6.16-18

Oggi Matteo ci esorta a riflettere sulla differenza tra la testi-


monianza e l’ostentazione della fede. Se il vangelo deve essere
annunciato e testimoniato, se ciò che ci viene detto all’orecchio
dobbiamo urlarlo sui tetti, e se la luce di Cristo non deve essere
nascosta sotto il moggio, perché Gesù ci dice che le elemosine
e la preghiera devono rimanere nascoste? Il fatto è che la linea
spartiacque tra la testimonianza e l’ostentazione non passa at-
traverso chi annuncia il vangelo, ma attraverso l’atteggiamento
suscitato nei destinatari del messaggio. L’autentico messaggio
evangelico genera accoglimento in chi lo accetta e volontà di
persecuzione in chi lo respinge; se è ostentazione viene consi-
derato solo opportunismo, desiderio di farsi pubblicità, e non
genera niente.
Perché uno stesso atto può essere recepito in modo tanto
diverso da chi lo riceve? Crediamo che il nodo di questo dilem-
ma si possa sciogliere pensando a un «detto» della nonna Rita:
«La pubblicità se la fa chi ne ha bisogno». In questa afferma-
zione, che rispecchia tutta la toscanità della nonna, fa capolino
la differenza tra testimonianza e ostentazione: essa si chiama
«coerenza». L’elemosina, la preghiera e il digiuno, dei quali il
vangelo di oggi parla, sono una testimonianza solo se trova-
no riscontro nella coerenza della vita vissuta. Poi – per quanto

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riguarda lo stile – la testimonianza è sempre discreta, mentre


l’ostentazione è palesemente vistosa, come Gesù oggi sottoli-
nea con franchezza.

Quaresima – Giovedì dopo le Ceneri


Perdere per vincere
Poi, a tutti, [Gesù] diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole
salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per
causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna
il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?». Lc 9,23-25

Domenica scorsa abbiamo organizzato una festa in un risto-


rante, per festeggiare i settant’anni del babbo. Abbiamo fatto
tutto a sua insaputa, con la complicità della mamma e di Ser-
gio e Renata, loro carissimi amici. Hanno finto di invitarlo a
un pranzetto intimo, solo per loro quattro, e invece, quando
il babbo è entrato nel ristorante, ha trovato un salone pieno di
figli, figlie, nuore, generi, con tutti i nipotini schierati in prima
fila. È rimasto senza parole, felice e commosso al tempo stesso.
Che festa! Che allegria! Tra scherzi, canti, fotografie e lo scor-
razzare dei bambini, abbiamo letto questa poesia umoristica,
scritta da Gianmario, il poeta di famiglia:

Settanta mi dà tanto
Caro babbo, caro nonno, In giornate come questa
,,tu che abiti a Saronno la domenica è una festa,
dove certamente noti anche se alle due ti abbiocchi
non scarseggiano i nipoti. proprio sotto i nostri occhi.
Certo, non ti meravigli Però noi sappiamo che
che, con tutti questi figli, poi resusciti alle tre,
alla fine qui ci sia ora in cui l’adrenalina
sto po’ po’ di dinastia. pompa per la Fiorentina.
La domenica si stenta Così oggi ci si appresta
a restare sotto i trenta. finalmente alla tua festa:

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festeggiamo che in quest’anni del cammin di nostra vita»


non hai fatto troppi danni. sia espressione troppo ardita.
Festeggiamo e ringraziamo Beh non diamoci per vinti:
il buon Dio, perché ti abbiamo casomai saran tre quinti…
sempre in forma e sempre a dieta E se fai due conti al volo
dalle lodi alla compieta. piangi con un occhio solo…
Lo sappiamo che è da un pezzo Che la festa vada avanti:
che tu pensi che «nel mezzo tanti auguri e tanto Chianti!

Al momento del brindisi gli abbiamo chiesto di dire due pa-


role e lui, tanto per cambiare, ha scelto di dire un Padre nostro,
tutti insieme, tenendoci per mano. Il vangelo di oggi ci parla
della vita donata: è un’esortazione che aleggia su tutta la storia
della salvezza. È la vita che rinasce in chi sceglie di perderla per
il Signore: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi
perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

Quaresima – Venerdì dopo le Ceneri


Il digiuno sociale
Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non
digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. È forse
come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare
come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo
vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo
il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel
dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora
la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà:
«Eccomi!». Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il
parlare empio. Is 58,4-9

Oggigiorno la pratica del digiuno di penitenza non è molto


di moda. Il cammino spirituale cristiano è più orientato verso
la preghiera, la meditazione delle Scritture e l’eucaristia. A pa-

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rer nostro, senza trascurare quest’ultime, sarebbe ottima cosa


rinverdire anche la prassi del digiuno, non solo come rinuncia
al cibo, ma come regola di vita. Lo spirito del digiuno però – ci
dice oggi Isaia – non deve essere un ripiegamento su noi stes-
si, come se al mondo esistessimo solo noi, ma – al contrario
– un’apertura sociale verso chi è più bisognoso. Il risparmio,
frutto di scelte fatte con vero spirito di sobrietà, dovrebbe es-
sere donato ai poveri, i quali, alla prassi del digiuno, sono fin
troppo abituati, loro malgrado.
Se prenderemo questa abitudine, che ancora non abbiamo,
il nostro digiuno potrà diventare quel modo di vivere la fede,
di cui Gesù parla quando spiega come avverrà il giudizio finale:
«Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e
mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e
mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete
venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). Oggi Isaia anticipa quello
che sarà il criterio del giudizio finale annunciato da Gesù, e ci
propone il digiuno sociale come regola di vita: «Sciogliere le
catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli
oppressi… dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in
casa i miseri, senza tetto… nel vestire uno che vedi nudo…».
Se accoglieremo l’esortazione di Isaia a vivere il digiuno con
questo stile, scopriremo il mistero della vita e il segreto della
gioia e scopriremo anche che il Signore non si fa battere da
nessuno in generosità. Egli risponderà sempre: «Eccomi!»

Quaresima – Sabato dopo le Ceneri


Gesù è venuto per i peccatori
Dopo questo egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi, seduto al
banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò
e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era
una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a
tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli:
«Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i
malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si
convertano». Lc 5,27-32

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Oggi troviamo Gesù a tavola con i peccatori. Poiché pranza-


re insieme è un evento di grande intimità, di pace e di letizia,
non esiste una scena più chiara di questa per annunciare che, in
Gesù di Nazaret, Dio stesso è venuto a ricostituire una nuova
comunione con l’uomo peccatore. Se si pensa che in Israele il
banchetto profetizzava i tempi escatologici, il giorno in cui Dio
si sarebbe finalmente manifestato all’uomo, ci rendiamo conto
di quale significato simbolico abbia questa festa, che Matteo
prepara nella sua casa in onore di Gesù. Nel momento in cui
egli si siede a tavola con i peccatori si ricompone la famiglia
umana: l’uomo si rende disponibile a rinnegare il proprio pas-
sato di ribelle nei confronti di Dio e torna, come il figliol pro-
digo, alla casa del Padre.
Non tutti hanno una conversione istantanea come Matteo,
che immediatamente ha abbandonato tutto. La maggior parte
dei commensali al banchetto di oggi accoglierà il vangelo con
una certa lentezza, ma l’importante è che tutti siano a tavola
con Gesù. Non è importante quel che siamo quando comincia
il pasto, ma quello che saremo diventati alla fine, quando ci
alzeremo da tavola. O, per usare un’altra metafora: non tutti
entrano nel regno dei cieli volando, alcuni ci arriveranno zop-
picando, ma l’importante è entrarci. Di fronte a questa sce-
na meravigliosa gli scribi e i farisei, come il fratello maggiore
della parabola del figliol prodigo, mormorano e si lamentano
per l’iniziativa di quel banchetto e si guardano bene dal sedersi
a tavola, in compagnia degli altri. Anche loro, come il fratel-
lo del figliol prodigo, sono sempre rimasti nella casa paterna,
ma come servi, senza mai giungere alla vera comprensione del
cuore del Padre, senza coglierne l’amore. Nel vangelo di oggi
Gesù conclude con una frase scandalosa: «Non sono i sani che
hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a
chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano». È l’es-
senza di tutto il vangelo, ed è anche un messaggio per i genitori
di fronte ai figli che sbandano o che si perdono: ogni padre si
manifesta tale nel perdono. L’importante per essere perdonati
è che vi sia la sincerità del cuore: nessuno andrebbe dal medico
a nascondere la propria malattia. Se lo facesse, non potrebbe
guarire.

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I settimana di Quaresima – Domenica


Il peccato e la grazia
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto… Dopo aver digiunato
quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore… gli
disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma
egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola
che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo… lo pose sul punto più
alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto
infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno
sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù
gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio
tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò
tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti
darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose:
«Vattene, Satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui
solo renderai culto”»… Mt 4,1-11

Di fronte a questa pagina del vangelo che ci parla delle ten-


tazioni che ha dovuto vincere Gesù per diventare il Salvatore
del mondo, ci domandiamo che cosa sia il peccato. Il peccato,
andando alla sua radice, è la negazione di Dio come Dio, e del
suo progetto di vita sull’uomo. Peccare vuol dire prendere le
distanze da Dio – cosa che è sempre possibile fare per il dono
della libertà che lui ci ha donato – per vivere la nostra vita
perseguendo progetti diversi dai suoi, i quali divengono auto-
maticamente progetti di Satana. Egli, infatti, non ha progetti
propri, se non quello di distogliere l’uomo dal progetto di Dio
per negarne la sua «signoria». La Bibbia ci racconta che il pri-
mo uomo a prendere le distanze da Dio, per voler essere padro-
ne del proprio destino, è stato Adamo, con il quale il peccato
è entrato nel mondo, seminando odio, guerre, stragi, malattie,
dolore e morte. Da allora Satana ha avuto buon gioco, perché
il peccato è entrato a far parte dell’uomo. Gesù Cristo che,
per tutta la vita, dalle tentazioni nel deserto fino all’esortazione
a scendere dalla croce, ha resistito alle lusinghe del demonio,
ci ha liberati dalla lebbra del peccato, restituendoci la purezza
originaria di figli di Dio.
È, in sintesi, la teologia di san Paolo: «Quindi, come a causa
di un solo uomo [Adamo] il peccato è entrato nel mondo... si è

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riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera


giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione,
che dà vita» (Rm 5,12ss). Per inserirci in questa grandiosa ope-
ra di giustizia, iniziata da Gesù Cristo, noi dobbiamo solo ac-
cettare con gioia la sua signoria e il suo progetto di vita per noi.

I settimana di Quaresima – Lunedì


La fede e le opere
«Allora il re dirà…: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in
eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho
avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da
bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi
avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli
risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo
dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai
ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo
vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti
a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che
avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a
me”». Mt 25,34-46

Oggi il Vangelo di Matteo annuncia che, alla fine dei nostri


giorni, saremo giudicati sulle opere di carità. Nella Lettera ai
Romani, Paolo, invece, scrive: «Noi riteniamo infatti che l’uo-
mo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere
della Legge» (Rm 3,28). Sembrerebbero due metri di giudizio
diversi, ma Giacomo, nella sua Lettera, chiarisce l’argomento
affermando che tra carità e fede non c’è divergenza: «Così an-
che la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta».
(Gc 2,17). Poi Giacomo, quasi con parole di sfida, aggiunge:
«Mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti
mostrerò la mia fede» (Gc 2,18). Confesso che non ho mai
capito il dualismo tra fede e opere che, anche oggi, distingue i
cattolici dalle chiese riformate. San Paolo, infatti, non dice che
l’uomo è giustificato indipendentemente dalle opere di carità,
ma indipendentemente da quelle della legge.

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La differenza è grande. La legge, anche quella ricevuta da


Mosè sul monte Sinai, è legata a un popolo, a una nazione e a
un tempo, mentre le opere di carità hanno un valore eterno e
universale. Ma affidiamo questo argomento ai teologi e rivol-
giamo, invece, lo sguardo verso la famiglia, che è la realtà nella
quale siamo chiamati a crescere insieme. Oggi la famiglia è in
crisi per diversi motivi, alcuni dei quali esulano da questo argo-
mento; ma ve ne sono due per i quali il vangelo di oggi offre la
soluzione. Un primo motivo di crisi è la mancanza di apertura
verso il prossimo. La famiglia, come spesso amiamo ricordare,
funziona come il camino: se non ha un’apertura verso l’esterno,
la fiamma si spenge e fa solo fumo, come l’amore di una coppia
che si chiuda in se stessa e non si apra a chi ha bisogno: di pane
o di amicizia. Un secondo motivo è la mancanza di un progetto
da realizzare insieme, perché l’amore è creativo per sua natura.
È il segreto dei matrimoni che sanno rinnovarsi e arricchirsi
con il passare degli anni, e il vangelo di oggi ci offre una visio-
ne ampia di forme di amore che possono alimentare la vita, la
gioia di vivere e l’unione tra gli sposi.

I settimana di Quaresima – Martedì


Il Padre nostro
«Pregando, non sprecate parole come i pagani… il Padre vostro sa di quali
cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo
regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il
nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li
rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma
liberaci dal male». Mt 6,7-15

Perché preghiamo? A questa domanda abbiamo cercato più


volte di dare risposta, e siamo sempre addivenuti al convinci-
mento che i motivi individuati sono solo due: preghiamo per-
ché ne abbiamo bisogno, e perché Gesù pregava. La giornata
di Gesù, così come è descritta nei vangeli, è costituita da tre in-

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contri: con la folla, con i discepoli e con il Padre, in preghiera.


Tuttavia è chiaramente il momento della preghiera con il Padre
ad alimentare il modo di vivere gli altri due. Anche la nostra
giornata è costituita da tre momenti: la vita sociale, la vita fa-
miliare e la vita personale. L’esperienza ci ha insegnato che se
la vita personale è ricca di preghiera, le altre saranno vissute in
grazia e pienezza, perché la preghiera trasforma le persone, le
situazioni e i rapporti umani. Ciascuno ha il suo modo di pre-
gare; comunque il suggerimento di Gesù nel vangelo di oggi, è
che la preghiera sia costituita da poche parole, quindi da molto
silenzio e molto ascolto.
La preghiera di Gesù, il Padre nostro, è al tempo stesso, per-
sonale e universale: usa sempre la parola «nostro», mai la parola
«mio»; e con quel «nostro», egli prega per tutti e a nome di
tutti, anche di chi non sa pregare. Il Padre nostro è la preghiera
più semplice, più grande, più completa e universale che esista.
Essa è composta da tre parti. La prima riguarda il piano di sal-
vezza universale: sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà. E vi è intimamente presente la richiesta:
«anche attraverso noi!». La seconda riguarda i nostri bisogni: il
pane quotidiano, il bisogno di essere perdonati e quello di per-
donare. E il Signore sa quanto noi abbiamo bisogno di entrare
nella dimensione del perdono! La terza parte è una richiesta di
aiuto per la nostra fragilità: fai che le tentazioni non siano più
forti della nostra capacità di resistervi, e liberaci dal male, che
continuamente si insinua, sottile e velenoso come una vipera,
nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, nelle nostre parole e
nelle nostre azioni. Appena terminata la preghiera del Padre
nostro, noi ci sentiamo più forti, più liberi, in comunione con
il Signore e protetti dalla sua grazia.

I settimana di Quaresima – Mercoledì


Il segno di Giona
Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa
generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le

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sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu
un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per
questa generazione… Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Ninive si
alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla
predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di
Giona». Lc 11,29-32

È scritto nell’Antico Testamento che il profeta Giona, per


essersi rifiutato di pregare per la città di Ninive, fu gettato in
mare. Il Signore dispose che fosse inghiottito da un grosso pe-
sce che, dopo averlo ritenuto nel suo ventre per tre giorni, lo
rigettasse sulla spiaggia. Quell’evento, che appartiene alla leg-
genda più che alla storia, prefigura e profetizza la morte di Ge-
sù, il suo rimanere nel sepolcro per tre giorni e la risurrezione.
È il segno di Giona, al quale si riferisce il vangelo di oggi. Dopo
tanti miracoli compiuti da Gesù nella sua vita pubblica, ci sor-
prende che, nel brano odierno, dica che non darà alcun segno
della sua divinità se non il segno di Giona? Che cosa è succes-
so? Ha forse deciso di non fare più miracoli?
La risposta inattesa di Gesù è dovuta al motivo nascosto nel-
la richiesta: gli vengono chiesti i segni della sua potenza, men-
tre i miracoli nascono sempre dall’amore e dalla compassione,
anche se di fatto manifestano la sua potenza divina. Il segno
dell’amore è infinitamente più grande di quello della potenza:
come se avessero chiesto a Michelangelo i segni della sua abilità
di scalpellino. Gesù ha sempre evitato di dare segni della sua
potenza, ma non avrebbe mai potuto sottrarsi al sentimento
dell’amore, egli che è amore infinito. «Salva te stesso, se tu sei
Figlio di Dio, e scendi dalla croce!» (Mt 27,40) gli grideranno
quando starà morendo. Se in quel momento Gesù fosse sceso
dalla croce, si sarebbe manifestata tutta la sua potenza, ma noi
non gli avremmo creduto, così come non crediamo a nessuno
dei potenti della terra. È perché Gesù è morto in croce, tra
atroci tormenti, ma perdonando tutti, che il centurione roma-
no, che di potenza terrena ne aveva vista tanta, ha potuto escla-
mare: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39).
Quella della croce è stata la testimonianza del Maestro e deve
essere anche quella di ogni testimone della risurrezione. Non è

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credibile chi annuncia il vangelo e se ne va: noi crediamo a chi


è disposto a morire per il vangelo. È stato questo l’annuncio di
Daniele Comboni agli africani: «Io faccio causa comune con
voi, e il momento più bello sarà quando potrò dare la vita per
voi». E così è stato. Oggi l’Africa è afflitta da tanti problemi,
cominciando dalla povertà, ma siamo sicuri che li risolverà tut-
ti, perché c’è stato un uomo che ha offerto la sua vita per l’Afri-
ca. E il Signore non si fa battere da nessuno in generosità.

I settimana di Quaresima – Giovedì


Il Signore ci ascolta sempre
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: hai ascoltato le parole della
mia bocca. Non agli dèi, ma a te voglio cantare, mi prostro verso il tuo
tempio santo. Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome. Nel giorno in cui ti ho
invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza… Se cammino in
mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita; contro la collera dei miei avversari
stendi la tua mano e la tua destra mi salva. Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre: non abbandonare l’opera delle tue
mani. Sal 137

«Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: hai ascoltato le


parole della mia bocca». Meditando questo salmo mi vengono
in mente alcune circostanze in cui il Signore, o Maria, hanno
esaudito la mia preghiera, tuttavia quelle che ricordo sono una
minima parte di tutte le volte in cui questo è avvenuto. Il fat-
terello più lontano appartiene alla mia infanzia: ero veramente
un discolo, tutti i giorni ne combinavo qualcuna, e mio padre,
quando lo veniva a sapere, non mi faceva mancare quella che
egli chiamava una sana «ripassata», perché allora i metodi edu-
cativi erano più sbrigativi di quelli odierni. Una sera, mentre
salivo le scale per tornare a casa, dopo averne fatta una molto
più grave del solito, che a mio padre avevano già riportato, feci
questa preghiera: «Madonnina santa, aiutami tu, perché stasera
mi ricoprono di botte». Suonai il campanello e venne ad aprir-

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mi mio padre: «Lavati le mani – mi disse – e vieni a tavola ché


la minestra si fredda».
Dopo quell’evento che costituisce uno dei miei ricordi più
vivi, anche se lontano, l’elenco delle preghiere che ho rivolto
al Signore e che sono state esaudite, sarebbe veramente troppo
lungo e pur sempre incompleto. Le circostanze sono le più va-
rie: i banchi della scuola, gli esami universitari, il lavoro, le ma-
lattie, i figli con i loro problemi, gli amici in difficoltà, i bilanci
familiari. Tra questi motivi, tutti molto seri, quelli che mi piace
ricordare sono le richieste futili che io chiamo le «caramelle del
Signore»: un parcheggio che sembrava impossibile, un pallo-
ne che non entrava in porta durante una partita di calcio o le
chiavi della macchina che non ricordavo dove le avessi messe.
Tuttavia questi sono eventi del passato, mentre il Signore è il
«vivente», è all’opera anche oggi, così mi aspetto che esaudisca
una preghiera che ho appena fatto, perché «nel giorno in cui
ti ho invocato, mi hai risposto… Signore, il tuo amore è per
sempre: non abbandonare l’opera delle tue mani».

I settimana di Quaresima – Venerdì


Il perdono, vera giustizia
«Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli
scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu
detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto
al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà
essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere
sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della
Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo
fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare,
va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con
lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia,
e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché
non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!». Mt 5,20-26

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C’è una parola che aleggia sul brano di oggi, allo stesso modo
in cui lo Spirito Santo aleggiava sulle acque all’inizio della crea-
zione: essa si chiama «perdono». Alcune parole del vocabolario
brillano come le stelle del cielo. Sono quelle che definiscono la
comunione tra persone: «insieme», «amore», «perdono», «ami-
cizia», «compassione» e poche altre. La parola «amore» sarebbe
la più luminosa, ma per il troppo uso che se n’è fatto e che se ne
fa, si è un po’ consumata. «Perdono», essendo stata usata molto
meno, ha mantenuto la sua brillantezza originaria. Se la nostra
giustizia – ci dice oggi il Signore – non supererà quella degli
scribi e dei farisei, non entreremo nel regno dei cieli. La giusti-
zia che supera quella degli scribi e dei farisei e tutte le giustizie
del mondo è il «perdono».
Gesù oggi ci dice che anche parole come «stupido» e «pazzo»
sono sufficienti per essere trascinati nel tribunale del sinedrio
ed essere poi bruciati nel fuoco della Geenna, perché significa-
no che non abbiamo perdonato. Anche il dono della nostra vi-
ta, presentato all’altare, e l’eucaristia che riceviamo hanno poco
senso, se prima non ci riconciliamo con il nostro fratello. Se
noi perdoneremo sempre, i nostri avversari diventeranno nostri
amici lungo la strada della vita. Noi non sappiamo se, alla fine
dei nostri giorni, saremo giudicati più sulla fede o sulla carità,
ma certamente queste grandi virtù non potrebbero esistere se
non fossero continuamente alimentate dal perdono.

I settimana di Quaresima – Sabato

Perdonare è convertirsi
«Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo
nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che
vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli
fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli
ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete?
Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri

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fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi,
dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Mt 5,43-48
La frase dell’Antico Testamento alla quale Gesù oggi si ri-
ferisce, è scritta nel libro del Levitico, il codice legislativo del
popolo ebreo: «Non ti vendicherai e non serberai rancore con-
tro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te
stesso» (Lv 19,18). Il Levitico è fondamentale per comprendere
il mondo religioso in cui visse Gesù e la potenza liberatrice del
vangelo. Per l’ambiente giudaico, il prossimo da amare e da
perdonare era costituito dal popolo di Israele, gli altri, se non
proprio nemici, erano considerati estranei dai quali tenersi lon-
tani per impedire l’inquinamento della propria mentalità giu-
daica. Questo concetto del prossimo rischia di essere ancora at-
tuale: basta includervi solo la cerchia dei familiari e degli amici
più intimi. Anche oggi si tende a considerare prossimo quelli
della famiglia, del paese, della propria cultura, razza e religione
e gli altri diventano estranei dai quali mantenere le distanze.
Il brano di oggi rompe questi recinti, che continuamente
innalziamo per difendere la nostra tranquillità e ci proietta im-
provvisamente nel cuore del vangelo: «Se amate quelli che vi
amano, quale ricompensa ne avete?… E se date il saluto soltan-
to ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno
così anche i pagani?». Oggi il Signore ci chiede di dare il saluto
e aprire il nostro cuore a tutti, anche a coloro che non cono-
sciamo, con tutti i rischi che ciò comporta: è il rischio insito
nella propagazione del vangelo. Il brano di oggi, però, va oltre
questo atteggiamento e dice di amare i nostri nemici e di pre-
gare per i nostri persecutori. È la scorciatoia della conversione:
convertirsi veramente al vangelo vuol dire arrivare ad amare e
a pregare per i nemici e i persecutori, per essere figli del Padre
nostro celeste, «egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni,
e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti».
Allora, ci diamo un compito: esiste nella vita di ciascuno al-
meno una persona che è difficile da amare e da perdonare. Co-
minciamo a pregare per lei e i nostri sentimenti cambieranno:
dopo un po’ ci accorgeremo di amarla e di averla perdonata.
Sarà la nostra conversione.

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II settimana di Quaresima – Domenica

Alzatevi e non temete


Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo
fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti
a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come
la luce. Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere
qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per
Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con
la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio
mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire
ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.
Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli
occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte,
Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il
Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti». Mt 17,1-9

Pietro, Giacomo e Giovanni sono condotti sul monte Tabor


da Gesù, il quale si trasfigura davanti a loro e il suo volto diven-
ta splendente come il sole. Poi appaiono Mosè ed Elia, e questi
tre pilastri della storia della salvezza si mettono a conversare tra
loro. Pietro, in mezzo a tanta santità, vorrebbe rimanere lì per
sempre e si offre per costruire loro tre tende. A quel punto si
ode la voce del Padre che dal cielo annuncia: «Questi è il Figlio
mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascol-
tatelo». Anche Pietro, Giacomo e Giovanni diventeranno dei
pilastri della storia della salvezza, ma in quel celeste contesto si
sentono inadeguati e fuori luogo, cadono a terra e sono presi
da grande timore. Gesù allora si avvicina loro e dice: «Alzatevi
e non temete». Con queste parole vengono ammessi a quella
santa compagnia e, nel contempo, è profetizzato il loro ruolo
fondamentale nella chiesa futura. Accade spesso di sentirsi ina-
deguati di fronte ad alcuni modelli di santità del nostro tempo,
però non ci dobbiamo scoraggiare e cadere a terra.
Quella frase di Gesù «Alzatevi e non temete» oggi è diretta
a noi, tutte le volte che ci sentiamo schiacciati da un progetto
di vita che riteniamo troppo grande per le nostre forze. Dob-

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biamo alzarci e rimetterci in piedi perché lo Spirito Santo soffia


anche su di noi: basta solo crederci e renderci disponibili.

II settimana di Quaresima – Lunedì


La misericordia di Livia
«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non
giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati;
perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona,
pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la
misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio». Lc 6,36-38
Livia è una signora sui sessant’anni, che tutte le mattine in-
contriamo alla prima messa celebrata al santuario di Saronno.
È uno scricciolo di donna, forse non arriva a quaranta chili.
Essa gestisce una piccola lavanderia, ricavandone da vivere ab-
bastanza modestamente, ma con dignità. È una persona sem-
pre allegra e sorridente, ma questa mattina, quando ci siamo
fermati a ritirare i pantaloni e le camicie che ci aveva preparato,
era un po’ affranta. «Scusatemi – ci ha detto – oggi sono triste,
perché ieri mi hanno scippata. Due giovani mi hanno urtata e
gettata a terra, e poi sono scappati con la borsa, nella quale ave-
vo i soldi, i documenti, le chiavi di casa e quelle del negozio».
Poi, scuotendo la testa, ha aggiunto con tono profondamente
dispiaciuto: «Sono dei poveracci!».
Avrebbe potuto dire di più e di peggio, ma durante quel
piccolo sfogo, che si è concessa, ha detto solo che sono dei «po-
veracci». In quella parola c’era il concentrato di tutti i suoi pen-
sieri e dei suoi sentimenti: «Chissà da dove vengono? Chissà
quale fanciullezza hanno avuto? Perché dei giovani si riducono
a vivere così? Quale futuro possono avere?». In quella parola
«poveracci» c’era tutto questo e molto di più. Oggi, meditando
questo brano del vangelo ci è venuta in mente la signora Livia
che, con quella frase «sono dei poveracci», ci aveva spiegato che
cosa siano la misericordia, il non giudicare e il perdono. Quel
«sono dei poveracci» voleva dire «Signore, perdona loro, perché
non sanno quello che fanno».

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II settimana di Quaresima – Martedì


Il Signore è l’unico Maestro
Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla
cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate
tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi
dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e
li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure
con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente:
allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti
d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle
piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non
fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti
fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno
solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché
uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro
servo». Mt 23,1-12

L’opposizione di Gesù nei confronti degli atteggiamenti de-


gli scribi e dei farisei attraversa tutto il vangelo ed è radicale.
Oggi li affronta sul loro stesso terreno, mostrando alla folla e ai
discepoli la loro incoerenza tra ciò che dicono e ciò che fanno.
Egli denuncia, senza mezzi termini, il loro pubblico comporta-
mento, sempre mosso dall’ambizione e finalizzato alla ricerca
di prestigio e di privilegi, e come tutto questo si consumi in un
continuo susseguirsi di ingiustizie coperte da finta religiosità:
«Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pon-
gono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli
neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere am-
mirati dalla gente… si compiacciono dei posti d’onore nei ban-
chetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze,
come anche di essere chiamati “rabbì” [maestro] dalla gente».
Quello di oggi è l’ultimo insegnamento di Gesù alla folla prima
della passione, ma è rivolto specialmente ai discepoli, tra i quali
cominciava già a serpeggiare un certo arrivismo spirituale. Non
è una condanna dei soli scribi e farisei – che scompariranno ben
presto, con la caduta del tempio di Gerusalemme –, lo è anche
nei confronti dei capi religiosi e politici di ogni tempo, perché
tutte le istituzioni sono soggette alla tentazione della vanagloria,
del prestigio e dei privilegi. È un attacco portato anche alla fa-

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miglia, in particolare a quella di oggi, nella quale troppi genitori


impartiscono ai figli un’educazione che poi smentiscono nei fat-
ti. Stiamo parlando dell’educazione di sentimenti come l’amore,
il rispetto, la fedeltà e il perdono. L’unico modo per non cadere
in questa contraddizione è di metterci tutti, pur con ruoli diver-
si, alla sequela del Signore: «Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”,
perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli».

II settimana di Quaresima – Mercoledì


La dinamica della salvezza
Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli
e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il
Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo
condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso
e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà». Mt 20,17-28

Se un’azienda va male l’imprenditore si sfoga con il dipen-


dente, il quale torna a casa e tratta male la moglie e questa il
figlio, che se la prende con il gatto, e questo, pur non avendo
alcuna colpa, paga per tutti. Se, in un grande palazzo, l’inqui-
lino dell’ultimo piano spazza il balcone e butta la sporcizia sul
balcone di quello del penultimo, e questo la getta su quello di
sotto, alla fine tutto lo sporco arriva nel giardino dell’inquilino
del pianterreno, che deve raccogliere la sporcizia generata da
tutti, perché ognuno possa vivere in un ambiente pulito. C’è
nella vita una regola, che assume la dimensione di un mistero,
per la quale ci deve essere sempre un ultimo che paga per le
colpe di tutti, anche se non ne è il responsabile.
È la strategia che Dio ha scelto per liberare il mondo dal pec-
cato. Ha mandato suo Figlio, Gesù di Nazaret, il giusto, che,
per amore verso l’umanità, si è offerto di scendere all’ultimo
posto della scala sociale e di morire per l’ingiustizia di tutti, per-
ché ogni uomo potesse ritornare giusto o, come dice il vangelo,
«giustificato». Il Padre, però, lo ha risuscitato, perché l’amore
vince anche la morte e perché noi non fossimo schiacciati dal
senso di colpa per aver eliminato dalla terra dei viventi l’unico

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giusto. È la dinamica della liberazione e della redenzione che,


iniziata con Gesù Cristo, continua nella storia della salvezza.
Anche oggi ci sono persone innocenti che, volenti o nolenti,
pagano per l’ingiustizia e per il peccato di altri, perché alla fine
ciascuno possa essere liberato e redento, e possa anche addive-
nire alla comprensione della verità. È stato il caso di Eluana En-
glaro, alla quale, in coma, è stata negata l’alimentazione e fatta
morire perché tutti riscoprissimo il senso della sacralità della vi-
ta. Ma Eluana è certamente risorta a vita nuova, perché quello
della storia della salvezza è un mistero buono, oltre che giusto.

II settimana di Quaresima – Giovedì


Ricchezza e povertà, oggi
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino
finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome
Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con
quello che cadeva dalla tavola del ricco… Un giorno il povero morì e fu
portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.
Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo,
e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi
pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e
a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma
Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi
beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu
invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un
grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né
di lì possono giungere fino a noi”». Lc 16,19-31

Nel 2003 mi trovavo a Nairobi, una città nella quale si esal-


tano tutte le contraddizioni e le tensioni sociali dell’Africa e del
nostro tempo: pochi ricchi e molti poveri, grande aggressività
e insicurezza nelle strade. I ricchi vivono in ville circondate da
mura altissime e protette all’interno da mute di cani delle razze
più aggressive; all’esterno borsaioli e bande di giovani di strada
aggrediscono chi dà l’impressione di portare addosso qualcosa
di valore. Anch’io sono stato aggredito da dei giovani che mi
hanno strappato dal collo il crocifisso d’oro, che mia madre mi

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aveva lasciato prima di morire. «Qui sono tutti in carcere – mi


diceva l’ambasciatore italiano –, i poveri perché vivono nel car-
cere della povertà e i ricchi perché non possono uscire di casa».
Nairobi è la città che più mi ha fatto riflettere sul problema delle
disuguaglianze e delle tensioni sociali del nostro tempo: da una
parte i poveri che non accettano più la loro povertà, dall’altra
i benestanti che difendono i privilegi del loro stato sociale con
ogni mezzo. È un inferno in terra. Quell’abisso dell’aldilà, tra
chi in terra era troppo ricco e chi troppo povero, di cui parla il
vangelo di oggi, si costruisce durante la vita, giorno dopo giorno.
Come è possibile invertire questa tendenza diabolica a rite-
nere solo nostro quello che abbiamo: ricchezza, privilegi, intel-
ligenza, tradizioni culturali? E, d’altro canto, come è possibile
esigere, come fosse nostro, ciò che nostro non è? E non stiamo
parlando solo del necessario. E come è possibile fare l’elemosi-
na a una donna che tiene in braccio un fantoccio, fingendo che
sia un bambino, per farti impietosire? È il peccato del mondo
che l’uomo si trasmette di padre in figlio come il Dna. Siamo
di fronte a un problema planetario e complesso, che potreb-
be essere affrontato solo dai più alti organismi internazionali,
se ne avessero l’autorità e l’autorevolezza necessaria. A livello
personale possiamo solo aprirci a una attenta generosità e alla
preghiera.

II settimana di Quaresima – Venerdì


Il piano di salvezza del Signore
«Ascoltate… c’era un uomo che… piantò una vigna… La diede in
affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo
di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi… a ritirare il raccolto. Ma
i contadini… uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo
lapidarono. Mandò di nuovo altri servi… ma li trattarono allo stesso
modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto
per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui
è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”… lo uccisero.
Quando verrà… il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto

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la vigna ad altri… E Gesù disse loro…: La pietra che i costruttori hanno


scartato è diventata la pietra d’angolo…» Udite queste parabole, i capi dei
sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo.
 Mt 21,33-43.45-46

Nel brano odierno i sommi sacerdoti e i farisei capiscono


immediatamente che Gesù sta parlando di loro e cercano di
escogitare il modo per catturalo e ucciderlo. Ormai Gesù di Na-
zaret è diventato la «pietra scartata» dal suo popolo e, pertanto,
si può manifestare pienamente come Figlio di Dio, l’erede. È
da questo fallimento che nascerà il nuovo tempio, di cui Gesù
crocifisso e risorto diventerà la pietra fondamentale, quella che
reggerà tutta la costruzione della storia della salvezza. Quella di
oggi è una parabola conclusiva, in cui si riassume il passato e
il futuro di Gesù e del popolo di Israele, del quale è ricordata
tutta la storia come una marea montante di cattiveria e di rifiu-
to della salvezza. Ogni intervento di Dio è stato respinto, ma
egli ha risposto con una misericordia e una fedeltà sempre più
grandi, fino a intervenire direttamente, inviando suo Figlio. È
una strategia così folle che poteva essere concepita solo dalla
mente di Dio: i discepoli la comprenderanno solo il mattino
della risurrezione. Riconoscere in Gesù di Nazaret, morto e
risorto, il Figlio di Dio che ci ha salvati, è l’occasione ultima di
salvezza per l’uomo: altre non ce ne saranno. Di fronte a questo
dono estremo noi possiamo solo accettare o rifiutare.
Noi sappiamo come si è sviluppato fino a oggi il piano di
salvezza del Signore: il centro della storia, dopo che Gesù è
stato rifiutato dal suo popolo, si è spostato da Gerusalemme a
Roma e quelli che a quel tempo erano i pagani sono diventati
il nuovo popolo di Dio. Da allora il cristianesimo si è pratica-
mente identificato con l’Occidente, che ora, nella pratica dei
fatti, si sta letteralmente scristianizzando. Nella rivista «Oasis»
il gran mufti di Bosnia, Mustafa Ceric, ha denunciato i sette
peccati capitali dell’Occidente: benessere senza lavoro, educa-
zione senza morale, affari senza etica, piacere senza coscienza,
politica senza principi, scienza senza responsabilità, società sen-
za famiglia, ai quali possiamo aggiungere fede senza sacrificio.
Che cosa succederà in futuro? Noi non lo sappiamo, ma una
cosa è certa: il piano di salvezza del Signore non si ferma.

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II settimana di Quaresima – Sabato


Grandezza e mediocrità
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse
al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”… Pochi
giorni dopo, il figlio più giovane… partì per un paese lontano e là sperperò
il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto… Allora ritornò in sé e disse:
“Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio
di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre…”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse
incontro… Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti
a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse
ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare…
Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa…”.
E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi.
Al ritorno… si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a
supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco… tu non mi hai mai dato
un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo
tuo figlio… per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre:
“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far
festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato”». Lc 15,11-13.17-32

Due personaggi, in questa parabola, rivaleggiano tra loro per


grandezza: il padre e il figliol prodigo. Il primo ci mostra che
cosa sia la misericordia, il secondo che cosa sia il pentimento.
Oltre a loro incontriamo anche la meschinità del figlio maggio-
re, una di quelle brave persone che nella vita non commettono
mai grandi errori. Non per bontà, ma per mediocrità. Spesso
sono queste persone irreprensibili il vero ostacolo all’esercizio
della misericordia e del pentimento, sentimenti fondamentali
nella famiglia, nella chiesa e nella società. Purtroppo, però, la
misericordia e la meschinità non albergano in persone diverse,
ma sono entrambe dentro di noi, perché tutti siamo impastati
di grandezza e mediocrità. Donaci, Signore, la capacità di ri-
flettere su questa nostra realtà. E donaci di crescere nella mise-
ricordia, lasciando il giudizio a colui che distribuisce i talenti e
che conosce tutto di tutti, anche quanti capelli ci sono sul capo
di ciascuno.

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III settimana di Quaresima – Domenica


L’incontro con il Signore
Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa
mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice
Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare
provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu,
che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I
Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se
tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”»…
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma
chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno…». Gli
rispose la donna: «So che deve venire il Messia…». Le dice Gesù: «Sono io,
che parlo con te»… La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città.
 Gv 4,5-28

Per Matteo è stato il banco delle gabelle, per Pietro è stata la


spiaggia del mare di Galilea, per la samaritana è stato il pozzo di
Sichem, per me è stata la saletta dell’orfanotrofio delle suore di
Locri, in Calabria. C’è per tutti un posto dove il Signore passa
e chiama. Era il novembre del 1972, eravamo giovani. Aveva-
mo fatto domanda per un’adozione al tribunale dei minorenni
di Milano e al suo presidente, il dottor D’Orsi, era arrivata la
segnalazione che una bambina di Locri doveva essere adottata
prima di Natale. Tanta fretta era dovuta al fatto che, il Natale
precedente, mentre gli altri bambini erano tornati per qualche
giorno in famiglia, lei era rimasta sola, a piangere, nell’istituto.
Ci hanno telefonato, ce ne hanno parlato e siamo partiti. La
mamma era felice, ma io non lo ero affatto, perché quell’ado-
zione non la condividevo molto. Avevo solo accettato di firma-
re la domanda per accondiscendere ai suoi desideri, ma in cuor
mio avevo sempre sperato che quella pratica da qualche parte si
bloccasse, come spesso accade. Invece non si bloccò, filò tutto
liscio come l’olio, e così partii in treno, insieme alla mamma
che era all’ottavo mese di gravidanza, in attesa di Gianfilippo.
Il mattino dopo mi trovavo già nella saletta dell’istituto, ma
non ero affatto preparato per quell’incontro, come non lo era
la samaritana quando si recò al pozzo. «Se tu conoscessi il dono
di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere”».

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Queste parole nessuno le ha pronunciate in quella saletta,


ma era come se fossero sospese nell’aria. Le suore e la mam-
ma sorridevano felici, Maria Carmela mi sorrideva con occhi
grandissimi e io ero fermo, bloccato come la samaritana con la
brocca in mano. In quegli attimi bui, che mi parvero infiniti,
balenò in me un lampo di verità. In Maria Carmela, avvertii una
presenza diversa, e mentalmente dissi: «Signore, accolgo questa
bambina come accogliessi te». Le presi una mano, la mamma
le prese l’altra, e ce la portammo a casa. Anche oggi, quando
nel ricordo rivivo quel momento, io so che in quella bambina
mi attendeva il Signore. C’eravamo solo io e lei in quella sa-
letta; tutti gli altri erano scomparsi. Quel giorno la mia vita è
cambiata: è iniziata un’altra storia. Oggi, quando nel vangelo
incontro la samaritana, capisco che cosa vuol dire: «Se tu cono-
scessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere”».

III settimana di Quaresima – Lunedì


La fede è sapienza e potenza
Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella
sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al
tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu
una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato
Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in
Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non
Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono
di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin
sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.
Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. Lc 4,24-30

I suoi concittadini di Nazaret non avevano alcun problema


a riconoscere in Gesù una sapienza e una potenza divine, che
si manifestavano nei miracoli. Ciò che non riuscivano a com-
prendere è come Dio si fosse rivelato completamente e com-
piutamente in quel figlio del carpentiere e di Maria, del quale
sapevano tutto fin da quando era bambino. È lo scandalo che i

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cittadini di Nazaret non hanno accettato e che anche noi, no-


nostante la sua morte in croce e risurrezione, rischiamo di non
accettare. Ma è proprio nella sua incarnazione in Gesù che si
manifesta fino in fondo la libertà di Dio. Dio, come annuncia
il vangelo di oggi, è libero di mandare Elia solo a una vedova di
Serepta di Sidone e di risanare, tra tanti lebbrosi, solo Naamàn
il Siro. Anche per noi è difficile accettare che Dio si sia rivelato
completamente in un piccolissimo pezzo della storia umana,
come è quella della famiglia di Nazaret. È molto più facile ve-
derlo nell’armonia dell’universo, nelle meraviglie della natura o
negli eventi della storia, ma Dio non si oggettivizza nella storia
come lo «spirito assoluto di Hegel». Dio, nella sua libertà, ha
pensato bene di vivere (la parola «oggettivarsi» sarebbe sbaglia-
ta) nella persona di Gesù di Nazaret.
Noi, come i suoi concittadini, abbiamo solo un modo di
superare questo scandalo: la fede. Più in alto facciamo il sal-
to nella fede, e più si apriranno per noi scenari di sapienza e
potenzialità inimmaginabili. Se ci apriamo completamente al
vangelo, possiamo capire verità insospettabili e operare mira-
coli inimmaginabili, ma non per opera nostra: sarà sempre il
Signore a operare attraverso di noi. Lodiamo Dio per questa
sua strategia di salvezza dell’uomo, perché se ci avesse liberato
e salvato senza passare attraverso la persona e la storia di Gesù
di Nazaret, ci avrebbe donato solo un’altra ideologia in più. La
fede è un’altra cosa.

III settimana di Quaresima – Martedì


Il perdono
Allora Pietro… gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe
contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù
gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette…
il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi.
Aveva cominciato... quando un tale che gli doveva diecimila talenti… lo
supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”…
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva
cento denari… lo prese per il collo… dicendo: “Restituisci quello che
devi!”… Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo

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malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito… Non dovevi anche tu


aver pietà del tuo compagno?”». Mt 18,21-33

Il corso di studi della facoltà di ingegneria comprende una


trentina di materie, con altrettanti esami da sostenere. Alla fine
si discute una tesi di fronte a una commissione giudicante, su-
perata la quale viene consegnato il certificato di laurea, dove si
attesta che il sig. XY è ingegnere. Tra gli esami da sostenere ce n’è
uno, Scienza delle Costruzioni, che, praticamente, costituisce la
linea spartiacque tra lo studente in ingegneria e l’ingegnere già
abbozzato. La stessa esperienza l’hanno vissuta i primi discepoli
di Gesù e la vivono tutt’oggi coloro che intraprendono un cam-
mino di conversione. La tesi finale, come lo è stata per Pietro
quando il Signore gli ha chiesto per tre volte: «Mi ami?», sarà
sull’amore, ma la linea spartiacque tra il seguace e il discepolo
di Gesù è costituita dall’acquisizione della pratica del perdono.
Il perdono è liberante per chi perdona e per chi è perdonato.
Il perdono è il penultimo gradino nella scala dell’amore: il pri-
mo è la ricerca della giustizia sociale, la solidarietà; il secondo è
la compassione, la disponibilità a partecipare delle vicende liete
e tristi del prossimo; il terzo è il perdono; l’ultimo è la scelta
di donare la vita al Signore e ai fratelli. «Ma perché dobbia-
mo perdonare? È giusto perdonare?» mi sono chiesto qualche
volta, quando il perdono mi risultava molto difficile. A queste
domande, nel corso degli anni, mi sono dato tre risposte. La
prima è che il perdono è un atto di giustizia, poiché tutti, pri-
ma o poi, abbiamo bisogno di essere perdonati; la seconda è
che abbiamo bisogno di sciogliere i nostri nodi del cuore e della
mente per essere persone libere; ma la risposta più vera è che
Gesù, dalla croce, ha perdonato tutti. Un giorno padre Michele
Vassallo, un simpaticissimo sacerdote napoletano, durante la
messa, impostò così l’omelia sul perdono: «Sentite – ci disse –,
prendiamo il Signore alla lettera e impegniamoci a perdonare
settanta volte sette». Poi aggiunse: «Dunque: 70 × 7 fa 490.
Dopo che avremo perdonato 490 volte siamo autorizzati a non
perdonare più. Però – concluse – vi assicuro che, a quel punto,
il perdono sarà divenuto una pratica normale della nostra vita».
Beh, proviamoci anche noi!

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III settimana di Quaresima – Mercoledì


La legge e la libertà
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non
sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico:
finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo
trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà
uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto,
sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li
insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli». Mt 5,17-19

Oggi il Signore annuncia che non è venuto per abolire la


Legge o i Profeti, ma a dar loro compimento. Che cosa ha ap-
portato Gesù nel mondo e nella storia perché la Legge e i Pro-
feti si compissero? La risposta è: la libertà! Tuttavia, la legge
alla quale si riferisce Gesù, non è solo quella giudaica, ma so-
prattutto la legge di Dio. Quando gli uomini parlano di libertà
intendono la capacità di perseguire i propri progetti, senza li-
miti e senza costrizioni. Per il Signore, invece, l’uomo è libero
quando è capace di perseguire il progetto di Dio su di lui.
All’inizio dei tempi era così. Poi, in seguito al peccato che è
entrato nel mondo, la libertà di compiere naturalmente la vo-
lontà di Dio era andata perduta, e l’uomo era diventato schia-
vo del peccato. Intendiamoci, anche oggi l’uomo può essere
schiavo del peccato, ma solo se lo vuole, perché Gesù Cristo
ci ha liberati da quella schiavitù, ridonandoci la libertà origi-
naria di perseguire il nostro progetto di vita. Il modo che Dio
ha scelto per liberarci dall’antica schiavitù del peccato è stato
quello di inviare nel mondo suo Figlio, Gesù di Nazaret, vero
uomo e vero Dio, perché vivesse tra noi da persona libera di
seguire sempre la volontà del Padre: nei pensieri, nei sentimen-
ti, nelle parole e nelle azioni. L’atto supremo della sua libertà è
stato l’obbedienza nell’accettare di morire in croce per ridonare
all’uomo la sua libertà originaria. In quel momento la catena
che teneva imprigionato il mondo si è spezzata, liberando Gesù
stesso dalla morte e dal peccato tutti coloro che lo riconoscono
come il Cristo, il Figlio di Dio. In questo senso Gesù Cristo
ha dato compimento alla «Legge o i Profeti»: ci ha ridonato
la libertà, e con essa la grazia, l’amore e la gioia di compiere la
volontà di Dio, se noi lo riconosciamo come Signore.

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III settimana di Quaresima – Giovedì


Il mondo è una prigione
Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio,
il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni
dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i
demòni»… Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso
in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche Satana
è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno?… Ma se io
scaccio i demòni… con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che
possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa
via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. Chi non è con
me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde. Lc 11,14-23

Il vangelo di oggi parla del mondo, rappresentato come un


palazzo-prigione, alla guardia del quale c’è Satana, l’uomo forte
che tiene schiava l’umanità. Ogni carcerato è guardato a vista
da un demonio, che ha il compito di tenerlo prigioniero all’in-
terno della sua cella, possibilmente senza concedergli nemme-
no l’ora d’aria, come per i delinquenti pericolosi nelle prigioni
costruite dagli uomini. In ogni cella la schiavitù si manifesta in
un suo modo particolare: può essere il mutismo, fisico o spiri-
tuale, come nel caso dell’uomo all’inizio del vangelo di oggi, o
un’altra menomazione. Oppure tutti gli eccessi e le deviazioni
che portano a una forma di follia: la droga, il sesso, il gioco
d’azzardo, l’alcol, l’attaccamento al denaro, la ricerca ossessiva
del potere o della carriera. In queste celle l’uomo vive l’infelici-
tà e la disperazione più assoluta.
Ci sono anche celle meno dure, come quelle della depres-
sione, dell’agitazione, dell’irrequietezza interiore, del bisogno
insopprimibile di fumare, dell’attaccamento alle cose, del di-
sordine e dell’ordine eccessivo, del rispetto ossessivo delle rego-
le, della tristezza o della malinconia, e altre. In queste celle non
c’è una vera e propria disperazione, ma una mancanza di gioia
permanente. In quasi tutte, però, l’uomo è così schiavo che
può essere liberato solo con un intervento potente del Signore
che spalanchi la porta, cacci i demoni e lo porti fuori. Solo in
alcune celle la schiavitù lascia dei momenti di libertà, nei quali

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il carcerato si può mettere in preghiera e chiedere al Signore di


essere liberato, perché egli è l’uomo più forte di quello forte,
del quale parla il vangelo di oggi. Quando queste liberazioni
accadono, le persone si abbandonano a manifestazioni di gio-
ia, di lode, di preghiera, di canto e sono pervase da un grande
desiderio di vivere, come quando, alla fine della seconda guerra
mondiale, arrivarono gli alleati e la gente si riversava per le
strade a cantare e a far festa.

III settimana di Quaresima – Venerdì


Il Signore Dio tuo
Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere
e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo
di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il
Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto
il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta
la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse:
«Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è
altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza
e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti
gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente,
Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il
coraggio di interrogarlo. Mc 12,28-34

Questo scriba è una brava persona, non si avvicina a Gesù


per metterlo alla prova e per coglierlo in fallo. Anzi! Avendo
udito che aveva risposto bene ai sadducei, egli fa a Gesù una
domanda facile, non polemica, quasi per aiutarlo a mettere in
mostra la sua dottrina. Mi ricorda l’ultima domanda di certi
esami universitari – esperienza che, per la verità, ho vissuto
raramente – con la quale il professore, accortosi di trovarsi di
fronte a uno studente ben preparato, vuol dargli l’occasione di
prendere il massimo dei voti. Per un ebreo la domanda su quale
fosse il primo dei comandamenti era veramente facile, e difat-
ti Gesù risponde bene, dimostrando di conoscere il libro del
Deuteronomio: «Il primo è: Ascolta, Israele amerai il Signore

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tuo Dio». Questa risposta sarebbe sufficiente per superare l’esa-


me, ma egli aggiunge che il secondo comandamento, quello
sull’amore per il prossimo, è simile al primo.
In Gesù il primo e il secondo comandamento si saldano
insieme, cosicché l’ascoltare e amare Dio e l’amore per il pros-
simo diventano un comandamento unico. È una identifica-
zione fondamentale anche per la nostra tranquillità, perché ci
permette di dedicare serenamente il tempo sia alla preghiera
che all’attenzione verso gli altri, senza sottrarre niente alle due
forme di amore, che, invece, si alimentano a vicenda. Lo scri-
ba approva la precisazione e, a questo punto, l’esame sarebbe
proprio finito, se non fosse per il fatto che si invertono i ruoli;
Gesù diventa il professore e dice allo scriba: «Non sei lontano
dal regno di Dio». Qual è il piccolo passo che egli deve ancora
compiere per entrare nel Regno? È il riconoscere, nella persona
di Gesù di Nazaret, il Cristo Signore. Ci dispiace per lo scriba,
ma succede anche ai professori, ogni tanto, di trovare qualche
studente che ne sappia più di loro.

III settimana di Quaresima – Sabato


Il fariseo e il pubblicano
Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima
presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono
al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando
in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli
altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano.
Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che
possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno
alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà
di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua
giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia
sarà esaltato». Lc 18,9-14

Questa scena del fariseo e del pubblicano, che sono saliti


al tempio per pregare, ci mostra la differenza tra la preghiera

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pagana e quella cristiana. La prima è egocentrica, la seconda è


teocentrica. Nella preghiera del fariseo, come avveniva e avvie-
ne nelle preghiere pagane, al centro c’è lui stesso: è lui che si
sente giusto, migliore degli altri, che digiuna addirittura due
volte alla settimana, anche se la legge avrebbe richiesto di di-
giunare una volta, ed è in regola col pagamento della decima.
Il suo ringraziamento a Dio è per quello che egli è, non per ciò
che Dio è per lui, e la preghiera la fa in piedi, non ha bisogno
di inginocchiarsi per chiedere perdono. Anzi, attende quasi che
Dio si compiaccia con lui, perché egli è migliore degli altri. Il
pubblicano, invece, che forse a pregare non ci andava nemme-
no tutti i giorni, si inginocchia, mette al centro della preghiera
il Signore e si sente bisognoso della sua misericordia, perché sa
di non essere in regola con la legge e con gli uomini, come lo è
il fariseo. Sarà lui, però, a essere giustificato e a diventare amico
di Dio, non il fariseo.
Questo pubblicano mi ricorda Epifani, un soldato del mio
plotone quando, molti anni fa, svolgevo il servizio di leva come
ufficiale. Alla sera, mentre gli altri andavano in libera uscita a
passeggiare per Vicenza, Epifani rimaneva quasi sempre da solo,
in caserma, perché non era molto spigliato e la sua compagnia
non era gradita ai suoi commilitoni. Una sera gli dissi: «Epifa-
ni, vieni con me, ti invito a una cenetta fuori». Andammo nella
stessa trattoria frequentata dagli altri soldati del plotone e ci
sedemmo in disparte, noi due, a mangiare e a parlare insieme
per tutta la sera. Da quel giorno gli altri soldati, incuriositi dal
fatto che io trovassi interessante la compagnia di Epifani, lo
invitarono sempre in libera uscita con loro. Ma, quando, finito
il servizio di leva, sono andato in congedo, ad accompagnarmi
alla stazione ferroviaria è venuto solo Epifani.

IV settimana di Quaresima – Domenica


La luce della fede
Passando, vide un uomo cieco dalla nascita… [Gesù] fece del fango
con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti

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nella piscina di Sìloe»… Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva…


Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli
rispose: «L’uomo che si chiama Gesù…». Allora dissero di nuovo al cieco:
«Tu, che cosa dici di lui…?». Egli rispose: «È un profeta!»… gli dissero:
«Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello
rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci
vedo… Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla»…
E lo cacciarono fuori. Gesù… quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel
Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?».
Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse:
«Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «… io sono
venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che
vedono, diventino ciechi». Gv 9,1-39

Nel prologo al suo Vangelo, Giovanni, parlando di Gesù,


aveva detto: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumi-
na ogni uomo» (Gv 1,9). Per avere, però, la consapevolezza di
quella luce, occorre poter vedere. Ecco, allora, che Gesù oggi
incontra quest’uomo cieco dalla nascita e lo guarisce, negli oc-
chi e nello spirito. Negli occhi immediatamente, nello spirito
dopo che il cieco ha compiuto il necessario cammino di con-
versione, che in questa vicenda risulta evidente dalle tre rispo-
ste che dà a coloro che lo interrogano su chi lo abbia guarito.
Alla prima domanda risponde: «L’uomo che si chiama Gesù»;
alla seconda risponde: «È un profeta!»; alla terza, dopo che Ge-
sù gli si è rivelato, egli dichiara: «Credo, Signore!».
È stato questo il cammino dei primi discepoli ed è lo stesso,
anche oggi, per chi si pone alla sequela di Gesù di Nazaret.
All’inizio si rimane affascinati dall’«uomo»; poi l’uomo diven-
ta «profeta» per le verità che trasmettono i suoi insegnamenti;
infine viene riconosciuto come il «Signore», il Figlio di Dio,
perché con lui la vita diventa tutto un miracolo. È un cammino
meraviglioso, ma è un privilegio solo per coloro che umilmente
si pongono alla sua sequela, in ricerca di verità e di risposte: «Io
sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono,
vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Gesù è la «luce
vera», come dice Giovanni nel prologo, ma solo per coloro che
si lasciano illuminare.

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IV settimana di Quaresima – Lunedì


La preghiera di intercessione
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato
l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato
a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea,
si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava
per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete».
Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino
muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla
parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre
scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!»… e
credette lui con tutta la sua famiglia. Gv 4,46-53

«Va’, tuo figlio vive» risponde Gesù, e quel padre ritorna


fiducioso verso casa. Questa scena, nella sua semplicità, mostra
tutta la potenza guaritrice di Gesù, che entra in azione tutte
le volte che preghiamo per la guarigione di qualcuno, sia esso
un figlio, un amico o una persona che non ci vuole bene. In
quest’ultimo caso la preghiera è quasi sempre esaudita, perché,
oltre che sulla fede, si appoggia anche sul nostro perdono. Il Si-
gnore ascolta sempre le preghiere che gli rivolgiamo, ma qual-
che volta succede che non vengano esaudite: vuol dire che il
suo progetto è più grande e lungimirante della nostra richiesta.
Dice l’evangelista Giovanni: «E questa è la fiducia che abbiamo
in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà,
egli ci ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in tutto quello che
gli chiediamo, sappiamo di avere già da lui quanto abbiamo
chiesto» (1Gv 5,14-15). La preghiera di intercessione, in altre
parole, ci protegge dalle lusinghe del demonio, che è la causa di
tutti i mali, ma deve essere intimamente aperta ad accettare la
volontà del Signore. È la condizione posta dall’evangelista Gio-
vanni: la richiesta, perché venga esaudita, deve essere «secondo
la sua volontà». A noi sembra, tuttavia, che il suo desiderio di
esaudirci sia così grande che, qualche volta, il Signore abbia
addirittura messo in atto una modifica dei suoi progetti.
La nostra preghiera può ottenere anche questo, perché un
padre, quando può, cambia sempre i suoi programmi per esau-
dire le richieste di un figlio. Qualche volta, però, può succedere

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che il progetto del Signore sia così grande da non avere alterna-
tive: allora lo dobbiamo accettare, e accettandolo ne entriamo
a far parte. L’unica cosa certa è che noi dobbiamo chiedere,
sempre e comunque, perché attraverso le richieste di interces-
sione si attualizza la nostra fede. Dopo aver ricevuto la grazia
richiesta, dobbiamo, però, far seguire un balzo nella fede, come
fa quel padre nel vangelo di oggi, il quale «credette lui con tutta
la sua famiglia». È ciò che il Signore si aspetta da noi.

IV settimana di Quaresima – Martedì


La carità è generosità
Dopo questi fatti, ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a
Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una
piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali
giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava
lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e
sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose
il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando
l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di
me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante
quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.   Gv 5,1-16

Una volta, in treno, c’era la bella abitudine di cedere il posto


alle persone anziane. Oggi è quasi totalmente disattesa. Anzi,
quando il treno si ferma in stazione si vedono i giovani schizzar
su a occupare i pochi posti disponibili, e gli anziani, che ne
avrebbero più bisogno, ma non hanno la loro sveltezza, sono
quasi sempre costretti a farsi il viaggio in piedi. È ciò che succe-
deva da tempo al paralitico della lettura di oggi. Esisteva, infat-
ti, una leggenda a Gerusalemme: quando le acque della piscina
di Siloe, detta in ebraico Betzatà, si increspavano un po’, si rite-
neva che ad agitarle fosse un angelo, e il primo che vi scendesse
dentro si credeva che guarisse dai mali che portava addosso.
Quel paralitico, poveretto, era da molto tempo che tentava
di arrivare per primo, ma, a causa del suo handicap, non c’era

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mai riuscito e nessuno si curava di aiutarlo. Gesù passa, vede,


intuisce il suo dramma e gli dice: «Vuoi guarire?». «Signore –
gli risponde il malato – non ho nessuno che mi immerga nella
piscina quando l’acqua si agita». Gesù, allora, si muove a com-
passione e all’istante lo guarisce. Quella della piscina di Siloe
era solo una credenza, e il primo che vi entrava dentro quando
l’acqua si increspava, probabilmente non guariva, ma quanto
sarebbe stato bello se qualcuno avesse fermato tutti gli altri e
avesse detto: «Immergiamo nella piscina il paralitico». È ciò
che è successo in treno, qualche giorno fa, nel percorso da Sa-
ronno a Milano. Un giovane, che era salito in fretta, stava per
sedersi in un posto libero quando, vista arrivare una signora
anziana, le ha detto: «Prego, signora, si accomodi». Se fosse
stato presente Gesù, avrebbe moltiplicato i posti e ci sarebbe
stato da sedere per tutti e due, ma quell’atto ha moltiplicato la
gioia di tutte le persone presenti.

IV settimana di Quaresima – Mercoledì


Dio opera sempre
Ma Gesù disse loro: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco»…
Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio
da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello
che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il
Figlio, gli manifesta tutto quello che fa… Come il Padre risuscita i morti e
dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti…
ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano
il Padre… In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede
a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna… è passato dalla morte alla
vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i
morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata,
vivranno… Da me, io non posso fare nulla… perché non cerco la mia
volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato». Gv 5,17-30

È errato pensare che Dio, all’inizio dei tempi, abbia creato


l’universo e le sue leggi, e che tutto si muova e si compia au-
tonomamente per quel primo impulso divino. Dio è sempre

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all’opera, in una continua creazione: «Il Padre mio agisce anche


ora e anch’io agisco». Il Figlio e il Padre – dice Gesù – operano
all’unisono: «Il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non
ciò che vede fare dal Padre». Il Padre agisce, cioè, come un im-
prenditore che abbia lasciato l’azienda nelle mani del figlio, del
quale rimane il consulente, ma a operare – dice oggi Gesù – è il
Figlio. «Come il Padre risuscita i morti e dà la vita – aggiunge
poi, riferendosi alle risurrezioni del vangelo e alla sua risurre-
zione futura –, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il
Padre infatti… ha dato ogni giudizio al Figlio». Con quest’ul-
tima affermazione Gesù si riferisce alla risurrezione e alla vita
spirituale che egli dona a chi crede in lui: «chi ascolta la mia
parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna».
Gesù, oggi, dice che Padre e Figlio operano insieme: «Da
me, io non posso fare nulla… perché non cerco la mia volontà,
ma la volontà di colui che mi ha mandato». Dopo la Pente-
coste, con la nascita della chiesa, anche il Figlio non opererà
più direttamente, ma tramite lo Spirito Santo, il quale, a sua
volta, agirà in perfetta comunione con il Padre e con il Figlio.
Con questo passaggio di consegne tra Padre, Figlio e Spirito
Santo, Dio, nelle sue tre persone, ma con un’unica volontà, ha
sempre operato e continua a operare nella storia della salvez-
za del mondo. E questo ci rassicura completamente, perché ci
sentiamo nelle mani di colui che dona la vita e che ci ama di un
amore infinito. Nell’azienda celeste, pur non operando di per-
sona, come sposa dello Spirito Santo ha un ruolo fondamentale
anche Maria, dando consigli al suo sposo e strappando grazie
per noi figli, che ci muoviamo nella sfera terrena.

IV settimana di Quaresima – Giovedì


Le testimonianze su Gesù
«Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non
sarebbe vera… Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha
dato testimonianza alla verità. Io… ho una testimonianza superiore a
quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere… che
io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche

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il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me… Voi scrutate


le Scritture… sono proprio esse che danno testimonianza di me… E come
potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la
gloria che viene dall’unico Dio?… Se infatti credeste a Mosè, credereste
anche a me; perché egli ha scritto di me». Gv 5,31-47

«Se fossi io a testimoniare di me stesso – dice oggi Gesù


–, la mia testimonianza non sarebbe vera». Quindi elenca le
testimonianze che si riferiscono a lui come il Messia, e che i
giudei del suo tempo non colgono: la profezia vicina di Gio-
vanni il Battista e quelle lontane sparse nelle Sacre Scritture,
i miracoli che egli compie in nome del Padre e anche Mosè,
che di lui ha scritto. Le stesse testimonianze si rivolgono a noi,
oggi: i vangeli e il Nuovo Testamento sono una continua te-
stimonianza, come lo è l’Antico con le circa trecento profezie
che si riferiscono a Gesù. Tutta la sua storia era già conosciuta
anche prima che egli venisse ad abitare tra noi. Nessuno inve-
ce aveva preannunciato Budda, Confucio e Maometto. Come
Gesù abbia realizzato le profezie riferite a se stesso ce lo insegna
sant’Agostino: «Dio ha disposto che il Nuovo Testamento fosse
nascosto nell’Antico e che l’Antico Testamento fosse chiaro nel
Nuovo». Per capire questo, però, bisogna fare un atto di fede
sulla persona di Gesù come Messia, poi è lo Spirito Santo a
illuminarci. Paolo, finché aveva letto l’Antico Testamento da
fariseo rimase fariseo, solo dopo la conversione scoprì il nesso
tra le profezie dell’Antico Testamento e Gesù Cristo.
Le verità del vangelo, che dopo duemila anni brillano più
di quando Gesù le ha rivelate, sono una testimonianza come lo
è, in un mondo dove tutto è effimero, la sua profezia: «Il cielo
e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt
24,35). Sembra impossibile non riconoscere in Gesù di Naza-
ret il Messia! Solo lui ci illumina sul mistero della vita, sul pri-
ma della nascita e sul dopo della nostra morte, sul significato
del dolore, dell’amore e del perdono. Tuttavia le testimonianze
più incisive sono quelle dei santi, i quali, avendo creduto in lui,
hanno compiuto le sue stesse opere. È impossibile, però, cre-
dere e rendere gloria al Signore quando si ricerca solo la nostra
gloria: «E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni
dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?».

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IV settimana di Quaresima – Venerdì

L’umanità di Cristo
Dopo questi fatti, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva
più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si
avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. Ma quando
i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente,
ma quasi di nascosto. Intanto alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano:
«Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente,
eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che
egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando
verrà, nessuno saprà di dove sia». Gesù allora, mentre insegnava nel
tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure
non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non
lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato».
Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di
lui, perché non era ancora giunta la sua ora. Gv 7,1-2.10.25-30

Nella Palestina di Gesù si sta celebrando la grande festa delle


Capanne, che è la commemorazione della marcia del popolo
ebreo nel deserto, quando era costretto a montare e smontare
ogni giorno le tende. A questa, che Israele considera la festa
della provvisorietà, Gesù partecipa «quasi di nascosto». Tutta-
via viene notato mentre parla «liberamente» delle cose di Dio,
suscitando un dualismo in coloro che lo ascoltano: da un lato
sono ammirati per ciò che dice, e dall’altro non riescono ad
accettare che la sua sapienza divina dimori in un uomo, in car-
ne e ossa, del quale si sa tutto, anche chi sono i suoi genitori.
Non è facile accettare che la strategia di salvezza di Dio passi
attraverso il nascondimento e l’umiltà di Gesù che rifiuta ogni
ostentazione. Siamo al nocciolo del mistero dell’Incarnazione:
anche oggi si fa fatica a riconoscere la divinità di Gesù di Naza-
ret, apparsa sotto le sembianze di un uomo, però è ciò che ci è
richiesto di fare, perché questo è il modo che Dio ha scelto per
presentarsi all’umanità.
Anche la nostra preghiera quotidiana non può che passare
attraverso la persona di Gesù Cristo, perché egli è la «mani-
festazione» del Padre, la «via» che conduce a lui e lo «Spiri-

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to divino» che egli è venuto a risvegliare nell’uomo. Afferma


santa Teresa d’Avila: «Ho sempre riconosciuto e tuttora vedo
chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere
grandi grazie, se non per le mani della santissima umanità di
Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi». Le verità che
Gesù Cristo ci ha rivelato acquistano luce se passano attraverso
la sua umanità, perché di esse egli è l’incarnazione perfetta.
Solo accettando questo mistero noi possiamo comprendere la
santità della chiesa, pur celata dalle sue povertà, non escluso il
peccato.
Aiutaci, Signore, a riconoscere il mistero della tua incarna-
zione in Gesù di Nazaret.

IV settimana di Quaresima – Sabato


Gesù è il Signore
All’udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero
il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano:
«Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: Dalla stirpe di
Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?». E tra la
gente nacque un dissenso… Alcuni di loro volevano arrestarlo… Risposero
le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro:
«Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei
capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!».
Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù…, disse: «La
nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere
ciò che fa?». Gv 7,40-51

Sono diversi anni che, durante la preghiera del mattino,


ci troviamo a riflettere su chi sia Gesù di Nazaret per noi: è
una domanda che da duemila anni rimbalza nella storia. Se lo
chiedevano i primi discepoli e gli abitanti della Palestina; se l’è
chiesto Pilato quando se l’è trovato di fronte per giudicarlo;
se lo è chiesto il centurione romano sotto la croce; se lo sono
chiesto miliardi di persone che, nel corso dei secoli, sono state
raggiunte dal messaggio del vangelo. La verità è una, ma le ri-

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sposte sono sempre personali: anche noi abbiamo dato risposte


diverse nel corso degli anni. Una volta Maria Letizia, ancora
bambina, rispose che per lei Gesù era il terzo genitore. Oggi,
dopo anni di preghiera e di cammino insieme, dopo aver vi-
sto i miracoli nella nostra vita e dopo aver toccato con mano
l’intervento continuo della Provvidenza, che ci ha raggiunti,
un giorno dopo l’altro, alla domanda «Chi è Gesù di Nazaret
per voi?», la risposta più completa che possiamo dare è: «Gesù
è il Signore!». È l’esclamazione di Pietro sul lago di Tiberiade,
quando, dopo la crocifissione di Gesù, era tornato tristemente
a pescare. «È il Signore!», gridò Pietro appena lo intravide sulla
spiaggia. E con quella esclamazione si riaccesero in lui i ricordi
più belli e la speranza di una vita di nuovo libera e gloriosa.
«Gesù è il Signore!» è stato l’annuncio incessante di padre To-
maso Beck nei suoi ultimi anni di vita.
Un giorno fu invitato, in Australia, a tenere alcuni inse-
gnamenti nei gruppi di preghiera e nelle comunità del Rinno-
vamento Carismatico. Lo accompagnai all’aeroporto e, nelle
settimane successive, di quando in quando telefonavo al mio
amico Brian Smith, responsabile del Rinnovamento in Ocea-
nia, per informarmi sugli echi delle sue catechesi. «Qui – mi
diceva Brian – le persone capiscono che Gesù è il Signore».
Quando padre Tomaso tornò, andai a riceverlo all’aeroporto, e,
durante il tragitto in macchina per riportarlo a casa, gli riferii:
«Sai, padre Tomaso, il nostro amico Brian ha detto che dalle
tue catechesi la gente ha appreso che Gesù è il Signore». «Allora
hanno capito tutto!» rispose padre Tomaso, e sorrise felice.

V settimana di Quaresima – Domenica

La nostra risurrezione
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel
sepolcro… Marta [sua sorella] disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui,
mio fratello non sarebbe morto!…». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà».
Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno».

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Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se
muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi
questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio
di Dio, colui che viene nel mondo»… Maria [l’altra sorella]… si gettò
ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non
sarebbe morto!»… Gesù scoppiò in pianto… Gesù… si recò al sepolcro:
era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete
la pietra!». Gli rispose Marta… «Signore, manda già cattivo odore…».
Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?».
Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti
rendo grazie perché mi hai ascoltato…». Detto questo, gridò a gran voce:
«Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e
il viso avvolto da un sudario. Gv 11,17-44

Prima di entrare nella notte della sua settimana di passio-


ne, Gesù compie questo miracolo della risurrezione di Lazzaro,
simbolo della nostra risurrezione dal peccato. Le parole di Ge-
sù a Marta sono dirette a noi: «Tuo fratello risorgerà… Io sono
la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà;
chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno». Siamo noi
ad aver bisogno di risuscitare dalla morte del peccato, che ogni
giorno ci risucchia nel suo vortice.
Ma Gesù, conoscendo la fragilità della natura umana, ha
istituito la chiesa e i sacramenti: il battesimo che ci fa rinascere
a vita nuova, l’eucaristia che ci dà la forza per camminare tra
le insidie del mondo, la riconciliazione che ci permette di ri-
cominciare sempre di nuovo il nostro cammino di redenzione.
Siamo immersi nel peccato e nel perdono, nella morte e nella
risurrezione, in attesa di risorgere definitivamente nell’eternità.
La morte e la risurrezione di Lazzaro simboleggiano il cammi-
no di questa vicenda terrena, e anche noi alla fine risuscitere-
mo, perché – dice oggi Gesù – «chiunque vive e crede in me,
non morirà in eterno». Questa speranza è radicata nella nostra
fede, se la perdessimo non ci resterebbe nient’altro da perdere.
Ciascun uomo che giunge alla fede è come un neonato fra le
braccia della madre: è bisognoso di tutto e non sa provvedere a
niente di ciò che è veramente importante, ma vive nella gioia
perché sa che ogni sua necessità sarà appagata con amore infi-
nito.

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V settimana di Quaresima – Lunedì


Il perdono guarisce
Gesù… al mattino si recò… nel tempio e tutto il popolo andava da
lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei
gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli
dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.
Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa.
Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova… Ma Gesù si
chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano
nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti
per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per
terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più
anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò
e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose:
«Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in
poi non peccare più». Gv 8,1-11

Oggi Gesù è seduto e sta ammaestrando la folla. Non co-


nosciamo l’argomento del suo insegnamento, ma lo sviluppo
degli eventi ci induce a credere che stia parlando della «mi-
sericordia» e del «perdono». C’è, infatti, in questo brano una
parola cardine, che lega il contenuto del suo discorso alla prova
a cui viene sottoposto dagli scribi e dai farisei. È la parola «allo-
ra»: «Allora gli conducono una donna sorpresa in adulterio»…
«Maestro – gli dicono –, questa donna è stata sorpresa in fla-
grante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di
lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Gesù si trova
nella non facile situazione di eludere la legge, oppure di smen-
tire coi fatti ciò che sta insegnando. Avrebbe potuto prendere
la palla al balzo per annunciare che, con l’avvento dei tempi
messianici, la legge di Mosè ha fatto il suo tempo ed è stata
superata da quella dell’amore, della misericordia e del perdono,
ma avrebbe gettato le perle ai porci senza risolvere la situazio-
ne del momento. Decide, allora, di continuare a parlare della
misericordia e del perdono, dal momento che anche gli scribi
e i farisei sono peccatori e bisognosi di essere perdonati: «Chi
di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».
Allora, uno a uno, se ne vanno tutti e Gesù rimane solo con la

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donna, come era rimasto solo con la samaritana al pozzo e con


il cieco nato alla piscina di Siloe.
Quando Gesù s’incontra da solo, a «tu per tu», con una per-
sona, accadono sempre cose meravigliose, e così succede anche
con l’adultera: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».
La donna, allora, consapevole di essere stata perdonata, coglie
la verità che Gesù è il Signore della misericordia, e risponde:
«Nessuno, Signore». E Gesù le dice: «Neanch’io ti condanno;
va’ e d’ora in poi non peccare più». Non è un suggerimento, è
un ordine come quello della risurrezione di Lazzaro: «Lazzaro,
vieni fuori» (Gv 11,43). È una guarigione. Il perdono è sempre
una guarigione da ogni malattia psichica e spirituale.

V settimana di Quaresima – Martedì


I tempi forti della fede
Di nuovo disse loro: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel
vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i
Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi
non potete venire”?». E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù;
voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che
morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei
vostri peccati». Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio
ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che
mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo».
Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando
avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che
non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato.
Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio
sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in
lui. Gv 8,21-30

Seguire i temi della fede dell’anno liturgico è come correre il


Giro d’Italia. Ci sono le tappe di pianura del Tempo Ordinario,
durante le quali è più facile rimanere alla ruota del pensiero di
Gesù, e ci sono le tappe di montagna dei periodi dell’Avvento
e della Quaresima, nelle quali vengono trattati i grandi temi

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della fede, e in queste è veramente difficile reggere l’andatura


delle sue proposte di vita. Per uscire da queste tappe digni-
tosamente, occorre essere bene allenati, e l’unico allenamen-
to possibile è la preghiera. La tappa odierna è particolarmente
impegnativa, perché Gesù procede con una serie di scatti, a
ognuno dei quali rischiamo di staccarci dalla sua ruota. Con il
primo Gesù ci chiede di credere che in lui coesistono la natura
umana e divina: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù». Se noi
crediamo con la mente e il cuore a questa verità di fede, rima-
niamo attaccati al suo pensiero. Con il secondo scatto Gesù ci
chiede di credere che la nostra fede in lui, come Figlio di Dio,
ci salva dai nostri peccati: «Se infatti non credete che Io Sono,
morirete nei vostri peccati». «Io Sono», infatti, è la definizione
che, nell’Antico Testamento, Dio dà di se stesso.
Qui, per non staccarci, dobbiamo credere che egli è Dio,
che noi siamo peccatori, ma la nostra fede in lui ci salva. Oggi,
seguire Gesù non sarà facile, ma con la preghiera e la medi-
tazione del vangelo, probabilmente ce la faremo. Gesù, però,
sa che lo scatto dei prossimi giorni sarà il più duro per noi, e
quindi comincia a prepararci anticipandone il contenuto: la
sua opera di salvezza passerà attraverso il momento della croce,
quando sarà «innalzato il Figlio dell’uomo». Sarà bene aumen-
tare la nostra preghiera per non perdere la sua ruota quando
mediteremo questo mistero dell’amore infinito di Dio.

V settimana di Quaresima – Mercoledì


La verità ci rende liberi
Gesù allora disse…: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei
discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi
siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno.
Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in
verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora,
lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se
dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero… Io dico quello che
ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato

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dal padre vostro»… Gli risposero: «Noi non siamo nati da prostituzione;
abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre,
mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me
stesso, ma lui mi ha mandato». Gv 8,31-42

Il peccato rende schiavi; conoscere la verità rende liberi, e


il modo per conoscerla è quello di accogliere il messaggio del
vangelo e diventare discepoli di Gesù. È l’annuncio che ci viene
fatto oggi e sul quale dobbiamo meditare. Che il peccato renda
schiavi è dimostrato dal fatto che ogni peccato è ripetitivo, e
lo è al punto che spesso la persona finisce per perdere anche
la propria dignità. Basti pensare a quelle che san Paolo chia-
ma le opere della carne: «fornicazione, impurità, dissolutezza,
idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi,
divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere»
(Gal 5,19-21). E la lista sarebbe molto più lunga: menzogne,
attaccamento al denaro, droga, sopraffazioni e altre. Il regista
nascosto, che fa maturare i frutti della carne, è il demonio. Egli,
utilizzando situazioni, fatti, cose e persone che la vita ci pone
dinanzi, comincia a far breccia in quel peccato, dove le nostre
resistenze sono più deboli. Quel peccato diventa poi ripetitivo,
si allarga ad altri finché viene invasa tutta la persona, come un
esercito nemico che, avendo fatto breccia in un punto, occupa
e devasta tutto il paese.
Oggi il Signore ci annuncia che per essere liberati dalla
schiavitù di questi peccati dobbiamo accogliere la sua «parola»
e diventare suoi «discepoli»: così conosceremo la verità e questa
ci renderà liberi. Ma quale verità conosceremo mettendoci alla
sequela di Gesù? È una verità globale, che ha le caratteristiche
di un cammino, nel senso che è progressiva. È una scuola alla
quale ci iscriviamo e dove, durante il corso, ci vengono spiegate
le verità su Gesù, su noi stessi, sul mondo e sulla storia. È come
passare dalla visione della parte posteriore di un tappeto, che ci
mostra solo un groviglio di fili, a quella della parte anteriore,
dove il disegno è chiaro e ha un senso. Soprattutto, nella parte
anteriore del tappeto si respira un’aria di libertà i cui frutti, come
ci dice san Paolo, sono: amore, gioia, pace, pazienza, benevo-
lenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé. In poche parole:
tutti gli ingredienti per vivere con gioia e trasmetterla agli altri.

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V settimana di Quaresima – Giovedì


La morte è solo apparenza
«In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà
la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei
indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno
osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”»… Rispose
loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io
Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si
nascose e uscì dal tempio. Gv 8,51-59

Riprendiamo l’immagine del tappeto di ieri. Se osservia-


mo il mondo che ci circonda con il solo sguardo della mente
è come se guardassimo il tappeto del soggiorno dal rovescio:
scorgeremmo solo grovigli di fili e colori confusi. Se invece lo
osserviamo con l’occhio della fede è come guardarlo dalla parte
anteriore, dove tutto è chiaro. Come è chiaro anche il fatto che
la morte non esiste: esiste solo la vita. La morte è la più tragi-
ca realtà di questo mondo, ma è un evento solo apparente: è
un’ape, dice san Paolo, che ha perso il suo pungiglione. E il se-
gno tangibile di questa verità è che non fa più paura. Anzi, a un
certo punto, quando siamo consapevoli che il nostro progetto
sia compiuto, finisce per diventare un pensiero caro e familiare.
Nelle Sacre Scritture si trova spesso l’espressione «morì vecchio
e sazio di giorni» e san Francesco la chiama addirittura «sorella
morte». L’uomo di fede invecchia e muore sorridendo, perché
sa che la morte è solo la porta di accesso alla vita eterna, la qua-
le, essendo un po’ stretta, permette di entrare solo con pochi,
essenziali bagagli. I nonni, lo zio Ilo, lo zio fra Ugo e tanti ami-
ci che ci hanno lasciato, sono morti sorridendo, e ora vivono
nella comunione dei santi. Noi ne avvertiamo la presenza ogni
qual volta ricorriamo alle loro preghiere e riconosciamo il loro
aiuto. Si sono spenti sorridendo perché sapevano che, al di là di
quella porta, avrebbero incontrato la misericordia del Signore,
e avrebbero finalmente visto bene il disegno di quel tappeto
che, finché si è in terra e ci si cammina sopra, non si può am-
mirare in tutta la sua bellezza.
Anche noi cominciamo ad avvertire questi sentimenti, fram-
misti al desiderio di spendere bene, e possibilmente insieme, gli

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ultimi spiccioli dei talenti che abbiamo ricevuto. E, nell’attesa,


eleviamo al Signore questa preghiera: «Signore, non chiamarci
in questi nostri giorni, non chiamarci quando non abbiamo
ancora compiuto la nostra opera. Ma quando, un giorno, avre-
mo riempito il nostro tempo e il nostro raccolto sarà maturato,
allora lasciaci venire a te, portando i nostri doni in letizia. Però
chiamaci anche stasera, e ora, se vuoi, con il raccolto non an-
cora ultimato, prima del tempo, quando la nostra opera non è
compiuta e i nostri giorni sembrano ancora verdi. Se tu vuoi».

V settimana di Quaresima – Venerdì


Voi sarete dèi
Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo. Gesù disse loro:
«Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di
esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per
un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai
Dio». Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto:
voi siete dèi?… Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma
se le compio… credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre
è in me, e io nel Padre». Gv 10,31-38

«Homo homini lupus – l’uomo è un lupo nei confronti


dell’uomo»: è la sintesi filosofica di Thomas Hobbes, il padre
del pensiero politico inglese dell’età moderna. «Homo homini
deus – l’uomo è un dio nei confronti dell’uomo»: potrebbe esse-
re la sintesi del pensiero sociale cristiano. L’uomo-lupo vive nel
branco per avere più forza, per cacciare e aggredire. L’uomo-dio
vive in comunione con tutti e si dona agli altri, ma è destinato
a essere un solitario, come è sempre stato Gesù, anche quando
era in mezzo alla folla. «Voi sarete dèi», è scritto nella legge giu-
daica e Gesù oggi lo ricorda a quel branco di lupi che lo attacca
da tutte le parti, per lapidarlo e ucciderlo. Ma che cosa vuol
dire «Voi sarete dèi»? Come fa un uomo a diventare deus, un
dio per l’altro uomo? A questa domanda nella Bibbia c’è una
sola risposta: diventare «dèi» vuol dire diventare «servi». L’attri-
buto di «servo» nella storia della salvezza è il più grande, dopo

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quello di «Figlio di Dio», e lo è a tal punto che in Gesù le due


parole si toccano: egli è il «Servo di Jahvè» e «Figlio di Dio». La
parola «servo» nella storia della salvezza si è evoluta, assumendo
dimensioni sempre più ampie: Abramo è stato un servo solita-
rio al servizio del progetto di salvezza di Dio; Mosè, per farsi
servo dello stesso progetto, lo è diventato del popolo di Israele.
Per Gesù essere servo di Jahvè ha significato andare a morire
in croce per la salvezza di ogni uomo, di ogni tempo e di ogni
razza. Oggi, nella nostra società, la parola «servo» ha una acce-
zione negativa, fa pensare a una persona senza volontà e senza
un proprio progetto di vita; è quasi sinonimo di «schiavo». Per
il cristiano, invece, la parola «servo» ha un significato altissimo:
presuppone il riconoscimento della signoria di Gesù sulla no-
stra vita e l’esistenza di un progetto che il Signore ha predispo-
sto per noi. Progetto che ci permetterà di far fruttare nel modo
migliore i talenti che abbiamo ricevuto. Per il cristiano la paro-
la «servo» è sinonimo di chi realizza il sogno di Dio su di lui.

V settimana di Quaresima – Sabato


Uscire dal bunker
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli
aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei
e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e
i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo
compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in
lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra
nazione»… Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gv 11,45-46.53
Gesù ha appena compiuto il miracolo della risurrezione di
Lazzaro e «molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla
vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui». Allora
i sacerdoti e i farisei, riunito il sinedrio, si chiedono «Che fac-
ciamo?» e decidono di condannarlo, per evitare problemi con il
potere di Roma. Il miracolo è un evento che chiede di prendere
posizione, o si accetta o si rifiuta, non ci sono alternative. Esso
pone una domanda: «Chi è Gesù di Nazaret?». Ci sono solo

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due risposte: o è il Cristo atteso da sempre o è un ciarlatano.


In altre parole: o è tutto, o niente, non ci può essere una via di
mezzo. Non è facile rifiutare il miracolo perché non esistono
motivi logici per farlo, ma non è facile nemmeno accettarlo
perché, allora come oggi, scardina completamente le fonda-
menta della nostra esistenza.
Quasi tutti gli uomini vivono chiusi in una casa ben protetta,
che loro stessi si sono costruiti e le cui pareti si chiamano: be-
nessere, abitudini, relazioni sociali e vita spirituale, che li mette
in contatto con il «trascendente». Ciascuna delle quattro pareti
riflette la personalità di chi l’ha costruita e, essendo l’uomo un
animale pensante, risponde sempre a un certo criterio di logica
umana. Il miracolo invece riflette la personalità di Dio e segue
una logica divina, che non si può comprendere se si rimane pri-
gionieri dentro le nostre quattro pareti. Quando Abramo chie-
se al Signore perché fosse costretto a invecchiare triste e senza
figli, il Signore «lo condusse fuori e gli disse: “Guarda in cielo
e conta le stelle, se riesci a contarle” e soggiunse: “Tale sarà la
tua discendenza”» (Gn 15,5). A Pietro, quando pescava vicino
a riva senza prendere niente, il Signore disse: «Prendi il largo»
(Lc 5,4), che vuol dire esci dalla tua zona sicura. Anche a noi,
quando abbiamo accettato di uscire dalle nostre sicurezze, sono
sempre successe cose stupende e abbiamo visto i miracoli.
Aiutaci, Signore, a non rinchiuderci nel bunker delle nostre
sicurezze materiali e certezze spirituali; aiutaci a uscire all’aper-
to, dove saremo privi di ogni protezione, ma potremo final-
mente incontrarti.

Settimana santa – Domenica delle Palme


Vivere da risorti
Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi
perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento…
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse:
«… uno di voi mi tradirà»… Ora… mentre mangiavano, Gesù prese il
pane, recitò la benedizione, lo spezzò… e… disse: «Prendete, mangiate:

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questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo:
«Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato
per molti per il perdono dei peccati». Mt 26,14-27.66

Inizia la settimana di Passione. Da oggi per Gesù verranno a


mancare tutte le protezioni divine di cui ha goduto durante la
sua vita pubblica. Il progetto di salvezza, iniziato con la chia-
mata di Abramo, è all’apice della sua realizzazione. È una storia
meravigliosa che Dio Padre ha pensato e lo Spirito Santo sug-
gerisce a tutti gli attori che, con ruoli diversi, vi partecipano.
Nella scena di oggi Gesù, il protagonista assoluto, resta solo.
Tutti escono di scena, anche i discepoli, cominciando da Giuda
che lo tradisce, lo abbandonano. Solo il Padre e lo Spirito Santo
gli sono vicini. Perché Gesù, restato solo sul palcoscenico della
storia, offre la sua vita e non fa niente per evitare la morte; anzi,
le va incontro? La risposta è questa e, scrivendola, preghiamo lo
Spirito Santo che ce la faccia comprendere in profondità: Gesù
si è offerto in sacrificio per sconfiggere il peccato del mondo,
per salvare noi peccatori e farci rinascere a vita nuova.
Dio Padre, offrendo suo Figlio, e Gesù, accettando di essere
offerto, hanno operato come il professor Nicola che, più di
trent’anni fa, tolse dalla testolina di Maria Carmela quel terri-
bile tumore che la stava portando alla morte ancora bambina e
le restituì la vita. Quello è stato l’evento più terribile e, al tem-
po stesso, più grande e meraviglioso della nostra storia familia-
re. Da quel momento è iniziata per noi un’altra storia, perché
abbiamo toccato con mano che il Signore, tramite il professore
Nicola, ha operato un miracolo di amore. Quello che è succes-
so allora nella nostra famiglia è l’immagine di ciò che il Signore
ha operato nella settimana di Passione: ha tolto il male, il pec-
cato dal mondo, e ha donato a tutti gli uomini la possibilità di
una vita nuova. Tuttavia, come Maria Carmela si è dovuta, poi,
curare per due lunghi anni perché il male non ricomparisse, co-
sì anche Gesù ha prescritto agli uomini la cura necessaria per-
ché il peccato non ci devasti di nuovo, istituendo i sacramenti
del battesimo, dell’eucaristia e della riconciliazione. Ogni volta
che andiamo a ricevere i sacramenti rendiamo attuale ed effi-
cace il sacrificio del Signore nella nostra vita. È il modo che
Gesù Cristo ci ha lasciato per vivere, insieme a lui, da risorti.

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Settimana Santa – Lunedì


La cena di Betania
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava
Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una
cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora
prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne
cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si
riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota…, che stava
per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento
denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse
dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva
quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché
essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete
sempre con voi, ma non sempre avete me». Gv 12,1-8

È iniziata la settimana di Passione. Il sinedrio ha già deciso


la morte di Gesù, che domani farà il suo ingresso in Gerusa-
lemme. Oggi, però, va a Betania a far visita a questi suoi ami-
ci, che preparano una cena in suo onore. È il segno che è già
entrato nella povertà della croce, non è più lui che dona, ora
riceve. A un certo punto della festa, una donna, che il Vangelo
di Giovanni identifica in Maria, sorella di Lazzaro – mentre
Marco e Matteo nei loro Vangeli non le danno un nome –,
cosparge di profumo i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi ca-
pelli. È il riconoscimento della sua signoria. Questa donna di
Betania ci illumina su quale debba essere il nostro cammino di
fede in questa settimana, durante la quale chiediamo anche noi
la grazia di riconoscere, come Signore, quel Gesù di Nazaret
che sta andando in croce per liberarci dai nostri peccati.
Quel profumo cosparso sui suoi piedi sarà come se lo spar-
gessimo noi. Giuda, che non ha compreso il dono supremo che
il Maestro sta per compiere, ritiene che siano soldi sprecati e
sostiene che sarebbe stato meglio venderlo e dare il ricavato ai
poveri, dei quali, in realtà, gli importa ben poco: atteggiamento
molto diffuso anche ai nostri giorni. È a questo punto che Ge-
sù ci annuncia una verità assoluta, seguita da un’altra solo re-
lativa: «I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre
avete me». La prima parte di questa affermazione è una verità

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completa, perché è vero che i poveri li avremo sempre con noi.


La seconda, è riferita solo alla sua presenza fisica. Alla fine del
Vangelo di Matteo, infatti, egli dirà: «Ed ecco, io sono con voi
tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20), e dove po-
trà mai essere con noi se non nei poveri che ci saranno sempre?
Gesù, mentre va a morire in croce da povero, ci annuncia
che i poveri li avremo sempre con noi, e che anche lui sarà
sempre con noi. Sono tre aspetti di un’unica grande verità, che
questa settimana siamo chiamati a interiorizzare: «Perché ho
avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi
avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi
avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete
venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36).

Settimana Santa – Martedì


La notte della storia
Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità,
in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un
l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che
Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece
cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi
sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il
quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo
diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora, dopo il boccone, Satana
entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto»…
Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte. Quando fu uscito, Gesù
disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato
in lui». Gv 13,21-31

Questo brano del vangelo ci fa vivere la dinamica della con-


danna che sta per abbattersi su Gesù. Il potere religioso del
sinedrio e quello politico di Roma si erano già accordati per
ucciderlo: il primo perché Gesù si proclamava Messia, il se-
condo perché lo riteneva un agitatore sociale. Successivamen-
te Giuda lo ha tradito, ma le mosse per eliminarlo erano già
state accuratamente predisposte. In una dimensione umana la

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sua condanna era già pronta da tempo, ma Gesù di Nazaret è


morto in croce per una strategia celeste, non per quella degli
uomini. Egli doveva morire per liberare e redimere l’umanità
dal peccato e, perché questo potesse accadere, la sua morte do-
veva essere la conseguenza di una sua libera offerta, non della
volontà degli uomini: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce» (1Pt 2,24). Gesù è sempre stato consape-
vole del sacrificio che lo attendeva, ma è durante l’ultima cena
che accetta ufficialmente il ruolo di Salvatore del mondo, senza
porre condizioni: «E, intinto il boccone… lo diede a Giuda…
Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque
Gesù: “Quello che vuoi fare, fallo presto”».
Anche Satana aspettava quel «sì» per la sua vittoria effimera.
Dopo questi fatti Giuda subito uscì. «Ed era notte». È l’inizio
della notte del mondo e della storia, ma è per quella notte in cui
Gesù di Nazaret «è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato
per le nostre iniquità» (Is 53,5) che noi, come aveva profetiz-
zato Isaia «siamo stati guariti». In questa settimana di Passione,
se noi lo accompagneremo spiritualmente fino al Calvario, in
preghiera, sperimenteremo in modo speciale gli effetti di quella
guarigione e risorgeremo, il giorno di Pasqua, a vita nuova. È
un momento di grazia, prepariamoci a viverlo in profondità.

Settimana Santa – Mercoledì


Pasqua, tempo di conversione
Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi
dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E
quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava
l’occasione propizia per consegnarlo. Il primo giorno degli Azzimi, i
discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo
per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in
città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò
la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro
ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Mt 26,14-19

La festa di Pasqua è la celebrazione della nostra liberazio-


ne, del passaggio da una vita da schiavi del peccato a quella

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da uomini liberi. Nell’Antico Testamento festeggiare la Pasqua


voleva dire attualizzare l’evento del passaggio del Mar Rosso,
quando il popolo ebreo è fuggito dalla schiavitù sotto il faraone
d’Egitto, e si è conquistato la libertà, nonostante i problemi
che questa gli ha comportato. Durante i quarant’anni trascorsi
a girovagare nel deserto del Sinai, Israele ha trovato la sua iden-
tità, Dio gli ha donato una legge e, alla fine, la Terra Promessa
per vivere da popolo libero.
La storia del popolo ebreo, per quanto sacra e affascinante,
per noi cristiani è solo una vicenda che profetizza la nostra
liberazione dal peccato e il dono di un’altra legge e di un’altra
terra. Per realizzare la prima storia Dio ha chiamato un uomo,
il suo servo Mosè; per la seconda ha mandato addirittura suo
Figlio, Gesù di Nazaret.
Nel brano del vangelo di oggi Gesù festeggia con i discepoli
il grande progetto di salvezza del mondo: la liberazione dal pec-
cato, la nuova legge dell’amore e la nuova terra del regno dei
cieli. Sono questi i sentimenti di Gesù quando dice ai discepo-
li: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio
tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». Per
la prima liberazione dall’Egitto, Mosè e il popolo ebreo sono
dovuti passare attraverso l’apertura del Mar Rosso; per questa
nuova liberazione Gesù dovrà passare attraverso la sua morte
in croce. Poi ci sarà il trionfo della risurrezione. Gesù andrà
verso la crocifissione da solo, ma anche i discepoli, sebbene in
modo diverso, dovranno vivere l’esperienza della solitudine e
della morte per risorgere come lui. Per noi celebrare la Pasqua
vuol dire attualizzare, oggi, l’evento della morte e della risurre-
zione, passando da una vita vecchia a una nuova. La chiesa ci
chiede di vivere quest’evento con un cammino di conversione
che porti a un cambiamento di vita. Se in passato abbiamo
fatto scelte sbagliate e ci siamo messi in situazioni di peccato, è
il momento di far piazza pulita di tutto questo. Sarà la nostra
Pasqua.

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TRIDUO PASQUALE
E TEMPO DI PASQUA
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Triduo pasquale – Giovedì Santo (Cena del Signore)


La figura del vero capo
Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua
ora… avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine.
Durante la cena… versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi
dei discepoli e ad asciugarli… Venne dunque da Simon Pietro e questi gli
disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio,
tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai
i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte
con me»… Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di
nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il
Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e
il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni
agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come
io ho fatto a voi». Gv 13,1-15

Quando i soldati verranno di notte ad arrestarlo, chiedendo


chi fosse «Gesù, il Nazareno», egli risponderà: «Sono io!». E, in
riferimento ai discepoli, aggiungerà: «Vi ho detto: sono io. Se
dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano» (Gv 18,4-
8). Oggi Simon Pietro dice a Gesù: «Signore, tu lavi i piedi a
me?». E Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo
capirai dopo». Lavare i piedi a tutti, assumersi le responsabilità
e pagare di persona, sono i tre segni distintivi del vero «capo».
Oggi Gesù dà a Pietro l’esempio del primo segno, poi gli darà
gli altri due. Pietro al momento non comprende, ma capirà
dopo, quando dovrà essere il servo di tutti, assumendosi la re-
sponsabilità della chiesa e pagando alla fine con la propria vita,
come Gesù. È questo il modo vero di essere «capo», al quale si
contrappone quello falso, oggi abbastanza diffuso: farsi servire,
scaricare sui collaboratori fatiche e responsabilità, e far pagare,
possibilmente, gli errori agli altri.
È un atteggiamento così diffuso che anche molti genitori, di
fronte alle loro difficoltà matrimoniali, non esitano a spaccare
la famiglia scaricando sui figli le conseguenze dei loro errori. Ci
viene in mente il nostro amico Giuseppe, che, pur avendo la
moglie malata e i figli difficili, sta tenendo insieme la famiglia
valorizzando tutti in una crescita comune, anche la sua.

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Triduo pasquale – Venerdì Santo (Passione del Signore)


La grandezza di Gesù
Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron… Giuda
dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie…
con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva
accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù,
il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il
traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra.
Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno».
Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi
se ne vadano»… Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori,
colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro… Gesù
allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre
mi ha dato, non dovrò berlo?». Allora catturarono Gesù, lo legarono e lo
condussero prima da Anna… suocero di Caifa… Intanto Simon Pietro
seguiva Gesù… E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu
uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i
servi e le guardie avevano acceso un fuoco… e si scaldavano; anche Pietro
stava con loro e si scaldava. Gv 18,1-18

Il vangelo di oggi è animatissimo: Giuda che, scortato da


milizie, viene a catturare Gesù; il cadere a terra dei soldati; le
contraddizioni di Pietro, che prima sguaina la spada per difen-
dere il Maestro e poi, di fronte alla portinaia, nega di essere un
suo discepolo. Giuda appare e scompare subito dalla scena; i
soldati, abituati a vedere persone che fuggono per non essere
catturate, cadono a terra folgorati; Pietro, ubbidiente, rimette
la spada nel fodero, pur senza capire quale calice il suo Maestro
dovesse bere. Al centro di tali eventi risplendono la regalità e la
grandezza di Gesù. Colpisce particolarmente la diversità della
sua risposta ai soldati da quella di Pietro alla portinaia: «“Chi
cercate?”. Gli risposero: “Gesù, il Nazareno”. Disse loro Gesù:
“Sono io!”. E la giovane portinaia disse a Pietro: “Non sei an-
che tu uno dei discepoli di quest’uomo?”. Egli rispose: “Non
lo sono”».
Oggi il Signore ci insegna come deve comportarsi un «capo»
di fronte alle responsabilità: «Vi ho detto: sono io. Se dunque
cercate me, lasciate che questi se ne vadano». Da dove proviene
tanta grandezza? Certamente dalla fede, dalla comunione con

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il Padre, dalla preghiera e dall’educazione ricevuta da Maria e


Giuseppe. Ma il motivo principale riteniamo sia la profonda
consapevolezza di avere una missione da compiere e la chiarez-
za sul modo di portarla a termine. Anche Pietro, che oggi ap-
pare molto piccolo, quando, dopo la Pentecoste, avrà acquisito
la piena consapevolezza della sua missione, diventerà il corag-
gioso testimone del vangelo e, alla fine, accetterà con gioia di
morire in croce. Oltretutto a testa in giù, perché non si sentirà
degno di morire come il Maestro.

Triduo pasquale – Sabato Santo


Il sabato santo
Ieri, venerdì santo, abbiamo fatto memoria della morte in
croce di Gesù Cristo, il vero motivo della quale non è stata
l’ingiusta condanna ricevuta, ma il suo amore per noi, per gli
uomini, per ogni uomo. «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché
sappiate che non trovo in lui colpa alcuna», aveva detto Pilato
alla folla dei giudei, che chiedeva di crocifiggerlo. Egli, nel suo
colloquio con Gesù, aveva cercato un motivo, anche piccolo,
per condannarlo, ma non lo aveva trovato. Non poteva im-
maginare che i motivi veri della sua condanna fossero il suo
infinito amore per noi e il divino progetto di riscattare i nostri
peccati: «Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per
le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su
di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5).
Domani, giorno di Pasqua, celebreremo la risurrezione del
Signore, e sarà festa e gioia grande per tutti. Oggi, però, siamo
chiamati a vivere la sua assenza perché è morto. Oggi noi siamo
orfani e anche la Trinità è mutilata, perché il Figlio non è più
in cielo, ma non è nemmeno in terra, è sotto terra tra i morti.
Oggi la chiesa non celebra l’eucaristia perché questo è il giorno
in cui dobbiamo riflettere su quanto sia vitale la presenza del
Signore per noi e quanto lo siano questi segni del pane e della
sua parola, che egli ci ha lasciato. Oggi è un giorno di silen-
zio, ma non di tristezza; oggi siamo chiamati a interiorizzare

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l’amore infinito che Dio ha per noi, perché non c’è niente di
più grande che dare la vita per amore. Oggi è giorno di grati-
tudine e di stupore di fronte a questa infinita donazione di Dio
agli uomini. Prima della sua morte «noi tutti eravamo sperduti
come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada» (Is 53,6),
ma dopo la risurrezione noi siamo diventati un popolo solo,
costituito dal suo amore. Preghiamo il Signore perché anche
questa nostra famiglia, che ogni giorno si riunisce in preghiera,
sia un segno del suo amore, come una scintilla lo è di un gran-
de fuoco.

Domenica di Pasqua
Pasqua di risurrezione
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro
di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal
sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello
che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro
e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro
discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma
l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.
Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon
Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il
sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto
in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per
primo al sepolcro, e vide e credette. Gv 20,1-8

La risurrezione di Gesù è la pietra angolare sulla quale pog-


gia la chiesa. È la certezza che egli è vivo. È l’evento che dà va-
lore e luce a tutta la vita e all’opera di Gesù: i miracoli, le para-
bole, il discorso della montagna. È il Padre che accredita Gesù
di Nazaret e indica in lui l’inizio di una nuova creazione. Con
la risurrezione anche la nostra morte è vinta. È l’inizio di una
vita e di una speranza nuova per tutti. È l’inizio di una nuova
giustizia sociale: non è più importante essere ricchi o poveri,
sani o malati, giovani o vecchi, belli o brutti. Con la risurrezio-
ne siamo tutti ricchi, sani, giovani e belli. Sono duemila anni

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che l’annuncio della risurrezione di Gesù di Nazaret corre per


il mondo, è un vento di speranza che soffia su tutta la storia
dell’umanità. «Non si è cristiani perché crediamo alla morte di
Gesù – dice sant’Agostino –, a quella tutti ci crediamo, è un
fatto storico. Si è cristiani perché crediamo nella risurrezione».
Credere nella risurrezione vuol dire rinascere dal di dentro, e
questa nuova vita che palpita in noi diventa la testimonianza
vera e attuale che Gesù è risorto. Credere nella risurrezione è
l’avvento della gioia cristiana, ed essere testimoni della risurre-
zione significa essere testimoni della gioia.
Noi, alla luce dei fatti, siamo – è vero! – i testimoni della
risurrezione di Cristo, ma siamo soprattutto i testimoni della
nostra risurrezione. E la gente crederà alla sua risurrezione per-
ché si sarà resa conto della nostra. Credere alla risurrezione dà
senso a questo nostro incontrarsi tutte le mattine a pregare e a
meditare il vangelo. Credere alla risurrezione vuol dire invec-
chiare nella serenità e nella gioia, perché al concetto del tempo
è subentrato quello dell’eternità. Credere alla risurrezione, vuol
dire che i nostri cari, che hanno creduto prima di noi, vivono
e ci attendono nella «comunione dei santi». Non ci importa
niente se il tempo passa, noi siamo destinati all’eternità.

Ottava di Pasqua – Lunedì dell’Angelo


Le apparizioni di Gesù
Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne
corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro
incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono
i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad
annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».
Mentre esse erano in cammino, ecco, alcune guardie giunsero in città e
annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi…,
dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati,
dicendo: «Dite così: “I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato,
mentre noi dormivamo”»… Quelli presero il denaro e fecero secondo le
istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad
oggi. Mt 28,8-15

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Nessun evento, nella storia dell’umanità, ha creato tanto


scompiglio quanto il sepolcro lasciato vuoto da Gesù. Coloro
che negano la sua risurrezione devono scontrarsi contro quel
sepolcro, tant’è che ancora oggi, duemila anni dopo, c’è chi
lo sta ancora cercando, nella speranza di non trovarlo vuoto.
E questo sarebbe anche un modo corretto di accertarsi della
verità, se non fosse mosso dal preconcetto che la risurrezione
di Gesù non possa essere avvenuta. Poi c’è il modo scorretto,
descritto da Matteo nel vangelo di oggi, che è quello di com-
prare i testimoni. A queste, che sono le strategie del mondo
per negare e per combattere l’evento della risurrezione, si con-
trappongono le apparizioni di Gesù alle donne, ai discepoli di
Emmaus, agli apostoli, e infine a Paolo di Tarso.
Nei confronti dei primi potrebbe anche essere sostenuta
l’ipotesi di una certa suggestione, ma l’apparizione a Paolo di
Tarso, mentre sulla via di Damasco andava ad arrestare i primi
cristiani, è difficilmente confutabile. Le apparizioni di Gesù
dopo la risurrezione sono state fondamentali per la fede degli
apostoli, e conseguentemente lo sono per la nostra, così come
lo sono quelle della Madonna nei luoghi dove poi sorgono i
santuari. Sono segni più preziosi per sostenere la fede dei cri-
stiani, chiamati a testimoniare il vangelo, che non a convertire
direttamente i non credenti; con qualche eccezione, come l’ap-
parizione a Paolo di Tarso. Anche nella storia di ogni persona
e di ogni famiglia che crede, avvengono molti segni. Alcuni
tanto grandi da essere visibili a occhio nudo, altri devono essere
osservati con il microscopio della fede, ma, saputi leggere, sono
sempre chiarissimi. Ed è bello alimentare la nostra preghiera ri-
cordando gli uni e gli altri, in un atteggiamento di gratitudine
sempre più profonda verso il Signore.

Ottava di Pasqua – Martedì


Contemplare la risurrezione
Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre
piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli… Ed essi le dissero:

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«Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore
e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù,
in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché
piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli
disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò
a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico:
«Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere,
perché non sono ancora salito al Padre…». Maria di Màgdala andò ad
annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!». Gv 20,11-18

Oggi, soffermandoci a meditare questo brano dell’evangeli-


sta Giovanni, siamo colpiti dal fatto che Maria Maddalena ab-
bia potuto vedere e riconoscere Gesù soltanto dopo aver distol-
to il suo sguardo dal sepolcro. «Anche noi – ci gridò un giorno
dall’altare padre Tomaso Beck – fintantoché continueremo a
contemplare i nostri sepolcri, i nostri errori, i nostri insuccessi,
le nostre malattie, i nostri problemi, non potremo accorgerci
che il Signore è risorto, che è vivo ed è accanto a noi!». Com’è
vero! Quanto tempo perdiamo a contemplare i nostri sepolcri,
incapaci di alzare lo sguardo e di scorgere, al di sopra di essi, le
risurrezioni!
È questo il primo meraviglioso insegnamento del vangelo di
oggi; ma ce n’è anche un secondo. Perché Maria Maddalena,
quando alza lo sguardo, non riconosce subito il Maestro? Evi-
dentemente perché non aveva le stesse sembianze di quando
camminava per le strade della Palestina. La risurrezione non lo
ha reso uguale a come era prima, ma lo ha trasformato renden-
dolo come sarà nel tempo che rimarrà fisicamente ancora nel
mondo. Ogni risurrezione dai nostri sepolcri non è un tornare
indietro, ma un andare avanti trasformandoci, come dice san
Paolo, di gloria in gloria, fino alla gloria finale!
Riconducendo queste riflessioni alla nostra vita quotidiana,
possiamo ricavarne un grande insegnamento: può essere utile
guardare, di quando in quando, anche i nostri sepolcri, per
avere una visione realistica delle vicende umane, ma il nostro
sguardo deve essere abitualmente rivolto in alto, alla ricerca dei
segni della risurrezione e della presenza del Signore nella nostra
vita.

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Ottava di Pasqua – Mercoledì


Gesù vive nella chiesa
Ed ecco… due di loro erano in cammino per un villaggio di nome
Èmmaus, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò
e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed
egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi…?». Si fermarono, col volto
triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a
Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò
loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno… e
lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato
Israele… Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato…,
ma lui non l’hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore… Non
bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua
gloria?». E, cominciando da Mosè…, spiegò loro in tutte le Scritture ciò
che si riferiva a lui… egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi
insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera…». Quando fu a tavola con
loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora
si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì… Ed essi dissero
l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava
con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?»… e fecero ritorno
a Gerusalemme. Lc 24,13-33

Oggi incontriamo questi due discepoli diretti verso Emmaus


che, pur sapendo tutto quello che era accaduto a Gerusalemme,
dalla morte alla risurrezione di Gesù, se ne allontanano tristi,
perché non hanno capito il senso degli avvenimenti. Per quale
motivo, alla fine, dopo che Gesù ha spiegato loro le Scritture,
torneranno pieni di gioia a Gerusalemme? Perché anche oggi ci
sono persone che conoscono le Sacre Scritture, ma non hanno
la fede? Che cosa è successo a questi due discepoli che sono
passati da una semplice conoscenza dei fatti alla comprensione
profonda di tutto quanto era accaduto?
È successo che Gesù stesso ha spiegato loro gli avvenimenti,
e mentre li spiegava ha trasmesso l’emozione della fede. Le pa-
role, da sole, non possono comunicare la fede: occorre far «sen-
tire» con il cuore la verità che esse racchiudono. È la differenza
che passa tra regalare un vangelo e annunciare il vangelo. Gesù,
alla fine della sua spiegazione e di quel cammino insieme, ha

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accolto l’invito a restare un po’ con loro per i quali ha spezzato


il pane, come per gli apostoli nell’ultima cena: in quel mo-
mento lo hanno riconosciuto. All’accoglimento del messaggio
evangelico deve, infatti, seguire l’inserimento nella chiesa e la
partecipazione all’eucaristia. È impossibile conoscere il Signore
e approfondire le Sacre Scritture, se non all’interno della chie-
sa. Anche questa nostra preghiera familiare non è una marcia
di persone nel deserto, è inserita nel cammino della chiesa e ne
segue fedelmente le indicazioni.

Ottava di Pasqua – Giovedì


Testimoni della risurrezione
Gesù in persona stette in mezzo a loro [gli apostoli] e disse: «Pace a
voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma
egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro
cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e
guardate…». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché
per la gioia non credevano ancora… disse: «Avete qui qualche cosa da
mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e
lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi
quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di
me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente
per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà
e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati
a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da
Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». Lc 24,35-48

Il sepolcro lasciato vuoto da Gesù e l’evento della risurre-


zione, accolto con gioia da pochi e con preoccupazione dalle
autorità religiose, ha messo a soqquadro la città di Gerusalem-
me. Gli apostoli vivono nascosti stando tutti insieme, un po’
per condividere la gioia dell’evento, ma soprattutto per farsi
coraggio a vicenda, aspettando che la situazione si normalizzi
per poter nuovamente uscire per le strade. È in questo contesto
che Gesù appare loro rivolgendo un franco «Pace a voi!», segui-
to da un crescendo di frasi e di comportamenti che hanno lo
scopo di stanarli dalla loro paura: «Perché siete turbati… sono
proprio io! Toccatemi… Avete qui qualche cosa da mangia-

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re?». Poi, dopo aver aperto la loro mente all’intelligenza delle


Scritture, nelle quali la sua morte e risurrezione erano già pre-
annunciate, affida agli apostoli il grande mandato di esserne
testimoni, cominciando da Gerusalemme.
«Come? Proprio da Gerusalemme dobbiamo cominciare, con
tutto il subbuglio che c’è in giro? Non si potrebbe iniziare da un
posto più tranquillo?», avranno pensato in cuor loro. Invece, è
proprio a Gerusalemme che avrà inizio la loro testimonianza. Il
fatto mi ricorda il mio amico Matteo che, essendosi convertito
al vangelo da poco, cominciava a parlarne in giro, guardandosi
bene dal farlo in famiglia, che aveva accolto quel cambiamento
di vita come una stravaganza. «No, no – gli disse padre Fausto,
missionario comboniano – comincia a parlarne proprio in fami-
glia». Anche noi, che preghiamo insieme da tempo e abbiamo
anche reso testimonianza della nostra fede, crediamo sia giunto
il momento di esporci di più, come testimoni della risurrezio-
ne. C’è bisogno di rilanciare l’evangelizzazione, specialmente da
parte dei laici e delle famiglie cristiane. Basta cominciare a vive-
re con spontaneità la nostra fede e lo Spirito Santo farà il resto.

Ottava di Pasqua – Venerdì


L’apparizione sul lago
Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli… così: si trovavano insieme
Simon Pietro, Tommaso…, Natanaele… i figli di Zebedeo e altri due
discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero:
«Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma
quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla
riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro:
«Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli
disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La
gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci.
Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon
Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi,
perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con
la barca, trascinando la rete piena di pesci… Appena scesi a terra, videro
un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate
un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca

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e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché


fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare».
 Gv 21,1-12

«Certo che trascorrere tre anni con Gesù è stata un’avven-


tura meravigliosa! Quanti sogni in questi tre anni! Meno male
che almeno lui è risorto! Eh, però, che delusione! Adesso che
tutto è finito che facciamo? Quando c’era lui tutto era facile;
noi da soli che cosa potremo fare? Sarà bene tornare alla vita
di prima. Che tristezza!». Saranno stati più o meno questi i
pensieri di Pietro prima di decidere: «Io torno a pescare». De-
cisione alla quale si son subito uniti anche gli altri: «Veniamo
anche noi con te». Poiché le disgrazie non vengono mai da so-
le, quella notte, oltretutto, non presero niente. È in quella si-
tuazione e di fronte a tali stati d’animo che Gesù si presenta
sulla spiaggia e grida agli apostoli, con il tono di chi sa già la
risposta: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Risposero:
«No!», e forse avranno anche borbottato fra di loro: «Gira al
largo, levati di torno, che di problemi ne abbiamo già troppi».
A quel punto, però, succede il miracolo, lo stesso della prima
pesca miracolosa, quando Pietro abbandonò tutto e seguì il Si-
gnore. Qui si ripete la stessa scena e, come Pietro si rende conto
che quell’uomo sulla spiaggia è il Signore, si butta in mare,
abbandona compagni, barca e pesci, e lo raggiunge. «Lo senti-
vo che non ci avrebbe abbandonato. Adesso inizia una nuova
storia!», avrà pensato Pietro. E sarà così, ma non allo stesso
modo, perché con il Signore si può sempre ricominciare, ma
ogni volta in maniera diversa.

Ottava di Pasqua – Sabato


La missione è qui
Risorto… apparve prima a Maria di Màgdala… Dopo questo,
apparve sotto altro aspetto a due di loro [i discepoli di Emmaus]… Alla
fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò
per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a
quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo
e proclamate il Vangelo a ogni creatura». Mc 16,9-15

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Nell’Antico Testamento, il mandato all’evangelizzazione


non esiste. Il pio ebreo era chiamato a custodire e a far crescere
la propria fede, non a testimoniarla. Con Gesù Cristo inizia il
Nuovo Testamento, e con esso prende forma il messaggio del
vangelo, la trasmissione del quale è affidata alla chiesa. Annun-
ciare il vangelo vuol dire trasmettere la «buona notizia» che
Gesù Cristo è il liberatore dell’uomo dai propri limiti e dalla
schiavitù del peccato, e in quanto «liberatore» diventa il «salva-
tore». Poiché la liberazione e la salvezza si sono realizzate attra-
verso la sua morte in croce e la sua risurrezione, Gesù è anche il
«redentore», cioè colui che salva pagando di persona. Credere a
questa verità e annunciarla vuol dire evangelizzare. Nel brano
di oggi Gesù affida alla prima chiesa, allora costituita solo dagli
apostoli, il mandato di annunciare il vangelo a ogni creatura.
La chiesa è stata istituita per evangelizzare: se non evangelizza
non è chiesa. Oggi questa spinta missionaria si è un po’ affievo-
lita a favore di attività collaterali, a parer nostro giuste solo se
sono funzionali all’annuncio del vangelo.
La prima è l’attivismo sociale a favore dei poveri, cosa otti-
ma e necessaria, ma non può sostituire, come spesso succede,
la testimonianza e l’annuncio del vangelo, perché Gesù non è
stato un operatore sociale, è stato il primo evangelizzatore. Poi
c’è il rispetto per le altre religioni, altra cosa ottima, ma che
non deve essere concepita nel senso di impedire l’evangelizza-
zione. Questo Gesù Cristo non lo ha chiesto. Gesù ha affidato
l’evangelizzazione a tutta la chiesa, che è costituita da sacerdoti,
consacrati, laici e famiglie cristiane. Ognuno è chiamato a esse-
re missionario con la propria specificità: il compito principale
dei sacerdoti è di vegliare sull’ortodossia della testimonianza,
quello della famiglia è di testimoniare l’unione nel nome di
Gesù Cristo e tutti insieme dobbiamo essere testimoni della
risurrezione. In un tempo non molto lontano essere missionari
significava, nell’immaginario collettivo, andare ad annunciare
il vangelo in altri paesi e in altri continenti. Oggi, in clima
di globalizzazione, si può evangelizzare anche rimanendo a ca-
sa nostra. Basta considerare quella parola «andare» non come
un’attività da aggiungere alle molte altre della vita quotidiana,
ma piuttosto un «evangelizzare mentre si va». E anche il modo

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di andare non è necessariamente come quello di san Paolo, che


per evangelizzare ha compiuto più di novemila chilometri a
piedi e altrettanti per mare. Oggi si va in tanti modi, anche
tramite internet.

II settimana di Pasqua – Domenica


La fede, la vita, la chiesa
Otto giorni dopo… Venne Gesù… a porte chiuse… e disse: «Pace a
voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani…
e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore
e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati
quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gv 20,26-31

Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione,


nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e
prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano
insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e
sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni
giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle
case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e
godendo il favore di tutto il popolo. At 2,42-47

Oggi gli Atti degli apostoli ci parlano della prima chiesa,


quella che si è formata a Gerusalemme subito dopo la Pente-
coste. È una realtà costituita da pochi fedeli, che non è durata
molto perché ben presto sono cominciate le persecuzioni e la
diaspora, per cui i primi cristiani si sono dispersi. Ma, benché
piccola e di breve durata, essa rappresenta la chiesa ideale, ed è
in quella prima comunità cristiana che la chiesa di ogni tem-
po e di ogni luogo va continuamente a rispecchiarsi per non
perdere i propri valori originali. Quella piccola realtà ecclesiale
ha tutto: l’ascolto degli insegnamenti degli apostoli, l’unione
fraterna, la preghiera e l’eucaristia insieme, la condivisione dei
beni, i pasti consumati in letizia e semplicità di cuore, la lode,
la gioia e la stima di tutto il popolo. È perfetta. Con il passare
del tempo, la chiesa si è ampliata, è cresciuta di numero, è
diventata un grande fiume che scorre lento e maestoso tra gli
eventi della storia, ma ha un po’ perso la purezza che aveva alla

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sorgente, quando luccicava al sole e giocava con i sassi della


montagna. Tuttavia, quei valori originali, che nella globalità si
sono un po’ perduti, si possono ritrovare nelle comunità locali
e nella famiglia, che costituisce la chiesa domestica. Quando,
alla domenica, le famiglie dei nostri figli sposati si ritrovano,
dopo la messa, a casa nostra, si pranza insieme dopo aver be-
nedetto la mensa e, in un gioioso scorrazzare di nipotini, ci
raccontiamo i fatti della settimana, aiutandoci e consigliandoci
a vicenda, noi riviviamo lo spirito della prima chiesa descritta
negli Atti degli apostoli. È bello riscoprire quanto siano prezio-
se queste abitudini e ci allieta costatare che si sono fortemente
ridotti i fine settimana dispersivi. Oggi sono sempre più nu-
merose le famiglie che scelgono di trascorrere così il giorno
dedicato al Signore.

II settimana di Pasqua – Lunedì


Rinascere nello Spirito
Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei
Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che
sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni
che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità
io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Gli
disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse
entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose
Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito,
non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e
quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto:
dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma
non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
 Gv 3,1-8

Nicodemo era una persona anziana, navigata, apparteneva


al sinedrio in qualità di dottore e molti, in Israele, si rivolgeva-
no a lui come uomo di saggezza e di sapienza. Oggi sarebbe sta-
to definito opinion leader, una persona che orienta il pensiero
degli altri. Era anche umile, attento a cogliere i segni dei tempi
e le novità dello Spirito, tant’è che va a incontrare Gesù, i cui

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segni erano chiaramente quelli di una persona inviata da Dio;


anche se ci va di notte, perché un maestro che va a consultare
un maestro nuovo rischia di perdere molta della sua credibilità.
Dopo che Nicodemo si è presentato e dopo le prime parole
introduttive, Gesù va subito al cuore del discorso: «Se uno non
nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
Anche Nicodemo non perde tempo e pone subito la doman-
da tipica di una persona saggia, che si rende conto di non aver
ancora raggiunto la gioia e lo stupore di chi è arrivato alle sor-
genti della vita e del mistero. La sua domanda è quella di ogni
persona che, dopo aver conosciuto abbastanza della realtà che
lo circonda, sente il bisogno di una seconda nascita, un salto
nella fede per accedere a quella sfera spirituale dove si trovano
le risposte ai perché della vita: «Come può nascere [di nuovo]
un uomo quando è vecchio». Gesù a questa domanda dà una
risposta molto chiara: a Nicodemo dice di guardare avanti alla
nuova realtà del regno dei cieli, mentre a noi dice di guarda-
re indietro, a quando con il nostro battesimo siamo entrati a
far parte del Regno. Ci chiede di rivisitare con spirito nuovo
quanto abbiamo vissuto e capito nel corso degli anni, per ad-
dentrarci nel mistero della gioia, della fede e della speranza, e
per riappropriarci del progetto di vita che ci era stato affidato.
Non sarà difficile, basterà tirare sulla barca i nostri remi troppo
terreni e alzare le vele della fede, abbandonandoci al vento del-
lo Spirito: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non
sai da dove viene né dove va». Fidiamoci di quel vento.

II settimana di Pasqua – Martedì


Meritocrazia e condivisione
La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore
solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli
apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli
davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano
di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti
possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato… ai piedi
degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.
 At 4,32-35

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Anche questa pagina degli Atti degli apostoli è parola di Dio


come le altre e, per quanto la si voglia annacquare con autogiu-
stificazioni di ogni tipo – cambiamenti storici, ambientali ed
epocali –, rimane sempre un bicchiere difficile da mandar giù.
La condivisione dei beni è una proposta di vita poco applicabi-
le a livello diocesano e parrocchiale; forse può essere persegui-
bile in un contesto familiare e comunitario, ma non sempre. Il
primo ostacolo è la nostra mentalità meritocratica, nel senso
che il criterio distributivo della ricchezza tiene molto conto dei
meriti e poco dei bisogni. Anche i cosiddetti ammortizzatori
sociali, che tendono a riequilibrare le disparità economiche tra
persone e categorie, è più facile riscontrarli nella società civile,
dove sono istituzionalizzati, che negli ambienti ecclesiali. Ho
conosciuto solo due parrocchie, una in Florida e l’altra a Mila-
no, la parrocchia Sant’Eustorgio, nelle quali ho visto applicare
il principio della decima. In quelle realtà un certo numero di
fedeli consegnava alla parrocchia una parte dei loro introiti, e
questa provvedeva ai propri bisogni e aiutava le persone e le
famiglie più povere.
Anche nella parrocchia di Castiglioncello assistiamo, duran-
te le nostre vacanze, a una incessante attività a favore dei pove-
ri. Tutti sono coinvolti a reperire fondi, dai giovani agli anziani,
nelle forme più varie e fantasiose, che vanno dagli spettacoli,
alle cene «marinare» e ai ricami più artistici. In effetti, rifletten-
do bene, che senso ha partecipare insieme all’eucaristia, nella
quale il Signore si dona a tutti, per poi tornare a casa propria
nel completo disinteresse dei bisogni degli altri? E che senso ha
ritenere cosa propria i frutti del nostro lavoro, dal momento
che questi sono il risultato di doni come l’intelligenza, la salute,
la volontà, l’ereditarietà e la famiglia nella quale siamo nati, che
non ci siamo dati da noi, ma sono talenti ricevuti alla nascita?
Sono argomenti sui quali dobbiamo molto riflettere, e forse
alla fine scopriremo, come sembra che sia successo a Gabriele
D’Annunzio, il vero senso della proprietà. Si racconta, infatti,
che dopo una vita piena di contraddizioni e di eccessi, Gabriele
D’Annunzio, quando stava per morire, abbia confidato a chi
gli era vicino: «Mi rendo conto, in questo momento, di posse-
dere solo quello che ho donato».

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II settimana di Pasqua – Mercoledì


La normalità del miracolo
Si levò allora il sommo sacerdote con tutti quelli della sua parte…,
pieni di gelosia… li gettarono nella prigione pubblica. Ma, durante la
notte, un angelo del Signore aprì le porte del carcere, li condusse fuori
e disse: «Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole
di vita»… Quando arrivò il sommo sacerdote… mandarono quindi a
prelevare gli apostoli nella prigione. Ma gli inservienti… tornarono a
riferire: «Abbiamo trovato la prigione scrupolosamente sbarrata e le
guardie che stavano davanti alle porte, ma, quando abbiamo aperto, non
vi abbiamo trovato nessuno»… In quel momento arrivò un tale a riferire
loro: «Ecco, gli uomini che avete messo in carcere si trovano nel tempio a
insegnare al popolo». At 5,17-25

Verrebbe da pensare che questa liberazione dei primi cristia-


ni dal carcere da parte dell’angelo non sia accaduta realmente,
ma che sia un modo molto romanzato di raccontare le vicen-
de dei primi annunziatori del vangelo. Sarebbe un criterio di
valutazione troppo umano e certamente sbagliato. Gli eventi
di chi ha scelto di giocarsi la vita per il Signore, come hanno
fatto i primi apostoli, sfuggono alla logica umana e la loro vita
diventa tutto un miracolo. È stata così la vita di Gesù, al quale
i suoi avversari non hanno potuto far nulla fino a quando il
suo tempo non fosse compiuto; poi, quando è giunta la sua
ora, le protezioni del Padre sono finite, e tutti hanno potuto
fargli di tutto. Papa Giovanni Paolo II, quando gli chiedevano
di dare le dimissioni da pontefice perché era anziano e malato,
rispondeva che non c’erano problemi, quando il suo mandato
fosse finito, il Signore lo avrebbe chiamato tranquillamente a
sé. Fino all’ultimo istante, però, le vite dei santi sono sempre
straordinarie, non perché essi siano persone naturalmente ec-
cezionali: hanno solo risposto in modo eccezionale al progetto
di Dio su di loro.
Proviamo a pensare come sarebbe il mondo se ciascuno re-
alizzasse completamente il progetto divino su di lui. La storia
sarebbe un intrecciarsi di gesti d’amore, tutto al contrario di
come è attualmente, più o meno come se scomparisse la forza
di gravità. Il miracolo diventerebbe la normalità, e questa sa-
rebbe un susseguirsi di generosità, di condivisione, di sorrisi

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scambiati e di eventi straordinari. Tutto questo la chiesa lo sa,


tant’è che, quando discute le cause di beatificazione, verifica se
intorno alle persone in odore di santità siano avvenuti dei mi-
racoli. Tale criterio, calato nella piccola dimensione delle nostre
vite, potrebbe essere anche la cartina di tornasole per verificare
se noi stiamo realizzando il progetto di Dio. Se nella nostra vita
accadono cose eccezionali, se la Provvidenza divina ci raggiunge
tutti i giorni, possiamo stare tranquilli: siamo sulla strada giusta.

II settimana di Pasqua – Giovedì


Chiedere lo Spirito Santo
Il sommo sacerdote li interrogò dicendo: «Non vi avevamo espressamente
proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme
del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di
quest’uomo». Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire
a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù,
che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla
sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono
dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo».
 At 5,27-32

La creazione dell’universo e il piano di salvezza dell’uomo


sono i capolavori di Dio. L’uno e l’altro non sono stati com-
piuti una volta per tutte, ma si dipanano nella storia fino alla
fine dei tempi, che nessuno sa in che cosa consisterà, ma per
fede sappiamo che avverrà. Nel piano di salvezza, con ruoli
diversi, è all’opera, dall’inizio alla fine, tutta la Santissima Tri-
nità. Nell’Antico Testamento l’attore principale è il Padre; dalla
capanna di Betlemme alla risurrezione di Gesù di Nazaret è il
Figlio; nel tempo della chiesa l’attore principale è lo Spirito
Santo. Per rendersi conto del ruolo e della potenza dello Spirito
Santo, basti pensare alla trasformazione di Pietro dopo la Pen-
tecoste, quando è passato dall’uomo pauroso, che aveva rinne-
gato Gesù per tre volte, al coraggioso annunciatore del vangelo
del brano di oggi. Anche noi, nel battesimo, abbiamo ricevuto
lo Spirito Santo, ma nei momenti in cui veniamo chiamati a
rendere testimonianza della nostra fede, non abbiamo lo stes-

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so coraggio apostolico e la stessa franchezza di Pietro. Perché?


Certamente il motivo principale sta nello stato di grazia che
Pietro, all’inizio della chiesa, ha ricevuto in modo sovrabbon-
dante, ma dipende anche dal fatto che noi abbiamo ricevuto il
dono dello Spirito Santo quando eravamo piccoli e avevamo
solo potenzialmente la fede. Anche in occasione del sacramen-
to della cresima, forse, non abbiamo fatto un grande cammino
spirituale. Dobbiamo ancora sciogliere completamente il pac-
chetto dei doni ricevuti e lasciare che lo Spirito Santo si effonda
in noi come si è effuso in Pietro. Il solo modo che abbiamo
per collaborare a questo processo di effusione è costituito dalla
nostra preghiera. Dobbiamo pregare perché il Signore aumenti
la nostra fede e perché lo Spirito Santo si effonda in noi: nella
nostra mente, nel nostro cuore, nella nostra bocca e nelle no-
stre opere. È la preghiera che Gesù stesso ci chiede di fare: «Se
voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri
figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo
a quelli che glielo chiedono!» (Lc 11,13).

II settimana di Pasqua – Venerdì


Non si può combattere contro Dio
Si alzò allora nel sinedrio un fariseo, di nome Gamaliele… stimato
da tutto il popolo. Diede ordine di farli uscire per un momento e disse:
«Uomini d’Israele, badate bene a ciò che state per fare a questi uomini.
Tempo fa sorse Tèuda… e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini.
Ma fu ucciso, e quelli che si erano lasciati persuadere da lui furono
dissolti… Dopo di lui sorse Giuda il Galileo… ma anche lui finì male,
e quelli che si erano lasciati persuadere da lui si dispersero. Ora perciò io
vi dico: non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti
questo piano o quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma,
se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi
addirittura a combattere contro Dio!». At 5,34-39

Nella nostra civiltà occidentale, dov’è ammesso il plurali-


smo culturale e religioso, nessuno viene chiamato in tribunale
a difendersi per aver fatto opera di divulgazione della propria
fede, ma nei paesi dove il potere politico coincide con quel-

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lo religioso queste cose accadono ancora. Il discernimento di


Gamaliele, però, la chiesa lo segue anche ai giorni nostri: le
opere degli uomini sono destinate alla distruzione, quelle di
Dio sono eterne, e non è conveniente combatterle, perché chi
le combatte alla fine risulta sempre sconfitto.
Così, ogni volta che nasce un nuovo movimento o che i fe-
deli accorrono da qualche parte perché si dice che vi sia apparsa
la Madonna, la chiesa non incoraggia e non osteggia: si pone
semplicemente in attenzione e in ascolto. Poi, con il passare del
tempo, quando ritiene che una realtà possa veramente essere
opera di Dio, comincia a entrarci dentro per capir meglio, per
verificarne l’ortodossia, per orientarne l’ortoprassi e per porre
i frutti al servizio di tutta la chiesa. È un modo di discerne-
re molto saggio, che abbiamo seguito anche noi genitori ogni
qual volta uno dei nostri figli si è orientato verso certe scelte di
vita, sia in campo sentimentale che professionale o vocaziona-
le. A un certo punto, quando abbiamo ritenuto che ci fossero
i presupposti di una certa fondatezza, siamo intervenuti per
capire, per valutare le scelte fatte, per aiutare e per collaborare.
Non c’è altro modo per esercitare l’autorità. Da parte dei figli,
poi, è una manifestazione di buon senso accettare una attenta
sorveglianza dei genitori, i quali possono anche sbagliare, ma
sono gli unici a essere guidati solo dall’amore verso di loro.
Tutti gli altri, amici, colleghi, datori di lavoro e ordini religiosi,
per quanto ben intenzionati, non possono fare a meno di essere
influenzati da interessi di parte. Comunque il discernimento di
Gamaliele è perfetto: i progetti di Dio sono indistruttibili, quel-
li degli uomini sono passeggeri, e spesso addirittura effimeri.

II settimana di Pasqua – Sabato


Navigare sul lago, oggi
Venuta intanto la sera, i suoi discepoli scesero al mare, salirono in barca
e si avviarono verso l’altra riva… Era ormai buio e Gesù non li aveva
ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo
aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul
mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono

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io, non abbiate paura!». Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la
barca toccò la riva alla quale erano diretti. Gv 6,16-21

È facile vedere in questa vicenda dell’attraversamento del


lago il dipanarsi della nostra storia familiare. I discepoli saliti
sulla barca e diretti verso Cafarnao, sull’altra riva del lago, sia-
mo proprio noi. Anni fa, eravamo una brava famiglia cristiana,
persone che andavano alla santa messa la domenica, che lavora-
vano tutta la settimana e che si davano da fare per tenere a galla
la barca familiare. Però nella nostra vita, come in quella navi-
gazione dei discepoli, il mare era spesso agitato dai venti che
soffiano nella società. Abbiamo conosciuto la disoccupazione,
le incomprensioni, qualche problema di salute e, pur volendoci
bene, ogni tanto si bisticciava per quella inquietudine diffusa,
descritta mirabilmente da sant’ Agostino: «Il mio cuore è in-
quieto Signore, finché non riposa in te».
Il Signore lo vedevamo camminare sulle acque alla messa
della domenica, ma non era ancora salito stabilmente sulla no-
stra barca familiare, perché non gli avevamo ancora fatto spa-
zio. Era un Signore lontano e, come ai discepoli del vangelo
di oggi, ci metteva un po’ paura con quelle proposte di vita
impegnative e senza mezzi termini. Poi, più di trent’anni fa, gli
abbiamo permesso di salire sulla nostra barca quando abbiamo
adottato Maria Carmela e gli abbiamo fatto spazio comincian-
do a frequentare il gruppo di preghiera di Saronno e il Rinno-
vamento Carismatico. All’inizio, con tutti quei cambiamenti
di vita familiare, l’arrivo dei figli uno dietro l’altro e gli impegni
di lavoro sempre più pesanti, il peso della barca è aumentato
notevolmente. I venti soffiavano ancora e in qualche momento
sono stati anche forti, ma la barca ha navigato tranquilla perché
abbiamo messo il timone nelle mani del Signore.
Con il passare del tempo i figli, uno dietro l’altro, sono scesi
dalla nostra barca e hanno cominciato a navigare sul lago con la
loro, mentre noi, serenamente e con il Signore sempre al timo-
ne, ci avviciniamo all’altra riva. A volte, quando qualcuno ci fa
i complimenti per la nostra avventura familiare, ricca di figli,
di impegni, di condivisione e di preghiera, ci viene da sorridere
e non possiamo fare a meno di testimoniare che è tutto merito
del Signore. Noi gli abbiamo solo fatto spazio.

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III settimana di Pasqua – Domenica


I discepoli di Emmaus
[Due discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èm­
maus… e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre
conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e
camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed
egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi…?». Si fermarono, col volto
triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a
Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò
loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno… e
lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato
Israele… Alcuni dei nostri sono andati alla tomba… ma lui non l’hanno
visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore… Non bisognava che il Cristo
patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da
Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva
a lui… Egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero:
«Resta con noi, perché si fa sera…». Quando fu a tavola con loro, prese
il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono
loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero
l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore… quando ci spiegava
le Scritture?»… e fecero ritorno a Gerusalemme. Lc 24,13-33

Nella vicenda di questi due discepoli che si allontanano tristi


da Gerusalemme e poi vi ritornano pieni di gioia, si nasconde il
senso cristiano della conversione. Non avendo vissuto nello Spi-
rito del Cristo risorto i fatti avvenuti, essi tentano di rimuovere
dalla loro vita un passato da dimenticare, ma dopo che Gesù li
ha avvicinati e ha spiegato loro gli avvenimenti, passano dalla
semplice conoscenza alla comprensione degli eventi, e infine
alla fede. Anche oggi è possibile conoscere le Sacre Scritture e
la teologia, senza pervenire alla fede. Martin Buber sintetizza
questa situazione con la frase: «Il teologo parla di Dio, l’uomo
di fede parla con Dio». I due discepoli di oggi ci insegnano, in-
fatti, che si può conversare, discutere e discorrere delle cose di
Dio, senza comprenderle. Non è sufficiente studiare e parlare
del Signore per conoscerlo, è necessario mettersi in ascolto. Le
verità di Dio non si raggiungono perché noi le comprendiamo,
ma solo perché egli ce le comunica. È per questo motivo che
quei due discepoli si sentono scaldare il cuore quando Gesù

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spiega loro le Scritture. Anche oggi, duemila anni dopo, è sem-


pre Dio, nella persona dello Spirito Santo, che ci permette di
comprendere il senso delle Sacre Scritture. Tuttavia, per quanto
il cuore dei discepoli si scaldasse ad ascoltarlo, il Signore lo ri-
conoscono solo allo spezzare del pane: è il momento nel quale
egli si fa veramente riconoscere. È il segno di Gesù che si dona,
è il segno dell’eucaristia, della Provvidenza che ci raggiunge e
della condivisione. È il segno della grazia divina e il senso della
vita stessa.

III settimana di Pasqua – Lunedì


Credere in Gesù è la nostra opera
Il giorno dopo… quando dunque la folla vide che Gesù non era più
là… salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di
Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto
qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non
perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi
siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo
che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su
di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa
dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa
è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Gv 6,22-29
Dice un proverbio di origine orientale: «Quando un dito
indica la luna, lo stolto guarda il dito, il saggio guarda la lu-
na». Ogni miracolo compiuto da Gesù è un dito che indica la
sua signoria, ma saremmo stolti, se ci fermassimo allo stupore
dell’evento in sé, sia esso la guarigione di una malattia o il pane
quotidiano che ogni giorno possiamo condividere attorno alla
nostra tavola. È il rimprovero che Gesù fa a quella folla che lo
ha inseguito e raggiunto dall’altra parte del lago di Tiberiade,
dopo aver mangiato il pane che egli ha moltiplicato: «Voi mi
cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete man-
giato di quei pani e vi siete saziati». È il rischio che corriamo
anche noi quando ogni mattina, intorno a questo tavolo, pre-
ghiamo per le nostre intenzioni: il lavoro, la salute, i problemi
di amici e conoscenti, la Provvidenza. È vero che, prima di pre-

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gare per queste cose, ringraziamo per tutto ciò che il Signore
ci ha donato il giorno precedente, ma non è sufficiente: rischia
di diventare un ringraziamento abitudinario. Di fronte a ogni
grazia che il Signore ci concede, dovremmo far seguire un atto
di conversione, come Pietro che, di fronte al miracolo della
pesca miracolosa, lascia i pesci, la rete e la barca sulla spiaggia
e si inginocchia dicendo: «Signore, abbi pietà di me che sono
un peccatore».
Dona anche a noi, Signore, di fronte alla magnificenza dei
miracoli e delle grazie che ci raggiungono ogni giorno, di co-
gliere la nostra indegnità e di ripartire, con spirito rinnovato,
alla tua sequela. Aiutaci, Signore, a essere, là dove dobbiamo
andare, dei buoni operai del vangelo.

III settimana di Pasqua – Martedì


La potenza del perdono
… All’udire queste cose… digrignavano i denti contro Stefano. Ma
egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e
Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti
e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Allora, gridando a gran
voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo
trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero
i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano
Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi
piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo
peccato». Detto questo, morì. Saulo approvava la sua uccisione.
 At 7,54-8,1a

Non esiste nelle Scritture una pagina più illuminante di


questa sulla potenza del perdono. Dal perdono nasce la vita
nuova. Dal perdono di Gesù sulla croce è nata la risurrezione,
che è l’epicentro di tutta la storia della salvezza. Dal perdo-
no di Stefano nei confronti di coloro che lo uccidevano per
lapidazione e di Saulo che vi assisteva e approvava, è nata la
chiamata di Paolo di Tarso, il più grande evangelizzatore della
storia della chiesa. Il Signore non si fa battere da nessuno in

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generosità, e il perdono è l’atto di generosità più grande, quello


che maggiormente avvicina l’uomo alla dimensione di Dio. La
storia di Paolo, la sua seconda vita che è stata tutta una corsa
per annunciare il vangelo tra aggressioni e naufragi, il suo co-
raggio apostolico, la sua chiarezza teologica, la sua franchezza,
il suo amore per il Signore e per gli uomini, sono stati concepiti
il giorno in cui Stefano, morendo, ha pronunciato le parole:
«Signore, non imputare loro questo peccato». Paolo non è un
convertito, è un chiamato, ed è un chiamato perché è un per-
donato: da Stefano, prima che dal Signore. Noi non sappiamo
quale sia stato il futuro di tutti coloro che lo hanno lapidato,
ma certamente saranno rinati a vita nuova perché sono stati
tutti perdonati. Anche in noi nasce la vita nuova ogni volta che
abbiamo la capacità di perdonare.
Noi non possediamo la potenza di Dio, non ne abbiamo al-
cuna: ci è stata solo donata la capacità di amare e di perdonare,
che è la vetta più eccelsa dell’amore. Ma partendo da questo
amore e dal nostro perdono il Signore può cambiare il mondo,
cominciando da noi stessi. Lo sa bene quel maestro di musica
che al mattino sosteniamo con la nostra preghiera. Egli è stato
colpito da condanna per accuse totalmente false e trovandosi
ormai da quattro anni in carcere, ogni sera prega per coloro che
lo hanno accusato con menzogne, rinnovando continuamente il
suo perdono verso di loro. Egli sa bene che solo il perdono può
impedire il risentimento e può far scaturire, anche dal male e
dalla sofferenza, una vita rinnovata per lui e per i suoi accusatori.

III settimana di Pasqua – Mercoledì


Evangelizzazione ed ecumenismo
In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di
Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni
della Giudea e della Samaria. Uomini pii seppellirono Stefano e fecero
un grande lutto per lui. Saulo [Paolo] intanto cercava di distruggere la
Chiesa: entrava nelle case, prendeva uomini e donne e li faceva mettere
in carcere. Quelli però che si erano dispersi andarono di luogo in luogo,
annunciando la Parola. Filippo, sceso in una città della Samaria,

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predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle


parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva…
E vi fu grande gioia in quella città. At 8,1b-8

Questo brano ci mostra il fermento sociale che la nascita


della chiesa ha creato a Gerusalemme e nelle regioni della Giu-
dea e della Samaria. Il martirio di Stefano, i primi cristiani
portati in prigione, altri che vengono dispersi e le guarigioni
che si susseguono come quando Gesù era presente sulla terra,
ne sono una conseguenza. In questa scena incontriamo Paolo
che, pur essendo già entrato nel mirino dello Spirito Santo, è
ancora un attivo persecutore dei cristiani. È proprio in segui-
to alle prime persecuzioni, come quella descritta nel brano di
oggi, e alla diaspora che comincia a propagarsi il vangelo, con
la regia dello Spirito Santo che, per realizzare il programma
di salvezza del mondo, utilizza anche gli eventi negativi della
storia. L’importante è che ci siano vita e crescita, perché il vero
pericolo della chiesa non sono le persecuzioni, è l’immobili-
smo. È lo stesso pericolo che corrono, anche oggi, le famiglie
e le parrocchie. Quando la vita cristiana diventa abitudine e si
difendono le posizioni raggiunte, la chiesa soffre; quando viene
annunciato il vangelo con coraggio e sorgono le persecuzioni,
la chiesa vive.
Alcuni anni fa, quando eravamo più attivi nel Rinnovamen-
to Carismatico, si partecipava spesso a incontri ecumenici tra
le diverse denominazioni della chiesa. Eravamo attratti dallo
spirito di unità, ma vivevamo quegli incontri con sofferenza
perché era impossibile annunciare il vangelo insieme. L’evan-
gelizzazione, infatti, dopo il primo annuncio, richiede l’in-
serimento nella chiesa. E com’era possibile metterlo in atto,
se le nostre chiese sono separate? È questo uno dei problemi
dell’ecumenismo; l’altro è l’impossibilità di partecipare insie-
me all’eucaristia, che è presente solo nella chiesa cattolica e in
quella ortodossa. Anche questo secondo problema l’abbiamo
vissuto in tutta la sua drammaticità, un giorno del 1989, du-
rante un incontro ecumenico tenutosi a Gerusalemme. Dopo
aver pregato e meditato le Scritture, noi cattolici ci siamo sepa-
rati per celebrare l’eucaristia, e gli altri sono rimasti a pregare
da soli. Che tristezza!

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III settimana di Pasqua – Giovedì


Filippo battezza l’eunuco
Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il
mezzogiorno, sulla strada… da Gerusalemme a Gaza…». Egli si alzò
e si mise in cammino, quand’ecco un Etìope, eunuco… venuto.. a
Gerusalemme, stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta
Isaia. Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accòstati a quel
carro». Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse:
«Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se
nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. Il
passo della Scrittura che stava leggendo era questo: Come una pecora egli
fu condotto al macello… Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego,
di quale persona il profeta dice questo?…». Filippo… partendo da quel
passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù. Proseguendo lungo la strada,
giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua;
che cosa impedisce che io sia battezzato?»… Filippo… lo battezzò… e
l’eunuco…, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. At 8,26-39

L’animatore segreto di questa simpatica scena è lo Spirito


Santo, il quale, prima inviando un angelo e poi direttamen-
te, suggerisce a Filippo di mettersi in viaggio sulla strada di
Gaza, di raggiungere il carro dell’eunuco e di porgli la prima
domanda rompighiaccio: «Capisci quello che stai leggendo?».
Poi lo Spirito Santo accende in Filippo il fuoco dell’annuncio
evangelico, suscita nell’eunuco il desiderio di essere battezzato,
discende su di lui nel battesimo e, da pieno di dubbi che era, lo
trasforma in un uomo ricco di gioia e di certezze. Ci doman-
diamo: «Chi sono questi angeli che arrivano, suggeriscono e se
ne vanno, trasformando una giornata grigia e noiosa in un’av-
ventura stupenda?». E ancora: «Come ha fatto lo Spirito Santo
a suggerire a Filippo di raggiungere quel carro?». La risposta è
unica: occorre credere nella realtà degli angeli e nello Spirito
Santo, per poterli riconoscere quando si rendono presenti nella
nostra vita. Può succedere che lo Spirito Santo accenda in noi
un sentimento, un pensiero, un’intuizione; oppure che si renda
presente tramite la voce di una persona vicina. Il modo può
essere qualsiasi, ma chi crede nella realtà dello Spirito Santo lo
riconosce subito, per cui non deve stupire se Luca nel suo Van-
gelo scrive: «Disse allora lo Spirito [Santo] a Filippo».

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Altre volte, come all’inizio del brano di oggi, succede che lo


Spirito Santo mandi un angelo, che può essere una persona co-
nosciuta o una che incontriamo per la prima volta, la quale dice
una frase che ci illumina, come se egli ci parlasse direttamente.
Questo modo di comunicare dello Spirito Santo potrebbe sem-
brare un po’ misterioso, ma noi già viviamo nel mistero. Però,
se ne conosciamo le voci, è un mistero che parla.

III settimana di Pasqua – Venerdì


La teologia sfuggita a Feuerbach
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può
costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in
verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non
bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue ha la vita eterna… la mia carne è vero cibo e il mio
sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
rimane in me e io in lui… Questo è il pane disceso dal cielo; non è come
quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà
in eterno». Gv 6,52-58

Quando il filosofo Ludwig Feuerbach, ispirandosi alla teoria


degli alimenti di Jacob Moleschott, scrisse che «l’uomo è ciò
che mangia», non pensava di parlare del più grande mistero
teologico del cristianesimo, bensì di contribuire al diffondersi
di quella visione naturalistica e deterministica della vita, poi
ripresa da Karl Marx. Secondo tale bislacca teoria, poiché le so-
stanze ingerite vengono assimilate dal sangue che, a sua volta,
va a irrorare il cervello e il cuore, il cibo determinerebbe sia i
pensieri che i sentimenti dell’uomo pensante. Conclude Feuer-
bach: «Se volete un popolo migliore, in luogo di declamazioni
contro il peccato, dategli del cibo migliore!». Accanirsi contro
tali sciocchezze non sarebbe caritatevole nei confronti della me-
moria del povero Feuerbach, che, non credendo nell’esistenza
di Dio, ha speso tutta la vita a parlarne. Ci ha già pensato la
storia. A noi interessa tutt’altra interpretazione: quella che, suo
malgrado, ci rimanda alle parole del brano odierno: «La mia
carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia

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la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui».


Oggi il Signore ci parla dell’eucaristia, il dono del suo corpo
e del suo sangue, che ogni giorno riceviamo alla prima messa
celebrata al santuario di Saronno, eredi dell’insegnamento si-
lenzioso che il nonno Mario ci ha lasciato con il suo esempio.
Partecipando con frequenza a questo sacramento, Gesù Cristo
dimora sempre più in noi, e noi in lui. È un reciproco prender
dimora che parzialmente già avviene meditando il vangelo ogni
mattina, ma sarebbe importante che ciascuno di noi completasse
questo processo di osmosi con il Signore partecipando all’euca-
ristia. Egli nella santa messa si dona con la sua parola, con il suo
corpo e il suo sangue: tramite le Sacre Scritture e sotto le specie
del pane e del vino. Purtroppo al popolo di Dio è permesso
raramente di bere il suo sangue, come ogni volta fa il sacerdote
celebrante. Sarebbe bello che la chiesa, superando i motivi pra-
tici che lo impediscono, potesse offrire la donazione completa
di Gesù Cristo a ciascun fedele, perché abbiamo tutti bisogno
di partecipare all’eucaristia anche sotto la specie del vino. Un
giorno, nel banchetto celeste, questi problemi non ci saranno.

III settimana di Pasqua – Sabato


Non c’è un altro Signore
Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è
dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli
mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se
vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la
vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e
sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva
fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo
avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire
a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi
discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora
Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro:
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo
creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Gv 6,60-69

Per il discepolo del Signore arriva sempre il momento della


crisi, la tentazione di tornare indietro, come anche a noi è suc-

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cesso. Oggi vorremmo capire quando e perché accade. Prima,


però, vediamo il motivo per il quale ci siamo messi in cammi-
no e tutte le mattine ci troviamo insieme a pregare, intorno a
questa tavola. Il motivo ce lo rivela, oggi, la risposta di Pietro:
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi ab-
biamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Anche
noi siamo consapevoli che, fra tanto vaniloquio e tante parole
effimere che ascoltiamo e diciamo nell’arco della giornata, le
uniche che ci illuminano, ci guidano e hanno un sapore eter-
no, sono quelle che ci dice il Signore al mattino. Anche noi
possiamo dire: «Tu sei il Santo di Dio, il Messia. Con te la vita
ha un sapore e un significato diverso. Con te tutto è miracolo,
non esiste niente di impossibile. Tu dai continuamente rispo-
sta alle domande che ci portiamo dentro da sempre». Perché,
allora, ogni tanto ci viene voglia di scappare? La risposta è:
«La croce». È difficile accettare che per vincere la scommessa
della vita si debba passare attraverso la croce, però è così: la
vittoria del vangelo deve passare attraverso la sconfitta. Medi-
tando le Scritture e vivendo alla sua sequela ci rendiamo con-
to che il Signore è veramente «Altro» rispetto a tutto ciò che
conosciamo e che il mondo ci propone: modelli umani, stili
di vita, obiettivi da raggiungere. Egli si manifesta come «total-
mente Altro» quando, contro i nostri pensieri e i nostri modelli
esistenziali, ci propone di vincere passando attraverso la scon-
fitta della croce. È per questo motivo che ogni tanto vien voglia
di scappare. Tuttavia restiamo perché ci ripetiamo le parole di
Pietro: «Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna».

IV settimana di Pasqua – Domenica


Il Signore ci porta fuori
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore
dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi
invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le
pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome,
e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina

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davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un


estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non
conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma
essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo:
«In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro
che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non
li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà
salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per
rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e
l’abbiano in abbondanza». Gv 10,1-10

Il buon pastore di questa pagina del vangelo, che chiama le


pecore una per una e le conduce fuori camminando innanzi a
loro, ci evoca il brano della Genesi nel quale il Signore porta
Abramo fuori dalla tenda: «Rispose Abram: “Signore Dio... io
me ne vado senza figli”. Ed ecco, gli fu rivolta questa parola
dal Signore: “Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te
sarà il tuo erede”. Poi lo condusse fuori e gli disse: “Guarda in
cielo e conta le stelle, se riesci a contarle”; e soggiunse: “Tale
sarà la tua discendenza”» (Gn 15,2-5). In questo brano delle
Scritture, che ha il potere di farci respirare negli spazi infiniti di
Dio, Abramo non viene solo portato fuori dalla tenda in cui si
trova. Viene portato fuori dai propri limiti, dai propri pensieri,
dalle proprie tristezze, da una vita con poco senso, da tutto ciò
che un uomo può credere e sperare, e viene proiettato verso
una vita e una speranza cosmica: «Guarda il cielo e conta le
stelle» (Gn 15,5). È lo stesso uscire per andare al largo di Pietro
quando, nel brano della pesca miracolosa, calava tristemente le
reti a riva senza prendere niente e il Signore gli dice: «Prendi il
largo e gettate le vostre reti» (Lc 5,4). Là la grandiosità del cielo
stellato, qua quella del mare: il Signore ci porta fuori dalle no-
stre piccolezze. Anche nel brano del vangelo di oggi il Signore
porta fuori le sue pecore dal recinto dei propri limiti e dalla
banalità di una vita abitudinaria, senza sogni e senza speranza,
e le conduce a pascolare in spazi sconfinati, ricchi di erba fresca
che ondeggia al vento. Ma non le manda da sole, cammina
avanti a loro. Anche noi abbiamo dei sogni, delle speranze, dei
progetti grandi da realizzare, che il Signore ha predisposto per
noi. Allora preghiamo perché ci porti fuori dei nostri limiti e ce
li faccia vivere nella pienezza, nella speranza e nella gioia.

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IV settimana di Pasqua – Lunedì


Il vangelo è per tutti
Allora Pietro cominciò a raccontare loro… Ed ecco, in quell’istante,
tre uomini si presentarono alla casa dove eravamo, mandati da Cesarèa
a cercarmi. Lo Spirito mi disse di andare con loro senza esitare. Vennero
con me anche questi sei fratelli ed entrammo in casa di quell’uomo. Egli
ci raccontò come avesse visto l’angelo presentarsi in casa sua e dirgli:
«Manda qualcuno a Giaffa e fa’ venire Simone, detto Pietro; egli ti dirà
cose per le quali sarai salvato tu con tutta la tua famiglia». Avevo appena
cominciato a parlare quando lo Spirito Santo discese su di loro, come
in principio era disceso su di noi. Mi ricordai allora di quella parola
del Signore che diceva: «Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete
battezzati in Spirito Santo». Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono
che ha dato a noi, per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per
porre impedimento a Dio?». All’udire questo si calmarono e cominciarono
a glorificare Dio dicendo: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che
si convertano perché abbiano la vita!». At 11,4-18

Lo Spirito Santo fa le cose bene: i suoi interventi nelle vi-


cende degli uomini sono discreti, cerca di apportare il minimo
disturbo, ed è molto rispettoso dell’unità della famiglia e della
chiesa, le due istituzioni uscite direttamente dalle mani di Dio.
Dopo che, nell’Annunciazione, lo Spirito Santo ha inviato l’ar-
cangelo Gabriele a Maria, manda un altro angelo in sogno a
Giuseppe per avvertirlo di ciò che è avvenuto: «Giuseppe, figlio
di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.
Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito San-
to» (Mt 1,20). Dopo la chiamata di Paolo, l’apostolo a cui lo
Spirito Santo affiderà il mandato di fare da apripista all’evan-
gelizzazione di tutte le genti, lo stesso Spirito fa prima vivere a
Pietro questa esperienza raccontata nel brano di oggi. Egli vede
discendere lo Spirito Santo su questa famiglia pagana, come in
precedenza era sceso sugli apostoli nel Cenacolo, tant’è che Pie-
tro esclama: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si
convertano perché abbiano la vita!». Quest’evento sarà fonda-
mentale per il futuro della chiesa perché, quando Paolo andrà
a Gerusalemme per comunicare agli altri apostoli di aver rice-
vuto dal Signore il mandato di aprire l’annuncio del vangelo a
tutte le genti, Pietro potrà confermare, sulla base della vicenda

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odierna, che l’illuminazione ricevuta da Paolo è stata autentica.


Lo Spirito Santo opera allo stesso modo anche oggi nella chiesa:
nei concili, nei sinodi e anche nelle famiglie cristiane, tutte le
volte che c’è da prendere una decisione importante. È per que-
sto motivo che, il giorno in cui dovevamo discernere se fosse
opportuno vendere la casa di Castiglioncello, ci siamo radunati
tutti insieme in preghiera intorno al tavolo del tinello. Quando
preghiamo insieme, lo Spirito Santo parla più forte e più chiaro.

IV settimana di Pasqua – Martedì


I primi cristiani
Intanto quelli che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata
a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiòchia
e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. Ma alcuni
di loro… giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci,
annunciando che Gesù è il Signore… Questa notizia giunse agli orecchi
della chiesa di Gerusalemme, e mandarono Bàrnaba ad Antiòchia.
Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò… ed esortava
tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso qual
era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta
al Signore. Bàrnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: lo
trovò e lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero…
Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.
 At 11,19-26

Come il vento di primavera stacca dagli alberi le spore e là


dove cadono nascono altri alberi, così la diaspora della prima
chiesa di Gerusalemme, causata dal vento delle persecuzioni,
ha fatto nascere altre chiese in tutto il bacino orientale del
Mediterraneo. Nel brano odierno, tratto dagli Atti degli apo-
stoli, si ha notizia della nascita della prima comunità cristiana
in Fenicia, a Cipro e ad Antiochia. All’inizio il messaggio del
vangelo si diffuse tra i giudei che precedentemente avevano la-
sciato la Palestina, per poi attecchire tra i greci e gli altri popoli
circostanti. Nacquero chiese a Efeso, a Filippi, a Tessalonica, in
Galazia, a Corinto; all’inizio per merito di Paolo e Barnaba, poi
Paolo e Sila, e altri apostoli che il libro degli Atti non riporta,
perché narra essenzialmente dell’attività apostolica di Pietro e

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Paolo. Mentre si trova a Corinto, Paolo comincia a pensare di


trasferire il quartier generale della sua evangelizzazione a Roma,
che allora era la capitale del mondo. Il suo programma missio-
nario prevedeva di arrivare in Spagna per poi spingersi fino alle
colonne d’Ercole, oggi lo stretto di Gibilterra, considerate a
quel tempo l’estremità della terra. Così nell’anno 57 d.C., co-
me atto preparatorio di quel programma, scrisse alla comunità
ebraica di Roma la famosa Lettera ai Romani. Qualche anno
dopo si trasferì a Roma, dove fu raggiunto anche da Pietro e
dove, dieci anni dopo, morirono entrambi martiri. Noi, nel
soggiorno, abbiamo un reliquia che risale a quel periodo glo-
rioso della diffusione del cristianesimo, che ci è stata regalata
da don Pigi, parroco della chiesa di Sant’Eustorgio, la più an-
tica di Milano, costruita nel 400. È il segno tangibile, giunto
fino a noi, dell’evangelizzazione del Nord Italia. L’avventura
missionaria dei primi cristiani è stata un’epopea meravigliosa,
che ci fa riflettere e ci aiuta a vivere la nostra missione, oggi.
Non si può essere autentici cristiani se non siamo missionari.

IV settimana di Pasqua – Mercoledì


Il discernimento e lo Spirito Santo
Intanto la parola di Dio… si diffondeva. Bàrnaba e Saulo poi,
compiuto il loro servizio a Gerusalemme, tornarono… C’erano nella
chiesa di Antiòchia profeti e maestri: Bàrnaba, Simeone…, Lucio di
Cirene, Manaèn, compagno d’infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo.
Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito
Santo disse: «Riservate per me Bàrnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho
chiamati». Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e
li congedarono. At 12,24-13,3

Come avrà fatto lo Spirito Santo a comunicare ai fratelli


della comunità di Antiochia di riservare Barnaba e Saulo per
il suo progetto? Quasi certamente non avrà fatto udire la sua
voce come era successo al battesimo di Gesù, quando discese
sotto forma di colomba e fu udita la voce del Padre che diceva:
«Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio com-
piacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,5). Niente è impossibile allo

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Spirito Santo, tuttavia i modi eccezionali di inviare agli uomini


i suoi messaggi normalmente lo Spirito li riserva a situazioni
uniche nella storia della salvezza. In quei momenti può man-
dare anche un angelo, come nell’Annunciazione a Maria o in
occasione dell’annuncio della nascita del Salvatore ai pastori.
È lo Spirito che sceglie i modi e i momenti. La vita, però, non
è costituita da un susseguirsi di momenti straordinari: è fatta
di scelte quotidiane per le quali il cristiano deve discernere la
volontà di Dio. In ogni scelta, personale o comunitaria, ci sono
più strade da prendere, ma una sola è la volontà divina.
Quei fratelli della comunità di Antiochia, di cui oggi ci par-
lano gli Atti degli apostoli, si erano radunati, in digiuno, per
celebrare l’eucaristia e probabilmente per individuare due per-
sone da destinare a una missione particolarmente importante.
In una tale circostanza, quando una comunità o una famiglia
si radunano in preghiera per discernere la volontà di Dio, lo
Spirito Santo fa la sua parte e i fratelli nella fede lo sanno, per
cui nel riferire la decisione è possibile iniziare, come nel bra-
no degli Atti degli apostoli di oggi, con le parole: «Lo Spirito
Santo disse». Nei momenti di preghiera e di discernimento il
Signore può illuminare qualunque persona, anche la più pic-
cola, e i responsabili della comunità, che nella famiglia sono
i genitori, devono essere consapevoli che la grazia è stata loro
data per capire e decidere nell’ambito delle loro responsabilità.
Tuttavia, per quanto lo Spirito Santo possa illuminare chiun-
que e i responsabili abbiano il compito di guidare le riflessioni,
è bene che il discernimento alla fine sia condiviso, perché lo
Spirito Santo soffia su tutti.

IV settimana di Pasqua – Giovedì


La presunzione
«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo
padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste
cose, siete beati se le mettete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco
quelli che ho scelto, ma deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia
il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d’ora,

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prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. In
verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me;
chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato». Gv 13,16-20

Il vangelo di oggi ci permette di dire due parole sul rischio


della presunzione. Quando Gesù dice: «Un servo non è più
grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha
mandato» e: «Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di
me il suo calcagno», si riferisce chiaramente a Giuda, il quale,
tra i Dodici, era, insieme a Matteo, il più colto, tant’è che era
stato incaricato di tenere la cassa per tutti. Questa sua preroga-
tiva gli aveva probabilmente fatto – come si usa dire – «montare
la testa», fino a presumere che le idee del Maestro sulla salvezza
di Israele fossero meno giuste delle sue, che erano orientate più
a una liberazione politica che spirituale. È il peccato di pre-
sunzione nel quale rischia sempre di incorrere chi, in qualche
campo, ha più competenza di altri. Si racconta che, nell’antica
Grecia, un ciabattino si fosse soffermato a guardar dipingere
il grande pittore Apelle, e avesse notato che l’allacciatura della
scarpa, di un personaggio da lui dipinto, non era correttamente
disegnata. Avendogli fatto notare la cosa, Apelle ringraziò il cia-
battino e corresse l’errore. Il ciabattino allora, inorgoglito per
aver corretto quel grande pittore, si improvvisò critico d’arte e
si azzardò a dire: «Anche l’espressione del viso, però, potrebbe
essere resa meglio». «Ah, no! – ribatté Apelle – il ciabattino
non vada al di sopra della scarpa». Questa leggenda ci mette in
guardia dal rischio di divenire orgogliosi e presuntuosi al di là
del campo delle nostre competenze. L’esperienza ci ha insegna-
to che le autentiche conoscenze sono sempre accompagnate da
atteggiamenti di umiltà e disponibilità ad apprendere ancora
qualcosa dagli altri. Tutto si gioca sull’equilibrio psichico della
persona: l’autostima è un pregio, la presunzione e la mancan-
za di autostima sono due difetti opposti. Un modo sicuro per
raggiungere un sano equilibrio tra i due eccessi è la fede, dalla
quale discende la consapevolezza che tutto è dono, anche le no-
stre capacità, naturali o acquisite che siano. E il modo cristiano
di gestire il dono è di metterlo a disposizione di coloro che ne
hanno bisogno, perché i doni, che poi diventano competenza,
ci sono dati – dice Paolo – «per il bene comune» (1Cor 12,7).

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IV settimana di Pasqua – Venerdì


Il nostro posto
«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede
anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi
avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi
avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove
sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli
disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere
la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene
al Padre se non per mezzo di me». Gv 14,1-6

Siamo venuti al mondo nel luogo della nostra nascita, con il


corpo che Dio ci ha donato per portarci dove egli vuole, come
se ci fosse stato messo a disposizione un taxi per farci fare un
giro panoramico prima di andare a teatro. Alla fine scenderemo
ed entreremo a goderci lo spettacolo dell’eternità, con il nostro
biglietto in mano, che il Signore ci ha regalato e che ci assicura
un posto già prenotato, tutto per noi. Io non so dove mi con-
duca ancora questo taxi sul quale sono seduto da molti anni, e
che, negli ultimi tempi, ha bisogno di una manutenzione più
frequente. So solo che ho in mano un biglietto che mi assicura
l’ingresso e un posto nell’eternità, e che l’autista del taxi è il
Signore stesso, il quale conosce bene la «via» per andarci, la «ve-
rità» su dove sto andando e la «vita» che mi godrò per l’eternità.
E questo mi basta. Ringrazio i miei genitori che mi hanno per-
messo di salire su questo taxi, dal quale, guardando dal finestri-
no, vedo i paesaggi, le aurore e i tramonti, il sole dell’estate e la
neve dell’inverno. Li ringrazio perché mi hanno educato alla fe-
de e sono riconoscente alle molte persone che hanno permesso
che questa fede crescesse. Ringrazio i figli ai quali penso di aver
dato quello di cui avevano bisogno, ma dai quali ho ricevuto
anche di più. Ringrazio i miei professori del periodo scolastico,
i quali mi hanno aperto la mente alla conoscenza e al modo di
acquisirla. Ringrazio i colleghi e i collaboratori che si sono suc-
ceduti nell’arco della mia professione di ingegnere. Ringrazio
le persone che ho incontrato nella mia breve attività politica.
Ringrazio i tanti amici e anche i pochi nemici che ho avuto.
Ringrazio Anna Maria, che ho avuto il privilegio di avere come

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compagna di viaggio, e con la quale, pur non sapendo in qual


modo, so che staremo insieme nell’eternità, perché il suo posto
sarà accanto al mio. Ringrazio tutti, mentre il taxi sta ancora
correndo verso il posto che mi attende, con il Signore al volante.

IV settimana di Pasqua – Sabato


Signore, mostraci il Padre
«Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo
conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e
ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai
conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire:
“Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?
Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane
in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in
me. Se non altro, credetelo per le opere stesse». Gv 14,7-11

Al mattino, durante la preghiera, ci succede spesso di incon-


trare delle letture che richiederebbero un tempo di meditazio-
ne più lungo di quello che abbiamo a disposizione; così ci dob-
biamo accontentare di qualche spunto di riflessione da portarci
dietro durante la giornata, aspettando che porti frutto, come
il chicco di grano che, seminato nella terra, diventa una spiga.
Questa di oggi è una di quelle letture. «Chi ha visto me – ci
dice Gesù – ha visto il Padre». L’amore di Gesù per gli uomini,
la sua chiarezza nel mostrarci i misteri del Regno, la franchezza,
la libertà, le guarigioni, i miracoli, la sua fede, la sua comu-
nione di preghiera con il Padre, il vivere di Provvidenza, il suo
lavare i piedi agli apostoli e il suo donare la vita per la salvezza
del mondo, ci permettono di conoscere molto della realtà del
Padre. Gesù di Nazaret e il Padre si specchiano l’uno nell’altro
in ogni istante, in ogni circostanza, in ogni evento. E di fronte
a questa loro specularità in tutto, quel simpaticone di Filippo
oggi dice: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
È ciò che succede anche a noi quando leggiamo le Sacre
Scritture o ascoltiamo l’insegnamento della chiesa e, nei fatti
concreti della giornata, non li riteniamo sufficientemente con-

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vincenti per credere senza riserve che Gesù sia il Signore. Pen-
siamo, allora, ai doni che abbiamo ricevuto e che ogni giorno
si rinnovano, ai miracoli e alle guarigioni che abbiamo visto,
alla Provvidenza che ci raggiunge, al lavoro che non ci è mai
mancato, alle protezioni delle quali godiamo, alla comunione
tra noi, alla serenità delle nostre giornate pur tra mille impe-
gni, al dono dell’eucaristia, a questa preghiera del mattino, ai
nostri pranzi della domenica ricchi di bambini, agli amici che
abbiamo e al nostro addormentarsi sereni alla sera. Dobbiamo
riconoscere che il Signore è presente nella nostra vita in ogni
istante. Allora, con questa certezza, partiamo per i nostri impe-
gni quotidiani, chiedendo al Signore la grazia di riconoscerlo
nelle persone e nelle situazioni di oggi, e attraverso di lui cono-
sceremo anche il Padre.

V settimana di Pasqua – Domenica


L’elezione dei diaconi
In quei giorni…, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di
lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le
loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero:
«Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle
mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione,
pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi,
invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». Piacque
questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e
di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola,
un prosèlito di Antiòchia. At 6,1-5

Se oggi mettessimo un annuncio sul giornale per ricerca-


re del personale da destinare al servizio delle mense, questo
inizierebbe così: «Cercasi cuochi e camerieri». I primi apostoli
hanno assunto, invece, un criterio di scelta diverso: «Cercate
fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e
di sapienza». Hanno cioè privilegiato la persona, piuttosto che
l’esperienza professionale. Confesso che, in passato, quando
nella mia professione mi è successo di assumere del personale,
il mio criterio di valutazione era molto simile a quello degli

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apostoli, e ho sempre assunto ottimi collaboratori. Leggevo il


curriculum vitae, e le prime due domande riguardavano l’atti-
vità lavorativa passata, giusto per verificare che quanto vi era
scritto corrispondesse al vero. Poi davo una giratina al discorso
e passavo alle domande personali, lasciando sempre la libertà di
non rispondere. «È sposato? Quanti figli ha? È divorziato? Che
cosa fa alla sera, quando rientra dal lavoro? Come passa le do-
meniche? Quali sono i suoi hobby». E mi mettevo in ascolto,
sollecitando, di quando in quando, dei particolari. Con questo
metodo, non ho mai assunto una persona sbagliata. Qualche
volta, per la verità, mi sono sentito rispondere: «Cosa c’entrano
queste domande con il lavoro che dovrei svolgere?». Al che ri-
battevo: «Vede, noi non assumiamo solo un professionista, ma
un uomo, il quale, in un ambiente di lavoro, ci potrebbe creare
molti più problemi di quanti ce ne risolverebbe come profes-
sionista». Un giorno feci un colloquio a un tecnico per un po-
sto di lavoro in un cantiere all’estero. Egli, a un certo punto, mi
confessò: «Io sono un ex carcerato, e mia moglie durante la mia
detenzione si è fatta un amante; ora sono uscito e vorremmo
ricominciare la nostra vita da capo, cancellando il passato. Se,
nel campo che avete allestito presso il cantiere, lei mi facesse
avere una casetta per due persone, la ringrazierei». Lo assun-
si, ebbe la sua casetta, è stato un eccellente collaboratore, sua
moglie era un’ottima persona, e alla fine sono venuti insieme
a ringraziarmi. Sono aneddoti del passato che mi vengono in
mente quando leggo questo brano degli Atti degli apostoli che
parla dell’elezione dei diaconi.

V settimana di Pasqua – Lunedì


I comandamenti e l’amore
«Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi
ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi
manifesterò a lui… Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre
mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi
non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non
è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre

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sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre


manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò
che io vi ho detto». Gv 14,21-26

Il primo approccio con questi versetti del vangelo, che lega-


no l’amore all’osservanza dei comandamenti – tra noi e il Si-
gnore Gesù e, conseguentemente, tra il Padre e noi – non è dei
migliori. Sembra piuttosto un impatto. Un padre che ama solo
quelli che osservano i suoi comandamenti, sembra essere più
un dittatore che un padre, e questo ci parrebbe inaccettabile e
in contrasto con il concetto che Dio è «amore», «misericordia»
e «perdono». Occorre allora trovare la chiave di lettura di questi
versetti che, nella loro apparente semplicità, sono abbastanza
ermetici, perché sembrano contraddire gli attributi del Padre
di cui ci parla Gesù Cristo. La chiave che riteniamo di aver tro-
vato ci apre al mistero con due mandate. La prima ci dischiude
l’arcano disegno della creazione, nel quale l’uomo, come essere
libero, aveva in se stesso la possibilità di perdersi o di diventare
simile a Dio.
Questo disegno lo ha spiegato bene Pico della Mirandola
che, nel suo Discorso sulla dignità dell’uomo, presenta il Creato-
re nel momento in cui affida la natura alla signoria dell’uomo,
ricordandogli però che egli, a differenza degli altri esseri viven-
ti, non ha caratteristiche già determinate dalla sua natura, ma è
lasciato libero. L’uomo, aggiunge Pico, avrebbe potuto sceglie-
re di elevarsi ad altezze simili a quelle degli angeli o degradarsi a
livello dei bruti. E sappiamo bene come, nel corso della storia,
le due scelte si siano alternate, tra abissi di crudeltà e vette di
santità. La seconda mandata della nostra chiave di lettura ci
apre al piano di salvezza di Dio nei confronti dell’uomo e di
tutta la creazione. È la parabola della pecorella smarrita a illu-
minarci sulla strategia di amore di tale piano. In tutta la storia
della salvezza Dio va alla ricerca dell’uomo, come il pastore va
in cerca della pecorella smarrita e, in quest’opera, si impegna a
tal punto da arrivare a offrire suo Figlio sulla croce, manifestan-
dosi come Dio dell’«amore», della «misericordia» e del «perdo-
no». Ma delle tre, la caratteristica che esisteva fin dall’inizio è
l’«amore», le altre sono nate dopo, durante lo sviluppo del pro-
getto di salvezza, come manifestazioni di quel primo amore.

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V settimana di Pasqua – Martedì


La vita nella pace
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la
do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito
che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che
io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora,
prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate. Non parlerò
più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; contro di me non
può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come
il Padre mi ha comandato, così io agisco. Alzatevi, andiamo via di qui».
 Gv 14,27-31

Nei versetti precedenti Gesù ha promesso che, dopo la sua


dipartita, avrebbe mandato ai discepoli lo Spirito Santo e, nel
vangelo di oggi, spiega i motivi di ciò che sta per accadere. I
discepoli non comprendono, ma egli non si preoccupa perché
sa che lo Spirito Santo spiegherà loro tutto dopo la sua morte e
risurrezione. È in pace con il Padre, perché sta per portare a ter-
mine il progetto di vita che gli era stato affidato; è in pace con
i discepoli, perché vede in loro la chiesa futura; è in pace con il
mondo, perché ha intimamente già deciso di offrire la propria
vita per la sua salvezza; è in pace con se stesso perché nella re-
alizzazione del piano di salvezza ha donato proprio tutto. È in
questa pace interiore di chi ha compiuto la sua missione, che
Gesù dice agli apostoli: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace».
Anche per noi, alla fine della vita, qualunque fosse il progetto
che ci era stato affidato, sarà fondamentale avere questa pace,
che permetterà ai nostri cari di raccogliere il testimone dell’ope-
ra da compiere e a noi di partire serenamente. Anche la morte,
quando la nostra missione sarà finita, sarà un motivo di gioia
per tutti: «Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre».
Con questo spirito, anche gli ultimi anni di vita assumono
un sapore diverso: «Com’è dolce questo tramonto nella sera
che non imbruna», direbbe Giovanni Pascoli. A un certo pun-
to, anche se il nostro progetto di vita è infinitamente meno
importante di quello di Gesù, le opere e le parole finiscono e
bisogna partire, con pochi essenziali bagagli. È il meraviglio-
so ciclo della vita, nel quale anche il mistero che ci circonda
trova un senso, e in esso lo troviamo anche noi. Ancora, però,

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abbiamo qualcosa da compiere e c’è qualcuno che ci attende:


«Alzatevi, andiamo via di qui». E la vita continua, per tanto o
per poco, per quanto vuole il Signore.

V settimana di Pasqua – Mercoledì


La vite e i tralci
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che
in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota
perché porti più frutto… Come il tralcio non può portare frutto da se
stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto
frutto, perché senza di me non potete far nulla… Se rimanete in me e le
mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto».
 Gv 15,1-7

«Senza di me non potete far nulla», ci dice oggi il Signore.


Che cosa vuol dire questa affermazione? Come si concilia con
il fatto che molte persone hanno creato imperi politici ed eco-
nomici, o società multinazionali, senza riferirsi a Cristo, ma
perseguendo solo interessi, progetti o ideali personali? La ri-
sposta è semplice. Esistono solo due modi per pianificare la
vita: perseguendo il progetto del Signore, oppure perseguendo
i nostri progetti personali, che possono essere anche grandi,
ma sono soltanto i nostri. Che poi il Signore utilizzi anche
i progetti degli uomini per realizzare il suo piano di salvezza
universale, questo fa parte della sua divina capacità di saper
utilizzare al meglio ciò che offre la storia, come la nonna Betta
ricavava un buon pranzetto anche con gli avanzi del frigorifero.
Noi ci siamo dati una regola semplice per capire di chi sia un
progetto: se ha come scopo primario il «bene comune», è un
progetto del Signore; se, invece, lo scopo è solo il vantaggio di
una persona, di una famiglia, di una categoria o di una nazio-
ne, è un progetto umano.
Si potrebbe, allora, pensare di poter perseguire tranquilla-
mente i nostri progetti personali, sperando che poi ci possano
essere ricadute vantaggiose per tutti, come ha teorizzato il pa-
dre del liberismo economico Adam Smith. Sarebbe un modo

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di pensare intelligente, se non fosse per il fatto che la finalità


ultima di ogni progetto non è la sua realizzazione, ma la felicità
e la gioia nell’attuarlo. Accade, allora, che, per un meraviglioso
riequilibrio divino delle cose, la felicità e la gioia si raggiungo-
no solo realizzando i progetti del Signore. Se questa è la situa-
zione, e la nostra esperienza personale ci insegna che è proprio
così, occorre pregare ogni giorno il Signore perché ci manifesti
il suo progetto di vita su di noi. Se lo faremo, lui taglierà i tralci
che non portano frutto, e poterà, come fa il contadino, i tralci
buoni, perché portino ancora più frutto. La sua ricompensa a
questo modo di impostare la vita, per quanto ci risulta, sono
la felicità e la gioia, oltre all’accesso diretto alla Provvidenza:
«Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete
quello che volete e vi sarà fatto». E alla fine avremo il piacere di
consegnare il progetto realizzato nelle sue mani.

V settimana di Pasqua – Giovedì


Rimanete nel mio amore
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel
mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore,
come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo
amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra
gioia sia piena». Gv 15,9-11

Nei primi versetti del capitolo 15 del Vangelo di Giovanni,


che abbiamo meditato ieri, Gesù esorta i discepoli a «rimanere»
in lui: «Rimanete in me e io in voi… Chi rimane in me, e io in
lui, porta molto frutto… Chi non rimane in me viene gettato
via come il tralcio e secca… Se rimanete in me e le mie parole
rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto»
(Gv 15,4-7). Nel brano di oggi Gesù ci spiega che rimanere
in lui vuol dire rimanere nel suo amore, affinché egli ci possa
trasmettere la sua gioia e la nostra gioia sia piena. Ma che cosa
significa questa espressione: «Rimanete nel mio amore»? Vuol
dire: «Lasciate che io vi ami! Non vi allontanate da me, la mia
gioia è completa solo se io posso amarvi». È una richiesta che

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esprime una potenza di amore infinita, capace di perdonare


ogni peccato e di guarire ogni malattia fisica e psichica. Siamo
di fronte a una dimensione dell’amore della quale l’uomo non
vede la fine, la potrà soltanto intuire quando, nel momento
della croce, Gesù dirà: «Padre, perdona loro perché non sanno
quello che fanno» (Lc 23,34).
È di fronte a questa capacità di amare che la chiesa ha po-
tuto definire che la sostanza di Dio è «amore», e questa si ma-
nifesta completamente nel «perdono». A noi è stato concesso
il privilegio di comprendere quale potenza guaritrice e trasfor-
mante abbia l’amore quando, pur rimanendo sempre umano,
si eleva a un livello tale da far pensare all’amore di Dio. Negli
anni ’80 il problema dei barboni, a Milano, era irrisolvibile per
tutti: per l’amministrazione comunale e per la chiesa locale. I
barboni non ascoltavano nessuno e non credevano alle promes-
se e ai progetti proposti. Il problema lo risolse fratel Ettore, un
fratello dell’ordine dei Camilliani che, pieno di Spirito Santo,
quando i barboni erano per terra sporchi e ubriachi, si chinava
su di loro e pronunciava solo queste parole: «Non voglio nien-
te e non ti chiedo niente, permettimi solo di lasciarti amare».
Successe il miracolo: altre persone si unirono a lui e i barboni
di Milano, nel giro di pochi anni, ebbero, nelle strutture della
stazione centrale di Milano, pasti caldi, un letto per dormire, la
santa messa alla domenica, e ritrovarono la dignità di uomini.

V settimana di Pasqua – Venerdì


I principi e i valori cristiani
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora
di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e
Bàrnaba… E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli
anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che
provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali
non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che
hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di
scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba
e Paolo… È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi
altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie». At 15,22-28

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Oggi gli Atti degli apostoli ci parlano del concilio di Ge-


rusalemme, il primo indetto dalla chiesa per discernere se per
ottenere la salvezza fossero sufficienti la fede in Gesù Cristo e
il battesimo, o fosse necessario diventare prima ebrei e poi farsi
circoncidere. Alla fine prevalse la posizione di Paolo e Barnaba:
per essere cristiani basta credere al messaggio del vangelo ed
essere battezzati. Il discernimento fu sancito da una lettera che
i partecipanti scrissero ai fratelli della chiesa di Antiochia, che
comincia con queste parole: «È parso bene, infatti, allo Spirito
Santo e a noi». Dopo quel primo concilio ce ne sono stati altri e
in tutti è risultata chiarissima la guida dello Spirito Santo. Dal
concilio Vaticano II non sono trascorsi nemmeno cinquant’an-
ni e nella chiesa si parla già della necessità di indirne un altro,
probabilmente sui principi e sui valori cristiani, alcuni dei qua-
li molto discussi nella società di oggi. Vediamo quali sono. Per
quanto riguarda il rapporto tra l’uomo e Dio i principi cristiani
sono i seguenti: Dio è il suo stesso essere; egli ha creato tutto,
quindi anche l’uomo, per amore, e lo ha elevato allo stato so-
vrannaturale, facendolo suo figlio. In risposta l’uomo deve ado-
rare, ringraziare e pregare Dio e far di tutto per compiere il pro-
getto che gli è stato affidato, utilizzando tutti i talenti ricevuti.
Per quanto concerne l’essenza dell’uomo: ogni essere umano
è persona dal concepimento alla morte, l’uno e l’altra intesi
come naturali; ogni persona deve rispettare la dignità personale
di tutti gli esseri umani, il che vuol dire che devono essere per-
seguite le virtù della giustizia e dell’amore.
Per quanto attiene alla famiglia: alla base sta una coppia di
genitori, cioè due esseri diversi e complementari – un uomo e
una donna – che si amano, si scelgono liberamente, si sposano
pubblicamente, in una donazione reciproca che duri tutta la
vita, per la loro felicità e per la generazione ed educazione della
prole; il primo scopo del matrimonio è l’unione della coppia,
la procreazione è una conseguenza.
Per quanto riguarda le cose, animali compresi: esse sono al
servizio completo dell’uomo e di tutti gli uomini, nel rispetto
della gerarchia naturale e della capacità di servizio delle cose,
ossia nel rispetto dell’ecologia. Questi sono i principi e i valori
cristiani.

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V settimana di Pasqua – Sabato


I motivi della persecuzione
Paolo si recò anche a Derbe e a Listra. Vi era qui un discepolo chiamato
Timòteo… Paolo volle che partisse con lui… Le Chiese intanto andavano
fortificandosi nella fede e crescevano di numero ogni giorno. At 16,1-10
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se
foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete
del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia.
Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande
del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se
hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra». Gv 15,18-20
La dinamica del chicco di grano che, per portare frutto, deve
morire sottoterra, nasce dalla persecuzione, nella quale le comu-
nità cristiane crescono, al tempo di Paolo come oggi. Perché vi-
vere il vangelo e annunciarlo è motivo di persecuzione? A onor
del vero c’è una parte del messaggio evangelico che viene accol-
ta con simpatia: è quella che riguarda la giustizia sociale, la fede
nella Provvidenza, la guarigione dei malati, e in genere tutta la
proposta evangelica dove c’è qualcosa da «fare» o da «ricevere»,
due verbi che ben si attagliano alla natura umana. Questa parte
del vangelo non richiede dei grandi cambiamenti interiori, ma
solo di apportare delle leggere modifiche alla nostra vita, per
migliorare il modo di vivere nostro e delle persone che ci sono
vicine. È un messaggio che può essere accolto o non accolto,
ma non è motivo di particolare persecuzione. La persecuzione
si scatena, invece, quando all’uomo viene chiesto di cambiare
i propri convincimenti interiori, quelli che si è costruito len-
tamente nel tempo e che costituiscono i pilastri portanti della
propria esistenza. In altre parole la persecuzione nasce quando
si propone il rinnegamento di se stessi, perché l’uomo è fatto
per vivere, per andare avanti partendo da quello che è già, non
per ricominciare tutto da capo. Perdonare chi ci fa del male non
è umano, come non lo è porgere l’altra guancia, e nemmeno lo
è il cambiamento radicale del modo di vivere, di sentire, di rela-
zionarsi con Dio e con il prossimo. Siamo inoltre concordi nel
credere alla Provvidenza, perché questa ci permette di incremen-
tare ciò che abbiamo; ma lo siamo meno se si tratta di abbando-

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narsi a essa come fanno gli uccelli del cielo e i gigli del campo,
rinunciando completamente alle nostre sicurezze. È facile, infi-
ne, per un cristiano parlare di giustizia sociale, ma sono pochi
coloro che la applicano e ancora meno quelli che la vivono in
modo radicale. Questa seconda parte del messaggio evangelico è
causa di persecuzione, e l’apostolo è tentato di starne alla larga.

VI settimana di Pasqua – Domenica


Pentecoste, battesimo e cresima
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre
ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo
Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e
non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in
voi… In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e
io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che
mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi
manifesterò a lui». Gv 14,15-21

Comincia oggi la settimana di preparazione all’Ascensione,


che è il giorno in cui Gesù, compiuta la sua missione terrena,
ritorna al Padre. La settimana prossima vivremo quella che ci
prepara alla celebrazione della Pentecoste, il giorno nel quale lo
Spirito Santo discende sui discepoli e su Maria nel Cenacolo.
Per Gesù è tempo di «passaggio di consegne», così nel vangelo
di oggi comincia a preparare gli apostoli al futuro che li atten-
de. Nella Pentecoste lo Spirito Santo invierà loro i doni ne-
cessari alla missione: la sapienza, la potenza e la consolazione.
La sapienza consisterà soprattutto nella conoscenza di Gesù,
Figlio di Dio, e nel far memoria di quanto ha loro insegnato,
oltre alla capacità di saper leggere i segni dei tempi e all’aper-
tura della mente e del cuore alle future illuminazioni dello Spi-
rito Santo. La potenza è riferita in particolare all’annuncio del
vangelo, alla franchezza e all’autorevolezza con le quali viene
testimoniato. La consolazione è il dono che sarà necessario nei
momenti bui della fede, della missione, della persecuzione e
della prova. Questi doni sono gli stessi che Edoardo, il figlio di
Maria Francesca e Davide, ha ricevuto nel battesimo la notte di

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Pasqua, e che Paolo, il figlio di Anna Rita ed Eugenio, riceverà


domenica prossima. Essi sono consegnati a Edoardo e Paolo,
non per la loro fede, che essendo neonati, ancora non possono
avere, ma per quella dei loro genitori e padrini, che si impegna-
no a educarli cristianamente. Gabriele, il figlio di Gianmario
e Francesca, alla fine del prossimo mese riceverà, invece, il sa-
cramento della cresima, nel quale i doni ricevuti nel battesimo
verranno confermati, e in virtù del cammino di fede compiuto,
si effonderanno in lui con tutta la loro potenza ed efficacia.
A questo evento avrò il privilegio di collaborare anch’io, in-
sieme ai genitori e alla chiesa, perché oltre a essere nonno, sono
anche padrino (lo confesso, orgoglioso di esserlo!). In questi
giorni con Gabriele, ci incontreremo per dei momenti di pre-
ghiera e di meditazione insieme. Saranno momenti di grazia.

VI settimana di Pasqua – Lunedì


La comunione nella fede
Salpati da Tròade, facemmo vela direttamente verso Samotràcia e, il
giorno dopo, verso Neàpoli e di qui a Filippi, colonia romana e città del
primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni.
Il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che
si facesse la preghiera… Ad ascoltare c’era anche una donna di nome
Lidia, commerciante di porpora… una credente in Dio, e il Signore le
aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. Dopo essere stata battezzata
insieme alla sua famiglia, ci invitò dicendo: «Se mi avete giudicata fedele
al Signore, venite e rimanete nella mia casa». E ci costrinse ad accettare.
 At 16,11-15

Quando alcune persone erano andate da Gesù a dirgli che i


suoi fratelli lo stavano cercando, egli, guardando i discepoli che
erano con lui e che lo seguivano da un luogo a un altro della
Palestina, aveva risposto: «Sono questi i miei fratelli!». Con ciò
Gesù non aveva voluto disconoscere i suoi legami di sangue (la
parola «fratello» in aramaico, lingua povera di vocaboli, indica
anche i parenti), voleva soltanto affermare che tra fratelli di fede
si instaurano rapporti tali da essere anche più stretti di quelli
della parentela stessa. Del resto, se per un cristiano il momento

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più importante della giornata è – e lo è – quello della preghiera,


tra persone che pregano insieme si crea un legame molto forte,
dovuto alla consapevolezza di essere fratelli di fede e figli dello
stesso Padre celeste. È questo il sentimento che, nel brano di
oggi, nasce spontaneo tra la famiglia di Lidia, appena converti-
ta al vangelo, e la comunità di Paolo. È una comunione frater-
na tale da far sì che tutti vengano spontaneamente invitati ad
andare ad abitare nella sua casa. È per la forza di questo vincolo
che, anche oggi, sono molto più stabili le famiglie dove, oltre a
condividere l’abitazione e il pane quotidiano, si prega insieme.
Anche noi, in passato, quando avevamo i figli piccoli, siamo
stati invitati, con affetto e insistenza, a trascorrere le vacanze
estive in casa di fratelli nella fede, conosciuti durante incontri
di preghiera. Ricordiamo ancora con gioia le estati trascorse
all’isola di Pantelleria, in Sardegna, in Calabria, in Campania e
in Liguria, a Bocca di Magra. Mesi ricchi di sole, di nuotate e
di preghiera insieme. Anche oggi, che le vacanze con il pulmino
carico di figli sono un ricordo, quando ritorniamo nella nostra
Firenze, siamo sempre ospiti di Maria Rosa, con la quale da mol-
ti anni condividiamo fraterni momenti di preghiera. Non esiste
alcun’altra realtà che possa assicurare un’unione duratura come
la preghiera insieme. Quando vediamo i nostri figli sposati colti-
vare anche loro l’abitudine della preghiera in famiglia, ci sentia-
mo tranquilli e ringraziamo il Signore per questo dono di grazia.

VI settimana di Pasqua – Martedì


Lo Spirito Santo e la chiesa
«Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi
domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha
riempito il vostro cuore. Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me
ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece
me ne vado, lo manderò a voi. E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa
del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al
peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado
al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di
questo mondo è già condannato». Gv 16,5-11

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La storia della salvezza dell’uomo e del mondo è l’opera di


Dio per eccellenza ed egli vi partecipa totalmente nelle tre per-
sone che lo costituiscono. Nell’Antico Testamento è impegna-
to nella persona del Padre il quale, mentre opera, annuncia,
tramite i profeti, la futura venuta del Figlio, che si incarnerà
nella persona di Gesù di Nazaret. Egli, a sua volta, quando la
sua opera sta volgendo al termine, annuncia la successiva ve-
nuta dello Spirito Santo, con il quale comincerà il tempo della
chiesa. In questa terza fase, la salvezza del mondo, avvenuta
con la morte in croce e la risurrezione di Cristo, si realizza nella
pienezza. «È bene per voi che io me ne vada – dice Gesù nel
vangelo di oggi –, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il
Paràclito [lo Spirito Santo]; se invece me ne vado, lo manderò
a voi». Questo avverrà il giorno di Pentecoste. Poi Gesù ag-
giunge: «E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo
riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al pec-
cato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché
vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché
il principe di questo mondo è già condannato».
Sono tre versetti ermetici che papa Giovanni Paolo II spie-
ga molto bene nell’enciclica Dominum et vivificantem (1986):
«“Il peccato”, in questo passo, significa l’incredulità che Gesù
incontrò in mezzo ai “suoi”, cominciando dai concittadini di
Nazaret. Significa il rifiuto della sua missione, che porterà gli
uomini a condannarlo a morte. Quando successivamente parla
della “giustizia”, Gesù sembra avere in mente quella giustizia
definitiva, che il Padre gli renderà circondandolo con la gloria
della risurrezione e dell’ascensione al cielo: “Vado al Padre”.
A sua volta, nel contesto del “peccato” e della “giustizia” così
intesi, “il giudizio” significa che lo Spirito di verità dimostrerà
la colpa del “mondo” nella condanna di Gesù alla morte di cro-
ce. Tuttavia, il Cristo non è venuto nel mondo solamente per
giudicarlo e condannarlo; egli è venuto per salvarlo. Il convin-
cere del peccato e della giustizia ha come scopo la salvezza del
mondo, la salvezza degli uomini. Proprio questa verità sembra
essere sottolineata dall’affermazione che “il giudizio” riguarda
solamente il “principe di questo mondo”, cioè Satana». Alla
luce di questa spiegazione il nostro compito è quello di aprirci
all’azione della grazia e lasciarci salvare.

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VI settimana di Pasqua – Mercoledì


L’annuncio di Paolo all’Aeropago
Allora Paolo, in piedi in mezzo all’Areòpago, disse: «Ateniesi, vedo
che… siete molto religiosi. Passando… e osservando i vostri monumenti
sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: “A un dio ignoto”.
Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio. Il Dio
che ha fatto il mondo… che è Signore del cielo e della terra, non abita
in templi costruiti da mani d’uomo né… si lascia servire come se avesse
bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni
cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni… perché abitassero su tutta
la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del
loro spazio perché cerchino Dio… benché non sia lontano da ciascuno
di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno
detto anche alcuni dei vostri poeti: “Perché di lui anche noi siamo stirpe”.
Poiché dunque siamo stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità
sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e
dell’ingegno umano… Dio… un giorno… dovrà giudicare il mondo…
per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura
col risuscitarlo dai morti». Quando sentirono parlare di risurrezione…
alcuni lo deridevano, altri dicevano: «Su questo ti sentiremo un’altra
volta». At 17,22-32

Nel 1990 abbiamo avuto il privilegio di essere ricevuti da


Giovanni Paolo II nella sua cappella privata, insieme ad al-
tri leader mondiali del Rinnovamento Carismatico. Ci parlò
dell’evangelizzazione delle culture, tema a lui caro e ripreso
in contesti diversi. Ci disse: «È vero che la nostra fede non si
identifica con nessuna cultura, ma è altrettanto vero che essa
è chiamata a impregnare ogni cultura». È lo stesso pensiero al
quale si è ispirato Paolo nel suo discorso all’Aeropago di Atene,
consapevole di essere nel cuore della cultura del suo tempo, alla
presenza di filosofi stoici ed epicurei. È stupendo questo discor-
so di Paolo, tutto pervaso da grande fede, cultura e coraggio nel
presentare il pensiero cristiano integralmente, senza nasconde-
re la «stoltezza» e lo «scandalo» della croce. Non importa se,
quando ha parlato della risurrezione, si è sentito rispondere:
«Ti sentiremo un’altra volta». Il vangelo va presentato iniziando
dalla croce e dalla risurrezione. «Noi invece annunciamo Cristo

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crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1Cor


1,23) scriverà, poi, Paolo in una lettera alla comunità di Co-
rinto. Il rischio di presentare un cristianesimo edulcorato, per
renderlo accetto a tutti, è altissimo anche oggi, in quest’epoca
di globalizzazione, dominata dal desiderio di omologare ogni
cultura. I credenti e la chiesa devono essere coraggiosi e fermi
nell’annuncio del vangelo nella sua completezza.

VI settimana di Pasqua – Giovedì


L’attività dell’apostolo
Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un
Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia,
con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava
da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro e, poiché erano del medesimo
mestiere, si stabilì in casa loro e lavorava… infatti, erano fabbricanti di
tende. Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere
Giudei e Greci. At 18,1-4

Dopo aver ascoltato, nelle letture di ieri, il discorso di Paolo


all’Aeròpago di Atene, del quale non si sa se ammirare di più la
profondità teologica e filosofica o l’abilità retorica, oggi trovia-
mo Paolo a Corinto, dove, per guadagnarsi il pane quotidiano,
svolge il lavoro manuale di fabbricante di tende. Quando ho
cominciato ad avvicinarmi alle Sacre Scritture, questa sua atti-
vità lavorativa mi ha sorpreso un po’: da lui mi sarei aspettato
una professione da intellettuale, nella quale potesse mettere a
frutto la cultura e i talenti che la natura e il Signore gli avevano
donato. Poi, con il passare del tempo, familiarizzandomi un po’
con il personaggio Paolo, credo di avere compreso i motivi di
quella sua attività. Il vero lavoro di Paolo, da quando si è messo
a completo servizio dell’annuncio del vangelo, è sempre stato
quello di apostolo delle genti, nel quale ha profuso tutto il suo
impegno, la sua cultura e la sua dottrina.
Questa missione lo ha portato a viaggiare, a spostarsi conti-
nuamente e a fondare comunità cristiane, dalle quali avrebbe

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anche potuto essere mantenuto, ma, per sua stessa ammissione,


è sempre stato per lui motivo di orgoglio il fatto di provvedere
economicamente a se stesso. Tuttavia, sia per poter conciliare il
lavoro con i viaggi apostolici, che per motivi di libertà nell’an-
nuncio del vangelo, avrebbe potuto esercitare solo un’attività
come quella di fabbricatore di tende, che non lo vincolava né
a luoghi, né al potere politico, che spesso condiziona i rap-
presentanti della cultura. Sono scelte di vita fondamentali per
il cristiano di ogni tempo. Da un certo punto di vista, è be-
ne salire il più in alto possibile nella professione e nella scala
sociale, perché, da una posizione più elevata è possibile ope-
rare cristianamente su di un’area più vasta, come ci insegnò
monsignor Morini, rettore del seminario di Fiesole, quando
eravamo ancora fidanzati. La carriera professionale e sociale,
tuttavia, deve avere un limite ben preciso: quello tra la libertà e
il compromesso. Il cristiano, nella sua attività, deve mantenersi
assolutamente libero: se cede una volta è la fine, perché poi, da
un compromesso a un altro, vende la propria libertà e cessa di
essere un testimone del vangelo. Un giorno il presidente di una
società, per la quale ho lavorato, mi disse: «Lei potrebbe fare
una buona carriera, ma, purtroppo ci sono delle cose che non
le si possono chiedere». «Grazie – risposi – non me le chieda».
Quando, però, aveva bisogno di un parere franco e libero, si
rivolgeva a me.

VI settimana di Pasqua – Venerdì

La sua parola creatrice siamo noi


Una notte, in visione, il Signore disse a Paolo: «Non aver paura;
continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà
di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso». Così Paolo si
fermò un anno e mezzo, e insegnava fra loro la parola di Dio… Paolo si
trattenne ancora diversi giorni, poi prese congedo dai fratelli e s’imbarcò
diretto in Siria, in compagnia di Priscilla e Aquila. A Cencre si era rasato
il capo a causa di un voto che aveva fatto. At 18,9-18

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Quando in un’azienda di famiglia il figlio del titolare è cre-


sciuto a sufficienza per prenderne le redini, il padre, pur rima-
nendo di fatto il responsabile, assume il ruolo di presidente e
lascia operare il figlio. Quello che fa e decide il figlio, è come
se lo facesse e lo decidesse il padre, che si limita a supervisio-
nare e a consigliare. Se il figlio ha l’umiltà di lasciarsi guidare
dall’esperienza del padre, l’azienda va bene. È ciò che è succes-
so nella storia della salvezza. Il giorno di Pentecoste lo Spirito
Santo è disceso sugli apostoli ed è nata la chiesa, nelle cui mani
Dio ha posto il piano di salvezza, conservando il ruolo di re-
sponsabile e di suggeritore tramite lo Spirito Santo. E nella
misura in cui la chiesa si lascia guidare dallo Spirito Santo, il
piano di salvezza si realizza come se Dio operasse direttamente.
Alla chiesa è stato affidato il potere di rimettere i peccati degli
uomini, di spezzare il pane che, nell’eucaristia, diventa miste-
riosamente il corpo di Cristo, e il potere che Dio ha da sempre:
la Parola creatrice.
Questo potere, che Dio ha demandato alla chiesa, si eserci-
ta anch’esso misteriosamente, ma realmente, nell’annuncio del
vangelo. Quando l’uomo annuncia il vangelo Dio opera: «E
[Gesù] disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il
Vangelo a ogni creatura…”. Allora essi partirono e predicarono
dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confer-
mava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,15-
20). Ritornando al brano degli Atti degli apostoli che la chiesa
oggi ci propone, è probabile che Paolo, che non ha mai avuto
paura di annunciare il vangelo, all’inizio della sua missione a
Corinto, fosse un po’ sfiduciato per la delusione subita all’Ae-
ropago di Atene. In quella città, infatti, quando aveva parlato
della risurrezione, gli astanti se ne erano andati, dicendo che
ne avrebbero parlato in un’altra occasione. Allora, nel brano
di oggi, il Signore gli appare in visione e gli dice: «Non aver
paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e
nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un po-
polo numeroso». Ecco, le stesse parole il Signore le dice anche
a noi: «Non abbiate paura, ma continuate a parlare». E, se lo
faremo negli ambienti che frequentiamo, il Signore opererà e
noi vedremo fiorire i miracoli attorno a noi.

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VI settimana di Pasqua – Sabato


Chiedere e ottenere
«In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel
mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome.
Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Queste cose ve le ho
dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo
velato e apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel
mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti
vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da
Dio. Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo
il mondo e vado al Padre». Gv 16,23b-28

È in questi versetti del vangelo di oggi che sono radicate le


nostre preghiere di intercessione delle quali abbiamo spesso par-
lato. Alcune volte le rivolgiamo al Padre, altre al Signore Gesù
Cristo o allo Spirito Santo, oppure le affidiamo alla Madonna,
che le consegna direttamente al Padre, al Figlio e allo Spirito
Santo. La nostra preghiera di intercessione viene ascoltata ed
esaudita in virtù dell’amore e della potenza di Dio, ma anche
della nostra fede: «In quel giorno chiederete nel mio nome e
non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti
vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono
uscito da Dio». Il funzionamento della nostra preghiera si basa
sul principio della leva: c’è un problema da risolvere troppo
grande per noi (resistenza della leva), c’è la potenza della leva
che è quella di Dio, e c’è il fulcro che è costituito dalla nostra
fede. Data l’importanza dell’argomento riascoltiamo quanto il
Signore ci ha detto nella preghiera di due mesi fa. Egli ci ascol-
ta sempre, ma qualche volta succede che non ci esaudisca: vuol
dire che il suo progetto è più grande del nostro.
Dice Giovanni: «E questa è la fiducia che abbiamo in lui:
qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci
ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in tutto quello che gli
chiediamo, sappiamo di avere già da lui quanto abbiamo chie-
sto» (1Gv 5,14-15). La preghiera di intercessione ci difende
solo dal fatto che venga fatta la volontà del demonio, che è la
causa di tutti i mali, ma deve essere aperta ad accettare che la
volontà del Signore sia diversa dalla nostra. È la condizione po-

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sta dall’evangelista Giovanni: la nostra richiesta, perché venga


esaudita, deve essere «secondo la sua volontà». A noi sembra,
tuttavia, che il suo amore per noi sia così grande che, per esau-
dirci, qualche volta, il Signore abbia addirittura messo in atto
una modifica dei suoi progetti. La nostra preghiera può ottene-
re anche questo, perché un padre, quando può, cambia sempre
i suoi programmi per esaudire le richieste di un figlio. Qualche
volta può succedere, però, che il progetto del Signore sia così
grande da non avere alternative: allora lo dobbiamo accettare,
e accettandolo ne entriamo a far parte. L’unica cosa certa è che
noi dobbiamo chiedere, sempre e comunque, perché attraverso
le nostre richieste di intercessione si attualizza la nostra fede.

VII settimana di Pasqua – Domenica


Ascensione del Signore
Ascensione di Gesù al cielo
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove… Mentre si
trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme…
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il
tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non
spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo
potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e
di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria
e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu
elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il
cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si
presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare
il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo
stesso modo…». At 1,3-11

Gesù ha compiuto la sua missione terrena, promette ai disce-


poli lo Spirito Santo che farà loro ricordare tutto quanto hanno
ascoltato e vissuto nei tre anni trascorsi insieme a lui e ascende
al cielo. E gli apostoli rimangono con il naso all’aria, come i
bambini che guardano i palloncini innalzarsi e scomparire tra
le nubi. Ma dov’è andato il Signore il giorno dell’Ascensione?

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Certamente non nel cielo fisico, in qualche posto dell’universo.


Il paradiso, dove il Signore siede alla destra del Padre, anche
con il suo corpo, dove si trova? Nessuno lo sa. Le nostre povere
cognizioni di tempo e di spazio farebbero pensare a un luogo
nel quale il tempo si trasforma in eternità e il luogo in un’altra
realtà che abbia caratteristiche infinite.
Noi, con le nostre riflessioni, dobbiamo fermarci qui. Oltre
non possiamo andare. È importante, però, abbandonarci alla
fede e credere che questo ambiente spirituale esista: lì insieme
al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo ci aspettano il nonno
Renzo, la nonna Rita, il nonno Mario, la nonna Albertina, lo
zio Ilo, lo zio fra Ugo, padre Cipriano, padre Arturo, padre
Francesco, don Roberto, padre Tomaso e tutte le altre persone
care, dopo che ci hanno lasciato preziosissime eredità di affetti,
di esempi e insegnamenti. Probabilmente questo è l’atto di fe-
de più grande che ci sia richiesto, ma se lo faremo con umiltà,
saremo illuminati per capire quanto ci è necessario per vivere e
operare nel progetto di vita che ci è stato affidato. Alla fine an-
dremo anche noi in quel cielo, lasciando momentaneamente il
nostro corpo in terra, in attesa che alla fine anch’esso risorga. È
ciò che Gesù ci ha annunciato, e che noi crediamo. Con questa
fede viviamo nella gioia, e questa è la conferma che tutto quan-
to Gesù ci ha detto, e che la chiesa ci ricorda, è vero.

VII settimana di Pasqua – Lunedì


Il battesimo nello Spirito Santo
Paolo… trovò alcuni discepoli e disse loro: «Avete ricevuto lo Spirito
Santo quando siete venuti alla fede?». Gli risposero: «Non abbiamo
nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo»… Udito questo, si
fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe
imposto loro le mani, discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a
parlare in lingue e a profetare. Erano in tutto circa dodici uomini. Entrato
poi nella sinagoga, vi poté parlare liberamente per tre mesi, discutendo e
cercando di persuadere gli ascoltatori di ciò che riguarda il regno di Dio.
 At 19,1-8

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La dottrina della chiesa ci insegna che, durante il battesimo,


lo Spirito Santo prende dimora nel battezzato conferendogli
tutti i doni necessari per vivere il proprio progetto di vita, po-
tenziati dalle virtù teologali della fede, della speranza e della
carità. In questi due anni, con il battesimo di Mattia, Edoardo
e Paolo, gli ultimi nipotini arrivati, questo evento lo abbiamo
vissuto abbastanza spesso. In verità tale sacramento sarebbe le-
gato alla fede nel Signore, quindi dovrebbe essere la persona
stessa a chiedere di essere battezzata.
Alle origini della chiesa era così, ma dopo poco tempo la
prassi cambiò, poiché, in seguito alla predicazione apostolica,
famiglie intere chiedevano di essere battezzate e il sacramento
veniva conferito anche ai bambini e ai neonati che ne facevano
parte. In questi ultimi, tuttavia, non potendo ancora esservi la
consapevolezza dell’evento, lo Spirito Santo, allora come ades-
so, prende dimora per la fede dei genitori e dei padrini, che,
di fronte alla chiesa, si impegnano a educarli cristianamente.
Mattia, Edoardo e Paolo hanno già ricevuto tutti i doni che lo
Spirito Santo porta con sé, ma è come se questi doni fossero
avvolti in un pacchetto e solo nel corso degli anni, via via che
verranno educati alla fede, la potenza dello Spirito si effonderà
in loro, nelle sue molteplici forme.
Anche oggi, tuttavia, quando il battesimo viene conferito a
persone che credono già in Gesù Signore, può succedere di as-
sistere a manifestazioni straordinarie di gioia, di profezie, e può
accadere anche che parlino in lingue, come si legge nel brano
odierno. Il parlare in lingue, detto anche glossolalia, è un dono
spirituale molto semplice, che può manifestarsi durante il bat-
tesimo di un adulto, il quale, pervaso dallo Spirito Santo, non
potendo esprimere con parole che abbiano un senso compiuto
lo stato di beatitudine nel quale si trova in quel momento, si
abbandona a dei mormorii che ricordano il mugolio felice dei
lattanti quando sono soddisfatti. Nel Rinnovamento Carisma-
tico, che negli ultimi tempi ha avuto il merito di contribuire
al risveglio di carismi che si erano un po’ assopiti, questa espe-
rienza viene vissuta abbastanza spesso durante la preghiera di
effusione dello Spirito Santo.

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VII settimana di Pasqua – Martedì


Preghiera sacerdotale di Gesù (I)
Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta
l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato
potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro
che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero
Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra,
compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami
davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo
fosse. Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo.
Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora
essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole
che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno
veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io
prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato,
perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono
glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo,
e io vengo a te». Gv 17,1-11a

Questa preghiera, che Gesù rivolge al Padre alla fine della


sua missione terrena, prima di andare in croce, è di una altezza
spirituale tale, che noi non possiamo scorgerne la vetta. Solo
dopo ore di preghiera e di silenzio interiore possiamo avvici-
narci a questo brano del Vangelo di Giovanni, nella speranza
che possa posarsi su di noi un raggio di quella luce, un riflesso
dei sentimenti e dei pensieri che ebbe Gesù quando, con questa
preghiera, ha consegnato nelle mani del Padre il progetto della
sua vita terrena. Non vi è, in questo brano, alcuna preoccupa-
zione per quello che ne sarebbe stato l’epilogo sulla croce, dalla
quale insieme al progetto di vita riconsegnerà al Padre anche il
suo Spirito. Questa preghiera ha come oggetto solo gli apostoli,
che, nei tre anni vissuti con lui, hanno raccolto le sue rivelazio-
ni sul regno dei cieli, hanno assistito ai miracoli, sono vissuti
di Provvidenza e si sono stupiti, nelle loro prime esperienze
missionarie, di come i demoni si sottomettessero anche a loro.
Gesù è consapevole del fatto che, al momento, tutto ciò non è
presente nei pensieri degli apostoli, ma sa anche che, dopo la
sua ascensione al cielo, lo Spirito Santo scenderà su di loro, ed

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essi ricorderanno la verità tutta intera per poterla testimoniare


al mondo. E sarà la nascita della chiesa. Gesù sa che gli apostoli
proveranno, come lui, la gioia di essere ascoltati e di assistere a
miracoli, che subiranno persecuzioni e condanne, che saranno
dispersi per il mondo e concluderanno con il martirio la loro
vita terrena. E affinché tutto questo si realizzi in pienezza egli
prega per loro. Anche noi genitori, dopo anni di cammino in-
sieme ai nostri figli, dovremo affidarli al Signore con una pre-
ghiera che assomigli un po’ a questa del vangelo di oggi.

VII settimana di Pasqua – Mercoledì

Preghiera sacerdotale di Gesù (II)


«Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché
siano una sola cosa, come noi. Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo
nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato
perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura.
Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano
in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il
mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono
del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca
dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me
nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me
stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità». Gv 17,11b-19

Questo brano del Vangelo di Giovanni costituisce la secon-


da parte della preghiera sacerdotale di Gesù al Padre, prima di
essere arrestato dai soldati e di essere crocifisso. Il suo progetto
è compiuto, è giunta l’ora di offrire la vita perché da quei primi
discepoli, che il Padre gli ha affidato, nasca la chiesa: «Consa-
crali nella verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche
io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso,
perché siano anch’essi consacrati nella verità». Ritornando alla
meditazione di ieri, il Padre ha ascoltato questa preghiera di
Gesù, ha accettato che suo Figlio offrisse la sua vita perché il
piano di salvezza del mondo si realizzasse, e ha ripreso nelle

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sue mani il progetto. Dopo la risurrezione, il Padre invierà nel


mondo lo Spirito Santo, che illuminerà Pietro, gli apostoli e i
discepoli, facendo loro ricordare tutto quanto Gesù aveva detto
e fatto: e nascerà la chiesa. Il concepimento della chiesa, però, è
avvenuto nel momento in cui Gesù ha offerto la sua vita perché
nascesse: è il chicco di grano che deve morire sottoterra, perché
da esso nasca la nuova spiga. È l’inizio della storia della chiesa
che, sull’esempio di Gesù, vive e si propaga nel mondo finché
ci saranno persone che offriranno la loro vita per l’annuncio
del vangelo.
Leggevamo qualche giorno fa, sul «Corriere della Sera», un
articolo che riportava la crescita e lo sviluppo della chiesa in
Africa. È sicuro che tutta l’Africa si convertirà, non potrà es-
sere altrimenti, dal momento che c’è stato un uomo, Danie-
le Comboni, che ha offerto la sua vita per l’evangelizzazione
dell’Africa. «Io morirò – diceva Daniele Comboni – ma il mio
progetto non morirà». La stessa cosa succederà in Asia, per la
conversione della quale dei missionari come Francesco Saverio
e Matteo Ricci hanno offerto la loro vita. Finché ci saranno
degli uomini che offriranno la loro vita per il vangelo, il Padre
manderà sempre il suo Spirito, perché non è possibile che si
faccia battere da qualcuno in generosità.

VII settimana di Pasqua – Giovedì


Preghiera sacerdotale di Gesù (III)
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in
me… come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché
il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me,
io l’ho data a loro… Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità
e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai
amato me. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me
dove sono io… Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho
conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto
conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale
mi hai amato sia in essi e io in loro». Gv 17,20-26

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«Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39), escla-


ma il centurione romano sotto la croce, vedendo Gesù di Na-
zaret morire in quel modo: soffrendo crudelmente, ma perdo-
nando tutti. È un’intuizione, una consapevolezza che lo assale
all’improvviso mentre è di servizio per curare che quell’esecu-
zione avvenga regolarmente.
Quella stessa esclamazione la dovremmo emettere anche
noi, ogni mattina, quando, aprendo il vangelo, siamo raggiunti
dalla potenza dei suoi miracoli, dalla verità delle sue parabole,
dalla sua compassione verso i malati e verso i poveri, dalla sua
santità che fa fuggire i demoni, dalla sua comunione con il
Padre e dal suo bisogno di pregare, dalla sua franchezza nel
parlare, dalla sua libertà di fronte alle opinioni della gente e
alla ristrettezza della legge, dalla sua capacità di saper leggere
nel pensiero e nel cuore degli uomini, dal suo camminare sulle
acque e dal suo amore per i peccatori.
I vangeli sono una continua, incalzante dimostrazione che
Gesù di Nazaret è veramente il Messia, il Figlio di Dio. Nel
vangelo di oggi siamo raggiunti dagli ultimi versetti della sua
preghiera sacerdotale, di fronte alla quale anche noi, come il
centurione, non possiamo fare a meno di esclamare: «Davvero
quest’uomo era Figlio di Dio!». È una preghiera che avvolge
tutti e nella quale tutti, anche noi, siamo presenti. Rileggia-
mola lentamente, lasciando a ogni parola il tempo di penetrare
nel nostro cuore, come l’acqua, dopo la pioggia, penetra nel
terreno assetato:
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che cre-
deranno in me… come tu, Padre, sei in me e io in te, siano
anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro. Io in loro
e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca
che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me…
E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conosce-
re, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in
loro».
Preghiamo, dunque, perché il Signore dia anche alla chiesa
di oggi questa unità e questo spirito di testimonianza.

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VII settimana di Pasqua – Venerdì

I martiri costruiscono la chiesa


Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio
di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo
sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo,
per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose:
«Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie
pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi
bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse:
«Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio
bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti
dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma
quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà
dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe
glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi». Gv 21,15-19

La chiesa è la sposa di Gesù Cristo, la realtà umana che egli


ha amato fino al punto di donare la sua vita per lei. Ma quando
Gesù parla di chiesa non pensa alle cattedrali, e nemmeno ai
vescovi e ai sacerdoti che nel corso dei millenni la dovranno
guidare e servire: pensa agli uomini, le pecorelle che ne faranno
parte e che in essa troveranno la fede, la verità, la consolazione
e la speranza nella vita eterna. Pietro era già stato scelto da tem-
po ad esserne il capo: per questo era stato chiamato, istruito e
formato. Il vangelo di oggi, però, ci mostra l’esame di laurea
che egli deve sostenere prima di diventare veramente il capo
della chiesa. Esso non riguarda la sua leadership, e nemmeno la
fede, o ciò che ha imparato nei tre anni vissuti col Maestro. La
materia di esame è l’amore per Gesù, e conseguentemente per
la chiesa. Non è possibile amare Cristo Gesù, se non si ama la
chiesa, perché non si può amare il capo se non si ama tutto il
corpo. A Pietro, prima di affidargli la chiesa, Gesù rivolge per
tre volte la stessa domanda: «Mi ami?», finché alla fine egli ri-
sponde: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».
Gesù ripete per tre volte la stessa domanda per esorcizzare
il fatto che Pietro lo aveva rinnegato per tre volte. È una ripe-
titività necessaria perché, per donare la vita, come Pietro sarà

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chiamato a fare, il suo amore per Gesù e per la chiesa dovrà


essere più grande del proprio peccato, che è stato quello di rin-
negarlo tre volte. «Io sono il buon pastore e do la mia vita per
le pecore» (Gv 10,14-15), aveva detto Gesù ai suoi discepoli. È
la fine che Gesù profetizza a Pietro, alla conclusione del brano
di oggi: «Quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi do-
ve volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani [sulla
croce], e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Alla
fine – cioè – tu sarai in balìa degli uomini e dovrai offrire la
tua vita come l’ho offerta io. È così che si costruisce la chiesa.
E anche la famiglia.

VII settimana di Pasqua – Sabato

Il momento della diaspora


Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui
che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore,
chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore,
che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché
io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la
voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto
che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga,
a te che importa?». Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha
scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora
molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso
che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero
scrivere. Gv 21,20-25

Pietro aveva una vera predilezione per Giovanni che, tra gli
apostoli, era il più giovane, il cucciolo della compagnia. Nei
vangeli li incontriamo abbastanza spesso insieme: erano giunti
insieme anche al sepolcro, dopo aver ricevuto da Maria Mad-
dalena l’annuncio della risurrezione. Gesù aveva appena chie-
sto a Pietro per tre volte «Mi ami?» e aveva ricevuto altrettante
volte la risposta «Ti voglio bene», dopodiché lo aveva confer-

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mato capo della chiesa, ruolo al quale Pietro era destinato da


tempo. Pietro, allora, che certamente aveva ipotizzato il suo
futuro insieme a Giovanni, chiede a Gesù: «Signore, che cosa
sarà di lui?». È il momento della separazione, perché il Signore
ha in serbo per loro due progetti apostolici diversi.
È una situazione che abbiamo vissuto anche noi quando
abbiamo dovuto separarci da padre Tomaso, padre Raniero,
padre Fausto, padre Vittorio, don Patrizio, suor Maria France-
sca, Oliviero Gulot, Giovanni Martini, Cecilia Cortese e tanti
altri, con i quali avevamo fatto un lungo cammino di fede in-
sieme. È il momento della missione, ciascuno ha da compiere
la propria, quella che gli è stata affidata. Tuttavia, quando si è
condiviso il Signore per lungo tempo, si rimane fratelli nella
fede per sempre. Ogni tanto succede che ci incontriamo, un
po’ invecchiati e con qualche acciacco, ma è come se ci fossimo
separati il giorno prima. Comunque è solo una diaspora mo-
mentanea, perché il nostro destino è di ritrovarci insieme nella
comunione dei santi, per l’eternità. Quando ci incontriamo
è bello raccontarci ciò che il Signore ha fatto della nostra vita
dall’ultima volta in cui ci siamo visti. Abbiamo tante di quelle
cose da dirci che, forse, anche per noi potrebbe valere ciò che
dice oggi Giovanni, alla fine del suo Vangelo: «Se fossero scritte
una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a con-
tenere i libri che si dovrebbero scrivere».

Domenica di Pentecoste
Pace a voi e pace a tutti!
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le
porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne
Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò
loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù
disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io
mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A
coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non
perdonerete, non saranno perdonati». Gv 20,19-23

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Oggi il vangelo ci insegna qualcosa di molto importante:


ci aiuta a riflettere sulle nostre chiusure. Gesù entrò nel luogo
dove si trovavano i discepoli, a porte chiuse perché avevano
paura dei giudei, agitati dalla notizia della risurrezione. En-
trando, Gesù porse il proprio saluto: «Pace a voi!». In quel caso
le porte erano chiuse per paura, ma ci sono molti altri motivi
per i quali i cristiani si incontrano tenendo chiuse le porte,
talvolta anche quelle del cuore. Partecipiamo alla santa messa
della domenica a porte chiuse e ci incontriamo per pregare in-
sieme a porte chiuse. Teniamo le nostre porte chiuse, come se
fossimo ancora al tempo delle catacombe. I motivi apparenti
delle nostre chiusure possono essere le stanchezze, qualche pre-
occupazione, l’abitudinarietà degli incontri, la privacy; ma il
vero motivo è che non abbiamo la consapevolezza che, quando
ci incontriamo insieme nel suo nome, il Signore è veramente
in mezzo a noi.
Se fossimo consapevoli di questa verità, quando ci incon-
triamo dovremmo metterci a cantare e lodare il Signore, spa-
lancando porte e finestre. Tuttavia, anche se questa intima
convinzione non ce l’abbiamo, il canto e la preghiera di lode
hanno il potere di suscitarla. Non c’è niente di più bello e coin-
volgente che cominciare a cantare e lodare il Signore quando
ci incontriamo: il cuore e la mente si aprono, ci prendiamo per
mano e sentiamo di essere fratelli in Cristo. Alla fine, quando
l’incontro di preghiera finisce, con le porte del cuore che si
sono spalancate, possiamo andare in un modo nuovo verso gli
impegni della giornata, a incontrare persone a loro volta con le
porte chiuse.
E quando entriamo in ufficio, anziché salutarci con il solito
«buongiorno», sarebbe bello poter iniziare la giornata lavorativa
con un sincero: «Pace a voi!». Anche se non è possibile metterci
a cantare e a lodare il Signore per la strada, in metropolitana
e in ufficio, salutiamo le persone che incontriamo anche solo
con un semplice sorriso, foriero di pace: le porte si apriranno e
vivremo tutti le nostre relazioni quotidiane a porte spalancate.
Aprire le porte a Cristo, come ci ha esortato a fare papa Gio-
vanni Paolo II, vuol dire aprire le porte alla gente e alla vita. È
una terapia sociale.

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Santissima Trinità

Maria ci ascolta sempre


Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio,
infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo,
ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non
è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha
creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. Gv 3,16-18

Il vangelo della liturgia odierna è tratto dal discorso che Ge-


sù rivolge a Nicodemo, un fariseo, un membro del sinedrio,
un uomo importante in Israele, che andava a parlare con lui
perché aveva intuito che in quel «rabbi» c’era qualcosa di so-
vrannaturale; ma ci andava di notte, per non essere veduto da
nessuno. Questo sarebbe un bell’argomento di cui parlare. Un
altro, ancora più importante, sarebbe quello della Trinità di
Dio, che questa domenica la chiesa celebra. Ma oggi abbiamo
posticipato alla sera la preghiera del mattino, allora devo par-
lare di Maria dispensatrice di tutte le grazie, siano esse grandi
o piccole, come quella che ho ricevuto oggi pomeriggio. La
grazia di oggi ha un antefatto, che risale a quando, da giova-
ne, giocavo nella squadra di calcio del mio paese. Un giorno,
durante una partita che stava per terminare senza che, contra-
riamente al solito, io fossi riuscito a fare un goal, pregai dal
profondo del cuore: «Maria Santissima, aiutami tu, perché oggi
da solo non ce la faccio!». Finita la preghiera mi arriva il pallo-
ne e, spalle alla porta, anziché girarmi, feci quella che, nel lin-
guaggio calcistico, si chiama una «rovesciata» e il pallone andò
a infilarsi all’incrocio dei pali della porta, dove il portiere non
sarebbe mai potuto arrivare. Goal! Questo pomeriggio, più di
cinquant’anni dopo, mentre stavo guardando alla televisione
la partita che la mia Fiorentina stava giocando con il Torino,
senza riuscire a segnare, sebbene stesse giocando bene, ho fatto
la stessa preghiera: «Maria Santissima, aiuta la Fiorentina a fare
un goal. Lo sai che questa partita la deve proprio vincere, per
poter partecipare l’anno prossimo alla Coppa dei Campioni.
Io lo so che tra le preghiere di intercessione che ricevi, questa è

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molto futile, ma ti chiedo di esaudirmi, come mi hai esaudito


tanti anni fa. Io sono sempre lo stesso».
Terminata questa preghiera, a Osvaldo, un giocatore della
Fiorentina, è arrivato il pallone nella stessa posizione in cui,
tanti anni prima, era arrivato a me; lui fa la stessa rovesciata
e il pallone è andato a infilarsi nello stesso angolino, dove il
portiere non sarebbe mai potuto arrivare. Goal! «Grazie Maria!
Non solo hai esaudito la mia preghiera, ma ci hai messo anche
la firma. Anche tu sei sempre la stessa!».

SS. Corpo e Sangue di Cristo


L’eucaristia, fonte di vita
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo
pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del
mondo»… Gesù disse: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha
la vita eterna… rimane in me e io in lui. Come il Padre… ha mandato
me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me…
Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Gv 6,51-58

La vita terrena inizia e finisce con il corpo, come una can-


dela che alla fine si spenga. Dio, per rivelarsi completamente
all’uomo, si è incarnato nel corpo di Gesù di Nazaret, il quale
ci ha salvati offrendo il suo corpo sulla croce, e il Padre lo ha
risuscitato con il suo corpo. È asceso al cielo con il suo corpo,
ha costituito la chiesa che è il suo corpo mistico, e ci ha lasciato
in dono il suo corpo eucaristico. Come il corpo del Cristo ri-
sorto, che è presente nel pane e nel vino dell’eucaristia, ci doni
la vita è un mistero, non si può spiegare: si può solo vivere e,
vivendolo, se ne prende atto. La prima creazione è iniziata con
il divieto di mangiare il frutto proibito, la salvezza si compie
con il comando di mangiare l’eucaristia. Nessuno ne è degno,
ma è ricevendola che ne diventiamo sempre più degni. Quel
pane spezzato ci dà l’energia per camminare, ogni giorno, per
le strade del mondo, e ha il potere di far crescere in noi sempre
più la nostalgia di Dio, per cui alla fine lasciamo con gioia il
nostro corpo, perché andiamo a incontrare Dio nell’eternità.

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Da quando, ogni giorno, andiamo a ricevere l’eucaristia al san-


tuario di Saronno, la nostra vita ha assunto una pienezza diver-
sa; ma non solo la nostra. Ascoltiamo questa testimonianza di
monsignor Riboldi, vescovo di Acerra.
«Su una strada di campagna incontro sempre, al mattino,
una donna anziana. Si regge ben dritta, appoggiandosi a due
stampelle, che la sorreggono e facilitano i suoi passi. La fermai,
un giorno, per chiederle dove andava. “Sto andando, come ogni
mattina, alla santa messa a ricevere l’eucaristia. Ho ottant’anni.
È mia abitudine, fin da giovane, di non far passare neppure un
giorno senza ricevere l’eucaristia Fatico molto. Non voglio che
alcuno mi accompagni, perché camminando già pregusto la
gioia di ricevere Dio nel mio cuore e al ritorno l’infinita gioia
di essere con lui. E non sento più neppure la fatica, come se lui
mi sorreggesse”. Davanti al mio stupore mi disse: “Padre, nella
vita si può fare a meno di tante cose, che spesso non hanno
sapore, o se l’hanno non soddisfa. Ma non si può fare a meno
di amare e di essere amati. E se chi ti ama, è il tuo Signore, che
diviene la tua vita, questo ti fa volare. E lei vuole che io non mi
lasci riempire dall’amore di Dio? È il dono più bello che Dio
mi fa. E questa fatica che faccio mi sembra sia un camminare
verso il Paradiso. Se la gente capisse!”. Scrollò il capo e se ne
andò tutta presa dall’attesa di ricevere “il pane della vita”».
Se davvero la gente lo capisse!

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tempo ordinario
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I settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


La vita nuova
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando
il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea,
vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in
mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò
diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni
suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li
chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni
e andarono dietro a lui. Mc 1,14-20

Nei primi versetti del brano di oggi incontriamo alcune


espressioni chiave del vangelo, sulle quali occorre riflettere, per
cogliere in profondità il significato che contengono. La prima
è: «Il tempo è compiuto». Vuol dire che il tempo dell’attesa è
finito, che è giunto a maturazione il momento propizio per de-
cidere. Può essere l’inizio della nostra avventura esistenziale o,
se sbagliamo decisione, può essere il definitivo insabbiamento
del nostro progetto di vita. Sono momenti unici e irripetibili,
che la vita e la storia ci presentano, nei quali occorre avere la
prontezza di alzarsi e partire. La seconda è: «Il regno di Dio è
vicino». Vuol dire che l’anelito di una vita diversa, che ciascuno
porta nel cuore, è prossimo alla sua realizzazione. È giunto il
tempo della giustizia, della libertà, della pace, dell’abbondanza,
della fedeltà, della verità, dell’amore, della gioia e della fratel-
lanza. È il contenuto stesso del messaggio evangelico, è l’an-
nuncio della chiesa. La terza è: «Convertitevi». Questa parola
ci indica il passo che si deve compiere per entrare nel nuovo
Regno. Occorre volgere le spalle al passato e iniziare una vita
nuova. Vuol dire orientare il cammino verso una nuova dire-
zione, buttare via ciò che in noi è vecchio e abitudinario per
andare verso un nuovo modo di pensare, di sentire, di operare
e di vivere. La quarta è: «Credete nel Vangelo». Questa espres-
sione annuncia il passo successivo da compiere: credere che la
vita nuova è presente nella persona di Gesù Cristo.
I versetti seguenti, che ci presentano le prime chiamate di

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Gesù, mostrano in concreto che cosa voglia dire credere al van-


gelo. Sono due scene strutturate allo stesso modo: Gesù passa,
chiama, e i discepoli abbandonano tutto e lo seguono. È un
esodo da una vita vecchia verso quella nuova del Regno: nuo-
vi pensieri, nuovi sentimenti, nuovi interessi, nuove speranze.
Nasce nel cuore una diversa capacità di amare e di perdonare:
una gioia che non ha eguali.

I settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Una parola libera e una vita libera
Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga,
insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava
loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro
sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò
a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a
rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente:
«Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì
da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda:
«Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda
persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito
dovunque, in tutta la regione della Galilea. Mc 1,21-28

Oggi il Vangelo di Marco ci presenta Gesù che insegna nella


sinagoga di Cafarnao. Non dichiara l’oggetto dell’argomento,
ma ci dice che si tratta di «un insegnamento nuovo», annuncia-
to con autorità, e ce ne mostra gli effetti: meraviglia e stupore
nelle persone presenti, oltre al potere di sradicare il male dove si
annida. È la potenza della parola di Dio che, oggi come allora,
vince le nostre inerzie e gli ostacoli che ci trattengono nell’Egit-
to della nostra indifferenza, facendoci alzare in piedi per inizia-
re un esodo da noi stessi, alla sequela di Gesù. È la liberazione
da un male sociale radicato da millenni, che si esprime nella
cupidigia, nell’egoismo, nella continua ricerca del massimo
profitto e nello spirito di dominio. In questo Egitto, nel quale
gli uomini sono sempre stati schiavi, i malati psichici, che sono
le persone più deboli, coloro che non riescono a instaurare un

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rapporto maturo con una società tanto difficile, finiscono per


essere ancora più devastati.
Diceva monsignor Pezzoni, prevosto di Varese, ricordando
gli anni in cui si era dedicato ai suoi cari «matti», che sempre
rimpiangeva: «Non esiste povero più povero di colui che non è
padrone neppure del proprio pensiero». È il peccato del mon-
do che, continuamente alimentato dall’uomo, sempre pronto a
concedere diritti al demonio, si riversa sulle persone più deboli.
È lo spirito del male, radicato nella società, che non ha niente
in comune con la parola di Dio – libera e liberante – con la
quale non è possibile alcun tipo di compromesso. Questo stato
di cose trova la sua esplosione nel grido di questo indemoniato:
«Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so
chi tu sei: il santo di Dio». Ma Gesù, rivolgendosi direttamen-
te allo spirito del male, che rende schiavo quello sventurato,
gli comanda: «Taci! Esci da lui». È il processo di liberazione
dell’uomo, che prende le mosse dalla parola di Dio, sempre ca-
pace di liberare dal male e di andare oltre. Nasce, allora, un pro-
gramma di vita anche per noi, per combattere, dalla parte del
Signore, la battaglia contro la schiavitù dell’uomo: una parola
libera che rifletta la libertà del vangelo, confermata da un mo-
do di vivere libero. Una parola libera e una vita libera costitui-
scono il vero modo per attaccare il male sociale alla sua radice.

I settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


I nonni in famiglia
E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e
Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone
era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la
fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
 Mc 1,29-31

La guarigione della suocera di Pietro era il brano preferito


dalla nonna Betta, perché era quello che meglio fotografava il
suo ruolo in casa nostra. Dopo la morte del nonno Mario, la
nonna Betta si era ammalata gravemente di angina pectoris e

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per tutto il resto dei suoi anni ha dovuto convivere con il mal di
cuore. Quando la mamma e io, dopo il matrimonio, ci siamo
trasferiti in Lombardia e l’anno successivo anche lo zio Paolo
si è sposato, la sua prospettiva sarebbe stata quella di rimanere
sola e malata nella casa di Firenze. Così accettò subito l’invito di
venire a vivere con noi, e per ben ventisei anni ha costituito, nella
sua fragilità fisica, una delle colonne della nostra famiglia. Le
nascite dei nipoti, nel loro frequente susseguirsi, la riempivano
di gioia e le rinnovavano la voglia di vivere. Voleva mantenersi
in buona salute, per poter preparare le pappe al neonato di
turno. Il giorno in cui la mamma, terminati gli allattamenti,
tornava a insegnare, lei prendeva in mano la situazione con
i suoi brodini di verdure, perché non si è mai fidata degli
omogeneizzati. Poi arrivava il periodo dell’asilo, con i grembiulini
da preparare al mattino e i racconti da ascoltare alla sera.
A mano a mano che i nipoti crescevano, aumentava la sua
attenzione all’abbigliamento, frutto della sua abilità di sarta.
Nessuno poteva uscire di casa senza aver superato il suo controllo
«estetico», e nessuno vi rientrava senza la certezza di un bel
piatto di pastasciutta, immediatamente seguito dalla verifica
scolastica. E se le cose non erano andate per il verso giusto lei,
che non credeva affatto nelle moderne teorie pedagogiche, a
parer suo pericolosamente permissive, provvedeva subito alla
correzione: prima che rincasassimo noi genitori, prendeva il
mestolo e scaldava ben bene il sedere dei nipoti negligenti.
«Tanto lì non si fa alcun danno», diceva tutte le volte. Con il
passare degli anni, le sue energie erano diminuite e, negli ultimi
tempi, non riusciva nemmeno ad alzarsi per la preghiera del
mattino, che aveva sempre considerato il momento più bello
della giornata. Così, prima di uscire per andare al lavoro, noi
ci fermavamo in camera sua a pregare un po’ con lei. In uno di
quei momenti, pochi giorni prima che morisse, ci confidò: «Io
vi devo ringraziare, perché in questi anni vissuti con voi, sono
stata bene come con mio marito». Il ricordo di quelle parole,
ancor oggi, ci suscita gioia profonda. Adesso la nonna riposa
nel cimitero di Castellanza e sulla sua tomba abbiamo scritto:
«In terra ci hai amato con il tuo lavoro, dal Cielo ci ami con la
tua preghiera».

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I settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Gli emarginati ci salveranno
Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva:
«Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò
e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui
ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e
gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al
sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come
testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a
divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in
una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni
parte. Mc 1,40-45

La figura di questo lebbroso ci fa riflettere sul problema


dell’emarginazione. Chissà perché la società, le organizzazioni,
e anche i contesti familiari, a un certo punto, per sopravvi-
vere, sentono il bisogno di emarginare determinate persone.
Sembra quasi che allontanando certi soggetti, o certe catego-
rie, tentiamo di allontanare quanto c’è di male, di malato o di
squilibrato in noi, cosicché, relegandolo al di fuori del nostro
ambiente, abbiamo la sensazione di diventar migliori. Nasce,
allora, l’emarginato, sul quale si scarica, e quasi si esorcizza,
tutto il male della società. Stiamo parlando di ogni emarginato:
dei vecchi, dei disabili, dei malati, dei carcerati, dei forestieri,
dei poveri, di tutti coloro con i quali il Signore si identifica:
«Ho avuto fame, ho avuto sete, ero malato, ero straniero, ero
in carcere» (Mt 25,31-36). Dobbiamo renderci conto che è so-
lo dando loro da mangiare, da bere, accogliendoli e andando
a visitarli, che gli emarginati ritornano normali, e coloro che
vivono nel recinto della normalità possono compiere il loro
cammino di redenzione. È la dinamica sociale, nella quale si
alternano e si intrecciano la malvagità e la santità, perché l’uo-
mo, a differenza di tutte le altre creature, è impastato di be-
ne e di male. Alla fine, per quanto possa sembrare incredibile,
saranno gli emarginati a salvarci, come Gesù – l’emarginato
per eccellenza – ci ha salvati, perdonati e redenti sul Calvario:
«La pietra che i costruttori hanno scartato, è diventata la pietra
d’angolo» (Mc 12,10). È un meraviglioso mistero, di fronte al
quale ogni riflessione si fa preghiera: «Liberaci, Signore, da un

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vangelo facile, ovvio, scontato. Liberaci da un vangelo d’élite.


Donaci un vangelo più povero, ma condiviso».

I settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Dio ci salva di persona
… Si recarono da lui portando un paralitico… Non potendo però
portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto… e…
calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la
loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano
seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così?
Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito
Gesù… disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa
è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire
“Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il
Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te –
disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». Quello
si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò.
 Mc 2,3-12

Quando ero un giovane ingegnere, mentre stavo lavorando


alla mia scrivania, vidi, al di là della vetrata che ci separava, il
capufficio rispondere al telefono, riattaccare la cornetta, pren-
dere la giacca e partire. In un cantiere erano sorti problemi
seri. Al suo ritorno mi chiamò in ufficio, affinché lo informassi
sull’attività che stavo svolgendo e, mentre si parlava, mi rac-
contò ciò che era accaduto in cantiere. «Ingegnere – mi permisi
di dire – non avrebbe potuto dare disposizioni per telefono?».
Mi rispose: «Ti insegno un segreto: se il problema da risolvere
è piccolo, telefona; se è più grande, manda un collaboratore;
se il problema è grave, vai di persona». Questa regola mi ha
fatto spesso riflettere su quanto dovesse essere grave il problema
dell’umanità se, a un certo punto, Dio ha deciso di incarnarsi
in Gesù di Nazaret e venire, di persona, a mettere le cose a
posto, tra di noi.
Era successo che l’uomo si era completamente perduto nel
peccato e aveva un disperato bisogno di rinascere a vita nuova.
Non erano stati sufficienti i messaggi illuminati dei profeti e

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neppure la collaborazione di uomini come Abramo e Mosè.


L’uomo doveva risorgere dal di dentro e, perché questo potesse
accadere, era necessario che Dio diventasse uomo tra noi, che
morisse in croce, perdonando tutti, che risorgesse da morte,
manifestazione estrema del male e del demonio. È da quel per-
dono e dalla sua risurrezione che è nata una umanità nuova. È
la parabola della pecorella smarrita portata alle estreme con-
seguenze. Il peccato nel mondo c’è ancora, ma il perdono che
Gesù ha portato dal cielo alla terra, affidandolo poi alla chiesa
con il sacramento della riconciliazione, ci permette di rinascere
continuamente a vita nuova. È la salvezza della quale il paralitico
di oggi ha il privilegio di vivere l’anticipazione: «Ti sono perdo-
nati i peccati». E quanto tutto questo sia vero è manifestato dal
fatto che il paralitico prende il suo lettuccio e torna a casa felice.

I settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Gesù e il perbenismo
Passando, vide Levi…, seduto al banco delle imposte, e gli disse:
«Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di
lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi
discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei
farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi
discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?»…
Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati;
io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».  Mc 2,14-17

Il vangelo di oggi è un’icona con due scene: la chiamata


di Matteo e il banchetto di Gesù con i peccatori. Matteo è
seduto al banco delle gabelle, bloccato come il paralitico di
ieri, e intento a far soldi con un lavoro da molti ritenuto poco
onesto. Gesù lo chiama; Matteo si alza e lo segue. Con questa
scena, raffigurata mirabilmente in un quadro del Caravaggio,
Gesù manda in frantumi ogni diaframma sociale fra giusti e
peccatori. Con il suo ingresso nelle vicende umane, non esisto-
no più giusti e peccatori: esistono uomini e donne che, nella
misura in cui si sentono peccatori, sono giusti. È un primo
colpo al perbenismo di ogni tempo; il secondo colpo, ancora

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più deciso, viene inferto nella seconda scena, durante il pranzo


con i peccatori. La predilezione di Gesù per le persone «poco
raccomandabili», come i pubblicani e le prostitute, ha sempre
sorpreso e scandalizzato le persone «di sani principi morali»,
equilibrate e rispettose delle buone regole del vivere civile. Nel
vangelo di oggi egli è seduto a tavola con questa gente, che gli
scribi e i farisei considerano lo scarto della società. Essi potreb-
bero accettare che Gesù si rivolgesse anche a loro, per correg-
gerli con i suoi insegnamenti, ma si scandalizzano nel vederlo
seduto a tavola con quella compagnia, nella gioia della convi-
vialità. Questo suo desiderio di condividere i momenti gioiosi
con i peccatori, ci ricorda il dottor Moscati, che la chiesa ha, da
pochi anni, proclamato santo. Egli, pur essendo un medico ec-
cellente, ha scelto di curare i poveri della Napoli del suo tempo,
condividendone sia le sofferenze e la miseria che i momenti di
gioia, con spirito festosamente partenopeo.
La verità che brilla in questa pagina del vangelo consiste nel
riconoscere che la salvezza è un dono e, pertanto, i giusti non
sono coloro che si credono tali, ma quelli che si sentono biso-
gnosi di questo dono e lo accettano con entusiasmo. Per poter
far festa con il Signore, occorre allora individuare le zone d’om-
bra della nostra vita: sono queste che ci permettono di sederci
a tavola con lui, insieme a Matteo e ai suoi amici di dubbia
reputazione, affinché la luce della salvezza possa dissiparle.

II settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Gesù di Nazaret, l’agnello di Dio
Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, [Giovanni Battista]
disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è
colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me,
perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare
nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò
dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal
cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha
inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere
e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto
e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». Gv 1,29-34

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

Nella storia delle religioni il modo che gli uomini hanno scelto
per sancire la loro unione con gli dèi è stato quello della vittima
sacrificale, quasi sempre un animale, il più comune dei quali
era l’agnello, il più docile e il più indifeso di tutti. Nel mondo
pagano, però, l’iniziativa di tale sacrificio veniva sempre presa
dagli uomini, che hanno il desiderio di entrare in contatto con
la divinità. Nella storia della salvezza, alla quale Dio, mosso dal-
l’amore per l’uomo, ha dato origine con la chiamata di Abra-
mo, egli stesso ha accettato il modo umano di annullare la sua
distanza con l’umanità, portandolo alle estreme conseguenze.
Le iniziative di Dio sono state due: la prima è stata il perdo-
no completo e totale del nostro peccato che, fin dall’inizio dei
tempi, era il motivo della lontananza dell’uomo da lui; la se-
conda è stata l’offerta di suo figlio, Gesù di Nazaret, come vitti-
ma sacrificale. E in Gesù Cristo, che muore in croce per i nostri
peccati, il perdono e l’offerta sacrificale si saldano insieme nel
momento in cui il Figlio di Dio morente dice: «Padre, perdona
loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34). È stata
questa la strategia di salvezza di Dio che, nel brano di oggi,
Giovanni il Battista ci annuncia: «Ecco l’agnello di Dio, colui
che toglie il peccato del mondo!».
Questo atto d’amore e di perdono che raggiunge il suo pun-
to massimo sulla croce, essendo infinito, non poteva essere l’ul-
timo evento della storia della salvezza, lasciando l’uomo in una
colpa ancora più grave del primo peccato, consumato all’inizio
dei tempi. Ecco, allora, che la risurrezione è, al tempo stesso, il
trionfo di Dio e la salvezza totale per l’uomo, perché in Gesù
Cristo anche noi, oltre che perdonati, siamo redenti e risorti a
vita nuova.

II settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


La festa messianica
I discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero
da lui e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei
digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». Gesù disse loro:

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

«Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro?
Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno
giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno.
Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il
rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa
peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino
spaccherà gli otri, si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».
 Mc 2,18-22

«Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc


2,17), aveva detto Gesù nel versetto che precede il vangelo di
oggi. I cosiddetti giusti, coloro che si limitano a rispettare le
regole e a digiunare, non hanno accolto la persona di Gesù
come Messia, esaudendo le loro attese messianiche. Nella scena
del brano odierno, i giusti digiunano tutti: i farisei perché sono
ancorati al passato e i discepoli di Giovanni perché attendono
ancora la salvezza futura. Solo i peccatori, che nella persona di
Gesù di Nazaret hanno colto l’amore di Dio che li ha raggiunti
e perdonati, fanno festa. Questa scena ci mostra l’aspetto vero
del vangelo di Gesù: le nozze tra Dio e l’uomo, che ora torna
a muoversi con l’originaria spontaneità nel nuovo orizzonte
dell’amore di Dio. L’amore rinnova tutto, crea tutto nuovo. Il
«vino nuovo» del suo amore, che ci è donato in Cristo Gesù, è
così abbondante e spumeggiante che non può essere contenuto
negli otri vecchi del passato.
Non è possibile comprimere il vangelo in vecchie regole
di saggezza umana. Esso, come dice Paolo, è «stoltezza», non
buon senso. La gioia stessa non è buon senso, o lo è a un livello
tale da non aver bisogno di regole, di otri o di vestiti vecchi.
Nella festa messianica, che il brano di oggi descrive, si aprono
«nuovi cieli e nuova terra» (Is 65,17): non ci si presenta con i
vestiti vecchi, messi a posto con qualche toppa nuova, bisogna
indossare i vestiti nuovi della festa. Di questo clima messianico
noi abbiamo un’idea nei pranzi della domenica, quando ci ri-
troviamo tutti insieme a far festa in casa nostra. Durante la set-
timana lavoriamo e ci impegniamo nelle rispettive attività, ma
alla domenica festeggiamo, senza guardare troppo alle regole,
nemmeno a quelle alimentari, trasgredite sistematicamente dai
frittini di antipasto. E se beviamo un bicchiere di vino in più:
pazienza! La festa è festa.

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

II settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Il sabato è per l’uomo
Avvenne che di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli,
mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe. I farisei gli dicevano:
«Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed
egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si
trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo
sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta,
che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi
compagni!». E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uo-
mo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato».
 Mc 2,23-28

Quando, da ragazzo, passavo con i miei amici d’infanzia at-


traverso i vigneti della campagna toscana, succedeva talvolta
che cogliessimo due chicchi d’uva non ancora matura. Se il
contadino vedeva, ci rincorreva, perché vigeva la regola, non
scritta, che i prodotti della terra devono giungere a maturazio-
ne. Se, invece, li coglievamo quando era vicino il tempo della
vendemmia, accadeva spesso che il contadino ci dicesse sor-
ridendo: «Buona, eh, l’uva quest’anno!». Esistono, cioè, del-
le regole che valgono solo per il tempo dell’attesa e, quando
questo è compiuto, esse decadono automaticamente, perché
non hanno più motivo di essere. È questo il senso della frase
di Gesù: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il
sabato!». Il sabato, infatti, era per l’ebreo il giorno della celebra-
zione dell’attesa messianica, ma poiché con Gesù di Nazaret il
Messia aveva già fatto irruzione nella storia, il tempo dell’attesa
era compiuto. Tutto ciò era chiaro per Gesù e cominciava a
esserlo anche per i suoi discepoli, i quali, tranquillamente, si
permettevano di fare quello che in passato probabilmente non
avrebbero mai fatto.
Il problema di quei farisei, che rimproverano al Maestro il
comportamento dei suoi discepoli, sta nel fatto di non attendere
più alcun Messia, perché lo hanno sostituito con la legge. È di-
ventata la legge il loro messia. Nel brano del vangelo di oggi, l’at-
teggiamento dei discepoli ci dice, invece, che in loro il processo
di liberazione dalle regole è già iniziato ed è destinato a crescere,

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

via via che matureranno nella fede nel Signore e nell’amore per
il prossimo. In altre parole, le regole superate decadono, le altre
vengono assimilate dai sentimenti e dai comportamenti ispirati
dalla vera fede. Tutto questo sant’Agostino lo sintetizza con la
famosa frase «Ama et fac quod vis». «Ama e fa’ ciò che vuoi».

II settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


La maledizione della legge
Entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano
paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per
accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati,
vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare
del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano.
E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza
dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano
fu guarita. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio
contro di lui per farlo morire. Mc 3,1-6

Nella sua vita pubblica Gesù si è progressivamente mani-


festato come Messia, facendo crescere nei discepoli, e in parte
del mondo giudaico del suo tempo, il convincimento che egli
fosse venuto in terra per salvare l’umanità dal peccato e che
fosse il Signore del sabato. Nel vangelo di ieri si è limitato a
lasciar cogliere ai discepoli qualche spiga di grano, mentre at-
traversavano un campo, nel giorno di sabato; oggi, sempre di
sabato, entra decisamente nella sinagoga e guarisce la mano
inaridita di quest’uomo. Il suo atteggiamento sconvolge tutto
l’ambiente della sinagoga: i farisei, che finora si sono limitati
a sollevare delle critiche e a definirlo un bestemmiatore, oggi
si alleano addirittura con gli erodiani, loro acerrimi rivali, pur
di eliminarlo. È un’alleanza politica, come sempre ce ne sono
state nella storia, che gli erodiani accettano solo per acquisire
dei crediti nei confronti dei farisei. Questa alleanza fa riaffio-
rare dai nostri ricordi scolastici quella che fece Cavour con i
francesi, quando decise di combattere, in Crimea, una guerra
solo strumentale ai suoi intenti politici.

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

Ma perché i farisei sono così ostinatamente attaccati alla leg-


ge e al rispetto del sabato? Forse perché imponendo il rispetto
di quelle loro tradizioni, essi si illudono di poter ricacciare Dio
al di fuori dell’umanità: non accettano che egli ne faccia parte.
Gesù non risponde ai farisei con argomenti legali, ma spiega
loro il significato salvifico di questo miracolo e, con esso, il
senso di tutta la sua opera messianica. In questo brano si co-
glie tutta l’essenza di quella che è la maledizione della legge,
quando non è finalizzata al bene dell’uomo. Quei farisei, quali
oggi rischiamo di essere noi, appellandosi alla legge, vorrebbero
lasciare quell’uomo nella sua malattia. È la durezza del cuore,
non la giustizia – dice oggi Gesù – che impedisce di andare al
di là della legge, vedendo in ogni uomo un figlio di Dio, non
solo un soggetto giuridico. Forse, meditando questa pagina del
vangelo, abbiamo capito un po’ di più la missione di nostro
figlio Gianluca, tra i clandestini di Castelvolturno.

II settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


È l’ora dei poveri
Gesù, intanto, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta
folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da
oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidone, una grande folla, sentendo
quanto faceva, andò da lui. Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli
pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti
aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano
su di lui per toccarlo. Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai
suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro
severamente di non svelare chi egli fosse. Mc 3,7-12

Nelle città e negli ambienti importanti della Galilea hanno


deciso di uccidere Gesù e stanno cercando l’occasione per met-
tere in atto il loro intento. D’ora in poi la sua missione, fino
a quando non punterà deciso su Gerusalemme, si svolgerà in
luoghi solitari e lungo il lago: non per paura, ma per il desi-
derio di stare insieme alla sua gente. Infatti, mentre i notabili
rimangono nelle città a curare i loro affari e a presenziare la
preghiera nella sinagoga, i poveri, i malati e i peccatori seguo-

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

no Gesù dovunque egli vada. Si comincia a formare il primo


embrione di chiesa. Questo brano del vangelo ricorda la na-
scita del Rinnovamento Carismatico. Nel gennaio del 1967,
un gruppo di studenti di teologia dell’università di Duquesne,
negli Stati Uniti, non ritrovando, nei loro studi e nella vita di
tutti i giorni, quello Spirito che aleggiava sulla prima chiesa,
descritta negli Atti degli apostoli, decisero di trascorrere un fine
settimana in preghiera.
Dopo quasi due giorni che stavano pregando e invocando lo
Spirito Santo – ci ha raccontato Kevin Ranaghan, che vi ha par-
tecipato – a un certo punto cominciarono ad avvertire qualcosa
di straordinario, un grande amore gli uni verso gli altri, accom-
pagnato da un desiderio incontenibile di lodare il Signore e di
cantare. Ci furono manifestazioni profetiche, alcuni si misero
a parlare in lingue sconosciute e misteriose, come succedeva
all’inizio della chiesa, e in tutti c’erano grande gioia e gran-
de pace interiore. In breve tempo, altri gruppi simili nacquero
negli Stati Uniti e, successivamente, in Europa, in Messico e
nell’America Latina. In pochi anni, come un fuoco che si pro-
paghi nella savana, molte persone, anche non grandi frequen-
tatori delle parrocchie, cominciarono a radunarsi in gruppi di
preghiera, a cantare e lodare il Signore, chiedendo spesso di
essere guariti da malattie, o liberati da situazioni negative nelle
quali si trovavano. Molte preghiere venivano esaudite ed essi
rendevano testimonianza di ciò che lo Spirito aveva compiuto.
È stata una grande ventata di Spirito Santo, avvenuta inizial-
mente al di fuori delle parrocchie, nelle quali poi le persone si
sono inserite, apportando un notevole contributo di gioia e di
lode nelle celebrazioni liturgiche e nella vita parrocchiale.

II settimana del Tempo Ordinario – Venerdì (Anno dispari)


La conversione degli ebrei
Ora invece egli ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto
migliore è l’alleanza di cui è mediatore, perché è fondata su migliori
promesse. Se la prima alleanza infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato

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il caso di stabilirne un’altra. Dio infatti, biasimando il suo popolo, dice:


Ecco: vengono giorni, dice il Signore, quando io concluderò un’alleanza
nuova con la casa d’Israele… Non sarà come l’alleanza che feci con i loro
padri… E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa d’Israele dopo quei
giorni, dice il Signore: porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò
nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo… Tutti infatti
mi conosceranno, dal più piccolo al più grande di loro. Perché io perdonerò
le loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati. Dicendo alleanza
nuova, Dio ha dichiarato antica la prima: ma, ciò che diventa antico e
invecchia, è prossimo a scomparire. Eb 8,6-13

In questo brano della Lettera agli Ebrei, l’autore parla della


superiorità della seconda Alleanza, realizzata da Gesù Cristo,
rispetto alla prima nella quale gli ebrei credono ancora. «Se la
prima infatti fosse stata perfetta, non sarebbe stato il caso di
stabilirne un’altra», e per spiegare il superamento della prima
si rifà a una profezia di Geremia, rivolta agli ebrei deportati in
Babilonia. La Nuova Alleanza – aveva detto Geremia – avrà
«migliori promesse» di beni e di grazia. Questa profezia contie-
ne uno dei messaggi più alti dell’Antico Testamento, nel senso
che va al cuore del messaggio messianico portato da Gesù Cri-
sto nella storia della salvezza.
Il significato profondo di questa profezia è che nella Nuova
Alleanza non ci sarà niente di materiale e di scritto, ma essa si
baserà sulla interiorità della «grazia» che agirà in modo silenzio-
so e suadente nello spirito dell’uomo. È ciò che Gesù dirà alla
samaritana: «Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri
adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre
cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devo-
no adorarlo in spirito e verità». La conclusione di questo mes-
saggio viene formulata alla fine della lettura di oggi: «Dicendo
alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima; ma, ciò che
diventa antico e invecchia, è prossimo a scomparire». Questa
frase era un richiamo per i giudei del tempo che non volevano
abbandonare i riti sfarzosi dell’Antica Alleanza, ma può esserlo
anche per quelli di oggi i quali, a un certo punto della storia, si
dovranno convincere sulla superiorità della grazia, stampigliata
nel cuore dell’uomo, rispetto alla legge ricevuta sul monte Si-
nai. La chiesa attende e prega perché questo avvenga.

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II settimana del Tempo Ordinario – Venerdì (Anno pari)


Il primo vagito della chiesa
Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da
lui. Ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per
mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque
i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio
di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di
Boanèrghes, cioè «figli del tuono»; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo,
Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda
Iscariota, il quale poi lo tradì. Mc 3,13-19

Il brano di oggi parla della nascita del nuovo popolo di Dio


che, nel tempo, sarà destinato ad abbracciare tutte le genti: è
la radice del vecchio albero, dal quale nascerà quello nuovo,
profetizzato nel libro di Daniele: «Io stavo guardando ed ecco
un albero di grande altezza in mezzo alla terra. Quell’albero
divenne alto, robusto, la sua cima giungeva al cielo ed era vi-
sibile fino dall’estremità della terra» (Dn 4,7-8). È la nascita
della chiesa. Per creare questo nuovo popolo, Gesù chiama a
sé dodici uomini e li porta sul monte, fuori dal contesto della
vecchia creazione. Sono persone comuni: Pietro, Andrea, Gia-
como e Giovanni sono dei pescatori, Simone lo zelota un rivo-
luzionario, Matteo un collaborazionista con i romani, Filippo
e Bartolomeo due sempliciotti, Tommaso non è certo un ide-
alista, Taddeo e Giacomo d’Alfeo due persone normali, delle
quali anche nei vangeli si parla poco, e Giuda, che pensa solo
ad arricchirsi. Non è importante quel che sono, ma ciò che di-
venteranno dopo aver vissuto con Gesù per tre anni, aver visto
i miracoli e ascoltate le rivelazioni dei misteri del Regno, dopo
aver partecipato all’esperienza della croce ed essere stati testi-
moni della risurrezione e dopo aver ricevuto lo Spirito Santo
nel giorno di Pentecoste.
Il programma formativo di Gesù è molto semplice: prima
stare con lui, poi andare a predicare. Sarà il programma della
chiesa di ogni tempo e quello di ogni missionario. Oggi, stare
con lui vuol dire essere insieme come chiesa, ricevere i sacra-
menti, pregare e meditare le Sacre Scritture nel silenzio. Dice
Adrienne von Speyer, una mistica del secolo scorso: «Nel silen-

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zio è la pienezza perfetta. Nel silenzio il credente viene accolto


nell’essere del Padre. Nel silenzio del cristiano avviene l’intimo
incontro fra creatore e creatura». Oggi è questo il modo di ti-
rarsi fuori dal mondo, salire sul monte e lasciarsi ricreare. Poi,
da creature nuove, possiamo andare in missione e annunciare
il suo vangelo e testimoniare la nostra risurrezione: soltanto se
il mondo vedrà la nostra potrà credere alla risurrezione di Gesù
Cristo. Però dobbiamo farlo come chiesa, non solo come per-
sone. Non è un programma di studio, è un programma di vita.

II settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Perché meditiamo il vangelo
Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non
potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per
andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé». Mc 3,20-21

Il brano precedente riporta l’elenco di coloro che sono stati


chiamati alla sequela di Gesù e conseguentemente alla missio-
ne. L’elenco si conclude con il nome di «Giuda Iscariota, il
quale poi lo tradì» (Mc 13,19). Anche ai giorni nostri, tra i cri-
stiani che sono chiamati alla missione, c’è sempre chi tradisce
il Signore e il mandato all’evangelizzazione. Il brano odierno ci
mostra il modo concreto in cui lo si tradisce: alla sua chiamata
corrisponde sempre una controchiamata del buonsenso com-
passionevole dei «suoi» che dicono: «È fuori di sé». Gesù oggi
si trova in «casa» insieme agli apostoli che lo seguono ogni gior-
no. Questo fatto nasconde un profondo significato teologico:
chi è dentro e siede a tavola con Gesù costituisce la sua nuova
famiglia, e a lui è dato di intendere chiaramente i misteri del
Regno. A quelli che sono fuori le verità del vangelo vengono
spiegate solo in parabole, «affinché guardino, ma non veda-
no, ascoltino, ma non comprendano» (Mc 4,12). Ma chi sono
questi personaggi al di fuori della casa, che non comprendono
il suo messaggio e che ritengono che Gesù sia «fuori di sé»?
Rischiamo di essere noi. Se non ascoltiamo e meditiamo la sua

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

parola, in modo che questa si apra ed effonda in noi i misteri


del Regno, noi rimaniamo al di fuori della casa a sostenere che
lui è «fuori di sé». Se invece meditiamo e preghiamo su quanto
Gesù ci dice nel vangelo del giorno, entriamo nella casa dove il
Signore spiega la sua parola nella pienezza.

III settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Una nuova evangelizzazione
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone,
chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano
infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di
uomini»… Andando oltre, vide… Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni
suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le
loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e
lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando… e guarendo
ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. Mt 4,18-23

Non è un momento facile, questo, per la chiesa. Le forze


sataniche e le altre religioni sferrano attacchi sempre più pene-
tranti. Occorrerebbe ritrovare la spinta evangelizzatrice delle
origini, mettendo in atto programmi apostolici coraggiosi per
ricondurre al Dio di Gesù Cristo la storia ingarbugliata di que-
sti tempi. A noi sembra che la chiesa dovrebbe cambiare strate-
gia missionaria, lanciando all’attacco le forze dei laici, che fino
a ora sono state troppo nelle retrovie. Sarebbe un nuovo modo
di combattere che scompaginerebbe l’esercito del nemico. Il
ruolo dei sacerdoti dovrebbe essere più formativo che missio-
nario; o meglio, dovrebbe essere missionario nei confronti delle
forze laiche. Probabilmente uno dei modelli di sacerdote cui
ispirarsi per organizzare i laici è don Giussani, recentemente
scomparso, che ha messo insieme il battaglione di Comunione
e Liberazione. Un esercito, però, è costituito da più battaglioni,
allora occorrerebbe che altri sacerdoti si ispirassero alla sua stra-
tegia, che poi è quella di Gesù nel vangelo di oggi.
Gesù ha iniziato reclutando persone normali, dei laici, ai
quali ha presentato un programma di vita semplice e chiaro:

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

«Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Con quelle


persone egli ha vissuto insieme, insegnando loro le verità del
regno dei cieli e il modo di annunciare il vangelo: «Gesù per-
correva tutta la Galilea, insegnando e annunciando e guarendo
ogni sorta di malattie». Egli non ha chiesto loro di fare delle
professioni di fede, ma di stare semplicemente con lui. Ha pre-
teso però che ubbidissero, ubbidendo per primo alla volontà
del Padre: «Non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui
che mi ha mandato» (Gv 5,30). Ha insegnato che la vita è un
dono per essere donato agli altri: «Nessuno ha un amore più
grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).
A quelle persone ha delegato l’annuncio del vangelo: «Andate
e annunciate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Infine ha
insegnato loro a pregare: «Quando pregate dite: Padre nostro...»
(Lc 11,2). È stata la strategia di don Giussani, e potrebbe essere
quella della chiesa futura.

III settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Combattere le tentazioni
Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto
da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni». Ma egli
li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana?
Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se
una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche
Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi,
ma è finito. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi
beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa».
 Mc 3,22-35

Gli scribi hanno preso atto della potenza di Gesù nello scac-
ciare i demoni dalle persone e dalle situazioni che incontrava
lungo le strade della Palestina, ma hanno inteso tutto al con-
trario, sofisticando teologicamente. Essi insinuano che sono
le potenze del male ad agire in Gesù, il quale risponde con
domande e parabole che essi non sono in grado di capire per
mancanza di semplicità e di fede. Il fatto è che, con la sua venu-

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ta sulla terra, egli ha infranto il regno di Satana, l’«uomo forte»,


mandando in rovina la vecchia casa dove abitava. Gesù, che è
l’uomo più forte dell’uomo forte, è venuto a costruire la nuova
casa di Dio, dove noi possiamo abitare, da persone libere, con
ritrovata dignità. È come se una vecchia bicocca, sporca e fati-
scente, nella quale gli uomini vivevano come bestie, fosse stata
acquistata da un vero benefattore, che la facesse ristrutturare e
ripulire e la offrisse alle stesse persone che vi abitavano prima,
per viverci finalmente da signori. La vittoria definitiva di Gesù
su Satana avverrà con la sua morte in croce e la sua risurrezio-
ne: ma se tutto questo, nel brano del vangelo di oggi, non è
ancora avvenuto, perché la sua sola presenza mette già in fuga i
demoni? Il motivo è la sua santità. Ai demoni la santità di Gesù
rende l’aria irrespirabile e devono per forza fuggire.
Anche oggi è così. Il vero esorcismo nei confronti di Satana
è la santità. Se noi crediamo che Gesù ci abbia liberati, salvati
e redenti con la sua morte e risurrezione, se ci accostiamo con
frequenza ai sacramenti dell’eucaristia e della riconciliazione,
se i nostri pensieri sono puliti, i nostri sentimenti sono puri, la
nostra bocca non dice falsità e accogliamo con amore le per-
sone che incontriamo ogni giorno, di fronte a noi il demonio
può solo scappare. Purtroppo viviamo solo raramente in que-
sto clima di santità e quindi diamo al demonio il diritto a non
abbandonare la nostra casa. Abbiamo sempre a disposizione,
tuttavia, un modo per farlo fuggire: il segno di croce. Se quan-
do siamo nella tentazione troviamo la forza di farci un segno
di croce, con quel gesto autorizziamo il Signore a combattere
Satana al posto nostro, ed egli potrà solo scappare.

III settimana del Tempo Ordinario – Martedì


La vera famiglia di Gesù
Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a
chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua
madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Ma egli

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rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo
sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre
e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello,
sorella e madre». Mc 3,31-35

«Bella famiglia che ti sei creato attorno!», mi scappò detto


quel giorno che andai a Castelvolturno, a far visita a Gianluca.
Era in mezzo a un gruppo di ghanesi e nigeriani, con i quali
programmava gli impegni della giornata. Io, suo padre, che
ero andato a trovarlo per vedere che cosa stesse combinando
e per sincerarmi che avesse trovato la sua strada, partecipavo a
quell’incontro con lo stesso diritto di opinione delle sedie. Nes-
suno che mi abbia chiesto un parere, era come se non ci fossi.
E pensare che qualche anno prima, quando Gianluca viveva
ancora con noi, non si sarebbe mai permesso un tale compor-
tamento. Però, era giusto così! Quella era la sua nuova famiglia
e quegli africani erano i suoi fratelli, per cui, superato il primo
sgomento, mi son messo tranquillo, in silenzio, ad ascoltare
e a rendermi conto della realtà e della vita che stava vivendo
Gianluca. È il senso della risposta che, oggi, Gesù dà a coloro
che gli dicono «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle
stanno fuori e ti cercano». Anche loro erano fuori, come lo ero
io in quella riunione a Castelvolturno.
Essere fuori non vuol dire solo non essere in casa: significa
avere altri progetti e altri programmi e vivere altre realtà. A un
certo punto, mentre ascoltavo Gianluca che parlava ai suoi afri-
cani, ho cominciato a ringraziare il Signore per la mia inutilità.
In quel momento mi venne in mente la risposta di Gesù nel
brano di oggi: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie
la volontà di Dio [insieme a me], costui è mio fratello, sorella
e madre». Anche noi genitori operiamo per il progetto che il
Signore ci ha dato da compiere, però, in questa fase della nostra
vita, è diverso da quello di Gianluca, come nel brano di oggi il
progetto di Maria è diverso da quello di Gesù.
Donaci, Signore, ora che siamo anziani, la grazia di vivere il
nostro progetto attuale, mentre i nostri figli vivono il loro. Non
lasciarci a non far niente come un giorno, quando hai chiama-
to Giacomo e Giovanni, hai lasciato il loro padre, Zebedeo,
sulla spiaggia del mare, tutto solo.

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III settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


L’ascolto globale
Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui
una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere
stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava
loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate.
Ecco, il seminatore uscì a seminare». Mc 4,1-3

Gesù «insegnava molte cose in parabole». Questo linguaggio


potrebbe sembrare più comprensibile del discorso diretto, un
modo semplice per comunicare una dottrina difficile; ma non
è così. Il linguaggio delle immagini è ricchissimo di significati e
di messaggi solo per chi si dispone con calma ad ascoltare, acco-
gliendo nella profondità del cuore colui che parla e ciò che dice.
Per comprendere le parabole di Gesù occorre, allora, accettarlo
come Signore, sedersi idealmente ai suoi piedi e ascoltarlo con
la stessa sete di verità che avevano coloro che lo hanno seguito
lungo il lago di Tiberiade o come Maria nella cena di Betania.
Con tale atteggiamento di ascolto, le parabole emanano signi-
ficati e messaggi inimmaginabili, che si effondono nella mente
e nel cuore, come un vasetto di aromi inonda di profumo tutta
una stanza. Ecco, allora, che la parola chiave del vangelo di og-
gi è: «Ascoltate!». Siamo esortati a un ascolto che, partendo dal-
le parabole del vangelo, si estende a ogni manifestazione della
vita, della natura e della storia. Il risultato finale sarà il miracolo
di ricomporre in Dio fatti ed esperienze, come il riunirsi di
frammenti di una fotografia strappata dal nostro peccato e dal
peccato del mondo. A chi sa ascoltare sono confidati i misteri
del regno dei cieli e di tutto il creato. Iniziando dall’ascolto del
vangelo, l’esortazione ad ascoltare si fa globale: si ascolta con
l’udito, con lo sguardo e con tutto il nostro essere, fino ad acco-
gliere gli infiniti messaggi che la vita ci offre: ascoltiamo il sole
che tramonta dietro i monti, il vento che soffia sui tetti e sbuffa
per le strade, il mare che urla sotto il libeccio o la musica della
risacca che fa sfrigolare i ciottoli della riva in tempo di bonac-
cia. Ascoltiamo le cicale di giorno e i grilli di notte. Ascoltiamo
i grandi eventi della storia e i fatterelli della nostra giornata,
ascoltiamo la cronaca di giornali e notiziari, e ascoltiamo il pi-

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golio di Edoardo nella culla. Ascoltando i messaggi segreti che


ci raggiungono ogni giorno e conservandoli nel nostro cuore,
impariamo a riconoscere la voce del Signore, nella vita come
nel vangelo. E seguendo quella voce, è difficile perdere la strada.

III settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Il risveglio della fede
Diceva loro: «Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o
sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? Non vi è infatti
nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che
non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
Diceva loro: «Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con
la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché
a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha». 
 Mc 4,21-25

Alcuni anni fa mi trovavo, tutto solo, nello scompartimen-


to di un treno, in attesa di partire dalla stazione di Milano.
Approfittando di quel momento di tranquillità, avevo aperto
la Bibbia e mi ero messo silenziosamente a pregare. Dopo un
po’ sono cominciate ad arrivare altre persone, che scorrevano
nel corridoio, e un bambino ha esclamato: «Mamma, mamma,
andiamo lì: è tutto libero!». «No, andiamo avanti – ha risposto
la madre – c’è un testimone di Geova». Mi sono chiesto, con
un po’ di tristezza, perché una persona che preghi in silenzio,
con la Bibbia in mano, debba essere scambiato per un testimo-
ne di Geova. È forse da preferire, oggi, l’atteggiamento di chi
testimonia con le sole opere il mistero del regno di Dio? Perché
– pensavo – una fede palese oggi dà fastidio? Forse perché è
portatrice di valori, come la famiglia e il rispetto della vita, che
non sono condivisi dai più. Nel giro di pochi anni, l’affievolirsi
della spontaneità nel vivere la fede cristiana ha provocato una
certa spavalderia da parte dei non credenti, che hanno assunto
atteggiamenti sempre più anticlericali. L’affluire nel nostro pa-
ese di persone appartenenti ad altre religioni è stato strumenta-
lizzato, al punto di far apparire come forma di accoglienza l’eli-
minazione dei nostri più cari simboli religiosi, quali il crocifisso

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e il presepe. Eppure quando, qualche anno fa, siamo andati in


Nepal, non ci siamo sentiti offesi dalle immagini di Budda, che
si trovano in ogni parte: al contrario le abbiamo rispettosamen-
te ammirate! Negli ultimi tempi, però, ci sembra che questo
atteggiamento un po’ ipocrita abbia avuto come conseguenza
il rifiorire della fede, e molti stanno ritrovando il coraggio apo-
stolico di testimoniare i valori cristiani. Sembrava che la palude
del disimpegno, del disinteresse, dell’apatia spirituale e della re-
sa di fronte al materialismo trionfante e alla volgarità blasfema,
dovessero inghiottire ogni manifestazione di fede, ma non è
stato così. Si sta assistendo a una vigorosa ripresa della testimo-
nianza cristiana. Come sempre nella storia, sono stati i giovani
a intuire che il precedente atteggiamento non portava buoni
frutti e ora si dirigono, con il sano egoismo tipico della gioven-
tù, verso la riscoperta della fede come fonte di gioie autentiche.

III settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


La parabola della pazienza
Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul
terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce.
Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo
stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è
maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
 Mc 4,26-29

Questa, che il vangelo oggi ci presenta, può essere definita


«la parabola della pazienza». Gesù l’ha vissuta in prima persona
durante tutta la sua vita pubblica. All’inizio, quando ha com-
piuto il primo miracolo alle nozze di Cana, avrà certamente
pensato che il suo messaggio di salvezza messianica e lui stesso
sarebbero stati accolti con gioia da tutti. Invece no! Gesù si è
reso conto ben presto che la salvezza del mondo si sarebbe rea-
lizzata secondo i tempi di Dio. Prima ci sarebbe stato qualcosa
da pagare: avrebbe dovuto morire e finire sotto terra, come il
chicco di grano nella parabola di oggi. È la prospettiva della
croce, che comincia a delinearsi in lui, ma la sua fede, sempre

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più paziente, e la fiducia assoluta nel Padre gli permetteran-


no di spingere lo sguardo al di là di essa, alla risurrezione e ai
tempi escatologici della storia, come il contadino che, mentre
il chicco di grano muore sotto terra, vede già la spiga biondeg-
giare al sole. Questa di oggi è anche la parabola della pazienza
della chiesa, in particolare di quella attuale, di fronte al sovver-
timento dei valori della vita e della famiglia, e all’aggressività
del mondo musulmano. «Agisci come se dipendesse tutto da
te, sapendo, però, che tutto dipende da Dio», diceva sant’Igna-
zio di Lojola. La forza è tutta nel seme: è Dio che lo fa cresce-
re. La chiesa deve solo testimoniare il vangelo, poi «dorma o
vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Poiché
la terra produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga,
poi il chicco pieno nella spiga». Questa è anche la parabola
della pazienza della famiglia: dei genitori nei confronti dei figli,
ma, talvolta, anche dei figli nei confronti dei genitori. Certo
che, oggi, la pazienza ci sta un po’ scomoda all’interno della
famiglia! La parabola odierna non è, però, un sedativo perché i
genitori possano dormire tranquilli, mentre i figli di notte so-
no fuori a far le ore piccole, o perché questi possano rimanere
sereni quando i genitori divorziano. È un modo di vivere con
pazienza la realtà delle cose, dopo aver operato per affermare i
valori del Regno. La nostra esperienza personale ci insegna che,
quando c’è la fede e la fiducia nel Signore, anche se c’è qualcosa
da pagare, il risultato è sicuro perché è nelle mani di Dio, come
il chicco di grano cresce tranquillo sotto terra.

III settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Il valore personale e sociale della fede
In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all’altra
riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca.
C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e
le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne
stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero:
«Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e
disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi

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disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da
grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche
il vento e il mare gli obbediscono?». Mc 4,35-41

Il brano del vangelo di oggi è una parabola sempre in atto.


I discepoli vengono messi alla prova, per vedere se veramen-
te hanno compreso il messaggio di Gesù. L’esito della prova
è negativo, non hanno capito niente perché il risultato della
comprensione del vangelo deve essere la fede, che loro ancora
non hanno. Gesù, allora, un po’ deluso e un po’ ironico, chiede
loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’insegna-
mento del vangelo di oggi, allora, è questo: si può appartene-
re alla chiesa, cioè essere sulla barca, ma non comprendere il
messaggio del vangelo e, conseguentemente, non avere fede.
E il risultato finale è che le difficoltà e le burrasche del mondo
ci sballottano da tutte le parti. Ecco, allora, che il vantaggio
pratico di chi ogni giorno medita la parola di Dio è la fede, la
quale esorcizza le potenze del male, che fanno di tutto per cre-
arci mille difficoltà. Il vangelo di oggi, però, oltre a mostrarci i
vantaggi personali della fede, ci mostra anche quelli sociali. In-
fatti sul lago ci sono molte altre barche, che non hanno a bordo
Gesù, ma godono anch’esse della bonaccia che si crea dopo che
il Signore ha detto al mare: «Taci, calmati!». La fede, cioè, di
chi crede al messaggio del vangelo, finisce per esorcizzare anche
gli avvenimenti negativi della società nella quale viviamo.

IV settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Il povero in spirito
Gesù salì sul monte: si pose a sedere e… insegnava loro dicendo: «Beati
i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono
nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in
eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché
saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi
perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per

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causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa


nei cieli». Mt 5,1-12a

Su questa pagina del vangelo sarebbe bene specchiarci per


tutta la vita, come alberi in un luminoso laghetto di montagna.
Ogni giorno ci dovremmo chiedere se siamo miti o arroganti,
se portiamo la pace o la guerra, se siamo misericordiosi oppure
se non riusciamo a perdonare; se il nostro cuore è puro o tor-
bido di passioni, di macchinazioni, di risentimenti e di odio.
Dovremmo chiederci se siamo perseguitati a causa di Cristo,
oppure se siamo apprezzati e stimati perché ben inseriti nelle
dinamiche e nel modo di pensare di questo mondo. Sarebbe
un esame lungo, e difficilmente troverebbe posto tra i molti
impegni della nostra giornata. C’è però una beatitudine, la pri-
ma – «Beati i poveri in spirito» –, che riassume un po’ tutte le
altre. Allora, quando ci alziamo al mattino, poniamoci questa
domanda: «Sono povero o ricco, in spirito?».
Vediamo che cosa vuol dire. Il povero in spirito è colui che
si sente inadeguato per il proprio progetto di vita: inadeguato
come genitore, come testimone del vangelo, come professioni-
sta, come amico delle persone che incontra durante la giornata.
Il povero in spirito è colui che si sente peccatore, bisognoso
di perdono e di salvezza, che è sempre alla ricerca del Signore
perché gli faccia luce sugli eventi della vita che lo circondano.
Il povero in spirito è colui che sa di non saper amare: non solo i
nemici, ma nemmeno le persone che gli sono più vicine. Il po-
vero in spirito è colui che avrebbe motivo per sentirsi solo, in-
compreso, abbandonato, malato, anziano, senza risorse. Come
si fa, allora, a venir fuori da questa povertà umana per entrare
nella beatitudine di chi si sente ricco, perché povero nello spiri-
to? L’unica ricetta che conosciamo è un cammino spirituale at-
traverso queste strade: intensificare la preghiera per vivere sem-
pre in comunione con il Signore, ringraziare e lodare Dio per
tutto quello che ci dà, cominciando dal dono della vita e della
fede; sentirsi amato e perdonato, meditare ogni giorno le Sacre
Scritture nelle quali si respira il pensiero di Dio, e avvicinarsi
con frequenza all’eucaristia, perché quel pane che si trasforma
nel corpo di Cristo dona la vera forza per camminare sicuri per
le strade del mondo. Altre ricette non le conosciamo.

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IV settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Il fulcro della preghiera
Giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla
barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno
spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva
a tenerlo legato, neanche con catene… Visto Gesù da lontano, accorse,
gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù,
Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!».
Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!»… C’era là, sul
monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono:
«Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli
spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si
precipitò giù dalla rupe nel mare… I loro mandriani allora fuggirono…
videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente… ed ebbero paura.
 Mc 5,1-15

Più di duemila anni fa, dopo aver scoperto il principio del-


la leva, Archimede manifestò tutto il suo stupore esclamando:
«Datemi una leva e vi solleverò il mondo!». È un’esclamazione
che ha attraversato i secoli ed è rimbalzata su tutti i banchi di
scuola. Non c’è studente che non l’abbia ascoltata. Uscendo
dal campo della fisica, la frase: «Datemi una leva e vi solleverò
il mondo!» annuncia che niente è impossibile per principio,
ma lo diventa nella pratica dei fatti, perché si incontrano li-
miti umani e naturali. È impossibile infatti costruire una leva
tanto lunga e un fulcro così robusto da poter sollevare un peso
grande come quello del mondo. Il principio della leva si appli-
ca bene anche alle nostre dinamiche spirituali. Esso ci spiega
quanto siano importanti la nostra fede e la nostra santità, che
costituiscono il fulcro sul quale si appoggia la leva del Signore
per rimuovere i problemi che noi gli presentiamo nelle richieste
di intercessione e nelle preghiere di esorcismo. È ciò che suc-
cede nel brano del vangelo di oggi: la fede e la santità di Gesù
permettono la cacciata dei demoni da quell’uomo. La potenza
del Signore è fuori discussione, il punto debole sono sempre
l’inconsistenza della nostra fede e il nostro peccato. Di fronte a
questa pagina del vangelo possiamo solo inginocchiarci, come
Pietro dopo la pesca miracolosa, e dire anche noi: «Signore,
abbi pietà di me perché sono un peccatore».

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Aumenta, Signore, la nostra fede e aiutaci nel nostro cam-


mino di santità!

IV settimana del Tempo Ordinario – Martedì


I tre livelli della fede
E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come
lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta
sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò
con lui… Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni…
udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello.
Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».
E subito le si fermò il flusso di sangue… Gesù, essendosi reso conto della
forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le
mie vesti?»… E la donna, impaurita e tremante… gli si gettò davanti e
gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata.
Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlando, quando
dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta.
Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano,
disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!»… entrò
dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità
kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla
si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Mc 5,21-43

Questi due miracoli che Gesù ha compiuto, nel loro intrec-


ciarsi l’uno nell’altro, ci mostrano i tre livelli della fede. Il pri-
mo è il livello della disperazione. Giairo: «La mia figlioletta sta
morendo; vieni a imporle le mani perché sia salvata e viva», e
l’emorroissa: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello,
sarò guarita». Il secondo livello si raggiunge dopo un cammino
che, partendo dalla guarigione fisica, porta alla fede nel Signo-
re. Gesù dice all’emorroissa: «Figlia la tua fede ti ha salvata. Va’
in pace e sii guarita dal tuo male». Questo livello, anche se il
testo non lo dice, l’ha certamente raggiunto anche Giairo. Il
terzo è il livello della fede di Gesù, che ha addirittura il potere
di vincere la morte. Vennero da Giairo a dirgli: «Tua figlia è
morta», e Gesù: «Non temere, soltanto abbi fede!». Quando
Maria Carmela si è ammalata di tumore al cervello e i medici
ci avevano tolto ogni speranza; quando Anna Maria, in attesa

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di Maria Letizia, ha contratto la rosolia, o quando, subito dopo


la nascita di Gianluca, è stata colpita da un’embolia post par-
tum, anche noi, spinti dalla disperazione, abbiamo creduto nel
miracolo. Il Signore ci ha esauditi: la mamma, Maria Carmela
e Maria Letizia stanno bene, e noi dobbiamo solo far memoria
per non dimenticare che il Signore ascolta e opera.

IV settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Nessuno è profeta in patria
Partì di là e venne nella sua patria… Giunto il sabato, si mise a
insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e
dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli
è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui
il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda
e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro
motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato
se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva
compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li
guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Mc 6,1-6

Quando ero piccolo abitavo alle Sieci, un paese della cam-


pagna toscana che costeggia l’Arno, prima che questo entri in
Firenze. A quell’epoca, alle Sieci, i notabili del paese erano il
pievano, il farmacista, il capostazione e mia madre, la maestra
che ha insegnato a leggere, scrivere e far di conto a diverse ge-
nerazioni di persone. Poiché era alta e imponente, gli abitanti
delle Sieci la chiamavano «la maestrona» e, di conseguenza, io
ero per tutti il figlio della maestrona. Poi sono cresciuto, sono
diventato ingegnere e, a motivo della mia professione, ho gira-
to per mezzo mondo, ma ancora oggi, quando ritorno alle Sieci
per andare a far visita ai miei genitori che riposano nel cimitero
del paese, per gli anziani – che allora erano ragazzi insieme a
me – io sono sempre «il figlio della maestrona». La stessa cosa
è successa a Gesù che, mentre a Cafarnao, Betsaida e negli al-
tri paesi della Galilea era diventato un personaggio pubblico e
compiva molti miracoli, a Nazaret era ed è sempre rimasto il
figlio del falegname. Così, quando vi ritornava e raccontava le

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sue parabole che svelavano i misteri del regno dei cieli, la gente,
pur rimanendo ammirata, si domandava da dove fosse piovuta
tutta quella sapienza sul figlio del falegname. A Nazaret Gesù
non ha mai suscitato la fede che suscitava nelle altre città e,
per questo motivo, non vi ha potuto compiere molti miracoli,
che scaturiscono dalla combinazione della potenza divina del
Signore con la fede delle persone che a lui si rivolgono. Gesù
è sempre stato amareggiato di questa situazione, non perché
desiderasse riconoscimenti nella sua città, ma perché era di-
spiaciuto di non poter essere d’aiuto a coloro che conosceva fin
dall’infanzia e di non poterli guarire nel corpo e nello spirito,
come faceva in tutta la Palestina. Questo suo dispiacere ci fa
sentire Gesù molto umano e molto vicino, pur rimanendo per
noi il Figlio di Dio e Dio stesso. Forse in nessun altro luogo,
come a Nazaret, le due nature, umana e divina, sono state in lui
così distinte e separate. Per noi, però, non lo sono, e ogni gior-
no continuiamo a essere oggetto della sua provvidenza, della
sua grazia e delle sue guarigioni, interiori e anche fisiche.

IV settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


L’annuncio, strada facendo
Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro
potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio
nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma
di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque
entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in
qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e
scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed
essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti
demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. Mc 6,7-13

Qualche anno fa stavamo meditando, in preghiera, il man-


dato dell’evangelizzazione e ci chiedevamo: «Come facciamo a
trovare il tempo per andare a evangelizzare? Tu conosci – abbia-
mo detto al Signore – la nostra responsabilità di una famiglia
numerosa e di professioni impegnative, che non possiamo disat-

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tendere, perché, per far crescere ed educare dei figli, l’impegno


economico è considerevole. Spiegaci tu, Signore, come possia-
mo fare». Posta questa domanda al Signore, abbiamo aperto
la Bibbia per alimentare con qualche versetto del vangelo la
nostra preghiera, e un figlio ha cominciato a leggere la pagina
di oggi. «Ho capito! – esclamò un altro dei figli – il Signore ci
ha risposto: non dobbiamo andare da nessuna parte, dobbia-
mo solo parlare di lui lungo la strada che stiamo percorrendo».
Sono passati anni da quel giorno, e il Signore sa che l’abbiamo
fatto «al momento opportuno e non opportuno» (2Tm 4,2),
in famiglia, sul lavoro e nel tempo libero, in Italia e all’estero.
Dobbiamo, però, riconoscere che il Signore ha mantenuto la
sua parola: non ci sono mai mancati il lavoro e il guadagno,
abbiamo sempre abitato in belle case, abbiamo trascorso ogni
anno vacanze spensierate e abbiamo potuto garantire bei vesti-
ti, pane quotidiano, scuole e università a tutti i figli. Pensiamo,
onestamente, di essere stati dei buoni operai del vangelo, però
il Signore è stato infinitamente generoso.
E ora che siamo anziani possiamo testimoniare che le pro-
messe del vangelo di oggi sono vere, come è vero che ogni gior-
no sorge il sole. E lungo la strada ci è anche successo di pregare
per persone malate che sono guarite; abbiamo visto risuscitare,
e tornare alla vita normale, persone morte nello spirito e perso-
ne devastate dalla lebbra del peccato, che sono tornate a vivere
serenamente in grazia di Dio. E per quanto incredibile possa
sembrare, abbiamo visto anche i demoni fuggire da molte si-
tuazioni: sappiamo bene che tutto questo l’ha fatto il Signore,
non certamente noi, però si è servito anche di noi.

IV settimana del Tempo Ordinario – Venerdì (Anno dispari)


L’accoglienza e gli angeli
L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni,
praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ricordatevi dei
carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono
maltrattati, perché anche voi avete un corpo. Il matrimonio sia rispettato
da tutti e il letto nuziale sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri

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saranno giudicati da Dio. La vostra condotta sia senza avarizia;


accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: «Non ti
lascerò e non ti abbandonerò». Così possiamo dire con fiducia: «Il Signore
è il mio aiuto, non avrò paura. Che cosa può farmi l’uomo?». Eb 13,1-6
In quest’ultimo capitolo della Lettera agli Ebrei, l’autore,
prima dei saluti finali, dà alcuni avvertimenti pratici e richia-
ma all’osservanza delle virtù fondamentali: l’amore fraterno,
l’ospitalità, la visita ai carcerati, la difesa di chi è maltrattato,
la castità, la santità del matrimonio e il distacco dal denaro. Di
queste virtù è lastricato il cammino verso la santità e la pace:
personale, familiare e sociale. Egli, però, si sofferma particolar-
mente sulla pratica dell’ospitalità: «Alcuni hanno accolto degli
angeli senza saperlo». Nelle Sacre Scritture, basti pensare a To-
bi, che, ospitando l’arcangelo Raffaele (Tb 12,15-20), risolve
tutti i suoi problemi: da cieco che era riacquista la vista, recu-
pera una discreta somma di denaro che gli era necessaria, e il
figlio Tobia sposa Sara, una donna virtuosa. Oppure pensiamo
ad Abramo che, ospitando alle Querce di Mamre addirittura il
Signore, sotto le vesti di un viandante, riceve in dono la rin-
novata fertilità della moglie Sara, ormai anziana, che gli darà il
figlio della promessa, Isacco.
Anche noi abbiamo dato ospitalità a persone che, nella nostra
vita, si sono poi dimostrate degli angeli: è successo con padre
Arturo, la nostra amica Mary e con altri, ma colei che si è rivelata
un Angelo con la A maiuscola è stata la nonna Betta. Quando
l’abbiamo accolta in casa, subito dopo il nostro matrimonio,
era una vedova malata di angina pectoris che aveva davanti, co-
me prospettiva di vita, la solitudine in una città lontana da noi.
In casa nostra, con il susseguirsi delle nascite dei nipoti, ha ri-
trovato la gioia di vivere e ha permesso a noi genitori, con la sua
presenza vigile, di esercitare serenamente le nostre professioni.
Noi sappiamo bene che la nonna Betta non era l’incarnazione
di un angelo: era una persona normale. Nel corso degli anni,
tuttavia, per la nostra famiglia è risultata l’angelo protettore dei
nostri figli. La verità è questa: se diamo ospitalità a una persona
che ne ha bisogno, la diamo al Signore, il quale, per le vie mi-
steriose dello Spirito, opera in modo che quella persona risulti
un angelo. Il Signore non si fa battere da nessuno in generosità.

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IV settimana del Tempo Ordinario – Venerdì (Anno pari)


Il destino del testimone e della chiesa
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo
aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo,
perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito
tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e
voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni,
sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui… Venne però il giorno
propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per…
i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e
piacque a Erode e ai commensali. Allora il re… alla fanciulla… giurò…:
«Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio
regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella
rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal
re, fece la richiesta… Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento
e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una
guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia
andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla
fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. Mc 6,17-28

Il brano di oggi ci presenta la figura di Giovanni il Battista,


colui che segue Gesù precedendolo. Egli, oltre a essere il testi-
mone del Messia per eccellenza, ne anticipa la missione e la
morte: «Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Gio-
vanni. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla
luce» (Gv 1,6-8). Il testimone non costituisce la verità, ma l’an-
nuncia: all’epoca di Giovanni, come oggi. Egli attesta quanto
gli è stato confidato e ciò che ha visto di persona. Il testimone
di Gesù Cristo è una persona scomoda, perché è la coscienza
critica della società e a volte anche della chiesa stessa. Egli di-
fende i diritti di Dio e dell’uomo, denuncia le ingiustizie e le
ipocrisie, e prende le difese della giustizia e della libertà. Come
Giovanni fa con Erode, il testimone, anche a costo della vita, al
momento opportuno alza il dito e dice: «Non ti è lecito». Sono
prese di posizione che si pagano, come le ha pagate il Battista,
ma dalle quali non è possibile tirarsi indietro, per non perdere
la propria credibilità e la potenza della testimonianza. Essere
testimoni del vangelo vuol dire essere sempre in conflitto con il
potere costituito per sposare le cause dei poveri e degli ultimi.

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La testimonianza di Giovanni anticipa e profetizza quella di


Gesù Cristo e della chiesa. Anche la chiesa, per essere credibile,
deve essere scomoda e perseguitata: è il destino e la logica di
tutta la storia della salvezza e di ogni autentico testimone.

IV settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Il bisogno del deserto
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto
quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse
loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi
un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non
avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la
barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire
e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro,
perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro
molte cose. Mc 6,30-34

Oggi gli apostoli si riuniscono intorno a Gesù e gli riferisco-


no tutto ciò che hanno «fatto e insegnato» durante la loro pri-
ma esperienza missionaria. Egli si rende conto che sono stanchi
e che hanno bisogno di ricaricare le loro batterie naturali e spi-
rituali, perché la vita di missione esige un retroterra di riflessio-
ne, di contemplazione e di preghiera. Anche la vita di famiglia,
con i suoi impegni di lavoro professionale e familiare, per la
fatica che i figli, la casa e il vivere quotidiano richiedono, esige
che si trovi un tempo di riflessione, di contemplazione e di pre-
ghiera, per comprendere in profondità il progetto di vita e per
rigenerare le forze necessarie. A volte, sia nella vita di missione
che di famiglia, per una certa «mistica» dell’impegno, facciamo
un po’ di resistenza ad accettare l’invito che il Signore oggi fa:
«Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi
un po’». Invece è un invito da accogliere e da ricercare: è il tem-
po del deserto, che è necessario come il pane quotidiano. Nel
deserto c’è il silenzio delle cose e degli uomini, e soprattutto c’è
presenza di Dio. Il deserto è arido, ma non è sterile: anzi, tutto
ciò che nasce nel deserto è preziosissimo. Il deserto è una di-
mensione interiore, nella quale si entra con il puro necessario,

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spogliati dai pensieri di tutti i giorni: i bisogni nostri e della


famiglia, le strategie orientate all’utile e alla carriera e i mille
tentativi del mondo per catturare la nostra attenzione. Nel de-
serto ci si trova a tu per tu con Dio, che ci viene incontro, ci
chiama, ci parla e ci conduce verso una libertà interiore, che
è libertà dalle cose, dalle preoccupazioni e dai bisogni indotti
dalla nostra società. Non è facile trovare questo tempo per riti-
rarsi nel deserto, ma bisogna cercarlo: siamo sempre circondati
da una folla di persone che, come nel vangelo di oggi, con
i loro bisogni e con il loro affetto cercano di occupare tutto
il nostro spazio interiore. Ricordo con molta nostalgia il mio
lavoro in Arabia Saudita quando, alla fine della settimana, mi
potevo permettere di passare da solo una giornata nel deserto,
sicuro che, in Italia, Anna Maria avrebbe sopperito da sola ai
molti impegni familiari. Pregavo per lei, per i figli, e poi mi
abbandonavo al silenzio. Alla sera tornavo al campo rigenerato.

V settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Essere sale e luce
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa
lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato
dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città
che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il
moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre
opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Mt 5,13-16
Ci sono pagine del vangelo dedicate a tutti, e ce ne sono
altre dedicate solo ai discepoli, a coloro che per Gesù hanno
abbandonato ogni cosa, e che nel brano di oggi sono identi-
ficati con la parola «voi». Gesù ha sempre fatto questa distin-
zione tra la folla e i discepoli. «La gente chi dice che io sia?...
Ma voi chi dite che io sia?» (Mc 8,27.29) chiese un giorno agli
apostoli. Anche noi, che tutte le mattine preghiamo insieme
da tanti anni assimilando ogni giorno qualcosa del pensiero
di Dio, possiamo considerarci parte di quel «voi», ai quali è

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dedicato il vangelo di oggi. A noi, dunque, il Signore oggi dice,


come allora ha detto ai discepoli: «Voi siete il sale della terra
Voi siete la luce del mondo». Riflettiamo su questo «essere sa-
le» ed «essere luce», per trovare il senso della nostra preghiera
quotidiana e della missione che ci viene affidata ogni giorno,
ovunque noi saremo chiamati a vivere. La prima riflessione da
fare è che il sale e la luce hanno in comune il fatto che non
esistono per se stessi, ma per gli altri. Il sale ha lo scopo di dar
sapore a tutto il cibo e la luce ha quello di permettere di vedere.
Possiamo identificare il sale con la «fede», che dà senso e sapore
alla nostra vita e, se noi la trasmettiamo agli altri, dà senso e
sapore anche a quella delle persone che incontriamo durante la
giornata. E possiamo identificare la «luce» con quella sapienza
che discende dallo Spirito e che permette di vedere il mistero
che brilla nascosto nelle cose e il grande progetto del Signore
nel dipanarsi della vita quotidiana.
Viene in mente la storiella dei tre scalpellini che spaccavano
pietre per costruire la cattedrale di Reims. Uno era triste, il
secondo era sereno, il terzo era felice. Una persona che passava
per caso chiese a quello triste: «Che cosa stai facendo?». «Non
lo vedi? – rispose – sto lavorando». Poi chiese a quello sereno:
«E tu che cosa stai facendo?». Rispose: «Mi guadagno il pane
quotidiano». Poi chiese a quello felice: «E tu che cosa stai fa-
cendo?». Rispose: «Costruisco una cattedrale!». Tutti e tre han-
no risposto dicendo la verità, ma solo il terzo vedeva lo scopo
grande della propria fatica ed era felice. È la luce dello Spirito
Santo, che ci introduce nel mistero, a permettere di vedere il
vero scopo della nostra vita e del nostro lavoro quotidiano.

V settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Toccare Gesù e il mistero della vita
Compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e
approdarono. Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo
da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati,
dovunque udivano che egli si trovasse. E là dove giungeva, in villaggi o
città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di

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poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano


venivano salvati. Mc 6,53-56

Il brano odierno risulta chiaro, se lo leggiamo nel contesto


degli avvenimenti che lo hanno preceduto. Dopo la moltiplica-
zione dei pani, che ha mostrato la profonda umanità di Gesù,
egli ha ordinato ai discepoli di salire sulla barca per raggiungere
l’altra riva del lago di Tiberiade, mentre egli stesso ha congeda-
to la folla e poi è salito sul monte a pregare. Voleva allontanarsi
dal pensiero degli uomini che, dopo quel miracolo, volevano
farlo re. Gesù si è sottratto al successo mondano, ma gli apo-
stoli non lo hanno compreso, «perché non avevano compreso il
fatto dei pani: il loro cuore era indurito» (Mc 6,52). È in questa
situazione di incomprensione totale che sul lago si è alzato un
vento contrario e gli apostoli, pur facendo molta fatica, non
riuscivano ad avanzare di un metro. Gesù, allora, è andato loro
incontro camminando sulle acque e gli apostoli lo hanno scam-
biato per un fantasma, come lo scambieranno per un fantasma
nelle apparizioni dopo la risurrezione. Appena salito sulla loro
barca, il vento si era placato e tutti sono approdati velocemente
a Gennesaret, sull’altra sponda del lago. È dopo questi fatti che
nel vangelo di oggi Gesù si trova di fronte a questa gente che,
invece, lo riconosce. Alla durezza del cuore degli apostoli si
contrappone la fede semplice della folla, che «tocca» il Cristo
e viene salvata e guarita dalle sue malattie. Il vangelo di oggi ci
invita a riflettere sul significato di quella fede. Se non «tocchia-
mo» il fatto della Provvidenza che ogni giorno viene attivata
dalla compassione e dalla misericordia del Signore, noi siamo
soli a combattere contro i venti contrari e i flutti che si solleva-
no nel gran mare della vita. Anche il Signore che incontriamo
nella preghiera, nelle Scritture e nell’eucaristia, rischia di diven-
tare un fantasma che noi non tentiamo nemmeno di toccare,
perché non lo riteniamo una realtà concreta e tangibile, come
invece egli è. Per le persone semplici, come quelle che fanno
parte di questa folla, Gesù è una persona vera, da toccare, e alla
quale si possono presentare i propri problemi, i peccati, le ma-
lattie, le situazioni ingarbugliate e le difficoltà nel comprendere
il mistero della vita. I semplici toccano la persona di Gesù e
penetrano più facilmente dei teologi il mistero che ci circonda.

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V settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Accoglienza dei clandestini e legalità
Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da
Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo
con mani impure, cioè non lavate… quei farisei e scribi lo interrogarono:
«Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli
antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene
ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi
onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono
culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il
comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Mc 7,1-13
C’è una forma di religiosità tutta intenta a seguire gli aspetti
esteriori della fede, e ce n’è un’altra in cui l’uomo si apre ad ac-
cogliere il Signore senza pregiudizi di alcun tipo. La prima – di-
ce oggi Gesù riportando un passo del profeta Isaia – è la religio-
sità delle labbra, la seconda è quella del cuore. O, se vogliamo,
nella prima il primato spetta alle consuetudini, nella seconda
spetta al Signore e all’uomo. Contro l’audacia del progetto di
Dio, c’è sempre il rischio di difendersi attaccandosi alle regole
e alle tradizioni, quasi sempre frutto più della scaltrezza dei
potenti che della giustizia verso i deboli. Però le leggi esistono e
non è lecito disattenderle senza cercare di cambiarle: Gesù non
l’ha fatto. Anzi, il vangelo che cos’è se non un continuo cam-
biamento delle consuetudini degli uomini per uniformarle al
pensiero di Dio? Nella chiesa di oggi, nei confronti degli immi-
grati clandestini, c’è chi cerca di conciliare l’accoglienza con la
legalità e chi sostiene l’accoglienza incondizionata, trascurando
la loro legale integrazione. I cristiani devono credere e afferma-
re che nessuna legge è più importante dell’uomo, come ha giu-
stamente sostenuto don Francesco, parroco di Castiglioncello,
in uno scambio di idee che abbiamo avuto qualche giorno fa.
Noi, pur condividendo questo principio, ci siamo trovati a
sostenere anche l’aspetto legale, chiedendoci poi perché l’ab-
biamo fatto. È vero che credere alla centralità dell’uomo, al di
sopra di ogni legge, è credere nel vangelo che annuncia la fine
dell’alienazione della persona, ma, a parer nostro, la soluzione è
un’altra: la chiesa deve fare quanto è in suo potere per cambiare

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le leggi di una società scristianizzata, ma non può disattenderle


come se non esistessero, se non per la prima istanza. È nostra
opinione, infatti, che accogliere il forestiero per i suoi bisogni
immediati sia un atto di carità, mentre favorire la sua perma-
nenza nel territorio contro ogni legge, sia un atto di prevari-
cazione sociale. Questa differenza l’ha compresa nostro figlio
Gianluca, che si adopera per sopperire ai bisogni immediati dei
clandestini e alla loro integrazione legale. Ma quando questa
non è possibile, opera per il ritorno al loro paese.

V settimana del Tempo Ord. – Mercoledì (Anno dispari)


Creazione dell’uomo ed ecologia
Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio
campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché
il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che
lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava
tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e
soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò
l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo
ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare… Il Signore
Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo
custodisse. Gn 2,4b-9.15

Alcuni scienziati sostengono con troppa insistenza che l’ori-


gine del mondo sia avvenuta in modo diverso da come è nar-
rata nel libro della Genesi. Quelli, però, che sono illuminati
dalla fede riconoscono che il racconto della Genesi non è in
contrasto con quanto sembra sia avvenuto. Basta leggerlo in
modo simbolico-spirituale e dare ai brevi tempi del libro il
significato di milioni di anni. Il fatto che i libri della Bibbia
non abbiano basi scientifiche l’ha spiegato bene Galileo Galilei
quando, accusato di credere alla teoria eliocentrica copernica-
na, in contrasto con la precedente geocentrica tolemaica che
sembrava confermata da un passo delle Sacre Scritture, disse:
«La Bibbia insegna come si vadia al cielo, e non come vadia il
cielo». Consapevoli di questa verità, sia l’ebraismo che la chiesa

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hanno abbinato, senza particolari problemi, il primo libro della


Genesi, tratto dal Codice Sacerdotale, al secondo che proviene
dalla tradizione jahvista. È per questo motivo che nei primi
capitoli la creazione dell’uomo è descritta in due modi diversi,
anche se non in contrasto tra loro. Il brano di oggi spiega come
Dio, alitando nel corpo dell’uomo, abbia voluto farne un essere
intelligente e spirituale, in modo da potergli affidare la custodia
della sua creazione, il giardino dell’Eden.
All’uomo il Signore ha affidato il mandato perché «lo col-
tivasse e lo custodisse», ne traesse sostentamento e lo rendesse
idoneo a soddisfare i suoi bisogni attraverso i tempi. Pratica-
mente all’uomo è stata affidata la continuazione dell’atto crea-
tivo di Dio: «Il signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino
dell’Eden perché lo coltivasse e lo custodisse». All’uomo non
è stata affidata solo la coltivazione, ma anche la custodia. È in
questo versetto della Genesi che è radicato il discorso ecologico
cristiano. Rispettare e aver cura della creazione, oltre a essere
convenienza dell’uomo, è proprio il mandato di Dio.

V settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì (Anno pari)


Diventiamo ciò che contempliamo
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e
comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui,
possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo
impuro». Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo
interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci
di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori
non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e
va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: «Ciò che
esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti,
cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti,
omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia,
calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori
dall’interno e rendono impuro l’uomo». Mc 7,14-23

Il cuore dell’uomo ha due inclinazioni: al male e al bene.


«Dal cuore degli uomini – dice oggi Gesù – escono i propositi
di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità,

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inganno, dissolutezze, invidia, calunnia, superbia, stoltezza».


Sono queste cose che contaminano l’uomo, siano esse alimen-
ti o immagini. Egli, nel brano di oggi, dichiara mondi tutti
gli alimenti, ma rimane aperto il discorso sulle immagini. Dal
cuore dell’uomo, però, escono anche le inclinazioni al bene,
quelle che Paolo chiama i frutti dello Spirito: «amore, gioia,
pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, do-
minio di sé» (Gal 5,22). Come l’uomo si possa destreggiare tra
due orientamenti così opposti è detto in un aforisma rabbini-
co che commenta il primo comandamento: «Amerai Dio con
tutto il tuo cuore, ossia con le sue inclinazioni, quella al bene
e quella al male». Nessuno può, infatti, eliminare dal proprio
cuore l’inclinazione al male: l’importante è che questa non im-
pedisca di amare Dio, che ci accetta così come siamo. Il vero
problema dell’uomo non è il suo peccato: è il fatto che esso gli
impedisce di andare a Dio, perché non si sente degno.
Noi, tuttavia, abbiamo un modo per orientare il cuore verso
i frutti dello spirito, anziché verso il male: contemplare ciò che
è giusto, bello, vero e santo, perché l’uomo diventa ciò che
contempla. E così abbiamo ripreso l’argomento delle immagini
che avevamo lasciato sospeso. La nostra attenzione deve essere
rivolta alle immagini, più che agli alimenti: dobbiamo elimina-
re quindi dai nostri interessi quotidiani molti programmi tele-
visivi, libri, giornali, pubblicità e opinion leader che orientano il
nostro pensiero verso il male. Questo è il modo di fronteggiare
le nostre inclinazioni al peccato: combattendole alla radice, co-
me ogni giorno gli uomini si tagliano la barba.

V settimana del Tempo Ordinario – Giovedì (Anno dispari)


L’uomo e la donna
E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli
un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni
sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo,
per vedere come li avrebbe chiamati… Così l’uomo impose nomi a tutto il
bestiame… ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora
il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli

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tolse una delle costole… Il Signore Dio formò con la costola… una donna
e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie
ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è
stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a
sua moglie, e i due saranno un’unica carne. Ora tutti e due erano nudi…
e non provavano vergogna. Gn 2,18-25

Quando parliamo con i nostri figli Gianfilippo e Gianluca,


che vivono da single, uno a Londra e l’altro a Caserta, non per-
diamo occasione per chieder loro come stanno le prospettive
di matrimonio. Non devono sposarsi per render contenti noi
genitori, però sarebbe bene che si innamorassero di una brava
ragazza e la sposassero, perché «Non è bene che l’uomo sia so-
lo», ha bisogno di «un aiuto che gli corrisponda». Ciascuno ha
bisogno di amare ed essere amato, di confrontarsi, di procre-
are figli alla vita, di sognare e progettare insieme a un altro se
stesso il proprio futuro. Una persona sola non ha riferimenti,
non ha nessuno che le impedisca di commettere errori e pren-
dere strade sbagliate, ma soprattutto non conosce la gioia che
scaturisce dalla comunione sponsale e dalla famiglia. All’inizio
dell’odierno brano della Genesi, l’uomo era «solo». «Allora il
Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici
e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere
come li avrebbe chiamati». Dare il nome, nella civiltà mesopo-
tamica di quel tempo, equivaleva a dare uno scopo, un senso,
una finalità e quindi esercitare un dominio. L’uomo però non
era contento di essere padrone della natura e delle cose, aveva
bisogno di un aiuto che fosse simile a lui e con il quale potes-
se vivere in comunione di pensieri, di sentimenti e di intenti.
Allora Dio prese una parte dell’uomo, una costola, ne fece un
altro essere come lui, una persona, e fu creata la donna.
Come Adamo la vide, diversa ma complementare a lui, ebbe
un grido di giubilo: «Questa volta essa è osso delle mie ossa e
carne della mia carne. La si chiamerà donna perché dall’uomo
è stata tolta». In ebraico infatti le parole che indicano l’uomo e
la donna sono «ish» e «isha», maschile e femminile della stessa
realtà, chiamati a essere «una sola carne» nell’amore. Questo
ridiventare una cosa sola si sublima nel fatto che l’uomo e la
donna «erano nudi e non ne provavano vergogna». Nudi nel

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corpo, nei pensieri, nei sentimenti, nei sogni, nei progetti e in


ogni manifestazione dello spirito e della vita. Oggi la situazione
è un po’ diversa: questa unione perfetta deve essere riscoperta e
riconquistata in un cammino di fede.

V settimana del Tempo Ordinario – Giovedì (Anno pari)


La fede scaccia i demoni
Partito di là, andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non
voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Una donna,
la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di
lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e
di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua
figlia. Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché
non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma lei gli
replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole
dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito
da tua figlia». Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il
demonio se n’era andato. Mc 7,24-30

Alla fine del brano di oggi Gesù dice a questa donna siro-
fenicia: «Per questa tua parola va’: il demonio è uscito da tua
figlia». È l’unico esorcismo del vangelo che avviene non per la
potenza di Gesù, ma per la fede di questa donna pagana. È un
fatto sul quale si deve riflettere in profondità: che tipo di fede
è quella della siro-fenicia, che ha il potere di scacciare i demoni
dalle persone e dalle situazioni, senza che questo sia diretta-
mente comandato da Gesù o da un discepolo che operi nel suo
nome? È la fede del pane. In nessun brano del vangelo è chiaro
come in quello di oggi che la vera fede, quella che sposta le
montagne, si attualizzi nella «pratica del pane». In un mondo
come il nostro, o come al tempo di Gesù, dominato dall’indi-
vidualismo e dall’edonismo, la fede che si fa pane e che sazia il
fratello bisognoso dello stesso pane, materiale e spirituale, ha
una potenza di liberazione dal male di natura divina. L’amore
fraterno e la parola «pane» liberata nella società, sono già di
fatto la vittoria sul male: è nella condivisione del «pane dei fi-
gli» che diveniamo fratelli e il Padre diventa padre di tutti. Noi

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ne abbiamo tanto di questo pane, sia come cibo materiale, che


come parola di Dio da condividere, ma non siamo capaci di
offrirlo con generosità alle persone che incontriamo durante la
giornata. Alla sera ce ne avanzano sempre dodici ceste e lo but-
tiamo via, oppure lo lasciamo lì e diventa duro. Il pane va con-
diviso ogni giorno per mangiarlo sempre fresco. Il Signore que-
sto pane ce lo consegna al mattino, nel piatto e nella preghiera.
Donaci, Signore, lo spirito di condivisione del pane mate-
riale e della tua parola.

V settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


La guarigione del sordomuto
Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne
verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono
un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte,
lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò
la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse:
«Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il
nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non
dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni
di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare
i muti!». Mc 7,31-37

Prima di compiere il miracolo della guarigione di questo


sordomuto Gesù lo porta in disparte. Il motivo non è, come
è solito fare, quello di sottrarsi ai facili entusiasmi della folla,
ma di isolare quest’uomo che dovrà udire e toccare ciò che in
nessun luogo naturale è possibile fare: il mistero sulla persona
di Gesù. Questa guarigione avviene in due tempi: il sordomuto
prima è guarito nell’udito e poi nella parola, perché solo chi è
in grado di ascoltare è bene che sappia parlare. Il miracolo è,
però, preceduto da un evento: Gesù emette un sospiro, con il
quale dona lo Spirito Santo, affinché quell’uomo possa udire e
parlare «correttamente», che, teologicamente, vuol dire ascolta-
re e proclamare con sapienza celeste i misteri del regno dei cieli.
È ciò che anche noi dobbiamo fare quando ci avviciniamo alle
Sacre Scritture: pregare e invocare lo Spirito Santo per ascol-

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tare prima di riflettere e di parlare dei misteri di Dio. Solo in


questo modo possiamo sapientemente spezzare per gli altri il
pane della Parola ricevuta, come il sacerdote fa all’altare con il
pane eucaristico. È una comunicazione che si instaura tra Dio e
l’uomo, nella quale, chi ascolta e poi parla, deve fare solo da filo
conduttore, opponendo la minor resistenza possibile alla tra-
smissione del messaggio, come avviene per l’elettricità. Come
nell’energia elettrica la bontà della trasmissione viene assicurata
dalla conducibilità, nel caso del pensiero di Dio viene assicu-
rata dalla santità. Però le opere e lo stile di vita di colui che
ascolta e trasmette il pensiero di Dio, disturbano sempre un
po’ la comunicazione del messaggio, per cui si rende necessa-
rio, prima di ascoltare la parola di Dio e di parlare, invocare lo
Spirito Santo, perché la grazia di Dio supplisca alla mancanza
di santità e il messaggio passi con fedeltà.

V settimana del Tempo Ordinario – Sabato


L’eucaristia, nostra speranza
In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla [Gesù]… chiamò a sé
i discepoli e disse loro: «Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni
stanno con me e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle
loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti
da lontano». Gli risposero i suoi discepoli: «Come riuscire a sfamarli di
pane qui, in un deserto?». Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero:
«Sette». Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie,
li spezzò e li dava ai suoi discepoli… ed essi li distribuirono alla folla.
Avevano anche pochi pesciolini; recitò la benedizione su di essi e fece
distribuire anche quelli. Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi
avanzati: sette sporte. Erano circa quattromila. E li congedò Mc 8,1-9

All’inizio dei tempi, Dio disse all’uomo e alla donna appena


creati: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e ogni albero
fruttifero, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli
animali selvatici io do in cibo ogni erba verde» (Gn 1,29-30).
È il mandato all’uso e alla condivisione dei beni della natu-
ra. Apriamo il giornale e leggiamo: guerre, sopraffazioni, crisi
energetica, fame, inflazione, recessione, licenziamenti, colpi di
stato, attentati, rapimenti, estorsioni, corruzione, rapine, crisi

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degli alloggi e via dicendo. Che cosa è successo? Da quando


Caino ha ucciso il proprio fratello, è un susseguirsi di egoismi
e prevaricazioni. La condivisione è quasi sparita dalla terra. In
questo contesto storico, oggi incontriamo il secondo miracolo
della moltiplicazione dei pani, con il quale Gesù anticipa la
caparra del pane quotidiano e di quello eucaristico che ogni
giorno ci raggiungono. Alla nostra ottusità nel capire il man-
dato alla condivisione, il Signore continua a contrapporre una
generosità sempre più grande: «Sento compassione per la folla;
ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare».
La nostra speranza di continuare a ricevere il pane eucaristico
e di riuscire a condividere quello quotidiano hanno le radici in
questa «compassione» del Signore per le nostre povertà. Egli
non tiene conto del nostro egoismo, ma ci viene incontro con
amore divino. Alla fine il Signore vincerà ogni resistenza uma-
na, perché non si stanca mai di amare. È come giocare a tennis
contro il muro: vince sempre il muro. Oggi siamo ancora lon-
tani dalla liberazione del pane quotidiano, ma se continuiamo
a condividere quello eucaristico, alla fine l’egoismo crollerà co-
me il muro di Berlino. Ogni volta che partecipiamo all’eucari-
stia brilla davanti ai nostri occhi un futuro di gloria, e la notte
nella quale ancora viviamo s’illumina d’improvviso bagliore: è
la speranza che rinasce dal pane spezzato di Cristo.

VI settimana del Tempo Ordinario – Domenica


La comunicazione
«Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma
adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate
affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo
sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande
Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di
rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”,
“No, no”; il di più viene dal Maligno». Mt 5,33-37

Il vangelo di oggi si conclude con un’esortazione breve, in-


cisiva, severa. Gesù ci esorta a una comunicazione sempre più

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semplice e diretta, che presenti la verità con franchezza, senza


fronzoli verbali e giuramenti. Essa ricorda, per contrasto, i testi
sulla comunicazione menzognera, che è riconoscibile proprio
dalla sovrabbondanza di parole di cui ha bisogno colui che
cerca di spacciare il falso per vero. E se l’ascoltatore esita ad
accordargli la fiducia, cerca di strappargliela con un crescendo
di affermazioni, fino a ricorrere anche ai giuramenti. La co-
municazione che propone il vero, invece, è lineare e facile a
comprendersi, perché tale è sempre la verità.
Perfino le grandi scoperte scientifiche e le leggi che regolano
l’universo possono essere spiegate ai bambini con il loro stesso
linguaggio, perché si può sempre rendere comprensibile la re-
altà, se le si resta fedeli. Sono rimaste memorabili, nella nostra
famiglia, le lezioni di astronomia che la nonna Rita impartiva
ai nipotini nel giardino della casa di Castiglioncello. I più pic-
coli ascoltavano a bocca aperta, e tutti comprendevano benissi-
mo la legge della gravitazione universale. È molto più difficile,
per noi adulti, riuscire a seguire gli pseudo-ragionamenti di
gran parte del mondo politico o le complicate elucubrazioni
della cultura che si definisce laica la quale vorrebbe minare la
nostra fede, insinuando dubbi sottili e corrosivi. Ci soccorrono
le parole del vangelo che non solo ci esortano a parlare con pa-
role semplici, ma ci ricordano che sovente le grandi verità sono
comprese proprio da chi sa farsi piccolo come un bambino.

VI settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Il segno dal cielo
Vennero i farisei e si misero a discutere con lui, chiedendogli un segno
dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli sospirò profondamente e disse:
«Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa
generazione non sarà dato alcun segno». Li lasciò, risalì sulla barca e partì
per l’altra riva. Mc 8,11-13

Questi farisei che chiedono a Gesù «un segno dal cielo», per
capire chi veramente egli sia, mettono a nudo la loro incapa-
cità di comprendere i segni dei tempi, così come non lo com-

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prendono i discepoli, che non si sono resi conto del significato


della moltiplicazione dei pani. Gesù si rifiuta di dare un segno,
perché il segno ha senso solo se anticipa la realtà di cui è segno;
ma quando la realtà è già presente, il segno perde di significato.
Sarebbe come dare le previsioni del tempo sul giorno presente.
Purtroppo il fatto di aver continuo bisogno di segni per poter
credere è un problema ancora attuale. L’uomo è un animale in-
telligente e, come tale, ricerca il motivo di tutto ciò che accade.
Tuttavia, con questo atteggiamento, di per sé giusto, rischia di
commettere l’errore dei farisei: essi hanno una loro idea di Dio
e chiedono segni a conferma di ciò che già pensano, non perché
siano aperti all’incontro con il Signore. Gesù di Nazaret non è
un segno, ma una realtà che contraddice ciò che i farisei pensa-
no, e anche ciò che spesso noi pensiamo. Il Signore non accetta
che la nostra fede sia basata su dei «segni di potenza», ma ci
chiede di cogliere continuamente la sua signoria nel segno della
croce, che è quello della massima debolezza: è la sua capacità
di farsi pane ogni giorno nell’eucaristia. È una consapevolezza
che all’inizio nessuno ha, ma viene acquisita a poco a poco
con il passare degli anni. I primi tempi, quando la conoscenza
del Signore è scarsa, abbiamo bisogno di segni chiarissimi per
riconoscerlo negli eventi della giornata. Con il tempo, inve-
ce, acquisiamo la sensibilità degli scout, che riescono a trovare
una traccia anche con dei segni quasi impercettibili. Durante
la loro esperienza comunitaria con Gesù, i discepoli non hanno
riconosciuto la sua signoria nemmeno di fronte al segno del-
la moltiplicazione dei pani. Dopo la Pentecoste, però, l’hanno
colta anche nel panino che ogni giorno si trovavano sulla tavola.

VI settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Il segno del pane
Avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé
sulla barca che un solo pane. Allora egli li ammoniva dicendo: «Fate
attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Ma
quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. Si accorse di questo
e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e

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non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete
orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani
per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli
dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila,
quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E
disse loro: «Non comprendete ancora?». Mc 8,14-21

Il vangelo odierno ci parla della Provvidenza ponendo-


ci una serie di sette domande, che si concludono con la più
tragica di tutte: «Non comprendete ancora?». I discepoli sono
preoccupati perché, saliti sulla barca per attraversare il lago di
Tiberiade, si accorgono di avere un solo pane, che dovrebbe
bastare per tutti. Il fatto di aver vissuto le due esperienze della
moltiplicazione dei pani, quando sono stati sfamati cinquemila
uomini prima e quattromila dopo, non li ha liberati dalla paura
di non avere cibo a sufficienza. Nella barca, che rappresenta la
chiesa – anche quella domestica –, è necessario un solo pane:
Gesù Cristo. Con questo pane non si muore mai di fame e ce
n’è a sufficienza per sfamare anche molte altre persone, come
Gesù ricorda ai discepoli preoccupati. Non si tratta del solo
pane materiale, ma di ogni nostro bisogno, perché ogni biso-
gno è compreso nella preghiera del Padre nostro: «Dacci oggi
il nostro pane quotidiano». Purtroppo, il miracolo continuo
del pane quotidiano è osteggiato da due grandi pericoli, che ne
riducono la forza e ne nascondono il segno: «Fate attenzione,
guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!».
Il pane della Provvidenza, per sprigionare tutta la sua forza,
deve essere liberato dalla corruzione ideologica della legge e da
quella economico-politica del potere, rappresentate dal lievito
dei farisei e da quello di Erode. La legge, che dovrebbe essere a
protezione dei più deboli, quando prevale l’egoismo degli indi-
vidui e dei gruppi sociali, rischia di identificarsi col diritto del
più forte. Questo accade sempre nei regimi dittatoriali, sia pa-
lesi che mascherati, nei quali «legge» e «potere» vanno d’accor-
do, sulla base di compromessi che finiscono regolarmente per
schiacciare i più indifesi. Il lievito dei farisei e quello di Erode,
ai quali rischiamo di conformarci anche noi, annullano spesso
il potere miracoloso di quel pane, che ogni giorno il Signore
dona a tutti, ma che, purtroppo, giunge solo a pochi.

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VI settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Perché comprendiamo lentamente
Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo.
Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo
avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi
qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo
come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani
sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva
distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare
nemmeno nel villaggio». Mc 8,22-26

Conosco due fratelli che non si parlano da diversi anni a


motivo di un’eredità che uno di loro non ritiene equa. Leggia-
mo sul giornale che alcuni giovani si accoltellano per il pos-
sesso di un cellulare e di popoli interi che sono in guerra da
mezzo secolo per una striscia di terra. La storia e la vita di tutti
i giorni ci fanno toccare con mano che le cose sono ritenute
più importanti degli affetti. È il processo di «cosificazione»,
di riduzione a oggetto delle persone, che il peccato dell’uomo
mette in atto fin dall’inizio dei tempi. Nel brano precedente il
vangelo odierno, Gesù ha ricordato ai discepoli le due moltipli-
cazioni dei pani, quando sono stati sfamati prima cinquemila e
poi quattromila uomini, e ha concluso tristemente: «Avete oc-
chi e non vedete... Non comprendete ancora?» (Mc 8,18-21).
Oggi, dopo avergli toccato per la prima volta gli occhi, Gesù
chiede al cieco: «Vedi qualcosa?». E il cieco: «Vedo la gente,
poiché vedo come degli alberi che camminano». È il processo
di «cosificazione» delle persone a impedire a questo cieco di ve-
dere subito degli uomini. È più facile vedere degli alberi. Solo
dopo che Gesù gli ha toccato i suoi occhi per la seconda volta,
il cieco «vedeva a distanza ogni cosa». Questo miracolo mostra
il cammino dalla cecità all’illuminazione, che Gesù va operan-
do nei discepoli perché alla fine lo riconoscano come il Messia,
l’inviato di Dio nel quale si adempie la speranza di Israele. È
una presa di coscienza che risulterà molto lenta, Gesù dovrà
addirittura morire in croce e risorgere perché si compia nella
pienezza. Il brano di oggi ci fa riflettere anche sul nostro lento
processo di comprensione del vangelo e del nostro progetto

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di vita. Probabilmente l’accelerazione di questo percorso passa


attraverso la sostituzione dell’amore per le cose con l’amore per
le persone, punto di partenza di ogni progetto del Signore.

VI settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Confessione di Pietro
Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di
Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi
dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono
Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite
che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente
di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio
dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei
sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.    Mc 8,27-31
Gesù, così come normalmente lo incontriamo nel vangelo,
è uno che va diritto per la propria missione, senza preoccuparsi
minimamente di ciò che la gente pensa di lui. Oggi, improvvi-
samente, sembra smentirsi e pone ai suoi discepoli due doman-
de: «La gente chi dice che io sia?» e «Ma voi chi dite che io sia?».
È chiaro che la risposta alla prima domanda non gli interessa
molto: a lui serve solo come ponte per introdurre la seconda,
che inizia con un «ma». Quel «ma» ci dice che dai discepoli Ge-
sù si aspetta una risposta diversa, anche se non quella di Pietro,
che, illuminato dallo Spirito Santo, sorprende anche Gesù. È
la sorprendente risposta che, un giorno, a noi dette un fornaio
quando tenevamo i corsi di preparazione al matrimonio per i
fidanzati del decanato di Saronno. Gli incontri si tenevano alla
sera dopo cena, e una ragazza del corso veniva sempre da sola
perché era fidanzata con un fornaio che, a quell’ora, doveva
preparare il pane per il giorno dopo. L’ultimo giorno, tutta-
via, le chiedemmo di venire insieme al fidanzato, in modo da
poterlo almeno conoscere prima di firmare loro il certificato
di presenza. E così fece. Alla fine, prima della firma, facemmo
a quel giovane una sola domanda: «Senti, chi è per te Gesù?».
Lui ci guardò e rispose: «Il Figlio di Dio». Firmammo subito il

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certificato. Anche a ciascuno di noi oggi il vangelo pone la stes-


sa domanda: «Chi è per te Gesù di Nazaret?». E la risposta che
dobbiamo dare è personale. Tanti anni fa la nostra Maria Leti-
zia, ancora bambina, a questa domanda rispose così: «Quando
penso a Gesù mi sento come se avessi tre genitori». Tutti, anche
gli atei, hanno un concetto elevato di Gesù, e molti riconosco-
no in lui il modello dei propri ideali: sociologi, filosofi, storici,
operatori sociali. Oggi cerchiamo di dimenticare tutto su di
lui, anche il concetto che ne ha la chiesa, e poniamoci solo una
domanda personale: «Chi è Gesù di Nazaret per me?». Vedia-
mo se, onestamente, riusciamo a rispondere come Pietro e quel
fornaio: «È il Cristo, il Figlio di Dio, l’atteso da sempre, colui
che ha risposto alle domande importanti della nostra vita, che
ha dato un senso assoluto a questi anni passati insieme, e che è
l’unica speranza per il futuro».

VI settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


L’esodo verso l’eternità
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno
vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la
propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio
c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa
potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? Chi si vergognerà di
me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice,
anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria
del Padre suo con gli angeli santi». Diceva loro: «In verità io vi dico: vi
sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere
il regno di Dio nella sua potenza». Mc 8,34-9,1

Siamo sempre affascinati dall’avventura dei primi pionieri


americani, che hanno lasciato la loro terra, tutto ciò che ave-
vano, hanno caricato l’essenziale sopra dei carri e, in carovane,
dalle coste atlantiche dell’America sono andati all’Ovest, con la
speranza di un futuro migliore. È un’immagine che ci affiora
spesso quando meditiamo il libro dell’Esodo o quando, apren-

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do questa pagina del vangelo, il Signore ci chiede di rinnegare


noi stessi, abbandonare tutto, prendere la nostra croce sulle
spalle e seguirlo. Oggi Gesù ci propone di partire per un esodo
verso l’eternità, non sapendo esattamente che cosa troveremo,
come quei pionieri che sono andati all’Ovest. Noi partiamo
solo perché ci fidiamo del Signore, il capo-carovana che cono-
sce la «via» da percorrere, la «verità» su ciò che troveremo e la
«vita» che vivremo per l’eternità. Quest’avventura ci piace, è
una proposta affascinante; ma quello che ci preoccupa un po’ è
il bagaglio, la croce che dovremo portare sulle spalle.
Un giorno, durante la preghiera del mattino, Claudio, uno
dei nostri figli brasiliani, commentò: «Non potrei partire senza
croce, così, essendo più libero, chissà quante belle cose potrei
fare lungo la strada?». Durante la preghiera lo Spirito Santo
suggerì a uno di noi questa risposta: «Non è possibile. La cro-
ce sono i nostri limiti, i quali costituiscono la cosa più bella
che avete. Con le persone con pochi limiti io non riesco a far
niente, ma con le persone limitate io faccio cose incredibili».
Rispondemmo: «Se la faccenda sta così, partiamo». Siamo par-
titi e – dobbiamo dire – le nostre limitazioni, lungo la strada,
non hanno mai costituito un problema. Anzi, spesso si sono
trasformate in opportunità. Un giorno, durante un incontro di
preghiera, padre Fausto mi disse: «Ho bisogno che tu annunci
il vangelo al posto mio». «Ma come – risposi – lo sai che soffro
di balbuzie?». «Lo so – mi rispose – ma questo non è un pro-
blema tuo, è un problema del Signore. Tu vai e fidati». Mi sono
fidato, sono andato e lui mi ha guarito.

VI settimana del Tempo Ordinario – Sabato


La Trasfigurazione
Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto
monte… loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero
splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle
così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù…
Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre

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capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti
che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la
sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato:
ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più
nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò
loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il
Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Mc 9,2-9

Ci sono circostanze della vita, durante le quali, nel tran tran


delle nostre giornate, improvvisamente la verità si illumina e ci
è dato di cogliere il mistero. Il poeta Giovanni Pascoli direbbe
«come un occhio che largo, esterrefatto, s’aprì, si chiuse nella
notte nera». Sono i momenti della soluzione di un problema
antico, come quelli nei quali lo scienziato arriva alla formula
che sintetizza il funzionamento della realtà delle cose. Oppure
sono momenti che giungono improvvisi, come quando incon-
trai la mamma per la prima volta, o quando, meditando una
parabola del vangelo, ci sentiamo misteriosamente proiettati
al centro della verità. Pietro, Giacomo e Giovanni, che hanno
sempre faticato a comprendere Gesù e il senso della sua missio-
ne, oggi sono colti di sorpresa da questa esperienza del monte
Tabor: non sanno cosa dire e sono presi dallo spavento. Avver-
tono solo di trovarsi improvvisamente nel cuore della storia
della salvezza, insieme a Elia, Mosè e Gesù, che in questa scena
è il centro, l’illuminato. È lui che si trasfigura e sono le sue vesti
che diventano splendenti e bianchissime come «nessun lavan-
daio sulla terra potrebbe renderle così bianche».
È Gesù che il Padre indica come fulcro della storia della sal-
vezza: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». Elia e Mosè
rappresentano il passato e i tre apostoli la chiesa futura. Pietro si
rende conto di vivere un momento unico e privilegiato, e vor-
rebbe che non finisse mai, per non tornare nella penombra dei
dubbi e della comprensione difficile: «Maestro, è bello per noi
essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una
per Elia!». Per sé non propone niente: a lui basta rimanere lì. Non
sarà così. Quel momento, però, costituirà il punto di partenza
della sua missione futura, perché ogni illuminazione, ogni sco-
perta, ogni invenzione, ogni innamoramento e ogni momento
di verità, sono sempre un punto di partenza, non di arrivo.

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VII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


L’uomo è tempio di Dio
Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il
tempio di Dio, che siete voi. Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede
un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché
la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti:
Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. E ancora: Il Signore
sa che i progetti dei sapienti sono vani. Quindi nessuno ponga il suo vanto
negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita,
la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo
è di Dio. 1Cor 3,16-23

Paolo, in questa Lettera ai Corinzi, dopo aver parlato di se


stesso come di un architetto che ha edificato la comunità di
Corinto con solide fondamenta, sulle quali successivamente al-
tri apostoli hanno sovraedificato, oggi descrive l’edificio da lui
costruito. Con amore egli ricorda ai fratelli di quella comunità
che essi sono una cosa sacra per il Signore, consacrati dalla po-
tenza dello Spirito: «Non sapete che voi siete tempio di Dio e
che lo Spirito di Dio abita in voi?». Il cristiano giunge a una
fede matura perché molti hanno partecipato alla costruzione
del tempio di Dio che è in lui, e che nessuno può permettersi
di distruggere, pena la sua stessa distruzione: «Se uno distrugge
il tempio di Dio, Dio distruggerà lui». Ogni uomo è sacro agli
occhi di Dio. Questa immagine della costruzione dei nostri
templi interiori che Paolo ci offre, fa pensare all’importanza
della famiglia. È nella famiglia infatti che vengono costruite le
fondamenta del tempio che è in ogni uomo: alcune sono più
robuste, altre meno. Alcuni templi sono edificati sulla roccia di
Gesù Cristo, altri sono casette costruite sulla sabbia di semplici
valori – o disvalori – umani, come l’onestà o la furbizia, l’ope-
rosità o l’opportunismo, la franchezza o la menzogna, il rispet-
to o meno della parola data. In ogni famiglia vengono costruite
fondamenta sulle quali altri, o la vita stessa, edificheranno so-
vrastrutture. A nessuno, però, è lecito denigrare il lavoro fatto
da altri, in particolare quello della famiglia, perché si mette a
rischio l’identità stessa della persona. È ciò che era successo alla

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comunità di Corinto, nella quale era nata una certa preferenza


per Apollo, un apostolo giuntovi dopo Paolo. Paolo la ritiene
ingiusta e pericolosa: «Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita,
la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di
Cristo e Cristo è di Dio». Succede spesso anche oggi, in parti-
colare a opera di alcuni pseudo-psicologi, di voler ricostruire le
persone da capo cominciando a distruggere ciò che i genitori
hanno edificato prima di loro. Si distrugge l’identità delle per-
sone stesse. Occorre che tutti consideriamo sacro ciò che altri
hanno costruito con rettitudine d’intenti.

VII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


L’esorcismo quotidiano
Ed egli li interrogò [i discepoli]: «Di che cosa discutete con loro?». E
dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno
spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna
i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci
sono riusciti». Egli allora disse loro: «O generazione incredula!… Portatelo
da me»… Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il
ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando… Allora Gesù…
minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino,
esci da lui e non vi rientrare più». Gridando e scuotendolo fortemente,
uscì. E il fanciullo diventò come morto… Ma Gesù lo fece alzare… i
suoi discepoli gli domandavano in privato: «Perché noi non siamo riusciti
a scacciarlo?». Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può
scacciare in alcun modo, se non con la preghiera». Mc 9,16-29

Nel vangelo l’esorcismo, oltre a liberare dal demonio le per-


sone che ne sono schiave, ha sempre un valore programmatico,
nel senso che mostra con estrema chiarezza l’opera messianica
di Gesù: combattere e sconfiggere il male, che schiavizza l’uo-
mo e lo tiene lontano da Dio. Anche noi siamo chiamati a
partecipare a questa battaglia per liberare noi stessi e i nostri
conoscenti, come, con questo giovane, hanno tentato di fare i
discepoli nel brano di oggi. Tuttavia non ci sono riusciti. Erano
stati impotenti come quando traversando il lago di Tiberiade
aveva cominciato a soffiare un vento forte ed essi non sapevano

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che cosa fare. Per quale motivo, in entrambi i casi, i discepoli


hanno toccano con mano la loro impotenza? Perché, sia nella
traversata del lago che nel brano odierno, il Signore non era
con loro, ed essi si sono resi conto che senza di lui non poteva-
no far niente.
Allora, nel vangelo di oggi, Gesù insegna ai discepoli, e an-
che a noi, che i due mezzi per esorcizzare il male, quando si
presenta, sono la fede e la preghiera: «O generazione incredula!
Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo,
se non con la preghiera». In altre parole, la fede è necessaria,
ma non è sufficiente: deve concretamente tradursi in preghiera.
Questa condizione, durante la giornata, sembrerebbe esporci
continuamente ad aggressioni da parte del demonio, perché
con tutto ciò che abbiamo da fare, non possiamo dedicare mol-
to tempo alla preghiera. Sembrerebbe, ma non è così, perché
possiamo sempre mettere in atto la «preghiera della vita», che
passa attraverso i pensieri onesti, i sentimenti leciti, le parole
appropriate e le azioni giuste. E, nei momenti in cui il male si
presenta in modo più violento, possiamo sempre fare un segno
di croce e recitare silenziosamente il Padre nostro, per rendere
presente il Signore in quella situazione. È un esorcismo quoti-
diano alla portata di tutti, ed è potentissimo.

VII settimana del Tempo Ordinario – Martedì


L’idea fissa della carriera
Partiti di là, attraversavano la Galilea… diceva loro: «Il Figlio
dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma,
una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste
parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando
fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?».
Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse
più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il
primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo
pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di
questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me,
ma colui che mi ha mandato». Mc 9,30-37

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È la seconda volta, nel Vangelo di Marco, che Gesù parla


della sua morte e della sua risurrezione, ma i discepoli non
comprendono ciò che dice, perché sono lontanissimi dall’im-
maginare un epilogo del genere alla bella avventura che stanno
vivendo. Vorrebbero chiedere qualche spiegazione, ma non lo
fanno perché la volta precedente, quando Gesù ne aveva par-
lato, «Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma
egli gli disse “Va’ dietro a me, Satana!”» (Mc 8,32-33). Quella
risposta non era diretta a Pietro, ma al demonio che era en-
trato in lui e che, facendo leva sul suo amore per Gesù, gli
aveva suggerito di impedirgli dall’andare in croce. Comunque
sia, in quella circostanza gli apostoli avevano imparato che su
quell’argomento era meglio non contraddirlo. Così, mentre
si stanno dirigendo a Cafarnao, lungo la strada, preferiscono
parlare d’altro, e si mettono a discutere su chi di loro fosse il
più grande, praticamente il luogotenente di Gesù. È affiorato
il desiderio di emergere, di far carriera. Questa è un’idea fissa
dell’uomo, anche se spesso viene camuffata dagli ideali, o dalla
possibilità di rendere un servizio più qualificato, oppure per ri-
cavarne maggior benessere per la famiglia. Tuttavia, per quanto
ben camuffato, quello della carriera rimane un idolo anche più
subdolo di quelli del sesso e del danaro, i quali, perlomeno, si
manifestano per quel che sono. Nella scena di oggi, quando ar-
rivano a casa, Gesù, entra con calma nell’argomento e sposta il
discorso dalla «carriera» al servizio: «Se uno vuol essere il primo,
sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». Dopo la Pentecoste sarà
questo il futuro che essi stessi sceglieranno, ma a quel punto
avranno vissuto l’esperienza della passione, della morte in croce
e della risurrezione di Gesù. Sono infatti le esperienze di dolore
e le nostre risurrezioni a purificarci dalle ambizioni personali e
a renderci capaci di trovare gioia nel servizio al prossimo.

VII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


La centralità di Cristo nella chiesa
Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni
nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù

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disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo
nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è
per noi». Mc 9,38-40

Oggi il tema dell’appartenenza alla chiesa è assai vivo, non


tanto perché ne parlino i teologi, quanto per il fatto che esisto-
no fedeli che si professano del gregge, ma non vivono all’in-
terno dell’ovile. Poi ci sono fedeli che seguono Gesù Cristo,
ma vivono in altri ovili. I primi sono quelli che dicono «Gesù
Cristo sì, ma la chiesa no»; i secondi sono coloro che appar-
tengono alle chiese riformate (luterani, calvinisti, anglicani,
pentecostali, battisti), e per costoro occorrerebbe introdurre
il tema dell’ecumenismo. Entrambi questi argomenti, però, ci
invitano a chiederci chi sia Gesù Cristo e che cosa sia la chie-
sa. Nel brano di oggi è chiaro che nel gruppo degli apostoli si
è già strutturato un «noi» ecclesiale: «volevamo impedirglielo,
perché non ci seguiva». Questo non sarebbe un problema se
gli appartenenti a quel «noi» non fossero tentati di sostituirsi
al Maestro nei pensieri e nelle decisioni, come quando Pietro
si oppone a Gesù per impedirgli di andare a morire in croce.
Anche oggi succede di pensare che Gesù Cristo abbia conferito
alla chiesa dei poteri e che poi serva solo come garante di que-
sti. Altre volte egli viene tirato in ballo a giustificazione contro
il magistero della chiesa, nel nome della libertà che ci ha porta-
to. Altre ancora viene considerato un «operatore di giustizia» e
diventa la giustificazione di ogni rivoluzione sociale, pacifica o
violenta che sia. In tutti questi atteggiamenti si tenta di sostitu-
irsi a Gesù Cristo nei pensieri e nelle decisioni.
È l’originale peccato di ribellione che ritorna all’interno
della comunità cristiana e che stravolge il rapporto Maestro-
discepolo. A noi sembra che l’unica libertà della chiesa sia
quella di seguire Gesù Cristo, nel pensiero, nei sentimenti e
nel mandato all’evangelizzazione, mettendosi al servizio degli
uomini, pronta a subire la violenza di ogni potere. Per quan-
to riguarda l’ecumenismo, è ottima cosa la comunione tra le
chiese, ma lo Spirito soffia dove e quando vuole. Gesù Cristo,
nel brano di oggi, lascia tutto il margine possibile alla libertà
e alla diversità, perché non sono le nostre differenze che con-
tano, ma il fatto che tutti operiamo nel suo nome, ricercando

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una forma di comunione tra le chiese. Spesso le diversità che


nascono dalla libertà sono ricchezza. Nel vangelo il simbolo
della chiesa universale è la barca. Durante la pesca miracolosa
Gesù dice a Pietro: «“Prendi il largo e gettate le vostre reti per
la pesca”... Fecero così e presero una quantità enorme di pesci...
Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero
ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche» (Lc
5,4-7). Ecco, la barca nella quale non c’è Pietro, rappresenta le
chiese riformate che, nel nome di Gesù Cristo, pescano uomini
nel gran mare della vita.

VII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Esigenze della sequela
«Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome
perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto
meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia
gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio
per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani
andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo
di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo,
anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è
motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio
con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove
il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Ognuno infatti sarà
salato con il fuoco…». Mc 9,41-50

Nella riflessione di ieri il Signore ci ha detto come, nel suo


nome, si possa giungere alla comunione nella diversità. Nel
vangelo di oggi risulta ancora più chiaro che Cristo è il princi-
pio unificante della vita cristiana: anche i minimi gesti di ser-
vizio, come dare un bicchier d’acqua nel suo nome, non sono
privi di significato. I segni di carità nei confronti dei fratelli in
Cristo, costituiscono l’essenza della vita cristiana: ciò che po-
trebbe sembrare anche banale, nel suo nome si dischiude in un
orizzonte divino. Orizzonte che Gesù stesso, quando parla del
giudizio finale, amplifica addirittura a ogni uomo: «Venite, be-

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nedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per


voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere;
ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato
e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi... In
verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,34-40). Il
contrario della carità e del servizio è lo scandalo: «Chi scanda-
lizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto
meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da asino
e sia gettato nel mare» (Mc 9,42). Questi piccoli non sono solo
i fratelli di fede, sono anche i poveri: gli affamati, gli assetati,
i forestieri, i nudi, i malati, i carcerati. È facile scandalizzare i
poveri: basta dimenticarli. I piccoli nella fede e i poveri sono
spesso tentati di abbandonare la comunità cristiana, oppure di
non entrarci, a causa del nostro individualismo e della nostra
indifferenza. Il Signore, oggi, dice che sarebbe meglio ampu-
tarci le mani, se queste servono solo a prendere, e i piedi se ser-
vono solo ad allontanarci da lui, oppure cavare i nostri occhi se
non li usiamo per ricercare la verità. Questo modo di vivere le
relazioni sociali – annuncia oggi Gesù – è il segreto per «entrare
nel Regno». Mentre stavo riflettendo su questa pagina del van-
gelo ho ricevuto la telefonata di Alessandra, un’amica che non
vedevo da vent’anni, che mi ha fatto gli auguri di compleanno.
Che insegnamento!! Che lezione!!

VII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Il matrimonio
Partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume
Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro,
come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla
prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie.
Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha
permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro:
«Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma

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dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo


lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno
una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque
l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo
interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la
propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei,
ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Mc 10,1-12

Negli ultimi anni la secolarizzazione ha scavato molto pro-


fondamente nella società e, purtroppo, anche nel mondo catto-
lico. Non solo non fa più scandalo il divorzio, ma non lo fanno
nemmeno le coppie di fatto, e cominciano a non farlo nemme-
no le unioni omosessuali. Ma Gesù oggi ci dice che, in mate-
ria di matrimonio, una cosa è la legge e un’altra è il progetto
di Dio sull’uomo e la donna. Questa folla, che appare spesso
nei vangeli e che non si identifica né con i seguaci, né con gli
avversari di Gesù, rappresenta il mondo che non si decide nei
confronti del messaggio evangelico, restando a esso aperto, ma
accogliendolo solo in parte.
Anche a quel tempo era ammesso il divorzio, pur nelle re-
strizioni previste dai rabbini; ma questo, dice Gesù, era stato
concesso «per la durezza del vostro cuore». Mosè, come i legi-
slatori di ogni tempo e luogo, nel promulgare questa norma
aveva dovuto tener conto della durezza del cuore del suo popo-
lo, perché non esiste legge che non sia influenzata dagli orien-
tamenti culturali e sociali. Con l’avvento dei tempi messianici,
però, siamo tornati al concetto di matrimonio e di famiglia
come erano scaturiti all’atto della creazione. Per la chiesa, come
per Gesù, il matrimonio è inscindibile, punto e basta. Ciascu-
no è libero di fare quello che crede, ma nessuno può piegare la
volontà divina alla propria. Per renderci conto dell’importanza
di questo argomento, basta pensare che ci sono solo due real-
tà istituite direttamente dalla volontà di Dio: la famiglia e la
chiesa. La famiglia addirittura prima della chiesa. Tuttavia la
realtà contemporanea è piena di insidie e di pericoli, e anche
mantenere un matrimonio cristiano sempre giovane non è fa-
cile. Esiste solo un modo: pregare insieme. È nella preghiera
che una famiglia ricostruisce, ogni giorno, nell’amore di Dio,
quell’unione meravigliosa che esisteva all’inizio dei tempi.

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VII settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Gesù e i bambini
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li
rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate
che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti
appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno
di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli
tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro. Mc 10,13-16
Quant’è bello la domenica quando, dopo una settimana
di lavoro, ci ritroviamo insieme in casa nostra a consumare il
pranzo della festa, in mezzo alla confusione dei bambini che
giocano, si divertono e bisticciano con una spontaneità che
noi adulti, purtroppo, abbiamo perduto! Certo, un plotone di
soldati sarebbe più ordinato, ma noi preferiamo lo scorrazzare
libero dei bambini, che si intrecciano come i voli delle rondini
in cielo. Ogni tanto qualcuno rompe un soprammobile, qual-
cun altro rovescia un bicchiere o piange perché il suo giocattolo
glielo ha preso un cuginetto. Pazienza, però... che vita! Tutto è
nuovo per loro, tutto li stupisce. Bisticciano ogni cinque mi-
nuti, poi tornano a giocare insieme con spontaneità, disturbati
solo da qualche mamma che li obbliga a chiedere scusa! Nel
mondo dei bambini è normale che, dopo essersi contesi un gio-
cattolo, si torni a giocare insieme come se niente fosse successo.
Chi non accoglie il regno di Dio con altrettanta gioia e sempli-
cità non entrerà in esso. Il poeta Ardengo Soffici descrive, come
meglio non si potrebbe, la completa assenza di convenienze da
parte dei bambini: «Com’è bello il mio bambino quando man-
gia, ha le patacche addosso a cento a cento, e la bocca color di
stufatino».
Il bambino vive dell’amore dei genitori e di provvidenza,
ha solo ciò che gli si dà, che è ciò che gli altri vogliono; non
possiedono nulla, neanche se stessi. La scena del vangelo di
oggi è una foto istantanea della personalità di Gesù, e ci mostra
come egli sia veramente se stesso di fronte ai bambini. L’atteg-
giamento di libertà fiduciosa di quei piccoli si contrappone a
quello dei discepoli, che prendono a pretesto la loro invadenza
per poter rimanere soli con Gesù. Ritengono indecorosa quella

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confusione infantile intorno al Maestro, ma, sotto sotto, c’è


un po’ di invidia, perché nemmeno con loro Gesù si è aperto e
si è sciolto come di fronte a quei bambini. Dona anche a noi,
Signore, il tuo Spirito di accoglienza nei confronti dei bambini,
e aiutaci a diventare, a nostra volta, bambini nei confronti del
vangelo e della vita.

VIII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


La vera ricchezza
«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro,
oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio
e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita,
di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che
indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono
nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di
loro?… Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non
filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria,
vestiva come uno di loro… Non preoccupatevi dunque del domani, perché
il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».
 Mt 6,24-34
«Nessuno può servire due padroni Non potete servire Dio
e la ricchezza [Mammona]». In aramaico, la lingua nella quale
parlava Gesù, Mammona impersonifica la ricchezza che, quan-
do meditiamo questo brano del vangelo, giustamente identi-
fichiamo con l’eccessivo attaccamento al denaro. Non è certo
Mammona il guadagno ricavato dall’onesto lavoro, per procu-
rarsi il pane quotidiano e per vivere una vita dignitosa: quel de-
naro è grazia di Dio, è provvidenza che ci raggiunge. Il denaro
diventa Mammona quando ne facciamo lo scopo principale
della vita, quando ne accumuliamo sempre di più perché quel-
lo che abbiamo non è mai abbastanza, quando non si condivide
con i poveri, quando è oggetto di corruzione, di concussione,
di usura, di speculazione, o quando andiamo a giocarlo al casi-
nò. Ci sono ambienti nei quali l’argomento di conversazione è
solo il denaro perché – dice il vangelo – «la bocca esprime ciò
che dal cuore sovrabbonda» (Mt 12,34).

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Si parla di come guadagnarlo, come risparmiarlo, come far-


lo fruttare di più, come spenderlo. E quando non se ne parla,
si ostenta. Tuttavia, per un meraviglioso riequilibrio delle cose,
la serenità e la gioia non sono legate alla ricchezza, ma semmai
all’assenza di bisogni. Padre Tomaso era sempre gioioso. Una
sera, quando abitavamo a Castellanza, venne a cena a casa no-
stra e io gli regalai un bel cappotto, che a me stava un po’ stret-
to. «Grazie, grazie!» mi disse padre Tomaso e l’appese all’at-
taccapanni dell’ingresso. Poi, alla fine della serata, se ne andò
lasciandolo lì. Il giorno dopo, quando me ne accorsi, pensando
che se ne fosse dimenticato, gli telefonai: «Padre Tomaso, hai
dimenticato il cappotto!» «Già – rispose – ma non importa. Un
cappotto ce l’ho. Dallo a un altro che ne ha bisogno».

VIII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Il giovane ricco
Un tale gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in
eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «… Tu conosci i comandamenti:
Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare
il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». Egli allora gli disse:
«Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora
Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca:
va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni!
Seguimi!». Ma… egli… se ne andò rattristato; possedeva infatti molti
beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «… È più
facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel
regno di Dio». Essi… dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma
Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a
Dio!». Mc 10,17-27

Questa di oggi è una delle pagine più sconvolgenti del van-


gelo. Non dobbiamo cercare lontano per individuare chi sia
questo giovane ricco: siamo noi, con il nostro anelito di vita
eterna, il nostro desiderio di vivere la realtà del regno dei cieli
e, nel contempo, con la nostra incapacità a vender tutto, da-
re il ricavato ai poveri e seguire il Signore. Finché si tratta di
rispettare i comandamenti, pur con alti e bassi, ci sentiamo

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abbastanza tranquilli come lo è il giovane ricco. Il problema si


presenta quando desideriamo incamminarci sulla strada della
perfezione, alla quale è legata la gioia: «Tu parli bene, Signore,
ma non hai avuto una famiglia con molti figli da far crescere,
educare e avviare verso il loro futuro». Una persona sola è più
libera, ma quando si ha famiglia, non si può imporre a tutti
i familiari una scelta radicale. Diventa un fatto comunitario,
non personale. E in una famiglia, specie se numerosa, non tutti
sono pronti a vender tutto e dare il ricavato ai poveri. In una
famiglia i primi poveri sono proprio i figli, ai quali deve essere
assicurato il necessario per il presente e un’educazione per il
futuro.
Certo, dobbiamo trovare il modo di aprirci al prossimo,
anche per educarli alla solidarietà e alla generosità. Secondo
la nostra esperienza, una famiglia dovrebbe funzionare come
il camino il quale, per bruciare bene, deve essere aperto ver-
so l’esterno, con un’apertura la più grande possibile, ma non
eccessiva, altrimenti la fiamma si strappa e il camino si spen-
ge ugualmente, come se non ci fosse alcuna apertura. Per una
famiglia questa è la strada della serenità e della gioia. Ci ren-
diamo conto che l’equilibrio tra responsabilità familiare e so-
lidarietà sociale è difficile da raggiungere, allora trasformiamo
in preghiera l’ultima frase del vangelo di oggi: «Donaci, Si-
gnore, il buon senso, la saggezza, la generosità e la fede per
poter effettuare, giorno dopo giorno, le stesse scelte che faresti
tu nella nostra situazione. Alla fine, però, contiamo sulla tua
misericordia, perché quello che non sarà stato possibile a noi,
lo è per te».

VIII settimana del Tempo Ordinario – Martedì


La nuova economia del vangelo
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti
abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno
che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi
per causa mia e per causa del vangelo, che non riceva già ora, in questo

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tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi,
insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei
primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi». Mc 10,28-31

Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, città nella quale si


concluderà la sua missione terrena. Egli lo ha sempre saputo,
ma non farà niente per sottrarsi agli eventi che lo attendono,
perché ha sposato completamente il progetto che il Padre, nella
storia della salvezza, ha predisposto per lui. Via via che la sua
missione si avvicina al compimento, le sue scelte di vita e il
suo parlare diventano sempre più radicali ed essenziali, sia nei
confronti degli avversari che dei discepoli. Sotto questa luce va
letta la risposta che oggi Gesù dà a Pietro, che è quanto di più
radicale si possa immaginare. Ma che cosa vuol dire lasciare
casa, fratelli, sorelle, madre, padre, figli e campi per il Signore
e il vangelo? La risposta ce la dà san Paolo: «il tempo si è fatto
breve; d’ora innanzi quelli che hanno moglie, vivano come se
non l’avessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non
li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo»
(1Cor 7,29-31).
Ciò non vuol dire disprezzo per la famiglia e per le relazioni
della terra, ma il loro superamento, per evitare che le preoc-
cupazioni del mondo ci defraudino del Signore, facendoci di-
menticare la sua proposta di vita e la meta alla quale siamo di-
retti. Tuttavia, quando queste scelte avvengono in comunione
con la moglie, i figli e gli amici, si instaurano dei rapporti nuovi
e purificati, che si elevano al livello del regno dei cieli. È ciò
che è avvenuto tra noi, dopo tanti anni di preghiera insieme,
e in particolare quanto sta avvenendo alla mamma e a me con
il passare del tempo. Ora la nostra unione è molto più matura
di quando eravamo giovani, e sentiamo il bisogno di iniziare le
nostre giornate andando insieme a ricevere l’eucaristia al san-
tuario di Saronno, o nella chiesa di Castiglioncello durante le
vacanze. Quando questo succede non si tratta più di lasciare
persone e affetti, ma di ricostituirli in Dio per un nuovo pro-
getto di vita alla sequela del Signore. È questa la direzione verso
la quale i coniugi cristiani, con il passare del tempo, si devono
orientare per rendere il rapporto tra loro, con i propri cari e
con il prossimo sempre più stabile, e benedetto dal Signore.

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VIII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Il servizio e la missione
Gesù… si mise a dire loro quello che stava per accadergli: «Ecco, noi
saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi
dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno
ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo
uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà». Gli si avvicinarono Giacomo e
Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia
per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io
faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno
alla tua destra e uno alla tua sinistra»… Gli altri dieci, avendo sentito,
cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Mc 10,32-45

È la terza volta, nel Vangelo di Marco, che Gesù parla della


sua passione, morte e risurrezione, e i discepoli si rifiutano an-
cora di capire. Non vogliono e non possono accettare che quella
sia la conclusione della loro bella avventura con il Maestro: non
accettano quel modo di essere «capo» passando attraverso il ser-
vizio, e non comprendono il fatto che egli non faccia niente per
sottrarsi agli eventi dei quali ogni tanto parla. Essi pensano che
Gesù, pur avendo molto da insegnare, avesse anche qualcosa
da imparare, in particolare sul modo di esercitare l’autorità. La
prima volta Pietro aveva proprio rifiutato l’idea della passione e
della croce, la seconda gli apostoli si erano rifugiati in altri pen-
sieri chiedendosi chi di loro fosse il più grande, oggi Giacomo e
Giovanni cambiano discorso, pensando alla loro carriera perso-
nale. Anche gli altri discepoli avevano certi pensieri: essi non si
scandalizzano per quanto Giacomo e Giovanni avevano chiesto,
ma per il fatto che, pur avendo gli stessi desideri, non avevano
avuto l’ardire di proporsi come primi collaboratori del Maestro.
È tutto molto umano e molto distante dalle categorie di
pensiero di Gesù, che intende l’autorità come servizio e la croce
come logica conclusione della missione. Nei discepoli c’è pro-
prio un rifiuto a seguire il Signore nel suo modo di concepire
un’autorità tanto diversa sia da quella giudaica che romana. La
logica della croce, poi, è veramente inconcepibile alla mente
umana. San Paolo la chiamerà «la follia della croce», e la follia
sta proprio nell’accettare di pagare di persona la salvezza degli

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altri. È il passaggio dal concetto di liberazione e di salvezza a


quello di redenzione. Per redimere c’è qualcosa da pagare e la
redenzione dal peccato è, dice Paolo, la cambiale che nessuno,
se non il Figlio di Dio, poteva pagare per tutti. Missionari e
genitori sperimentano ogni giorno queste dinamiche cristiane,
del servizio e della missione, delle quali Gesù è Maestro, e attra-
verso di esse passano il mistero della vita e il segreto della gioia.

VIII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Il cieco di Gerico
E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli
e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo
la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a
gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo
rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio
di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!».
Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli,
gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli
disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì,
che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E
subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. Mc 10,46-52

Tutte le volte che, aprendo il vangelo, incontriamo Barti-


meo, è come se andassimo allo specchio a prendere coscien-
za del nostro stato spirituale, per poi darci una riordinatina e
ripartire con uno spirito nuovo alla sequela di Gesù. Questa
scena, nella sua straordinaria vivacità, parla di noi. I discepoli
che, per quella strada assolata di Gerico, si trascinano stanchi
alla sequela del Maestro, infastiditi dal grido di aiuto del cieco
Bartimeo, siamo noi che ci sentiamo disturbati dai molti po-
veri che incontriamo da ogni parte. Il cieco Bartimeo, seduto
ed emarginato dalla vita che scorre lungo la strada, mendicante
un aiuto dagli altri, ma non tanto cieco da non rendersi conto
della signoria di Gesù sulle forze del male, siamo ancora noi.
Questa è la nostra situazione, della quale siamo chiamati
a prender coscienza per trovare la forza dello stesso scatto di
vitalità che ha cambiato completamente la vita di Bartimeo.

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Dobbiamo, anche noi, cominciare a urlare dal profondo del


cuore: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!»; ripetendo
questo grido una, dieci, cento volte, finché egli non si gira e noi
entriamo nell’orbita della sua attenzione. A quel punto dobbia-
mo balzare in piedi come questo cieco, gettare via il mantello
delle nostre cose inutili e correre da Gesù perché ci guarisca de-
finitivamente della nostra cecità e possiamo anche noi seguirlo,
con spirito nuovo lungo la strada della vita. L’emarginazione
del povero Bartimeo è anche quella di molte persone e molti
popoli dei nostri giorni. In tanti urlano, altri non hanno nem-
meno la forza di urlare, altri ancora, dopo aver urlato a lungo,
hanno perso la voce e si accasciano ai margini del progresso che
inesorabile fluisce lungo la strada. È il momento storico dei no-
stri tempi, e forse dovremmo fermarci più spesso a parlare con
i tanti Bartimei che per la strada chiedono denaro, e dire loro,
come ha detto Gesù: «Che cosa vuoi che io ti faccia per te?».

VIII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Il Signore chiede frutti
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. Avendo
visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per
vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non
trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all’albero,
disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli
l’udirono… Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città. La mattina
seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro
si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto
è seccato». Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio!». Mc 11,12-22

Tra i tanti miracoli dei quali sono ricchi i vangeli, questo di


oggi è un «contro-miracolo», una maledizione. Poiché è l’uni-
co segno del genere che Gesù compie, vuol dire che in questo
evento si nasconde un grande insegnamento. Quello del fico
seccato è l’ultimo miracolo di Gesù nel Vangelo di Marco, co-
sicché il brano di oggi ci dice che a un certo punto i segni del
Signore finiscono e chi non ha accolto il messaggio del vangelo
rimane sterile. Ma ci dice anche che il messaggio deve essere

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accolto nei fatti concreti della vita, nei frutti, non a parole.
Alcuni anni fa, un missionario agostiniano in Perù, padre Gio-
vanni Salerno, ci aveva segnalato la necessità di trovare una
famiglia che potesse adottare due fratelli peruviani già grandi,
uno dei quali anche un po’ malato. Avevamo iniziato a par-
larne in giro, sia in pubblico che in privato, e ne avevo dato
annuncio anche durante una trasmissione sul vangelo della
domenica, che in quei mesi tenevo alla radio. Poiché nessu-
no si faceva avanti, ci chiedevamo se, per caso, il Signore non
stesse chiedendo proprio a noi di adottarli, nonostante che a
quel tempo avessimo già dieci figli. Fu con questi pensieri nel-
la testa che, in uno di quei giorni, mi imbarcai su un aereo
per l’Arabia Saudita, dove dovevo recarmi per motivi di lavoro.
Durante il volo, dopo aver dato un’occhiata ad alcuni do-
cumenti, come facevo di solito per prepararmi alla riunione
che mi attendeva, mi ero messo silenziosamente a pregare per
capire ciò che il Signore volesse da noi sul fatto di quell’adozio-
ne. Tirai fuori la Bibbia, e il Signore me la fece aprire al brano
di oggi: «La mattina seguente [Gesù] ebbe fame. Avendo visto
un albero di fichi si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse
qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che fo-
glie. Rivolto all’albero disse: “Nessuno mai più in eterno man-
gi i tuoi frutti!”. La mattina seguente, passando, videro l’albe-
ro di fichi seccato». In quel tempo ero abbastanza impegnato
nell’evangelizzazione, alla radio e nei gruppi di preghiera del
Rinnovamento Carismatico. Così, alla fine di quel brano, feci
quasi un sobbalzo sul sedile: «Questa è la risposta che il Signore
mi dà! Le mie parole sono soltanto foglie, se non producono
i frutti delle opere». Tornai a casa, ne parlai con Anna Maria
ai nostri figli più grandi, pregammo e un po’ di tempo dopo
Luis ed Edgar erano già entrati a far parte della nostra famiglia.

VIII settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Il compromesso tra servizio e privilegi
Andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel
tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli

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dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di
farle?». Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete,
vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva
dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». Essi discutevano fra loro dicendo:
«Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”.
Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti
ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù
dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con
quale autorità faccio queste cose». Mc 11,27-33

Nel brano del vangelo di ieri abbiamo meditato l’episodio


della maledizione del fico, che si è poi seccato. Intrecciato con
quel fatto, il Vangelo di Marco narra l’evento della cacciata dei
mercanti dal tempio da parte di Gesù: «Entrato nel tempio, si
mise a scacciare quelli che vendevano e compravano nel tem-
pio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori»
(Mc 11,15). L’accostamento dei due episodi non è casuale: per
chi lo sa leggere, significa che anche il tempio farà la stessa fine
del fico, perché i suoi frequentatori non hanno portato i frutti
che Dio attendeva da loro. Nel vangelo di oggi, mentre Gesù
si aggira ancora nel tempio, gli si avvicinano i sommi sacerdo-
ti, gli scribi e gli anziani, che insieme ai farisei costituiscono i
notabili della civiltà giudaica. Essi, riferendosi alla cacciata dei
mercanti, gli dicono: «Con quale autorità fai queste cose?».
È una domanda interessata, perché quei notabili vedono
minata la loro posizione di privilegio da uno che abbatte ogni
potere, perché dichiara che «il Figlio dell’uomo infatti non è
venuto per farsi servire, ma per servire» (Mc 10,45); cosa per
loro inaccettabile. Sono queste le motivazioni che danno ori-
gine alla scena del vangelo di oggi, nella quale Gesù si rifiuta
di rispondere alle domande che gli vengono fatte. Non perché
non potrebbe, ma perché non può esserci dialogo tra chi ope-
ra per servire e chi lo fa per mantenere solo i propri privilegi.
L’unico punto d’incontro potrebbe essere il compromesso, che
per Gesù è sempre stato inaccettabile. La stessa cosa, oggi, suc-
cede a chi cerca di entrare in politica e anche in altri ambiti,
con vero spirito di servizio. L’attività politica, quasi sempre, va
bene solo per chi sa accettare il compromesso tra «servizio» e
«privilegi». Noi ne sappiamo qualcosa.

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IX settimana del Tempo Ordinario – Domenica


L’amore supera la legge
Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la
giustizia di Dio… giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo,
per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno
peccato… ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per
mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha stabilito
apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede… Noi
riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente
dalle opere della Legge. Rm 3,21-25a.28

Quando nel 1967 dalla nostra Firenze siamo venuti ad


abitare a Legnano, fummo colpiti dal cattivo odore che qua-
si ogni giorno si diffondeva nell’aria della città. Il motivo era
l’inquinamento del fiume Olona che l’attraversa, causato dagli
scarichi della cartiera di Cairate, una cittadina a monte. Venti
anni dopo, quando la cartiera ha cessato la sua attività, le acque
dell’Olona sono tornate normali e a Legnano è scomparso il
cattivo odore. Oggi Paolo ci dice che «l’uomo è giustificato per
la fede, indipendentemente dalle opere della Legge».
E poi spiega ciò che succede nell’uomo che addiviene alla fe-
de in Gesù Cristo, facendoci ripercorrere brevemente la storia
dell’Alleanza tra Dio e l’uomo. L’Alleanza originaria coincide
con l’atto della creazione: «Facciamo l’uomo a nostra immagi-
ne» (Gn 1,26). L’uomo fu creato a immagine di Dio, che, come
ci ha rivelato Gesù Cristo, è sostanzialmente amore. Essendosi,
però l’uomo, con il primo peccato, allontanato da lui, ha per-
duto la sua naturale inclinazione all’amore. È iniziata, allora,
la storia della salvezza: Dio è andato alla ricerca dell’uomo e
ha ristabilito con lui una prima Alleanza. Questa, iniziata con
Abramo, si era poi estesa al popolo di Israele, al quale Dio,
per sopperire alla perdita dell’inclinazione naturale dell’uomo
all’amore, ha donato una legge, scritta su tavole di pietra e con-
segnata a Mosè sul monte Sinai. È, però, con la Nuova Allean-
za, realizzata da Gesù Cristo sulla croce, che Dio ha restituito
agli uomini la possibilità di riacquistare l’originaria inclinazio-
ne naturale all’amore. Essi, infatti, «sono giustificati gratuita-
mente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in

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Gesù Cristo». Egli ha rimosso il peccato, il male che deturpava


l’umanità, allo stesso modo in cui gli scarichi della cartiera di
Cairate inquinavano la città di Legnano. L’unica condizione
richiesta per far parte di questa Nuova Alleanza, è di credere al
messaggio del vangelo ed essere battezzati. Nel cristiano la leg-
ge donata a Mosè viene superata da quella dell’amore donataci
da Gesù Cristo e l’uomo, come è successo alla città di Legnano,
ritrova lo splendore originario. È la fede che rigenera l’amore.

IX settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


La fedeltà di Dio
Si mise a parlare loro con parabole: «Un uomo piantò una vigna, la
circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre.
La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Al momento
opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte
del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono
via a mani vuote. Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo
picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo
uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero. Ne aveva
ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno
rispetto per mio figlio!”. Ma quei contadini dissero tra loro: “Costui è
l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!”. Lo presero, lo uccisero e lo
gettarono fuori della vigna. Che cosa farà dunque il padrone della vigna?
Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri. Non avete letto
questa Scrittura: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la
pietra d’angolo…?». E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della
folla… Lo lasciarono e se ne andarono. Mc 12,1-12

Questa parabola è una rappresentazione allegorica della sto-


ria della salvezza, che abbraccia sia il passato che il futuro, e il
padrone della vigna è chiaramente Dio. Essa riassume tutta la
storia di Israele come una marea montante di cattiveria, una
provocazione crescente e ininterrotta contro la bontà di Dio,
il quale risponde con una misericordia sempre maggiore, che
raggiunge il livello più elevato quando decide di inviare nel
mondo suo Figlio, nella persona di Gesù di Nazaret. Ma que-

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sti viene ucciso: «Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità


sarà nostra!». Quando avverrà l’uccisione del Figlio, sembre-
rà finire la storia dell’amore infinito e unilaterale di Dio, dal
quale ci si aspetterebbe, come soluzione logica, la vendetta. In
Dio, però, non c’è vendetta, c’è solo misericordia. In quella
situazione estrema, dopo il perdono verso tutti e la morte in
croce, la storia dovrà prendere atto della risurrezione di Cristo,
la vittima dell’infedeltà. Da quell’evento straordinario è nata la
chiesa, una nuova umanità della quale Gesù Cristo è la pietra
angolare. Anche nella chiesa, però, la tentazione è sempre la
stessa: quella di volersi impadronire dell’eredità e di uccidere il
Figlio, Gesù Cristo. Ogni volta che ci crediamo giusti e merite-
voli, che reclamiamo l’eredità del Regno e accampiamo diritti,
anche se a motivo della nostra fede, noi rifiutiamo il dono della
salvezza e uccidiamo il Figlio, perché l’amore e la fedeltà di Dio
sono gratuiti.

IX settimana del Tempo Ordinario – Martedì


La chiesa e lo stato
Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel
discorso. Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non
hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni
la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo
dobbiamo dare, o no?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro:
«Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo».
Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione,
di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è
di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero
ammirati di lui. Mc 12,13-17

Il potere religioso ha già deciso di uccidere Gesù, ma, per


mettere in atto il suo progetto, deve coinvolgere il potere po-
litico di Roma, al quale è demandata l’amministrazione della
giustizia. Così vanno insieme, farisei ed erodiani, a porgli la
famosa domanda: «È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Se
Gesù rispondesse «sì», si inimicherebbe il popolo, che mal sop-

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porta il potere di Roma e tanto meno il pagamento dei tributi.


Se, invece, rispondesse di «no», si inimicherebe il potere roma-
no, creando i presupposti per un processo, come poi di fatto
avverrà. La risposta di Gesù desta l’ammirazione dei presenti,
oltre che la nostra, per la sua abilità a togliersi da quell’im-
paccio, ma ciò che rifulge di più, e su cui vogliamo riflettere,
è la sua libertà nei confronti del denaro. La libertà interiore e
la franchezza del linguaggio, in un mondo furbo e contorto,
diventano anche oggi scaltrezza, spiazzano gli avversari e risol-
vono le situazioni più intricate. Gesù si dimostra tanto libero
dal denaro, da chiedere ai presenti quella moneta che lui in
tasca non ha; libero dal potere politico, che non riconosce, ma
non condanna; libero dal potere religioso, del quale si stupisce
per la cecità; libero di rispondere con franchezza, pur sapendo
di non esser compreso. Con la risposta «Quello che è di Ce-
sare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio», Gesù
introduce l’argomento, oggi tanto discusso, della laicità dello
stato e della libertà di culto. Sono due aspetti fondamentali
della realtà dell’uomo: da una parte c’è Cesare e dall’altra Gesù
Cristo. Entrambi sono importanti e ciascuno dei due poteri,
civile e religioso, ha diritti e doveri. Lo stato e la chiesa devono
collaborare perché gli uni e gli altri vengano rispettati. Quando
non è possibile conciliarli dobbiamo fare le nostre scelte, ben
sapendo che le verità del vangelo sono eterne, quelle dello stato
sono legate al paese e al periodo storico.

IX settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


La risurrezione dei morti
Vennero da lui alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione
– e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se
muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello
prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette
fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la
prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugualmente,
e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche

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la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà


moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Rispose loro Gesù:
«Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture
né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non
prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli…».
 Mc 12,18-27

La fede nella risurrezione nasce nel Nuovo Testamento, dal-


la predicazione e dall’esperienza di Gesù risorto, e si estende
a tutti gli uomini. Essa costituisce il centro della rivelazione
cristiana, senza la quale, scriverà Paolo ai Corinzi, «vuota è la
nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1Cor 15,14).
Prima di Gesù, nel mondo greco-romano si era affermato il
concetto dell’immortalità dell’anima, e pertanto, quello della
risurrezione non aveva senso: non può morire ciò che è im-
mortale. Nella civiltà ebraica dell’Antico Testamento, all’inizio
l’ebreo concepiva se stesso come mortale e vedeva nella morte
la fine di tutto. Poi, molto lentamente, ha cominciato a farsi
strada il concetto di risurrezione: se ne parla nel secondo libro
dei Maccabei, in occasione della morte dei sette fratelli (2Mac
7), e nei libri di Isaia (Is 26,19) e di Daniele (Dn 12,2).
Per i sadducei, però, che erano dei conservatori e dell’Antico
Testamento accettavano essenzialmente i primi cinque libri, la
fede nella risurrezione era considerata una credenza ridicola.
Essi erano, quasi tutti, dei proprietari terrieri e per loro il pro-
blema relativo alla morte consisteva solo nel garantire al pro-
prio casato l’eredità della terra. È per questo motivo che, nel
vangelo di oggi, si presentano a Gesù, che di risurrezione ha
già cominciato a parlare, gli pongono ironicamente l’ipotetico
caso della donna che avuto sette mariti e gli chiedono: «Nella
risurrezione di quale di loro sarà moglie?». Gesù, dopo aver
denunciato la loro scarsa conoscenza delle Scritture, risponde:
«Quando risusciteranno dai morti non prenderanno né moglie
né marito, ma saranno come angeli nei cieli». Nell’eternità, in-
fatti, non si porrà il problema del possesso della donna, come
vigeva nella civiltà ebraica al tempo di Gesù. Anzi, poiché per
chi crede al vangelo il vivere da risorti comincia già in questo
mondo, in quella risposta c’è già, in filigrana, l’inizio della riva-
lutazione della donna.

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IX settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Gesù e lo scriba
Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere
e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo
di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il
Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto
il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta
la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso.
Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse:
«Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è
altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza
e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli
olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù
gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». Mc 12,28-34

Questa del vangelo di oggi è l’unica disputa di Gesù senza


tono polemico. Anzi, è proprio simpatica questa scenetta nella
quale non si capisce chi sia il maestro e chi l’alunno. «Hai detto
bene, Maestro», dice lo scriba. «Bravo (sottinteso)!, non sei lon-
tano dal regno di Dio», risponde Gesù dall’alto del suo ruolo.
Questo scriba, in effetti, è d’accordo su tutto ciò che afferma
Gesù. È d’accordo anche sul fatto che il secondo comandamento
sia l’amore per il prossimo, e che questo sia addirittura simile al
primo, all’amore per Dio. L’identificazione dell’amore per Dio
e per il prossimo è fondamentale, perché permette all’uomo
di vivere in armonia con se stesso, e non più conteso tra l’uno
e l’altro amore, ciascuno dei quali richiede sempre tutto. Da
questo secondo comandamento nasce una persona riconciliata,
fino al punto di vedere il volto di Dio nel prossimo. Del resto,
dal concetto cristiano che Dio è Padre, ne discende che c’è pa-
ternità divina se c’è fraternità fra gli uomini. Certo, quel Dio
che vediamo nel prossimo assume immagini diverse: è un Dio
glorificato nel «santo» ed è crocifisso nel «peccatore», ma è sem-
pre il volto di Dio. Questa identificazione tra primo e secondo
comandamento, introdotta da Gesù, è una novità nella storia
di Israele, e come tale avrebbe potuto incontrare un rifiuto da
parte di uno spirito tradizionalista, come era quello dello scriba.
Lo scriba di oggi, però, forse per mostrarsi teologicamen-

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te all’avanguardia, condivide l’affermazione di Gesù. Tuttavia,


nonostante questa consonanza teologica sui comandamenti,
questo scriba è vicino al regno di Dio, ma non vi è ancora en-
trato. Che cos’è che gli impedisce di entrare? È il fatto che egli
riconosca in Gesù il Maestro, ma non il Signore, e nel Regno si
entra solo se si riconosce la signoria di Gesù. Questo argomen-
to potrebbe riguardare solo lo scriba, se non fosse per il fatto
che il rischio di riconoscere Gesù come maestro e non come
Signore, lo corriamo anche noi, ogni giorno. Basta scrutare le
Scritture solo con la mente, senza coinvolgere il cuore e la fede.

IX settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Il vero scandalo della fede
Insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che
il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito
Santo: Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io
ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi. Davide stesso lo chiama Signore: da
dove risulta che è suo figlio?». E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.
 Mc 12,35-37

In questi due versetti brilla un riverbero di quella luce che i


discepoli riceveranno solo dopo la Pasqua e la Pentecoste, quan-
do discenderà su di loro lo Spirito Santo e si renderanno conto
che quel Gesù di Nazaret, che hanno seguito per tre anni, era
veramente il Signore della vita e della storia. «Nessuno – dice
Paolo – può dire: “Gesù è il Signore!”, se non sotto l’azione
dello Spirito Santo» (1Cor 12,3). La signoria di Gesù brilla in
tutto il suo fulgore quando egli muore in croce, e chi lo ricono-
sce come Signore in quel momento, comprende fino in fondo
il messaggio del vangelo. Il vero scandalo della fede cristiana,
infatti, non è credere nella signoria di Gesù quando egli ci svela
i misteri del Regno nascosti nelle parabole, quando ci stupisce
con la potenza dei miracoli, o quando risponde con sapienza
divina alle domande dei nemici. Quello è il Signore delle no-
stre aspirazioni e dei nostri ideali, perché tutti vorremmo essere
così e non lo siamo. Il vero scandalo della nostra fede è credere
che quel carpentiere di Nazaret, che non segue altra legge se

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non quella dell’amore, e senza alcun potere se non quello di


essere servo, è il Figlio di Dio e mio Signore, perché va a morire
in croce per me, come un bestemmiatore. Se, quando la gente
gli urlava di scendere dalla croce per dimostrare la potenza del
Figlio di Dio, fosse veramente sceso, noi non avremmo più
avuto fede in lui, perché si sarebbe manifestato potente più
degli altri, ma di potenti è piena la storia e nessuno di loro ha
mai salvato il mondo.
Ricordo che, un giorno, venne a bussare alla porta un testi-
mone di Geova, che ci voleva vendere la sua Bibbia. «Non ne
ho bisogno – risposi – ce l’ho già». «Comunque – aggiunsi – le
nostre Bibbie sono diverse». «Impossibile – mi rispose – le Bib-
bie sono tutte uguali». «Mi aspetti» gli dissi, e andai a prendere
la mia Bibbia. Quando fummo l’uno di fronte all’altro, ciascu-
no con la propria Bibbia in mano, gli chiesi di aprirla all’inizio
del Vangelo di Marco e così feci anch’io. Nella sua c’era scritto:
«Inizio del vangelo di Gesù Cristo». Nella mia c’era scritto:
«Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio». «Vede –
commentai – la nostra differenza è tutta qui: io credo che Gesù
Cristo, morto in croce e risuscitato, sia Figlio di Dio». Ricordo
che farfugliò qualcosa e se ne andò. E io rimisi al suo posto la
mia Bibbia, dove sta scritto chiaramente che Gesù di Nazaret
è Figlio di Dio.

IX settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Giocarci nella fede
Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano
passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi
nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e
pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti
ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due
monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse
loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro
più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo.
Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto
quanto aveva per vivere». Mc 12,38-44

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Questa pagina del vangelo mostra, come nessun’altra, la li-


nea spartiacque tra chi, come gli scribi, gioca con la fede, e chi,
come questa vedova «si gioca nella fede». Gli scribi conoscono
le Scritture, ne discutono continuamente per mostrare la lo-
ro capacità di penetrarle, e godono del fatto di essere persone
importanti: «amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti
nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti
nei banchetti». Essi accolgono con facilità la parola di Dio, ma
in loro non attecchisce, come il seme che, nella parabola del
seminatore, cade tra i sassi, tra i rovi e sulla strada. Anzi, spesso
utilizzano la sapienza di vita che nasce dalle Scritture per sali-
re gli scalini della società. Essi si sentono esentati dal gettare
soldi nel «tesoro», che costituisce la raccolta delle offerte per il
tempio, dove amano passeggiare «gonfi e pettoruti», avrebbe
detto il nonno Renzo. Forse il giovane ricco, che non ha se-
guito Gesù perché aveva troppi beni, è tra coloro che «hanno
gettato parte del loro superfluo». Quella povera vedova, invece,
vi ha gettato «tutto quanto aveva per vivere», vi ha gettato la
sua stessa vita. In lei la semente del seminatore è caduta sul ter-
reno buono e porta grande frutto. Essa appartiene alla schiera
di coloro che ascoltano la parola di Dio, la conservano nel loro
cuore, attendono pazientemente che metta radici e poi partono
per realizzare il progetto di vita che il Signore presenta loro.
Fratel Ettore ha giocato la sua vita tra i barboni di Mila-
no, il nostro amico Damiano Guzzetti è diventato missionario
comboniano e ora è in Uganda, Angela Crippa ha lasciato il
suo lavoro di infermiera ed è andata a curare i poveri del Bra-
sile, Gianluca sta donando i suoi anni migliori agli africani che
giungono in Italia, e altri si sono sposati costituendo una fami-
glia cristiana e accogliendo i figli che il Signore manda loro. È
il Regno che cresce in chi si gioca la vita nella fede.

X settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Misericordia e non sacrificio
Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al
banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre

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sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se


ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei
dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme
ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che
hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol
dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a
chiamare i giusti, ma i peccatori». Mt 9,9-13

Siamo a Cafarnao, una ridente cittadina sul lago di Tibe-


riade. Gesù è passato, ha visto Matteo «seduto al banco delle
imposte» e gli ha detto: «Seguimi». Matteo si è alzato e l’ha
seguito. Poi, per farsi conoscere meglio, lo invita a pranzo a
casa sua insieme ad alcuni discepoli. Gesù accetta e mentre
stanno mangiando sopraggiungono molti pubblicani e pecca-
tori, che si siedono a tavola con loro, e il pranzo si trasforma in
un allegro banchetto. Vedendo ciò, i farisei si scandalizzano e
Gesù non perde l’occasione di annunciare loro il senso di tutta
la sua missione terrena: «Non sono i sani che hanno bisogno
del medico, ma i malati. Misericordia io voglio e non sacrifici».
Approfondiamo quest’ultima frase che Gesù ha pronunciato,
riferendosi al profeta Osea, cambiando solo la parola «amore»
con «misericordia». Osea infatti aveva detto «voglio l’amore e
non il sacrificio» (Os 6,6). Gesù identifica quelle due parole
perché, il primo passo dell’amore è la misericordia, qualunque
sia il contesto al quale deve essere applicata: familiare, profes-
sionale, sociale. L’amore si manifesta nella «misericordia» e nel
perdono, non nei «sacrifici». Poiché la chiesa predica che non
esiste salvezza senza sacrificio, sarà bene chiarire che cosa in-
tende, oggi, Gesù con la frase: «Misericordia io voglio e non
sacrifici». La risposta è semplice: l’uomo è continuamente ten-
tato di essere misericordioso con se stesso e imporre sacrifici di
riparazione agli altri, mentre il vangelo di oggi ci chiede esatta-
mente il contrario: essere misericordiosi con gli altri e penitenti
con noi stessi. Quando da giovane cominciai a frequentare casa
Rossi, nella quale ebbi la felice opportunità di conoscere Anna
Maria, con la quale sono sposato da più di quarant’anni, fui
colpito dalla bontà di suo padre, il nonno Mario.
Alla Cassa di Risparmio di Firenze, dove lavorava, il diret-
tore, nonostante la sua bravura professionale, lo aveva solleva-

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to dalle sue mansioni di capufficio, perché lo riteneva troppo


buono per esercitare la necessaria autorità. Il giorno che ebbe
l’occasione di raccontarmi quella vicenda, che lo aveva fatto
molto soffrire, concluse con queste parole: «Ci vuole pazien-
za!». Ecco, la misericordia verso gli altri è figlia della pazienza.

X settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Le beatitudini
Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono
a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i
poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel
pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità
la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno
saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri
di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno
chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi
è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno
e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi». Mt 5,1-12
Le beatitudini sono al centro della predicazione di Gesù.
Esse costituiscono la meta, la strada e l’esercizio giornaliero per
riappropriarci della nostra identità di creature, poste in que-
sta terra per vivere in pace con se stesse, con la società, con la
natura e con Dio. Le beatitudini, nel loro insieme, dipingono
il volto, il carattere e lo Spirito di Gesù. Esse costituiscono il
clima e l’aria che si respira nel regno dei cieli, e che si deve in-
staurare in ogni famiglia, affinché l’unione della coppia possa
realizzarsi nel tempo e i figli possano crescere, formandosi se-
renamente, giorno dopo giorno, la personalità e il carattere. Le
beatitudini rispondono all’innato desiderio di felicità, che Dio
ci ha messo nel cuore fin dalla nascita. Le beatitudini permet-
tono di perseguire la pace del cuore, che è lo stato ideale per
le manifestazioni dello Spirito e per l’ottenimento delle grazie
divine, cominciando dall’intervento della Provvidenza. Lo Spi-
rito Santo è spesso rappresentato da una colomba, ma dove

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non c’è calma e pace le colombe volano via. Per rendersi conto
dello stato spirituale che conferiscono le beatitudini, basta os-
servare la scena di un neonato che succhia il latte dalla madre.
Il clima delle beatitudini si costruisce, giorno dopo giorno, vi-
vendo con semplicità le nostre giornate e con fedeltà i sacra-
menti, in particolare l’eucaristia. Alla fine della vita, l’esercizio
delle beatitudini ci permetterà di consegnare serenamente alla
misericordia di Dio il progetto che abbiamo realizzato, insieme
al resoconto dei talenti ricevuti.

X settimana del Tempo Ordinario – Martedì


La preghiera familiare
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa
lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato
dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città
che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il
moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre
opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Mt 5,13-16
Il sale non esiste per se stesso, ma per dare sapore a tutto il
cibo, così come la luce esiste perché gli uomini possano vedere.
È questo lo scopo della testimonianza cristiana, ed è anche il
motivo per il quale è nata questa raccolta di meditazioni fami-
liari: ciò che il Signore ci ha detto per anni, nel segreto della
preghiera, deve essere portato alla luce. Lo abbiamo deciso un
anno fa, una sera in cui eravamo stati invitati al castello Pa-
squini di Castiglioncello, a rendere una testimonianza pubbli-
ca sulla preghiera familiare. Abbiamo parlato della nostra vita,
delle nostre giornate, dei quattordici figli e degli impegni apo-
stolici e professionali che viviamo da decenni. Abbiamo con-
cluso la testimonianza asserendo che la fucina nella quale si è
manifestata, giorno dopo giorno, la volontà del Signore, è stata
questa preghiera familiare del mattino, spiegando in che cosa
consistesse. Alla fine abbiamo aggiunto: «Noi non conosciamo
i vostri progetti di vita e tanto meno ciò che il Signore voglia da
voi. Sappiamo solo che, quali essi siano, si realizzeranno solo in

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un clima di preghiera». Al momento dei saluti alcune persone


hanno manifestato il desiderio di iniziare, anche loro, un cam-
mino di preghiera familiare e di meditazione delle Sacre Scrit-
ture, che la chiesa ogni giorno ci propone. Abbiamo dato delle
indicazioni, ma ci siamo resi conto che non erano sufficienti.
È nata, allora, l’idea di questa raccolta, dedicata alle famiglie
che desiderano iniziare la giornata con una preghiera familia-
re, lasciando che la parola di Dio illumini i loro passi e i loro
impegni giornalieri. Le famiglie che inizieranno questo cam-
mino si renderanno conto che la vita acquista un sapore e un
significato diverso e più grande. Sono il sale della terra e la luce
del mondo che si trasmettono, di famiglia in famiglia, come il
vento del nord porta, di foglia in foglia, il profumo dei boschi.

X settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Pregare è libertà
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non
sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico:
finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo
trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà
uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto,
sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li
insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli». Mt 5,17-19

Meditando, qualche mese fa, questo brano del vangelo, ab-


biamo asserito che il compimento portato da Gesù alla legge
giudaica e alla rivelazione dei profeti, cioè a tutto l’Antico Te-
stamento, è stata la libertà. Quando, in passato, esercitavo la
professione di project manager , il presidente mi diceva: «Castal-
di, c’è da realizzare questo progetto: il budget che hai a dispo-
sizione è tot, fai un bel lavoro!». Da quel momento ero libero
di dare al progetto la mia impronta e di fare quel che avessi
voluto, però il progetto da realizzare era quello e non un altro.
Non mi sarebbe stato consentito di spendere i soldi del budget
in modo diverso. La libertà che ci ha portato Gesù Cristo è la
stessa che avevo da project manager: colui che un giorno ha fat-
to scoccare per noi la scintilla della vita, mettendoci al mondo,

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ci ha dato dei talenti da trafficare e ci ha affidato un progetto


da compiere. Se noi lo realizziamo, partecipiamo in modo ar-
monico all’atto creativo di Dio e al piano di salvezza universale;
e raggiungiamo la nostra felicità, come un buon professionista
che svolge bene la propria attività. Altrimenti facciamo solo
della gran confusione, arrechiamo disturbo al progetto di Dio
e viviamo la nostra vita da alienati, da persone che non hanno
capito il motivo della loro esistenza. Il risultato finale è solo
l’infelicità. Chi invece si inserisce nella grande sinfonia del pro-
getto di Dio è un uomo libero, felice, realizzato e non ha alcun
problema, nemmeno quello del pane quotidiano, perché l’ope-
raio ha diritto alla sua mercede. La provvidenza diventa per
lui un fatto naturale, come il sorgere e il tramontare del sole.
Realizzare, però, il progetto di Dio, non vuol dire imboccare la
strada giusta una volta per tutte, ma fare la sua volontà in ogni
momento, in ogni scelta, in ogni decisione. Questo è possibile
solo se viviamo in clima di preghiera, come ha vissuto Gesù per
realizzare completamente la volontà del Padre. Egli non solo
ha portato la libertà, ma ci insegna anche a viverla tramite la
preghiera. Come un fiume che scorre tranquillo nel suo letto,
rimanendo in comunione con il Signore, siamo veramente li-
beri: nei pensieri, nei sentimenti, nelle parole, nelle azioni.

X settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


La vita nel regno dei cieli
«Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli
scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu
detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto
al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà
essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere
sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della
Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che
tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti
all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire
il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in
cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice
alla guardia, e tu venga gettato in prigione». Mt 5,20-25

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Il regno dei cieli è una monarchia spirituale senza frontiere:


si entra senza passaporto, basta rispettare gli articoli della Costi-
tuzione. Il primo chiede di riconoscere Gesù di Nazaret come Re
e Signore; il secondo stabilisce che i rapporti tra i cittadini – che
nel Regno si chiamano fratelli – vengano instaurati sulla ba-
se dell’amore; il terzo decreta che le controversie siano risolte
dall’esercizio del perdono. Del regno dei cieli, dice oggi il Si-
gnore, non fanno parte gli scribi e i farisei, perché non accetta-
no i principi della Costituzione. In tale monarchia non esistono
l’egoismo e la proprietà privata, ma il dono e la condivisione:
«Ho avuto fame e tu mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e tu
mi hai dato da bere»; non esistono barboni o persone senza di-
mora: «Ero straniero e mi avete accolto»; non esiste la solitudi-
ne: «Ero malato e mi avete visitato»; non esiste l’emarginazione:
«Ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,31-39). Nel re-
gno dei cieli non solo non esistono delitti, ma, come raccoman-
da il vangelo di oggi, nessuno si adira con qualcuno o dice al
fratello pazzo o stupido, perché è contrario all’amore e al perdo-
no. Ma, poiché tutti si sentono amati e perdonati, non solo non
esistono i delitti: non ci sono nemmeno suicidi. Nel regno dei
cieli si parla una lingua nella quale le parole sconvenienti, come
stupido o pazzo, non esistono neppure nel vocabolario. Qui,
inoltre, non ci sono né ricchi né poveri, perché ciascuno ritiene
un privilegio poter mettere a disposizione degli altri quanto ha e
quello che è. Qui, infine, esiste una casa comune, il tempio, do-
ve ogni giorno i cittadini si recano a pregare, a lodare il Signore
e a ricevere l’eucaristia, che dona forza e grazia per vivere, sin da
oggi su questa terra, la realtà della comunione dei santi.

X settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


L’adulterio e il divorzio
«Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi
dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso
adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo
di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere
una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato
nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo,

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tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue
membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”.
Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di
unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata,
commette adulterio». Mt 5,27-32

Oggi il vangelo ci parla di due argomenti che si intrecciano


tra loro, come radici di alberi vicini: l’adulterio e la separazione
coniugale. Sarebbero argomenti diversi, ma l’evangelista Mat-
teo li ha riuniti insieme, forse perché a quel tempo se ne parlava
molto nel suo ambiente. È una deduzione suffragata dal fatto
che egli sia l’unico evangelista che renda lecita la separazione
coniugale in caso di concubinato. Degli altri, solo Marco tratta
l’argomento dell’adulterio, ma non pone la stessa eccezione di
liceità. Comunque sia, dal momento che la separazione e il di-
vorzio sono argomenti molto dibattuti anche oggigiorno, man-
teniamo l’intreccio di Matteo. Lo scandalo, secondo la dottrina
della chiesa, è quel comportamento che induce altri a compiere
il male, e assume una gravità proporzionale all’autorità di chi lo
causa e alla piccolezza di chi lo subisce.
È il caso del comportamento di alcuni sacerdoti e di molti
genitori nei confronti dei figli. Lasciamo che del primo se ne
occupi la chiesa e rivolgiamo la nostra attenzione verso il secon-
do, che ci riguarda da vicino. Se i genitori avessero la consape-
volezza dei disastri che l’adulterio e il divorzio producono nella
formazione e nella psiche dei figli, sarebbero meno praticati.
Sono dei veri e propri scandali, che bloccano la crescita emo-
tiva dei figli come una gelata improvvisa, a primavera, blocca
la fioritura dei germogli delle piante. Raccogliamo l’invito del
vangelo a essere vigilanti e, se necessario, anche violenti con
noi stessi, per non essere motivo di scandalo. Oggi il Signore ci
dice: «Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e se
la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala». Sono que-
ste le principali potature che il vangelo richiede a un coppia di
coniugi: il coraggio di tagliare via comportamenti e sentimenti
che rischiano di nuocere all’amore coniugale e alla pace fami-
liare. Questi tagli, come ogni potatura, privano di qualcosa, ma
rendono più bella e rigogliosa la pianta.

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X settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Parlare per immagini
«Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma
adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate
affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo
sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande
Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di
rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”,
“No, no”; il di più viene dal Maligno». Mt 5,33-37

Un giorno un economista mi spiegò la svalutazione della


moneta così: «Vedi – mi disse – se annacquo mezzo bicchie-
re di vino buono, ottengo una maggior quantità di vino, ma
scadente. Più acqua ci metto e più perde di valore». La stessa
cosa accade per le nostre parole: più ne usiamo e più perdono
di significato. Se poi, per potenziarle, introduciamo nei nostri
discorsi dei giuramenti chiamando a garante Dio, azzeriamo
completamente il loro valore. A quel punto abbiamo annullato
la nostra credibilità come persone, che passa attraverso quella
delle nostre parole. Se vogliamo essere più credibili impariamo
a esprimerci in modo conciso. Un segreto per riuscirci è quello
di esporre i pensieri attingendo alle immagini che, quando una
persona le recepisce, hanno il potere di emanare i loro conte-
nuti per una comprensione più rapida e più duratura. È stato
il modo di comunicare usato da Gesù quando ha spiegato i
misteri del Regno per mezzo delle parabole. Un discorso com-
piuto, anche se bene articolato, o si comprende subito o se ne
perde il senso; un’immagine ce la portiamo dentro per il tempo
necessario perché sprigioni tutti i significati che contiene.
«Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”» vuol dire pro-
prio esprimere il pensiero con il minor numero di parole e, se
possibile, permettendo all’interlocutore di portarsi via un’im-
magine, la quale, a colloquio finito, continuerà a comunicare.
Quando qualcuno parla di svalutazione della moneta, io vedo
ancor oggi quel mezzo bicchiere di vino che viene annacquato.
È il potere delle immagini, oggi utilizzato anche nell’informa-
tica, ed è il modo di parlare preferito dai bambini: «nanna,
pappa, cacca».

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XI settimana del Tempo Ordinario – Domenica


La gratuità del Regno
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite
come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe
è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della
messe, perché mandi operai nella sua messe!». Chiamati a sé i suoi dodici
discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire
ogni malattia e ogni infermità… Questi sono i Dodici che Gesù inviò,
ordinando loro: «… Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei
cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi,
scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
 Mt 9,36-10,1.7-8

Parliamo di evangelizzazione. L’abbiamo già fatto altre vol-


te, e anche la chiesa ne parla spesso e in diversi modi. Si pubbli-
cano migliaia di esortazioni, di commenti biblici e di riflessioni
teologiche: omelie, meditazioni, lettere pastorali, encicliche,
ritiri, simposi. Queste ottime iniziative acquistano, oltretutto,
grande risonanza, grazie ai moderni mezzi di diffusione.
È innegabile che il mondo abbia bisogno del messaggio del
vangelo e che vengano cacciati i demoni. Il male si infila in
tutti gli ambiti dell’attività umana: nella famiglia, nella scuola,
nella professione, nella politica, nell’economia, e non è assen-
te nemmeno nelle comunità ecclesiali. Se giudichiamo l’albe-
ro dai frutti, devono esistere dei motivi profondi che rendono
l’azione missionaria della chiesa così inadeguata a sconfiggere
il male del mondo. Poiché evangelizzare vuol dire stare con il
Signore sul monte e andare poi a predicare il vangelo, quale di
questi due momenti non è adeguato al risultato da raggiungere?
Oppure deve essere rivisto il modo di andare o di predicare?
Avendo riflettuto a lungo, riteniamo che tutti gli aspetti del-
la missione siano da vivificare, ma quello che probabilmente
risulta proprio da rifondare è il momento dello stare insieme
tra noi e insieme con il Signore sul monte. In altre parole ri-
teniamo che debba essere ritrovato lo spirito della chiesa pri-
mitiva: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e
nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere e pro-
digi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti stavano

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insieme e avevano ogni cosa in comune... Ogni giorno erano


perseveranti insieme nel tempio» (At 2,42-46). È chiaro che
l’ambiente e lo spirito della chiesa primitiva non sono riprodu-
cibili in quella universale di oggi, ma a livello locale lo sareb-
bero. L’evangelizzazione non è un fatto individuale: è lo spirito
ecclesiale il motore della missione, così come questa preghiera
familiare lo è per la nostra giornata.
Donaci, Signore, di comprendere che la missione nasce dal-
lo stare insieme.

XI settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


La forza della mitezza
«Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io
vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla
guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale
e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad
accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e
a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle». Mt 5,38-42

Alcuni anni fa, durante un’intervista, un giornalista chiese


all’on. Giulio Andreotti: «Lei, che tutte le mattine, prima di
andare in Parlamento, va a pregare in chiesa, mi dica: se uno le
percuote la guancia destra, lei gli porge anche l’altra guancia?».
«Certo!», rispose Andreotti. «E se quello le percuote anche la
sinistra?». «Non saprei cosa fare: ho due guance sole!». Questa
risposta, al di là della vena umoristica che farebbe invidia a un
inglese dell’Ottocento, ci aiuta a comprendere quanto sia diffi-
cile e innaturale essere miti, in particolare se si hanno le ener-
gie per reagire. Per una pecora è facile essere mite, ma per un
leone? La mitezza, in un cammino spirituale, è una delle mete
più difficili da raggiungere. Forse lo è anche più della povertà,
dell’obbedienza e della purezza. Tuttavia, per quanto sia ardua,
è questa la strada da percorrere, perché sono state la mitezza e
l’umiltà, non la potenza, che hanno permesso a Gesù Cristo di
salvare il mondo sulla croce. «Imparate da me, che sono mite e
umile di cuore» (Mt 11,29), disse un giorno Gesù agli apostoli;
«Beati i miti, perché avranno in eredità la terra» (Mt 5,5), cita

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una delle beatitudini, che Gesù ha elencato nel discorso della


montagna. C’è, in effetti, nella mitezza, una forza nascosta in-
credibile, che permette di ottenere dei risultati e di conseguire
degli obbiettivi non raggiungibili con la violenza.
La storia ci insegna che le vere rivoluzioni, quelle che assicu-
rano risultati duraturi nel tempo, sono sempre state pacifiche.
Basti pensare al movimento guidato da Martin Luther King, che
ha portato al pieno inserimento dei cittadini di origine africana
nella vita sociale e politica degli Stati Uniti d’America; oppure
alla rivoluzione non violenta, guidata dal Mahatma Gandhi,
che ha permesso all’India di liberarsi dal colonialismo inglese.
Sono state rivoluzioni pacifiche i cui risultati dureranno per
sempre, non come la rivoluzione d’Ottobre che, fatta con le ar-
mi, dopo settant’anni è miseramente finita. Essere miti non vuol
dire sopportare l’ingiustizia e subire l’arroganza dei prepotenti:
vuol dire combattere le battaglie giuste con fermezza, ma senza
atteggiamenti di odio e di violenza, neppure nel proprio cuore.

XI settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Amare i propri nemici
«Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo
nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che
vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli
fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli
ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete?
Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri
fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi,
dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Mt 5,43-48
Leggiamo e rileggiamo questo brano del Vangelo di Matteo,
e ci rendiamo conto di essere arrivati alle sorgenti del pensiero
più rivoluzionario che si sia mai potuto concepire: alle sorgenti
della vita e della pace. Nessuno prima di Gesù era arrivato a
concepire l’amore e il perdono come essenza della vita. For-
se avevano intravisto qualcosa Socrate e gli stoici dell’antica
Grecia, ma erano solo dei piccoli bagliori di luce che uscivano
dalle fessure di una porta. Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio, ci

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ha spalancato la porta dell’amore e del perdono, fino a lasciarci


abbagliati dalla luce che emanano. Non esistono alternative:
per assomigliare al Padre nostro celeste, che fa sorgere il sole
per tutti e manda la pioggia sui giusti e sugli ingiusti, e per
raggiungere la pace del cuore, bisogna arrivare ad amare, per-
donare e pregare per i nostri persecutori. L’unico mezzo per
potervi riuscire è la preghiera, anche se, all’inizio, cominciare
a pregare per i nostri nemici non è né facile né naturale. Tut-
tavia, se rompiamo il ghiaccio e iniziamo, il Signore ci donerà,
per grazia, sentimenti di amore, di perdono e di pace, che non
sarebbero spontanei. Se ci domandiamo perché esistono i ne-
mici l’unica risposta è: perché esiste il male. Tuttavia, in questo
grande mistero che è la vita, anche i nemici, e talvolta più degli
amici stessi, risultano importanti per il nostro cammino spiri-
tuale e per la realizzazione del progetto di vita che il Signore ha
predisposto per noi. Nella dinamica dell’amore, del perdono
e della preghiera, accade infatti che i nemici si trasformino in
fratelli. Accade inoltre che, talvolta, i nemici siano importanti
per la realizzazione del nostro progetto di vita: quando pren-
diamo strade sbagliate, sono loro, molto più che gli amici, a
sbarrarci la strada. Non lo fanno per favorirci, ma lo fanno, e,
senza saperlo né volerlo, ci aiutano. In un cammino spirituale
tutto concorre al bene.

XI settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


L’apparenza non inganna
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini
per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il
Padre vostro… Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba
davanti a te, come fanno gli ipocriti… In verità io vi dico: hanno già
ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia
la tua sinistra ciò che fa la tua destra… e il Padre tuo, che vede nel
segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipocriti
che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze… In verità io vi dico:
hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra
nella tua camera… e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo,
che vede nel segreto, ti ricompenserà… E quando digiunate, non diventate

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malinconici come gli ipocriti… In verità io vi dico: hanno già ricevuto la


loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il
volto, perché la gente non veda che tu digiuni… e il Padre tuo, che vede
nel segreto, ti ricompenserà». Mt 6,1-6.16-18

Il vangelo di oggi ci presenta alcune scenette, che sono al-


trettante esortazioni per la nostra vita di tutti i giorni: fare l’ele-
mosina, pregare, digiunare. In ciascuna di esse vi sono due pro-
tagonisti, che Gesù contrappone: i «giusti» che dialogano con il
Signore segretamente, come succede in ogni vero amore, e gli
«ipocriti» che cercano invece l’ammirazione dagli altri uomini.
È l’eterna contrapposizione fra l’essere e l’apparire. L’esortazio-
ne di Gesù a curare l’essere è particolarmente opportuna, in
questo nostro tempo nel quale si dedica un’attenzione esaspe-
rata, talvolta ossessiva, all’immagine. L’invasione quotidiana di
spettacoli televisivi, dominati dalla ricerca di ammirazione ne-
gli spettatori, mostrando persone sempre più belle; la necessità
di proporsi, nel mondo del lavoro, a persone sconosciute nelle
quali si debba suscitare immediata fiducia e simpatia; il conti-
nuo confronto con gli altri, spesso poco benevoli e ipercritici:
tutto sembra contribuire a trasformare la sana cura di sé, di
«profumarsi la testa e lavarsi il volto», in una sorta di culto della
propria immagine, che, nei soggetti più fragili, può giungere a
gravi forme patologiche, come l’anoressia.
Forse tutto questo accade perché abbiamo sostituito l’atten-
zione allo sguardo di Dio con l’attenzione allo sguardo dell’uo-
mo. Forse basterebbe che ci sentissimo guardati da Dio con il
suo sguardo amoroso e benevolo di Padre, per non avere più
bisogno dell’ammirazione degli altri. Forse basterebbe vivere
maggiormente nella fede per diventare veramente belli, di quel-
la bellezza che fa risplendere sul volto i sentimenti del cuore.

XI settimana del Tempo Ordinario – Giovedì (Anno dispari)


La gelosia, segno di immaturità
Se soltanto poteste sopportare un po’ di follia da parte mia! Ma, certo,
voi mi sopportate. Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina: vi

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ho promessi infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine


casta. Temo però che, come il serpente con la sua malizia sedusse Eva, così
i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e
purezza nei riguardi di Cristo. Infatti, se il primo venuto vi predica un
Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi, o se ricevete uno
spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un altro vangelo che non
avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo. Ora, io ritengo
di non essere in nulla inferiore a questi superapostoli! E se anche sono
un profano nell’arte del parlare, non lo sono però nella dottrina, come
abbiamo dimostrato in tutto e per tutto davanti a voi. 2Cor 11,1-6

Nella Seconda lettera ai Corinzi, Paolo, dopo aver parlato


della grandezza del ministero apostolico e aver raccomandato
una colletta di denaro per i cristiani di Gerusalemme, passa a
un rimprovero nei confronti dei fratelli della comunità di Co-
rinto e di coloro che si contrapponevano con altre dottrine alla
sua missione. Paolo prova gelosia nei confronti di quella chiesa,
da lui preparata per essere sposa casta di Cristo, ma che rischia
di essere sedotta dal male, come Eva lo fu dal serpente. Gira-
vano, infatti, in quell’ambiente degli pseudo-apostoli che, per
meglio ingannare i cristiani, si atteggiavano a persone zelanti,
virtuose e intransigenti. Come nell’Antico Testamento Dio è
geloso di Israele, Gesù lo è della chiesa e Paolo della comunità
di Corinto. È forse la gelosia un sentimento accettabile all’in-
terno di una comunità cristiana?
È chiaro che si tratta di una gelosia santa, che scaturisce
dall’amore. La gelosia di per sé non è un buon sentimento,
ma, a meno che non si tratti di una patologia della psiche,
quando si manifesta vuol dire che nel rapporto d’amore, anche
tra marito e moglie, si stanno insinuando dei disturbi. Il mo-
tivo più frequente è la tendenza all’infedeltà, ma può nascere
anche dalla poca stima nei confronti degli altri o anche dalla
scarsa autostima. La gelosia di Paolo, di cui si parla nella let-
tura odierna, è causata dal fatto che egli ritiene la comunità
di Corinto ancora giovane e inesperta per resistere all’abilità
diabolica degli pseudo-apostoli che le recano disturbo. La ge-
losia, quando si manifesta, denuncia sempre la presenza di un
rapporto non maturo, sia che si tratti di una comunità che di
una coppia di sposi.

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XI settimana del Tempo Ordinario – Giovedì (Anno pari)


Meditiamo il Padre nostro
«Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire
ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre
vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato
il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in
cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a
noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei
cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure
il Padre vostro perdonerà le vostre colpe». Mt 6,7-15

Il vangelo di oggi ci esorta a riscoprire il Padre nostro: è la


preghiera uscita dalla bocca di Dio e destinata all’orecchio di
Dio. È la preghiera che egli ci ha lasciato perché vuole essere
pregato con quelle parole. L’uomo l’ha banalizzata recitando-
la in serie, senza pensarci, come si direbbe una qualsiasi gia-
culatoria quando siamo nel bisogno o nella paura. Abbiamo
smarrito il senso del mistero che si nasconde in quelle parole.
Suggeriamo, allora, di riscoprire il Padre nostro ponendoci in
silenzio e facendo risuonare lentamente dentro di noi le parole
e le frasi che lo compongono, lasciando che lo Spirito tolga
da esse la patina che l’abitudine e il tempo vi hanno deposita-
to. Occorre ridonare al Padre nostro la lucentezza di quando è
sgorgato dalle labbra di Gesù di Nazaret. Ascoltando quelle pa-
role che ci escono dalla bocca e rientrano nelle nostre orecchie,
dobbiamo arrivare a trasalire, altrimenti non abbiamo neanche
la percezione di quale preghiera sia il Padre nostro. La nostra
fede appoggia su tre colonne: il vangelo che i primi apostoli
ci hanno trasmesso, l’eucaristia che perpetua la donazione di
Gesù al Padre a vantaggio degli uomini che egli serve, e il Padre
nostro che perpetua la presenza di Gesù che prega.
Il Padre nostro è il vangelo tradotto in preghiera. Mettiamo-
ci, ora, in silenzio e facciamo risuonare dentro di noi la parola:
«Padre»! È la stessa parola con la quale Gesù ha iniziato ogni
sua preghiera; «Ti ringrazio, Padre; Sì, o Padre; Padre santo; Pa-

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dre nelle tue mani». In quella parola è racchiusa l’immagine del


Padre buono, del Padre che aveva due figli, del Padre che veste
anche i gigli del campo e procura il cibo agli uccelli del cielo,
del Padre che ha tanto amato il mondo. Passiamo alla seconda
parola; «Nostro»! In essa è racchiuso il segreto che il Padre cele-
ste è il padre di tutti, anche di chi non lo conosce e di colui che
non sa pregare. Adesso, io lascio la penna, ma il lettore è calda-
mente invitato a continuare la meditazione del Padre nostro.

XI settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Una riflessione necessaria
«Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine
consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi
tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non
scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo
cuore. La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice,
tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il
tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto
grande sarà la tenebra!». Mt 6,19-23

Nel 2003 mi trovavo a Nairobi, in Kenia. Come ho già


avuto occasione di dire, è la città che meglio riflette la dram-
maticità della situazione attuale dell’Africa. A Nairobi vive un
ristretto numero di persone molto ricche, che abitano in ville
circondate da alte mura e protette da mute di cani della peggior
razza, per difendersi dall’aggressività dei molti poveri, che non
accettano più il loro stato. Anch’io sono stato aggredito per
strada da una banda di giovani che mi hanno strappato dal col-
lo la crocetta d’oro che la nonna Rita mi aveva regalato prima
di morire. Nella prima parte, il vangelo di oggi ci chiede di ri-
flettere su tutto ciò che possediamo, suggerendoci di investirlo
in modo intelligente. Poiché nell’eternità non esistono uffici di
cambiavalute, nei quali possiamo cambiare il denaro accumu-
lato in terra, il Signore ci consiglia di cominciare a trasferire
nella banca del cielo le ricchezze che possediamo.
Matteo, nel capitolo 25 del suo Vangelo, lui che, prima di
convertirsi, di ricchezze ne aveva tante, ci suggerisce come fare.

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Anzi, ce lo fa dire dal Signore, parlando del giudizio finale: «Io


ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi
avete dato da bere ero nudo e mi avete vestito». «Ma quando,
Signore, abbiamo fatto questo?», diremo noi. «Tutto quello che
avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete
fatto a me» (Mt 25,35-40), risponderà il Signore. Credo che
sulla radicalità di questa proposta ci sia poco da aggiungere e
molto da riflettere. Nella seconda parte del brano, il Signore ci
chiede, invece, di far luce nell’interno del nostro cuore dove,
nei cantucci più nascosti, vivono i pensieri, i sentimenti, le am-
bizioni, i progetti e i sogni. Ci chiede, in altre parole, di tirar
fuori l’essenza del nostro essere e di portarla alla luce della lucer-
na del nostro occhio per verificare se veramente si concili con
l’investimento nella banca celeste del quale ci ha parlato prima.
Quella lucerna è la nostra fede che, per far luce, ha bisogno
di essere alimentata dall’olio della nostra preghiera quotidiana.
Donaci, Signore il silenzio e la libertà interiore per riflettere
sulle verità del vangelo di oggi.

XI settimana del Tempo Ordinario – Sabato


La fede nella Provvidenza
«Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che
mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la
vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli
uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai;
eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di
voi… può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché
vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e
non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone… vestiva come uno
di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si
getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non
preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?
Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani.
Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece,
anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno
date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani… A ciascun
giorno basta la sua pena». Mt 6,25-34

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La nostra amica Renata ha vissuto una tristissima esperien-


za. Quando l’abbiamo conosciuta, molti anni fa, era una perso-
na cui la vita sembrava aver concesso tutto: una professione di
insegnante, un marito affermato nel lavoro e due bei bambini.
Ma quando Renata, serena e fiduciosa, iniziò la terza gravidan-
za, il marito le comunicò che l’avrebbe lasciata per andare a
convivere con la segretaria, ed ella, dopo alcuni mesi, si trovò
ad affrontare da sola l’impresa di far crescere ed educare tre
figli. Iniziò per lei un periodo durissimo, che sembrava dover
essere interminabile. Lottava contro le difficoltà come una leo-
nessa per i suoi cuccioli, ma talvolta andava in crisi.
Una sera cadde in una più profonda delle altre e venne a
casa nostra, come spesso faceva, per trovarvi amicizia, ascolto,
qualche consiglio, ma soprattutto un po’ di preghiera. Quella
volta, però, le ore trascorrevano senza che le arrivasse l’aiuto
sperato, fino a quando non leggemmo la pagina del vangelo di
oggi, questa potente esortazione ad abbandonarsi nelle mani
del Signore, come «gli uccelli del cielo» ed «i gigli del campo».
Ci mettemmo in silenzio lasciando che il messaggio scendesse
lentamente nel cuore e, a un certo punto, Renata sentì che il
Signore le aveva parlato. Quando uscì per tornare a casa sua,
era una persona rigenerata, e da allora si è sempre fidata cieca-
mente del Signore. Ha incontrato mille difficoltà, ma le ha su-
perate tutte, e ora che i figli si sono tutti laureati, si sta godendo
una fase serena della sua vita, con molti momenti di gioia, che
condivide con gli amici di sempre, tra i quali siamo anche noi.

XII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Non abbiate paura
«Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che
ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura
di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima;
abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna
e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure
nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino
i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi
valete più di molti passeri!». Mt 10,27-31

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La vera maledizione dell’uomo è la paura. Abbiamo paura


del buio, di un grido improvviso, di un telegramma che ci rag-
giunge, di un contratto di lavoro che scade, del conto in ban-
ca che cala, di ogni incertezza della vita. Oggi abbiamo paura
perfino a sposarci e a metter al mondo dei figli. I mass media
non perdono occasione per creare allarmismi: il fluttuare della
borsa finanziaria, il progresso che non riusciamo a controllare,
l’economia che è in affanno, i posti di lavoro che diminuisco-
no, le riserve energetiche che si esauriscono. Tutto, anche gli
eventi lieti riescono a conferire un certo senso di indetermina-
tezza e di paura. Alcuni anni fa, quando lavoravo all’Ansaldo,
a un mio collaboratore era nato un figlio. In ufficio, per tutta
la giornata, egli era stato assalito da pensieri negativi: durante
la notte si sveglierà, alla sera non potremo più uscire, le va-
canze in campeggio ci saranno vietate. Alla sera io, che avevo
già quattordici figli, per fargli comprendere l’assurdità delle sue
paure, gli dissi: «Non ti preoccupare, questo tuo figlio dallo a
me e non ne parliamo più». Mi guardò perplesso e si rese conto
che i suoi timori non avevano alcun senso.
Un giorno Gesù, quando ha parlato dei gigli dei campi e
degli uccelli del cielo, che non filano e non mietono, eppure il
Padre celeste li nutre, ha portato alla luce queste nostre ango-
sce: «Che mangeremo?», «Che berremo?», «Di che ci vestire-
mo?». In un’altra occasione egli ci rassicura: «Nel mondo avrete
tribolazione, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv
16,33). Se vogliamo sapere da cosa ha origine la paura, la ri-
sposta è: dal peccato. Nella Bibbia essa compare subito dopo il
peccato originale: «Poi udirono il Signore Dio che passeggia-
va nel giardino, e l’uomo, con sua moglie, si nascose in mez-
zo agli alberi. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse:
“Dove sei?”. Rispose: “Ho udito la tua voce nel giardino: ho
avuto paura”. Riprese: “Hai forse mangiato dell’albero di cui
ti avevo comandato di non mangiare?”» (cf. Gn 3,8-11). Do-
po quell’evento lontano nel tempo, le Sacre Scritture esortano
continuamente l’uomo a non avere paura. L’esortazione a non
avere paura nella Bibbia è ripetuta 365 volte: una per ogni gior-
no. Papa Giovanni Paolo II lo ha ripetuto per ventisei anni. Ma
non siamo sicuri che l’umanità abbia capito.

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XII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Perché non dobbiamo giudicare
«Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il
quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate
sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo
fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al
tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo
occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci
vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello». Mt 7,1-5
Il motivo per cui non possiamo togliere al nostro fratello la
pagliuzza che ha nel suo occhio, è perché non siamo in grado di
farlo, dal momento che la trave nel nostro occhio ci impedisce
di vedere sufficientemente bene. Fuori dalla metafora: il no-
stro peccato ci impedisce di valutare con giustizia quello degli
altri. Questa è molto più di un’opinione: è l’insegnamento del
quale tutti abbiamo bisogno. Il peccato offusca l’intelligenza
e impedisce di capire fino in fondo e in modo giusto persone
e situazioni. Non si può vedere e comprendere il peccato del
nostro fratello se non siamo in comunione con lui al punto
da conoscere i motivi che lo hanno determinato: i talenti e
l’educazione ricevuti, lo stato d’animo, il livello di fede, le cir-
costanze e i suoi bisogni. Ma questa comunione ci è impedita
dal nostro e dal suo peccato.
All’inizio dei tempi, dopo la caduta di Adamo ed Eva, «si
aprirono gli occhi di tutt’e due e conobbero di essere nudi;
intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (Gn 3,7). Il
nostro peccato ci interrompe la comunione con Dio e conse-
guentemente con i fratelli, impedendoci di conoscere le con-
dizioni che hanno determinato il loro peccato. Anche l’intel-
ligenza, creata da Dio per essere in comunione con lui, risulta
illuminata solo se rimane in comunione con lui. Inoltre, noi
comprendiamo in modo deformato perché il peccato che ve-
diamo negli altri sovente non è che il nostro riflesso in loro: il
ladro vede tutti ladri, l’egoista tutti egoisti e il bugiardo tutti
bugiardi. E il peccato ci impedisce anche di vedere, o lo fa sot-
tovalutare, il male che è in noi. La non comunione con Dio, il
vedere riflesso negli altri il nostro peccato e la tendenza a non

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considerarlo tale costituiscono quella trave che – dice oggi il


Signore – ci impedisce di vedere e di poter togliere la pagliuzza
nell’occhio del nostro fratello.

XII settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Dio, noi e il prossimo
«Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti
ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per
sbranarvi… Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi
fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti. Entrate per la porta
stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione,
e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via
che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!». Mt 7,6.12-14

Dio, noi e il prossimo sono i tre riferimenti di ogni pensiero,


ogni sentimento e ogni azione della nostra vita. I comanda-
menti che Mosè ha ricevuto sul monte Sinai si possono riassu-
mere – dice Gesù – in uno solo: ama «Dio» sopra ogni cosa e il
«prossimo» tuo come «te stesso». E le tre virtù teologali costi-
tuiscono il modo che ci è dato per amare: la «fede» per amare
Dio, la «carità» per amare il prossimo e la «speranza» per amare
noi stessi, perché chi non vive nella speranza non si ama. An-
che i precetti della chiesa e quelli che incontriamo nel vangelo,
sono sempre riferiti a Dio, a noi e al prossimo.
Il brano del vangelo di oggi ce ne presenta tre: sono altret-
tante raccomandazioni, che hanno per oggetto il comporta-
mento nei confronti delle cose di Dio, del prossimo e di quelle
personali. La prima riguarda il rispetto per le cose di Dio, che
non devono essere date a chi non crede nella signoria di Gesù
Cristo. Ai pagani deve essere portato il messaggio solo del van-
gelo, l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto per la salvezza
loro e del mondo intero. Per chi ha creduto al primo annun-
cio, i misteri del Regno e la dottrina della chiesa vengono fatti
conoscere dopo, durante la crescita spirituale. La seconda rac-
comandazione riguarda il nostro comportamento, per amare il
prossimo nella concretezza della vita di tutti i giorni: basta fare

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agli altri, come vorremmo venisse fatto nei nostri confronti.


Non esiste regola più semplice e più pratica di questa. La ter-
za riguarda il comportamento da tenere nei confronti di noi
stessi e delle nostre scelte di vita, perché in ogni momento e in
ogni situazione ci troviamo di fronte a due porte, una larga e
l’altra stretta. Nella porta larga, che è quella del non impegno,
dell’egoismo, della critica, si entra più facilmente, ma poi ci si
ritrova in un ambiente stretto e invivibile. Nella porta stretta
si entra più difficilmente, perché dobbiamo far violenza alla
nostra natura che, a causa del peccato, non è magnanima, ge-
nerosa e benevola, ma, una volta entrati, ci troviamo negli spazi
sconfinati di Dio.

XII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Le parole e le opere
«Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma
dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse
uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti
buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non
può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.
Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai
loro frutti dunque li riconoscerete». Mt 7,15-20

Ci sono profeti della Bibbia, della storia, della politica,


dell’economia. Ogni attività umana, dal momento che richiede
una certa capacità di saper leggere i segni dei tempi, anche se in
ambiti limitati, esprime i suoi profeti, e la prima cosa da capire
è se siano credibili. Come criterio di valutazione, il vangelo di
oggi ci indica «i frutti», non le parole. Le parole degli uomini
esprimono le idee e i concetti, ma sono i frutti a stabilire la
loro credibilità. Anche se l’ho già raccontata, non sarà male
ricordare un’esperienza vissuta alcuni anni fa. Un missionario
agostiniano in Perù, padre Giovanni Salerno, ci aveva segnalato
la necessità di trovare una famiglia che potesse adottare due
fratelli peruviani già grandi, uno dei quali anche un po’ mala-
to. Avevamo iniziato a parlarne in giro, sia in pubblico che in

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privato. Poiché nessuno si faceva avanti, ci chiedevamo se, per


caso, il Signore non stesse chiedendo proprio a noi di adottarli,
nonostante che a quel tempo avessimo già dieci figli. Fu con
questi pensieri nella testa che, in uno di quei giorni, mi imbar-
cai su un aereo per l’Arabia Saudita, dove dovevo recarmi per
motivi di lavoro. Durante il volo, dopo aver dato un’occhia-
ta ad alcuni documenti, come facevo di solito per preparare
la riunione che mi attendeva, mi ero messo silenziosamente a
pregare per capire ciò che il Signore volesse da noi sul fatto di
quell’adozione. Tirai fuori la Bibbia, l’aprii e mi misi a leggere:
«La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, [Gesù] eb-
be fame. E avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva
delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualco-
sa ma, quando vi giunse vicino non trovò altro che foglie... Ri-
volto all’albero disse: “Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi
frutti”. E i discepoli l’udirono. La mattina seguente, passando,
videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Allora Pietro, ri-
cordandosi, gli disse: “Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai
maledetto è seccato”» (Mc 11,12-21). In quel tempo ero abba-
stanza impegnato nell’evangelizzazione, alla radio e nei gruppi
di preghiera del Rinnovamento Carismatico. Così alla fine di
quel brano feci quasi un sobbalzo sul sedile: «Questa è la rispo-
sta che il Signore mi dà! Le mie parole sono soltanto foglie, se
non producono i frutti delle opere». Tornai a casa, ne parlai ad
Anna Maria e ai nostri figli più grandi, pregammo insieme per
capire e un po’ di tempo dopo Luis ed Edgar erano già entrati
a far parte della nostra famiglia.

XII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Non basta dire: Signore, Signore!
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei
cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel
giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato
nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E
nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io

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dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che


operate l’iniquità!”. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette
in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa
sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si
abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla
roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà
simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde
la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su
quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande». Quando Gesù ebbe
terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli
infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.
 Mt 7,21-29

Questo brano del vangelo, così deciso e quasi sbrigativo nel-


la sua esortazione a essere cristiani in maniera autentica, a me
ricorda la nonna Barberina nel suo modo di educarmi, quan-
do, durante le lunghe vacanze estive, le venivo affidata negli
ultimi anni della mia adolescenza. Lei aveva scelto di sposa-
re il nonno Angelo quando egli era rimasto vedovo, con un
bambino piccolissimo, e insieme avevano poi formato una fa-
miglia numerosa, ma sempre pronta ad accogliere gli anziani
abbandonati. Lavorava incessantemente: badava alla famiglia
di giorno e cuciva camicie fino a tarda notte. Con me, tuttavia,
non ha mai ricordato le sue fatiche passate, perché era di poche
parole e preferiva spenderle per trasmettermi gli insegnamenti
che lei riteneva più preziosi. Io ne ho fatto tesoro, perché ero
consapevole, fin da allora, di quanto fosse autentica e vissuta
concretamente la sua fede cristiana.
Ricordo ancora la sua voce e il suo sguardo quando, per
prepararmi al mio futuro di donna, mi esortava ad accogliere i
figli che avrei avuto come doni del Signore, nella certezza della
Provvidenza che li avrebbe accompagnati: «Ogni bambino che
arriva porta con sé il suo panierino!», era la sua convintissima
conclusione. Quando stavo frequentando l’ultimo anno del li-
ceo, la nonna Barberina ha raggiunto il nonno Angelo in para-
diso e io, pochi mesi dopo, ho incontrato Pierluigi. Sono sem-
pre stata convinta che sia stata lei, svelta e decisa come sempre,
a sistemare dal cielo le cose in maniera che noi ci incontrassimo
e ci fidanzassimo, preparandoci a vivere secondo i valori che mi
aveva insegnato.

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XII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Ringiovanire la fede
Scese dal monte e molta folla lo seguì. Ed ecco, si avvicinò un lebbroso,
si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». Tese la
mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra
fu guarita. Poi Gesù gli disse: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’
invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come
testimonianza per loro». Mt 8,1-4

Era scritto nella legge giudaica: «Il lebbroso colpito da piaghe


porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro
superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro
finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà
fuori dell’accampamento» (Lv 13,45-46). Gesù si indigna di
fronte a questa norma che non riflette lo spirito del regno dei
cieli e, contro la prescrizione della legge, tocca il lebbroso e lo
guarisce. Così, quell’uomo che era immondo ed escluso dalla
società, diventa puro ed è inviato ai sacerdoti «come testimo-
nianza per loro».
La guarigione di un lebbroso, infatti, doveva essere ufficial-
mente riconosciuta dai sacerdoti affinché egli potesse essere
riammesso nella comunità civile e religiosa. Con Gesù la si-
tuazione si è rovesciata: la chiesa non può allontanare coloro
che sono affetti dalla lebbra del peccato. Essa è, e sarà sempre,
un miscuglio di grano buono e zizzania, di santità e peccato.
Talvolta, però, avviene che, non solo i peccatori, ma anche i
neoconvertiti vengano trattati con indifferenza e sospetto. Ri-
cordo una signora che, alcuni anni fa, era andata a Medjugorje
quasi per curiosità ed era tornata con la fede. Mentre racconta-
va le meraviglie che le erano capitate, aggiungeva, con un po’ di
tristezza, che in parrocchia la sua conversione era stata accolta
con una certa freddezza e non aveva generato tutto l’entusia-
smo che lei si sentiva addosso. È uno scandalo raffreddare con
atteggiamenti gelidi la fede dei neofiti del vangelo.
Donaci, Signore, la grazia di partecipare alla gioia di chi è
stato toccato dal Signore, affinché, di fronte a queste testimo-
nianze, possiamo anche noi ringiovanire la nostra fede.

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XII settimana del Tempo Ordinario – Sabato (Anno dispari)


La fedeltà del Signore
Poi il Signore apparve a lui [Abramo] alle Querce di Mamre… nell’ora
più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini… Appena
li vide, corse loro incontro… dicendo: «Mio signore… non passare oltre
senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i
piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane
e ristoratevi… Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse:
«Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento
corse lui stesso… Così… quelli mangiarono… Riprese: «Tornerò da te fra
un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio»… Allora
Sara rise… e disse: «Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre
il mio signore è vecchio!». Ma il Signore disse ad Abramo: «… C’è forse
qualche cosa d’impossibile per il Signore?». Gn 18,1-14

I grandi personaggi della storia della salvezza rappresentano


un modello per le loro virtù: Abramo lo è per la fede. Egli è
l’uomo della promessa di Dio: «Vattene dalla tua terra, dalla
tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti
indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò» (Gn
12,1-2). Poi, dopo che Abramo era giunto nel paese di Canaan,
il Signore gli apparve di nuovo e gli disse: «Alla tua discendenza
io darò questa terra» (Gn 12,7). Su quella promessa Abramo
ha camminato per anni nel silenzio di Dio, ma quando era già
anziano ebbe una piccola caduta di fede: «Signore Dio io me
ne vado senza figli». Rispose Dio: « uno nato da te sarà il tuo
erede. Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale
sarà la tua discendenza» (Gn 15,1-5). A quel punto Abramo e
sua moglie Sara ebbero un’altra caduta di fede: anziché fidarsi
ciecamente della promessa di Dio, decisero di passare all’azio-
ne. Poiché Sara era già anziana, Abramo, con il suo consenso, si
unì alla schiava Agar e nacque Ismaele che, per inciso, è il figlio
della promessa per i musulmani. È successo ad Abramo e suc-
cede a tutti di andare giù di fede e di prendere delle iniziative
frettolose, ma Dio rimane fedele alla sua promessa ugualmen-
te. Anzi, nella nostra vita interviene spesso dopo aver portato
l’uomo a perder quasi la fede nell’attesa, perché sia chiaro che
egli è fedele perché è Dio, non per la fede dell’uomo.

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Dopo tutte queste vicende, che il libro della Genesi raccon-


ta, nella lettura di oggi «il Signore apparve a lui [Abramo] alle
Querce di Mamre», insieme a due angeli, sotto le vesti di vian-
danti. Abramo, che era una persona ospitale e generosa, lo ac-
colse da par suo e il Signore, dopo essersi rifocillato, gli rinnovò
la promessa del figlio, ma a Sara, che era già vecchia e aveva
superato il periodo della fertilità, sfuggì un riso di incredulità.
Abramo, allora, si sentì chiedere: «C’è forse qualcosa di impos-
sibile per il Signore?». La stessa domanda oggi è rivolta a noi.

XII settimana del Tempo Ordinario – Sabato (Anno pari)


I centurioni e il nostro autista
Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo
scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato
e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione
rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’
soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un
subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a
un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità
io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!…».
E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In
quell’istante il suo servo fu guarito… Venuta la sera, gli portarono molti
indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati,
perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli
ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie. Mt 8,5-17

Quando nel vangelo entrano in scena i centurioni, ricevia-


mo sempre grandi lezioni di fede. Quello che incontriamo oggi
è di servizio a Cafarnao, in Galilea. Egli esalta la signoria di
Gesù come pochi altri personaggi del vangelo: «“Signore, io
non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto
una parola e il mio servo sarà guarito”. Ascoltandolo, Gesù si
meraviglia e dice a quelli che lo seguono: “In verità vi dico, in
Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande”». La
frase di Isaia, alla fine del vangelo odierno, «Egli ha preso le no-
stre infermità e si è caricato delle malattie», ci rimanda invece

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al centurione di servizio a Gerusalemme, che incontriamo sot-


to la croce. Mentre è lì per controllare che l’esecuzione avven-
ga regolarmente, vede Gesù morire a quel modo, perdonando
tutti, e lascia risuonare, per la prima volta sulla terra, la stessa
frase che Dio aveva rivolto a Gesù durante la trasfigurazione sul
Tabor. È la verità che il centurione coglie nella trasfigurazione
della croce: «Davvero costui era Figlio di Dio!» (Mt 27,54).
Questi centurioni sono due pagani, sono lì per servizio, non
fanno parte della folla che segue Gesù lungo il lago di Tiberiade
e nemmeno di quella che si trova sul Calvario. Essi appartengo-
no a quelle persone presenti per caso che capiscono tutto e ci
insegnano che cosa sia la fede. Quest’anno sono andato per una
settimana a Medjugorje con una comitiva. Durante i pranzi in
albergo era sempre seduto accanto a me Paolo, l’autista del pul-
lman. Un giorno gli ho chiesto: «Paolo, ma tu sei qui solo come
autista, o anche per un tuo cammino spirituale?». Mi rispose:
«Sono settantadue volte che porto persone a Medjugorje, e in
ognuna di esse, compatibilmente con il mio servizio, ho trova-
to sempre il modo di fare quello che fate voi. L’unica cosa che
non posso fare è salire sui monti delle apparizioni, perché sono
molto accidentati e, per il servizio che devo svolgere, non posso
rischiare di slogarmi una caviglia». Che lezione!

XIII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Accogliere il Signore
«Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha
mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa
del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa
del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a
uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà
la sua ricompensa». Mt 10,40-42

Oggi si parla di accoglienza. Per l’evangelista Matteo, che ha


passato la prima parte della sua vita ad accumulare denaro e a
pensare solo a se stesso, il vero segno della conversione è l’aper-
tura ad accogliere gli altri. Matteo è il discepolo dell’accoglien-

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za: è questo il tratto del Maestro che l’ha più colpito e che ha
trasmesso nel suo Vangelo. Nel brano di oggi Gesù annuncia:
«Chi accoglie voi accoglie me... Chi accoglie un profeta perché
è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un
giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto». Pos-
siamo riassumere questo messaggio così: chi accoglie l’uomo
di Dio perché tale, discepolo, profeta o giusto che sia, avrà
per ricompensa il Signore, Dio stesso. Più avanti, nel Vangelo
di Matteo, egli si identifica anche con i poveri, i bisognosi e i
piccoli: «Ho avuto fame, ho avuto sete, ero straniero, nudo,
malato, in carcere» (Mt 25,31-36).
Il Signore vive e si presenta a noi nel povero, in chi ha bi-
sogno di essere accolto. A me, anche se con poco merito, è
successo di vivere questa esperienza. All’inizio del nostro matri-
monio, Anna Maria mi parlava sempre più spesso del suo desi-
derio di adottare un bambino senza famiglia, per farlo crescere
con noi e farlo partecipare al nostro benessere. Un po’ per farla
contenta e un po’ per vivere in pace, acconsentii a fare doman-
da di adozione al tribunale dei minorenni di Milano, ma in
cuor mio speravo che la nostra pratica si fermasse da qualche
parte. Invece non si fermò. Quando Anna Maria era in attesa
del terzo figlio, il tribunale ci chiese di andare a Locri, in Cala-
bria, per adottare con urgenza Maria Carmela. Mia moglie era
entusiasta, ma io non lo ero affatto. Quando mi ritrovai nella
sala d’attesa dell’orfanotrofio di Locri, con Anna Maria felice
e Maria Carmela sorridente, il primo istinto fu quello di scap-
pare. Non ero pronto per quell’adozione, mi sentivo raggirato,
tradito e violentato nei miei desideri e nei miei progetti di vita;
ma non potevo tornare indietro. In quel momento e con quel-
lo stato d’animo, chiusi gli occhi e dissi al Signore: «Signore,
accolgo questa bambina come se accogliessi te». E mi buttai.
Oggi, dopo tanti anni, devo confessare che in Maria Carmela
mi attendeva veramente il Signore, perché «chi avrà dato da
bere anche un solo bicchiere di acqua fresca a uno di questi
piccoli non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42). Veramente
il Signore è stato di parola: egli non si fa battere da nessuno in
generosità. Da quel giorno si è fatto incontrare e riconoscere
nella Parola, nella Provvidenza, nell’eucaristia e nei poveri. È
stato un altro modo di vivere.

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XIII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Che cosa vuoi Signore?
Vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva.
Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque
tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del
cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». E un
altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a
seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti
seppelliscano i loro morti». Mt 8,18-22

Qualche giorno fa il brano del vangelo che parla dei gigli


del campo e degli uccelli del cielo ci ha guidato a riflettere sulla
realtà della Provvidenza e di un Dio provvidente. È una espe-
rienza che sembrerebbe non facile fare per persone che vivono
tra le sicurezze del nostro mondo occidentale. Il fatto di aver
seguito la vocazione al matrimonio, con l’esercizio delle nostre
professioni di insegnante e di ingegnere, ci avrebbe permesso
di vivere in una certa agiatezza. Tuttavia, l’esserci aperti a una
famiglia numerosa, con quattordici figli da educare e far cresce-
re, ci ha fatto sperimentare, giorno dopo giorno, la realtà di un
Dio provvidente, come lo è con i gigli del campo e gli uccelli
del cielo. È stata un’esperienza grande, che ci ha aiutati a vivere
alla sequela del Signore, unica nostra sicurezza. L’abbandonarsi
di nuovo alla Parola odierna, come abbiamo fatto molti anni
fa, ora che i figli sono tutti usciti di casa e sono autonomi, ci
permetterebbe di sperimentare ancora l’amore di Dio e la sua
Provvidenza. Sarebbe la stessa esperienza della quale parla oggi
Gesù, che va oltre a quella degli uccelli del cielo, i quali hanno
almeno un nido, mentre il Figlio dell’uomo non ha dove po-
sare il capo, alla sera. Sappiamo, però, che, da quando egli ha
abbandonato la casa paterna e ha seguito la sua missione, alla
sera ha sempre trovato, insieme ai suoi discepoli, un luogo per
posare il capo e riposare. È, anche oggi, l’esperienza del mis-
sionario «ad gentes». È questo che vuoi da noi Signore, per il
tempo che abbiamo davanti? Oppure vuoi che rimaniamo in
questo nido, che abbiamo costruito negli anni e che continua
a essere riferimento e punto d’incontro per figli, figlie, nuore,
generi, nipoti e amici? Sarebbe la continuazione della nostra

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vita di sempre, bilanciando tempo ed energie tra vita familiare


e testimonianza. La Parola di oggi ci dà motivo di riflettere e
pregare su tutto questo, anche alla luce di un consiglio che ci
donò, un giorno, monsignor Gianbattista Guzzetti: «Il testi-
mone – ci disse – deve essere una persona normale. Se è nor-
male può essere testimone e modello di vita, altrimenti non
lo è. Una eccezionalità il mondo la concede, se sono di più le
considera solo stravaganze». Pregheremo affinché il Signore ci
illumini sulle scelte per il nostro futuro.

XIII settimana del Tempo Ordinario – Martedì


La tempesta sedata
Salito sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel
mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde;
ma egli dormiva. Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo:
«Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura,
gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande
bonaccia. Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino
i venti e il mare gli obbediscono?». Mt 8,23-27

Il mare di Tiberiade, con le sue frequenti burrasche, rappre-


senta molto bene l’esperienza della vita con tutte le sue diffi-
coltà. In quella descritta dal vangelo di oggi, siamo colpiti dalla
contrapposizione tra lo spavento dei discepoli e la calma di Ge-
sù, che dorme tranquillo, come se per lui i venti e la tempesta
non esistessero. Sorge allora un dubbio: il mare si agita perché
Gesù dorme?, oppure la fede permette a Gesù di dormire, no-
nostante l’agitarsi del mare? Entrambe queste domande sono
lecite, e tutte e due nascondono una verità. La nostra esperienza
di vita, infatti, con i suoi alti e bassi nella fede, ci ha insegnato
che tutte le volte che abbiamo avuto poca fede, Gesù si è come
addormentato, assentandosi dalle nostre vicende, che i venti
hanno subito sconvolto, ed è stata tempesta. Ma è anche vero
che, quando sotto i venti della vita, si sono verificate delle tem-
peste e non abbiamo avuto la fede di abbandonarci nelle mani
del Signore, abbiamo sempre vissuto l’esperienza della paura.

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A un certo punto, in entrambi i casi, come i discepoli nel


vangelo di oggi, abbiamo dovuto svegliare il Signore gridando:
«Salvaci, Signore, siamo perduti». Possiamo, però, testimoniare
che, a quel punto, il Signore è sempre intervenuto da par suo: le
tempeste si sono sedate, il mare si è calmato ed è stata bonaccia.
Nasce, allora, un’altra domanda: «Com’è possibile che dopo
aver sperimentato tante volte la fedeltà del Signore nel districa-
re le nostre matasse ingarbugliate, facciamo ancora l’esperienza
della nostra poca fede?». È un mistero che ha le radici nella
incapacità a comprendere fino in fondo l’importanza dell’aver
fede, ma, tutto sommato, va bene così, perché ci permette di
sperimentare ogni volta la bontà del Signore e il suo sollecito
intervento nelle nostre vicende umane. È la stessa esperienza
che da piccoli hanno fatto i nostri figli quando, non sapendo
ancora nuotare, venivano al largo con noi, fiduciosi nel fatto
che una mano per sorreggerli gliel’avremmo sempre data.

XIII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


La vita alla luce del sole
Giunto all’altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo
dai sepolcri, gli andarono incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva
passare per quella strada. Ed ecco, si misero a gridare: «Che vuoi da noi,
Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?». A qualche
distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci al pascolo; e i
demòni lo scongiuravano dicendo: «Se ci scacci, mandaci nella mandria
dei porci». Egli disse loro: «Andate!». Ed essi uscirono, ed entrarono nei
porci: ed ecco, tutta la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare e
morirono nelle acque. Mt 8,28-32

Abbiamo incontrato diversi indemoniati nel vangelo. Quelli


di oggi ci danno l’opportunità di aggiungere ulteriori riflessio-
ni. La prima riguarda l’ambiente nel quale essi vivono: tra i se-
polcri, in un luogo di morte. Nel mondo, aspramente conteso
tra lo spirito del bene e quello del male, si combatte da sempre
l’eterna battaglia per la vita o per la morte. Da una parte mam-
me che portano a termine gravidanze a rischio della loro stessa

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vita, dall’altra donne che silenziosamente vanno ad abortire;


da una parte coniugi che si perdonano per salvare matrimoni
diventati difficili, altri che si separano e divorziano con grande
disinvoltura, creando problemi a loro stessi, ai figli e alla so-
cietà. Chi sceglie la strada del bene vive alla luce del sole, chi
sceglie quella del male vive nell’ombra: i matrimoni e le nascite
si festeggiano pubblicamente; gli aborti e lo spaccio della droga
avvengono nel nascondimento. Da una parte la luce, la vita, la
gioia e la franchezza; dall’altra l’ombra, la disperazione, la men-
zogna e l’autodistruzione, come quella dei porci del vangelo di
oggi che, invasi dai demoni, vanno a buttarsi in mare.
A queste situazioni di estremo male non si arriva improv-
visamente, ma giorno per giorno, come giorno per giorno si
arriva alla santità, cadendo e rialzandosi sempre. Il brano di
oggi evidenzia, inoltre, che i demoni e i santi non possono
convivere, si disturbano a vicenda: «Che vuoi da noi, Figlio di
Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?», gridano
i due indemoniati. Ci sono ambienti nei quali la chiarezza, la
franchezza e la santità costituiscono un vero fastidio, perché
sono ambienti ove dominano scelte di male. Chi li vuol fre-
quentare deve vivere una vita di menzogne, di sotterfugi, di
scelte di morte e di trasgressioni sempre più spinte. C’è una
regola fondamentale per valutare sia gli ambienti che le nostre
scelte esistenziali: chi è per la vita opera alla luce del sole, chi è
per la morte opera – e può operare – soltanto nell’ombra, nella
menzogna e nel nascondimento.

XIII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì (Anno dispari)


Il miracolo di ogni riconciliazione
Salito su una barca, passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco,
gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede,
disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati». Allora
alcuni scribi dissero fra sé: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conoscendo i
loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che
cosa infatti è più facile: dire “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire
“Àlzati e cammina”? Ma, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il po-
tere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati – disse allora al paralitico –,

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prendi il tuo letto e va’ a casa tua». Ed egli si alzò e andò a casa sua. Le
folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che
aveva dato un tale potere agli uomini. Mt 9,1-8

Lo stupore della folla e lo scandalo degli scribi non nascono


tanto dalla guarigione del paralitico, quanto dall’affermazione
di Gesù: «Coraggio, figliolo, ti sono perdonati i tuoi peccati».
Egli compie questo miracolo per annunciare che un nuovo po-
tere ha fatto irruzione nel mondo: quello di rimettere in piedi
l’uomo non solo nel corpo, ma anche nello spirito, perché abbia
una vita totalmente nuova. Gesù non è un semplice guaritore
dei mali dell’uomo e della società, non guarisce per far funzio-
nare tutto meglio di prima: apre orizzonti di vita nuova, ricon-
ciliando l’uomo con Dio. Ed è stupefacente il fatto che questo
potere sia stato trasferito alla chiesa. Riflettendo sul compor-
tamento di questo paralitico che si alza e va a casa, possiamo
immaginare la guarigione interiore che avviene in una persona
quando esce dal confessionale. Se il peccatore è un uomo fallito
nel suo fine di vivere in comunione con Dio, questo brano del
vangelo ci fa toccare con mano che, con l’avvento di Gesù nel-
la storia, si realizza la profezia di Ezechiele: «Vi aspergerò con
acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre
impurità e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, met-
terò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di
pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di
voi e vi farò vivere secondo le mie leggi» (Ez 36,25-27).
Non è solo per essere stato guarito alle gambe che il paraliti-
co si alza e se ne va: è per il fatto che ora ha un cammino nuovo
da intraprendere e un progetto da realizzare. I veri paralitici del
brano di oggi sono quegli scribi che pensano: «Costui bestem-
mia». Essi tornano a casa come sono venuti, ancora schiavi del
loro peccato, delle loro presunzioni e del loro piccolo mondo.
La vera bestemmia, lo scandalo del vangelo, è che Dio si è fatto
solidale con noi nel nostro peccato perché noi fossimo solidali
con lui nella risurrezione. Per quanto lo si mediti, non penetre-
remo mai abbastanza questo mistero dell’amore di Dio; e per
quanto ce ne possiamo rendere conto, non coglieremo mai nel-
la pienezza il miracolo che avviene tutte le volte che entriamo
in un confessionale per riconciliarci con Dio.

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XIII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì (Anno pari)


Sul monte il Signore si fa vedere
Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!».
Riprese: «Prendi tuo figlio… Isacco… e offrilo in olocausto su di un monte
che io ti indicherò». Abramo… prese… il figlio Isacco… e si mise in
viaggio… Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. Allora…
disse ai suoi servi: «Fermatevi qui… io e il ragazzo andremo fin lassù…».
Isacco si rivolse al padre… «Padre mio!… dov’è l’agnello per l’olocausto?».
Abramo rispose: «Dio stesso si provvederà l’agnello…». Abramo costruì
l’altare, collocò la legna, legò suo figlio Isacco… sopra la legna. Poi
Abramo… prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore
lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!».
L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo… Ora so che tu
temi Dio…». Abramo… vide un ariete… e lo offrì in olocausto invece del
figlio. Abramo chiamò quel luogo…«Sul monte il Signore si fa vedere».
 Gn 22,1-14

Chi risponde «Eccomi» al progetto divino su di lui viene


messo alla prova come Abramo. Quando il Signore lo aveva
chiamato, gli aveva detto: «Vàttene dalla tua terra, dalla tua
parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indi-
cherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò» (Gn 12,1-
2). Abramo si era fidato del Signore ed era partito insieme alla
moglie Sara e ai suoi armenti. Sara, però, essendo avanti negli
anni, non poteva aver figli, e Abramo si era lamentato nei con-
fronti del Signore: «Io me ne vado senza figli» (Gn 15,2). E il
Signore gli aveva risposto: «Guarda in cielo e conta le stelle...
Tale sarà la tua discendenza» (Gn 15,5). Dopo alcuni anni,
infatti, a Sara era nato Isacco.
Da quel momento per Abramo la realizzazione della pro-
messa aveva assunto il volto concreto di Isacco. Quando il Si-
gnore benedice un uomo, però, accade spesso che la fede in
lui si trasformi in attaccamento ai doni ricevuti. Così stanno
le cose quando il Signore mette alla prova Abramo e gli dice:
«Prendi tuo figlio e offrilo in olocausto». Egli all’inizio rima-
ne incredulo, gli sembra impossibile che il Signore si voglia
riprendere ciò che gli ha donato, ma poi, come la lettura di
oggi racconta, fa tutto ciò che gli chiede il Signore e ritrova la
fede che aveva sempre avuto. Alla fine, quando Abramo sta per

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alzare la mano sul figlio, Dio lo ferma e al posto di Isacco viene


immolato un ariete. E le Scritture aggiungono: «Sul monte il
Signore si fa vedere».
Questa frase è rimasta nei secoli il simbolo della fede più
cieca. Anche ai giorni nostri è facile attaccarsi eccessivamente ai
doni ricevuti dimenticando il Signore. Allora egli, per il nostro
bene, mette le cose a posto, come accade nel brano di oggi. A
me è successo quando sono entrato in politica per mettere a
frutto le esperienze fatte e i talenti ricevuti. A un certo punto
egli ha permesso che le cose si ingarbugliassero in modo tale
che io fossi costretto a ritirarmi. Il Signore ci colma di doni, ma
solo per il suo progetto.

XIII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì

Inno alla convivialità


Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al
banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre
sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se
ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei
dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme
ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che
hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol
dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a
chiamare i giusti, ma i peccatori». Mt 9,9-13

Le prime righe del vangelo di oggi ci presentano la chiamata


di Matteo: parole brevi, quasi scarne, per una scena rapida,
attraversata dalla grazia di Dio come dalla luce di un lampo.
Subito dopo inizia uno stupendo inno alla convivialità: alla
gioia di condividere la mensa con il prossimo, con tutti coloro
che arrivano e che hanno il piacere di stare con noi.
Quasi sempre il sedersi attorno a una tavola apparecchiata e
mangiare insieme crea la condizione ideale per conversare, per
far cadere barriere e pregiudizi e per potersi parlare con sponta-
neità. Mangiando, infatti, si soddisfa uno dei bisogni più natu-

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rali, uno di quelli che ci accomunano addirittura agli animali e


che, a maggior ragione, ci affratellano ai nostri simili. Ecco che,
allora, la propensione al giudizio non sempre benevolo, cede il
posto al desiderio di ascoltare l’altro, accettandolo per quello
che è e alimentandosi di benevolenza, oltre che di cibo. Con il
cuore aperto si diventa, allora, capaci di riconoscere i veri tesori
di bontà e generosità che molto spesso sono nascosti proprio
nella vita dei cosiddetti «peccatori» e, discorrendo liberamente,
ci arricchiamo l’un l’altro senza neppure averne l’intenzione.
Questo è il segreto delle case accoglienti, dove chi vi giunge si
sente gradito e viene invitato a sedersi a tavola, perché la sua
presenza è considerata un dono.

XIII settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Vino nuovo in otri nuovi
Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché
noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non
digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in
lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà
loro tolto, e allora digiuneranno. Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza
su un vestito vecchio, perché il rattoppo porta via qualcosa dal vestito e lo
strappo diventa peggiore. Né si versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti
si spaccano gli otri e il vino si spande e gli otri vanno perduti. Ma si versa
vino nuovo in otri nuovi, e così l’uno e gli altri si conservano». Mt 9,14-17
Oggi Gesù esorta la civiltà giudaica del suo tempo a rivolu-
zionare le proprie istituzioni, perché non adatte ad accogliere
il messaggio del vangelo. Sarebbe come mettere del vino nuo-
vo in otri vecchi o una toppa nuova su un vestito vecchio. La
novità che Gesù ha portato è stata un tal vento di libertà, di
gioia, di amore e di perdono che non si poteva conciliare con
le vecchie tradizioni della sinagoga, legate alla circoncisione,
ai privilegi del sacerdozio, al rispetto del sabato e della legge,
con tutti i suoi codicilli, compreso quello della lapidazione. La
chiesa doveva nascere dalla sinagoga, ma per essere una realtà
nuova, come la farfalla nasce dal bozzolo.

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Questa strategia celeste, però, il potere religioso di Israele


non l’ha concepita né condivisa. È stato il motivo del con-
tinuo scontro di Gesù con la civiltà giudaica, quello che alla
fine lo porterà a morire in croce sul Calvario. Nel corso dei
secoli l’esortazione del vangelo a cambiare apparati e istituzioni
è diventata permanente anche per la chiesa, al fine di rendere
operativa nel tempo la continua azione dello Spirito Santo. La
grazia e la fede, infatti, come passano dalle mani degli uomini e
si codificano nelle istituzioni, perdono non poco in termini di
libertà, spontaneità e gioia. Grazie a Dio, il concilio Vaticano II
ha rotto molti otri vecchi e ha aperto alla chiesa orizzonti nuo-
vi. A noi è successo di essere coinvolti in una vicenda di soffo-
camento dei carismi, quando, in Italia, è stato deciso di istitu-
zionalizzare il Rinnovamento nello Spirito, trasformandolo da
corrente spirituale, come era all’inizio, in un movimento.
È nostra opinione che il Rinnovamento fosse sorto per rin-
novare la chiesa, come era stato profetizzato dal cardinale Léon-
Joseph Suenens e da Paolo VI, ma il fatto di essere stato cana-
lizzato in un movimento ne ha circoscritto i doni della lode,
della spontaneità e della gioia, dei quali era portatore, e piano
piano quei carismi si sono un poco spenti, come un camino al
quale venga ridotto il tiraggio. Comunque l’esortazione a non
mettere vino nuovo in otri vecchi dobbiamo sentirla rivolta a
ciascuno di noi, poiché tutti corriamo questo rischio. Il Signo-
re, che ben ci conosce, ci esorta continuamente a convertirci, e
a rinnovarci. Ogni giorno.

XIV settimana del Tempo Ordinario – Domenica


L’intelligenza dei semplici
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e
della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai
rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il
Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio
vorrà rivelarlo…». Mt 11,25-27

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Era bella la casa dei miei nonni a Montecatini Alto, la casa


che mi accoglieva durante tutte le estati, non appena finiva la
scuola. Nei ricordi di quei mesi trascorsi nella campagna to-
scana assolata, giganteggia la figura del nonno Angelo, forte e
fiero, pur nella sua semplicità di uomo privo di cultura, dedito
a lavori molto umili. Lo ricordo quando legava per me una
lunga altalena all’albero più alto dell’aia, regalandomi così ore
e ore di voli tra le foglie degli alberi, o quando mi raccontava
le sue vicende della prima guerra mondiale. Vi aveva parteci-
pato per tutta la sua durata, guidando i muli che portavano
gli approvvigionamenti nelle trincee, ed era tornato con tutti i
capelli bianchi, sebbene giovanissimo.
Ma il ricordo più bello che mi ha lasciato è la sua fede, forte
come le sue spalle, libera da tutti i dubbi e le elucubrazioni
che poi avrebbero riempito i miei testi universitari e indeboli-
to tante coscienze. Ogni sera riuniva la famiglia per il rosario
che egli guidava, in piedi, diritto, davanti al focolare; e ogni
giorno controllava che davanti a un quadro del Sacro Cuore,
che dominava la sala, ci fosse una piccola luce sempre accesa
e i fiori freschi. Era il suo grazie al Signore della vita, che lo
aveva protetto durante la guerra e al quale affidava la famiglia.
Io, bambina, lo osservavo, e oggi, divenuta nonna a mia volta,
continuo a considerarlo uno di quei semplici privilegiati dal
Signore con il dono della sapienza del cuore. È per questo che
conservo gelosamente il vasettino di vetro che stava davanti
al Sacro Cuore, insieme all’amore per la preghiera, che mi ha
trasmesso con il suo esempio.

XIV settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


La fede di Giairo e della emorroissa
Mentre diceva loro queste cose, giunse uno dei capi, gli si prostrò
dinanzi e disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua
mano su di lei ed ella vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli.
Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si
avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra
sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». Gesù

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si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da


quell’istante la donna fu salvata. Arrivato poi nella casa del capo e veduti
i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andate via! La fanciulla
infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che la folla
fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E questa
notizia si diffuse in tutta quella regione. Mt 9,18-26

Il brano ci presenta due miracoli, dei quali uno si inserisce


nell’altro come una gemma incastonata. La scena è dominata
dalla figura di Gesù, che si impone per la calma e la sicurezza
con cui si muove, e dalla fede di Giairo e dell’emorroissa. Cal-
ma, sicurezza e fede che si contrappongono al caotico stringersi
della folla intorno a Gesù nel miracolo di questa donna, e al
trambusto e all’agitazione della gente in quello della figlia di
Giairo. La fede non genera mai caos, pianto e disperazione, ma
fiducia, ottimismo e speranza, anche in presenza della morte. I
due episodi sono dominati da due verbi, tra loro correlati: vi-
vere e toccare. Il tornare a vivere dell’emorroissa e della figlia di
Giairo sono resi possibili dal toccare o dall’essere toccati dalla
persona di Gesù. Anche oggi, nel tempo della chiesa, rischiamo
di accalcarci intorno al Signore senza toccarlo od essere da lui
toccati in quel modo che cambia la vita. È la differenza tra la
fede teologale, che tutti abbiamo ricevuto nel battesimo, e la
fede carismatica, che sposta le montagne. È questa la fede che
cambia la vita, che rende possibile l’impossibile, che permette
alla Provvidenza di scorrere abbondante, che strappa a Gesù
grazie e miracoli, come Maria alle nozze di Cana.
È chiaro che questa fede è un dono, ma è un dono che deve
essere continuamente chiesto nella preghiera e ricercato nella
vita, come quel personaggio del vangelo che va in cerca di pie-
tre preziose, finché ne trova una veramente unica, e a quel pun-
to lascia tutte le altre. Un modo per iniziare questa ricerca è an-
dare a spigolare nel nostro passato per ritrovarvi le situazioni e i
momenti nei quali il Signore ci ha salvato dai pericoli, ha bene-
detto la nostra attività o ci ha raggiunti con la sua Provvidenza.
Noi dobbiamo solo pregare e ricordare, ricordare e rendere gra-
zie per scoprire un modo di vivere, di pensare e di credere che
ci apra orizzonti nuovi. E, come Giairo e l’emorroissa, potremo
«toccare» il Signore ed essere guariti dalla nostra incredulità.

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XIV settimana del Tempo Ordinario – Martedì


La messe è molta
Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro
sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e
ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche
e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli:
«La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il
signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Mt 9,35-38

Tutte le volte che, durante la santa messa, ci succede di


ascoltare un’omelia su questo brano del vangelo, il sacerdote
conclude chiedendo ai fedeli di pregare per le vocazioni sacer-
dotali; e anche noi, per questa intenzione, preghiamo abba-
stanza spesso. È vero che la messe sia molta e che gli operai sia-
no pochi, ma ci sembra restrittivo intendere che Gesù, quando
ha esortato a pregare il Padre perché mandi più operai a lavo-
rare per la sua messe, si riferisse solo ai sacerdoti. Nella vigna
del Signore c’è bisogno di tutti: l’importante è che gli operai,
qualunque sia la loro attività, lavorino bene. In altre parole c’è
bisogno di santi. Sono i santi gli operai che lavorano meglio.
La chiesa e la società hanno bisogno di santi: di sacerdoti santi,
di coniugi e di famiglie sante, di politici e di amministratori
santi, di imprenditori e di lavoratori santi, di insegnanti santi,
di artisti e di sportivi santi. Qualunque sia il nostro ruolo nella
chiesa, nella famiglia e nella società, se operiamo in modo san-
to, siamo dei buoni operai, altrimenti rischiamo addirittura di
distruggere il buon lavoro svolto da altri. Sorgono allora due
domande: Chi sono i santi? Che cosa vuol dire operare in mo-
do santo? Come l’amore, anche la santità è difficile definirla,
ma quando la incontriamo, la riconosciamo subito. Tuttavia
una prima risposta ce la dà san Paolo in una Lettera ai Corinzi,
quando parla del corpo e delle membra: «E infatti il corpo non
è formato di un membro solo, ma di molte membra... Dio ha
disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha
voluto... Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di
te”; oppure la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”... Ora voi
siete corpo di Cristo e, ognuno per la sua parte, sue membra»
(1Cor 12,14-27).

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Ognuno, ci dice san Paolo, deve operare al servizio degli al-


tri, come fa ciascun membro del corpo. Lo spirito di servizio è
un segno chiaro della santità. Ma la risposta più vera san Paolo
ce la dà quando spiega che il modo di operare al servizio degli
altri deve essere nella carità: «La carità è magnanima, benevola
è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgo-
glio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non
si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiu-
stizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto
spera, tutto sopporta» (1Cor 13,4-7). Questa è la vera santità.

XIV settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


L’ascolto del Signore e la missione
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti
impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità… Questi…
Dodici… Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non
entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute
della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei
cieli è vicino». Mt 10,1-7

Quando, molti anni fa, abbiamo iniziato la preghiera del


mattino e la meditazione giornaliera della parola di Dio, in
mezzo a tante altre che ci sommergono nella vita di tutti i
giorni, siamo stati spinti, come Pietro, dal bisogno di ascoltare
«parole di vita eterna» (Gv 6,68). Ci siamo abbeverati a que-
sta Parola e poi siamo andati per la nostra strada ad assolvere
impegni e a incontrare persone, come i nostri programmi e il
fluire del tempo ci suggerivano. Così, senza averlo pianificato,
da anni viviamo la pagina del vangelo di oggi, che invita a me-
ditare sull’importanza di questi due momenti della nostra gior-
nata: stare con Gesù e andare in missione nel mondo. Dice oggi
Matteo: «Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere
sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni
infermità... Questi dodici Gesù inviò, ordinando loro: “Strada
facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino”».
È la dinamica della vita cristiana: un movimento centripeto
verso il Signore per essere da lui istruiti, e uno centrifugo ver-

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so il mondo, andando dove i nostri impegni ci portano e an-


nunciando lungo la strada che il regno dei cieli è vicino. È un
annuncio che, in modo palese o silenzioso, deve essere portato
a tutti, anche a coloro che vogliono starne lontani. È questa la
vera evangelizzazione, molto più difficile di quella fatta in chie-
sa o durante un ritiro spirituale, dove le persone sono già pre-
disposte ad accogliere il messaggio del vangelo. È fondamen-
tale che, nella nostra giornata, ci siano questi due momenti:
il tempo dell’ascolto del Signore e quello della missione. Una
missione senza ascolto conduce a un puro efficientismo vuoto
e cieco; un ascolto senza missione porta a una fede disincarnata
e destinata a spegnersi. Una buona combinazione di entrambi i
momenti fa crescere nella fede noi e gli ambienti nei quali ope-
riamo. Si agisce credendo e si crede agendo. Questo modo di
vivere la fede consente di trasformare una giornata, altrimen-
ti abitudinaria, in un’avventura meravigliosa e sempre nuova.
Non è difficile creare occasioni di testimonianza: nascono da so-
le, basta non soffocarle. È sufficiente dire a una persona afflitta
da un problema: «Mi dispiace! Posso aiutarti? Pregherò per te».

XIV settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Il vangelo vissuto alla lettera
«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino.
Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate
i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non
procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da
viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha
diritto al suo nutrimento». Mt 10,7-10

Il vangelo di oggi è la continuazione di quello di ieri. Es-


so completa il mandato all’evangelizzazione, aggiungendo due
aspetti strettamente legati alla missione: il potere di compiere
miracoli e guarigioni, e l’abbandono alla Provvidenza, perché
l’operaio del Signore, come tutti i lavoratori, ha diritto a essere
retribuito. Questi due aspetti sono tuttora validi, o devono es-
sere considerati circoscritti solo a quei primi discepoli, che han-
no ricevuto il mandato direttamente dal Maestro? La risposta

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immediata è questa: se nel vangelo ci fosse anche una sola pa-


rola decaduta nel tempo, noi saremmo autorizzati a rimetterle
in discussione tutte. E, come i miei genitori facevano quando
da ragazzo mi davano da bere del vino forte, la tentazione di
annacquarlo un po’, per non sbronzarci troppo, esiste. Sarebbe
un peccato perché perderebbe molto del suo sapore e della sua
potenza: il vangelo, come il vino buono, va bevuto schietto.
Ma torniamo ai nostri due argomenti, cominciando da quello
dei miracoli e delle guarigioni. A parte i significati simbolici
degli infermi, dei morti e dei lebbrosi, ci siamo talvolta chie-
sti se deve essere preso alla lettera il mandato di oggi a com-
piere miracoli, guarigioni ed esorcismi. Il convincimento che
abbiamo maturato nel corso degli anni è che, per le malattie e
le situazioni di male, noi dobbiamo pregare; e avendolo fatto,
possiamo testimoniare che di guarigioni e miracoli ne abbiamo
visti molti, ma non sempre. Noi crediamo, però, che la diffe-
renza dei risultati non sia dovuta tanto a motivi di fede, quanto
al fatto che la volontà del Signore a volte passa per strade molto
diverse dalle nostre. Per quanto riguarda, invece, la giusta mer-
cede promessa agli operai del vangelo, dobbiamo riconoscere
che il nostro impegno per l’evangelizzazione non ci ha impe-
dito di educare e far crescere quattordici figli, né di possedere
case e macchine adeguate alle nostre necessità; e ci sono state
donate perfino delle belle vacanze in luoghi normalmente ri-
servati a persone benestanti. Onestamente possiamo affermare
che la pagina del vangelo di oggi possa essere accettata e vissuta
anche alla lettera, così com’è. A condizione di crederci.

XIV settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Il momento della testimonianza
«Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque
prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli
uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro
sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per
dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non
preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora

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ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del
Padre vostro che parla in voi». Mt 10,16-20

La frase «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi»


significa che il cristiano deve vivere da persona indifesa in una
società costituita da lupi feroci che attaccano da ogni parte. Le
sole protezioni consentite sono la «prudenza» dei serpenti e la
«semplicità» delle colombe, ma queste non saranno sufficienti a
impedire di essere condotti a difenderci davanti alle autorità e a
chi non crede in Gesù Cristo e nei valori del vangelo. Tutto ciò
dovrà succedere, perché il cristiano possa rendere testimonianza
della propria fede. Il credente non deve cercare la persecuzione
e nemmeno il martirio, ma quando questi devono essere af-
frontati, occorre chiedere serenità e coraggio, perché siano mo-
menti di testimonianza, come è successo ai primi discepoli: «Li
condussero e li presentarono nel sinedrio; il sommo sacerdote li
interrogò dicendo: “Non vi avevamo espressamente proibito di
insegnare in questo nome? [Gesù Cristo]”. Rispose allora Pie-
tro insieme agli apostoli: “Bisogna obbedire a Dio invece che
agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi
avevate ucciso appendendolo a una croce”» (At 5,27-30).
È successo anche a Paolo che, a Roma, fu chiamato a render
conto della propria attività missionaria: «Mi considero fortu-
nato, o re Agrippa, di potermi difendere oggi da tutto ciò di
cui vengo accusato dai Giudei [di Roma]... Perciò ti prego di
ascoltarmi con pazienza... Eppue anche io ritenni mio dovere
compiere molte cose ostili contro il nome di Gesù il Nazareno.
Così ho fatto a Gerusalemme In tali circostanze, mentre stavo
andando a Damasco... vidi sulla strada, o re, una luce dal cie-
lo... Tutti cademmo a terra e io udii una voce che mi diceva
in lingua ebraica: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. E io
dissi: “Chi sei, o Signore?”. E il Signore rispose: “Io sono Gesù,
che tu perseguiti”» (At 26,2-15). Hanno dovuto testimoniare
la loro fedeltà al cristianesimo anche i nonni e gli zii di Alice,
la nostra amica armena. Quando i turchi hanno invaso il loro
paese si sono rifiutati, per salvarsi, di rinnegare la loro fede di-
ventando musulmani e hanno pagato tale scelta, prima con la
prigionia e poi con la vita. Alice conserva gelosamente una loro
piccola Bibbia, sulla quale ha posto una croce d’argento.

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XIV settimana del Tempo Ordinario – Sabato


La continua creazione di Dio
«… Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che
ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura
di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima;
abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna
e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure
nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino
i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi
valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli
uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi
invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti
al Padre mio che è nei cieli». Mt 10,27-33

Sono tanti i motivi per i quali dovremo ringraziare il Signore,


quando lo incontreremo faccia a faccia nell’eternità. Il primo
perché, durante questa nostra passeggiata nel tempo, ha parla-
to e si è fatto conoscere in mille modi. La sua parola non solo
illumina il mistero che ci circonda, ma è stata fin dall’inizio,
creatrice: «Sia la luce!». E la luce fu; «Sia il firmamento!», e il
firmamento fu. Dio non ha parlato solo all’atto della creazione,
ma lungo tutto l’arco della storia della salvezza e la Bibbia, che
ogni giorno meditiamo, ne è testimone. Ha parlato ad Abramo,
ai patriarchi, a Mosè, ai profeti; alcune volte direttamente, altre
attraverso gli angeli, o illuminando le persone con il suo Spi-
rito. Ci ha parlato anche direttamente quando ha inviato suo
Figlio, nella persona di Gesù di Nazaret. E Gesù ci ha rivelato
il pensiero del Padre, i misteri del regno dei cieli, e ha fatto luce
sul perché della vita e della morte, della gioia e del dolore, sulla
realtà del nostro peccato e sul nostro destino futuro. Poi la rive-
lazione è continuata tramite la chiesa, le apparizioni della Ma-
donna e lo Spirito Santo che ha, via via, illuminato gli apostoli,
i santi e tutti coloro che lo hanno cercato con cuore sincero.
Nel corso degli anni, dobbiamo riconoscere che ha illumi-
nato anche noi nel nostro piccolo cammino familiare. È stata
una confidenza continua, maturata nell’ascolto della sua parola,
durante la quale ci ha sempre chiesto, come nel vangelo di oggi,
di annunziare sui tetti quello che ci diceva all’orecchio. Pensia-

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

mo di averlo fatto, ma non abbastanza, non quanto il Signore


ci chiedeva, e nemmeno quanto la società nella quale viviamo
ha bisogno. Per gli anni futuri credo che il Signore ci chieda
di essere più impegnati nell’annuncio del vangelo, di mettere
maggiormente la nostra parola a disposizione del suo Spirito
«al momento opportuno e non opportuno» (2Tm 4,2). Se lo
faremo, saremo strumenti del continuo atto creativo di Dio.

XV settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Crescere ascoltando la Parola
Egli… disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare… una parte cadde
lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde
sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito… ma
quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra
parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte
cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per
uno… Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che
uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno
e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato
lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che
ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è
incostante… Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma
la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la
Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui
che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il
sessanta, il trenta per uno». Mt 13,3-23

Questo è uno dei brani del vangelo che la chiesa ci propone


più volte durante lo stesso anno liturgico, perché contiene inse-
gnamenti di cui abbiamo particolarmente bisogno. La parabola
del seminatore, nella spiegazione che ce ne dà lo stesso Gesù,
indica gli atteggiamenti più pericolosi nell’ascolto della sua pa-
rola: la mancanza di comprensione, l’incostanza, le preoccupa-
zioni del mondo e l’inganno della ricchezza. Dobbiamo, dun-
que, riflettere su quell’ascolto che, invece, è buono e fa fruttare
la Parola ricevuta. Occorre, prima di tutto, preparare la mente
svuotandola da tutti quei contenuti ingombranti che ne impe-
discono l’accoglimento. «Se un vaso è già pieno di terra, non

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

possiamo metterci del riso», insegna un detto indiano. Libe-


riamoci, pertanto, dei nostri pensieri, magari anche legittimi,
come i progetti per il futuro o gli impegni legati al quotidiano:
essi lascerebbero spazio solo a un ascolto superficiale, dandogli
effetti poco duraturi. Sbarazziamoci anche di quegli atteggia-
menti che oggi i mass media ci propongono massicciamente,
ma che impediscono alla parola di Dio di attecchire: svolazzare
da una realtà a un’altra, in cerca di nuove gioie, che si rivelano
sempre effimere. È l’incostanza, che inizialmente appare come
mutevolezza dei gusti, ma che, negli impegni più seri, diventa
infedeltà. Occorre, infine, che impariamo a occuparci, ma non
a preoccuparci, della nostra vita. Le relazioni sociali e profes-
sionali, infatti, cercano di legarci sempre più, ammaliandoci
anche con prospettive economiche allettanti, ma, soffocando
la nostra disponibilità ad accogliere la Parola.
Rendici, Signore, capaci di ascoltare la tua parola e di pro-
durre frutti buoni e abbondanti.

XV settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


La pace familiare
«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto
a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da
suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici
dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama padre o madre più di
me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di
me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la
propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi
accoglie me accoglie colui che mi ha mandato». Mt 10,34-40

«Pace in terra agli uomini» annunciano gli angeli alla ca-


panna di Betlemme. «Beati i portatori di pace» annuncia Gesù
dal monte delle beatitudini. «Pace a voi» è il suo saluto quando
compare agli apostoli dopo la risurrezione. Gesù è un portatore
di pace. Che senso hanno, allora, le parole del vangelo di oggi:
«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra»? Quale
pace Gesù ha portato e quale è venuto a disturbare? La risposta

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è semplice, e noi all’inizio del nostro cammino di fede ne abbia-


mo fatta esperienza. A coloro che si mettono alla sua sequela,
Gesù dona quella pace interiore che nasce dalla consapevolezza
di avere incontrato, nella sua persona, la sorgente della vita e la
luce che illumina il mistero che ci circonda. Fin dall’inizio, pe-
rò, chiede di seguirlo in modo così radicale da alterare anche le
relazioni con le persone più care, causando talvolta temporanee
spaccature. Gli affetti umani, infatti, tendono a essere esclusivi,
totalizzanti, possessivi, e mal sopportano intromissioni ester-
ne, anche se si tratta di rapporti appartenenti a sfere diverse.
Quando, però, si sincronizzano di nuovo le relazioni e si co-
mincia un cammino di fede insieme, si ricostituiscono subito i
precedenti rapporti, oltretutto a un livello ben superiore e con
maggiore stabilità. È ciò che è successo tra noi. Più di trent’anni
fa, quando conoscemmo Oliviero e costituimmo il gruppo di
preghiera di Saronno, la mamma, pur partecipando agli incon-
tri, non condivideva alcuni discorsi che erano cominciati a cir-
colare tra noi sulla costituzione di una comunità, che a un certo
punto si erano spinti fino alla convivenza e alla comunione dei
beni. Erano sogni anche belli, ma andavano a toccare l’esclusi-
vità e l’intimità degli affetti familiari, creando disturbi e talvol-
ta anche dissidi. Una sera, durante una discussione più accesa
del solito, la mamma era profondamente turbata; allora presi la
parola e comunicai chiaramente il nostro dissenso. Il progetto
si arenò, e in seguito abbiamo tutti riconosciuto che quella era
stata la scelta giusta. Da quel momento il nostro rapporto di
coppia tornò sereno come è sempre stato, e noi abbiamo ritro-
vato la pace interiore, insieme a una nuova crescita familiare.

XV settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Il nostro paganesimo di ritorno
Allora si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la
maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite: «Guai a te,
Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti
i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco
e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno

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del giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu,
Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a
te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio,
la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!». Mt 11,20-24

Oggi Gesù rimprovera le città di Corazin e di Betsaida, che,


pur avendo visto molti miracoli, non si erano aperte al mes-
saggio del vangelo. È una pagina su cui dovrebbe riflettere la
nostra società che, per quasi due millenni, è stata la culla del
cristianesimo, ha visto una straordinaria fioritura di santi, di
miracoli e di missionari, e ora sembra affetta da paganesimo di
ritorno. Chi avrebbe potuto prevedere, solo qualche decennio
fa, il permissivismo della nostra attuale società nel campo della
morale? Si trovano naturali i rapporti prematrimoniali, le fami-
glie di fatto, le coppie omosessuali, la limitazione delle nascite
ottenuta con qualsiasi mezzo, il divorzio, l’aborto, e ora anche
l’eutanasia. E tutto questo viene addirittura presentato come
progresso, conquista della civiltà. Anche il processo di secola-
rizzazione in corso, che, come la storia insegna, porta all’agno-
sticismo e all’ateismo, è ritenuto un aspetto di utile razionalità.
Siamo tacitamente convinti che Dio si riveli all’uomo attraverso
la storia e, inoltre, si tende a conferire valore assoluto al sentire
delle singole coscienze. Ma le cose non stanno così: è il vangelo
che giudica l’uomo e la storia, non viceversa; e non li approva
quando vanno fuori strada. Il vangelo non è fatto per piacere
agli uomini, ma per scuoterli dalle loro false sicurezze.
Cristo è «segno di contraddizione affinché siano svelati i pen-
sieri di molti cuori» (Lc 2,34-35). Non è il vangelo che si deve
piegare ai fatti della storia – anche se alcuni possono aiutare a me-
glio comprenderlo – ma sono i fatti che devono essere letti e giu-
dicati alla sua luce. È vero che per certi aspetti la nostra società è
profondamente migliorata: chiarezza di coscienza per la dignità e
la solidarietà umana, ricerca della giustizia sociale e della libertà,
condanna delle guerre. Sono valori che il vangelo ha fatto pene-
trare nella vita, tanto che sono divenuti comuni anche tra i non
cristiani. Tuttavia riteniamo che il brano di oggi sia da leggere co-
me un rimprovero al permissivismo della nostra società, che per
millenni è stata la culla di valori cristiani, e ora li sta perdendo.

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XV settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Il vangelo rivelato ai piccoli
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e
della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai
rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il
Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio
vorrà rivelarlo». Mt 11,25-27

Quando Gesù saliva sul monte a pregare, nessuno saprà mai


quale sia stato il suo dialogo con il Padre, se non lo Spirito
Santo che certamente ne è stato il tramite, come lo è da sempre
nella Trinità. Riteniamo che abbiano parlato dei misteri della
creazione e del regno dei cieli, del destino ultimo dell’uomo,
della necessità della croce, della risurrezione, della scelta degli
apostoli, dell’invio dello Spirito Santo e del tempo della chiesa.
Sono tutti argomenti dei quali troviamo traccia nei vangeli,
e sono le stesse «cose» rivelate ai piccoli e nascoste ai sapien-
ti e agli intelligenti, delle quali parla il vangelo di oggi. Se ci
chiediamo perché «queste cose» sono rivelate solo ai piccoli e
agli ultimi, il vangelo oggi risponde: «Perché così ha deciso» il
Padre.
È una risposta che noi accettiamo, ma allora la domanda è:
perché al Padre è piaciuto rivelare queste cose solo ai piccoli?
Pensiamo che non esista altra risposta se non questa: perché i
piccoli hanno l’umiltà di accostarsi al vangelo mettendosi in
ascolto e aspettando che lo Spirito Santo, che prima è stato
l’intermediario tra Gesù e il Padre e successivamente ha illumi-
nato gli autori di quei testi sacri, illumini anche loro nella com-
prensione della Parola rivelata. La rivelazione di Gesù, infatti,
come del resto tutte le Sacre Scritture, è solo il messaggio della
parola di Dio che giunge a noi, ma questa è molto più grande,
più completa e più profonda. I testi sacri sono come il latte in
polvere che, per ritornare a essere latte bevibile e prezioso ali-
mento per l’uomo, ha bisogno che gli venga restituita l’acqua
che aveva all’inizio. Così è per le Scritture, le quali, per ritorna-
re a essere parola di Dio rivelata, hanno bisogno che venga loro
restituita la vita dei personaggi che l’hanno vissuta: Abramo,

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Mosè, Maria, Gesù Cristo, Pietro, Paolo. Questo processo di


rivivificazione dei testi sacri può avvenire solo nei piccoli, che
hanno l’umiltà di mettersi in ascolto e di attendere con pazien-
za che lo Spirito Santo venga loro a spiegarli. I sapienti e gli
intelligenti, invece, per capire fanno leva sulla cultura, sull’in-
telligenza e hanno fretta di comprendere. Non sanno ascoltare
e affidarsi solo alla capacità che ha lo Spirito Santo di spiegare
«queste cose» nel silenzio.

XV settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Tempo di vacanza e di riposo
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile
di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e
il mio peso leggero». Mt 11,28-30

È arrivata l’estate, si conclude l’anno professionale e fra


qualche giorno andremo a trascorrere un mese di vacanza nella
casa di Castiglioncello. Partiremo due giorni dopo che si sarà
sposata Lisalberta. In questo clima di preparativi incalzanti per
le nozze e delle tante cose da fare prima della partenza, siamo
raggiunti da questa pagina del vangelo di oggi: «Venite a me,
voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Se
mai ce ne fosse stato bisogno, il Signore ci ha tracciato il pro-
gramma delle vacanze: passeggiate lungo il mare e santa messa
al mattino, qualche nuotata, pranzi consumati in letizia con
figli e nipoti sotto gli alberi del giardino, un po’ di meditazione
e di preghiera e quattro passi alla sera, ancora lungo il ma-
re. Durante le belle giornate che ci aspettano, sarà importante
dedicare del tempo al Signore, per trasformare delle normali
vacanze in un vero riposo dello spirito.
Oggi, però, ci chiede di andare a lui continuamente, du-
rante tutto l’anno, per pregare, per ascoltare la parola di Dio,
per ricevere l’eucaristia, insieme alla quale riceviamo anche il
giogo delle sue cose, che è molto più leggero di tutti gli altri
gioghi. Quando, durante la preghiera del mattino, chiediamo

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al Signore per quale motivo il suo giogo è dolce e il suo carico


leggero, la risposta che ci dà è sempre la stessa: «Perché il mio
giogo e il mio carico donano alla vita un senso eterno, e con
questa consapevolezza la fatica non si sente più». È la stanchez-
za gioiosa del pio ebreo, che andava a Gerusalemme per la festa
della Pasqua ebraica. Alla fine del viaggio, con il cuore leggero
e le gambe stanche, vedeva Gerusalemme, lassù in alto, e co-
minciava a recitare il Salmo 120: «Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha
fatto cielo e terra». E con questo spirito anche l’ultima fatica di
salire a Gerusalemme risultava una gioia. È la stanchezza gio-
iosa dell’uomo di fede, via via che si avvicina alla meta, il quale
accetta il giogo e il carico del Signore con mitezza e umiltà di
cuore.

XV settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Gesù Cristo, il liberatore
In quel tempo Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano
e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a
mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno
facendo quello che non è lecito fare di sabato». Ma egli rispose loro: «Non
avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero
fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né
a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti… Se
aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici,
non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è
signore del sabato». Mt 12,1-8

Per l’ebreo il sabato era il giorno della festa e dell’attesa dei


tempi messianici, con l’avvento dei quali ogni giorno è festa
e tutto, anche la legge, trova il suo compimento. Con Gesù
questi tempi sono arrivati: ciò che è simbolico non ha più al-
cun senso e lascia spazio alla realtà, all’essenza. I simboli del
tempio e del sabato hanno compiuto il loro tempo: Gesù non li
profana, semplicemente li supera. Con il superamento dei sim-
boli si attua anche la liberazione dell’uomo. Nelle società mol-

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to simboliche come quella giudaica, accade – chissà per quali


motivi – che i simboli, da un certo punto in poi, diventino più
importanti dell’uomo stesso e finiscano per schiacciarlo. Con
l’avvento del Messia nella storia, l’uomo non è più al servizio
del sabato, ma è il sabato a essere al servizio dell’uomo.
Per questi motivi la predicazione e la vita pubblica di Gesù
sono occasione di continuo conflitto con gli uomini della leg-
ge, la religiosità dei quali si risolve in un susseguirsi asfissiante
di riti e di osservanze, che finiscono per diventare strumento
di oppressione dell’uomo sull’uomo. Sembrerebbero problemi
circoscritti alla società giudaica di Gesù, se non fosse per il fatto
che nel nostro tempo sono nati altri simboli. Oggi l’uomo è
quasi imprigionato dalla burocrazia, dal progresso tecnologico,
dal culto dell’avere, dalla ricerca della quantità a discapito del-
la qualità, dal culto dell’immagine a discapito della sostanza.
Anche oggi l’uomo ha bisogno di essere liberato da tutti questi
vincoli simbolici, per vivere in un modo più vero, più giusto,
più libero e più grande. Gesù è liberatore non solo dal peccato,
ma anche da tutte queste schiavitù sociali che ci avvinghiano
da ogni parte.
Come è possibile essere liberati da tutti questi condiziona-
menti? Nel fluire della vita di tutti i giorni sembrerebbe mol-
to difficile, ma nel nostro mondo interiore il Signore lo rende
possibile perché l’uomo non è mai schiavo se è libero di pensa-
re, sognare, sperare, credere, pregare e operare per un mondo
diverso.

XV settimana del Tempo Ordinario – Sabato


È Cristo, in noi, ad amare
Allora i farisei uscirono e tennero consiglio contro di lui per farlo
morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono
ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò
che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: «Ecco il mio servo, che io ho
scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Porrò il mio
spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia. Non contesterà
né griderà né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna

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già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto
trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le nazioni». Mt 12,14-21
«Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti Non spezzerà una
canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta». Ci
troviamo di fronte a una dolcezza, a una misericordia e a un
amore per il prossimo che ci stupiscono per la loro infinita
grandezza. Se questi sono i sentimenti di Gesù, com’è possibile
per il cristiano essere l’immagine di Cristo? Qual è la strada
da percorrere per poter presentare al mondo un’immagine del
Figlio di Dio non troppo deformata?
Non si può pensare di far conto sul linguaggio umano, met-
tendo a frutto il meglio delle nostre qualità naturali, l’energia
o l’entusiasmo contagioso del nostro carattere. Riscuoterem-
mo simpatia e certamente non mancherebbero le soddisfazioni
personali. Ma è quello che vuole il Signore da noi? Per portare
un messaggio cristiano, infatti, dobbiamo comunicare lui, non
noi stessi. Perché questo avvenga Cristo deve vivere in noi, e
noi dobbiamo essere in umile, quotidiano ascolto della sua pa-
rola. Questo non ci estranea dal mondo nel quale operiamo,
ma ci illumina con la sua luce permettendoci di rendere una
testimonianza costante e coraggiosa. Siamo chiamati a conver-
tici e a morire a noi stessi in lui, ogni giorno. Altrimenti, come
possiamo portare un messaggio di risurrezione se prima non
moriamo in Cristo?
È Cristo vivente in noi che ogni giorno ci salva, e per mezzo
nostro annuncia la salvezza alle persone che ogni giorno incon-
triamo lungo la strada. Se non siamo dei testimoni così, siamo
solo dei presuntuosi mercenari. Solo lasciando che il Signore
ami il prossimo in noi, saremo sicuri di amarlo fino in fondo,
senza fermarci di fronte alla scorza delle umane debolezze, per-
ché amare vuol dire amare sempre e comunque, fino in fondo.
Maria Maddalena, Zaccheo, Matteo sarebbero rimasti dei pub-
blici peccatori, condannati alla malevolenza della gente, se non
avessero incontrato l’amore del Signore. Anche nel peggiore
degli uomini vive un’anima immortale, che si è addormentata
come le vergini stolte. Il cristiano è chiamato a svegliarla, per-
ché anche lei possa entrare alle nozze con il Signore, insieme
alle vergini sagge.

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XVI settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Pazienza, amore e perdono
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un
uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti
dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano
e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe… spuntò anche la zizzania.
Allora i servi… gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel
tuo campo…?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i
servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché
non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il
grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura…”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un
granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il
più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre
piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono
a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei
cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di
farina, finché non fu tutta lievitata». Mt 13,24-33

In una comunità familiare come la nostra, costituita da per-


sone diverse per età, cultura e – a motivo delle adozioni – na-
zionalità ed esperienze di vita, l’unico modo di stare insieme è
l’esercizio continuo della pazienza e del perdono. A volte – è
vero – ci sono dei componenti più difficili di altri, che sarem-
mo tentati di allontanare, ma la prima parabola di oggi, quella
del grano buono e della zizzania, ci dice che l’unico modo per
gestire momenti difficili, è l’esercizio della pazienza. Non è con
l’allontanamento di una persona che si sradica la zizzania; que-
sta rispunta sempre, perché è il nemico che la semina di conti-
nuo. Anzi, questo comportamento del nemico ci deve confor-
tare, perché se lui si ostina a seminare la zizzania, vuol dire che
esiste anche il grano buono. Il demonio non semina zizzania
dove non c’è niente. La seconda parabola ci esorta a una cre-
scita personale come quella dell’albero della senape, in modo
da accogliere alla nostra ombra i piccoli della comunità, che
generalmente sono i componenti più difficili. Questo continuo
esercizio di amore, a un certo punto, sortisce anche il miracolo
di trasformare la zizzania in grano buono. È il Signore che lo
compie, ma ha bisogno della nostra pazienza e accoglienza. Al-
lora la nostra comunità familiare crescerà come la farina impa-

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stata per fare il pane della terza parabola, lievitata dall’esercizio


continuo della pazienza, dell’amore e del perdono.

XVI settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Testimoni della gioia
Allora alcuni scribi e farisei gli dissero: «Maestro, da te vogliamo
vedere un segno». Ed egli rispose loro: «Una generazione malvagia e
adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il
segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre
notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre
notti nel cuore della terra. Nel giorno del giudizio, quelli di Ninive si
alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla
predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di
Giona! Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro questa
generazione e la condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della
terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più
grande di Salomone!». Mt 12,38-42

Il segno di Giona, ci spiega Gesù, è il segno della sua risurre-


zione dalla morte. Agli scribi e ai farisei che chiedono un segno
per credergli, Gesù risponde che non verrà dato loro altro se-
gno se non quello di Giona. A Tommaso, affinché possa credere
nella risurrezione, verrà concesso di mettere il dito nei fori dei
chiodi e di toccare il costato nel quale era penetrata la lancia del
soldato romano. A noi, duemila anni dopo, quale segno viene
dato per credere che veramente Gesù di Nazaret è risorto, che
è il Figlio di Dio e Dio stesso? Anche noi abbiamo bisogno del
segno di Giona per credere, e non ci basta la testimonianza di
Pietro che la chiesa ci tramanda, e nemmeno ci è sufficiente il
fatto che Tommaso abbia toccato con le sue mani le piaghe di
Gesù risorto. Anche noi abbiamo bisogno di vedere e di toccare
per credere alla risurrezione.
È possibile fare, oggi, la stessa esperienza dei primi discepo-
li? Non sembrerebbe possibile, ma lo è. Anche a noi è concesso
di fare esperienza della risurrezione, in un modo indiretto, ma
per certi versi anche più sicuro di quello di Pietro e di Tomma-
so. Il fatto che all’inizio ci insospettisce e che poi decisamente

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

ci convince, è la «gioia». Sono duemila anni che la gioia della


risurrezione si propaga nella storia del mondo come un’onda,
sollevata e spinta dal vento dello Spirito Santo. E non è un’on-
da piccola, una leggera increspatura del mare sotto il maestra-
lino di settembre, è un’onda maestosa e potente che si forma
sotto il vento di libeccio dello Spirito Santo; quel vento che
nella nostra casa di Castiglioncello si sente ululare dal fondo
della strada, che spazza la spiaggia e scompiglia gli alberi della
pineta. In un mondo nel quale regnano tristezza, malinconia,
noia e depressione, noi vediamo la gioia soltanto nel volto dei
bambini e delle persone di fede.
Anche la Provvidenza, le guarigioni e i miracoli non sono
una prova così inconfutabile come la «gioia». Ed è una gioia
così straripante che, una volta addivenuti alla fede in Gesù Cri-
sto, riempie anche noi e anche noi diveniamo testimoni della
gioia. Non è, come è stato stoltamente scritto, la gioia artificiale
dell’«oppio dei popoli». È un sentimento autentico, contagioso
che, come è successo a san Paolo, ci fa sovrabbondare di gioia
anche nelle tribolazioni.

XVI settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Attenzione al buonsenso!
Mentre egli parlava ancora alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli
stavano fuori e cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre
e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti». Ed egli, rispondendo a
chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi,
tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei
fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è
per me fratello, sorella e madre». Mt 12,46-50

Ciascun figlio, quando i tempi sono maturi, deve sposare il


proprio progetto di vita, uscire dalla famiglia che lo ha gene-
rato, educato e fatto crescere, per formarsene un’altra, con la
quale, in una nuova casa, condividere gioie, dolori e momenti
di vita. In questo senso il termine «famiglia» si allarga a tutte
le persone che condividono e partecipano allo stesso progetto
di vita. Può essere una nuova famiglia, una comunità o un or-

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dine religioso: sono i fratelli che vivono la stessa missione. Nel


vangelo di oggi Gesù si trova in casa con i suoi discepoli, forse
sta spiegando loro i misteri del Regno, che a quelli che sono
fuori, spiega solo in parabole. A un certo punto alcuni gli dico-
no: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di
parlarti». Il testo non dice perché lo stanno cercando, tuttavia
la presenza di sua madre ci fa ritenere che non sia certo per
distoglierlo dalla sua missione, che Maria ha condiviso e pre-
parato fin da quando Gesù era bambino. Egli, però, percepisce
quella voce come il rischio di un richiamo al «buonsenso», che
è sempre inteso come un invito a riflettere, a rimandare e a
ripensarci. E così risponde: «Ecco mia madre e i miei fratelli!
Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli
è per me fratello, sorella e madre».
Con questa frase Gesù non vuol certo affermare che Maria
non abbia fatto la volontà di Dio – sarebbe impossibile soste-
nerlo! –; vuol solo dire che i suoi nuovi fratelli sono coloro che
condividono, giorno dopo giorno, il suo progetto di vita. È be-
ne, però, chiedersi che cosa sia quel buonsenso, dal quale Gesù
prende così fermamente le distanze. Nelle decisioni importanti
della vita, il «buonsenso umano» è quell’atteggiamento menta-
le che rischia sempre di opporsi alla «sapienza divina» perché
– come dice san Paolo (1Cor 3,19) – «la sapienza di questo
mondo è stoltezza davanti a Dio». Il buonsenso, questa specie
di sedimentazione della saggezza dei popoli, che spesso si espri-
me attraverso i proverbi, in determinati momenti diventa un
eccessivo invito alla prudenza: invece di spingerci all’azione, ci
frena all’«inazione». Ci sono dei momenti, nella vita, nei quali
la follia è più saggia del buonsenso. Pascal esprime questo con-
cetto con il famoso pensiero: «Il cuore ha le sue ragioni che la
ragione non intende».

XVI settimana del Tempo Ord. – Mercoledì (Anno dispari)


La saggezza del contadino
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò
attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre

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tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole.
E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte
cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte
cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito,
perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata
e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero
e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il
cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Mt 13,1-9

Le parabole ci parlano di eventi della vita, e da esse, chi sa


ascoltare, trae insegnamento, speranza e gioia. La vita stessa è
una lunga parabola, che dobbiamo saper leggere e ascoltare,
per evitare che rimanga un’esperienza senza senso. Quella del
seminatore, della quale ci parla oggi Gesù, può essere definita
la parabola della speranza. Ogni uomo, sia che sposi il progetto
di Dio su di lui, o che persegua i propri, è chiamato a vivere la
dinamica interiore di questa speranza. Non è facile vedere del
bel grano maturo nel seme che cade e scompare nel buio della
terra, sapendo che una parte si può perdere tra i sassi, tra i rovi
e sulla strada.
È stata l’esperienza di Gesù che, nel vedere la sua parola e le
sue opere cadere nell’incomprensione e nell’ostilità della gen-
te, avrà sofferto molto e talvolta gli sarà sorto anche qualche
dubbio sull’esito della sua missione. Certamente egli, quando
raccontava questa parabola, aveva in mente il Salmo 126: «Chi
semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va
piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare,
viene con gioia, portando i suoi covoni» (Sal 126,5-6). Chi,
come Gesù, realizza il progetto di Dio su di lui, vive tranquillo
nella speranza, perché sa che il Padre celeste proteggerà il se-
me sotto terra e al momento opportuno manderà la pioggia. È
stata anche l’esperienza di noi genitori: quando nell’adolescen-
za vedevamo i figli sbandare un po’ e qualche volta prendere
strade sbagliate, la nostra speranza è sempre stata sorretta dalla
fede nella parola di Dio, che ogni mattina abbiamo cercato di
seminare in loro durante la preghiera. E i fatti, per grazia di
Dio, ci hanno dato ragione. È la saggezza antica del contadino
che, mentre il seme muore nell’oscurità della terra, vede già le
spighe di grano biondeggiare al sole.

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XVI settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì (Anno pari)


Mosè, modello per i genitori
Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e…
Aronne. Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore
nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne,
mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto
per far morire di fame tutta questa moltitudine». Allora il Signore disse
a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo
uscirà a raccoglierne… la razione di un giorno… Ma il sesto giorno…
sarà il doppio…». Il Signore disse a Mosè: «Al tramonto mangerete carne
e alla mattina vi sazierete di pane…». La sera le quaglie… coprirono
l’accampamento; al mattino c’era uno strato di… una cosa fine e
granulosa… Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi ha dato in cibo».
 Es 16,2-5.11-15

Una ventina di anni fa ricevemmo in dono un libretto sul-


la vita di Mosè, scritto dal cardinale Carlo Maria Martini,
che ci fece particolarmente riflettere perché, in quelle pagine,
cogliemmo molte analogie con la vita di due genitori come
noi. Fummo colpiti, in particolare, dall’elenco dei servizi che
Mosè dovette svolgere per servire il popolo ebreo, durante i
quarant’anni di marcia nel deserto, prima di arrivare alla Terra
Promessa. Sono gli stessi che svolgono i genitori cristiani nei
confronti dei figli, perché questi possano crescere umanamente
e nella fede, fino a diventare cristiani adulti. Essi sono: il servi-
zio dell’acqua e del pane, il servizio della responsabilità, quello
della preghiera di intercessione, quello della consolazione nei
momenti difficili e il servizio di guida alla comprensione della
parola di Dio. Il brano odierno ci parla del «servizio dell’acqua
e del pane».
Quando gli ebrei erano schiavi in Egitto, il Faraone assicu-
rava loro il cibo come salario per il lavoro svolto dal sorgere del
sole fino al tramonto. Poi sono fuggiti attraverso il Mar Rosso
e, nel deserto, hanno sperimentato il prezzo della libertà: dover
provvedere a se stessi. Nella lettura di oggi essi si lamentano
per essere stati liberati da Mosè e Aronne: «Fossimo morti per
mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti
presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tut-
ta questa moltitudine». Il Signore che, su preghiera di Mosè, ha
già fatto scaturire per gli ebrei l’acqua dalla roccia, oggi manda
loro il pane e la carne, sotto forma di manna e di quaglie.
Anche i genitori hanno il dovere di provvedere e di pregare
il Signore per il bisogno dei figli, come ha fatto Mosè. È stato
il nostro impegno per molti anni, cominciando dal fatto che
ci siamo aperti alla vita senza troppi calcoli, ma il Signore si è
comportato da gran signore: ha sempre provveduto ai nostri
bisogni per la via ordinaria del lavoro e, quando questo non è
stato sufficiente, attraverso vie straordinarie. Ha operato come
nel brano di oggi: mandandoci giorno per giorno il necessario
e, quando i bisogni sono stati eccezionali, anche molto di più,
come ha fatto con gli ebrei nel giorno di sabato.

XVI settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


L’ascolto della Parola
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli
con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri
del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà
dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche
quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando
non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie
per loro la profezia di Isaia che dice:“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato
insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché
non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano
con il cuore e non si convertano e io li guarisca!”. Beati invece i vostri
occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico:
molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate,
ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!».
 Mt 13,10-17

Siamo sicuri che il profeta Isaia avrà un erede: è il nostro ni-


potino Edoardo. Oggi, mentre Maria Francesca gli stava cam-
biando il pannolino sul nostro letto, accanto alla Bibbia che
era aperta a questa pagina del vangelo, lo Spirito di Dio deve

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aver detto a Edoardo le stesse parole che più di duemila anni fa


disse a Isaia: «Mangia questa pagina». Edoardo ha allungato la
manina, l’ha presa, l’ha stracciata e se l’è cacciata in bocca. Ora
questa «Parola» è diventata carne della sua carne e un giorno
quando sarà grande, ce la potrà spiegare. E sarà bene che lo
faccia perché, mentre è chiaro il motivo per cui Gesù parlava
in parabole, lo è un po’ meno il fatto che «a colui che ha, verrà
dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto
anche quello che ha».
In attesa che Edoardo cominci a parlare e ce lo spieghi, vi
diciamo quello che lo Spirito Santo ha detto a noi. «Quelli che
hanno» – ci ha suggerito, in preghiera, lo Spirito Santo – sono
coloro che hanno la mente e il cuore aperti alla comprensione
delle Sacre Scritture, perché sanno mettersi in ascolto. «Quelli
che non hanno» sono coloro che non si pongono in questo
atteggiamento di ascolto, per cui la parola di Dio, una volta
udita, non penetra e scivola via come acqua sul vetro. Sem-
brerebbe, cioè, che la mente umana, di fronte alla Sacre Scrit-
ture, funzioni come le valvole On/Off che si montano negli
impianti. Queste valvole non si possono regolare in posizione
intermedia: o sono completamente aperte, e il flusso passa libe-
ramente, o sono completamente chiuse, e non passa niente. In
realtà, anche quando la mente e il cuore sono aperti all’ascolto,
il messaggio della Parola passa sempre in modo parziale, perché
le tubazioni della grazia sono sempre un po’ sporche, a causa
della nostra umanità e del nostro peccato.

XVI settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


La parabola del seminatore
«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che
uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno
e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato
lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che
ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è
incostante… Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma
la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la

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Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui
che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il
sessanta, il trenta per uno». Mt 13,18-23

Questa parabola, della quale oggi meditiamo la spiegazio­


ne che ne dà Gesù, dovrebbe essere inserita nei corsi prema­
trimoniali che si tengono nelle parrocchie, perché traccia un
vero programma educativo, sia per i genitori che per i figli. Il
seminatore è il Signore, che, al tempo opportuno, semina la
sua parola nel cuore dei figli.
Il compito dei genitori è preliminare: essi devono opera-
re come il bravo contadino, che prepara il terreno arandolo e
concimandolo. Allo stesso modo i genitori devono preparare
il cuore dei figli ad accogliere la parola del Signore. Il primo
rischio che si corre nei confronti della parola di Dio – dice il
Signore – è di non comprenderla, per mancanza di abitudine
all’ascolto. È il seme caduto sulla strada. Il compito dei genito-
ri, allora, è quello di abituare i figli alla meditazione delle Sacre
Scritture, perché si sintonizzino fin da piccoli, con il pensiero
di Dio. Così, quando il Signore parlerà al loro cuore, lo ricono-
sceranno come una voce familiare.
Il secondo rischio è che la parola di Dio cada in un cuore
pieno di sassi, dove non mette radici profonde, perché c’è po-
ca terra. Il compito dei genitori, allora, è quello di rimuovere
i sassi, cominciando dalle troppe attività delle loro giornate.
Nessuna di per sé è negativa, ma, essendo troppe, finiscono per
essere vissute in modo superficiale, e favoriscono l’incostanza
e la non perseveranza, che – dice oggi Gesù – sono i difetti
simboleggiati dal terreno sassoso. Il terzo rischio è un cuore
pieno di spine, che Gesù identifica nelle preoccupazioni del
mondo e nell’inganno della ricchezza. Un cuore preoccupato
non è libero di accogliere niente e nessuno, e tanto meno la
parola di Dio. Non parliamo poi dell’inganno della ricchezza,
perseguendo la quale non rimane tempo per altro. Lontano da
questi rischi, la parola di Dio, poco o tanto, produrrà sempre
frutto: «il cento, il sessanta, il trenta per uno». La nostra espe-
rienza di genitori ci insegna che anche i tempi di maturazione
sono diversi, e non sempre la resa «del cento» è quella del grano
che spunta per primo.

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XVI settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Il grano buono e la zizzania
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a
un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre
tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al
grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche
la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero:
“Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene
la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi
gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non
succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento
della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legate-
la in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».
 Mt 13,24-30

Sempre più spesso, sfogliando i quotidiani e ascoltando


qualche notiziario, siamo colpiti dalle brutture, dalle violenze,
dalle malvagità, dalle falsità e dalle vanità che imperversano nel
mondo. Ci sentiamo scoraggiati o, addirittura, impauriti. Per
superare lo smarrimento della fiducia nel prossimo che ci as-
salirebbe, generalmente andiamo a cercarci, nel bagaglio delle
nostre esperienze di vita, esempi di bontà, generosità, altrui-
smo, quali antidoti al male che sembra sovrastarci. Basta ini-
ziare questo percorso sulle orme del bene che abbiamo ricevuto
o che abbiamo visto ricevere da altri, per scoprire una sequenza
infinita di azioni buone, magari sconosciute ai più, anonime,
proprio come le spighe di un campo di grano, che si confondo-
no l’una con l’altra, ma che tutte insieme, alla fine, ci donano
il pane quotidiano. Il grano è cresciuto nonostante la zizzania
seminata dal nemico, come i semi di carità che, con l’aiuto del
Signore, crescono più forti del male che tenta di soffocarli. Per
questo, quando i mass media cercano di assalire il nostro desi-
derio di vivere in un mondo buono e giusto, diffondendo men-
talità e proposte contrarie alla giustizia e alla carità, diamogli
un’occhiata e facciamo subito ricorso al telecomando o al cesti-
no della carta straccia, che Oscar Wilde ha giustamente definito
il miglior amico dell’uomo dopo il cane. Anticiperemo così la
fine che faranno tutte quelle realtà distanti dalla grazia di Dio e
potremo riprendere serenamente il nostro impegno quotidiano.

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XVII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Le parabole del Regno
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo
lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e
compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va
in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende
tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete
gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i
pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei
canestri e buttano via i cattivi». Mt 13,44-49

Il regno dei cieli, questa realtà spirituale che – dice Gesù – è


nel mondo, ma non del mondo, non è facilmente definibile,
se non descrivendone gli effetti che produce negli abitanti di
questa singolare monarchia. Il modo scelto da Gesù per parlar-
ne, è costituito da una serie di parabole, che ne delineano gli
aspetti principali. Quelle di oggi descrivono i diversi modi di
incontrare il Signore lungo la strada della vita. La prima ci par-
la di un uomo, che non è propriamente in ricerca della verità,
e nemmeno di risposte sui grandi misteri nei quali l’umanità
è immersa. È una persona che va per la propria strada, per-
seguendo obiettivi personali che, come quasi sempre succede,
sono il denaro e la carriera. Quest’uomo, senza grandi ideali,
ha però il merito di non vivere in modo disattento la sua vi-
cenda terrena, e sa distinguere i tesori veri da quelli falsi. Così,
quando percorrendo i vari campi della vita, trova quello più
prezioso, va, vende tutto e compra quel campo. Egli ricorda
Mosè, quando di lontano scorge il roveto ardente che bruciava
senza consumarsi: non era un uomo in ricerca, la sua occasione
di gloria l’aveva già avuta e se l’era fatta sfuggire di mano, però
non si era ancora spenta in lui quella curiosità di chi dalla vita
attende ancora delle risposte.
La seconda parabola ci parla di un mercante in cerca di pie-
tre preziose. È un uomo che, per la sua professione, sa cercare
e riconoscere ciò che nella vita ha valore. Forse è in cerca di
risposte anche nella filosofia, nell’arte o nelle scienze, o, come i
Magi, le sta cercando nell’astronomia. Però lo fa con cuore sin-
cero, da esperto della ricerca e senza pregiudizi; per cui quando

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incontra la perla veramente preziosa, va, vende tutto e compra


quella perla, che chiaramente simboleggia il Signore. La terza
parabola ci parla di una rete che dei pescatori hanno gettato in
mare e dentro alla quale, quando la tirano su, c’è di tutto: pesce
buono, pesce cattivo, alghe e sporcizia di mare. I pescatori alla
fine fanno la cernita e separano il pesce buono da tutto il resto;
e qui la parabola si chiude. Noi, però, immaginiamo che dopo,
tra il pesce buono ci sarà una seconda selezione, perché nella
vita, come nella pesca, anche tra ciò che ha valore c’è una certa
differenza. E può succedere, come a Pietro nel brano della pe-
sca miracolosa, che un bel giorno, tirando su la rete, ci sia tanto
di quel pesce buono da riconoscere in quell’evento la mano
potente del Signore. A quel punto bisogna lasciare la barca, la
rete e i pesci sulla spiaggia e, come Pietro, seguire il Signore.

XVII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


La crescita spirituale
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un
granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il
più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre
piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono
a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei
cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di
farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle
folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si
compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca
con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
 Mt 13,31-35

Oggi Gesù spiega la dinamica del regno dei cieli attraverso


due parabole: quella del granello di senape che, una volta cre-
sciuto, diventa un albero tanto grande da accogliere sotto la sua
ombra tutti gli uccelli del cielo che ne abbiano bisogno, e quel-
la del lievito, che fa fermentare e rende leggera tutta la pasta.
Le due immagini si completano a vicenda: la prima ci illumina
sul perché della crescita umana e cristiana di chi ha incontrato
il Signore; la seconda sul come sia possibile crescere. La para-

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bola del granello di senape annuncia che dobbiamo diventare


un grande albero per accogliere e offrire riparo, dalle difficoltà
della vita, ai piccoli e ai poveri; quella del lievito, però, indica
come possiamo collaborare per diventarlo: aprirci al prossimo,
ai piccoli e ai poveri, affinché si possa crescere tutti insieme,
come un impasto che lieviti. Non è possibile crescere prima da
soli per fare ombra dopo. Ciascuno di noi ha il ricordo di mani
che impastano la farina, in maniera che tutta la massa assorba
il lievito e tutta possa fermentare. Movimenti lenti e ripetuti,
che uniscono elementi diversi e fanno sì che acquistino una
leggerezza e un amalgama che prima, quando erano separati,
non avevano. È l’immagine della lievità dello spirito che deve
compenetrare le opere di carità. Troppo spesso, in questi ultimi
anni, la dedizione al prossimo è stata accompagnata da atteg-
giamenti critici o, addirittura, da giudizi accusatori, che niente
hanno a che vedere con la carità evangelica e che ci ricordano,
piuttosto, il lievito dei farisei. Diceva don Primo Mazzolari:
«Noi ci impegniamo Ci impegniamo noi, e non gli altri, né chi
sta in alto, né chi sta in basso ci impegniamo, senza pretendere
che gli altri si impegnino senza giudicare chi non si impegna,
senza condannare chi non si impegna, senza cercare perché
non si impegna Il mondo si fa nuovo se qualcuno si fa nuova
creatura». Chiediamo al Signore che rinnovi il nostro impasto
e che ci renda alimento per gli altri, ma con leggerezza, simili a
michette appena sfornate!

XVII settimana del Tempo Ordinario – Martedì


L’amore trasforma la zizzania
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono
per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli
rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è
il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli
del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la
fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la
zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio
dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno

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tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno


nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti
splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».
 Mt 13,36-43

Gesù aveva raccontato alla folla la parabola del grano buono


e della zizzania, che dovevano crescere insieme nei campi e nel-
la società. Poi, al tempo della mietitura, il grano buono verrà
raccolto e la zizzania verrà bruciata. Di questa parabola, che i
discepoli non avevano capita, Gesù dà la spiegazione nel brano
del vangelo di oggi. In una comunità familiare come la nostra,
costituita da persone diverse per età, cultura e – a motivo delle
adozioni – nazionalità ed esperienze di vita, il segreto per vivere
bene insieme è l’esercizio quotidiano della pazienza e del per-
dono. A volte – è vero – ci sono dei componenti più difficili di
altri, che saremmo tentati di allontanare, ma la prima parabola
di oggi, quella del grano buono e della zizzania, ci dice che
l’unico modo per gestire momenti difficili, è l’esercizio della
pazienza. Non è con l’allontanamento di una persona che si
sradica la zizzania; essa rispunta sempre, perché è il nemico che
la semina di continuo. Anzi, come abbiamo già avuto occasio-
ne di dire, questo comportamento del nemico ci deve confor-
tare, perché se lui si ostina a seminare la zizzania, vuol dire che
esiste anche il grano buono. Il demonio non semina zizzania
dove non c’è niente. Anche se la parabola questo non lo dice,
l’esperienza ci insegna che un esercizio continuo di amore, a un
certo punto, sortisce anche il miracolo di trasformare la zizza-
nia in grano buono. È il Signore che lo compie, ma ha bisogno
della nostra pazienza e della nostra perseveranza.

XVII settimana del Tempo Ord. – Mercoledì (Anno dispari)


Il mistero nascosto
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo
lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e
compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va
in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende
tutti i suoi averi e la compra». Mt 13,44-46

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Queste due parabole, del tesoro nascosto e della perla pre-


ziosa, mi fanno pensare a quando, da ragazzo, andavo nel bo-
sco a cercar funghi con lo zio Santi. Il bosco, con i suoi infiniti
nascondigli e con la vita che vi ferve, ha sempre suscitato in me
un gioioso senso di mistero, ma il periodo più entusiasmante
era quando andavo a cercare i funghi, verso la fine dell’estate.
Ciò che mi stupiva di più era il fatto che i funghi velenosi e
quelli meno pregiati emergessero ben visibili e sorridenti dal
terreno, mentre i prelibati porcini erano sempre coperti dagli
arbusti del sottobosco, sotto le prime foglie cadute dell’autunno.
Un giorno ne chiesi il motivo allo zio Santi, che di mestiere
faceva il boscaiolo, ed egli mi rispose: «I funghi son come le
persone, il meglio è sempre nascosto». La saggezza di quella
risposta, unita al fascino dell’andar per funghi, mi ha sempre
fatto accostare il mistero del bosco a quello della vita: tutto ciò
che luccica ed è più appariscente, cela il nulla, mentre ciò che
è vero e prezioso è sempre nascosto, come il tesoro e la perla
del brano di oggi. Essi simboleggiano il Signore della vita, che
è andato a incarnarsi nell’umanità di Gesù di Nazaret. Ma ri-
cordano anche la gioia che scopriamo nel donare anziché nel
ricevere, e il senso dell’esistenza che si nasconde nella povertà
di spirito anziché nella ricchezza, nel perdono invece che nella
vendetta, nella mitezza piuttosto che nella potenza, nell’umiltà
e non nella superbia, nel morire a noi stessi anziché nel succes-
so. Per scoprire questi tesori è necessario vender tutto, occorre
rinunciare a ciò che siamo per essere altro. Occorre convertirsi.

XVII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì (Anno pari)


La preghiera ci trasforma
Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza
si trovavano nelle mani di Mosè… – non sapeva che la pelle del suo viso
era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui [il Signore]. Ma
Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante,
ebbero timore di avvicinarsi… Mosè parlò a loro… Quando… ebbe
finito di parlare… si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al
Signore… Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito. Una volta

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uscito, riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato. Gli Israeliti…
vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo
sul viso… Es 34,29-35

È scritto nella Genesi che «Dio creò l’uomo a sua imma-


gine» (Gn 1,27). L’immagine di Dio, stampigliata nell’uomo,
coinvolge tutti gli aspetti della sua vita: pensieri, sentimenti,
azioni, parole e il volto. Non è un’immagine fissa e immuta-
bile, come quella che un pittore conferisce al ritratto di una
persona. È un’immagine viva, una specie di pigmentazione
spirituale che permette il risveglio o l’assopirsi degli aspet-
ti divini, a seconda di quanto l’uomo si espone alla presenza
di Dio. La massima esposizione si ha durante la preghiera: in
quel momento i pensieri, i sentimenti, le azioni, le parole e,
conseguentemente, il volto dell’uomo si avvicinano di più a
Dio riproducendone l’immagine, anche se un po’ deformata
a causa del peccato. Tuttavia, quanto più l’uomo si espone a
Dio, tanto più la sua pigmentazione spirituale gli permette di
assumere i connotati divini. Ecco perché Mosè, dopo essere
stato a lungo con il Signore sul monte Sinai, «quando scese dal
monte la pelle del suo viso era diventata raggiante». Mosè era
un uomo di grande preghiera e la sua spiritualità si era affinata
con il tempo, pertanto possiamo immaginare la luminosità del
suo volto quando è sceso dal monte per tornare al campo degli
Israeliti. Essi, rimasti a valle a begare tra loro e a costruirsi il
vitello d’oro, «vedendo che la pelle del suo viso era raggiante,
ebbero timore di avvicinarsi a lui». Mosè sentiva la missione
di far crescere il suo popolo nella fede, ma gradualmente, per
non scandalizzarlo con tanta diversità. Così, dopo aver parlato
al Signore, «si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al
Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando
non fosse uscito». Credo sia ciò che dobbiamo fare anche noi
dopo la nostra preghiera del mattino: dobbiamo velarci il volto
in modo che la luce ricevuta, trapelando attraverso le parole e
le opere, illumini dolcemente le persone che incontriamo du-
rante la giornata. Possiamo immaginare come fosse luminoso il
volto di Gesù quando si è trasfigurato sul monte Tabor, con la
sua pigmentazione spirituale di Figlio di Dio senza peccato.

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XVII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì (Anno dispari)


Il nostro esame finale
«Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni
genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a
sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così
sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai
buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di
denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse
loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile
a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Terminate queste parabole, Gesù partì di là. Mt 13,47-53

«Avete compreso tutte queste cose?» dice Gesù ai suoi disce-


poli, dopo aver annunciato che alla fine del mondo «verranno
gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella
fornace ardente». Gli risposero: «Sì». Beati loro, noi abbiamo
capito poco. E anche la frase successiva, che dovrebbe chiarire,
è altrettanto ermetica: «Per questo ogni scriba, divenuto disce-
polo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae
dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». È vero che lo scriba,
fine conoscitore delle Sacre Scritture, se accogliesse il messag-
gio del vangelo, acquisirebbe la totalità della rivelazione, che
per lui è costituita solo dal «tesoro» dell’Antico Testamento.
Gesù, però, inizia il suo commento sullo scriba con quel «Per
questo». Perché questo incipit? Certamente il giudizio della fi-
ne dei tempi verterà sull’intera storia della salvezza, terrà conto
di tutta la rivelazione e di come l’umanità abbia risposto al
messaggio di salvezza che si è via via dipanato lungo la storia.
Oltre a questo giudizio globale, ci sarà anche quello particola-
re: «Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni».
In quell’occasione, ma forse anche prima, quando incontre-
rò il Signore nell’eternità, gli chiederò: «Perché quell’incipit?».
Nel frattempo preghiamo affinché il Signore ci illumini. Pen-
sando a quell’esame finale sulla rivelazione che si terrà alla fine
dei tempi, mi sento un po’ come un mio compagno di univer-
sità, di nome Severino, che, vedendo gli studenti interrogati
per un’ora, commentava: «Forse l’esame mi andrà anche bene,
ma tutto quello che io so si può raccontare in cinque minuti».

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XVII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì (Anno pari)


L’esodo, vicenda di ogni uomo
Mosè eseguì… come il Signore gli aveva ordinato… Mosè eresse la
Dimora… poi stese la tenda sopra la Dimora e dispose al di sopra la
copertura della tenda, come il Signore gli aveva ordinato. Prese la
Testimonianza, la pose dentro l’arca… poi introdusse l’arca nella Dimora,
collocò il velo che doveva far da cortina e lo tese davanti all’arca della
Testimonianza, come il Signore aveva ordinato a Mosè… Allora la nube
coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la Dimora…
Per tutto il tempo del loro viaggio, quando la nube s’innalzava e lasciava
la Dimora, gli Israeliti levavano le tende. Se la nube non si innalzava, essi
non partivano, finché non si fosse innalzata… Es 40,16-21.34-38

Quello dell’Esodo è il libro fondamentale dell’Antico Te-


stamento: le vicende che vi sono narrate oltrepassano le sue
pagine e danno senso a tutti gli altri libri. Esso costituisce an-
che il riferimento profetico di tutto il Nuovo Testamento e dei
vangeli stessi. Il libro si snoda intorno a quattro eventi prin-
cipali: l’esodo del popolo ebreo dalla schiavitù dell’Egitto, la
lunga marcia nel deserto, la salita al monte Sinai per ricevere la
legge di Dio e trovare la sua nuova identità, l’arrivo nella Terra
Promessa. La vicenda storica dell’esodo, oltre a essere il fonda-
mento dell’unità di Israele, può essere considerata il codice di
riferimento di ogni civiltà, e in senso lato di ogni uomo che
appaia sulla terra. Lo spirito dell’esodo ha costituito, infatti, il
paradigma di ogni avventura umana che abbia permesso all’uo-
mo di uscire da una condizione inaccettabile verso una nuova,
sognata come terra promessa.
L’epopea dei primi pionieri che andarono nelle Americhe, le
rivoluzioni pacifiche del Mahatma Gandhi in India e di Martin
Luther King negli Stati Uniti, la teologia della liberazione in
Sud America e l’esodo attuale dall’Africa e dagli altri continenti
verso la civiltà occidentale, sono tutte vicende umane animate
da quello spirito. La vita stessa dell’uomo di fede è un esodo
da una condizione ingiusta e limitata verso la terra promessa
dell’eternità, dove tutto è perfetto e dove ogni giustizia sarà
fatta. L’esodo costituisce anche il modello di ogni conversione
cristiana, che può essere considerata un passaggio dall’indiffe-

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renza dell’agnosticismo per andare verso la verità e la speranza


del vangelo.
Questo cammino di redenzione e di maturazione umana e
cristiana, profetizzato dalla storia di Israele, è guidato dallo Spi-
rito Santo, allo stesso modo in cui nel brano odierno è guidato
da quella nuvola che si innalza e si ferma: «Quando si innalzava
e lasciava la Dimora, gli Israeliti levavano le tende».

XVII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì

La fede di Marta
Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria
invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato
qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque
cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello
risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione
dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi
crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non
morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che
tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Gv 11,19-27

Tutte le volte che Gesù era un po’ stanco per le fatiche della
missione e sentiva il bisogno di trascorrere una giornata con
degli amici, andava a far visita alla famiglia di Lazzaro, Marta
e Maria, a Betania, e si fermava a pranzo con loro. Avevamo
incontrato Marta in uno di questi momenti (Lc 10,38-42),
quando lei era intenta a preparagli un buon pranzetto, mentre
Maria preferiva stare ad ascoltarlo per respirare un po’ d’aria
del regno dei cieli, e ci eravamo fatti l’idea che fosse una donna
solo pratica, lontana dalla spiritualità della sorella.
Oggi la ritroviamo in questa pagina del Vangelo di Giovan-
ni, quando Gesù va a far loro visita perché era morto Lazzaro,
e Marta gli corre incontro iniziando con lui un dialogo che ha
una conclusione stupefacente. «Gesù le disse: “Io sono la risur-
rezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiun-
que vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi questo?”.

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Gli rispose: “Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio


di Dio, colui che deve venire nel mondo”».
Pur avendo meditato questo brano del vangelo molte volte,
di fronte a queste parole ci cade la penna di mano, come alla
samaritana, al pozzo di Sichem, le era caduta la brocca quan-
do Gesù si era manifestato a lei come il Cristo. Solo Pietro, il
giorno in cui Gesù aveva chiesto ai discepoli chi pensavano che
egli fosse, illuminato dallo Spirito Santo, aveva dato la stessa
risposta di Marta. E in quel momento era diventato il futuro
capo della chiesa. È bene non giudicare mai la fede di nessuno,
perché lo Spirito Santo soffia dove e in chi vuole, e ci smentisce
sempre.
Qualche giorno fa, dopo la messa, sono ritornato in chiesa a
prendere l’ombrello che vi avevo dimenticato, e sono stato col-
pito dal fatto che, quando tutti eravamo usciti, la zingara che
chiede l’elemosina alla porta d’ingresso, fosse entrata a pregare
davanti alla statua di san Giuseppe, accarezzandola. Forse la
sua preghiera è stata più gradita della mia.

XVII settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Quando la morte è un trionfo
In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli
disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti
e per questo ha il potere di fare prodigi!». Erode infatti aveva arrestato
Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di
Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: «Non
ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura
della folla perché lo considerava un profeta. Quando fu il compleanno di
Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli
le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da
sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».
Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le
venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne
portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre. I suoi
discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a
informare Gesù. Mt 14,1-12

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La morte di Giovanni il Battista, nella sua assurda dram-


maticità, ci dà l’occasione per riflettere sul fatto che l’uomo di
Dio gode di tutte le protezioni celesti per il tempo necessario a
compiere la sua missione, ma quando questa finisce, anche un
evento futile, come la danza di questa ragazzetta, può essere un
motivo sufficiente a porre fine alla sua esistenza. Anche per Ge-
sù sarà così: alla fine della sua missione gli eventi cominceranno
a precipitare e velocemente si arriverà al momento della croce.
Qualche anno fa la televisione ha trasmesso in tutto il mondo
l’epilogo della vita di papa Giovanni Paolo II. All’inizio del suo
pontificato sembrava indistruttibile, ma a un certo punto la
sabbia della sua clessidra ha cominciato a scorrere sempre più
veloce e alla fine se n’è andato, lasciandoci negli occhi l’imma-
gine di quel vangelo che il vento dello Spirito Santo sfogliava
sulla sua bara, in Piazza San Pietro. È stato così per il nonno
Mario, per la nonna Rita, per il nonno Renzo e per la nonna
Betta; e lo stesso sarà per noi, quando il Signore riterrà che la
nostra missione sia finita. Sembrano degli eventi tragici, ma in
realtà sono stupendi, come lo è l’arrivo della corsa a staffetta
all’Olimpiade, dove, alla fine, ciascuno si sente ed è vincitore,
se lungo la strada ha speso tutte le energie che aveva da spen-
dere.
Se il Signore ci dà la grazia di concepire la vita e il tem-
po che ci ha donato in una prospettiva eterna, anche la morte
diventa un trionfo. E quella testa di Giovanni il Battista che
la fanciulla alla fine consegna a sua madre Erodiade, diventa
proprio il simbolo di un trionfo, come lo è la medaglia d’oro
alle Olimpiadi.

XVIII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


La generosità del Signore
Gesù partì di là su una barca… Ma le folle… lo seguirono a piedi
dalle città. Sceso dalla barca… sentì compassione per loro e guarì i loro
malati. Sul far della sera… i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed
è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da

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mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date
loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque
pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato
alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli
occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e
i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi
avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa
cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. Mt 14,13-21

La proposta dei discepoli di andare a comprare del cibo per


quella folla, che ha seguito Gesù tutto il giorno senza mangia-
re, è saggia, poiché nel mondo le cose funzionano così: quando
si ha fame si va a comprarsi da mangiare. Questo non vuol dire
non credere nella Provvidenza, ma semplicemente riconoscer-
ne la sua prassi ordinaria, che passa attraverso il lavoro, il gua-
dagno e gli acquisti. Oltre a questa prassi terrena, esiste anche
la dinamica celeste della Provvidenza, per scoprire la quale oc-
corre abbandonare ogni logica umana ed entrare in quella del
dono e della condivisione: «Voi stessi date loro da mangiare».
Gesù sa bene che i discepoli non hanno cibo a sufficienza
neppure per loro, ma sa anche che, quando ci si affida alla logica
del dono e della condivisione, acquistiamo il diritto di accedere
alla dinamica celeste. A noi lo ha insegnato don Roberto, che
ora vive in paradiso, ma che trent’anni fa era parroco a Casti-
glioncello. Stavamo pensando di adottare due fratelli brasilia-
ni, già adolescenti, che ci erano stati segnalati da un sacerdote
missionario in Brasile. Avevamo già dodici figli, compresi Luis
ed Edgar, arrivati alcuni anni prima dal Perù, per cui ci sem-
brava un po’ rischioso lanciarci in un’altra adozione. Una sera
siamo andati a parlarne con don Roberto. «Non è, per caso –
gli abbiamo detto –, che il Signore ci chieda di adottare anche
loro?». «Non lo so – ci rispose don Roberto – ma una cosa la so:
il Signore non si fa battere da nessuno in generosità!». Quella
risposta ci fece riflettere non poco. Siamo tornati a casa, ne ab-
biamo parlato fra noi e con i figli più grandi, abbiamo pregato
e abbiamo deciso di fidarci del Signore. Dopo alcuni mesi sono
arrivati anche Marcos e Claudio dal Brasile, e insieme a loro
tanta Provvidenza che ci ha raggiunti nei modi più diversi. È il
Signore che non si fa battere da nessuno in generosità.

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XVIII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


La logica del miracolo
Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo
sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla… salì sul monte, in
disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca
intanto… era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire
della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo
camminare sul mare, i discepoli… gridarono dalla paura. Ma subito
Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro
allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te
sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a
camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era
forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E
subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché
hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò.     Mt 14,22-36
I venti contrari, sia sul lago che nella vita, soffiano e hanno
sempre soffiato minacciosi. Che cosa permette a Gesù di cam-
minare tranquillo su quelle acque agitate, e sopra le avversità
nelle quali le persone normalmente si spaventano e si perdo-
no? Noi conosciamo solo una risposta: la fede e la preghiera.
Quando il vento comincia a soffiare egli se ne sta «solo lassù»
a pregare, mentre gli apostoli stanno faticosamente remando,
sulla barca, per raggiungere la riva opposta del lago. A un certo
punto Gesù scende dal monte e va loro incontro camminando
sulle acque. Come tutti noi, anche Pietro vorrebbe poter cam-
minare su quelle acque, che rappresentano le situazioni nega-
tive della vita: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso
di te sulle acque». Gesù gli dice: «Vieni!», e Pietro scende sul
lago, ma per la violenza del vento si spaventa e comincia ad af-
fondare. Perché Pietro, a differenza di Gesù, ha paura del vento
pur vivendo anch’egli l’esperienza di camminare sulle acque?
Dipende dal fatto che il suo camminare sulle acque nasce dalla
richiesta di un «segno», non dalla consuetudine alla preghiera.
Anche noi abbiamo vissuto qualche esperienza simile.
Trent’anni fa Maria Carmela venne operata di un terribile
tumore e il professor Nicola, che aveva effettuato l’operazione,
ci tolse ogni speranza di guarigione, prevedendo per lei solo

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pochi mesi di vita. Noi, presi dalla disperazione, ci affidammo


completamente alla preghiera. Sono trascorsi gli anni, Maria
Carmela è guarita, ha vissuto una vita normale, si è sposata
e ha avuto due figlie, ma quella nostra fede di allora non si
è trasformata in un’abitudine alla preghiera, tale da cambiare
radicalmente il nostro modo di vivere. Così è successo anche a
noi, come a Pietro, di andare in crisi per qualche venticello, che
in seguito era tornato a soffiare nella nostra vita. Probabilmente
dobbiamo riscoprire il valore di questa preghiera del mattino,
per riprendere la nostra traversata tranquilla fino all’altra riva.

XVIII settimana del Tempo Ordinario – Martedì


La comunicazione buona
In quel tempo alcuni farisei e alcuni scribi, venuti da Gerusalemme,
si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono
la tradizione degli antichi? Infatti quando prendono cibo non si lavano le
mani!»… Poi, riunita la folla, disse loro: «Ascoltate e comprendete bene!
Non ciò che entra nella bocca rende impuro l’uomo; ciò che esce dalla
bocca, questo rende impuro l’uomo!». Mt 15,1-2.10-14

«Ascoltate e comprendete bene! Non ciò che entra nella boc-


ca rende impuro l’uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende
impuro l’uomo!». Con questa affermazione Gesù rende puri
tutti gli alimenti, anche se presi senza la previa abluzione delle
mani, la non ottemperanza della quale, nella civiltà giudaica,
provocava l’impurità rituale del pranzo. Nel contempo, però,
con chiaro riferimento alla domanda insinuante degli scribi e
dei farisei, Gesù non perde l’occasione di ammaestrare la folla
sul fatto che l’uomo può, invece, essere reso impuro da ciò che
dice, perché «la bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda»
(Mt 12,34).
Con questa frase, riportata dal Vangelo di Matteo, egli in-
troduce l’argomento della «comunicazione buona», quella che
rende migliore la realtà in cui risuona. In Dio la «Parola» è
creatrice con potenza infinita: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la
luce fu» (Gn 1,3). Quando Dio parla, chiama all’esistenza le

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cose e risolve le situazioni più impossibili. La parola dell’uomo


non può neppure essere confrontata con quella di Dio, ma pur
avendo una potenza infinitesima, modifica anch’essa la realtà
nella quale risuona. Basti pensare ai discorsi di certi dittatori
o all’effetto delle esortazioni alla non violenza di Gandhi. An-
che nel nostro vivere quotidiano, in famiglia o sul lavoro, la
comunicazione produce, in ambito più ristretto, una diversità
di effetti. Poiché la parola dell’uomo ha l’autorevolezza della
persona che la pronuncia, dobbiamo sentire la responsabilità
del ruolo che ricopriamo. Una parola sbagliata ci rende impuri,
come dice oggi Gesù, perché modifica la realtà in negativo. È
bene, allora, che, nei momenti importanti, il nostro parlare sia
preceduto dalla preghiera. È l’unico modo per essere certi di
esprimere il pensiero di Dio.
Non sempre la preghiera può essere lunga, ma deve essere
intensa, in modo da assicurare la pace del cuore e la serenità
dello spirito. Quanto più la comunicazione è nella pace, tanto
più si è in sintonia con lo Spirito di Dio. Ieri sera un figlio ci ha
chiesto un parere su una decisione importante che deve pren-
dere. Stanotte abbiamo pregato a lungo per capire e per essere
illuminati dal Signore, e questa mattina gli abbiamo inviato
una lettera esprimendo con franchezza il nostro parere. Poiché
si tratta di una decisione importante, è bene che le nostre pa-
role siano accompagnate da molta preghiera, affinché vengano
recepite con lo stesso spirito con il quale sono state scritte.

XVIII settimana del Tempo Ord. – Mercoledì (Anno dispari)


Condividere il pane eucaristico
Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. Ed
ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare:
«Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da
un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi
discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene
dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore
perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a
lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il

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pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –,


eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro
padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga
per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita. Mt 15,21-28
Abbiamo incontrato questa donna siro-fenicia, una cana-
nea, alcuni giorni fa, e oggi la liturgia ce la presenta di nuo-
vo. Vuol dire che ha ancora qualcosa da comunicarci. Tutte le
mattine andiamo alla prima messa, celebrata nel santuario di
Saronno, e all’uscita incontriamo sulla porta un nord-africano,
certamente un musulmano, che tende la mano per ricevere
l’elemosina. Ogni tanto gli diamo qualcosa, ma tutte le volte ci
fa riflettere: la sua è una presenza inquietante. Egli chiede una
moneta per il pane quotidiano, ma il nostro dovere sarebbe
quello di aiutarlo a condividere anche il pane eucaristico della
divina misericordia, che abbiamo da poco ricevuto. Tuttavia
non l’abbiamo mai fatto. C’è, infatti, dentro di noi una prima
voce che ci trattiene: «Quello è il pane dei cristiani che, riporta-
to al brano di oggi, corrisponde a quello per le pecore perdute
della casa d’Israele». Subito dopo, però, udiamo una seconda
voce: «È vero, eppure i cagnolini si cibano delle briciole che
cadono dalla tavola dei loro padroni».
Questa richiesta, quel musulmano non ce la farà mai, per-
ché del pane eucaristico non sente il bisogno; egli è lì solo per
chiedere quello quotidiano. Noi, però, che siamo stati inviati
a testimoniare la nostra fede, dovremmo vedere in quell’uomo
che ci tende la mano, una persona alla ricerca della verità, una
cananea che silenziosamente ci dice: «Eppure i cagnolini si ci-
bano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Non è un discorso facile da fare e, se un giorno lo Spirito ci
spingerà a farlo, dovremo aspettarci ogni tipo di risposta, ma è
ciò che chiede il vangelo di oggi. Altrimenti, che cosa vuol dire
evangelizzare? Preghiamo il Signore perché ci mandi lo stesso
Spirito che ha mandato a Pietro quando, entrando nel tempio
dalla Porta Bella, disse allo storpio: «Non possiedo né argento
né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il
Nazareno, alzati e cammina!» (At 3,6). Quel «cammina!» per
noi significa «nella fede», alla ricerca della pienezza della rivela-
zione, che si nasconde in Cristo Gesù.

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

XVIII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì (Anno pari)


Facciamo memoria
Alleluia. Rendete grazie al Signore, perché è buono, perché il
suo amore è per sempre. Chi può narrare le prodezze del Signore, far
risuonare tutta la sua lode?… Abbiamo peccato con i nostri padri, delitti
e malvagità abbiamo commesso. I nostri padri, in Egitto, non compresero
le tue meraviglie, non si ricordarono della grandezza del tuo amore e si
ribellarono… presso il Mar Rosso. Ma Dio li salvò per il suo nome, per
far conoscere la sua potenza. Minacciò il Mar Rosso e fu prosciugato, li
fece camminare negli abissi come nel deserto. Li salvò dalla mano… del
nemico. L’acqua sommerse i loro avversari, non ne sopravvisse neppure
uno. Allora credettero alle sue parole e cantarono la sua lode. Presto
dimenticarono… Si fabbricarono un vitello sull’Oreb, si prostrarono
a una statua di metallo… Dimenticarono Dio che li aveva salvati…
Rifiutarono una terra di delizie… Adorarono Baal-Peor e mangiarono i
sacrifici dei morti… Salvaci, Signore Dio nostro… Benedetto il Signore,
Dio d’Israele… Tutto il popolo dica: Amen. Alleluia. Sal 105

Questo salmo celebra la fedeltà del Signore, messa a con-


fronto con l’ingratitudine di Israele: «Rendete grazie al Signo-
re, perché è buono... Abbiamo peccato con i nostri padri... I
nostri padri in Egitto non compresero le tue meraviglie». Isra-
ele riconosce che, durante la marcia nel deserto, con il passare
degli anni, ha dimenticato la grandiosità di ciò che il Signore
ha fatto per lui: lo ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto, gli ha
fatto attraversare il Mar Rosso, con le acque che si sono aperte
davanti a lui e poi si sono richiuse, inghiottendo i cavalieri e
i cavalli degli inseguitori. «Allora credettero alle sue parole e
cantarono la sua lode. Presto dimenticarono le sue opere». Nel
salmo di oggi il popolo di Israele riconosce il proprio peccato:
la sua gelosia nei confronti di Mosè, il fatto di essersi fabbricato
e aver adorato un vitello d’oro al posto di Dio, di aver dimen-
ticato la meta della Terra Promessa e di aver adorato e servito le
divinità dei popoli pagani incontrati durante il suo girovagare
nel deserto.
È il rischio che, anche ai giorni nostri, corrono i cristiani. In-
seriti in un mondo che celebra altri dèi, che non pensa all’eter-
nità, ma vive solo all’insegna del piacere, è facile dimenticare la
fede e uniformarsi ai pensieri, ai sentimenti, agli idoli e ai crite-

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

ri del mondo. Anche noi, come il popolo di Israele, rischiamo


di vivere di ingratitudine, di dimenticare che il Signore ci ha
liberati dall’Egitto della nostra indifferenza, donandoci una li-
bertà vera e una speranza nuova. Con il passare degli anni, pe-
rò, via via che ci avviciniamo alla meta, ci rendiamo conto che
le proposte esistenziali del mondo svaniscono come miraggi nel
deserto e riaffiora la speranza della Terra Promessa, alla quale
siamo chiamati. Per aiutarci a ritrovare tale speranza è bene,
tuttavia, fare memoria, ricordare che anche noi, come il popolo
ebreo, nel corso degli anni siamo stati benedetti dal Signore in
ogni modo e siamo stati oggetto della sua Provvidenza.

XVIII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Il problema sociale, oggi
Gesù… domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio
dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia,
altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io
sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E
Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né
sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico:
tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa». Mt 16,13-18

«Ma voi chi dite che io sia?». Stavamo meditando questo


versetto del vangelo di oggi nel giardino della casa di Casti-
glioncello, quando un africano con una grande borsa-negozio
ha suonato il campanello. Abbiamo aperto e gli abbiamo spie-
gato che non volevamo acquistare niente, ma semplicemente
offrirgli qualcosa. Poiché ha insistito con una certa arroganza,
lo abbiamo congedato e lui se n’è andato protestando nella sua
lingua. Poi siamo tornati al nostro versetto: «Ma voi chi dite che
io sia?», ma quel contrattempo ci aveva turbati e non eravamo
più in grado di continuare la meditazione. Anzi, il baricentro
dei nostri pensieri si era spostato e quella domanda ce la faceva
l’africano, non più Gesù. Ci dicevamo: «Sarà un clandestino
arrivato col barcone. Certamente è un bisognoso. Ma è giusto
che vada in giro pretendendo di essere aiutato? Dov’è finita la

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

legalità? Però è un bisognoso». Sono questi e altri i pensieri che


ci sono passati per la mente, e uno in particolare è stato ogget-
to della nostra riflessione familiare: «Al centro del vangelo c’è
Dio o c’è l’uomo?» Il destinatario del messaggio evangelico è
certamente l’uomo, ma «al centro del messaggio c’è Dio o c’è
l’uomo?». Sono domande che non coinvolgono solo la chiesa.
Anche le istituzioni sociali dovrebbero porsi la stessa domanda:
«Al centro del servizio c’è l’uomo come tale, il cittadino, o ci
sono le regole?». Ciascuno dovrebbe dare la sua risposta, nel
rispetto dei propri valori, del ruolo e del servizio che ricopre.
Alla fine una risposta definitiva e condivisa da tutti non esiste,
perché nessuno è autorizzato a darla a nome di tutti; ma soprat-
tutto nessuna risposta può tenere equamente conto di tutte le
componenti del problema. Ci ricorda l’errore di parallasse, che
si commette nei laboratori di fisica quando si traguarda una let-
tura su una scala graduata. Se siamo troppo spostati da un lato
si commette un errore, se siamo spostati dall’altro, si commette
l’errore opposto. Se si considera solo la legalità si sbaglia, se si
considera solo la solidarietà si sbaglia ugualmente. Come si fa a
dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare se
si possiede una moneta sola? È il problema di giustizia attual-
mente da risolvere nella nostra civiltà occidentale.

XVIII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


La croce che conosce il trionfo
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro
a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole
salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa
mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il
mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare
in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire
nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno
secondo le sue azioni. In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che
non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo
regno». Mt 16,24-28

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L’inizio del cammino alla sequela del Signore fa pensare a


un giovane che vada dietro a una bella ragazza, perché attrat-
to dal suo fascino, senza immaginare che poi seguiranno un
matrimonio, una famiglia, dei figli da far crescere ed educare,
abitazioni sempre più grandi da acquistare, molto impegno e
tanti sacrifici. Tutte cose belle e di grande soddisfazione, ma
che all’inizio quel giovane non immaginava, almeno non come
si sarebbero realizzate nel corso degli anni. È ciò che è successo
ai primi pescatori che hanno seguito Gesù. Avevano davanti
una vita già tracciata, con dei sogni comuni, quando un bel
giorno è passato sulla loro strada il Signore, ne hanno avvertito
il fascino, lui ha detto loro «Seguitemi», lo hanno fatto e hanno
scoperto tutto un altro mondo: altri pensieri, altri sogni, altre
parole, altri progetti. E soprattutto un’altra vita, ricca di mira-
coli e di rivelazioni, che hanno aperto loro la mente e il cuore ai
misteri del regno dei cieli. Anche questa esperienza, però, è sta-
ta per loro solo un preambolo, come lo è per chiunque si ponga
veramente alla sequela del Signore, il quale a un certo punto
del cammino fa una proposta radicale come quella di oggi: «Se
qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la
sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la
perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà».
All’inizio questa scelta di vita, come è stato per i primi di-
scepoli, viene avvertita come sacrificio di se stessi e ottiene un
rifiuto: vanno bene il fascino di Gesù, i sogni, i nuovi progetti,
i miracoli e le parabole, ma la vita è un’altra cosa, con quella
non si scherza. Poi, con il passare del tempo, un passo dietro
l’altro e una luce dietro l’altra, ci rendiamo conto che quella
proposta del Signore rappresenta l’unico modo per entrare ve-
ramente nel cuore del vangelo. Da un certo punto in poi i mi-
steri del Regno non si possono più penetrare se non si vivono.
Ecco, allora, l’importanza di buttar via la vita passata, frutto di
altri pensieri, altri sogni, altre scelte, e motivo di altre croci, per
abbracciare quella che Gesù propone. Alla fine è quella nuova
croce lì a costituire il passaggio tra una vita vissuta per se stessi
e una donata al Signore e agli uomini, ad aprirci ai misteri del
Regno e al segreto della gioia. E alla fine costituisce anche il
motivo del trionfo nella risurrezione, terrena e finale.

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XVIII settimana del Tempo Ordinario – Sabato


La guarigione dell’epilettico
Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo che gli si
gettò in ginocchio e disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio! È epilettico
e soffre molto; cade spesso nel fuoco e sovente nell’acqua. L’ho portato
dai tuoi discepoli, ma non sono riusciti a guarirlo». E Gesù rispose: «O
generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a
quando dovrò sopportarvi? Portatelo qui da me». Gesù lo minacciò e il
demonio uscì da lui, e da quel momento il ragazzo fu guarito. Allora i
discepoli si avvicinarono a Gesù, in disparte, e gli chiesero: «Perché noi
non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli rispose loro: «Per la vostra poca
fede. In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte
a questo monte: “Spòstati da qui a là”, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà
impossibile». Mt 17,14-20

Questo giovane, incapace di parlare e di ascoltare, che si


getta a terra schiumando e digrignando i denti, e che sa solo
farsi del male, mostra molto bene come si riducono le persone
e gli ambienti quando il demonio la fa da padrone. Per renderci
conto di ciò, basta aprire il giornale: contestazioni, violenze,
sommosse, aggressioni, stupri, rifiuti abbandonati per le strade,
incomprensioni e insensibilità per i bisogni degli altri.
Sono manifestazioni demoniache, di fronte alle quali non
solo la società, ma anche la chiesa sembra impotente, come
lo sono quei discepoli, ai quali questo padre si è rivolto: «Egli
[il figlio] è epilettico e soffre molto. L’ho già portato dai tuoi
discepoli, ma non sono riusciti a guarirlo». Il motivo della loro
incapacità lo denuncia Gesù, a metà e alla fine del brano: la
mancanza di fede e di preghiera. Anche il padre, che si racco-
manda al Signore perché gli liberi il figlio da quel demonio, si
sente incapace e inadeguato di fronte a quella situazione, ma è
animato da vera fede e sa pregare Gesù perché intervenga. Egli
ha appena la fede di chiedergli aiuto, ma è sufficiente. Credo
che anche noi dovremmo pregare più spesso perché il Signo-
re intervenga, guarisca le malattie nostre e delle persone che
conosciamo. La preghiera e la fede sono le armi più potenti
del cristiano. Se solo avessimo la «fede pari a un granello di
senape»!

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XIX settimana del Tempo Ordinario – Domenica


La fede, la calma e la pace
Ci fu un vento impetuoso… ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento,
un terremoto… Dopo il terremoto, un fuoco… Dopo il fuoco, il sussurro
di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto.   1Re 19,9.11-13a
Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo
sull’altra riva… Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare.
Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già
molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario.
Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare.
Vedendolo camminare sul mare, i discepoli… gridarono dalla paura. Ma
subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!»…
Appena saliti [Gesù e Pietro] sulla barca, il vento cessò. Mt 14,22-33
Nella prima lettura Elia non incontra il Signore nel vento
forte e neppure nel terremoto, ma nel «sussurro di una brezza
leggera»: lo incontra nella calma e nella pace. Nel brano del
vangelo gli apostoli sono nella barca da soli, sono in preda alla
paura, in mezzo ai flutti, sollevati da un vento impetuoso. Poi,
non appena il Signore sale sulla barca, il vento si placa, il ma-
re torna tranquillo e gli apostoli ritrovano la calma e la pace.
Combinando insieme questi due episodi, la liturgia di oggi ci
annuncia che il Signore s’incontra nella calma e nella pace, e
una volta incontrato dona la calma e la pace. Sembrerebbe,
allora, che il Signore avesse solo il potere di generare ciò che
c’è già, e quindi che fosse, tutto sommato, inutile e superfluo.
Viene in mente una precedente meditazione sulla fede, in rife-
rimento alla frase di Gesù: «A chi ha, sarà dato e a chi non ha,
sarà tolto anche quello che ha» (Mc 4,25). Anche la fede, come
la calma e la pace, sembra essere donata a chi ce l’ha già.
Questi tre doni, così importanti per la nostra vita, rispon-
dendo alla stessa dinamica spirituale, devono essere in qualche
modo collegati tra loro. E, in effetti, lo sono: fede, calma e pace
sono il punto di partenza e di arrivo del cammino spirituale.
Ma qual è la sorgente di questi doni, che Gesù ha in grande ab-
bondanza e noi non sempre abbiamo? La risposta è: la preghie-
ra. Gesù cammina sulle acque, nella calma e nella pace, perché
prima è salito sul monte a pregare. Anche noi, quando siamo

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preoccupati per la salute, per il lavoro o per qualunque altra


difficoltà, se saliremo sul monte a pregare troveremo la fede, la
calma e la pace per risolvere i nostri problemi, sui quali finiremo
per camminarci sopra, come Gesù oggi cammina sulle acque.

XIX settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Il potere d’esempio
Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per
il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga
la tassa?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo:
«Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i
tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». Rispose: «Dagli estranei». E
Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. Ma, per evitare di scandalizzarli,
va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la
bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per
me e per te». Mt 17,24-27

Il vangelo di oggi mi ricorda una scenetta che risale a ven-


ticinque anni fa, quando stavo lavorando alla realizzazione
di una centrale termoelettrica, in Arabia Saudita, per conto
dell’Ansaldo. Erano finiti i lavori di montaggio e stavamo per
iniziare la fase di avviamento dell’impianto, durante la quale i
rischi di incidenti in cantiere aumentano notevolmente. Co-
sì avevamo circoscritto la zona più rischiosa con alcune porte
di accesso riservate al personale addetto ai lavori. A ciascuna
porta pensavo di mettere una persona, che non avrebbe avuto
nient’altro da fare se non vietare l’ingresso a chi non avesse un
cartellino lasciapassare. Poiché, almeno in quegli anni, per chi
esercitava un’attività in Arabia Saudita, era obbligatorio assu-
mere una certa percentuale di personale locale, avevo pensato
di utilizzare alcuni arabi, che erano lì senza far niente, per quel
lavoro di guardiani. Il loro servizio funzionava anche troppo
bene, tant’è che quando mi sono avvicinato a uno di quegli
accessi senza cartellino, dal quale come capo, pensavo di essere
esentato, l’arabo di guardia, con un certo sorrisetto sotto i baffi,
non mi ha fatto entrare. Allora mi sono appuntato il cartellino
e sono entrato. È la stessa situazione della quale parla il vangelo

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di oggi. Gesù, figlio di Dio, dice a Pietro: «Che cosa ti pare, Si-
mone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai
propri figli o dagli estranei?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù
replicò: «Quindi i figli sono liberi. Ma, per evitare di scandaliz-
zarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene
su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila
e consegnala loro per me e per te».
Gesù, pagando la tassa per il tempio, oggi ci insegna una
grande regola: i notabili devono essere i primi a rispettare le
norme e a pagare le tasse, perché questo è giusto e perché le
persone semplici non si scandalizzino. Per loro è oltretutto più
facile: riescono sempre a trovare qualche pesce con la moneta
in bocca che permetta il pagamento.

XIX settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Autorità e servizio
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi
dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora chiamò a sé un bambino,
lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete
e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò
chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel
regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio
nome, accoglie me… Guardate di non disprezzare uno solo di questi
piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia
del Padre mio che è nei cieli ». Mt 18,1-5.10

Il brano evangelico odierno ci appare arduo e del tutto in


contrasto con i criteri vigenti nella società. In ogni contesto in
cui viviamo, infatti, esistono responsabilità, autorità e gerarchie.
Esistono, in altre parole, i capi, coloro che devono prendere de-
cisioni ed essere guida e riferimento per altre persone, come del
resto lo è stato Gesù per i discepoli e come lo è il pastore per le
pecore. Oggi il Signore non condanna le gerarchie e l’autorità,
quando sono legittime e necessarie, ma ci insegna a esercitarle
in modo grande. Chi è padre di famiglia deve essere grande per
poter fare da guida ai familiari; e chi è responsabile di un’azien-
da deve essere grande per poter dirigere i propri collaboratori.

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Il vangelo odierno ci insegna, però, che l’esercizio dell’auto-


rità e della responsabilità in modo grande deve passare attraver-
so la capacità di diventar bambini, la qual cosa è facile e difficile
al tempo stesso. Anzi, è così facile da risultar difficile, perché
quando le soluzioni sono molto facili, l’uomo le complica in
modo da renderle difficili. Il segreto per esercitare l’autorità e
la responsabilità in modo grande consiste nel farsi piccoli attra-
verso il servizio. Nel mondo i piccoli devono servire i grandi?
Allora se il tuo ruolo è grande, rendilo piccolo attraverso il
servizio. Nel mondo, quando i tempi e le situazioni sono dif-
ficili, i piccoli si riparano sotto i grandi? Allora, se il tuo ruolo
è grande rendilo piccolo proteggendo i piccoli e considerando
la loro protezione un servizio. Questo segreto porta a esercitare
l’autorità non attraverso il ruolo, ma tramite l’autorevolezza
che si acquisisce col servizio. Ci è difficile? Vuol dire che dob-
biamo pregare per chiedere al Signore il dono di farci diventare
piccoli.

XIX settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Il decalogo della vita comunitaria
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo
fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non
ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia
risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro,
dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te
come il pagano e il pubblicano… In verità io vi dico ancora: se due di voi
sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre
mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel
mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Mt 18,15-20

Quando si costituisce un’associazione o una società, si stende


uno statuto che, insieme agli obiettivi da raggiungere, stabilisca
le regole di comportamento delle persone chiamate a collabo-
rare. È ciò che ha fatto Matteo quando ha scritto il capitolo
18 del suo Vangelo. Egli, forse pensando a una comunità del
suo tempo, vi ha raggruppato quegli insegnamenti di Gesù che
definiscono le regole di una convivenza cristiana. Esse costi-

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tuiscono il decalogo da rispettare affinché una famiglia, o una


comunità, possa durare, crescere ed essere una testimonianza
di vita, anche nel mondo di oggi. La prima regola della quale
si parla nel brano odierno è «la correzione fraterna»: la volontà,
di fronte agli inevitabili errori, di aiutarsi reciprocamente a ri-
conoscerli e superarli. Ancor prima di questa regola Gesù aveva
definito chi sia il più grande in una comunità: «Chiunque si
farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel
regno dei cieli» (Mt 18,4). Nel vangelo, essere il più grande
non vuol dire essere il capo, ma essere il primo nel servizio e
nell’accoglienza: «E chi accoglierà un solo bambino come que-
sto nel mio nome, accoglie me» (Mt 18,5). Gesù condanna,
poi, gli scandali che disturbano e bloccano il cammino della
comunità e la distruggono (Mt 18,6-8). Lo scandalo non è so-
lo il comportamento contro la morale comune: sono anche il
chiacchiericcio, il turpiloquio, oggi entrambi tanto di moda,
e il perseguire il proprio interesse a discapito dei fratelli. Se-
gue la parabola della pecorella smarrita (Mt 18,12-14): se una
persona, in una famiglia o in una comunità, si perde, bisogna
far di tutto per recuperarla. Gesù esorta inoltre al «perdono»:
il perdono è la regola d’oro di ogni convivenza (Mt 18,21-22),
come possono mostrare quei matrimoni che hanno saputo su-
perare le loro crisi grazie alla capacità di perdonare. Il brano di
oggi, infine, si conclude con un’esortazione a pregare insieme,
poiché la preghiera comunitaria è ascoltata dal Signore.
Sono incoraggianti queste parole che alimentano nei fratelli
il desiderio di presentare le loro richieste al Signore.

XIX settimana del Tempo Ord. – Giovedì (Anno dispari)


Dal perdono all’amore
Allora Pietro… gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe
contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E
Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte
sette… il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i
suoi servi… un tale… gli doveva diecimila talenti… Allora il servo…
lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”…
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva

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cento denari… dicendo: “Restituisci quello che devi!”… Allora il padrone


fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato
tutto quel debito… Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno?”».
 Mt 18,21-19.1

Alcuni anni fa mi trovavo a pregare per alcune guarigioni in


un gruppo del Rinnovamento, in Calabria. Di solito, quando
ci radunavamo per pregare in un clima di fede, lode e amore,
gli uni per gli altri, lo Spirito Santo si effondeva nelle persone
presenti e il corpo, armonizzandosi con la mente e lo spirito, se
aveva qualche problema, avvertiva immediati benefici e qualche
volta si sono verificate delle vere guarigioni. Quel giorno, però,
l’amore taumaturgico del Signore non produceva alcun effetto.
A un certo punto un fratello del gruppo di preghiera aprì la
Bibbia e lesse: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa
contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro per-
doni a voi le vostre colpe» (Mc 11,25). Era la risposta al nostro
problema. Ci mettemmo a pregare per le persone alle quali non
avevamo perdonato, la preghiera si sciolse e alcuni cominciaro-
no ad avvertire effetti benefici sui mali che avevano da tempo.
Se noi non perdoniamo il nostro fratello, è come se alzassi-
mo intorno al nostro cuore un muro che impedisce all’amore
e alla grazia di Dio di raggiungerci e operare. Tuttavia ci siamo
chiesti perché il brano di oggi esorta a perdonare «settanta volte
sette» e non una volta per tutte. Il motivo di tale insistenza – ci
ha detto il Signore – risiede nel fatto che la mancanza di perdo-
no è una forma di odio: e l’odio abbandona il nostro cuore in
modo progressivo, non immediatamente. È come un foruncolo
che deve essere ripetutamente premuto per spurgare tutto il pus
che via via si forma all’interno. Il perdono, però, non produce
il passaggio dall’odio all’indifferenza, ma dall’odio all’amore:
io sono sicuro di avere perdonato mio fratello quando lo amo.
Non è facile amare il proprio nemico, ma c’è un segreto per
metterci su questa strada: cominciare ad amare e a perdonare
noi stessi. Colui che non si perdona e non si ama, non è in
grado di perdonare e di amare gli altri. Togliamoci allora i sensi
di colpa, non pensiamo male di noi stessi e avviciniamoci con
frequenza al sacramento della riconciliazione. Riusciremo così
ad amare noi stessi e il nostro prossimo.

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XIX settimana del Tempo Ordinario – Giovedì (Anno pari)


La lotta di Giacobbe
Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave,
i suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbok. Li prese, fece loro
passare il torrente e portò di là anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase
solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non
riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del
femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello
disse: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora». Giacobbe rispose:
«Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!». Gli domandò: «Come ti
chiami?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe,
ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!».
Giacobbe allora gli chiese: «Svelami il tuo nome». Gli rispose: «Perché mi
chiedi il nome?». E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo
Penuèl: «Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia
vita è rimasta salva». Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuèl e
zoppicava all’anca. Gn 32,23-32

Il vangelo di oggi parla dell’argomento del perdono, sul


quale abbiamo già avuto occasione di meditare. Riflettiamo,
allora, sulla misteriosa lotta di Giacobbe con il Signore, alla
quale abbiamo fatto cenno ieri sera durante la nostra cena. A
tutti coloro che seguono la chiamata del Signore, succede di
arrivare, a un certo punto della vita, al fiume Iabbok, un picco-
lo affluente del Giordano, forse nemmeno segnato sulla carta
geografica. Per tutti noi, però, è un fiume importante, perché
sulla sua riva si combatte la battaglia decisiva con il Signore.
Come è successo a Giacobbe, a un certo punto del cammino
spirituale, si arriva a questo fiume, portandoci dietro tutto ciò
che abbiamo – affetti, ricchezze e cose –, ma queste realtà non
partecipano alla lotta con il Signore.
La battaglia comincia quando abbiamo lasciato tutto sull’al-
tra riva, perché è in quel momento di solitudine che egli si para
davanti a noi, ed è con lui che dobbiamo combattere per an-
dare oltre. È una lotta decisiva per il riconoscimento reciproco:
il Signore vuole essere riconosciuto come unico Signore, più
importante anche di tutto quanto abbiamo lasciato sull’altra
sponda del fiume, e noi vogliamo essere riconosciuti nella no-
stra unicità. Alla fine deve essere chiaro che lui è il Signore, ma

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noi siamo noi, e io sono io, unico ai suoi occhi e unico nella
storia della salvezza. Avvenuto questo riconoscimento recipro-
co, il Signore ci benedice come ha benedetto Giacobbe, e noi
possiamo riprendere il cammino con la famiglia e tutto ciò che
abbiamo. Però di quella lotta, come Giacobbe, porteremo i se-
gni per tutta la vita, non saremo più gli stessi. Ciò che abbiamo
non ci viene tolto – per lo meno, non sempre –, ma assume un
valore e una finalità diversa. Come Giacobbe, all’inizio della
nostra battaglia con il Signore, siamo quasi sempre nella notte
della fede, ma alla fine, quando riprenderemo il cammino da
persone nuove, sorgerà il sole.

XIX settimana del Tempo Ord. – Venerdì (Anno dispari)


Indissolubilità del matrimonio
Allora… alcuni farisei… gli chiesero: «È lecito a un uomo ripudiare
la propria moglie…?». Egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da
principio li fece maschio e femmina… Dunque l’uomo non divida
quello che Dio ha congiunto». Gli domandarono: «Perché allora Mosè ha
ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?». Rispose loro: «Per la
durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli;
all’inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria
moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette
adulterio…». Mt 19,3-9

Ai farisei che lo interrogano sulla possibilità di ripudiare la


propria moglie, Gesù risponde: «L’uomo non divida quello che
Dio ha congiunto». A questa prima risposta i farisei ribattono
chiedendo per quale motivo, allora, Mosè avesse concesso il
ripudio della moglie. Gesù precisa: «Per la durezza del vostro
cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’ini-
zio però non fu così». Mosè era stato costretto ad alterare un
po’ la verità, perché il cuore del popolo era così indurito da
non essere in grado di recepirla tutta intera, allo stesso modo di
chi, non essendo abituato a bere vino, è bene che lo annacqui,
perché non reggerebbe a berlo schietto. Anche oggi sembrereb-
be che gran parte della società non sia in grado di concepire il

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matrimonio, se non rendendolo privo di doveri. In concreto,


la chiesa cattolica considera il matrimonio un sacramento e
quindi inscindibile, altri ritengono che sia un contratto tra per-
sone con un significato prestabilito, altri ancora pensano che
sia un accordo al quale le parti possono dare il contenuto che
preferiscono. Esistendo una tale differenza di opinioni, il pro-
blema dell’indissolubilità del matrimonio non può risolversi
se non stabilendo quale concetto risponda meglio alle esigenze
dell’uomo, della donna e soprattutto dei figli.
Posto il problema in tal modo, la soluzione è a favore
dell’indissolubilità. Ritornando al brano di oggi, la posizione
del vangelo è chiara, sennonché Matteo non si ferma qui, ma
procede mettendo sulla bocca di Gesù le seguenti parole: «Ma
io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso
di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio».
Questa frase sembrerebbe contraddire tutto quanto Gesù ha
asserito prima. In effetti, sul significato esatto di tale inciso,
nella chiesa si è discusso a lungo. Anche noi ne parlammo con
monsignor G.B. Guzzetti, allora responsabile dell’ufficio «Fa-
miglia» della diocesi di Milano, giungendo alla conclusione che
quasi certamente non si tratta di un’eccezione all’indissolubili-
tà del matrimonio, ma di un caso matrimoniale della cui vali-
dità molto si discuteva nell’ambiente di Matteo. Sono le stesse
considerazioni della Sacra Rota quando, oggi, prende in esame
la validità di un matrimonio.

XIX settimana del Tempo Ordinario – Venerdì (Anno pari)


L’eterna staffetta della vita
Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani
d’Israele… Giosuè disse a tutto il popolo: «Così dice il Signore, Dio
d’Israele… i vostri padri… abitavano oltre il Fiume. Essi servivano altri
dèi. Io presi Abramo, vostro padre, da oltre il Fiume e gli feci percorrere
tutta la terra di Canaan. Moltiplicai la sua discendenza e gli diedi
Isacco. A Isacco diedi Giacobbe… In seguito mandai Mosè… Feci uscire
dall’Egitto i vostri padri e voi arrivaste al mare. Gli Egiziani inseguirono i

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vostri padri con carri e cavalieri fino al Mar Rosso… e… sospinsi sopra di
loro il mare, che li sommerse… Poi dimoraste lungo tempo nel deserto…
Attraversaste il Giordano e arrivaste a Gerico. Vi attaccarono i signori
di Gerico… ma io li consegnai in mano vostra… non con la tua spada
né con il tuo arco. Vi diedi una terra… abitate in città che non avete
costruito. Gs 24,1-13

La lunga marcia nel deserto è finita, Israele ha passato il fiu-


me Giordano ed è arrivato nella Terra Promessa. Mosè, che ha
guidato per molti anni quell’avventura, ha terminato il proprio
mandato e ora il suo corpo riposa in pace sul monte Nebo,
nella terra di Moab. Anche Giosuè, che lo ha sostituito nella
guida, sta per terminare il proprio servizio e di lì a poco andrà
a riposare nel territorio di Timnah-Serah, sulle montagne di
Efraim. È l’eterna staffetta della vita, nella quale i personaggi si
susseguono gli uni gli altri, compiono il loro mandato e poi il
Signore li chiama a sé.
Nel brano di oggi Giosuè, dopo aver convocato gli anziani e
i notabili di Israele, parla a tutto il popolo a nome del Signore.
Ricorda la chiamata di Abramo, il suo passaggio del testimone
a Isacco e da questo a Giacobbe. Ricorda i quattrocento anni,
durante i quali il popolo ebreo ha vissuto schiavo del farao-
ne in Egitto, e di come il Signore lo abbia liberato con mano
potente, facendo annegare nel Mar Rosso i cavalli e i cavalieri
egiziani che lo inseguivano. Ricorda le battaglie che Israele ha
dovuto sostenere contro molti popoli durante il suo girovagare
nel deserto. Battaglie che Israele ha vinto perché il Signore ha
sempre combattuto al suo fianco: «non con la tua spada né con
il tuo arco». Anche a noi succede spesso di rileggere la nostra
storia passata: le molte battaglie sostenute, il Signore che ha
sempre combattuto per noi e la Provvidenza che, come a Israele
nei quarant’anni di deserto, non è mai mancata.
Siamo partiti che eravamo giovani e aitanti e ora siamo an-
ziani e spesso un po’ stanchi, ma con il cuore lieto, come il
pellegrino ebreo che si avvicinava a Gerusalemme per la festa
della Pasqua. Vedeva la città lassù e trovava le forze per l’ultima
salita: «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra» (Sal
120,1-2).

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XIX settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Il Regno è dei piccoli
Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani
e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono. Gesù però disse: «Lasciateli,
non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti,
appartiene il regno dei cieli». E, dopo avere imposto loro le mani, andò
via di là. Mt 19,13-15

«Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a


chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli». Questa
esortazione di Gesù, dopo averla letta e compresa per quanto
possibile, va poi appoggiata sul nostro cuore, dandole il tempo
di essere assimilata, come l’acqua che dopo la pioggia penetra
nel terreno. Dalla finestra della casa di Castiglioncello vedo Le-
tizia e Carlotta che, a piedi scalzi, giocano con l’acqua e con i
sassetti del giardino.
Che cosa vuol dire Gesù con la sua affermazione che nel re-
gno dei cieli entra solo chi lo sa accogliere come uno di loro? C’è
il grosso rischio di ritenere impossibile, o di vedere in termini
nostalgici, qualcosa che è estremamente concreto e profondo.
Siamo ai limiti estremi della saggezza cristiana, che nel vangelo
tocchiamo ogni volta che incontriamo un ammalato, un pec-
catore pentito, una vedova, un samaritano o un bambino. Il
bambino sa che la sua vita dipende completamente dagli altri.
Egli si guarda continuamente intorno per scoprire la realtà, re-
agendo a essa in maniera spontanea, passando in un istante dal
pianto al riso. Il bambino scopre la vita e le cose con stupore,
gioca con fantasia con qualunque cosa, vive con naturalezza i
suoi sentimenti, bisticcia e perdona immediatamente, si fida
ciecamente dei genitori e, quando si addormenta, dorme tran-
quillo, senza preoccupazioni. I bambini sanno sognare di essere
questo o quel personaggio, pur sapendo che è un gioco; vivo-
no il presente e per il futuro si fidano degli adulti. I bambini,
umanamente parlando, sono privi di concretezza: prediligono
le situazioni che l’uomo adulto rifugge per dedicarsi all’attività
di autorealizzazione. I bambini del vangelo sono coloro che se-
guono il Signore senza porre condizioni, fidandosi ciecamente
del progetto che egli ha per loro. A questo punto sorge una

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domanda: «È lecito non usare un’intelligenza matura, il buon


senso e i doni naturali che abbiamo affinato negli anni, quando
si hanno delle responsabilità familiari, professionali e sociali?».
Sono doni che devono essere utilizzati perché discendono da
Dio, però vanno usati nell’ambito del progetto di vita che il
Signore ci ha affidato. Esattamente come fanno i bambini, che
vivono le loro giornate, facendo ciò che i grandi decidono e
utilizzando con semplicità tutti i doni che hanno, naturali o
acquisiti.
Donaci, Signore, il buon senso del bambino, che nasce pro-
prio dalla sua debolezza. Insegnaci ad ascoltare i bambini per
lasciarci illuminare dalla loro saggezza. Donaci, Signore, la fede
per abbracciare il tuo progetto come bambini.

XX settimana del Tempo Ordinario – Domenica


La preghiera della Cananea
Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. Ed ecco,
una donna cananea… si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di
Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non
le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono
e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli
rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa
d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo:
«Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei
figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i
cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come
desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita. Mt 15,21-28

Il vangelo di oggi ci mostra un Gesù inizialmente sordo,


quasi disturbato dalla richiesta di questa donna cananea. Biso-
gna capirlo, era appena «partito di là» per prendere le distanze
da una discussione con gli scribi e i farisei, nella quale aveva
combattuto gli aspetti formali del giudaismo, e ritiene di tro-
varsi di fronte a una donna con la quale pensa di dover com-
battere gli aspetti miracolistici della fede. Gesù rifiuta sia una

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fede abitudinaria come quella degli scribi e dei farisei, ridotta


a mere formalità, sia una fede costituita da sole preghiere di
intercessione per risolvere, come per magia, i problemi quoti-
diani. Sono i due rischi che corre anche questa nostra preghiera
del mattino: il primo è di diventare stanca e abitudinaria, il
secondo è di diventare una preghiera prevalentemente di ri-
chiesta, per risolvere i problemi aperti del giorno precedente
prima di affrontare quelli della giornata.
Bisogna, invece, rilanciare con insistenza la «preghiera di lo-
de», quella prediletta dalla mamma, come introduzione al no-
stro impegno giornaliero nel suo progetto. Scopriremo, allora,
come è successo a questa donna cananea, un Signore entusiasta
nell’esaudire le nostre preghiere quotidiane e nel collaborare
con noi durante tutta la giornata. C’è infatti, tra la preghiera di
lode e la realizzazione del suo progetto, un rapporto così stretto
da non poter distinguere dove finisce l’una e comincia l’altro. A
un certo punto tutto diventa lode e tutto diventa progetto, allo
stesso modo in cui, in una famiglia dove ci si ama, ogni atto
diventa una manifestazione di amore e un servizio. Comincia-
mo, allora, a rispolverare quella canzone che cantavamo anni
fa, composta solo di poche parole, «Gesù è il Signore» e ripe-
tiamola tante volte, fino a quando questo concetto non abbia
permeato completamente la nostra mente e il nostro cuore.

XX settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


La ricchezza è ostacolo alla sequela
Ed ecco, un tale… gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per
avere la vita eterna?». Gli rispose: «… Se vuoi entrare nella vita, osserva i
comandamenti». Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, non
commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il
padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli
disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». Gli disse
Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri
e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». Udita questa parola, il
giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze. Mt 19,16-22

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«Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo
ai poveri e vieni! Seguimi!». Per molti anni, quando abbiamo
meditato questo versetto del vangelo, ci siamo chiesti come sia
possibile vender tutto e dare il ricavato ai poveri quando si han-
no una famiglia e dei figli da educare e da introdurre alla vita.
E quali sono questi poveri, ci siamo ancora chiesti, quelli che
al mattino vediamo scendere a frotte dal treno, alla stazione
di Saronno, con la sigaretta in bocca, e poi si sparpagliano per
la città a chieder l’elemosina? Eppure l’esortazione di Gesù è
vera! Il brano del vangelo di oggi non ci propone la povertà
come frutto di un’ascesi, ma come presupposto necessario per
seguire veramente il Signore. Vengono in mente le parole di
Paolo: «Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho
considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che
sia una perdita tutto a morivo della sublimità della conoscenza
di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte
queste cose e le considero come spazzatura» (Fil 3,7-9).
Viene anche in mente la povertà di Francesco d’Assisi, al
quale il vivere come gli uccelli del cielo e i gigli del campo ha
reso possibile comunicare, in un modo nuovo e unico, con il
Signore e con tutto il creato, con il quale si è sentito in armonia
perfetta. Sembrerebbe, però, che l’assoluta povertà fosse possi-
bile solo per i frati e per le suore. Come fa una famiglia, con
le sue esigenze e i suoi condizionamenti, a sperimentare – co-
me dice Paolo – la sublimità della conoscenza di Cristo Gesù?
Forse ci sono altre strade per arrivarci, o forse a chi ha scelto
di vivere, come noi, una vita di famiglia, è concessa solo una
conoscenza imperfetta del Signore? Sentiamo che su questa pa-
gina del vangelo dobbiamo ancora riflettere, e forse finiranno i
nostri giorni che ci staremo ancora riflettendo. Tuttavia sembra
che, per le famiglie, la perfezione possibile sia da ricercarsi nella
direzione della semplicità del modo di vivere e nell’accoglienza
del povero. Per chi ha scelto la vita di famiglia è in questa dire-
zione che prende forma il volto concreto della fede, ma, come è
stato per Paolo, è un cammino lungo: «Non ho certo raggiunto
la mèta, non sono arrivato alla perfezione, ma mi sforzo di cor-
rere per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da
Cristo Gesù» (Fil 3,12).

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XX settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Il dono e la condivisione
Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un
ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello
passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio»…
Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo
seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «… Chiunque
avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per
il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».
 Mt 19,23-29

Nel vangelo di ieri, il giovane ricco aveva deciso di non segui-


re Gesù e se ne era andato via triste; il brano di oggi assolutizza
quell’evento annunciando che «difficilmente un ricco entrerà
nel regno dei cieli». Abbiamo già riflettuto sul concetto di eco-
nomia portato dal vangelo, che si fonda sul donare e il condivi-
dere anziché sul possedere. Oggi riprendiamo l’argomento per
capire come sia possibile attuare la dinamica del dono e della
condivisione nella vita di tutti i giorni. L’ambiente nel quale,
sin da piccoli, si acquisiscono questi valori è la famiglia, che è
la forma più semplice di società e di chiesa, come la cellula lo
è di tutto l’universo. È nella famiglia che si riceve il dono della
vita, le cure, le attenzioni, l’educazione e la formazione per vi-
vere la nostra vita sociale. È lì che impariamo a condividere il
tempo della giornata, lo spazio della casa, il pane quotidiano, il
benessere, i progetti di vita, le opinioni, le vacanze, i problemi
e le preoccupazioni, le gioie, i dolori e il perdono.
Noi genitori amiamo ricordare ai figli, quando si formano
la loro famiglia, uno degli insegnamenti più preziosi ricevuti
dalla vita: ciò che si condivide, unisce; ciò che non si condivi-
de, divide. Però la condivisione principale, quella che permette
tutte le altre, è la preghiera. È vero che ciascuno deve avere una
propria preghiera personale, ma è fondamentale trovare anche
il modo e il momento per quella familiare, perché l’unione e la
comunione non sono il frutto dei nostri sforzi, ma della comu-
nione con il Signore. È scritto nella Genesi che Adamo ed Eva,
quando sono stati creati, prima del peccato originale, erano in
comunione così perfetta tra loro, da essere nudi senza che que-
sto li turbasse. Dopo il peccato si è interrotto il loro rapporto

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con Dio e, conseguentemente, si è interrotta la comunione tra


loro, al punto che si sono vergognati di essere nudi e sono corsi
a coprirsi. La storia del primo uomo e della prima donna ci
insegna che, quando in famiglia si interrompe la comunione,
l’unica cosa da fare è ripristinare il rapporto con il Signore tor-
nando, o cominciando, a pregare insieme. Se lo faremo, ci dice
il vangelo di oggi, riceveremo cento volte tanto in case, campi
e fratelli. Questo, però, non aumenterà la nostra ricchezza: le
case e i campi serviranno per ospitare e sfamare i fratelli più bi-
sognosi. Alla fine possederemo solo ciò che avremo condiviso:
questo è il dono di vita che Gesù ci ha portato.

XX settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Il lavoro e il giusto compenso
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per
prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un
denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del
mattino, ne vide altri… e disse loro: “Andate anche voi nella vigna…”.
Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre… e…
le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state
qui tutto il giorno senza far niente?”… “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera… Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero
ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi… ricevettero ciascuno
un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano… “Questi ultimi hanno
lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi…”. Ma il padrone,
rispondendo a uno di loro, disse: “Amico… Non hai forse concordato con
me per un denaro?… non posso fare delle mie cose quello che voglio?”» .
 Mt 20,1-16

Quando ero giovane, via via che si avvicinava il tempo della


vendemmia, nel mio paese della campagna toscana non si par-
lava d’altro. Poi, quando iniziava la raccolta dell’uva, era tutta
una festa; si sudava e si lavorava con gioia sotto il sole ancora
caldo dell’ultimo scampolo d’estate. A mezzogiorno arrivava
la massaia con i fiaschi del vino fresco, pane, teglie e tegami di
cibo appena cucinato; tutto caricato su un carro trascinato dai
buoi. Si interrompeva il lavoro della vendemmia, ci metteva-
mo all’ombra degli alberi e si mangiava, ciascuno secondo il

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proprio bisogno, non per quanto avesse lavorato. Ricordo quei


giorni con nostalgia, perché nella vita non ho più trovato un
modo di lavorare e di collaborare altrettanto gioioso. Purtrop-
po, spesso viviamo l’attività lavorativa come momento di sola
fatica, senza possibilità di gioia. E quando si perde l’aspetto
della gioia, si comincia a soppesare chi lavora di più e chi di
meno, e si confrontano le retribuzioni con i meriti, non te-
nendo conto dei talenti che ciascuno ha ricevuto e dei bisogni
che ha. Le retribuzioni sono da sempre regolate dal criterio
meritocratico – e anche al tempo di Gesù era così – ma l’aspet-
to tragico che questa parabola porta alla luce è il fatto che il
mondo non percepisce criteri distributivi del benessere diversi
dall’efficienza.
È vero che, nei paesi evoluti, l’aspetto dei bisogni viene ri-
considerato dalle compensazioni sociali e dal volontariato, ma
in tal modo si divide la società in vincenti e perdenti, in coloro
che sono mantenuti e coloro che mantengono gli altri, con
le conseguenze negative che ne derivano: orgoglio, eccessiva
autostima e senso di onnipotenza da una parte; depressione,
umiliazioni e opportunismo dall’altra. Ma guai a toccare il cri-
terio meritocratico, salterebbe tutto il sistema economico-pro-
duttivo. Il regno dei cieli, però, non funziona così, e ne è prova
il fatto che l’unico che ha avuto il paradiso garantito, anche
prima di morire, è stato il buon ladrone, uno che si è convertito
all’ultimo momento: nel calcio si direbbe in zona Cesarini.

XX settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Amico, tu non hai la fede
Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli
è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò
i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano
venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati:
Ecco, ho preparato il mio pranzo… venite alle nozze!”. Ma quelli non
se ne curarono… Allora il re si indignò… disse ai suoi servi: “La festa
di nozze è pronta… andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che
troverete, chiamateli alle nozze”… quei servi radunarono tutti quelli che
trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

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Il re entrò… e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli


disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello
ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo
fuori nelle tenebre”». Mt 22,1-13

Il regno dei cieli, ci dice la parabola di oggi, assomiglia a una


festa che Dio Padre, il Re, ha imbandito per le nozze di suo
Figlio, Gesù. La sposa è l’umanità, che nel matrimonio cambia
nome e si chiama Chiesa. Alla festa, come succede anche nei
nostri matrimoni di casa Castaldi, sono stati invitati i parenti e
gli amici più cari, che nella parabola simboleggiano il popolo di
Israele, al quale l’invito era stato fatto addirittura duemila anni
prima. Poiché la festa era già stata indetta e i primi invitati non
hanno aderito, allora Dio Padre si è rivolto subito al mondo
pagano – del quale noi siamo gli eredi – che, nella pianificazio-
ne celeste, avrebbe dovuto essere invitato in un secondo tempo.
È stata una gran bella festa, alla quale hanno partecipato
persone arrivate da tutte le parti, che sono diventate subito
amiche e hanno poi continuato a frequentarsi anche dopo, nei
vari incontri eucaristici, indetti ora qua ora là, per non disper-
dere il meraviglioso clima che si era formato nella festa iniziale.
Durante i festeggiamenti, però, c’è un contrattempo: il Re en-
tra nella sala e scorge, con il suo occhio esperto, una persona
che non ha la veste appropriata. È uno che mangia e beve con
gli altri, ma non partecipa al convito, non applaude gli sposi e
non conversa con gli altri commensali. È un infiltrato che cerca
di cogliere i vantaggi della festa, ma pensa agli affari propri. In
altre parole, è lì ma non ha la fede, che è l’unica veste richiesta.
Il Re si avvicina e gli dice: «Amico, come mai sei entrato qui
senza l’abito nuziale?». Egli ammutolisce e il Re lo fa caccia-
re. Sono passati duemila anni da quei primi festeggiamenti e
gli eredi di quei commensali continuano a incontrarsi anche
oggi, ma alcuni hanno perduto la veste, o i suoi colori si sono
sbiaditi nel tempo. Che cosa succederà? Forse il Re chiamerà
dei nuovi invitati a rianimare le nostre feste stanche. Maga-
ri arriveranno gli eredi dei primi chiamati, quelli che avevano
declinato l’invito. Chi lo sa? Una cosa, però, è sicura: il Re è
attento e certamente interverrà affinché il banchetto, che dura
da duemila anni, torni a essere pieno di gioia.

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XX settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


L’amore per la chiesa
Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai
sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo
interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande
comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande
e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo
prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la
Legge e i Profeti». Mt 22,34-40

Oggi si dibatte molto se nel cristianesimo il primato spetti


all’amore verso Dio o a quello verso il prossimo. Noi ritenia-
mo che il primato spetti all’amore verso Dio, del quale siamo
piccoli raggi che riflettono l’amore divino all’origine di tutto:
della creazione, dell’uomo e dell’amore tra gli uomini. Gesù ci
annuncia: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli
uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). E poi ribadisce
ancora: «Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv
15,17). Da queste affermazioni potrebbe sembrare che il pri-
mato spetti all’amore verso il prossimo, ma non è così. È vero
però che l’amore verso il prossimo è la cartina di tornasole per
verificare il nostro amore verso Dio, perché questi due senti-
menti, in un cammino spirituale, diventano una cosa sola: «Noi
sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amia-
mo i fratelli», dice Giovanni nella sua prima lettera (1Gv 3,14).
E così siamo arrivati alla sorgente dell’amore verso noi stessi,
perché chi ama Dio e il prossimo vive nella gioia e ama se stes-
so. Queste tre forme di amore – verso Dio, verso il prossimo e
verso noi stessi – si toccano e si realizzano insieme nel passag-
gio dalla riva della morte a quella della vita, tramite la chiesa,
l’unica barca che svolge questo servizio di traghettamento. Per
salire sulla barca occorre la fede, ma una volta saliti navighiamo
tranquilli, perché al timone c’è il Signore. Non esiste barca più
sicura della chiesa. È questo il motivo per cui noi amiamo la
chiesa: al di fuori di essa non c’è amore e non c’è il Signore. A
volte la vorremmo diversa, come anche noi vorremmo essere
diversi. «Ma se amaste una chiesa perfetta – direbbe il Signore –

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che merito ne avreste?». La chiesa la amiamo proprio perché è


imperfetta, ma amandola vi incontriamo il Signore e i fratelli
e, tutti insieme, possiamo renderla migliore.

XX settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Ricordo di un politico cristiano
Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla
cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate
tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi
dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e
li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure
con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente…
si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle
sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì”
dalla gente. Ma voi… fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra
Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo». Mt 23,1-11
Il vangelo di oggi sembra tratto dal libro La casta, pubblica-
to poco tempo fa dai giornalisti Stella e Rizzo, per denunciare
il degrado dell’ambiente politico italiano. È una pubblicazione
che ha portato alla luce la corruzione, l’ostentazione, i privi-
legi e le macchinazioni di molti dei nostri politici, oltre a un
sistema elettorale diabolicamente congegnato per consentire la
rielezione continua di tutti i membri della casta, a meno che
questa non decida che qualcuno di essi, a motivo della sua di-
versità, non ne debba più far parte. È quello che è successo a
noi, quando abbiamo cercato di entrare in politica per porre
a pubblico servizio le esperienze familiari e professionali che
avevamo maturato negli anni. Rileggendo, a distanza di tem-
po, i fatti e i modi con i quali quel servizio ci è stato impedito,
dobbiamo proprio dire che il Signore ci ha protetto, perché,
stante la situazione, avremmo pagato a caro prezzo i contributi
che avremmo potuto portare.
Nel dopoguerra, quando l’ambiente politico italiano era più
sano, abbiamo avuto, sulla scia di Alcide De Gasperi, politici
cristiani che hanno dato una notevole spinta alla ricostruzione,
anche morale, dell’Italia. Ne ricordiamo uno, attingendo da-

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gli scritti di padre Cipriano Ricotti: Giorgio La Pira, docente


all’università di Firenze. La Pira, era il meno politico di tutti,
e proprio per questo ha sofferto più degli altri nell’ambiente
politico italiano del dopoguerra. «Tengo a dichiarare – scriveva
La Pira nel 1948 – che il convento domenicano di San Marco
a Firenze, è la mia sola casa terrena, e la cella n. 6 è la mia sola
cella terrena». Ha scritto un senatore comunista: «La Pira veste
come un povero, vive come gli operai, non tiene nulla del suo
stipendio per sé» «Mi dispiace, non ho più nulla» disse a uomo
che gli chiedeva un aiuto «Non ho mai voluto essere né deputa-
to, né sindaco – scrisse La Pira nel 1954 –. Mi sento un uomo
solitario, fatto per lo studio, per il raccoglimento e la medita-
zione». E padre Cipriano aggiunge: « e per la carità». L’iniziati-
va del suo cuore è stata il «Pane per i poveri» della badia di San
Procolo, un’opera di assistenza per i più bisognosi di quel do-
poguerra. Il giorno della sua morte, le ceste di pane furono po-
ste tutte intorno alla sua bara. I poveri pregavano e piangevano,
ma i politici non c’erano. «Il più grande tra voi sia vostro servo».

XXI settimana del Tempo Ordinario – Domenica


La sapienza rivelata ai semplici
O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio!
Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi
mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere?
O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio?
Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria
nei secoli. Amen. Rm 11,33-36

Una sera del 1976, quando Maria Carmela, ammalata di


tumore, era stata operata all’ospedale di Legnano, ci è stato
concesso di toccare con mano, anche se non era la prima volta
che succedeva, dove risieda e da cosa sia mossa la vera sapienza.
I medici ci avevano tolto ogni speranza e noi eravamo seduti in
soggiorno, in silenzio, afflitti dal dolore e oppressi da doman-
de alle quali eravamo incapaci di dare risposta. Perché esiste il
dolore innocente? Perché una famiglia deve essere improvvi-
samente sconquassata da un evento simile? Che senso avrà il

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nostro futuro senza Maria Carmela? Ogni tanto s’interrompeva


il silenzio con una preghiera, e poi ritornavamo a porci le solite
domande. A un certo punto suonò il campanello. Era padre
Arturo. «È un po’ tardi, scusatemi, posso salire?». «Vieni vie-
ni, padre Arturo». Entrò, si sedette di fronte a noi e, come al
solito, pregammo un po’ insieme. Poi padre Arturo, che solita-
mente era di poche parole, si mise a parlare e, come se ci avesse
letto i pensieri, dette risposta a tutte le nostre domande, con
una sapienza teologica degna di sant’Agostino e di san Tomma-
so. Lo conoscevamo come una persona molto semplice; non
era nemmeno sacerdote, era solo un fratello del Pime, perché
i suoi superiori, non ritenendolo sufficientemente intelligente,
lo avevano sconsigliato di proseguire gli studi del seminario.
Lui ci aveva sofferto molto, ma aveva accettato quel consiglio
con umiltà e obbedienza, e nel silenzio aveva fatto un grande
cammino di fede e di carità. Era sempre presente dove c’erano
bisogni e sofferenze, e il Signore lo aveva ricompensato con una
sapienza che abbiamo riscontrato in poche altre persone.
Era dall’adorazione della croce, che egli faceva ogni notte,
talvolta fino all’aurora, che sgorgava la sapienza di padre Artu-
ro. Una domenica, mentre stavamo pranzando insieme, ci sia-
mo accorti che aveva una ferita sulla testa. Alle nostre domande
ha risposto, un po’ imbarazzato, che, mentre pregava di notte
in ginocchio davanti all’altare, si era addormentato, era caduto
e aveva battuto la testa. La sua era la sapienza di Dio, quella ri-
velata ai semplici. Scrive san Paolo: «Mentre i Giudei chiedono
segni e i Greci cercano sapienza [terrena], noi invece annun-
ciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i
pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci,
Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,22-24).

XXI settimana del Tempo Ordinario – Lunedì (Anno dispari)


Guai a voi, ipocriti
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli
davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare

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nemmeno quelli che vogliono entrare. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti,
che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è
divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. Guai a voi,
guide cieche, che dite… “Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se
invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato”. Ciechi! Che
cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi
giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura
per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per
il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso». Mt 23,13-22
L’opposizione di Gesù nei confronti degli scribi e dei farisei
è radicale e attraversa tutto il vangelo. Nel brano di oggi, egli
li sfida in campo aperto: è un’accusa pubblica, ritmata da un
lungo susseguirsi di «Guai a voi». Gesù imputa loro di essere
ipocriti, di impedire al popolo di entrare nel regno dei cieli,
di essere stolti e ciechi, di ottemperare alle piccole prescrizio-
ni della legge per poter disattendere a quelle più importanti,
di percorrere il mare e la terra per fare un solo proselito, per
renderlo, poi, ipocrita come loro. È un’accusa a chi cura l’ap-
parenza per poter meglio trascurare la sostanza della legge, è la
condanna della ricerca continua della vanagloria, del prestigio,
dell’ambizione e dei privilegi.
Sono i peccati dell’umanità di ogni tempo, non solo degli
scribi e dei farisei: noi dobbiamo prenderne atto e combatterli
alla luce del vangelo di Gesù Cristo, il cui mandato è di essere
suoi testimoni. Per poterlo essere con credibilità ed efficacia,
occorre tenersi lontani sia dalla cura delle sole apparenze che
dalla ostentazione della fede. Occorre che questa trapeli con
naturalezza attraverso le parole e gli atti della vita, cosa che è
possibile fare se non si reprimono il modo di vivere e le abitudi-
ni: poiché quando siamo in casa iniziamo i pasti con un segno
di croce, con discrezione dobbiamo farlo anche al ristorante.
Un giorno, uno dei signori con i quali mi trovavo a tavola du-
rante un pranzo nuziale, mi chiese: «Perché ha iniziato con un
segno di croce?». Risposi: «Perché mi sento libero di ringraziare
Dio per la provvidenza che mi trovo sul piatto. Se non lo fa-
cessi mi sentirei imbarazzato nei vostri confronti e non sincero
con il Signore». Abbiamo conversato per tutto il pranzo di ar-
gomenti di fede, siamo diventati amici e ora anche lui inizia il
pranzo con un segno di croce.

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XXI settimana del Tempo Ordinario – Lunedì (Anno pari)


Paolo ringrazia i tessalonicesi
Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre
preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la
fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore
nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. Sappiamo bene, fratelli
amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si
diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza
dello Spirito Santo e con profonda convinzione: ben sapete come ci siamo
comportati in mezzo a voi per il vostro bene… Infatti per mezzo vostro la
parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la
vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno
di parlarne. 1Ts 1,2-5.8-12

Il brano di oggi è tratto dalla Prima lettera di Paolo ai fratelli


della comunità di Tessalonica, scritta nel 50-51 d.C.: primo
documento del Nuovo Testamento. Il motivo della lettera è un
ringraziamento per la fresca vitalità di quella chiesa, che fiori-
sce rigogliosa nelle tre virtù teologali: la fede è «impegnata», la
carità è «operosa» e la speranza è «tenace». Questi tre aggettivi
descrivono con grande efficacia la vita e lo zelo di quella co-
munità. Tuttavia, sottolinea Paolo, la loro vitalità non è dovuta
solo all’impegno profuso nella diffusione del vangelo, ma so-
prattutto alla grazia di Dio che li ha particolarmente benedetti
nello «Spirito Santo» e ha mostrato tra loro molti prodigi.
A motivo della fede della chiesa di Tessalonica, anche l’im-
pegno missionario di Paolo nelle regioni circostanti risulta fa-
cilitato. «Infatti – dice Paolo – per mezzo vostro la parola del
Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la
fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto
che non abbiamo bisogno di parlarne». Il brano di oggi risulta
un bellissimo spaccato della dinamica dell’evangelizzazione: i
cristiani sono chiamati a impegnarsi con tutte le loro forze, e lo
Spirito Santo fa il resto, confermando il loro impegno con pro-
digi e facendo riecheggiare la loro azione missionaria nel mon-
do. Anche oggi chi fa tutto è lo Spirito Santo, il quale, però,
per poter agire ha bisogno del nostro impegno. Gesù l’ha detto:
«Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel

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nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando


loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono
con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,19-20).

XXI settimana del Tempo Ordinario – Martedì


L’ipocrisia rende ciechi
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta,
sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge:
la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da
fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino
e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite
l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e
d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché
anche l’esterno diventi pulito!». Mt 23,23-26

Questo brano del Vangelo di Matteo ci chiede di soffermarci


a riflettere sull’immagine dei sepolcri imbiancati, belli a vedersi,
ma pieni di putridume. Oggi il costume dominante ci induce,
quasi fatalmente, ad attribuire eccessiva importanza all’aspet-
to esteriore, trascurando l’interiorità, e talvolta nascondendolo
perché non troppo presentabile. Si fa di tutto per suscitare negli
altri una bella immagine di noi, cercando di prevedere e rispet-
tare i criteri dei giudizi altrui, poco badando a quanto le nostre
scelte di vita siano gradite al Signore. Forse l’ipocrisia, tanto
condannata dal vangelo, consiste proprio nel non domandarsi
se le nostre scelte siano conformi al progetto che il Signore ha
per noi, preferendo perseguire altri obiettivi, apparentemente
buoni, ma che riflettono i nostri desideri e spesso solo i nostri
interessi. A volte le scelte sbagliate sono quasi inconsapevoli.
Rispecchiano ciò che ci appare essere bene, riflettono i nostri
intendimenti e magari servono a procuraci l’approvazione degli
altri. Ci viene in mente quanto è successo, negli ultimi tempi,
a tre amiche che si erano messe insieme in affari, con l’unico
risultato di aver perso addirittura la loro lunga amicizia.
Ci siamo resi conto che l’ipocrisia è proprio un atteggiamen-
to subdolo. Chi vi cade comincia con l’ingannare anzitutto se
stesso sulla bontà del proprio comportamento, pensando poi

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di ingannare anche il prossimo. La tentazione nella quale pen-


siamo che le nostre amiche siano cadute è stata il distinguere gli
affari dall’amicizia e dagli affetti. È vero che sono sfere diverse,
ma è anche vero che l’amicizia è più importante degli affari.
Si tratta quasi di un circolo vizioso: voglio perseguire i miei
progetti e i miei interessi e, per poterlo fare serenamente, mi
convinco che ciò che desidero fare sia giusto e buono. Successi-
vamente cerco di ottenere anche l’approvazione altrui, per tro-
var conferma sulla bontà del mio agire e per andare avanti per
la strada scelta con la coscienza tranquilla. In questi anni, però,
il Signore ci ha insegnato che i progetti sono certamente suoi
se sono buoni e giusti per tutti. È questa la cartina di tornasole
per valutare, passo dopo passo, il nostro agire e le nostre scelte.

XXI settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Il segreto della giovinezza
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri
imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di
morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti
davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. Guai
a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate
i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri,
non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così
testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene,
voi colmate la misura dei vostri padri». Mt 23,27-32

Succede che un uomo perda la gioia per il proprio lavoro e


che un imprenditore pensi solo ad accumulare ricchezze. Succe-
de che in due sposi l’amore iniziale si consumi e che due amici
si stanchino d’incontrarsi. Succede, poi, che gli amministratori
e i governanti finiscano per curare solo i propri interessi, e che
gli insegnanti e i medici perdano il senso della loro missione.
Succede che i giudici si vendano ai potenti. Succede inoltre
che la chiesa si ingolfi di usanze e perda lo spirito originario.
Tutto ciò è dovuto alla sclerosi dello spirito, è l’azione sottile
del demonio che, a poco a poco senza stancarsi, ci spoglia dei
sogni, per banalizzare il nostro modo di vivere. È così che, con

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il passare del tempo, rischiamo di curare solo le apparenze, di


diventare scribi e farisei che vivono come sepolcri imbiancati,
privi di entusiasmo, di speranze, di attese e di gioia di vivere.
L’unico modo che abbiamo per evitare questa sclerosi spirituale
è di attingere ogni giorno alla vita di Dio, nella preghiera, nella
lode, nei sacramenti e nella capacità di godere delle grandi e
piccole cose: il sorgere e il tramontare del sole, il cielo stellato,
un bimbo che nasce, un fiore che sorride, un buon piatto di
pastasciutta e la ricerca continua della pace e del silenzio inte-
riore.
Donaci, Signore, la perseveranza di abbeverarci, ogni gior-
no, alla sorgente del tuo Spirito. Donaci, Signore, di alimenta-
re continuamente la nostra speranza, le attese, i sogni. Donaci,
Signore, di godere di ciò che abbiamo, della pace, del silenzio
interiore. Donaci, Signore, una vita operosa ma senza affanno,
la capacità di donare e di donarci. Donaci, Signore, la gioia di
vivere, di sorridere delle nostre debolezze, la povertà di spirito.
Donaci, Signore, la giovinezza del cuore, una vecchiaia serena
e, alla fine, una morte santa.

XXI settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


La vigilanza cristiana
«Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro
verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora
della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.
Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate,
viene il Figlio dell’uomo. Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il
padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo
debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così!
Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni». Mt 24,42-47

Meditiamo questa pagina del vangelo con la serenità con


la quale Paolo VI, nel suo testamento spirituale, spingeva lo
sguardo al di là della sua vicenda terrena: «Contemplo il mi-
stero della morte e Cristo che solo lo rischiara». Anche a noi,
ora che tutti i figli sono usciti di casa ed è già tempo dei primi
consuntivi, succede di pensare spesso ai nostri ultimi tempi. È

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un pensiero dolce, come i tramonti della nostra bella Toscana,


quando il sole scende dietro alle colline e va a dormire. Non
è un pensiero ricercato, perché le forze sono ancora buone e i
nostri impegni molti, ma il pensiero della morte è sempre pre-
sente sullo sfondo, come un amico che dà dei buoni consigli.
Alcune volte ci suggerisce – come al profeta Isaia – di salire sul
monte del Signore e di camminare per altri sentieri: quelli del
silenzio, della preghiera e della meditazione delle Sacre Scrittu-
re. In altri momenti ci consiglia – come al poeta Mario Luzi,
che abbiamo avuto il privilegio di frequentare – di isolarci dal
vaniloquio di questo mondo e cominciare a preparare pochi,
essenziali bagagli. Il più delle volte, però, ci induce a spendere
bene il tempo e le forze rimaste, come un corridore, che alla
fine di una buona corsa, si prepari a una bella volata.
Questa è anche la raccomandazione della pagina del vangelo
di oggi: «Chi è, dunque, il servo fidato e prudente, che il pa-
drone ha messo a capo dei suoi domestici per dar loro il cibo
a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando,
troverà ad agire così!» Pensiamo proprio che il vangelo di oggi
ci incoraggi a dare ancora qualcosa alla famiglia e alla società.
E, forse, questa raccolta di meditazioni, che abbiamo deciso di
pubblicare, risponde a questo mandato. Chiediamo, allora, al
Signore di donarci, per il tempo che abbiamo ancora da vivere,
un po’ dello spirito e della volontà che ha donato a san Paolo:
«Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfe-
zione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io
sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo
ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando
ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fron-
te, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere
lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,12-14).

XXI settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Il senso della vigilanza
«Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le
loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte

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e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé


l’olio… Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora
tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte
dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade
si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e
a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle
andavano… arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui
alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini
e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In
verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il
giorno né l’ora». Mt 25,1-13

In passato, meditando questa parabola, avevamo sempre


pensato che l’olio delle vergini sagge rappresentasse solo la fe-
de, che ci rende vigili e pronti a rispondere «presente!», quando
il Signore ci chiamerà a sé. Pur essendone ancora convinti, un
mese fa ci è stato concesso di capire che il suo significato è an-
cora più ampio.
Ce l’ha fatto comprendere Rita, la caposala del reparto Ho-
spice dell’ospedale di Busto Arsizio, che accoglie i malati in
fase terminale. Stavamo assistendo la nostra amica Mary, che
viveva i suoi ultimi giorni di vita, pregando con lei. Mary è sta-
ta sostenuta dalla fede fino all’ultimo respiro, tuttavia sperava,
e quasi si sforzava, di vivere ancora un po’ per mettere a posto
alcune pendenze amministrative della sua professione di con-
sulente finanziario. Il motivo ce l’ha spiegato Rita: «Secondo la
mia esperienza – ci disse – le persone non si abbandonano alla
morte se devono ancora sistemare qualche aspetto della loro
vita, e riescono anche a rimandarne l’evento». Infatti, dopo che
Mary aveva compilato alcuni scritti che mettevano a posto le
sue cose, si è abbandonata all’abbraccio del Signore ed è spirata
serenamente, circondata dagli amici più cari.
Riflettendo su questa vicenda, abbiamo compreso più pro-
fondamente il significato della vigilanza cristiana, alla quale
siamo chiamati. Essa, oltre alla fede, comprende ogni altro
aspetto della nostra vita: occorre essere in pace con se stessi in
tutto, per essere sempre pronti a presentarsi al Signore, come lo
studente che va all’esame ben preparato.

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XXI settimana del Tempo Ordinario – Sabato


I talenti ricevuti
«Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò
i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a
un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne
guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne
guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò
a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo
molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con
loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri
cinque… “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei
stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del
tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse:
“Signore… ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli
disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto;
prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che
aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro,
che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto
paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che
è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro… avresti dovuto
affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il
mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci
talenti… E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre…”». Mt 25,14-30
Di fronte a questa parabola ci poniamo una domanda: quali
sono i talenti che abbiamo ricevuto e che abbiamo il dovere di
trafficare perché crescano?
L’intelligenza è un talento: più viene usato e più si affina. La
fede è un talento: più si vive di fede, più questa cresce. L’educa-
zione ricevuta è un talento: con l’uso si perfeziona. La cultura
e le nostre conoscenze sono talenti: usandoli si arricchiscono e
si consolidano. La capacità di comunicare è un talento: più si
cerca di ben comunicare, meglio si comunica. La salute è un ta-
lento: con la cura migliora. Le inclinazioni naturali sono talen-
ti: prendendone atto possiamo utilizzarle nel modo migliore. I
beni che possediamo sono talenti: trafficandoli e spendendoli
bene diventano utili per la famiglia e per la società. La bellezza
è un talento: curarla e mantenerla è un dovere. La gioia e il sor-

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riso sono talenti: usandoli allietano noi e gli altri. L’equilibrio


mentale è un talento: non dobbiamo perdere l’autocontrollo e
dobbiamo aiutarci vicendevolmente a mantenere la calma. La
capacità di pregare è un talento: più si prega, meglio si prega.
La capacità di amare e di perdonare sono talenti: se si usano
migliorano noi e la società. La pazienza è un talento: se la per-
diamo è difficile ritrovarla. La buona volontà e il buon senso
sono dei talenti: valorizzano tutti gli altri.

XXII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Scandali inconsapevoli
Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare
a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei
sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro
lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia,
Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro:
«Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo
Dio, ma secondo gli uomini!». Mt 16,21-23

Gesù aveva chiesto agli apostoli: «Ma voi chi dite che io sia?»
(Mt 16,15). Pietro aveva risposto: «Tu sei il Cristo, il Figlio
del Dio vivente!» (Mt 16,16). E Gesù dopo averlo proclamato
beato, perché oggetto di quella rivelazione del Padre, aggiunge:
«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le
potenze degli inferi non prevarranno su di essa» (Mt 16,18). A
questo punto inizia il vangelo di oggi. Gesù, pensando di tro-
varsi di fronte a persone alle quali il Padre rivela i propri disegni
come li ha rivelati a lui, comincia a parlare loro del suo destino
terreno, della passione e della morte in croce che lo attendono.
Pietro, allora, forte del ruolo che gli è stato da poco affidato, lo
prende in disparte e gli dice: «Dio non voglia, Signore; questo
non ti accadrà mai».
Gesù allora, vedendo che Pietro era stato illuminato dal
Padre su una parte della verità messianica, ma non su tutta,
prende da lui le distanze, perché avverte la tentazione a non
realizzare il programma di salvezza del Padre, ed esce con quella
frase, di fronte alla quale Pietro rimane fulminato: «Va’ dietro

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a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo


Dio, ma secondo gli uomini!». Il povero Pietro su questa parte
della verità non è stato certo illuminato dal Padre, ma è per
l’amore verso il Maestro, che si rifiuta di accettare per lui un di-
segno di salvezza così tragico. Abbiamo ripercorso, passo passo,
le tappe che hanno portato a quella situazione di momentanea
incomprensione tra Gesù e Pietro, perché questo è un errore
nel quale, a motivo dell’affetto, possono cadere anche i genito-
ri, quando si trovano di fronte a un figlio che comunica loro un
programma di vita eccezionale, come potrebbe essere una chia-
mata missionaria. Non sempre noi genitori siamo abbastanza
grandi, quando si tratta di condividere le scelte coraggiose dei
figli. Allora, essi, dopo aver ascoltato le motivazioni e i sugge-
rimenti dei genitori, è bene che prendano le loro libere deci-
sioni, nella preghiera. Lo scandalo, infatti, è l’impedimento a
non compiere la volontà di Dio, e, in certe circostanze, anche i
genitori possono scandalizzare i figli.

XXII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Pregare per capire
Di sabato, [Gesù] entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu
dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era
scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato
con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a
proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in
libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse
il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di
tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta
questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza
ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e
dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Lc 4,16-22

La parola di Dio è rivelazione e creazione: nel momento in


cui rivela una verità, crea i presupposti perché questa si realizzi.
Anche noi qualche volta, quando abbiamo avuto dei dubbi su
una scelta da fare, ci siamo messi in preghiera e il Signore ci ha

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illuminati, spesso tramite qualche versetto della Bibbia che, in


quel momento, è stata la risposta al nostro problema. È vero
che il Signore ci ha donato l’intelligenza e una certa dose di
buon senso per discernere la via da percorrere nelle diverse si-
tuazioni della vita, tuttavia non sempre c’è una strada sola. Al-
lora conviene metterci a pregare, come i primi apostoli quando
hanno dovuto eleggere il sostituto di Giuda. Pietro disse: «“Bi-
sogna dunque che uno divenga testimone, insieme a noi, della
sua risurrezione”. Ne proposero due: Giuseppe, detto Barsabba
e Mattia. Poi pregarono dicendo: “Tu, Signore mostra quale di
questi due tu hai scelto”. Tirarono a sorte fra loro e la sorte cad-
de su Mattia, che fu associato agli undici apostoli» (At 1,15-26).
Prima di gettare le sorti, che vuol dire proprio gettare i da-
di, il loro discernimento li aveva portati a due persone che,
secondo loro, avevano entrambe i presupposti per diventare
apostoli. A quel punto, per scegliere, c’era bisogno della fede e,
in preghiera, hanno offerto la scelta al Signore. Altre volte può
succedere che il Signore stesso prenda l’iniziativa, illuminando
una persona, una situazione, o un versetto delle Sacre Scritture,
mentre i fratelli di fede sono in preghiera. È ciò che è successo
a Gesù nella sinagoga di Nazaret, al quale, aperto il rotolo di
pergamena del profeta Isaia, lo Spirito ha fatto annunciare: «Lo
Spirito del Signore è sopra di me: per questo mi ha consacrato
con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri un lieto
annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi
la vista; a rimettere in libertà gli oppressi». È stata esattamente
la missione di Gesù nella sua vita terrena e, con l’aiuto dello
Spirito Santo, lo è per la chiesa, anche oggi.

XXII settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Il cammino di liberazione
Poi scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava
alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva
autorità. Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio
impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno?
Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». Gesù gli ordinò

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severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo


alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male. Tutti furono presi da
timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda
con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua
fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante. Lc 4,31-37

Nel vangelo di oggi, in Gesù di Nazaret ammiriamo il potere


sulle forze del male, la libertà interiore nei confronti della legge
giudaica che gli impedirebbe di operare nel giorno di sabato, e il
parlare con autorità durante l’insegnamento nella sinagoga. At-
teggiamenti tipici di chi ha la situazione in mano e le idee chiare
su ciò che si deve fare e si deve dire. Quando parla in parabole,
siamo colpiti dalla sua capacità di rivelare, con storie semplici,
verità su Dio e sull’uomo taciute da sempre. Quando guarisce i
malati e risuscita i morti, lungo le strade della Palestina, ci stu-
piscono la potenza divina e la compassione verso i bisognosi.
Quando discute con gli scribi e i farisei, ammiriamo la chiarez-
za delle idee e la franchezza dell’esposizione; e quando parla del
Padre ci stupiscono la familiarità e il rispetto che ne ha. In altre
occasioni siamo colpiti dall’amore e dalla capacità di perdono
nei confronti dei peccatori, che la società allontana e condanna.
Non c’è, in Gesù di Nazaret, un atteggiamento che non ci
stupisca e che non si contrapponga al nostro limitato modo di
porsi nei confronti dell’uomo, della società e di Dio. Da dove
viene tanta grandezza? Esiste una sola risposta: Gesù di Nazaret,
essendo nato senza peccato, è al di sopra dei limiti umani. Sono
i nostri limiti che ci impediscono di amare, perdonare, essere
liberi, farci comprendere le verità su Dio e sull’uomo, parlare
con franchezza, e operare con sicurezza e autorità nelle varie
circostanze della giornata. Se questa è la situazione, abbiamo
un unico modo per elevare a livello superiore la nostra umani-
tà: iniziare un cammino di conversione alla sequela del Signore
e combattere la nostra inclinazione al peccato, abbeverandoci
ogni giorno alla fonte del vangelo e ricevendo con frequenza i
sacramenti. È un cammino impegnativo, ma darà come frutti
una maggiore grandezza umana e cristiana. I risultati li abbia-
mo già visti in diverse persone che, con un cammino simile, si
sono letteralmente trasformate. Pur rimanendo peccatori è la
strada della santità.

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XXII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


La suocera di Pietro e la nonna Betta
Uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone
era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei,
comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li
serviva. Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie
malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li
guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di
Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano
che era lui il Cristo. Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto.
Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché
non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la
buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato
mandato». E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea. Lc 4,38-44
Alla nostra famiglia, la suocera di Pietro che, guarita, si alza
da letto e prepara la cena, ricorderà sempre la nonna Betta. Da
giovane aveva dovuto combattere contro non poche malattie.
Poi, con il passare degli anni, aveva dovuto affrontare gli inevi-
tabili acciacchi della vecchiaia, ma ogniqualvolta recuperava le
sue energie, si metteva svelta svelta a servire la famiglia. I biso-
gni erano tanti e lei prediligeva quelli legati alla sua professione
di sarta, dal vestiario alla biancheria; ma era sempre pronta, al-
l’occorrenza, a darsi da fare pure in cucina. Con i mestoli ci sa-
peva fare e, come ricordiamo con nostalgia, era prontissima nel
trasformarli in mezzi educativi, battendoli energicamente sul
sedere del nipote disubbidiente di turno. La suocera di Pietro e
la nonna Betta: da entrambe ci viene una grande lezione sul mo-
do migliore per ringraziare il Signore del suo amore verso di noi,
riversandolo sugli altri con la concretezza dei piccoli gesti quo-
tidiani. Gesti ripetitivi e nascosti, ma proprio per questo prezio-
sissimi. La gente è colpita dalle grandi manifestazioni d’amore
per il prossimo, seguite da riconoscimenti e ammirazione; ma
forse l’attenzione quotidiana a chi ci è più vicino, la fatica di
rinnovare ogni giorno gesti concreti di amore, è un bene anche
superiore. La carità autentica è sempre attiva, non si ferma, non
ha bisogno di pause e neppure le desidera. Perché, quando si
ama, c’è sempre qualche altra cosa buona, e gradita, che si può
fare per l’altro. E se non ci fosse, la si può sempre inventare.

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XXII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Andare al largo
Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio,
Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla
sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era
di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle
folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi
il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro,
abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua
parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e
le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra
barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le
barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò
alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono
un peccatore». Lc 5,1-8

Nella chiamata di Pietro dopo la pesca miracolosa ricono-


sciamo tutti i segni della nostra chiamata e dell’inizio del no-
stro cammino di fede. L’incontro con il Signore è stato per
noi un evento unico, inaspettato, sorprendente e radicale. Il
cammino all’inizio è stato oscuro, diverso da tutto ciò che ci
era noto e che ci pareva ovvio. Poi, con il passare del tempo, la
realtà si è lentamente trasfigurata e abbiamo imparato a leggere
in un modo nuovo gli eventi della vita. La nostra, Signore, non
è stata l’accettazione intellettuale di una dottrina studiata, e
nemmeno l’imitazione del tuo inimitabile modello di vita.Noi
abbiamo seguito te, come un turista segue una guida indigena
che, nella giungla, gli apre il sentiero con il machete. Ora che
siamo anziani e abbiamo ancora dei talenti da trafficare, ti pre-
ghiamo di ascoltare questa nostra preghiera:
Signore, quando, quarant’anni fa, tu sei passato
e hai visto una barca sulla riva:  era la NOSTRA.
I due pescatori stanchi e sfiduciati,
che levavano le reti senza pesci: eravamo NOI.
Quando hai ammaestrato la folla dalla barca,
là ad ascoltarti: c’eravamo NOI.
I due pescatori ai quali hai detto di andare
a pescare al largo: eravamo NOI.

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le due barche tornate a riva


piene di pesci: erano le NOSTRE.
i due pescatori indegni di tanta provvidenza,
in preghiera dinanzi a te,  siamo ancora NOI.
Ora che anche i nostri figli sono usciti
a pescare e la nostra barca è ancora BUONA,
chiedici, Signore, di riprendere il largo
e di tornare, ancora una volta a PESCARE.
Non siamo più giovani, ma siamo esperti,
possiamo ancora prendere pesci: se TU VUOI.
Ci piace il mare e il vento che gonfia le vele,
e non siamo stanchi di pescare,  SIGNORE!

XXII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


La festa e il digiuno
Allora gli dissero: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno
preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!».
Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo
sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora
in quei giorni digiuneranno». Diceva loro anche una parabola: «Nessuno
strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio;
altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal
nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo
spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo
bisogna versarlo in otri nuovi». Lc 5,33-38

I primi versetti del vangelo che oggi la chiesa ci propone,


ci inducono a riflettere sui momenti di convivenza gioiosa tra
fratelli di fede. Gesù deve proprio difendere la gioia della con-
vivialità da coloro che gli rimproverano di non digiunare. Nella
sua risposta agli scribi, ho rivisto la scena di domenica mattina,
verso mezzogiorno, quando la cucina si è affollata di nipotini
che si contendevano le mie frittelle salate, muniti di tovaglio-
lini di carta, per essere pronti a farne scorta non appena io le
avessi tolte dalla padella fumante. Mi sembra di vedere ancora
quegli occhi felici e quelle manine unte. Sono certa che questi

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momenti siano graditi al Signore, perché la gioia dei piccoli ali-


menta la gloria del Padre. Tuttavia non sempre, durante il corso
della vita, si può essere gioiosi: talvolta i problemi incombono
e i dolori possono piombarci addosso da un momento all’altro.
Quelli saranno i momenti della prova e del digiuno.
Anche il digiuno è un momento di gloria, perché ci permet-
te di condividere le sofferenze dell’umanità, come ci ha detto
più volte la Madonna a Medjugorje. Sono momenti da copri-
re di riservatezza, da vivere in intimità con il Signore, come
una sorta di preghiera silenziosa che ci cala nelle sofferenze del
mondo e ci permette di farcene un poco carico. Ma la dome-
nica è il giorno del Signore e, secondo sant’Agostino, è peccato
essere tristi in questo giorno. Allora facciamo festa: mostriamo
il volto gioioso dell’essere cristiani, accogliendo i nostri cari
e condividendo quanto abbiamo di buono, dalla pastasciutta
con il ragù, al Chianti della nostra amata Toscana, dai racconti
scherzosi del nonno, ai dolci di Anna Rita. E quando si festeg-
gia un compleanno, perché non cantare tutti insieme, anche
noi stonati? Tanto Silvia copre tutto con la sua chitarra!

XXII settimana del Tempo Ord. – Sabato (Anno dispari)


La liberazione integrale dell’uomo
Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano
e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. Alcuni farisei dissero:
«Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?». Gesù rispose loro:
«Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni
ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne
mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se
non ai soli sacerdoti?». E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del
sabato». Lc 6,1-5

«Il Figlio dell’uomo [Gesù Cristo] è signore del sabato»,


conseguentemente «il sabato è stato fatto per l’uomo e non
l’uomo per il sabato!» (Mc 2,27). Gesù Cristo non è venuto in
terra solo per liberare l’uomo dal peccato, ma anche dalle for-
malità della legge e dalle regole. I riti, il culto e le formule sono
espressione della fede, non sono fini a se stessi. Quando non è

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così, l’uomo viene schiacciato e strumentalizzato e finisce per


essere al servizio del sistema religioso: non è più un cavallo libe-
ro di correre nella prateria del regno dei cieli, è domato e gli si
può far fare di tutto. Accade, allora, che la strumentalizzazione
dell’uomo, partendo dalla religione, si estenda a tutte le attività
umane. Nel mondo moderno essa costituisce la base organiz-
zativa della società, nella quale l’uomo è schiavo del progresso
tecnologico, del sistema economico, del consumismo, della
produzione per la produzione, del benessere per il benessere e
della burocrazia per la burocrazia. Così, l’uomo che era il fine
del sistema economico-produttivo ne è diventato lo strumento.
Sorge, allora, nel cristiano, l’esigenza di utilizzare la fede come
grimaldello per la liberazione integrale dell’uomo, per riportar-
lo a essere signore della vita e della storia.
Tutto questo la chiesa l’ha compreso da tempo e, partendo
dall’enciclica Rerum novarum di papa Leone XIII, ha condotto
un secolo e mezzo di battaglie sociali per la liberazione dell’uo-
mo. È stata essenzialmente la chiesa a contrastare il capitalismo
e il comunismo perché non rendessero l’uomo uno strumento
del sistema, privo di libertà materiale e spirituale. La battaglia,
però, è ancora in atto; anzi, dai paesi occidentali si è allargata a
tutto il mondo. È diventata una guerra globale, nella quale la
chiesa combatte, quasi da sola, per la liberazione dell’uomo da
ogni schiavitù. E certamente vincerà, perché Gesù Cristo, che è
«signore del sabato», ha già vinto con la sua morte e risurrezione.
In forza di questa vittoria, anche l’uomo tornerà a essere signore
del sabato, del progresso economico e del sistema produttivo.

XXII settimana del Tempo Ordinario – Sabato (Anno pari)


L’astrologia e il fatalismo
Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici, con la mente intenta
alle opere cattive; ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne
mediante la morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili
dinanzi a lui; purché restiate fondati e fermi nella fede, irremovibili nella
speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunciato in
tutta la creazione che è sotto il cielo, e del quale io, Paolo, sono diventato
ministro. Col 1,21-23

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Paolo non è mai stato a Colossi, una città dedita al com-


mercio, situata in un nodo stradale della Frigia meridionale,
vicino all’Acaia. Il fondatore di quella comunità è stato Epafra,
un ricco commerciante che probabilmente, durante i suoi gi-
ri d’affari, aveva conosciuto Paolo a Efeso e si era convertito.
Epafra è sempre rimasto in contatto con Paolo, al quale chie-
deva spesso consigli pratici e dottrinali per guidare la chiesa di
Colossi. In quella comunità era cominciato a serpeggiare un
certo movimento gnostico, nel quale si dava grande rilievo alle
potenze «angeliche», considerate come necessari anelli di con-
giunzione tra gli uomini e Dio, e alle quali veniva accreditata
una grande influenza sul cosmo, in particolare sugli astri e sui
loro condizionamenti nella vita degli uomini. Sono problemi
che, ai giorni nostri, stanno creando astrologi, maghi e carto-
manti, che inducono le persone più deboli al «fatalismo» e al
«predeterminismo», depauperando completamente la potenza
redentrice di Gesù Cristo.
Nella lettura di oggi Paolo, contro tale sottile errore, riven-
dica in pieno la preminenza universale del Signore, sia sul pia-
no della creazione che in quello della redenzione. Paolo ricorda
ai cristiani della comunità di Colossi a quale miseria spirituale
Cristo li abbia sottratti, mediante il sacrificio della sua morte in
croce: «Egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne median-
te la morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili
dinanzi a lui; purché restiate fondati e fermi nella fede». An-
che ai nostri giorni, purtroppo, molte persone perdono, quasi
inconsapevolmente, la fede nella potenza redentrice di Gesù
Cristo, perché si abbandonano al fatalismo di astrologi, maghi
e cartomanti, i quali operano solo a proprio vantaggio.

XXIII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Le sberle pedagogiche
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo
fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non
ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia

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risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo
alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il
pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete
sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra
sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si
metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei
cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì
sono io in mezzo a loro». Mt 18,15-20

Alcuni anni fa si commentava questa pagina del vangelo du-


rante la preghiera del mattino. Nacque, più o meno, un dialogo
come questo: «Gianfilippo! se Gianlorenzo fa qualcosa che non
avrebbe dovuto fare, tu come ti comporti?». «Se la cosa non
mi riguarda, pensateci voi genitori, ma se fa qualcosa a me ci
penso io personalmente». «E che cosa gli dici?» «Niente, gli do
due sberle». «Ma il vangelo dice che prima bisogna parlare, per-
ché si renda conto del suo errore». «Va bene. E se non capisce,
gliele posso dare due sberle?». «No, Gianfilippo! il vangelo dice
che devi tornare a parlargli insieme a Giannandrea, e magari
con Anna Rita». «Ancora? Ma se non si rende conto è inutile
parlare tanto». «È vero, ma il vangelo dice che se non capisce
ancora bisogna parlarne in assemblea, per esempio raccontare
i fatti durante questa preghiera del mattino, in modo che tutti
possano portare il loro contributo alla risoluzione delle vostre
divergenze». «Insomma, due sberle non si possono più dare?».
«No, bisogna cercare di risolvere le controversie con il coinvol-
gimento dei genitori, parlando insieme». «E se quello non capi-
sce mai, nemmeno durante la preghiera del mattino?». «Allora
il vangelo dice che Gianlorenzo dovrà essere per te come un
pagano e un pubblicano, cioè un estraneo».
«Ah, finalmente! Due sberle, allora, gliele posso dare». «No
Gianfilippo! Gesù dice che ai pagani e ai pubblicani non si
devono dare sberle, si deve annunciare il vangelo». «E che cosa
vuol dire, che si deve cominciare a parlare di nuovo?». «Ecco,
è proprio così!». «Insomma le sberle non esistono più. Allora
perché ogni tanto voi ce le date?». «Ma quelle, Gianfilippo, so-
no sberle pedagogiche, per aiutarvi a crescere». «Ecco, anche io
gli do subito due sberle pedagogiche e non ci penso più!».

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XXIII settimana del Tempo Ord. – Lunedì (Anno dispari)


Il nostro perbenismo è spazzatura
Un altro sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era
là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei
lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare
di che accusarlo. Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che
aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si
mise in mezzo. Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato,
è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E
guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo
fece e la sua mano fu guarita. Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a
discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù. Lc 6,6-11
Al lettore che si accinge a meditare, un giorno dopo l’altro,
le pagine del vangelo, si va progressivamente configurando il
mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio e Dio stesso: rimette i
peccati, partecipa al banchetto dei peccatori, trasforma l’acqua
in vino nelle situazioni senza speranza, offre a piene mani il pa-
ne della Provvidenza, compie miracoli e guarigioni, e si dichia-
ra signore del sabato, perché il tempo dell’attesa è felicemente
concluso. Di fronte a tale rivelazione, incontriamo tuttavia la
resistenza degli scribi e dei farisei ad accogliere il messaggio di
questa vita nuova che ha fatto irruzione nella storia.
A che cosa è dovuta la difficoltà dell’uomo, in particolare
di quello più evoluto, ad accettare questo lieto messaggio di
libertà, rifugiandosi di continuo nella legalità che rende schia-
vi? L’uomo preferisce, forse, la sicurezza mortifera del passato
alla vita nuova, come il popolo ebreo ha rimpianto la schiavitù
dell’Egitto di fronte alla libertà del deserto?
Chi non apre la mano inaridita, per cogliere la novità del
vangelo, come il miracolato del brano di oggi, ma difende con
le unghie e con i denti il niente della propria esistenza, non sco-
pre l’ebbrezza della vita nuova che pulsa nel cuore di chi si pone
alla sequela di Gesù Cristo. Rimane fossilizzato nel suo passato,
senza senso e senza speranza. Più che il rischio dell’ateo che, in
quanto tale, è sempre alla ricerca della verità e dell’assoluto, è
quello di chi vive una religiosità abitudinaria e triste. In questo
brano i farisei, che non si aprono al vangelo e preferiscono che

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quell’uomo rimanga nella sua malattia, rischiamo di essere noi


se, ogni giorno, come il paralitico ha aperto la sua mano, non
apriamo il nostro cuore al Signore che viene nella sua parola e
nell’eucaristia. È necessario che operiamo in noi la stessa con-
versione di Paolo, che ha considerato «spazzatura» la «giustizia
che deriva dall’osservanza della Legge». Anche il nostro per-
benismo religioso è spazzatura «di fronte alla sublimità della
conoscenza di Cristo Gesù, mio [nostro] Signore» (Fil 3,6-8).

XXIII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì (Anno pari)


Il mistero rivelato a Paolo
Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento
a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo
corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione
affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio,
il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi
santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero
in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che
noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni
sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. Per questo mi affatico
e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza. Voglio
infatti che sappiate quale dura lotta devo sostenere per voi. Col 1,24-2,1
In questo brano della Lettera ai Colossesi, Paolo ci svela il
«mistero nascosto da secoli e generazioni». Il mistero è questo:
Cristo è morto e risorto per tutti gli uomini, per gli ebrei e
per i pagani. «È lui infatti – dice Paolo – che noi annunziamo,
ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapien-
za, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo». Cioè, l’uomo
di ogni razza e di ogni tempo raggiunge tanto più la propria
perfezione quanto più progredisce nella fede in Gesù Cristo e
si pone alla sua sequela per un cammino umano e cristiano. È
questo il mistero che il Signore non ha rivelato, con altrettanta
chiarezza, a nessun altro prima di Paolo. Forse qualcosa aveva
intravisto il profeta Isaia, quando parlava del servo di Jahvè:
«Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi

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seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità


di noi tutti» (Is 53,6).
È stupefacente che Cristo sia morto sul Calvario per salvare
«noi tutti», uomini di ogni luogo e di ogni tempo. È un mi-
stero d’amore da contemplare in silenzio, in adorazione della
croce, perché è da lì che nasce la spinta all’evangelizzazione.
«Per questo – dice Paolo – mi affatico e lotto, con la forza che
viene da lui e che agisce in me con potenza». È la battaglia per
l’annuncio del vangelo. Di questo mistero, oggi Paolo ci anti-
cipa un aspetto che riguarda la chiesa e ogni cristiano: «Voglio
infatti che sappiate quale dura lotta devo sostenere per voi».
La missione è impegno e, talvolta, sofferenza, ma è la forma
più elevata dell’amore che possiamo donare al prossimo. È un
mistero del quale, guidati da Paolo, abbiamo voluto parlare,
perché conoscendolo possiamo sopportare con gioia le piccole
croci di ogni giorno, attraverso le quali diveniamo «corredento-
ri» di Cristo, a vantaggio di coloro che incontriamo sul nostro
cammino.

XXIII settimana del Tempo Ord. – Martedì (Anno dispari)


È Cristo l’unico Signore
Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate,
radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato,
sovrabbondando nel rendimento di grazie. Fate attenzione che nessuno
faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla
tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.
È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi
partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di
ogni Potenza… con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti
mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con
lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe…
annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci
era contrario… Col 2,6-14

Abbiamo letto, tre giorni fa, che nella comunità di Colossi


era attecchita l’erba malefica dell’astrologia, e di come questa

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impoverisse la fede in Cristo. Nel brano di oggi, Paolo, dopo


aver esortato i fratelli di quella comunità a rimanere saldi nella
fede, li mette in guardia dalle false credenze astrologiche, alle
quali era stato dato il nome sontuoso di «filosofia»: «Fate atten-
zione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con
vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana».
C’è un solo mezzo, ai tempi di Paolo come oggi, per non
farsi ingannare da questi mestatori: rimanere abbarbicati a
Cristo, come alla radice che alimenta la propria vita. È questa
la medicina che Paolo suggerisce: «È in lui [Cristo] che abita
corporalmente tutta la pienezza della divinità... con lui sepolti
nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella
potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti».
Cristo non può essere sostituito da nessun’altra credenza,
perché possiede la natura divina in tutta la sua «pienezza» e ri-
sponde completamente a tutti i quesiti dell’uomo. Ricordo una
signora che aveva iniziato un bel cammino di fede ma, essendo
sorti alcuni problemi in famiglia, era andata a farsi leggere le
carte da una sedicente maga, con il risultato che ha perso la
fede, ha speso molti soldi e i suoi problemi si sono addirittura
aggravati.
L’unico antidoto contro le difficoltà della vita sono la pre-
ghiera e i sacramenti: non c’è di meglio che una buona con-
fessione e una frequente eucaristia. Gli astrologi, i maghi e i
cartomanti non possono risolvere alcun problema. È Cristo
l’unico Signore.

XXIII settimana del Tempo Ordinario – Martedì (Anno pari)


La struttura della chiesa
In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la
notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne
scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale
diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni,
Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone,
detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il
traditore. Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran

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folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea,


da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per
ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano
tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di
toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti. Lc 6,12-19

Nel vangelo di oggi nasce la configurazione della chiesa, arti-


colata in cerchi concentrici: al centro c’è Gesù Cristo in comu-
nione e in dialogo continuo con il Padre; viene poi il piccolo
cerchio degli apostoli, con un ruolo di rappresentanza; quindi
il cerchio più ampio dei discepoli, chiamati alla sequela del Si-
gnore; infine c’è la folla che simboleggia l’umanità in cammino
verso di lui. È una visione che mi ricorda i cerchi concentrici
che si formavano quando, da ragazzo, gettavo i sassi nell’Arno:
si allargavano sempre più fino a raggiungere le due sponde del
fiume. Allontanandosi dal centro, però, diventavano sempre
meno visibili, contrastati dall’acqua circostante che opponeva
loro resistenza.
È il rischio che corre la chiesa via via che, nel tempo, si al-
lontana da quella originaria descritta all’inizio degli Atti degli
apostoli: «Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli
e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere...
e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i
credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; ven-
devano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti,
secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno... spezzando il pa-
ne nelle case prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore,
lodando Dio» (At 2,42-47).
Con il passare del tempo si è molto perduto il senso della
condivisione, della letizia, della semplicità di cuore, della pre-
ghiera insieme e della lode. Ogni tanto, però, il Signore in-
via qualche santo a gettare un altro sasso nel fiume, cosicché i
cerchi concentrici riprendano forza ed evidenza. Negli ultimi
tempi ne sono stati inviati diversi: san Pio da Pietrelcina, Ma-
dre Teresa di Calcutta, papa Giovanni Paolo II. Anche oggi, a
motivo della fede, molti vengono «guariti dalle loro malattie» e
altri «tormentati da spiriti impuri» vengono liberati. E l’opera
di salvezza del mondo continua.

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XXIII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Le beatitudini sociali di Luca
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete
saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli
uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e
disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa
è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i
profeti». Lc 6,20-23

Matteo, nel suo Vangelo, ci parla delle beatitudini in modo


solenne, descrivendo soprattutto l’atteggiamento interiore e le
disposizioni del cuore, senza le quali nessuno può entrare nel
regno dei cieli: «Beati i poveri in spirito, beati gli afflitti, beati i
miti, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore, beati gli ope-
ratori di pace» (Mt 5,3-12). Le beatitudini descritte da Luca
hanno, invece, un aspetto più sociale; egli si riferisce, piuttosto,
alle situazioni concrete della vita.
La differenza è particolarmente evidente in riferimento al-
la beatitudine degli affamati; Matteo scrive: «Beati quelli che
hanno fame e sete della giustizia»; Luca, invece, parla di fame
concreta: «Beati voi che ora avete fame». E soprattutto Luca
non si riferisce alle beatitudini e ai beati in generale; egli inizia
le frasi con «voi» e ribalta completamente il sistema dei valori
sui quali noi progettiamo la vita, le relazioni, i giudizi e le scel-
te. Luca non parla della povertà di spirito, ma di poveri con-
creti, di coloro che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese.
Egli, in altre parole, ci dice che c’è un modo beato di vivere le
situazioni negative della vita, nelle quali possiamo incontrare
anche la gioia: è il viverle nella speranza e nella consapevolezza
che alla fine la giustizia vincerà.
Le beatitudini di Luca sono rivolte ai poveri, ai disoccupati,
agli sfruttati e agli immigrati: a tutti coloro che dalla vita atten-
dono risposte concrete. E forse aspettano delle risposte anche
da noi.
Donaci, Signore, la generosità di corrispondere ai bisogni
del nostro prossimo.

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XXIII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


La sorgente della vita
«Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a
quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro
che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a
chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque
ti chiede… E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi
fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta?
Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro
che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori
fanno lo stesso… Amate invece i vostri nemici, fate del bene… e la vostra
ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo
verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro
è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate
e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà
dato… perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in
cambio». Lc 6,27-38

Oggi ci troviamo di fronte a una pagina del vangelo davvero


rivoluzionaria. Gesù ci esorta a vivere esattamente al contrario
della nostra inclinazione naturale: amate i nemici, fate del bene
a chi vi odia, benedite chi vi maledice, porgete l’altra guancia
a chi vi dà uno schiaffo, date anche la tunica a chi vi prende il
mantello, donate senza sperare in alcun vantaggio di ritorno;
non giudicate, non condannate, siate misericordiosi, donate
ciò che avete.... Praticamente è come se ci dicesse: «In ogni
circostanza della vita fate il contrario di ciò che pensereste di
fare e acquisterete dei meriti nella banca del cielo». Si tratta
soltanto di meriti di cui godremo quando saremo nell’aldilà, o
potremo riscuotere dei frutti anche prima? Quella promessa di
Gesù «con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi
in cambio», è valida solo per il cielo o si realizza anche in terra?
Vi confesso che il modo di vivere propostoci dal vangelo, è
stata la battaglia più difficile che abbia dovuto combattere con
me stesso da quando ho incontrato il Signore. Non sempre
ho vinto, ma quando ci sono riuscito, mi son reso conto di
essere arrivato alla sorgente della vita. È Dio la sorgente dalla
quale sgorgano, continuamente e abbondantemente per tutti,
amore, benedizione, provvidenza, misericordia e perdono. È

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un flusso divino di vita che ci raggiunge, ma che può diventare


solo un piccolo gocciolio se noi chiudiamo il nostro rubinetto
verso gli altri. Se, invece, lo apriamo completamente, diventa
una corrente impetuosa di vita divina, in grado di inondare
la famiglia, l’ambiente di lavoro, la società e il mondo che ci
circonda. Vediamo allora nascere intorno a noi i frutti del be-
nessere, della bontà, dell’amore e della pace. Solo se apriamo il
nostro rubinetto.

XXIII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


I cinque sassi dei genitori
Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro
cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?… Perché guardi la pagliuzza
che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel
tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la
pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel
tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai
bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello». Lc 6,39-42

Questa di oggi la potremmo chiamare la parabola delle fi-


gure genitoriali: genitori, nonni, sacerdoti, maestri, educatori
e responsabili di comunità. Essa è divisa in due parti: la pri-
ma sconsiglia a un cieco di guidare un altro cieco perché en-
trambi rischierebbero di cadere in una buca; la seconda, con
l’immagine della pagliuzza, esorta a non guardare al peccato
del fratello, se prima non si è risolto il problema del nostro
peccato. Purtroppo siamo tutti un po’ ciechi e peccatori, però
ci sono dei ruoli, come quelli delle figure genitoriali, le quali,
nonostante i propri limiti, non possono esimersi dal guidare e
anche dal correggere le persone loro affidate. Come possiamo
fare dal momento che non è facile vivere in stato di santità?
L’unica soluzione è quella di combattere ogni giorno contro i
propri limiti e il proprio peccato. Per grazia di Dio sono dispo-
nibili delle armi che permettono di condurre questa battaglia
con un certo successo: la preghiera, la meditazione delle Sacre
Scritture, l’eucaristia, la confessione frequente e il digiuno. Ci
ricordano i cinque sassi che il pastorello Davide prese sul greto

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del fiume per affrontare il gigante Golia. Sono gli stessi che de-
vono raccogliere i genitori e tutti coloro che hanno il ruolo di
guida e di correzione, perché il peccato e i limiti personali sono
spesso un gigante Golia. Qualche anno fa ci è stato affidato il
compito di aiutare una comunità di famiglie in crisi a tirarsi
fuori dalla loro situazione. Abbiamo iniziato a parlare con tutti
i componenti della comunità, escludendo solo i piccoli perché
non rimanessero scandalizzati. Nell’ascolto sono venute fuori
cose incredibili, che ci hanno fatto toccare con mano come il
demonio possa distruggere anche le realtà più belle, utilizzando
l’unica arma che ha a sua disposizione: l’inclinazione dell’uo-
mo al peccato. Poiché le persone più compromesse erano pro-
prio i responsabili, non c’è stata altra soluzione che quella di
sciogliere la comunità, cercando di assicurare alle famiglie che
ne facevano parte una casa e un lavoro. Cosa che, con l’aiuto di
Dio, è stata resa possibile. All’inizio era una gran bella comu-
nità, ma con il tempo avevano lasciato cadere a terra i cinque
sassi necessari: preghiera, meditazione delle Sacre Scritture, eu-
caristia, confessione e digiuno.

XXIII settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Le due case
«Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica,
vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa,
ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta
la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché
era costruita bene. Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile
a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il
fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».
 Lc 6,47-49

Il vangelo di oggi ci presenta due case: la prima è fondata


sulla roccia, resiste alle tempeste ed è quella nella quale tut-
ti vorremmo abitare; la seconda, costruita sulla terra, è invece
destinata a crollare al sopraggiungere del maltempo, e nessu-
no la sceglierebbe come propria abitazione. L’immediatezza di
queste immagini ci fa vedere, quasi fisicamente, la rovina che,

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prima o poi, travolgerà chi sceglie di non costruire la propria


vita su Gesù Cristo e sui valori del vangelo. Pochi giorni fa
stavamo riflettendo sull’improvviso precipitare della situazione
professionale e sentimentale di un nostro caro amico. Eravamo
profondamente tristi per la nostra impossibilità ad aiutarlo e,
al tempo stesso, molto colpiti da quanto fosse stato repentino
il suo tracollo, dal momento che, fino a poco tempo prima, egli
si trovava in una situazione da molti considerata invidiabile.
«Ma purtroppo era un castello costruito sulla sabbia!», ha
spiegato il babbo. Molto spesso, infatti, all’origine di situazioni
che divengono inspiegabilmente complicate e dolorose, vi sono
scelte che ci hanno allontanato dal progetto di bene e di amore
che il Signore ha per ciascuno di noi. Si sceglie di costruire
sulla sabbia di impulsi, sentimentalismi e passioni; realtà che,
allontanandoci dalla grazia di Dio, ci privano della sua prote-
zione. Il relativismo imperante nell’odierna cultura ci ha abi-
tuati a giustificare tutto, confondendo l’imperativo evangelico
a non giudicare il prossimo, con l’accettazione indifferente di
ogni comportamento, anche il più lontano dai valori del van-
gelo. Così rischiamo di confondere tutto e di smarrire il sen-
so dell’insegnamento di oggi: solo le case costruite sulla roccia
della grazia del Signore potranno resistere alle tempeste della
vita. Queste ci saranno comunque, e per tutti, ma chi ha scelto
di basare la propria esistenza sugli insegnamenti del vangelo
riceverà la forza per resistere fino al ritorno del sereno.

XXIV settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Vivere per il Signore
Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso,
perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo
per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per
questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore
dei morti e dei vivi. Rm 14,7-9

Quando cammino per le strade della città mi sorprendo


spesso a pensare che ogni persona che incrocio abbia un sogno
e viva per realizzarlo. C’è chi dedica la propria esistenza ad ac-

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cumulare denaro, chi a seguire i propri ideali, chi a realizzare


i progetti personali, chi a far carriera, chi a procurare il giusto
benessere per la famiglia e i figli, e chi a raggiungere altri obiet-
tivi, anche meno nobili. Nessuno vive per la libertà, ma tutti la
perseguono, come condizione per realizzare i propri sogni. Le
domande che tacitamente, oggi, ci pone Paolo sono a monte
dei nostri progetti: perché siamo al mondo? chi ha dato origine
alla nostra vita? dove andremo dopo la morte? Se crediamo al
fatto che veniamo da Dio, che ci ha donato la vita e che alla
fine torneremo a lui, egli certamente ha un progetto su di noi,
che dobbiamo ricercare e del quale dovremo render conto.
La domanda allora che mi devo porre non è quali progetti
voglio realizzare, ma qual è il progetto di Dio su di me? Se ci
poniamo questo interrogativo e mettiamo la nostra vita nelle
sue mani, egli non mancherà di comunicarci la sua volontà; e
anche se non lo fa in modo esplicito, farà in maniera da farcela
vivere, magari chiudendo davanti a noi le strade e le porte sba-
gliate. È ciò che è successo a me quando mi sono lanciato nella
politica, oppure quando ho fondato «Ingegneri Oltre», una as-
sociazione Onlus-Ong per realizzare progetti nei paesi in via di
sviluppo. Erano sogni belli, ma erano soltanto miei, il Signore
aveva per me un progetto diverso. Paolo, nel brano di oggi, va
alla radice del problema: «Nessuno di noi, infatti, vive per se
stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, vi-
viamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore».
L’unico Assoluto è Dio! Soprattutto dopo la morte e risurrezio-
ne di Cristo, la nostra vita appartiene a lui per diritto, non solo
perché siamo stati «creati», ma perché siamo stati «riscattati».

XXIV settimana del Tempo Ord. – Lunedì (Anno dispari)


Vangelo senza frontiere
Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione
l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni
anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro,
giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli
conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed

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è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non


era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni
amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri
sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire
da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono
nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno:
“Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’
questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla
folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una
fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il
servo guarito. Lc 7,2-10

Gesù di Nazaret ben sapeva che il piano divino di salvezza è


universale, tuttavia la fede di questo centurione gli mostra che
ogni uomo, anche se pagano, è alla ricerca della verità e in atte-
sa di salvezza. Nel piano di Dio, avrebbe dovuto essere Israel­e,
il popolo eletto, ad annunciare il vangelo a tutto il mondo,
ma quando il seminatore esce a seminare, anche i chicchi che
cadono nel campo del vicino, se trovano terreno buono, at-
tecchiscono e producono grano. È ciò che succede con questo
centurione. Gesù, nel brano di oggi, prende atto che il seme
caduto casualmente nel mondo pagano spesso attecchisce me-
glio di quello seminato tra i giudei: ci sono meno rovi, meno
sassi e meno durezza. Così, rivolgendosi alla folla che lo segue,
dice: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede
così grande!». E in virtù di questa fede il servo del centurione
guarisce. Mi vengono in mente alcuni episodi di quando ero
giovane: in seconda media ero stato rimandato a settembre in
francese e mia madre, durante l’estate, prima di farmi uscire di
casa per andare a giocare a calcio, mi costringeva a svolgere un
tema in quella lingua, che lei conosceva abbastanza bene.
Al mio tavolo sedeva spesso, accanto a me, il figlio di un
contadino, Sergio, che veniva a chiamarmi e aspettava paziente-
mente che io finissi il compito, per poi uscire insieme a giocare.
All’inizio mi attendeva in silenzio, ma verso la fine dell’estate,
dopo aver ascoltato le correzioni di mia madre, che di tanto in
tanto veniva a controllare a che punto fosse il tema, anche Ser-
gio aveva imparato un po’ di francese. Mi stupiva vedere che egli
era in grado di aiutarmi, e lo faceva per uscire prima a giocare. Il
seme attecchisce dove cade, basta che incontri il terreno buono.

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XXIV settimana del Tempo Ordinario – Lunedì (Anno pari)


Preghiera per i governanti
Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande,
suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per
tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma
e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al
cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano
salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e
uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che
ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data
nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico
la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo
mani pure, senza collera e senza polemiche. 1Tm 2,1-8

Timoteo è un giovane di padre greco e madre giudea, che


troviamo a fianco di Paolo fin dal suo secondo viaggio missio-
nario. Egli, del grande maestro, ha subìto il fascino e assimilato
l’anima e il pensiero. Quando Paolo gli scrive la lettera dalla
quale è tratto il brano odierno, Timoteo è responsabile della
chiesa di Efeso. Il tema di oggi è centrato sulla preghiera cristia-
na, che deve avere un’impronta universale: dobbiamo pregare
per tutti, senza distinzione di lingua e di razza, per amici e
nemici, perché tutti hanno il diritto di salvarsi. In particolare,
dice Paolo, dobbiamo pregare per i re, i governanti e le auto-
rità, «perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla,
dignitosa e dedicata a Dio».
È una preghiera a nostro unico vantaggio. All’epoca in cui
questa lettera è stata scritta, Nerone aveva già incendiato Ro-
ma, per cui Paolo, quando esorta a pregare per i governanti,
pensa certamente a lui. Tuttavia è conveniente che anche chi
governa possa vivere in pace, per poter prendere decisioni giu-
ste e oculate. È una preghiera che dobbiamo fare per chi abbia
il compito di governare, partendo dal sindaco della città fino
a coloro che hanno in mano le sorti del mondo. Non è una
preghiera facile, in particolare nel nostro paese, nel quale, se
il governo è di colore politico e di idee diverse dalle nostre, è
più probabile che le persone preghino perché cada. È invece

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importante che noi preghiamo per il buon governo di tutti:


amministratori locali, regionali, nazionali, europei e mondiali.
È ciò che ci chiede Paolo oggi.
Donaci, Signore, dei governanti saggi e lungimiranti, dei
politici onesti e rispettosi del proprio ruolo e di quello altrui.
Donaci, Signore, amministratori fedeli e coscienziosi e dona
anche ai genitori di governare e guidare bene le loro famiglie.

XXIV settimana del Tempo Ordinario – Martedì


I miracoli nel vangelo e nella vita
In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui
camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla
porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio
di una madre rimasta vedova… Vedendola, il Signore fu preso da grande
compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara,
mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il
morto si mise seduto e cominciò a parlare… Tutti furono presi da timore
e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio
ha visitato il suo popolo». Lc 7,11-16

Nei vangeli incontriamo i miracoli della chiamata, quelli


che potremmo definire del discepolato e quelli della missione.
I miracoli sono segni della signoria di Gesù e nascono tutti
dalla sua compassione per le vicende umane, tuttavia in quelli
della chiamata e della missione prevale la caratteristica del se-
gno, mentre in quelli del discepolato prevale la compassione. I
miracoli della chiamata sono quelli che accadono all’inizio del
cammino di fede e attestano che Gesù è il Signore. Basti pensa-
re alle guarigioni che Gesù compie quando Giovanni il Battista
manda i suoi discepoli a chiedergli se egli fosse veramente il
Messia.
Invece i miracoli della missione sono i segni promessi agli
apostoli al momento del grande mandato all’evangelizzazione,
e anch’essi attestano la signorìa di Gesù. «[Gesù] disse loro:
“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni cre-
atura... Questi saranno i segni che accompagneranno quelli

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che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleran-


no lingue nuove... imporranno le mani agli ammalati e questi
guariranno”... Allora essi partirono e predicarono dappertutto,
mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola
con i segni che l’accompagnavano» (Mc 16,15-20).
Questo brano di Marco evidenzia molto bene che i miracoli
della missione promessi agli apostoli coincidono con i miracoli
della chiamata per quelli che crederanno. C’è, in altre parole,
nei segni di Gesù, un senso di circolarità: i miracoli della chia-
mata per alcuni si toccano con quelli della missione per altri.
Anche noi, all’inizio del nostro cammino spirituale, abbiamo
visto il miracolo della guarigione di Maria Carmela e altri; e
quando abbiamo testimoniato il vangelo, abbiamo visto i mira-
coli che il Signore ha compiuto per confermare anche la nostra
parola.
Tra i miracoli della chiamata e della missione ci sono quelli
del discepolato, nei quali la compassione di Gesù prevale sul
segno. Appartengono a questa categoria la moltiplicazione dei
pani, il miracolo continuo della Provvidenza e la risurrezione
del vangelo di oggi, che scaturisce dalla compassione di Gesù
per questa vedova alla quale è morto l’unico figlio. I miracoli
della compassione sono i più belli.

XXIV settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


L’autodifesa dagli altri
«A chi dunque posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è
simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri
così: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato
un lamento e non avete pianto!”. È venuto infatti Giovanni il Battista, che
non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto
il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e
un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”. Ma la Sapienza è stata
riconosciuta giusta da tutti i suoi figli». Lc 7,31-35

Le parole del vangelo di oggi, a una prima lettura, non ci in-


fondono fiducia come di consueto; anzi ci pongono domande

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un po’ inquietanti: non saremo mica anche noi simili a coloro


che Gesù rimprovera tanto severamente? E che cosa hanno fat-
to di così sbagliato?
Per rispondere, occorre riflettere su come, in questi nostri
anni, si corra il rischio di divenire insensibili alle vicende del
prossimo, sordi agli inviti che ci vengono rivolti a partecipare
con gioia a eventi lieti, o a soffrire con chi ci vorrebbe vicini
nei momenti di dolore. Forse perché i vari tipi di spettacolo e
i mezzi di informazione cercano di suscitare in noi sentimenti
esageratamente intensi, cerchiamo di difenderci dagli eccessi di
emotività con una scorza di indifferenza. O forse perché il pre-
sente ci appare pieno di insidie e il futuro così incerto, si finisce
per comportarci come il paguro bernardo, quel piccolo insetto
che sta sulla riva del mare, tra sabbia e sassolini, e che si ritrae
avvitandosi dietro la prima conchiglietta che trova disponibile
non appena qualcuno lo tocca, come se fosse timido; oppure
reagisce pinzando, come se fosse stizzito. Anche noi rischiamo
di «avvitarci» su noi stessi, nel rassicurante guscio del nostro
individualismo, per non rischiare di essere coinvolti dalle vi-
cende del prossimo. A volte addirittura ci difendiamo critican-
do gli altri in maniera malevola e pungente, qualunque cosa
essi facciano, per poterne prendere le distanze senza rimorsi
di coscienza. Oscillando tra indifferenza e giudizi impietosi,
tentiamo di garantirci un’esistenza al sicuro da turbamenti, ma
è un’illusione. Solo se accogliamo l’invito di Gesù ad amare,
ascoltando e partecipando alle vicende liete o tristi degli altri,
possiamo evitare quegli stati di apatia e depressione, oggi tanto
diffusi. La fatica di corrispondere ai bisogni e alle richieste del
prossimo è grande, ma la gioia che ne consegue lo è molto di
più.

XXIV settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


La guarigione interiore
Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui… Ed ecco, una donna, una
peccatrice… portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui,

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piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi


capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo…
disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la
donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da
dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva
due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non
avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro
dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale
ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene»… Poi disse a
lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a
dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla
donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». Lc 7,36-50

«La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!» è la conclusione del


brano del vangelo di oggi e di tutti i miracoli che Gesù ha
compiuto nei tre anni della sua vita pubblica. Per lui la salvezza
è una guarigione globale: del corpo, del cuore, della mente e
dello spirito di una persona. In molti dei miracoli compiuti da
Gesù, tutte queste guarigioni, come nel caso del cieco nato,
si compiono contemporaneamente; altre volte, come nel ca-
so della prostituta di oggi, manca, perché non è necessaria, la
guarigione del corpo. Anzi, si può dire che la guarigione dello
spirito, del cuore e della mente coesistono sempre, quella del
corpo può anche non esservi. Si tratta, in tal caso, di guarigione
interiore, che è quella della quale oggi c’è più bisogno, perché
la malattia della psiche è la più diffusa. Nella guarigione di
questa prostituta sembra che faccia tutto la donna e che Gesù si
limiti a sancire ciò che essa ha già compiuto. E in effetti questa
donna fa molto, ma non tutto, perché la completezza della sua
guarigione la riceve da Gesù, nel momento in cui egli dice: «La
tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». Quando Gesù pronuncia
questa frase, si realizzano la «salvezza», e la «pace» del cuore e
della mente, perché è un comando, allo stesso modo di quan-
do, nella risurrezione di Lazzaro, ha pronunciato «Lazzaro, vie-
ni fuori!». È una grazia di Dio avere, come la donna del van-
gelo di oggi, la consapevolezza del proprio peccato. Quando il
sacerdote ci dice: «Io ti assolvo dai tuoi peccati, va’ in pace» è
Gesù che lo dice e in quel momento noi siamo guariti.
Donaci, Signore, l’umiltà e la fede di avvicinarci con fre-
quenza al sacramento della confessione.

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XXIV settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Il Signore ha bisogno di tutti
In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e
annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici
e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità:
Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni;
Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte
altre, che li servivano con i loro beni. Lc 8,1-3

Le donne ricordate con toni di gratitudine nel vangelo di


oggi – Maria Maddalena, Giovanna, Susanna e altre – che se-
guono Gesù e gli apostoli assistendoli con i loro beni e magari
preparando qualcosa da mangiare, ci insegnano che ciascuno
può essere, a suo modo, missionario. Non tutti sono chiamati
a tenere, in pubblico, grandi discorsi di evangelizzazione; ci
sono persone che sono più portate ai contatti personali, altre
che sono brave ad assicurare i servizi, altre ancora che sentono
il desiderio di pregare per la missione.
Ci sono molte cose da fare nella vigna del Signore: ciascuno
opera secondo i doni che ha ricevuto e le capacità che ha ac-
quisito. In un circo c’è bisogno dell’acrobata, del domatore, del
pagliaccio e di quello che si prende cura degli animali. Si può
iniziare in qualunque modo, ma, con il tempo ciascuno trova il
suo ruolo e la sua strada.
Si racconta che Renato Ranucci – che diventerà un noto
cantante, compositore, ballerino e uomo di spettacolo degli
anni ’50 e ’60 – abbia iniziato la sua carriera proprio in un cir-
co, portando da mangiare agli animali. Un giorno il pagliaccio
si infortunò e il responsabile del circo gli disse: «Vai in scena tu
che qui, nell’ambiente del circo, fai sempre ridere tutti». Così
Renato si trovò improvvisamente di fronte al pubblico, senza
nessun programma preparato e con il compito di improvvisare
uno spettacolo. Non si perse d’animo, cominciò a fare quello
che sapeva fare e fu un trionfo. Quel giorno, nacque Renato
Rascel, grande uomo di spettacolo. Altri, che non avevano le
sue capacità, hanno continuato a portare da mangiare agli ani-
mali per tutta la vita, ma non importa: nel circo, come nella
missione, c’è bisogno di tutti.

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XXIV settimana del Tempo Ord. – Sabato (Anno dispari)


Rendere grazie a Dio
Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella
gioia, presentatevi a lui con esultanza. Riconoscete che solo il Signore è
Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo.
Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode, lodatelo,
benedite il suo nome; perché buono è il Signore, il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione. Sal 99

Al tempo di Gesù, il salmo di oggi veniva considerato il


canto di ingresso al tempio: è una lode a Dio per la sua regalità
universale e per quello che rappresenta per ogni persona. È una
esortazione ad «acclamare» al Signore in ogni momento, a ini-
ziare la preghiera con «esultanza» e a servirlo nella «gioia» du-
rante la giornata, realizzando il progetto che egli ci ha dato da
compiere, mettendo a frutto i talenti ricevuti. Aiutaci, Signore,
a pregare con esultanza, a operare nella gioia, acclamando a te
notte e giorno! Il motivo per iniziare con gioia la giornata, dice
il salmo, è la «riconoscenza» di appartenere a lui: «Riconoscete
che il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo po-
polo e gregge del suo pascolo». Non siamo orfani abbandonati,
siamo gregge del suo pascolo. A noi non manca niente perché
la Provvidenza ci raggiunge in ogni momento: abbiamo il dono
della vita, degli affetti, della casa e del lavoro, e quando questo
viene a mancare, egli provvede a noi in altro modo. Racconta
una leggenda orientale che un cieco, mentre vagava tristemente
per la strada, incontrò un uomo che lo guarì, ridonandogli la
vista. Egli cominciò a esultare per la gioia di poter finalmente
vedere la bellezza del mondo, ringraziando con gratitudine in-
finita il suo guaritore. «E allora – conclude la storiella – perché
noi non ringraziamo il Signore per il dono della vista?». Dona-
ci, Signore, un profondo senso di riconoscenza perché appar-
teniamo a te, per i doni che riceviamo e perché tu provvedi ai
nostri bisogni con generosità!
Successivamente il salmo ci esorta a manifestare la nostra
riconoscenza verso il Signore con «inni di grazie» e «canti di lo-
de». Ogni nostra preghiera deve iniziare con un ringraziamento
per tutto ciò che riceviamo, e alla fine deve sfociare nella lode

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per ciò che egli è: è colui che ha risposto ai veri quesiti della
nostra vita, che ha dato un senso ai nostri giorni e ci ha donato
una speranza eterna. Donaci, Signore, la capacità di ringraziarti
per tutto ciò che ci doni e di lodarti per ciò che sei!
Il salmo si conclude con una esortazione a benedire il Signo-
re perché «il suo amore è per sempre, la sua fedeltà di genera-
zione in generazione». Noi ti benediciamo, Signore, perché sei
misericordioso, perdoni il nostro peccato e il segno di questo
perdono è la tua fedeltà. Tu sei un Dio fedele!

XXIV settimana del Tempo Ordinario – Sabato (Anno pari)


Gesù Cristo illumina il mistero
Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme.
Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada… e gli uccelli del cielo
la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata,
seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i
rovi… la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e
fruttò cento volte tanto»… I suoi discepoli lo interrogavano sul significato
della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno
di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano
e ascoltando non comprendano. Il significato della parabola è questo: il
seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che
l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro
cuore… Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono
la Parola con gioia, ma non hanno radici… Quello caduto in mezzo ai
rovi sono coloro che… si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze
e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno
buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola… la custodiscono e
producono frutto». Lc 8,4-15

A chi sa ascoltare è confidato il mistero del regno di Dio,


agli altri viene comunicato in parabole «perché vedendo non
vedano e ascoltando non comprendano». Per costoro le para-
bole risultano alquanto impenetrabili. Soltanto chi fa la vo-
lontà di Dio e si pone alla sequela del Signore, riceve la luce
per addentrarsi nel mistero della vita. Anch’essa infatti è una
lunga parabola che ci rivela il Signore stesso. È come la nube
che accompagnava Israele nella sua uscita dall’Egitto: «La nube

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

era tenebrosa per gli uni [gli Egiziani], mentre per gli altri [gli
Ebrei] illuminava la notte» (Es 14,20). Per chi si pone alla se-
quela del Signore, egli è la luce che illumina il mistero ed egli
stesso è il mistero da conoscere. Mi ricorda di quando da ra-
gazzo, nelle notti di luna crescente, andavo «a frega» con lo zio
Beppe, tra gli scogli del mare di Castiglioncello. Andare a frega
voleva dire andare a pescare, tenendo in una mano la fiocina
e nell’altra una lampada ad acetilene, per illuminare l’acqua
davanti a noi. Di fronte a quella luce i pesci rimanevano abba-
gliati, si fermavano e noi li potevamo prendere facilmente.
Lo stesso avviene con il mistero sempre fuggevole della vita:
illuminato dalla luce di Gesù Cristo, esso si ferma e si lascia
cogliere. Per chi non ha la lampada, però, il mondo è buio e in-
comprensibile, e il mistero sfugge. Alla sequela del Signore, pe-
rò, «la città non ha bisogno della luce del sole, né della luce del-
la luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello
[Gesù Cristo]» (Ap 21,23). È ciò che mi succedeva da ragazzo,
andando «a frega» con lo zio Beppe nelle notti d’estate.

XXV settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Il giusto salario
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per
prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per
un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove
del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro:
“Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”… Uscì di
nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre… Uscito ancora verso le cinque,
ne vide altri… Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando
fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e
da’ loro la paga…”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero
ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero
ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo,
però, mormoravano contro il padrone… Ma il padrone, rispondendo a
uno di loro, disse: “Amico… Non hai forse concordato con me per un
denaro?… Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non
posso…? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi
saranno primi e i primi, ultimi». Mt 20,1-16

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

Questa parabola degli operai chiamati a ore diverse a lavo-


rare nella vigna, è forse la più difficile da metabolizzare per
una società moderna come la nostra, nella quale la retribuzio-
ne dei lavoratori è regolata dal principio della meritocrazia. È
un criterio che stimola l’impegno di chi lavora, fondamentale
per l’efficienza di un’azienda, però non è l’unico da prendere
in considerazione. C’è un altro criterio da rispettare, per af-
fermare il quale più di un secolo fa nacquero i sindacati e le
lotte sindacali: il sistema retributivo deve essere adeguato ad
assicurare un dignitoso mantenimento di ogni collaboratore e
della sua famiglia. Anche in Palestina, all’epoca di Gesù, vigeva
lo stesso criterio della giusta retribuzione, che era di un denaro
al giorno, e tale cifra il padrone della vigna dà ai primi e agli
ultimi perché tutti possano mangiare e vivere dignitosamente.
Usciamo dalla metafora della parabola ed entriamo nel mes-
saggio teologico: il premio che il Signore dà a tutti gli operai
del regno dei cieli è la salvezza. Non può dare due salvezze a
chi è arrivato prima o mezza salvezza a chi è arrivato dopo. La
salvezza è salvezza: o si è dentro o si è fuori. Purtroppo questa
bontà del Signore che dona la stessa salvezza a tutti i convertiti,
anche a quelli dell’ultima ora, non è sempre condivisa nel pro-
fondo del cuore. Non lo è stata fin dall’inizio, quando la prima
chiesa di Gerusalemme fece molta fatica a seguire Paolo nel suo
progetto di portare l’annuncio del vangelo anche ai pagani. È
per questo motivo che gli ultimi diventeranno i primi: perché
avranno più riconoscenza e più gioia. A meno che i primi non
siano tanto grandi da gioire anche per gli ultimi.

XXV settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Il candelabro della croce
«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto
un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non
c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia
conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate;
perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede
di avere». Lc 8,16-18

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Cerchiamo di comprendere in profondità il messaggio mes-


sianico che si nasconde nei tre versetti odierni. Essi custodi-
scono il segreto per cogliere il mistero su Gesù di Nazaret e
per addentrarci nel cuore del vangelo. «Veniva nel mondo la
luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), annuncia
l’evangelista Giovanni, e tutto il brano di oggi è pervaso dalla
certezza che questa luce, che un po’ occhieggia e un po’ si cela,
alla fine vincerà.
«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o
la mette sotto un letto, ma la pone invece su un candelabro,
perché chi entra veda la luce», dice oggi Gesù. Perché, allora,
la verità sul mistero della vita sembra nascondersi nel cuore
delle parabole? E qual è il lampadario sul quale la luce deve
brillare? Chi risponde a queste due domande ha afferrato il
senso del vangelo. Sembra, tuttavia, che l’atteggiamento della
vita pubblica di Gesù sia tutto un sottrarsi dal mostrare la sua
luce e quella della sua parola, tant’è che a Pietro, Giacomo e
Giovanni, che sul Tabor ne hanno visto in anticipo il fulgore,
egli «ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano
visto» (Mc 9,9).
Il fatto è che il «segreto messianico» e la sua gloria si dovran-
no manifestare completamente al mondo quando Gesù sarà
innalzato sul candelabro della croce. È la croce il candelabro
di Gesù, e questa verità l’ha capita in profondità il centurione,
quando ha esclamato: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!»
(Mc 15,39). Noi mediteremo questo mistero di amore e di do-
nazione durante la settimana di Passione: fino ad allora siamo
chiamati ad addentrarci nella verità riflettendo sugli insegna-
menti e le parabole del vangelo. In esse la verità è volutamente
nascosta, come il seme sotto terra in attesa di morire perché
nasca una nuova spiga.
Se ci metteremo in ascolto, con calma e con fede, scoprire-
mo la luce di verità che si cela sotto il velo delle parabole in mi-
sura sempre maggiore. Chi, invece, non si porrà con pazienza
in questo ascolto, perderà anche quel poco di fede e di verità
che già possiede: «Fate attenzione dunque a come ascoltate;
perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò
che crede di avere».

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

XXV settimana del Tempo Ordinario – Lunedì (Anno dispari)


La gioia dei reduci
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia. Allora
si diceva tra le genti: «Il Signore ha fatto grandi cose per loro». Grandi cose
ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia. Ristabilisci, Signore, la
nostra sorte, come i torrenti del Negheb. Chi semina nelle lacrime mieterà
nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da
gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni. Sal 125
Nel 539 a.C., Ciro il Grande, re di Persia, occupò Babilonia
e l’annesse all’impero persiano. La sua politica sociale, basata
sul recupero delle molte etnie dell’impero, lo indusse, un anno
dopo, a voler ricostruire il tempio e le mura di Gerusalemme,
distrutte cinquant’anni prima da Nabucodonosor, re assiro.
Ciro convocò il governatore Neemia e il sacerdote Esdra, capi
dei giudei deportati in Babilonia, e ordinò loro di ricondurre il
popolo nella sua terra e di ricostruire Gerusalemme.
Il salmo di oggi celebra il ritorno di quei reduci nella loro
terra. È un canto di gioia per la fine dell’esilio: «Quando il Si-
gnore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare. Allora
la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gio-
ia». Questo salmo può essere assunto come inno di giubilo per
ogni liberazione dell’uomo. Ricordo la fine dell’ultima guerra,
quando entrarono in Firenze gli alleati: i tedeschi si ritiravano
impauriti sparando le ultime fucilate, mentre la gente si river-
sava nelle strade cantando e ballando. Ricordo la mia felicità di
quando, da adulto, dopo un paio di mesi che ero rimasto senza
lavoro, firmai un nuovo contratto. Ricordo la gioia profonda
della zia Noemi, quando lo zio Beppe tornò a casa, dopo nove
anni di guerra in Africa, in Grecia e in Albania. Ricordo gli
occhi gioiosi di una bambina quando i genitori, dopo un pe-
riodo di separazione, si sono riuniti e hanno ricostituito la fa-
miglia. Sono tutte situazioni felicemente risolte nella preghiera
e nell’attesa fiduciosa. Anche della fine dell’ultima guerra, che
rivivo con chiarezza sebbene fossi piccolo, ricordo la preghiera
dei miei genitori: «Chi semina nelle lacrime mieterà nella gio-
ia». Non esiste seminagione più sicura della preghiera.

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Roberto Calcagnini - ighor140667@libero.it - 19/12/2010

XXV settimana del Tempo Ordinario – Martedì


La famiglia e il progetto di vita
E andarono da lui la madre e i suoi fratelli, ma non potevano
avvicinarlo a causa della folla. Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi
fratelli stanno fuori e desiderano vederti». Ma egli rispose loro: «Mia
madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la
mettono in pratica». Lc 8,19-21

Il brano di oggi ci dà l’occasione per riflettere su come si


evolvono nel tempo sia il rapporto tra genitori e figli, che il
concetto di famiglia. Gesù è già uscito dalla casa di Nazaret
e ora vive in comunità insieme ai discepoli, che condividono
con lui il suo progetto di vita. Anche la folla, dalla quale è cir-
condato, è più familiare con lui di quanto lo siano la madre e
i parenti, perché con essa Gesù ha un rapporto quotidiano e le
annuncia i misteri del Regno, anche se glieli spiega in parabole,
non chiaramente come fa con i discepoli.
È il progetto di vita, che ciascuno è chiamato a realizzare,
a determinare, da un certo momento in poi, il contesto della
propria comunità e anche la cerchia delle amicizie. La famiglia
originaria, quella nella quale si nasce, si cresce, si riceve una
formazione e anche l’aiuto per capire quale sia il progetto di
vita al quale il Signore ci chiama, a un certo punto viene supe-
rata, ed entra a far parte del nostro «antico testamento».
Quando un figlio esce dalla casa paterna, si forma un’altra
famiglia o entra a far parte di una comunità, è con quella nuova
realtà che deve condividere sogni, obiettivi e progetti. L’im-
portante è che ciascuno abbia una nuova realtà di riferimento.
Quando noi, parlando con Gianfilippo, che vive a Londra da
solo, lo sollecitiamo a sposarsi e a formarsi una famiglia, è per-
ché lo riteniamo fondamentale per la realizzazione sua e del suo
progetto di vita. Una persona ha bisogno di una famiglia con la
quale condividere i progetti e confrontarsi nelle soluzioni. Chi
vive da solo – oggi si chiamano «single» –commette più facil-
mente errori: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un
aiuto che gli corrisponda» (Gn 2,18).
Quando, l’anno scorso, sono andato a Castelvolturno a tra-
scorrere una settimana con Gianluca, è stato per aiutarlo a ca-

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pire la realtà nella quale vive e per potergli dare qualche sugge-
rimento per il futuro, perché a lui, in questo momento, manca
una famiglia con la quale confrontarsi. Non è facile vivere a
Castelvolturno, una città dominata dalla camorra, dove la pro-
stituzione e lo spaccio della droga sono attività terribilmente
diffuse e dove la maggioranza della popolazione è costituita da
extracomunitari clandestini. Sono queste le considerazioni da
fare per capire la risposta di Gesù a sua madre e ai suoi parenti,
ai quali vuole certamente bene, ma costituiscono il passato,
non il presente, e tanto meno il futuro.

XXV settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


La missione quotidiana
Convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di
guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire
gli infermi. Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone,
né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque
casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non
vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi
come testimonianza contro di loro». Allora essi uscirono e giravano di
villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando
guarigioni. Lc 9,1-6

Oggi ci troviamo di fronte alla magna charta del missiona-


rio. Tra mezz’ora ci alzeremo da tavola, andremo ad assolvere
gli impegni della nostra giornata: in ufficio, a scuola, all’uni-
versità. Nessuno di noi andrà in missione nel modo descrit-
to dal vangelo di oggi, ma ciascuno, qualunque sia la propria
attività, dovrà svolgerla da missionario. C’è, infatti, un modo
di lavorare, di studiare e di insegnare, per cui, senza andare a
evangelizzare, si evangelizza mentre si va. Il Signore non ci dice
ciò che dovremo dire o fare, come non lo ha detto agli apostoli
nel vangelo di oggi. Ce lo dirà lo Spirito Santo. Il Signore ci
dice, invece, come dobbiamo andare, perché il modo in cui an-
dremo sarà parte integrante della missione. Non dice di andare
in povertà, ma «in essenzialità», come persone a cui non man-

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ca niente e niente hanno di troppo. Il vangelo dice anche che


dovremo andare con l’autorità di cacciare i demoni e di curare
le malattie, ma non dovremo fare nessun esorcismo. Tuttavia
se opereremo con competenza, con generosità, con carità, con
semplicità, con umiltà e con franchezza, saranno i demoni a
fuggire, gridando come di fronte a Gesù: «Sei venuto qui a
tormentarci prima del tempo?» (Mt 8,29).
Non dovremo nemmeno curare quelle malattie che nor-
malmente si curano con l’aspirina e lo sciroppo; ci sono ben
altre malattie da curare nella società: malattie interiori, ma-
lattie psichiche, dipendenze, infelicità. Come fare? Abbiamo
un solo modo: la preghiera silenziosa. Succede spesso, infatti,
di passare accanto a persone malate o disturbate, per le quali
l’unica preghiera possibile è quella silenziosa. Gli altri non la
sentono, ma il Signore l’ascolta e le persone si sentono meglio.
Non è importante nemmeno andare con il portafoglio pieno
di denaro. Quando Pietro incontra lo storpio, alla porta Bella
del tempio, che gli chiede l’elemosina, gli dice: «Non possiedo
né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Cri-
sto, il Nazareno, àlzati e cammina» (At 3,6). Se Pietro avesse
avuto qualche moneta d’oro o d’argento, gliel’avrebbe data e
quell’uomo sarebbe rimasto storpio come prima. Si evangelizza
mentre si va.

XXV settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


I dubbi del non credente
Il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva
che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti»,
altri: «È apparso Elia», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui,
del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo. Lc 9,7-9

I dubbi di Erode, in questa pagina del vangelo, sono i dubbi


della storia su chi sia Gesù: è un profeta, anche se più grande di
Elia e di Giovanni il Battista, o è qualcosa di più? L’evangelista
Luca pone questo brano appena prima di quelli della moltipli-

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cazione dei pani e della confessione di Pietro, due eventi nei


quali, in modo diverso, possiamo trovare la risposta ai dubbi di
Erode. Egli non comprende, perché identifica Gesù con figure
del passato: personaggi grandi ma che non esistono più. È que-
sta l’unica risposta che logicamente sanno dare gli uomini e la
storia. Saper riconoscere Gesù come Signore, vivo e presente,
è la difficoltà di ogni uomo che ne abbia sentito parlare: anche
del cristiano di oggi.
Nell’errore di identificare colui che è vivente con chi è mor-
to, sono caduti pure i primi discepoli alla fine del vangelo. «Per-
ché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5) chiedono i
due angeli alle donne accorse al sepolcro il mattino successivo
alla sua sepoltura. Anche oggi c’è grande difficoltà a capire nel
«profondo» il messaggio della risurrezione e vengono uccisi,
talvolta anche di fatto, tutti coloro che lo trasmettono, salvo
poi lodarli dopo morti, quando non sono più scomodi. «Gio-
vanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale
sento dire queste cose?», si ripete in modo ossessivo Erode, sen-
za giungere alla risposta.
«E cercava di vederlo», annota l’evangelista Luca. Ma il suo
cercar di vederlo non è per trovare la verità, come fa Zaccheo
che per scorger bene Gesù sale addirittura su un sicomoro. Il
suo desiderio di vederlo è per trovare in lui i tratti della nor-
malità e, in ultima analisi, per non farlo nascere in se stesso.
È anche il modo che, oggi, molte persone di cultura hanno di
avvicinarsi al vangelo: ricercano la meno impegnativa norma-
lità, anziché la verità. E finiscono per trovare quel che cercano,
come l’uomo che va nel bosco a raccoglier castagne e non si
accorge dei funghi.

XXV settimana del Tempo Ord. – Venerdì (Anno dispari)


Chi è il Signore per me
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli
erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che
io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno

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degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite
che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente
di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire
molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi,
venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Lc 9,18-22

L’evento del brano di oggi compare in tutti e tre i vangeli


sinottici perché costituisce una tappa fondamentale del cam-
mino di fede. Noi l’abbiamo già meditato in quello di Marco
e di Matteo, e oggi la liturgia ce lo ripropone dal Vangelo di
Luca. Fino ad ora sono sempre stati i discepoli e la folla a chie-
dersi chi fosse Gesù di Nazaret, ed egli ha sempre lasciato che
si dessero le loro risposte.
Nel brano odierno avviene un capovolgimento che precorre
e profetizza quello di ogni cristiano nella storia della chiesa. A
un certo punto, comincia a tacere la domanda che mette in
questione Gesù ed è lui che chiede: «Le folle chi dicono che io
sia?»; e successivamente: «Ma voi chi dite che io sia?». La folla,
come nel brano di oggi, dà sempre una risposta «secondo la car-
ne», cercando nel passato: Giovanni il Battista, Elia o uno degli
altri profeti. Nel discepolo, dopo essersi dato anch’egli le rispo-
ste più diverse, si fa strada la risposta «secondo lo spirito», che
non nasce dalle conoscenze e dall’esperienza passata, ma dalla
speranza futura, dalla vita nuova che ha fatto irruzione nella
sua storia. È la risposta di Pietro: «[Tu sei] il Cristo di Dio».
Finché cerchiamo risposte appellandoci alla nostra cultura,
alla capacità di penetrare le parabole e a quella di dare una
spiegazione umana ai miracoli, è come se lo crocifiggessimo di
nuovo per relegarlo tra i morti. In questo gli uomini sono bra-
vissimi: ornano i sepolcri, abbelliscono i ricordi e la faccenda è
risolta. La risposta «secondo lo spirito» non si appella a nien-
te di quanto già conosciuto e sperimentato. Essa deve iniziare
con un «Ma»: «Ma chi è Gesù Cristo per me?», «Ma questa
proposta è secondo lo spirito del vangelo?», «Ma quello che
sto facendo rientra nel suo progetto su di me?», «Ma come si
comporterebbe lui con questa persona che mi trovo davanti?»,
«Ma, oggi, ho parlato del Signore a qualcuno?». È il «Ma» della
chiesa, tutte le volte che si oppone a leggi e consuetudini che
non riflettono lo spirito del vangelo.

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XXV settimana del Tempo Ordinario – Venerdì (Anno pari)


La storia di Piera e Luigi
Il ventuno del settimo mese, per mezzo del profeta Aggeo fu rivolta
questa parola del Signore: «Su, parla a Zorobabele… governatore della
Giudea, a Giosuè… sommo sacerdote… Chi rimane ancora tra voi che
abbia visto questa casa nel suo primitivo splendore? Ma ora in quali
condizioni voi la vedete? In confronto a quella, non è forse ridotta a un
nulla ai vostri occhi? Ora, coraggio, Zorobabele… Giosuè… coraggio,
popolo tutto del paese – oracolo del Signore – e al lavoro, perché io sono
con voi – oracolo del Signore degli eserciti –… Dice infatti il Signore degli
eserciti: Ancora un po’ di tempo e io scuoterò il cielo e la terra, il mare e
la terraferma. Scuoterò tutte le genti e affluiranno le ricchezze di tutte
le genti e io riempirò questa casa della mia gloria… La gloria futura di
questa casa sarà più grande di quella di una volta, dice il Signore degli
eserciti; in questo luogo porrò la pace». Oracolo del Signore degli eserciti.
 Ag 2,1-9

Piera e Luigi, una simpaticissima coppia di coniugi, nella


quale non abbiamo capito bene chi comandi, qualche anno
fa ci invitarono a pranzo nella loro villa in Toscana. A metà
pomeriggio li abbiamo salutati: non eravamo ancora usciti dal
cancello quando, dallo specchietto retrovisore della macchina,
abbiamo notato che litigavano furiosamente. In passato lo fa-
cevano spesso, ma ultimamente li abbiamo incontrati che an-
davano d’amore e d’accordo come sposini in luna di miele.
«Che cosa è successo?», abbiamo chiesto. «Abbiamo rinnovato
il nostro matrimonio», ha risposto Luigi. «Questo lo vediamo,
ma come è potuto accadere?». «È successo durante un incontro
di preghiera con dei nostri amici, ai quali abbiamo chiesto di
pregare per noi. A un certo punto uno di loro ha aperto la Bib-
bia e ha cominciato a leggere l’inizio del libro di Aggeo».
Era il brano di oggi, nel quale si parla della ricostruzione del
tempio di Gerusalemme: «Chi rimane ancora tra voi che abbia
visto questa casa nel suo primitivo splendore? Ma ora in quali
condizioni voi la vedete? In confronto a quella, non è forse
ridotta a un nulla ai vostri occhi? Ora, coraggio e al lavoro,
perché io sono con voi». «Ci siamo guardati – ha aggiunto Pie-
ra – perché ci siamo resi conto che il Signore ci stava parlando:
il tempio da ricostruire era il nostro matrimonio. Siamo tornati

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a casa e per tutta la notte abbiamo riflettuto su quel passo delle


Sacre Scritture. Ora – ha concluso Piera – abbiamo cominciato
a pregare insieme e il nostro matrimonio si è rigenerato». Di
fronte a una tale testimonianza bisogna riconoscere che certe
situazioni le mette a posto solo il Signore. Gli avvocati e i giu-
dici non possono far niente. Piera e Luigi, però, hanno avuto
l’umiltà di chiedere la preghiera dei fratelli di fede e di comin-
ciare a pregare insieme. Se una coppia di coniugi, che vive con
difficoltà il matrimonio, si mette a pregare, il Signore prende in
mano la situazione e inizia i lavori di restauro.

XXV settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Predizione della passione
Mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, disse ai suoi
discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta
per essere consegnato nelle mani degli uomini». Essi però non capivano
queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il
senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento. Lc 9,43b-45
Oggi, all’improvviso, siamo raggiunti da questa predizione
della passione, che noi preferiamo chiamare «passione e risurre-
zione», per essere fedeli al messaggio evangelico che, nel trionfo
della risurrezione di Gesù include anche il dolore della passio-
ne. Fanno entrambi parte di una verità unica e indivisibile. Se
si considera la passione senza risurrezione, si giunge a una reli-
giosità disperata e triste; se si considera solo la risurrezione, si
giunge a una religiosità scioccamente entusiasta e trionfalistica.
Sono due errori opposti, che impedirebbero di cogliere il valore
integrale della fede. I discepoli, tuttavia, non sono ancora in
grado di correre né l’uno né l’altro di questi rischi, perché essi
rifiutano in blocco questo messaggio di Gesù. La loro incapa-
cità di capire non deriva da cattiva volontà, e nemmeno dal
rifiuto del progetto del Maestro, ma è proprio quella rivela-
zione che, per quanto chiaramente espressa, è strategicamente
troppo ermetica per i discepoli. Siamo, infatti, al cuore della
fede e della realizzazione della promessa di Dio, che l’uomo
può solo avvertire come un desiderio profondo e vago, ma può

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comprenderla solo quando la vede realizzata da Dio stesso, e


illuminata dalla luce dello Spirito. Questa strategia salvifica di
Dio comincerà a essere appena comprensibile dopo la risurre-
zione, e diventerà chiara solo dopo la Pentecoste. I discepoli, di
fatto, arriveranno a comprenderla per tappe successive, come
la guarigione del cieco di Betsaida, che prima vede gli uomini
come gli alberi che camminano e poi come realmente sono.
Nel brano del vangelo di oggi per i discepoli è completa-
mente oscura, e un po’ lo è anche per noi, perché, per quanto
ne conosciamo l’epilogo e la verità di fede, in questo momento
dell’anno liturgico, questa pagina del vangelo ci giunge improv-
visa come un bagliore nella notte. Tuttavia sarà bene accoglier-
la come una grazia di Dio, perché abbiamo bisogno, per non
perderci nei viottoli delle meditazioni bibliche personali, che
ci venga ricordata, di tanto in tanto, la strada che porta a casa.

XXVI settimana del Tempo Ordinario – Domenica


La grandezza dell’umiltà
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella
condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se
stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente
fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli
donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua
proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. Fil 2,5-11

Questo brano della Lettera ai Filippesi, più che da meditare,


è da sorseggiare lentamente come un bicchiere di vino buono.
In esso è racchiuso il segreto della vera leadership, che passa at-
traverso la completa rinuncia al comando autoritario per ricer-
care l’autorevolezza conferita dalla condizione di servo, scelta
per amore. È la strategia che Gesù ci ha insegnato per trasfor-
mare ogni contesto comunitario in un corpo mistico, sia esso
la chiesa universale, la famiglia o la parrocchia. Questa strategia
è riassunta in una parola: umiltà. La storia della salvezza esalta
l’umiltà di Dio che, partendo dal giardino dell’Eden, è andato

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alla ricerca dell’uomo, come il buon pastore della parabola rac-


contata da Gesù va in cerca della pecorella smarrita. Il punto
decisivo dell’umiltà di Dio Padre è stato il momento in cui
ha deciso di incarnare la sua divinità nel Figlio, «diventando
simile agli uomini» nella persona di Gesù di Nazaret. Il punto
più alto dell’umiltà del Figlio è quello descritto oggi da Paolo:
è il momento in cui «umiliò se stesso facendosi obbediente fino
alla morte e a una morte di croce».
Ci sono stati degli eventi nella vita di Gesù, in cui la sua
divinità si è manifestata in modo visibile: lo splendore acce-
cante della trasfigurazione sul monte Tabor, l’onnipotenza dei
miracoli, la sapienza divina delle parabole e del discorso della
montagna, la misericordia nel perdono dell’adultera. Gli even-
ti, però, in cui la sua divinità ha rifulso di luce più intensa,
sono stati l’umiltà dell’accettazione della croce e il trionfo della
risurrezione: «Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che
è al di sopra di ogni nome». Nella storia della chiesa, invece,
l’umiltà di Dio rifulge nel servizio continuo e costante dello
Spirito Santo, sempre disposto a illuminare, a consigliare e a
consolare. I diversi momenti della storia della salvezza, nei qua-
li l’umiltà di Dio si è manifestata, sono riflessi anche nel ruolo
dei genitori all’interno della famiglia: nell’umiltà del servizio,
nell’accettazione delle croci quotidiane e nella fedeltà all’edu-
cazione e al consiglio.

XXVI settimana del Tempo Ord. – Lunedì (Anno dispari)


La chiesa di Gerusalemme
La parola del Signore… fu rivolta… «Così dice il Signore: Tornerò
a Sion e dimorerò a Gerusalemme. Gerusalemme sarà chiamata “Città
fedele”… Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme,
ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. Le piazze della città
formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze.
Così dice il Signore degli eserciti: Se questo sembra impossibile agli occhi
del resto di questo popolo in quei giorni, sarà forse impossibile anche ai
miei occhi?… Ecco, io salvo il mio popolo dall’oriente e dall’occidente: li
ricondurrò ad abitare a Gerusalemme; saranno il mio popolo e io sarò il
loro Dio, nella fedeltà e nella giustizia». Zc 8,1-8

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Siamo intorno al 520 a.C. La missione del profeta Zaccaria


è rivolta a rianimare i reduci dell’esilio di Babilonia, rassicuran-
doli sulla benevolenza del Signore nei loro confronti. Il tem-
pio è già stato ricostruito, ma il popolo non vede i segni della
benedizione di Dio sul grande lavoro effettuato, che invece si
aspettava. Allora, nel brano di oggi, Zaccaria ha, per il popolo
sfiduciato, parole di consolazione, annunciando tutta una serie
di visioni messianiche sulla vita futura di Gerusalemme: «sarà
chiamata “Città fedele”. Vecchi e vecchie siederanno ancora
nelle piazze... Le piazze della città formicoleranno di fanciulli
e di fanciulle». È la visione di una Gerusalemme serena, sen-
za tensioni, pacificata. Non è una scena apocalittica, perché la
profezia si riferisce a una situazione che dovrà verificarsi nella
storia: «Ecco, io salvo il mio popolo..., saranno il mio popolo e
io sarò il loro Dio, nella fedeltà e nella giustizia».
Se, leggendo questo brano di Zaccaria, pensiamo alla storia
di Gerusalemme nel corso dei secoli, dobbiamo convenire che
questa profezia non si è ancora avverata. Ai giorni nostri la
«Città» è contesa tra le religioni cristiana, ebraica e musulma-
na, e politicamente vive la guerra, un po’ fredda e un po’ calda,
tra Israele e i palestinesi. È una polveriera. Tuttavia, se l’odierna
profezia di Zaccaria è parola di Dio, verrà un giorno in cui gli
anziani siederanno insieme a conversare nelle piazze, mentre i
giovani giocheranno tra loro. Questo potrà succedere solo se
gli ebrei si convertiranno al cristianesimo e se le tre religioni
monoteiste si riconosceranno nello stesso Dio di Gesù Cristo.
A quel punto il Vaticano si trasferirà e nascerà la chiesa di Ge-
rusalemme. È un sogno, ma niente è impossibile a Dio.

XXVI settimana del Tempo Ordinario – Lunedì (Anno pari)


Farsi piccoli per essere grandi
Nacque poi una discussione tra loro, chi di loro fosse più grande. Allora
Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise
vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie
me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è
il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». Giovanni prese la parola

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dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome
e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù
gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».
 Lc 9,46-50

Gesù ha appena parlato ai suoi discepoli della passione:


«Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta
per esser consegnato nelle mani degli uomini» (Lc 9,44). Essi
non hanno ascoltato ciò che Gesù ha detto loro e continuano a
pensare ai loro progetti umani, come se il destino del Maestro
non li riguardasse. La discussione che li ha tanto presi è fre-
quente anche nella chiesa, ma non si osa ammetterlo per non
vergognarsi. Come i primi discepoli, ognuno coltiva dentro di
sé il desiderio di essere il più grande e contende agli altri il
primato, pensando di realizzarsi come persona davanti a Dio.
È difficile rendersi conto che essere il primo voglia dire rinun-
ciare al prestigio, al dominio e al possesso, tutte cose alle quali,
quando uno è arrivato a un certo ruolo, poi magari rinuncia,
ma il difficile è rinunciarci prima. Siccome di certi pensieri se
ne avvertono la piccolezza e la ridicolaggine, non si osa nem-
meno confessarli, come fanno i discepoli nel brano di oggi, che
ne parlano solo tra loro.
È difficile accettare che la vera realizzazione passi attraverso
l’umiltà, il servizio, la povertà e il desiderio di non emergere.
Gesù tutto questo lo sa e oggi non perde l’occasione per eser-
citare la sua funzione educatrice di Maestro. Prende allora un
fanciullo, se lo mette vicino e dice: «Chi accoglierà questo fan-
ciullo nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie
colui che mi ha mandato. Chi, infatti, è il più piccolo fra tutti
voi, questi è grande». Ciò che egli dice oggi è così vero da poter
essere considerato il suo testamento, prima di consegnarsi ai
soldati per andare a morire in croce. Gesù, dopo aver lavato
i piedi agli apostoli, dirà: «Capite quello che ho fatto per voi?
Voi mi chiamate il Maestro e il Signore e dite bene, perché lo
sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a
voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri» (Gv 13,12-
14). È una cosa immensa, facile da capire, ma difficilissima da
applicare, tant’è che Gesù aggiunge: «Sapendo queste cose, sie-
te beati se le mettete in pratica» (Gv 13,17). È per questo mo-

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tivo che la chiesa, per seguire le orme del Maestro, deve sem-
pre pensare al debole, al povero, all’indifeso e all’ultimo. Nella
nostra parrocchia estiva di Castiglioncello questo viene fatto
sistematicamente, ogni giorno ed è il motivo per cui l’amiamo.

XXVI settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Operare perché tutto sia compiuto
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto,
egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme
e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono
in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non
vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme.
Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore,
vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li
rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Lc 9,51-56
C’è, nella professione di ingegnere, una fase del progetto
che è la più bella, la più affascinante e la più importante: la
conclusione. È il momento in cui l’impianto è stato realizzato,
il budget è stato speso, il tempo a disposizione è quasi scaduto:
si deve mettere in funzione l’impianto e consegnarlo a chi l’ha
commissionato. È il momento in cui si torna a casa, lasciando,
dove prima c’era il deserto, un impianto che funziona e una
ciminiera che fuma, segno di vita e di operosità. C’è nella vita
dei genitori una fase altrettanto bella e importante: è quando la
famiglia è cresciuta, gli anni sono passati, le forze rimaste non
sono molte, ma i figli hanno già cominciato a camminare con
le loro gambe e sono inseriti nel ciclo produttivo della vita. È il
momento in cui il progetto d’amore «È compiuto» (Gv 19,30),
si riconsegna al Padre il proprio mandato e, per gli anni che ci
sono ancora davanti, si prega perché dia i suoi frutti.
È questa la fase del progetto di salvezza del mondo che sta
vivendo Gesù nel vangelo di oggi: «mentre stavano compiendo-
si i giorni egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino
verso Gerusalemme». Per Gesù, dirigersi a Gerusalemme vuol
dire andare a morire in croce e concludere l’opera di salvezza
che il Padre gli ha affidato. Poi sarà «elevato in alto» e torne-

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rà al Padre. Dovrebbe essere il momento dei ringraziamenti e


della riconoscenza per chi sta concludendo l’opera di salvare
il mondo dal peccato, dai propri limiti e dalle proprie paure,
ma non è così: i Samaritani «non vollero riceverlo» e i pochi
discepoli che lo accompagnano, non comprendendo ancora il
momento che Gesù di Nazaret sta vivendo, gli propongono
delle meschine vendette. Egli, allora, li rimprovera, ma non si
scoraggia: «E si mise in cammino verso un altro villaggio». C’è
sempre un altro villaggio verso cui dirigersi e qualcuno che ha
ancora bisogno del nostro servizio, perché possiamo dare un
senso al tempo della vita che abbiamo ancora davanti. Fino al
momento in cui tutto «è compiuto».

XXVI settimana del Tempo Ord. – Mercoledì (Anno dispari)


I tre bocciati per la missione
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò
dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli
uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il
capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi
di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti
seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un
altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi
da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano
all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio». Lc 9,57-62
Gesù è in cammino verso Gerusalemme, un viaggio che du-
rerà più di due mesi. Delle folle che lo hanno seguito intorno
al lago di Tiberiade nella prima fase della sua missione, sono
con lui gli apostoli e pochi altri discepoli. Lo attendono altre
folle, altri incontri e soprattutto lo attende la croce del Calva-
rio. È in questo contesto e con tali prospettive che Gesù viene
avvicinato da tre personaggi animati di buone intenzioni, ma
senza i presupposti per accompagnare il Maestro in quel viag-
gio avventuroso. La vita di missione, allora come oggi, richiede
la disponibilità a donare completamente la propria vita, cosa
che può avvenire solo a tre condizioni: una chiara chiamata, un
decisivo e consapevole distacco dal passato, una ferma volon-

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tà di perseveranza ad andare fino in fondo, costi quel che co-


sti. Non sono ammesse autocandidature emotive e nemmeno
spinte esterne, tantomeno familiari. Essere missionari vuol dire
camminare con i piedi sulla strada e il cuore rivolto alla meta.
Il primo a presentarsi a Gesù è un autocandidato che ha intuito
il fascino di quell’avventura. Egli prende l’iniziativa e si presen-
ta. La risposta implicita di Gesù sembra essere: «Sai veramente
che cosa vuol dire venire dietro a me?». Vuol dire rinunciare
alla terra come posto di riposo e di sicurezza, per considerarla
solo un luogo di cammino: seguire uno che alla sera non sa
dove posare il capo può avvenire solo per una chiara chiamata.
Il secondo è stato invitato: «Seguimi». Ma costui non dà un
taglio netto al passato, come segnale di aver recepito la nuova
dimensione della vita che gli viene offerta. Seguire Gesù vuol
dire ridimensionare tutto, anche il culto della morte che, nella
dinamica del Regno, viene sostituita dall’assunzione nella co-
munione dei santi. Il terzo non sappiamo se sia un chiamato o
un autocandidato, ma ha dei tentennamenti dovuti al rispetto
di convenienze umane: «“Ti seguirò, Signore; prima però lascia
che io mi congedi da quelli di casa mia”. Ma Gesù gli rispose:
“Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è
adatto per il regno di Dio”». Non è possibile seguire Gesù in
un cammino nuovo con comportamenti vecchi: «Non si mette
vino nuovo in otri vecchi» (Mt 9,17). Il vangelo di oggi deve
far riflettere Gianluca sulla sua chiamata missionaria.

XXVI settimana del Tempo Ord. – Mercoledì (Anno pari)


Il salmo della nostalgia
Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci
di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre, perché là
ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre
canzoni, i nostri oppressori: «Cantateci canti di Sion!». Come cantare i
canti del Signore in terra straniera? Sal 136

Questo è il salmo della nostalgia, del rimpianto struggen-


te per la patria perduta. Ho compreso questi versi in Brasile:

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una prima volta quando mi trovavo a Curitiba, per l’adozione


di Marcos e Claudio, e una seconda volta quando sono stata
invitata per una presentazione della cultura italiana nella zona
di Ilopolis, paese di emigranti italiani. Le due situazioni erano
molto diverse, ma la richiesta dei discendenti degli emigranti era
sempre la stessa: «Ci parli dell’Italia!». Una sera una signora di
Curitiba mi raccontò, in un italiano ormai stentato, che quan-
do era piccola dormiva nella stessa camera della nonna, la quale
ogni sera, dopo aver indossato la sua lunga camicia da notte
bianca, si scioglieva i capelli e li spazzolava a lungo, aspettando
che la nipotina si addormentasse. La piccola, sapendolo, fingeva
di dormire e osservava di sottecchi la nonna, che traeva fuori da
un cassettino le lettere giuntele dall’Italia: le apriva tutte, leg-
gendo ora l’una ora l’altra, e piangeva. Da allora ho fatto molta
fatica a non commuovermi, durante le mie lezioni di storia,
quando spiegavo il periodo delle grandi emigrazioni dall’Italia.
Ma credo che gli studenti sentissero l’emozione della mia voce.
Durante il secondo viaggio in quel paese che amo tanto,
sono stata accompagnata a visitare dei mulini, dove, alcuni de-
cenni prima, il governo brasiliano aveva mandato a lavorare
diversi emigranti italiani: erano lontani dai paesi, in mezzo a
immense distese di alberi e piantagioni di tabacco. Nei pressi di
un mulino ho incontrato una donna anziana, che il padre ave-
va battezzato Amabile Italia, la quale conservava religiosamente
i piccolissimi oggetti che le erano rimasti del paese originario
della sua famiglia. Ricordo i suoi abbracci: riversava su di me,
italiana, l’affetto per l’Italia, che ben sapeva non avrebbe mai
visto. Più recentemente sono stata incaricata di commemorare,
nei pressi di Marcinelle, in Belgio, la catastrofe mineraria che
vi è avvenuta nel 1956, in occasione di una mostra di foto e di
quadri del pittore Giuseppe Flangini. Nelle ore precedenti la
cerimonia mi aggiravo fra i pannelli, o, piuttosto, mi nascon-
devo, per non mostrare gli occhi che mi diventavano lucidi di
fronte a quei volti, i cui sguardi mostravano al tempo stesso
coraggio e nostalgia: il coraggio di chi ha scelto di lasciare il
proprio paese e di calarsi ogni giorno nelle viscere della terra
per costruire un futuro ai propri figli e la nostalgia struggente
della lontananza da tutto il proprio passato. È la stessa nostal-
gia che si respira in questo salmo.

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XXVI settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Come vivere la missione
Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due
a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva
loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque
il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco,
vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né
sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque
casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della
pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.
Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché
chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi
sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi
il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno,
uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è
attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però
che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà
trattata meno duramente di quella città. Lc 10,1-12

Oggi il Signore stabilisce alcune regole che costituiscono il


decalogo della missione, e definisce il modo essenziale di an-
dare e di vestire: «Non portate borsa, né sacca, né sandali»; e
dice di non essere dispersivi: «Non fermatevi a salutare nessuno
lungo la strada». Parla dell’ospitalità e del cibo da accettare con
gioia. Insegna il modo di salutare quando si entra in una casa:
«Pace a questa casa!». Esorta il missionario alla gratitudine per
ciò che gli viene donato: «Mangiando e bevendo di quello che
hanno». E, infine, parla dei rapporti profondi che devono esse-
re allacciati con le persone: «Non passate da una casa all’altra».
Riflettendo sul vangelo di oggi, dobbiamo prendere atto che il
nostro vivere e viaggiare, spesso finalizzati alla realizzazione di
progetti di natura diversa, siano in realtà pianificati dal Signo-
re, che le utilizza per inviarci laddove ci vuole. Molti anni fa,
quando ho avuto occasione di collaborare con alcuni laboratori
di alta moda di Firenze, ritrovandovi il profumo dei tessuti del-
la nonna Betta, che era stata sarta, non avrei mai immaginato
che quello sarebbe stato l’inizio di una comunione profonda
con nuove sorelle di fede. Poco a poco, insieme ai commenti
sulle collezioni dei modelli, abbiamo cominciato a parlare del

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Signore ed è subito nato il desiderio di pregare insieme. Oggi,


sebbene il motivo che ci ha fatto incontrare non esista più,
con Anna, Maria Rosa, Paola e Rina ci incontriamo ancora per
pregare, condividendo momenti di gioia e di prove, perché il
Signore ha trasformato la nostra amicizia, nata tra le sfilate di
moda, in una comunione fraterna, come solo lui sa fare.

XXVI settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


L’Occidente è al crepuscolo
«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone
fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo,
vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel
giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. E tu,
Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza
me disprezza colui che mi ha mandato». Lc 10,13-16

Se noi avessimo un po’ di timor di Dio, la profezia di Gesù


nei confronti delle città di Corazin e di Betsaida ci dovreb-
be spaventare. Questa nostra Italia, sede del Vaticano, ricca di
santuari e delle chiese più belle, dove la pittura ispirata da te-
mi cristiani ha espresso i capolavori più grandi, che per quasi
duemila anni ha dato alla chiesa il vicario di Cristo ed è da
sempre terra di santi, di miracoli e sede di ordini religiosi, sta
perdendo la fede. Perché – parafrasando il vangelo di oggi – se
a Pechino e a Calcutta fossero successi tutti i miracoli accaduti
da duemila anni tra noi, da tempo si sarebbero convertiti. È
mai possibile che il nostro paese, con la storia cristiana che
ha, sia moralmente e socialmente così devastato da aborti e
divorzi, e che abbia la più bassa natalità del mondo? Non è
difficile prevedere che saremo invasi da persone di ogni razza e
che sorgeranno moschee e minareti accanto alle nostre chiese e
ai nostri campanili. È un flusso inarrestabile.
Come nelle zone di bassa pressione arriva aria dalle altre
parti e si formano i venti che nessuno può fermare, così, a cau-
sa della nostra perduta identità cristiana, saremo sempre più
invasi da altri popoli, altre culture e altre religioni. Nessuno ci

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può fare niente, come Gesù non ha potuto fare niente per le
città di Corazin e Betsaida. Sono dei cambiamenti storici irre-
versibili. Che, poi, il Signore li utilizzi per realizzare il piano di
salvezza universale, questo fa parte della sua divina sapienza e
della sua onnipotenza. La chiesa e anche noi, durante questa
nostra preghiera del mattino, dobbiamo solo pregare e avere fe-
de. «Abbiate coraggio – dice il Signore – io ho vinto il mondo!»
(Gv 16,33). Il piano di salvezza è inarrestabile, tutto il resto è
destinato a divenire polvere, che il tempo spazzerà via.

XXVI settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Il nostro potere sui demoni
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche
i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo
Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere
di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del
nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni
si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti
nei cieli»… Lc 10,17-20

Tra i discepoli è cominciato a nascere un primo embrione di


chiesa, per cui il Maestro, dopo aver fatto le necessarie racco-
mandazioni, ne ha inviati settantadue a vivere la prima esperien-
za missionaria. Non si erano mai trovati da soli a testimoniare
la fede in Gesù di Nazaret. Me l’immagino: saranno partiti con
entusiasmo e trepidazione al tempo stesso, e dopo qualche chi-
lometro si saranno guardati in faccia, si saranno fatti coraggio a
vicenda ripetendo ciò che avevano visto fare al Maestro. Avran-
no parlato di Gesù, raccontato una parabola, imposto le mani
per guarire dei malati e magari avranno fatto qualche esorcismo.
Come tutti i neofiti, per l’entusiasmo della nuova esperienza,
avranno fatto un po’ di tutto e certamente anche un po’ di con-
fusione. Il brano del vangelo di oggi descrive il ritorno gioioso
di quei primi evangelizzatori, che, pieni di stupore esclamano:
«Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
È un’esperienza meravigliosa e stupefacente che è successa
anche a noi, intorno agli anni Ottanta, quando, in Italia, na-

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scevano qua e là, come funghi, gruppi di preghiera del Rinno-


vamento. È stata una nuova ventata di evangelizzazione che lo
Spirito Santo ha effettuato, utilizzando persone normali come
noi che, con gioia ed entusiasmo, andavano a raccontare, da un
gruppo di preghiera all’altro, quello che lo Spirito stava com-
piendo. Un giorno mi trovavo in un gruppo di preghiera di
Busto Arsizio: dopo che abbiamo pregato e lodato il Signore,
mi sono alzato e ho cominciato a commentare un brano del
vangelo, alla luce della nuova esperienza che lo Spirito Santo ci
stava facendo vivere. A un certo punto una signora cominciò
ad agitarsi e subito dopo, gettatasi a terra, iniziò a strisciare
con la sinuosità di un serpente, creando grande scompiglio tra
i presenti. In quel momento il Signore mi ha illuminato: «Ri-
maniamo tutti fermi – annunciai dal microfono – e preghiamo
Maria». Dopo un po’ che si stava pregando la Madonna, la si-
gnora è tornata in se stessa, si è ricomposta sulla sedia e non ha
ricordato niente di ciò che era successo. Ho raccontato questo
fatto perché certe esperienze, come è successo a quei settan-
tadue discepoli, possono capitare anche oggi, quando si testi-
monia il vangelo: l’importante è restare saldi nella preghiera.
In particolare è bene chiedere l’intercessione della Madonna.

XXVII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Non angustiamoci per nulla
Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio
le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di
Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti
in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è
nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello
che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei
vostri pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in
me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi! Fil 4,6-9

Il brano di oggi riporta le ultime esortazioni di Paolo, alla


fine della lettera inviata alla comunità di Filippi. La parte con-
clusiva di una lettera è sempre di carattere generale e un po’ in-
dipendente dall’argomento trattato, e quindi importante anche

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per un contesto allargato a questo nostro gruppo familiare. La


prima esortazione è: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni
circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste». Secondo lo
stile di Gesù, anche Paolo esorta a fidarsi della Provvidenza
come fanno gli uccelli del cielo e i gigli del campo: «Non pre-
occupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete
di quello che indosserete Di tutte queste cose vanno in cerca
i pagani» (cf. Mt 6,25-34). I pagani, infatti, non credono che
Dio sia provvidente. Per loro è onnipotente e giusto, e solo per
pochi è anche misericordioso, ma per quanto riguarda la prov-
videnza per il pagano vale la massima «Aiutati che Dio ti aiu-
ta». Anche il concetto cristiano di provvidenza non prescinde
dall’operosità, ma la frase che viene usata è: «Fa’ come se tutto
dipendesse da te, pur sapendo che tutto dipende da Dio».
È una differenza sostanziale. Soltanto se il nostro cuore e la
nostra mente non saranno angustiati e affannati, saremo liberi
di accogliere la seconda esortazione di Paolo: «Quello che è
vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è pu-
ro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù
e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri».
L’aspetto più tragico di una mente angustiata e affannata è,
infatti, l’incapacità di avere un pensiero grande, che Paolo de-
scrive con questi aggettivi: «vero, nobile, giusto, puro, amabile,
onorato». I nostri pensieri saranno grandi solo se saranno libe-
ri da preoccupazioni. Alla fine, come terza esortazione, Paolo
indica se stesso come modello: «Le cose che avete imparato,
ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica». Beati
coloro che, avendo ascoltato un maestro come Paolo, riescono
a seguirne l’esempio!

XXVII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Il buon samaritano
Ed ecco un dottore della Legge… volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E
chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme
a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo

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percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso,


un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò
oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece
un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe
compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino;
poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura
di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore,
dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio
ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto
nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di
lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». Lc 10,25-37

Quella che scende da Gerusalemme a Gerico è la strada del-


la vita. Qualche anno fa, quando siamo andati in Terra Santa,
l’abbiamo percorsa a piedi fermandoci anche alla locanda del
Buon Samaritano. Per quella strada assolata, lungo la quale non
s’incontra un albero, all’ombra del quale fermarsi per riposarsi
un po’, idealmente ci passiamo e ci incontriamo tutti. Passano
gli uomini che vanno per i loro affari; passano i briganti che
assaltano e saccheggiano; passano le persone impegnate come
i sacerdoti e i leviti del brano di oggi, che avendo cose impor-
tanti da fare, non si fermano per niente e per nessuno; e pas-
sano anche i buoni samaritani che, pur avendo i loro impegni,
trovano il tempo di fermarsi se incontrano qualcuno bisognoso
di soccorso.
Anche se noi non facciamo parte della categoria dei brigan-
ti, rischiamo di appartenere a quella del sacerdote e del levita,
i quali, dovendo andare al tempio a tenere, magari, degli inse-
gnamenti sulla solidarietà, non trovano il tempo di fermarsi a
soccorrere quel povero cristo steso lungo la strada. Qualche an-
no fa, questa parabola ci aveva suggerito di entrare in politica,
per tentare di far qualcosa al fine di rendere le strade della vita
un po’ meno infestate di briganti, ma non è stata una buona
esperienza e ne siamo usciti abbastanza presto. Ma torniamo
alla domanda iniziale del dottore della legge «E chi è il mio
prossimo?», alla quale Gesù risponde con un’altra domanda:
«Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è
caduto nelle mani dei briganti?». E poi aggiunge: «Va’ e anche
tu fa’ così». E quel «tu» è rivolto a noi tutti, a ogni uomo di
buona volontà.

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XXVII settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Marta e Maria
Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome
Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta
ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta
per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa
nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che
mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti
per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte
migliore, che non le sarà tolta». Lc 10,38-42

È meglio ascoltare il Signore come Maria, o servirlo, come


Marta? È più importante la preghiera o il servizio? La risposta
di Gesù è chiara: l’ascolto è la scelta migliore, ma certamente si
riferisce a quel contesto e a quel momento. Nella vita di tutti i
giorni sono entrambi necessari: «C’è un tempo per ascoltare e un
tempo per servire», direbbe il Qoelet. Il problema non riguarda
l’importanza, bensì la precedenza. La nostra esperienza ci inse-
gna che, per poter essere dei buoni servitori, occorre aver prima
pregato e ascoltato, sia il Signore che le persone che siamo chia-
mati a servire, in famiglia e nella professione. In questi anni di
serena operosità che il Signore mi concede, tra l’insegnamento,
lo studio e i lavori domestici, mi piace molto levare lo sguar-
do dalla scrivania o dai fornelli, verso le molte immagini sacre
di cui ho voluto abbellire la casa: soffermandomi a guardarle,
mi sembra di poter essere guidata nel servizio verso gli altri.
Mi allieta anche il suono delle campane che mi giunge dalle
varie chiese di Saronno: è un invito a soffermarci per un mo-
mento di preghiera, riprendendo poi il lavoro con lena rin-
novata. Ma il momento più bello della giornata è al mattino,
quando Pierluigi e io ci rechiamo alla prima messa nel nostro
santuario della Beata Vergine dei Miracoli, per poi correre alla
stazione a prendere il treno per Milano. Sappiamo bene quanto
l’aver ascoltato la parola del Signore e aver ricevuto l’eucaristia
ci illumini per far fruttare, nel corso della giornata, i talenti che
ci sono stati affidati. Ci sentiamo chiamati a essere, di volta
in volta, Marta e Maria, senza porci troppe domande, sem-
plicemente ponendoci in ascolto della voce del Signore e del
prossimo.

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XXVII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Perché preghiamo
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi
discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni
ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il
nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti
perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione».
 Lc 11,1-4

Un giorno di qualche anno fa, alla fine di una nostra testi-


monianza pubblica sulla preghiera in famiglia, una coppia di
coniugi ci chiese: «Anche noi vorremmo iniziare a pregare, du-
rante la colazione del mattino, ma come è possibile convincere
i figli più grandi a seguirci, se fino a oggi non abbiamo mai
pregato insieme? Che cosa gli diciamo?». «Niente di particolare
– rispondemmo – potete solo dire che è nato in voi il desiderio
di cominciare a pregare insieme, e che sareste contenti se anche
loro partecipassero. Probabilmente non lo faranno subito, ma
quando la vostra preghiera darà i suoi frutti si uniranno anche
loro».
È stata questa la strategia di Gesù per far nascere nei discepoli
il desiderio di pregare. Egli non ha mai chiesto, alle persone che
aveva scelto, né una dichiarazione di fede né una comunione
di preghiera, li ha solo chiamati a stare con lui e ha atteso con
pazienza che entrambe le esigenze nascessero spontaneamente.
Cosa che non poteva non succedere, di fronte all’evidenza del
potere trasformante della preghiera nella sua vita.
Come era accaduto a Mosè, che dopo aver pregato sul mon-
te scendeva a valle con il volto luminoso, anche Gesù, dopo
aver trascorso ore di preghiera con il Padre, ritornava tra i di-
scepoli trasformato. Egli è salito sul monte a pregare dopo la
moltiplicazione dei pani, quando si sentiva incompreso sia dal-
la folla, che voleva farlo re, che dagli apostoli; ha pregato tutta
la notte prima della scelta dei dodici, quando ha avuto bisogno
di discernere quali persone scegliere tra i discepoli; ha trascorso
l’intera notte in preghiera, nell’orto del Getsemani, per trova-
re la fede e la forza di compiere la volontà del Padre fino alla

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fine. Quando Gesù tornava dalla preghiera succedevano sem-


pre eventi eccezionali: sceglieva con sicurezza i dodici apostoli,
camminava sulle acque o si trasformava, come nella preghiera
del monte Tabor, alla quale hanno partecipato anche Pietro,
Giacomo e Giovanni. Di fronte a queste meraviglie, i discepoli
non potevano non chiedere a Gesù di insegnar loro a pregare, e
così è sgorgata dalla sua bocca la stupenda preghiera del Padre
nostro, con la quale noi tutti, ogni mattina, iniziamo la nostra
giornata.

XXVII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Elogio dell’insistenza
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a
dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un
viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde:
“Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo
a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non
si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si
alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e
vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque
chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto… Se voi dunque,
che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre
vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».
 Lc 11,5-13

Il fabbro che ha un pezzo di ferro da piegare, lo mette al


fuoco e quando è diventato rosso comincia a batterlo con il
martello per dargli la forma voluta. L’insistenza nelle nostre
richieste produce lo stesso effetto dei colpi di quel martello e,
vista così ha un’accezione negativa perché, più che sul convin-
cimento, si basa sul fastidio che produce. L’insistenza, però, si
rende necessaria per il fatto che le persone vivono quasi sem-
pre con le porte chiuse. «Non m’importunare, la porta è già
chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi»,
risponde il padre della parabola di oggi all’amico che gli chiede
in prestito tre pani. Ciò che giustifica l’insistenza è il motivo.

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Nell’evangelizzazione sembrerebbe non essere necessaria per-


ché il missionario deve solo seminare ed è il Signore che fa
crescere.
Tuttavia una certa insistenza sottolinea l’importanza dell’ar-
gomento. Per questo Paolo, quando scrive a Timoteo, dice:
«Annunzia la parola, insisti al momento opportuno e non op-
portuno, ammonisci, rimprovera, esorta» (2Tm 4,2). L’esorta-
zione di Paolo è un invito a non stancarsi mai di annunciare
il vangelo per far aprire le porte chiuse degli uomini. Quando,
invece, eleviamo le nostre richieste al Signore, dobbiamo assu-
mere per certo che le sue porte siano sempre aperte, altrimenti
verrebbe meno il concetto stesso di Signore. Tuttavia esse non
sempre sono esaudite, perché il suo progetto è spesso così im-
portante che il Signore non può permettersi deviazioni. Una
richiesta, però, che è sempre accettata è quella dello Spirito
Santo. Se stiamo operando per il progetto del Signore, l’in-
tervento dello Spirito Santo potenzia enormemente le nostre
capacità e il successo è sicuro. Se invece lavoriamo per i nostri
progetti umani, egli li distrugge.
Questa è la nostra esperienza. Pertanto la richiesta dello Spi-
rito Santo ha anche lo scopo di verificare se i nostri progetti
sono del Signore o no.

XXVII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Il demonio, re degli idoli
«... Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io
scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li
scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i
demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. Quando
un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede
è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince… Quando lo
spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo
e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”.
Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti
peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di
quell’uomo diventa peggiore della prima». Lc 11,18-26

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Gesù per primo ha dovuto combattere contro il demonio, il


cui unico obiettivo è quello di deturpare ciò che è bello, grande
e buono, per renderlo brutto, piccolo e cattivo. La strategia del
demonio, in questa attività di degrado, è quella di trasformare
le realtà umane in idoli.
Ogni tanto, però, questi si mostrano per quello che sono e
viene alla luce la verità. Abbiamo da poco assistito al crollo del
sistema economico-finanziario mondiale, costruito sulla base
di operazioni bancarie virtuali, se non proprio false. Lo spie-
ghiamo in poche parole. Il denaro, che è un’ottima invenzione
perché permette lo scambio dei prodotti e dei servizi, svinco-
landoli dai limiti spazio-temporali del baratto, è diventato il
più grande idolo degli uomini.
Negli ultimi decenni, ogni giorno, enormi somme di denaro
venivano e vengono ancora spostate, tramite la comunicazio-
ne elettronica, da una parte all’altra del globo, senza l’uso di
banconote e in modo totalmente indipendente dal mercato dei
prodotti. È il gioco della speculazione, che ha trasformato il de-
naro da «mezzo» di scambio di prodotti e servizi a «fine» auto-
nomo, e come tale è diventato un idolo, più di quanto lo fosse
già. È stato sufficiente che un certo numero di persone abbiano
richiesto le banconote corrispondenti ai movimenti finanziari
in atto, per smascherare il fatto che giravano numeri gonfiati
da operazioni solo virtuali. Quelle banconote non esistevano.
Il denaro, comunque, non è l’unico idolo, ce ne sono al-
tri. Basti pensare al «sesso», oggi quasi completamente svin-
colato dall’«amore sponsale»; al «potere» fine a se stesso, e non
come possibilità di rendere un «servizio» sociale più elevato;
o alla «gloria» perseguita come tale e non come conseguenza
dell’eccellenza dell’ingegno umano. Sono tutte manifestazioni
dell’incessante attività del demonio che, senza sosta, si adopera
per trasformare ciò che potrebbe aiutare l’uomo a elevarsi, in
strumenti di degrado e di abbrutimento. Qualcuno ha definito
il demonio come la scimmia di Dio, del quale tenta di fare le
stesse cose, ma in negativo e in modo degradato.
Ringraziamo il Signore, che ogni tanto permette che venga-
no smascherati gli idoli, le macchinazioni umane, e torni alla
luce la verità.

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XXVII settimana del Tempo Ordinario – Sabato


La nostra beatitudine
Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse:
«Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli
disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».
 Lc 11,27-28

Quando al mattino, ancora sonnacchiosi, ci sediamo a tavo-


la di fronte alle tazze fumanti di caffellatte, abbiamo l’agenda
piena di impegni e di persone da incontrare. Non è una pagi-
na vuota, è già piena, ma di eventi che debbono ancora essere
vissuti. Ci ricorda il disegno sulla stoffa delle ricamatrici, che
alla sera si sarà trasformato in un bellissimo ricamo. Prima di
iniziare il nostro lavoro giornaliero, questa abitudine all’ascolto
del vangelo ci predispone la mente, il cuore, la bocca e le dita
a fare un bel ricamo.
È l’atto creativo del mondo, che ogni giorno si rinnova, e
che Dio pone nelle nostre mani perché ne facciamo una cosa
bella, buona e santa. Dipende tutto da noi, però è difficile fare
un brutto lavoro se al mattino apriamo la mente e il cuore a
questa Parola che ci illumina e ci guida. Ascoltiamo qualche
versetto del Salmo 104: esso celebra il meraviglioso evento di
ogni giorno, quando al mattino sorge il sole e si rinnova l’atto
creativo di Dio al quale, per sua bontà, ha chiesto anche all’uo-
mo di partecipare.
«Benedici il Signore, anima mia! Sei tanto grande, Signore,
mio Dio! Sei rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce
come di un manto, tu che distendi i cieli come una tenda, co-
struisci sulle acque le tue alte dimore, fai delle nubi il tuo car-
ro, cammini sulle ali del vento… Salirono sui monti, discesero
nelle valli, verso il luogo che avevi loro assegnato… Tu mandi
nelle valli acque sorgive perché scorrano tra i monti, dissetino
tutte le bestie dei campi e gli asini selvatici estinguano la loro
sete. In alto abitano gli uccelli del cielo e cantano tra le fronde.
Dalle tue dimore tu irrighi i monti, e con il frutto delle tue
opere si sazia la terra. Tu fai crescere l’erba per il bestiame e le
piante che l’uomo coltiva per trarre cibo dalla terra, vino che

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allieta il cuore dell’uomo, olio che fa brillare il suo volto e pane


che sostiene il suo cuore… Stendi le tenebre e viene la notte:
in essa si aggirano tutte le bestie della foresta… Sorge il sole:
si ritirano e si accovacciano nelle loro tane. Allora l’uomo esce
per il suo lavoro, per la sua fatica fino a sera».
Quest’uomo, che ogni mattina esce al suo lavoro, per la sua
fatica fino a sera, siamo noi che, con il nostro disegno da rica-
mare, ci inseriamo nell’atto creativo di Dio.

XXVIII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


I servi del vangelo
Gesù… disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di
nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle
nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con
quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo… venite
alle nozze!”. Ma quelli… andarono chi al proprio campo, chi ai propri
affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re
si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle
fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta,
ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti
quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi
radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze
si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un
uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei
entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò
ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre”».Mt 22,1-13
Le parabole che ci parlano del regno dei cieli, sono come le
diverse sfaccettature di un cristallo, ciascuna delle quali riflette
una parte del mistero nel quale siamo immersi. Quella di oggi
ci mostra il Regno come una festa che Dio Padre ha indetto,
per invitare gli amici alle nozze di suo Figlio con l’umanità.
Chi accetta l’invito partecipa al piano della salvezza universale
e fa parte della chiesa.
Ci chiediamo allora: «In quali personaggi della parabola noi,
oggi, ci riconosciamo?». Certamente non in coloro che rifiuta-
no l’invito, come ha fatto il popolo ebreo, o come coloro che,

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anche ai nostri giorni, si rifiutano di credere al messaggio sal-


vifico del vangelo. Non apparteniamo nemmeno a coloro che
accettano l’invito alla festa, perché l’abbiamo già accettato da
tempo e abbiamo anche già mangiato abbondantemente. Non
siamo neppure rappresentati da quel commensale allontanato,
che non indossa la veste appropriata, perché tutti noi, pur con
i nostri alti e bassi, abbiamo la fede e crediamo nella signoria di
Gesù, che è l’unica veste richiesta.
Qual è, allora, il nostro ruolo nel contesto di questa para-
bola? Noi possiamo essere solo i servi, che il padrone manda a
invitare alle nozze, prima gli amici e poi tutti gli altri, buoni e
cattivi. È un compito di fiducia che ci è affidato, svolgendo il
quale possiamo anche essere insultati come i collaboratori della
parabola di oggi, se non proprio uccisi. Ma coloro che accette-
ranno l’invito ci saranno grati in eterno. È il grande mandato
all’annuncio del vangelo, che il Signore affida ai suoi servi, alle
persone che lo hanno conosciuto e delle quali si fida. Se noi
avessimo la piena coscienza del compito che ci è stato affidato,
lavoreremmo giorno e notte per portarlo a termine.

XXVIII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Il dono della fede
Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa
generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le
sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un
segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa
generazione. Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro
gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli
estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco,
qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti
di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno,
perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è
uno più grande di Giona». Lc 11,29-32

La regina di Saba, venne dall’Arabia Meridionale, l’odierno


Yemen, per ascoltare la sapienza del re Salomone: «Ed ecco,

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qui vi è uno più grande di Salomone», dice oggi Gesù. «Questa


generazione cerca un segno», più ne riceve e più ne cerca, «ma
non le sarà dato alcun segno se non il segno di Giona». «Ed ec-
co, qui vi è uno più grande di Giona»: è la sintesi del vangelo di
oggi. All’umanità, da sempre in ricerca di una sapienza assolu-
ta, di una verità incorruttibile dal tempo che passa, che ricerca
dei segni, nella vita e nella storia, per entrare in contatto con
l’infinito di Dio, il Signore presenta solo la verità del vangelo e
la sua risurrezione, che è il segno di Giona.
Il messaggio del vangelo, però, è comprensibile e ricono-
sciuto solo da chi è piccolo, o sa farsi tale di fronte all’evento
storico della morte in croce e della risurrezione di Gesù Cristo,
con il suo mistero e il suo potere di liberazione dell’uomo. Solo
con l’atteggiamento dei bambini, che credono incondiziona-
tamente alle parole di chi li ama, senza avvertire l’esigenza di
prove e dimostrazioni, ci è consentito di penetrare questo mi-
stero di amore e di entrare nel regno dei cieli, che il Signore ha
preparato per noi. Preghiamo perché questo avvenga, e se è già
avvenuto, perché rimanga vivo fino all’ultimo alito di vita.

XXVIII settimana del Tempo Ord. – Martedì (Anno dispari)


La forma e la sostanza
Mentre stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e
si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le
abluzioni prima del pranzo. Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite
l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità
e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche
l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi
tutto sarà puro». Lc 11,37-41

È buona norma lavarsi le mani prima di sedersi a tavola per


pranzare, perché durante la giornata tocchiamo di tutto e non è
bene che il cibo diventi un veicolo di infezione per il nostro cor-
po. Questa prassi igienica, nel mondo ebraico al tempo di Gesù
era diventata norma di legge, che certamente egli conosceva e
rispettava. Oggi, però, essendo invitato a pranzo da un fariseo,

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la trasgredisce volutamente, come spesso fa con il sabato, per


creare l’occasione di notificare che la forma è importante, ma la
sostanza lo è ancora di più. Allora, come oggi, il rispetto delle
regole, che dovrebbe essere la manifestazione esteriore di valori
interiori, serve spesso per nascondere il fatto che tali valori non
esistono, così come la comunicazione finisce per nascondere,
piuttosto che trasmettere, i pensieri. Oggi Gesù ha deciso di
denunciare questo falso formalismo e si siede a tavola senza fare
prima le abluzioni delle mani: «Voi farisei pulite l’esterno del
bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e
di cattiveria».
Per Gesù sono più importanti i sentimenti e gli atteggia-
menti del cuore: l’amore, il perdono, la pace, la franchezza,
la purezza dei pensieri, la compassione, l’attenzione ai biso-
gni dei poveri. Gesù, parlando del piatto, esorta a trasformare
piuttosto in elemosine il cibo che contengono: «Date piuttosto
in elemosina quello che c’è dentro». Poiché nel brano di oggi
la coppa e il piatto simboleggiano le persone, Gesù esorta a
un’elemosina globale, una donazione completa di quello che
si è e che si ha. È un mettere a disposizione degli altri, senza
ostentarli, i nostri talenti perché vengano trafficati come quelli
della famosa parabola. Non è solo un’elemosina di soldi: è una
donazione di amore, pace, perdono, condivisione e compassio-
ne. Sono questi i talenti da donare talvolta insieme alla moneta
che ci è richiesta.

XXVIII settimana del Tempo Ord. – Martedì (Anno pari)


Adorare Dio per capire
Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per
la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco. In esso
infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: Il giusto
per fede vivrà. Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e
ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché
ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato
a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e
divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo

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attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo
di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né
ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la
loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono
diventati stolti… Rm 1,16-22

La Lettera ai Romani rappresenta il vertice più alto della


speculazione teologica di Paolo. Essa, pur essendo centrata sul
tema della salvezza mediante la fede, e spaziando in molti altri
argomenti, può essere riassunta dai primi versetti del brano di
oggi: il vangelo di Cristo «è potenza di Dio per la salvezza di
chiunque crede», ed è suprema rivelazione della verità e della
giustizia di Dio, che si manifesta «da fede a fede». Ogni creden-
te, cioè, eredita il messaggio del vangelo e le riflessioni di chi lo
ha preceduto, ma ci aggiunge le proprie risonanze arricchendo,
in tal modo, la conoscenza di Cristo nella storia. Il protagoni-
sta assoluto di questa lettera è Dio Padre, il quale ha deciso di
salvare l’umanità dal peccato, senza alcuna distinzione tra ebrei
e pagani.
Nei versetti successivi Paolo annuncia che è la «fede» a per-
mettere di penetrare la verità e di approfondirla sempre più.
La «ragione», vanto delle civiltà greca e romana, e la «legge»,
vanto del popolo ebreo, pur avendo raggiunto altissime mete
e profonde speculazioni, a un certo punto si sono perse perché
gli uomini «soffocano la verità nell’ingiustizia», negando a Dio
l’adorazione per ciò che la ragione ha conosciuto o che nel-
la legge è stato rivelato, «perché, pur avendo conosciuto Dio,
non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono
perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente, certo non
ottusa, si è però ottenebrata».
Delle molteplici verità che la ragione può leggere nel gran
libro della natura, Paolo cita l’eternità, l’onnipotenza e la di-
vinità: «Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna
potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla cre-
azione del mondo attraverso le opere da lui compiute». La fede,
invece, permette di penetrare in profondità sia le verità del van-
gelo che quelle della creazione, tramite l’adorazione e la con-
templazione: del cielo stellato, del filo d’erba, delle parabole e
di tutta la storia della salvezza.

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XXVIII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


L’esercizio dell’autorità
«Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e
su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio… Guai a
voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze.
Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente
vi passa sopra senza saperlo». Intervenne uno dei dottori della Legge e
gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose:
«Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi
insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».
 Lc 11,42-46

Ciascuno, nell’arco della giornata, ha dei momenti nei quali


si trova a svolgere il servizio della responsabilità: in famiglia, in
azienda o in altre attività. Ogni persona, cioè, in ambiti più o
meno estesi, si trova a esercitare l’autorità e a ricoprire il ruolo
di «capo», almeno di se stesso. Il vangelo di oggi ci permette di
riflettere su come esserlo. I modi sono due: o attraverso l’«au-
torevolezza» acquisita con la competenza e il servizio, oppure
facendo valere il peso del ruolo.
Nel primo caso la funzione di capo, anche se istituzionale,
viene come riguadagnata sul campo con l’esercizio della «dia-
conia», cioè del servizio; nel secondo il capo si ritiene tale per
diritto, acquisito o ereditato, e considera giusto essere servito
piuttosto che servire. Il modo cristiano di esercitare l’autorità
è attraverso la diaconia: come l’hanno esercitato Mosè, Gesù,
Pietro, Paolo e tutti i leader della storia della salvezza. La diaco-
nia è un impegno globale, coinvolge tutto l’uomo, di notte e di
giorno; è rivolta a ogni tipo di bisogno, materiale e spirituale, e
parte dal presupposto che il capo sia il primo ad assumersi le re-
sponsabilità e a rispettare le regole. Questo modo di esercitare
l’autorità conferisce un’autorevolezza tale che risulta superfluo
ricercarla attraverso la cura dell’immagine, i primi posti nelle
assemblee e i saluti nelle piazze.
Chi invece ricopre il ruolo di capo senza averne competenze
e spirito di servizio, ma facendo piuttosto valere il diritto a
essere servito, ha la necessità di crearsi un’immagine, magari
facendo pesare l’autorità del ruolo. È l’atteggiamento dei farisei

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che, nel vangelo di oggi, Gesù smaschera senza mezzi termini.


La prima regola del fariseo era, ed è rimasta, quella di mostrare
in pubblico il rispetto delle regole piccole, come il pagare la
decima della menta e della ruta, per poter trasgredire in privato
quelle grandi della giustizia e dell’amore per Dio e per il pros-
simo. La seconda è la ricerca dei primi posti nelle sinagoghe e
i saluti nelle piazze, in modo da alimentare continuamente il
ruolo di sudditanza degli altri. La terza è quella di caricare gli
uomini di pesi insopportabili, senza che loro stessi ne siano
sottomessi, come a volte succede per le tasse e i contributi. È
l’arroganza dei potenti, che non ha tempo.

XXVIII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Strategie di persecuzione
«Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e… testimoniate e
approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite. Per questo
la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li
uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto
conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal
sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l’altare e il
santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. Guai
a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza;
voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».
 Lc 11,47-54

Le strategie per osteggiare l’evangelizzazione sono state sem-


pre quelle denunciate da Gesù nel brano di oggi: mettere a
tacere e uccidere i profeti e gli apostoli, rifiuto del vangelo e
critiche corrosive da parte degli uomini di cultura e di gover-
no, quelli che oggigiorno vengono chiamati opinion leader. È
ciò che Gesù, nella lettura odierna, imputa a scribi e farisei:
«Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave
della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano
entrare voi l’avete impedito». È stata la prassi seguita nei paesi
comunisti durante il secolo scorso, ed è la stessa di questi gior-
ni in India, dove, per impedire che si propaghi liberamente la

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dottrina del vangelo in quel paese diviso in caste, stanno perse-


guitando e uccidendo sacerdoti e missionari cristiani.
È anche la strategia attuale del mondo musulmano, che pe-
rò non la applica per reprimere, ma per pianificare la propria
espansione. I musulmani, infatti, per propagare la propria re-
ligione in un paese, cominciano a occuparne i centri di potere
e di governo. Fatto questo, mettono in atto, in senso opposto,
il comportamento degli scribi e dei farisei nel vangelo di oggi:
favoriscono socialmente, in ogni modo, coloro che diventano
musulmani. Sono situazioni che ho avuto occasione di cono-
scere personalmente in Cina e nei paesi arabi, dove mi sono
fermato a lungo per motivi di lavoro; e anche in alcuni paesi
comunisti, negli anni in cui erano satelliti dell’Urss. In que-
sti ultimi mi sono recato, per motivi apostolici, quando nel
Rinnovamento Carismatico sono stato chiamato a svolgere un
servizio internazionale. Prima della caduta del muro di Berli-
no, ricevevo, da diversi paesi comunisti, lettere di sacerdoti i
quali, stanchi di vivere un cristianesimo isolato e perseguitato,
si raccomandavano che facessi loro visita. Alcuni mi hanno ad-
dirittura fatto pervenire messaggi non scritti, perché la corri-
spondenza in entrata e uscita veniva aperta dalle autorità locali.
«Venga lei – mi dicevano – che è un laico, i sacerdoti nel nostro
paese non possono entrare». In Ungheria ci sono andato due
volte, entrambe ricevuto in scantinati di comuni abitazioni di
Budapest, perché in chiesa sarebbe stato rischioso. Ma a guida-
re la storia è il Signore e il muro di Berlino è caduto.

XXVIII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


La battaglia contro il peccato
Intanto si erano radunate migliaia di persone, al punto che si
calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli:
«Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di
nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi
ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete
detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze.
Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo

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e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete
aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella
Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui. Cinque passeri non si vendono forse
per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio.
Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura:
valete più di molti passeri!». Lc 12,1-7

Ci dice oggi il Signore: «Non abbiate paura di quelli che


uccidono il corpo... temete colui che, dopo aver ucciso, ha il
potere di gettare nella Geenna». In altre parole: «Non temete
la morte del corpo, temete il peccato, che è la morte dell’ani-
ma». La morte e il peccato sono legati tra loro, come due facce
della stessa medaglia; e Gesù è venuto a liberarci da entrambe.
Liberati dal peccato, lo siamo anche dalla morte che, tuttavia,
permane nel mondo come realtà apparente.
Come è possibile, però, liberarsi dal peccato se anche Paolo
dice: «Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare
il bene, il male è accanto a me» (Rm 7,21)? Siamo soggetti alla
legge del peccato come a quella di gravità. L’abbiamo ereditato
da Adamo, come un testimone che ci passiamo di padre in
figlio. La battaglia contro di esso la dovremo sostenere ogni
giorno della vita, come ogni giorno ci tagliamo la barba, ma,
come la barba, rispunterà sempre. L’unico modo che abbiamo
per combatterlo è rimanere in comunione con il Signore che,
essendo nato e vissuto senza peccato, trasmette il testimone
della santità.
È una staffetta che dobbiamo correre, tenendo in una mano
il testimone del peccato, consegnatoci da Adamo, e nell’altra
quello della santità, trasmessoci da Gesù. Anche se facciamo
di tutto per mollare il primo e portare avanti solo il secondo,
non ci riusciremo mai. Possiamo solo combattere, come faccia-
mo con la barba che rispunta sempre. I mezzi disponibili per
riuscirci li conosciamo: sono la preghiera, la meditazione delle
Sacre Scritture, l’eucaristia, la confessione e il digiuno. Se li
metteremo in pratica con perseveranza, ci incammineremo per
la strada della santità, pur senza raggiungerla: e alla fine non
saremo gettati nella Geenna perché avremo combattuto, non
perché avremo vinto. È su questa nostra battaglia personale che
è radicata la misericordia del Signore.

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XXVIII settimana del Tempo Ordinario – Sabato


La bestemmia contro lo Spirito Santo
«Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il
Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi
rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.
Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi
bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato. Quando vi porteranno
davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di
come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo
vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire». Lc 12,8-12

Oggi cerchiamo di comprendere queste parole che papa Gio-


vanni Paolo II ha definito «parole del non-perdono»: «Chiun-
que parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a
chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato». Perché
la bestemmia contro lo Spirito Santo è imperdonabile, mentre
quella contro Gesù Cristo lo è? Come deve essere intesa questa
bestemmia? Che cosa dice la teologia a tal proposito?
La risposta ce l’ha data san Tommaso d’Aquino nella Summa
teologica, nella quale afferma che la bestemmia contro lo Spirito
Santo è «irremissibile» in quanto esclude quegli elementi, grazie
ai quali si ha la remissione dei peccati. Quali siano questi ele-
menti lo ha spiegato papa Giovanni Paolo II nell’enciclica Do­
minum et vivificantem (1986). La bestemmia, dice l’enciclica,
non consiste nel pronunciare parole di offesa nei confronti del-
lo Spirito Santo, ma «nel rifiuto di accettare la salvezza che Dio
offre all’uomo mediante lo Spirito Santo», operante in virtù del
sacrificio della croce. Se l’uomo si rifiuta di riconoscere il pro-
prio peccato, rifiuta contemporaneamente lo Spirito Santo, che
ha il compito di dimostrare la colpa del mondo «quanto al pec-
cato» (Gv 16,8), e rifiuta il sacrificio di Gesù Cristo sulla croce
per la remissione dei nostri peccati. In altre parole, la salvezza è
un dono che, come tale, chiede solo di essere accettato. Pertanto
la bestemmia contro lo Spirito Santo, spiega ancora l’enciclica,
consiste nel fatto che l’uomo «rivendica un suo presunto diritto
di perseverare nel male».
Il vangelo di oggi esorta a una riflessione sul piano di salvezza,
che inizia con la chiamata di Abramo e con quella conseguente

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del popolo di Israele. Esso poi si realizza concretamente con il


sacrificio di Gesù Cristo sulla croce e arriva a noi tramite lo Spi-
rito Santo, il quale chiede solo di accettare questo infinito dono
di Dio, riconoscendo, nella realtà del nostro peccato, il bisogno
di essere salvati. È la Nuova Alleanza che si realizza in noi.

XXIX settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Il tributo a Cesare
Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come
coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri
discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero
e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno,
perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere:
è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro
malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi
la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò
loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di
Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare
e a Dio quello che è di Dio». Mt 22,15-21

Oggi il vangelo ci chiede di riflettere sul dissidio interiore


che le nostre coscienze di credenti vivono di fronte alle leggi
umane, avvertite molto spesso come ingiuste. Non esiste un
sistema legislativo che possa essere interamente condiviso da
ogni cittadino e, quando ci imbattiamo in una legge che non
approviamo, la tentazione di trasgredirla, appellandoci alla no-
stra coscienza, è grande.
Negli ultimi anni, nel nostro paese questo atteggiamento si
è diffuso incredibilmente proprio tra le persone «di buona vo-
lontà». L’attuale situazione storica e sociale è resa molto com-
plessa dalle ondate di immigrazione clandestina, di fronte alle
quali vengono eluse le leggi vigenti. Se è lecito, o addirittura
doveroso, trasgredire le leggi ingiuste emanate da dittatori, in
uno stato democratico le leggi devono essere migliorate, cor-
rette o abrogate con un referendum, ma non trasgredite siste-
maticamente. Ci si è illusi di fare una cosa buona favorendo

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l’illegalità in nome della carità e della tolleranza, ma i risultati


non sono accettabili. Se mi arrogo il diritto di trasgredire le
leggi per quello che io considero buono, altri si sentiranno il
diritto di fare lo stesso per quello che a loro sembra buono; e
sarà l’anarchia più totale.
Tutto ciò che alligna nell’illegalità diventa incontrollabile e
pericoloso. Anche la mafia era nata per difendere i più deboli.
Non credo che gli ebrei del tempo di Gesù ritenessero giusto
pagare i tributi a uno stato invasore e dominatore, eppure Gesù
li esorta a farlo, non tanto per separare i doveri civili dagli im-
pegni cristiani, ma ottemperandoli proprio per potersi dedicare
in modo più sereno a «quello che è di Dio».

XXIX settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


Il ciclo della vita
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva
dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché
non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei
magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano
e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti
beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli
disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che
hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si
arricchisce presso Dio». Lc 12,16-21

Quest’uomo ricco, la cui campagna aveva dato un buon


raccolto, doveva essere una persona di mezz’età, perché è il
periodo della vita nel quale si pensa a dove sistemare i beni
che abbiamo accumulato. Prima e dopo i problemi sono altri.
Quest’estate, dopo cena, ci trovavamo nel giardino della casa
di Castiglioncello, trascorrendo in conversazione le ultime ore
della giornata, prima di andare a letto. Tra nonni, figli e nipoti
eravamo una quindicina di persone. Paolo, l’ultimo nato di An-
na Rita, era impegnato a mandar giù l’ultimo biberon di latte
della giornata; Chiara e Carlotta giocavano e bisticciavano fra
loro, costruendo qualcosa con i sassi del giardino e parlottando

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su ciò che avrebbero fatto da grandi; e Sara, che sta finendo le


scuole elementari, veniva presa in giro, perché avevano scoper-
to la sua prima cottarella per un compagno di classe. Gabriele,
sempre impegnato nelle gare di nuoto, ci informava dei suoi
tempi cronometrici e di quelli che pensava di raggiungere a
breve. Eugenio e Gianmario parlavano del proprio lavoro e tra
qualche anno, quando avranno raggiunto l’età dell’uomo della
parabola di oggi, cominceranno a pensare a come investire i
soldi guadagnati.
In mezzo a tutti questi sogni e programmi c’eravamo noi
nonni che, mentre cerchiamo di pianificare gli anni che abbia-
mo ancora davanti, stiamo già cominciando a pensare all’in-
contro con il Signore. La nostra non è l’età in cui si costruisco-
no nuovi magazzini, per sistemare un buon raccolto, si pensa
invece a trasmettere ciò che abbiamo imparato di più prezioso
dalla vita. È il meraviglioso ciclo dell’esistenza umana che, par-
tendo dai sogni di quando siamo bambini, dopo programmi e
realizzazioni, si conclude chiedendoci dove stiamo andando.

XXIX settimana del Tempo Ordinario – Martedì


L’attesa nella vigilanza
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate
simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze,
in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi
che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si
stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E
se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati
loro ! ». Lc 12,35-38

All’inizio del 1938 la zia Noemi, sorella del nonno Renzo,


era sposata da poco e si trovava in stato di gravidanza, quan-
do il marito, lo zio Beppe, fu chiamato al servizio militare e
inviato a combattere in Africa. Successivamente, combatté in
Albania, in Grecia e, alla fine, fu anche prigioniero in Russia.
Stette lontano da casa per quasi nove anni, durante i quali era
riuscito a scrivere alla zia non più di una diecina di lettere.

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Tornò a casa verso la fine del 1946. Un treno merci si fermò a


Rosignano, lui scese e, con lo zaino sulle spalle, s’incamminò
verso Castiglioncello, da dove era partito e dove a casa l’aspet-
tavano la zia Noemi e il figlio Franco che, fino all’età di otto
anni, lo aveva visto solo in fotografia. Quando un ciclista, che
per la strada lo aveva riconosciuto e superato, avvisò la zia Noe-
mi che lo zio Beppe stava tornando, lei posò l’ago e i pantaloni
che stava cucendo, gli corse incontro e, in mezzo alla strada,
rimasero abbracciati, in silenzio, con le lacrime agli occhi, per
molto tempo.
Tutte le volte che leggo questa pagina del vangelo che esorta
alla «vigilanza» e alla «fedeltà», non posso fare a meno di pen-
sare alla zia Noemi che, giorno dopo giorno, per quasi nove
anni, ha lavorato come sarta e ha fatto crescere il mio cugino
Franco, sempre operosa, fedele e senza perdere mai la speranza
nel ritorno dello zio Beppe. Che cos’è la vita cristiana se non
un’attesa attiva e operosa, nella fedeltà al Signore e nella vigi-
lanza, con la cintura ai fianchi, per essere pronti a partire, e
la lucerna sempre accesa, per non addormentarsi? «Beati quei
servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli», dice
oggi il Signore. Tuttavia, essere fedeli e vigilanti non è tutto:
ci è chiesto di essere anche profeti dell’attesa, coloro che man-
tengono svegli gli altri con i quali conviviamo, perché non sia
un’attesa solitaria. È l’attesa della chiesa, ed è stata anche la
lunga attesa della zia Noemi, che tutti i giorni parlava del padre
al figlio. Quando lo zio Beppe e la zia Noemi, dopo aver fatto
l’ultimo tratto da Rosignano a Castiglioncello insieme, mano
nella mano, misero piede in casa, il figlio Franco lo riconobbe
subito ed esclamò: «Babbo!».

XXIX settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


I talenti e il progetto
«Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene
il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti
perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Allora

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Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che
il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a
tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire
così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi… Il
servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito
secondo la sua volontà, riceverà molte percosse». Lc 12,39-47

Quando noi meditiamo la parabola dei talenti ci troviamo


di fronte a una parte della verità. Essa ci esorta a trafficare bene
i doni ricevuti perché portino frutto, ma non ci dice in che
modo, in quale progetto di vita. Oggi il Signore ci comunica
l’altra parte della verità: «Il servo che, conoscendo la volontà
del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà,
riceverà molte percosse». C’è quindi un progetto che ci riguar-
da, ci sono dei frutti da portare e ci sarà un giudizio finale. I
talenti, però, che il Signore consegna, parte alla nascita e parte
al battesimo, e che i genitori hanno il compito di curare che
i figli sviluppino, sono solo una caparra di tutta la dote. A es-
si il Signore aggiunge tutti gli altri, che costituiscono la parte
principale, appena una persona comincia a imboccare il suo
progetto di vita.
Purtroppo non sempre, e non tutti, ci rendiamo conto del
programma che il Signore ha predisposto per noi e preferiamo
trafficare i pochi talenti della caparra nei nostri piccoli progetti
terreni, piuttosto che riceverli tutti, unitamente al suo progetto
di vita. Quando li riceviamo, sono sempre delle piccole pianti-
celle che all’inizio crescono con l’amore dei genitori e, succes-
sivamente, con la preghiera, la frequentazione dei sacramenti
e l’impegno nello sviluppo del nostro progetto. Per renderci
conto fino a dove può arrivare il dono dei talenti che il Signore
ha in serbo per noi, basta pensare a san Paolo e a quelli da lui
ricevuti, abbinati alla rivelazione del suo progetto: «Penso che
abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me
affidato a vostro favore. Leggendo ciò che ho scritto potete ren-
dervi conto della comprensione che io ho del mistero di Cri-
sto... A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa
questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze
di Cristo» (Ef 3,2-8). Anche per noi anziani, però, il Signore ha
in serbo altri progetti e altri talenti.

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XXIX settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Condividere il Signore in famiglia
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già
acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato
finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra?
No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono
cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno
padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia con-
tro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».   Lc 12,49-53
Negli anni Ottanta, quando la nostra amica Francesca co-
minciò a frequentare il gruppo di preghiera del Rinnovamento
Carismatico, in famiglia era un litigio unico. «È mai possibile
che da quando vai a pregare, noi bisticciamo sempre» le diceva
continuamente suo marito. Il più delle volte lei non risponde-
va, ma ogni tanto azzardava una risposta del tipo: «Veramente
bisticci tu, io sono tranquilla». «Ecco, è questa tua tranquillità
che mi fa arrabbiare» ribatteva suo marito, ancora più invi-
perito. Dopo qualche mese di discussioni familiari, Francesca
decise di interrompere le frequentazioni al gruppo di preghie-
ra; poi, usando le armi di Ester, nelle quali sono abilissime le
donne, si ripresentò con il suo sposo. Da quel momento hanno
iniziato un bel cammino spirituale insieme, che dura tuttora.
Quando Francesca veniva al gruppo di preghiera da sola, si era
creata quella situazione che Gesù profetizza nel brano di oggi:
«D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, sa-
ranno divisi tre contro due e due contro tre».
Il motivo è semplice e logico. In una famiglia, nel corso
degli anni, si formano degli equilibri che abbracciano sia la
sfera affettiva che quella delle abitudini. Un cambiamento uni-
laterale di essi genera nella persona che non vi è, suo malgrado,
coinvolta, un senso di violenza e di disturbo. È come se il mari-
to, tornando a casa la sera, trovasse che la moglie, pensando di
migliorare l’arredamento, gli avesse cambiato completamente
la disposizione dei mobili: il soggiorno al posto della camera da
letto, e questa al posto del tinello. «Abbi pazienza – le direbbe
–, ma prima di fare certe modifiche, sarebbe stato meglio che
tu me ne avessi parlato!». Anche se l’iniziativa di ogni cam-

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biamento parte sempre da una persona, che magari ha avuto


un’intuizione, un incontro o un’esperienza che l’ha colpita, in
una famiglia le scelte importanti vanno fatte insieme. Alla fine,
la fede vissuta con chiarezza, carità e pazienza conduce sempre
alla comunione. Il Signore è portatore di pace, non di divi-
sione: questa è solo il passaggio per il realizzarsi di una nuova
unione, a un livello superiore.

XXIX settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


La memoria e la vigilanza
Diceva ancora alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente,
subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco,
dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della
terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché
non giudicate voi stessi ciò che è giusto?». Lc 12,54-57

Fin da ragazzo mi ha sempre colpito la tempestività dei ba-


gnini nello smontare gli ombrelloni prima che si alzi il vento
di libeccio e, ancor più, quella dei contadini che anticipano
di una settimana la vendemmia quando è in arrivo la pioggia.
«Come fate – chiedevo ogni tanto – a essere sicuri che il tempo
cambierà?». «Esperienza, ragazzo, esperienza», mi rispondeva-
no il più delle volte. Oggigiorno è più facile prevedere il tempo
che farà, perché sono disponibili previsioni abbastanza precise,
ma allora era fondamentale saper leggere i segni atmosferici,
capacità che si acquisiva con il passare degli anni. Però non era
solo esperienza, era anche «capacità di far memoria», e soprat-
tutto era «vigilanza» per cogliere in tempo utile l’avvicinarsi
dei cambiamenti. Sono la mancanza di memoria e di vigilanza
l’accusa odierna di Gesù alle folle, e in particolare ai farisei:
«Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come
mai questo tempo non sapete valutarlo?» Giovanni il Battista,
che era vigilante, aveva mandato i suoi discepoli a chiedere a
Gesù: «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un
altro?» (Mt 11,3). La risposta di Gesù era stata chiara: «Andate
e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano

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la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi


odono, i morti risuscitano» (Mt 11,4-5).
Gesù aveva risposto con i fatti, mostrando che in lui si com-
pivano le profezie dell’Antico Testamento: «Allora si apriranno
gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allo-
ra lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del
muto» (Is 35,5-6). Gesù, cioè, dopo aver ammirato in Giovanni
la «vigilanza», lo invita «a far memoria». Anche noi, per alimen-
tare la nostra fede, abbiamo bisogno di essere vigilanti e avere
buona memoria. Dobbiamo ricordarci di tutte le volte in cui il
Signore ci ha protetti dai pericoli, benedetti con la provvidenza,
ci ha aperto le porte giuste e chiuse quelle sbagliate in occasio-
ne di scelte importanti. La vita alla sequela del Signore è un mi-
racolo continuo, basta abituarsi a riconoscerlo e far memoria.

XXIX settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Gli operai del Signore
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di
fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse
al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero,
ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma
quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò
zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per
l’avvenire; se no, lo taglierai”». Lc 13,6-9

Quando Gesù raccontò per la prima volta questa parabola,


aveva in mente non solo il popolo di Israele, i cui capi religiosi
si erano rifiutati di accoglierlo come Messia, ma i tanti operai
che nel corso dei secoli sarebbero stati chiamati a collaborare
al suo piano di salvezza. Perché questo si realizzi, è necessario
che ciascuno porti i propri risultati, altrimenti viene sostituito
da altri, come nella parabola di oggi il padrone minaccia di fare
con quel fico che da tre anni non produce frutti. Quando, da
giovane ingegnere, esercitavo la professione di project manager,
all’inizio di un progetto il presidente della società mi chiamava
per dirmi: «Questo è il progetto da realizzare, questo è il budget
che hai a disposizione e questo è il tempo che devi impiegare.

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Scegliti i collaboratori, fai un buon lavoro e ogni mese manda-


mi un rapporto per informarmi sui problemi che insorgono e
su come sta andando la realizzazione».
Una stretta di mano e io tornavo nel mio ufficio a studiarmi
il progetto e a pensare all’organigramma dei collaboratori, ab-
binando a ogni funzione il nome di una persona che avesse tre
caratteristiche: esperienza, buona volontà e capacità di lavorare
insieme ad altri. Se durante il lavoro mi succedeva che un col-
laboratore, qualunque fosse il motivo, non portasse i risultati
necessari per il buon andamento del progetto, ero costretto a
rimuoverlo dal suo ruolo affidandogli un lavoro diverso, e lo so-
stituivo con un’altra persona. L’importante era la realizzazione
del progetto, non chi fossero i collaboratori e il loro ruolo. La
parabola di oggi ci dice che il Signore opera allo stesso modo,
ma con una differenza: delle tre caratteristiche necessarie per
essere un buon collaboratore a lui interessa solo la buona vo-
lontà. L’esperienza, la capacità di lavorare in gruppo e i carismi
necessari per svolgere un buon lavoro li dona lo Spirito Santo.
Per quanto riguarda il profilo professionale, il Signore predilige
i semplici e i poveri, non i grandi professionisti, perché alla for-
mazione ci pensa lui. È importante solo la buona volontà. Quan-
do questa viene a mancare, il Signore si sceglie altri collabora-
tori, perché il piano di salvezza del mondo non si può fermare.

XXX settimana del Tempo Ordinario – Domenica


L’amore per Dio e per il prossimo
Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai
sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo
interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande
comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande
e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo
prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la
Legge e i Profeti». Mt 22,34-40

Quella dell’Antico Testamento è una civiltà teocentrica:


l’Amore (con la «A» maiuscola) era riservato a Dio. Mosè aveva

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scritto: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il


Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con
tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5). Il pio ebreo queste
parole le recitava tutti i giorni al calar del sole, perché costitui-
vano il suo «credo» religioso. Nei confronti del prossimo, nella
civiltà ebraica, c’erano solo alcuni precetti di buon comporta-
mento, comunque riferiti al popolo ebreo: per i pagani, non era-
no contemplati precetti e tanto meno il sentimento dell’amore.
L’amore per ogni uomo, di qualunque religione e razza, ele-
vato addirittura al livello dell’amore per Dio, è stato introdotto
da Gesù Cristo: «Amerai il Signore tuo Dio... Il secondo [co-
mandamento] è simile a quello: Amerai il prossimo tuo come
te stesso». Chi sia il prossimo Gesù lo spiega bene nella parabo-
la del buon samaritano: «Un uomo scendeva da Gerusalemme
a Gerico». È un uomo, punto e basta. Del resto l’uomo è la
creatura principe, creata da Dio a sua immagine (Gn 1,27), per
cui non si può amare Dio se non si ama allo stesso modo la sua
immagine. È una verità logica, ma per spiegarla è dovuto venire
sulla terra Dio stesso, nella persona di Gesù di Nazaret. Questo
perfetto equilibrio tra amore per Dio e amore per il prossimo,
che discende dalla fede nel Signore, nella storia non sempre è
stato raggiunto così come Gesù l’ha formulato. Alcune volte
si è spostato verso Dio, altre verso l’uomo. Ai giorni nostri, in
clima di secolarizzazione imperante, l’amore – quando esiste
– è molto spostato verso l’uomo. L’amore per Dio è recepito
quasi come una distrazione dall’amore per l’uomo. In chi ha
veramente fede nel Signore i due sentimenti, però, coincidono
anche oggi. Anzi, l’amore per l’uomo fa da cartina di tornasole
per riconoscere l’amore per Dio.

XXX settimana del Tempo Ord. – Lunedì (Anno dispari)


La festa del settimo giorno
Stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una
donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non
riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le
disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei

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e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga,


sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la
parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli
dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». Il Signore gli
replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo
bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia
di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non
doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?». Quando egli
diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla
intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute. Lc 13,10-17

Ancora una volta la liturgia ci esorta a riflettere sul sabato


che è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Vuol dire che
ne abbiamo bisogno. Noi però, che siamo cristiani e non ebrei,
festeggiamo la domenica, giorno della risurrezione del Signore,
nel quale, fin da piccoli, ci è stato insegnato che si deve riposa-
re. È il riposo di fine settimana, che ha origini più antiche del
giorno della festa: risale addirittura all’inizio del libro della Ge-
nesi, dove si parla del riposo di Dio nel settimo giorno, alla fine
della creazione del mondo. La domenica, come giorno di festa,
costituisce pertanto il tempo sacro di Dio, nel quale il tempo
profano della settimana si ferma e si ricongiunge a quel riposo
originario dell’inizio dei tempi. La domenica dà senso e compi-
mento a tutti gli altri giorni ed è la ricarica per quelli futuri, in
un ciclo continuo che è foriero della grande festa finale, quan-
do, alla fine dei nostri giorni approderemo nell’eternità. Dice
il libro del Levitico: «Durante sei giorni si attenderà al lavoro;
ma il settimo giorno è sabato, giorno di assoluto riposo e di
riunione sacra. Non farete in esso lavoro alcuno; è un sabato in
onore del Signore in tutti i luoghi dove abiterete» (Lv 23,3).
Secondo la tradizione cristiana riposare e far festa alla do-
menica vuol dire partecipare all’eucaristia e non «fare alcun
lavoro» finalizzato al guadagno, stante il fatto che occorre che
qualcuno deve attendere a preparare i festeggiamenti. Quin-
di la chiesa include nel senso della festa anche quelle attività
che, ferma restando la partecipazione alla santa messa, sono
finalizzate al riposo e ai festeggiamenti del popolo di Dio: pre-
parazione del pranzo, spettacoli e intrattenimenti. Qui sarebbe
necessario un discorso sugli spettacoli che sono graditi a Dio,
ma non importa farlo, perché sappiamo già quali sono.

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XXX settimana del Tempo Ordinario – Lunedì (Anno pari)


Il corpo e lo spirito
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere
secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se,
invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti
tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.
E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura,
ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale
gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito,
attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di
Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per
partecipare anche alla sua gloria. Rm 8,12-17

Verso la fine della sua vita terrena, san Francesco, guardando


il proprio corpo invecchiato dagli anni e dalle mortificazioni
alle quali lo aveva sottoposto, esclamò: «Vecchio ciuco, quanto
ti ho bastonato!». Egli considerava il corpo come la cavalcatura
dello spirito, con il quale invece si identificava. Il corpo è im-
portante e abbiamo il dovere di curarlo e di tenerlo in buona
forma, come gli stallieri fanno con i cavalli, altrimenti non ci
può portare dove dobbiamo andare. Però a dirigere il cavallo è
il cavaliere, e lo stesso deve fare lo spirito con il corpo. Tutta-
via, il brano odierno, tratto dalla Lettera di Paolo ai Romani,
è un’esortazione a mortificare le «opere del corpo», il quale, se
non è domato, ha la tendenza ad andare dove gli pare, come un
cavallo selvaggio. Le bastonate alle quali si riferiva san France-
sco erano state necessarie per impedire al suo ciuco di andare
dove voleva. Il corpo, se si lascia libero, rischia di andare verso
quelle che Paolo chiama le opere della carne: «fornicazione, im-
purità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia,
gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e
cose del genere» (Gal 5,19-21).
Se siamo figli di Dio e operiamo per realizzare le sue opere
– dice oggi Paolo – dobbiamo farci guidare dallo Spirito, non
possiamo permettere al corpo di andare dove vuole: «Infatti
tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono fi-
gli di Dio». È il nostro spirito che consente di riconoscerci figli
di Dio e di gridare: «Abbà! Padre!... E se siamo figli, siamo an-

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che eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo


parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria».
Questo avverrà in cielo, ma per il momento lo Spirito dona dei
frutti meravigliosi: «amore, gioia, pace, magnanimità, benevo-
lenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).

XXX settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Crescere insieme
Diceva dunque: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo
posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese
e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo
vennero a fare il nido fra i suoi rami». E disse ancora: «A che cosa posso
paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e
mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Lc 13,18-21
Il vangelo di oggi presenta due parabole che ci esortano a
crescere nella realtà del Regno. Quella del granello di senape
indica il motivo della crescita: poter essere riparo ai piccoli e ai
poveri che ne hanno bisogno. Quella del lievito mostra il modo
per poter crescere. Le ceste dei fornai, nei negozi dei centri cit-
tadini, fanno bella mostra di sé, ricolme di pane dalle forme e
dai sapori diversi. E i supermercati, dal canto loro, allestiscono
banchi sempre più ricchi di pane e focacce di ogni tipo. Molte
donne, tuttavia, amano ancora fare il pane in casa, perché nes-
sun prodotto acquistato potrà mai diffondere il profumo del
pane che sta cuocendo in forno. E quando leggo il vangelo di
oggi mi vengono in mente le immagini, quasi ancestrali, del
pezzo di lievito che si mescola con la farina: è una sostanza im-
mangiabile e dall’odore sgradevole, ma è quella che permette di
trasformare l’impasto di farina e acqua, che sarebbe altrettanto
immangiabile, in pane fragrante, nell’alimento per eccellenza.
Forse Gesù ha scelto questa similitudine per indicarci che
cosa siamo e che cosa potremmo divenire nel regno dei cieli.
Anche noi siamo ben poca cosa, come il lievito, se restiamo
limitati nel nostro individualismo e se vogliamo conservare la
nostra identità personale in maniera egoistica. Se, invece, vi ri-
nunciamo fondendoci con il nostro prossimo, se accettiamo di

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perderci mettendoci a disposizione degli altri, per crescere in-


sieme, allora si ripete l’eterno miracolo che alimenta da millen-
ni l’umanità: in luogo di due sostanze, entrambe immangiabili,
si ha l’alimento migliore, quello che dona sapore ed energia.
Infondici, Signore, il desiderio di unirci al nostro prossi-
mo, di offrire quello che siamo per poter crescere tutti insieme.
Aiutaci a riconoscere la miseria che si cela nelle parole «io» e
«mio» per scoprire la ricchezza racchiusa nelle parole «noi» e
«nostro».

XXX settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Le due porte
Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino
verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli
che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta,
perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori,
comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi
risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo
mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”.
Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi
tutti operatori di ingiustizia!”». Lc 13,22-27

Il piano di salvezza che Dio ha pensato e messo in atto si rea-


lizza per mezzo di noi, non sopra di noi, nel rispetto della liber-
tà che fin dall’inizio è stata donata all’uomo. Questo concetto,
a volte in modo esplicito e altre in filigrana, è presente in tutte
le Sacre Scritture. Nel libro del Deuteronomio il Signore aveva
detto al popolo di Israele: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la
vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di
amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osser-
vare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva
e ti moltiplichi e il Signore, tuo Dio, ti benedica nella terra in
cui tu stai per entrare per prenderne possesso». (Dt 30,15-16).
Oggi il Signore ci dice: «Sforzatevi di entrare per la porta
stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma
non ci riusciranno». Come abbiamo già avuto occasione di os-

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servare in una precedente riflessione, attraverso la porta larga,


che è quella del disimpegno, dell’egoismo e della critica corro-
siva, si entra più facilmente, ma poi ci si trova in un ambiente
angusto e soffocante. Dalla porta stretta si entra con difficoltà,
perché dobbiamo far violenza alla nostra natura che, a causa
del peccato, non è incline alla generosità, al sacrificio per il
prossimo e ai giudizi benevoli, ma una volta entrati ci troviamo
negli spazi sconfinati dell’amore di Dio. Vi sono anche altri
motivi che ci rendono difficile entrare per la porta stretta: ab-
biamo troppi bagagli, dai quali non vogliamo separarci. Siamo
attaccati alle cose, alle nostre opinioni e ai pregiudizi, e tutto
questo bagaglio rende lento il nostro cammino spirituale o, ad-
dirittura, lo blocca. Dai ricordi scolastici riaffiora il termine che
usavano i romani per indicare tali bagagli: impedimenta! Allora
occorre prendere il piccolo e prezioso bagaglio di fede, speranza
e carità. Così, al termine del nostro cammino, non correremo il
rischio di trovare la porta né stretta né chiusa e di sentir rispon-
dere al nostro bussare: «Non so di dove siete».

XXX settimana del Tempo Ord. – Giovedì (Anno dispari)


I doni di Dio sono irrevocabili
In quel momento si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene
via di qui, perché Erode ti vuole uccidere». Egli rispose loro: «Andate a
dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e
domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che
oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non
è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”. Gerusalemme,
Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati
a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia
i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è
abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il
tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!»
. Lc 13,31-35

Erode Antipa, governatore della Galilea, che aveva fatto de-


capitare Giovanni Battista, probabilmente aveva messo in giro
la voce di voler uccidere Gesù di Nazaret. Egli però non lo

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teme, perché lo considera furbo come una volpe e certamente


avrebbe giudicato impopolare sopprimere Gesù, già molto co-
nosciuto e seguito in Galilea, che peraltro stava abbandonando
per trasferirsi a Gerusalemme insieme ad alcuni discepoli. In-
fatti «non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalem-
me», città alla quale si riferisce con la profezia struggente del
brano di oggi: «Gerusalemme, Gerusalemme quante volte ho
voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini!
Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi!». Poi, improvvisamen-
te, la profezia ha una conclusione positiva ed evoca il giorno in
cui il popolo ebreo si convertirà e dirà: «Benedetto colui che
viene nel nome del Signore!».
È pensando a questa profezia di Gesù che Paolo, nella Let-
tera ai Romani scriverà: «L’ostinazione di una parte di Israele
è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto
Israele sarà salvato» (Rm 11,25-26). Sia per Gesù che per Paolo
è chiaro che il nuovo inserimento di Israele nella storia della
salvezza fa parte del piano di Dio, ma questo – dice l’apostolo
– avverrà dopo che tutti i pagani si saranno convertiti. Così
la chiesa, nata dalla costola di Israele come Eva da Adamo, è
destinata a diventare veicolo di conversione del popolo ebreo.
Tale evento è annunciato alla conclusione del brano di oggi.
La ragione del reinserimento degli ebrei nella storia della sal-
vezza, secondo Paolo, risiede nel fatto che «i doni e la chiamata
di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,29). Questo è consolante per
tutti coloro che sono stati chiamati alla fede: potranno sbanda-
re e anche perdersi, ma alla fine ritorneranno al Signore, perché
i doni di Dio non sono revocabili.

XXX settimana del Tempo Ordinario – Giovedì (Anno pari)


L’amore di Cristo
Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato
il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse
ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha
scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto,
anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi! Chi ci separerà

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dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la


fame, la nudità, il pericolo, la spada?… Io sono infatti persuaso che né
morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze,
né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci
dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore. Rm 8,31b-39

Al pensiero dell’immenso amore di Dio per gli uomini, ar-


rivato al punto da donare suo Figlio per il nostro riscatto e per
la nostra salvezza, dovremmo vivere sempre nella gioia, nella
serenità e nella sicurezza: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di
noi?... Chi ci separerà dall’amore di Cristo?».
Questi versetti della lettura di oggi me li ha spiegati un bar-
bone, non un teologo. Verso la fine degli anni Ottanta, per un
certo periodo siamo andati, insieme a padre Fausto, dai bar-
boni della stazione centrale di Milano. Era stato fratel Ettore,
un camilliano che da poco aveva abbracciato quella missione,
a chiederci di dargli una mano. È stata per noi un’esperienza
fondamentale, che ci ha dato modo di capire come una perso-
na possa lasciarsi andare al punto di diventare un barbone. Il
ricordo che ci è rimasto più vivo nella memoria è quello di un
uomo, del quale non ricordiamo il nome, che prima di essere lì
aveva una falegnameria, una bella famiglia, con moglie e quat-
tro figli. Poi, quando era accaduto il disastro del Vajont, aveva
perso tutto ed era rimasto solo al mondo. Da allora non era
più riuscito a vivere una vita normale, si era lasciato andare ed
era diventato un barbone. Quell’uomo aveva un cuore grande.
Era, come tutti gli altri, sempre senza una lira; ma un giorno si
ritrovò ad avere quindicimila lire in tasca. Sapete come le spe-
se? Con cinquemila lire comprò un panino e le sigarette e con
diecimila acquistò un mazzo di fiori, che depose ai piedi della
statua della Madonna, che fratel Ettore aveva sistemato al cen-
tro del rifugio. Colpiti da quel fatto, volemmo conoscerlo me-
glio ed egli ci raccontò la sua storia. Alla fine gli chiedemmo:
«Perché hai comprato quel mazzo di fiori per la Madonna?».
«Perché – rispose – ho capito che cosa sia l’amore quando so-
no stato accolto da fratel Ettore in questo rifugio. Allora chis-
sà com’è grande l’amore del Signore e della Madonna che me
l’hanno fatto incontrare». Veramente niente «potrà mai separar-
ci dall’amore di Dio», se arriva fin dove si radunano i barboni.

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XXX settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


La guarigione dell’idropico
Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed
essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di
idropisìa. Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È
lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo
guarì e lo congedò. Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade
nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano
rispondere nulla a queste parole. Lc 14,1-6

La domanda di Gesù ai dottori della legge e ai farisei è pro-


vocatoria. Egli sa bene che, secondo la legge giudaica, non sa-
rebbe possibile operare alcuna guarigione di sabato, giorno di
festa nel quale si celebra l’attesa dei tempi messianici. Per lui,
però, che è il Messia, il tempo dell’attesa è compiuto ed è de-
caduta la norma del sabato. Tuttavia, la sua provocazione non
è tanto rivolta al rispetto del giorno di festa, quanto all’atteg-
giamento intransigente dei dottori della legge e dei farisei nei
confronti degli altri: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade
nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». Essi
non possono «rispondere nulla a queste parole», perché chissà
quante volte nel giorno di sabato hanno fatto anche di peggio.
Ora distogliamo lo sguardo dal fatto che questo miracolo è
compiuto nel giorno di sabato e rivolgiamolo alla guarigione in
se stessa. Quest’uomo è affetto da «idropisia»: ha il corpo gon-
fio di acqua. In passato abbiamo avuto più volte occasione di
riflettere su queste guarigioni che, al di là dell’evento narrato,
nascondono un significato simbolico.
La «cecità» rappresenta la difficoltà di leggere i segni dei tem-
pi e la presenza del Signore nella storia, la «sordità» e il «mu-
tismo» raffigurano l’incapacità a comunicare con Dio e con
gli uomini, la «lebbra» incarna il peccato che deturpa il volto
dell’uomo, la «mano secca» esprime la difficoltà a operare e
l’«indemoniato» mostra come il demonio può devastare la men-
te e l’equilibrio di una persona. L’idropisia, dalla quale è affetto
quest’uomo, simboleggia, invece, una malattia oggi molto co-
mune: il riempirci di cose inutili, e talvolta nocive, al punto da
togliere spazio a ciò che è buono, bello e vero. Stiamo parlando

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di molti programmi televisivi, di certe notizie di cronaca, delle


banalità che ci pervadono e del vaniloquio che riempie buona
parte delle nostre giornate. Chiediamo al Signore di guarirci
da tutte queste cose, affinché nel nostro cuore si crei spazio
per la preghiera, per la lode, per ciò che è bello, vero e santo.

XXX settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Essere protagonisti nel servizio
Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi
stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come
sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non
metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di
te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora
dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato,
va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato
ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i
commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà
esaltato». Lc 14,1.7-11

C’è nell’umanità una malattia contagiosa che si chiama


«protagonismo». Ciascuno, sul grande palcoscenico della vi-
ta, sogna di ricoprire un ruolo importante: sono pochi coloro
che accettano volentieri di fare la comparsa. La società stessa
alimenta questo spirito di affermazione, dividendo le persone
tra vincenti e perdenti: ogni ambiente e ogni circostanza sono
un’occasione di gara a chi emerge di più. Poi ci sono coloro
che, essendosi convinti di non poter essere dei protagonisti,
si mettono al servizio di coloro che lo sono e, vivendo di luce
riflessa, trovano il modo di emergere ugualmente dalla massa
delle persone.
Di questi ultimi personaggi è ricchissimo il palcoscenico
della politica. In questa gara, comunque, sono molto abili an-
che le donne, combattendo ciascuna con le proprie armi: la
bellezza, l’eleganza, il ruolo del marito nella società e, negli
ultimi decenni, la propria affermazione professionale. È questa
contesa sottile che oggi Gesù osserva, vedendo gli invitati occu-

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pare i primi posti. Egli racconta allora la storiella degli invitati


a nozze e conclude «chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si
umilia sarà esaltato». Ci chiediamo se esista una via per essere
protagonisti, praticabile per tutti e ben accetta al Signore, indi-
pendentemente dai doni naturali ricevuti, dal ceto, dal ruolo e
dai risultati raggiunti nella vita. C’è! L’hanno insegnata Gesù e
tante persone di fede che umilmente si adoperano ogni giorno
per il bene delle loro famiglie e del prossimo: è il servizio. La
condivisione della mensa è una delle forme di accoglienza più
belle che genera un’unione profonda, difficilmente raggiungi-
bile in altro modo. Per tale motivo noi, che lo sperimentiamo
ogni domenica con figli e amici, continuiamo a proporlo co-
me momento privilegiato e benedetto dal Signore, al pari della
preghiera familiare del mattino. Sono queste le due armi più
efficaci per vincere le tendenze disgregatrici della famiglia.

XXXI settimana del Tempo Ordinario – Domenica


L’indipendenza economica dei genitori
Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che
ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato
trasmettervi non solo il vangelo di Dio… Proprio per questo anche noi
rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio
che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomi-
ni ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti.
 1Ts 2,7b-9.13

Paolo, a volte così ostico e duro, nel brano di oggi è addirit-


tura commovente. Nei confronti della chiesa di Tessalonica ha
proprio l’atteggiamento di un padre, che passa dalla fermezza
sui principi alla tenerezza nelle affettuosità. Egli, avendo tra-
smesso il vangelo e la fede ai fratelli di quella comunità, nutre
per loro gli stessi sentimenti di un genitore per i figli. Si è cre-
ato un rapporto padre-figli così forte ed elevato, che egli non
vuol turbare, nemmeno chiedendo un sostentamento econo-
mico per i suoi bisogni materiali: «Voi ricordate infatti, fratelli,
il nostro lavoro duro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno

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per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunziato


il vangelo di Dio». Cogliamo l’occasione che questa lettera di
Paolo ci offre, per dire due parole su un argomento familiare di
una certa importanza: l’indipendenza economica dei genitori,
anche quando sono anziani, nei confronti dei figli.
L’equilibrio familiare si basa sul presupposto che i genito-
ri abbiano il compito di educare, far crescere e costituire un
modello di vita per i figli, provvedendo al loro sostentamento
in ogni fase della crescita. La combinazione di queste compo-
nenti definisce il ruolo formativo dei genitori. Se una di esse
viene a mancare si depaupera la loro figura genitoriale. Poiché
i figli, anche quando sono economicamente indipendenti e vi-
vono per conto proprio, hanno sempre bisogno almeno del
modello dei genitori, è fondamentale che questi mantengano
un’indipendenza economica. Nei casi in cui venga a mancare si
verificano deformazioni comportamentali, come la mancanza
di stima e di rispetto, a tutto svantaggio degli uni e degli altri.
Poiché, con il passare degli anni, questa autosufficienza non
sempre è possibile, sarebbe bene che il sistema politico-sociale
tenesse in maggior considerazione l’autonomia e la dignità de-
gli anziani.

XXXI settimana del Tempo Ord. – Lunedì (Anno dispari)


Far festa con i poveri
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una
cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i
ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il
contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri,
storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.
Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».        Lc 14,12-14
Oggi Gesù annuncia una beatitudine abbastanza sconosciu-
ta, quella della gratuità: «Quando offri un banchetto, invita
poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno
da ricambiarti». Penso che al mondo non esista niente di più
prezioso di un povero che ringrazia con un sorriso perché non
ha altro da dare. Tuttavia, quando parliamo del povero, noi

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pensiamo ad ogni uomo, perché ciascuno ha la sua povertà.


Ma il vangelo insegna anche che Gesù vive nell’uomo. Combi-
nando queste due verità, possiamo affermare che il Signore vive
nella nostra povertà. Chi, nella vita, ha la grazia di incontrare
il Signore nell’uomo, è come se andasse a pregare al tempio: è
l’annuncio che anche Paolo ci fa: «Perché santo è il tempio di
Dio, che siete voi» (1Cor 3,17).
Sappiamo che ci sono uomini nei quali è difficile ricono-
scerlo a occhio nudo, ci vuole il microscopio della fede; ma ci
sono due categorie di persone nelle quali il Signore si riconosce
subito: sono i santi e i poveri. Noi siamo stati fortunati perché
abbiamo incontrato sia gli uni che gli altri. Anzi, ci sembra di
poter dire che sono stati proprio i santi ad aiutarci a incontrarlo
nei poveri. Per ricordare solo quelli che ora sono in paradiso,
pensiamo a padre Cipriano Ricotti, padre Tomaso Beck, padre
Francesco Caniato, padre Arturo Quario, padre Roberto Cor-
retti e altri, i quali ci hanno insegnato molto più che incontrare
il Signore nei poveri: ci hanno insegnato a incontrare ogni uo-
mo nella sua povertà. Noi possiamo invitare a pranzo anche un
ricco, una persona affermata e famosa, basta invitarla nella sua
povertà. Chiediamo al Signore che, in certi casi, ci doni la grazia
di poter annunciare, se non a parole, almeno coi fatti: «Io sono
felice di incontrarmi con te, perché sei un povero come me,
e in te c’è il Signore». Con questo spirito possiamo invitare a
pranzo chiunque, perché in ciascuno vive la povertà. E se lo fa-
remo, non solo riceveremo la sua «ricompensa alla risurrezione
dei giusti», ma anche prima, nella gioia e nella pace del cuore.

XXXI settimana del Tempo Ordinario – Lunedì (Anno pari)


La chiesa salverà gli ebrei
Infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un
tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia
a motivo della loro [dei Giudei] disobbedienza, così anch’essi ora sono
diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché
anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella

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disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti! O profondità della


ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili
sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto
il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato
qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio? Poiché da lui, per
mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.
 Rm 11,29-36

Alcuni giorni fa abbiamo invitato a pranzo Oliviero e Gio-


vanni, due amici con i quali più di trent’anni orsono abbia-
mo iniziato insieme il cammino di fede. Come spesso succede,
quando dei fratelli nel Signore si incontrano, abbiamo parlato
di Sacre Scritture, argomento che ci ha uniti nel passato e che
ci unisce tuttora. Poi la conversazione si è spostata sulla storia
del popolo ebreo. Oliviero sosteneva che è ancora il popolo
eletto perché, come dice Paolo nel brano di oggi, «i doni e la
chiamata di Dio sono irrevocabili!». Io ribattevo che gli ebrei
«sono amati, a causa dei padri [Abramo, Isacco, Giacobbe]»,
ma non più degli esquimesi, e comunque non sono più il po-
polo eletto perché quel tempo per loro è passato. Oggi questo
ruolo appartiene alla chiesa, grazie alla quale – dice Paolo –
anche il popolo ebreo è chiamato a salvarsi. È meraviglioso
che gli stessi peccati degli uomini contribuiscano a rendere più
luminoso l’amore operativo del Padre e facilitino la diffusione
del vangelo. Dio scrive diritto sulle nostre righe storte!
Ma questa strategia divina è niente – dice ancora Paolo – in
confronto all’abisso inesplicabile «della ricchezza, della sapien-
za e della conoscenza di Dio!». Egli dirige la trama segreta della
storia della salvezza attraverso i fatti, dei quali è intessuta la
storia dell’umanità. «Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero
del Signore?». Tutto in lui è mistero, del quale a noi mortali è
rivelato qualche squarcio di luce, perché possa aumentare sem-
pre più la nostra sete di conoscerlo e il desiderio di adorarlo.
Quello che possiamo dire del mistero di Dio sono solo slegati
balbettamenti. Rimane però lo stupore che suscitano il cielo
stellato e il filo d’erba, di fronte ai quali una mente eccelsa
come Dante ha esclamato: «Oh abbondante grazia ond’io pre-
sunsi / ficcar lo viso per la luce etterna, / tanto che la veduta vi
consunsi!» (Paradiso 33,82-84).

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XXXI settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Siamo tutti missionari
Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: «Beato chi prenderà
cibo nel regno di Dio!». Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e
fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati:
“Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il
primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego
di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a
provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e
perciò non posso venire”. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo
padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per
le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e
gli zoppi”. Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è
ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo
le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi
dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».
 Lc 14,15-24

La parabola di oggi mostra il regno dei cieli come una gran-


de festa, con molti posti, alla quale tutti siamo chiamati, seb-
bene in momenti diversi. Gli invitati della prima ora, però,
hanno tutti declinato l’invito: «Ho comprato un campo e devo
andare a vederlo... Ho comprato cinque paia di buoi e vado a
provarli Mi sono appena sposato e perciò non posso venire».
Hanno tutti qualcosa di più importante da fare: ciascuno ha
i propri progetti di vita e nessuno li vuol cambiare, nemmeno
per un motivo bello come una festa.
Di fronte a tale «indifferenza» colpisce l’alacrità di questo
servo che il padrone manda più volte a chiamare nuovi invi-
tati, ma la sala del banchetto non si riempie mai: i posti sono
tanti e il servo è da solo. La soluzione del problema, anche se
la parabola non lo dice, ci sarebbe: i poveri, gli storpi, i ciechi
e gli zoppi, che sono arrivati per primi, dovrebbero offrirsi per
uscire insieme al servo a chiamare altra gente, ma non lo fanno.
E qui emerge il problema della mancanza di zelo missionario
da parte di coloro che aderiscono alla chiamata. Attualizzando,
occorre che tutti coloro che hanno accolto l’annuncio del van-
gelo si trasformino in missionari.
L’evangelizzazione non è un fatto di pochi, è il mandato di

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tutta la chiesa: sacerdoti, consacrati e laici. Il giorno in cui tut-


ti parteciperanno, la festa del Regno si riempirà velocemente.
Succederà come nello sviluppo scientifico e tecnologico: nei
tempi antichi, quando pochi avevano la possibilità di studiare,
è stato lento. Con il trascorrere dei secoli, le scuole si sono
aperte a tutti e lo sviluppo ha cominciato a correre, tanto che
oggi è difficile anche trovare il tempo per aggiornarsi. È ciò che
sarebbe bene accadesse per l’evangelizzazione: se ogni fedele si
trasformerà in un alacre missionario, il Regno arriverà in breve
tempo fino agli estremi confini della terra e tutti parteciperan-
no alla festa.

XXXI settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Come seguire Gesù
Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: «Se uno
viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la
moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere
mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a
me, non può essere mio discepolo». Lc 14,25-27

Come è possibile che Gesù chieda ai suoi discepoli di essere


amato più della moglie e dei figli? È una richiesta accettabile?
Naturalmente si tratta di una decisione estrema, da prendersi
solo se dichiaratamente il coniuge e la famiglia si opponessero a
un cammino insieme alla sequela del Signore. In tal caso, senza
abdicare al proprio ruolo e ai propri impegni familiari, bisogna
mettersi in viaggio da soli, pregando che il resto della famiglia
faccia la stessa scelta in un secondo tempo. Cosa che succederà
se i familiari si accorgeranno che il cammino di fede ci ha resi
migliori, anche nel modo di ricoprire il nostro ruolo all’interno
della famiglia.
Tuttavia la richiesta di Gesù di essere preferito alla moglie e
ai figli ha motivazioni teologiche e bibliche che risalgono ad-
dirittura all’inizio dei tempi, quando «Dio creò l’uomo a sua
immagine... maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio
disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”» (Gn 1,27-28). L’uo-
mo e la donna sono stati creati per diventare immagine di Dio

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nell’unione e nella procreazione; pertanto, nella misura in cui il


matrimonio e la famiglia si mantengono in Dio, la benedizione
permane: «Dio li benedisse». Poiché Gesù di Nazaret è Figlio
di Dio e Dio stesso, preferire la famiglia a lui vuol dire allonta-
narsi di nuovo da Dio come successe all’inizio dei tempi. Una
famiglia, invece, che si costituisce e vive nel Signore, si riallac-
cia a Dio come era prima del peccato originale. Questa è una
decisione da prendere sapendo che non si può tornare indietro.
Non è possibile neppure fare alcun programma, come in gene-
re si fa quando si stende un progetto: bisogna iniziare e basta!
Sappiamo però che, alla fine, il successo sarà garantito, perché
la realizzazione del progetto è posta nelle mani del Signore.

XXXI settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Quando i figli si perdono
… I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i
peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi
di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel
deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha
trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici
e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia
pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo
per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i
quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha
dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e
cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama
le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la
moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli
di Dio per un solo peccatore che si converte». Lc 15,2-10

L’odierna liturgia della Parola esorta a meditare le parabole


della pecorella smarrita e della dracma perduta. Due situazioni
diverse con un unico filo conduttore: ritrovare ciò che ci è ca-
ro e si è perduto. La dracma, essendo solo una cosa, non può
ritornare con le altre nove, se la donna non si mette a cercar-
la; la pecorella smarrita è un animale indifeso e difficilmente,
dopo essersi persa, riuscirebbe a tornare nel gregge da sola, se
il pastore non andasse a cercarla. Sono situazioni nelle quali si

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trovano i genitori quando un bambino si perde al mercato (la


dracma perduta); oppure, un po’ più grandicello, si smarrisce
con compagnie sbagliate e certamente non tornerebbe indietro
da solo. Due vicende che molte famiglie hanno vissuto, e in
entrambi i casi si deve andare a ricercare i figli. Se questi si per-
dono quando sono grandi, l’aiuto più concreto è l’attesa nella
preghiera, come fa il padre nella parabola del figliol prodigo
(Lc 15,11-32).
Sono circostanze che conosciamo bene, perché è successo
anche a noi. Luis ed Edgar, a un certo punto se ne sono andati
e hanno ricostituito la loro famiglia originaria, insieme alle so-
relle arrivate dal Perù. Che il Signore li benedica e li protegga!
Marcos e Claudio, che in Brasile hanno vissuto per anni co-
me «niños de rua» (ragazzi di strada), quando sono diventati
grandicelli hanno sentito il richiamo della foresta e se ne sono
andati, ma poi si sono pentiti e sono tornati a casa. È la vita
di famiglia che si dipana nel tempo, con le sue croci e le sue
risurrezioni.

XXXI settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Elogio della scaltrezza
Diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore,
e questi fu accusato… di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli
disse… “Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più
amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il
mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza;
mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato
allontanato… ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno
per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al
mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi
la tua ricevuta… e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto
devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta
e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché
aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti… sono più
scaltri dei figli della luce». Lc 16,1-8

Oggi ci troviamo di fronte a una pagina del vangelo che fa


riflettere in modo particolare: Gesù loda la «scaltrezza» di que-

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sto amministratore disonesto. Alcuni mesi fa, ci aveva esortati


a essere «prudenti come i serpenti e semplici come le colombe»
(Mt 10,16). Perché la scaltrezza è un valore positivo per il Si-
gnore? Essa può essere definita come la capacità di capire, o di
intuire velocemente persone, situazioni e momenti della vita,
per raggiungere uno scopo personale favorevole, che di solito
però non è buono. È per questo che la scaltrezza è ritenuta un
valore eticamente discutibile, ma di per sé è come la pistola: è
negativa se la possiede un bandito, è positiva per il carabiniere
che deve garantire l’ordine pubblico, come faceva lo zio Gino.
In Gesù la scaltrezza di capire velocemente persone, situazio-
ni e momenti di vita è un valore altamente positivo, perché gli
permette di aver compassione per le vicende umane, di com-
piere miracoli e guarigioni o, fino a quando non sarà giunta la
sua ora, di dileguarsi quando la situazione si fa difficile. Anche
al suo tempo la scaltrezza veniva usata prevalentemente per sco-
pi negativi, tant’è che Gesù nel vangelo di oggi dice: «I figli di
questo mondo sono più scaltri dei figli della luce». Oggi, però, il
Signore ci chiede di trasformare quella scaltrezza che è in noi in
capacità preziosa per capire i bisogni del prossimo, per leggere i
segni dei tempi, per discernere ciò che è bene da ciò che è male,
per ricoprire con competenza e creatività il nostro ruolo nel pro-
getto che egli ci ha affidato. È ciò che ha fatto Marcello Candia
che, da ricco che era, sebbene la sua fosse una ricchezza gua-
dagnata onestamente, ha venduto tutto ed è andato a costruire
un ospedale per i poveri del Brasile. È stato veramente scaltro.

XXXI settimana del Tempo Ord. – Sabato (Anno dispari)


Il denaro e il sesso
«Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché,
quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi
è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è
disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti…
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà
l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire
Dio e la ricchezza». I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano
tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: «Voi siete quelli

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che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori:
ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole».
 Lc 16,9-15

Apriamo il giornale e troviamo che politici, amministratori


e governanti sono impelagati in vicende di sesso, droga, corru-
zione, concussione e favoritismi di ogni tipo. Non che essi siano
gli unici affetti da queste malattie sociali, ma, avendo più pote-
re, a loro le trasgressioni risultano più praticabili. E soprattutto
vengono scoperte più facilmente, perché ormai la battaglia po-
litica non viene più condotta nel confronto dei princìpi, delle
idee e dei programmi, ma sulla distruzione dell’avversario.
Perché tali personaggi ricoprono ruoli preminenti nella so-
cietà? Perché, quando le persone raggiungono certe posizioni,
le trasgressioni latenti si esaltano e vengono fuori in tutto il
loro squallore? Perché vengono eletti?
Sembra esistere tra elettori e governanti una pericolosa com-
mistione, riguardo alla quale il filosofo Platone da più di due-
mila anni ci mette in guardia: «Quando un popolo, divorato
dalla sete della libertà si trova ad avere a capo dei coppieri che
gliene versano quanta ne vuole, fino a ubriacarlo, accade allora
che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esi-
genti sudditi, sono dichiarati tiranni» (Platone, La Repubblica,
Libro VIII).
La Bibbia (Lv 18,21) parla di un idolo mostruoso, chiamato
Moloc, adorato in Palestina prima che arrivassero gli ebrei, e al
quale veniva reso culto bruciando bambini davanti a lui. Il mo­
loc dei nostri tempi è il denaro. Esso ha una divinità gemella, il
sesso, rappresentato dalla dea Astarte. L’uno procura adoratori
all’altro. Perché la Provvidenza e l’amore, doni di Dio, si tra-
sformano tanto facilmente negli idoli del denaro e del sesso?
Il motivo principale risiede nel peccato dell’uomo che, allon-
tanandosi da Dio, si appropria dei suoi doni, come un ammi-
nistratore che fugge con la cassa. Nel momento stesso in cui ci
accaparriamo dei doni ricevuti, non li usiamo per il giusto sco-
po e non li condividiamo, essi si trasformano automaticamente
in idoli e perdono tutta la loro originaria lucentezza: «I farisei,
che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si
facevano beffe di lui».

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XXXI settimana del Tempo Ordinario – Sabato (Anno pari)


Il sorriso e la lode
Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per
sempre. Ti voglio benedire ogni giorno… Grande è il Signore e degno di
ogni lode… Una generazione narra all’altra le tue opere, annuncia le tue
imprese… Diffondano il ricordo della tua bontà immensa, acclamino la
tua giustizia. Misericordioso e pietoso è il Signore… Buono è il Signore
verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature. Ti lodino,
Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli… Il tuo regno è un
regno eterno, il tuo dominio si estende per tutte le generazioni… Il Signore
sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto. Gli occhi di tutti
a te sono rivolti in attesa e tu dai loro il cibo a tempo opportuno… Il
Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità…
Il Signore custodisce tutti quelli che lo amano… Canti la mia bocca la
lode del Signore e benedica ogni vivente il suo santo nome, in eterno e per
sempre. Sal 144

Questo salmo è un meraviglioso inno di lode e di ringrazia-


mento: Davide esalta il Signore per la sua magnificenza e lo be-
nedice per la sua bontà. Molti sono i salmi ispirati dallo slancio
di amore verso Dio, ma questo di oggi è un riassunto di tutti gli
altri perché ci indica i mille motivi per cui ogni uomo potrebbe
far proprie le parole di Davide. Ciascuno di noi, infatti, come
questo grande re di Israele, può riconoscere nella sua vita i se-
gni tangibili della bontà e della misericordia del Signore: basta
ripercorrere gli anni passati per incontrarvi i pericoli scampati,
le difficoltà superate, i dolori leniti; come pure i momenti di
gioia e di gloria. Non è forse simile a una reggia la casa che cer-
ca la benedizione del Signore, ne chiede l’aiuto e, ricevutolo, lo
ringrazia dal profondo del cuore? Non sono forse momenti di
gloria quelli in cui le famiglie si riuniscono e gli anziani vedono
crescere insieme i figli dei figli? Allora non esitiamo a elevare
anche noi preghiere di lode e di ringraziamento, ricercandone
nel quotidiano motivi sempre nuovi, dalla Provvidenza che ci
raggiunge al meraviglioso alternarsi delle stagioni. Scopriremo,
in tal modo, che più si loda e si ringrazia il Signore e più motivi
si offrono per farlo. «Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti
benedicano i tuoi fedeli». La bocca di chi ti benedice è sempre
aperta al sorriso.

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XXXII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


La seconda venuta del Signore
Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per
mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti… Perché il Signore
stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di
Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi
noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con
loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre
saremo con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.
 1Ts 4,14-18

Oggi Paolo annuncia tre eventi che per noi cristiani costitu-
iscono tre verità assolute: «Gesù è morto e risorto», coloro che
sono morti nella fede sono «con lui», e che ci sarà una seconda
«venuta del Signore», alla fine dei tempi. La prima di queste
verità, già avvenuta, dà certezza alle altre due, per credere alle
quali dobbiamo compiere lo stesso cammino di fede di chi ha
assistito alla guarigione del paralitico: «Ora, perché sappiate che
il Figlio dell’uomo ha potere sulla terra di perdonare i peccati,
dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi il tuo lettuccio e
torna a casa tua» (Lc 5,24). La seconda verità, quella che i morti
nella fede sono in Dio insieme a Gesù Cristo, è per noi motivo
di grande consolazione: ci assicura che i nostri cari sono in pa-
radiso, nella comunione dei santi, e che quello sarà anche il no-
stro destino eterno. Della terza verità, che parla del ritorno del
Signore alla fine dei tempi, Paolo, non sapendo quando avver-
rà, immagina che sia prossima, ma in realtà è abbastanza lunga
a realizzarsi, dal momento che sono già trascorsi duemila anni e
chissà quanti ne dovranno ancora passare prima che si compia.
Per avere un’idea di questi tempi escatologici, bisogna pen-
sare alla marcia che ha compiuto il popolo di Israele nel de-
serto, prima di arrivare alla Terra Promessa: essa profetizza il
cammino che deve compiere l’umanità nell’arco della storia.
Se osserviamo su una cartina geografica il tracciato di quella
marcia, siamo colpiti dal fatto che gli ebrei erano giunti velo-
cemente nei pressi di quella terra che poi diventerà la Palestina,
ma si sono perduti di nuovo nel deserto, dove hanno girova-
gato per quarant’anni. Meditando il libro dell’Esodo, è facile

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rendersi conto che questo è successo perché il popolo ebreo


non era ancora pronto per entrare nella Terra Promessa: do-
veva ancora compiere quella lunga esperienza nel deserto per
sperimentare nuovamente la fedeltà del suo Dio e per acquisire
quella maturazione umana e di fede che non aveva. Passando
dalla profezia alla previsione di quando avverrà la fine dei tem-
pi, possiamo immaginare che non sarà vicina, perché ci sembra
che l’umanità debba ancora compiere un lungo cammino uma-
no e cristiano, prima di essere pronta alla manifestazione finale
della gloria di Dio.

XXXII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


La fede al quadrato
«State attenti a voi stessi! Se il tuo fratello commetterà una colpa,
rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa
sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono
pentito”, tu gli perdonerai». Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in
noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di
senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”,
ed esso vi obbedirebbe». Lc 17,3-6

La nostra fede ci dice che Dio pilota la storia della salvez-


za, la quale si dipana tra gli avvenimenti umani, alcuni guida-
ti direttamente dal Signore, altri dallo spirito del male, e dal
Signore solo permessi, per un misterioso diritto del demonio
a ostacolare il cammino umano nella storia. Se poi anche gli
operai del regno dei cieli, che operano per realizzare i progetti
di Dio, possono permettersi, come dice il brano di oggi, di dire
a un gelso di spostarsi e questo si sposta, come fa Dio, con la
poca libertà che gli rimane, a orientare i fatti della storia verso
il piano di salvezza universale? Il fatto è che l’uomo di fede,
illuminato dallo Spirito Santo, in una certa misura possiede –
come dice Paolo – il pensiero di Dio, per cui le sue azioni si
orientano spontaneamente nella direzione del piano di salvez-
za. Quando, però, la determinazione di un evento è al di sopra
delle sue possibilità, chi ha fede si appella alla potenza di Dio,
il quale normalmente esaudisce la sua preghiera.

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Normalmente, ma non sempre, perché anche l’uomo di fe-


de, sia perché soggetto a tentazioni, sia per una visione parziale
del piano di salvezza, fa spesso richieste di intercessione che, pur
ascoltate, non sono esaudite. Le tentazioni, tuttavia, non sem-
pre scaturiscono da desideri di eventi cattivi, che anzi, spesso,
sono buoni, ma hanno il difetto di non andare nella direzione
del progetto di Dio, il quale passa per strade – come il dolore,
le prove e la morte – che l’uomo rifiuta per natura. Pertanto la
nostra preghiera di intercessione qualche volta non è esaudita
perché, in quel momento, le nostre strade non coincidono con
quelle che Dio vuol farci percorrere. Questa dinamica spiritua-
le, come abbiamo già avuto occasione di notare, viene spiegata
molto bene da Giovanni in una sua lettera: «Questa è la fiducia
che abbiamo in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la
sua volontà, egli ci ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in tutto
quello che gli chiediamo, sappiamo di avere già da lui quanto
abbiamo chiesto» (1Gv 5,14-15). È semplice! Quando la no-
stra preghiera non viene esaudita, vuol dire che la sua volontà
è diversa dalla nostra, e quello è per noi il momento in cui ci è
richiesta una fede al quadrato, perché dobbiamo credere che il
progetto del Signore sia più luminoso, più grande, più comple-
to e più lungimirante del nostro.

XXXII settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Siamo servi inutili
«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà,
quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà
piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi,
finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse
gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così
anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite:
“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Lc 17,7-10
Non è facile, quando abbiamo fatto il nostro dovere, riu-
scire a dire che siamo servi inutili. Ma è giusto dirlo? Qual è,
allora, l’atteggiamento spirituale per raggiungere un tale grado
di umiltà? Sono queste le domande che il vangelo di oggi ci

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pone. Diciamo subito che la strada dell’umiltà non è percor-


ribile con dei ragionamenti umani, i quali ci portano a essere
sempre orgogliosi del nostro lavoro ben fatto. Occorre entrare
nella dimensione della fede, prendendo atto del nostro stato di
«creatura», voluta e creata da Dio per rendere onore e gloria a
lui per ciò che siamo e per il suo Spirito, che ci ha permesso di
trafficare bene i talenti ricevuti. Se il vaso è ben fatto e utile per
un certo uso, il merito è tutto del vasaio. Noi siamo servi inutili
perché anche la nostra utilità, che quando lavoriamo bene è
reale, non dipende da noi, ma da Dio che l’ha voluta, program-
mata, attuata e benedetta. Noi, tutt’al più, possiamo avere il
merito di essere una creta docile a farci impastare e modellare.
È l’atteggiamento di Maria, che, all’annuncio dell’arcangelo
Gabriele di essere madre del Figlio di Dio, risponde: «Ecco la
serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc
1,38). Per quello che siamo, per i talenti che abbiamo ricevuto
e per quello che ci è richiesto di fare, noi possiamo solo dire
«Eccomi», e ringraziare il Signore per averci coinvolto nel suo
progetto di salvezza. Siamo servi inutili, ma benedetti e chia-
mati da Dio a operare per la sua gloria.

XXXII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Dai miracoli alla conversione
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria
e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi,
che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi
pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi
ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro,
vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò
davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma
Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove
sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio,
all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha
salvato!». Lc 17,11-19

Secondo la legge di Mosè i sacerdoti avevano il compito di


esaminare le piaghe di chi era sospettato di lebbra e di dichia-

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rarlo immondo. Se poi qualcuno fosse guarito, avrebbe dovuto


ripresentarsi al sacerdote, il quale, constatata l’avvenuta guari-
gione, gli avrebbe permesso di inserirsi di nuovo nel contesto
sociale. Questi dieci lebbrosi mostrano di avere una buona fede
in Gesù, non tanto perché gli chiedono il miracolo della gua-
rigione, quanto perché si incamminano verso il sacerdote non
essendo stati ancora guariti dalla lebbra. È la fede cieca di chi
è disperato, che si attacca al Signore come ultima e unica spe-
ranza, e questa fede viene premiata: lungo la strada guariscono
tutti e dieci. Ma una cosa è la guarigione del corpo e una ben
più grande è la salvezza di tutta la persona. Questa la ottiene
solo il samaritano, l’unico che torna indietro a ringraziare Ge-
sù: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
I miracoli sono segni potentissimi e inconfutabili che Gesù
è il Signore, ma chi si accontenta solo dei suoi effetti immediati
non ne coglie in profondità il messaggio principale: l’opportu-
nità di convertirsi e iniziare una vita nuova. Il miracolo è un
momento d’incontro che il Signore vuole avere con noi, come
quando ha atteso la samaritana al pozzo o quando ha permesso
a Pietro la pesca miracolosa. Pietro sarebbe potuto andare al
mercato a vendere il pesce, avrebbe intascato una buona som-
ma di denaro, ma tutto sarebbe finito lì. Egli, invece, coglie in
profondità il significato di quel miracolo e inizia la sua seconda
vita, quella vera. Noi, allora, che abbiamo chiesto tante volte al
Signore di intervenire nelle vicende nostre e di altri, per risolve-
re situazioni disperate, e abbiamo visto veramente i miracoli, ci
siamo poi convertiti? Gesù Cristo è diventato l’unico Signore
della nostra vita o, insieme a lui, abbiamo conservato anche tut-
ti gli altri idoli che avevamo prima, cominciando dal denaro? È
questa la domanda che ci pone la pagina del vangelo di oggi e alla
quale, nel segreto della preghiera, dobbiamo dare una risposta.

XXXII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Il regno di Dio è già qui
I farisei gli domandarono: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose
loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno

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dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in
mezzo a voi!». Disse poi ai discepoli: «Verranno giorni in cui desidererete
vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete.
Vi diranno: “Eccolo là”, oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli.
Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo,
così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli
soffra molto e venga rifiutato da questa generazione». Lc 17,20-25

«Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione


il regno di Dio è in mezzo a voi!». Esso è nato silenziosamente a
Betlemme, come un granello di senape che, seminato, è desti-
nato a diventare un albero grande. Così lo descrive Gesù in una
parabola. Al tempo in cui i farisei gli chiedono «Quando verrà il
regno di Dio?», quel granello di senape è già diventato un arbu-
sto, e fa già ombra ai primi discepoli che lo seguono da un luogo
all’altro della Galilea. Ma crescerà ancora ed estenderà i suoi rami
fino a Gerusalemme e a tutta la Palestina, per diventare, poi, un
albero tanto grande da fare ombra a tutto il mondo e per tutti i
secoli. Perché questo possa accadere Gesù dovrà morire in croce,
come il chicco di grano in un’altra parabola marcisce sotto ter-
ra: da quell’evento però, è nata la chiesa, una foresta che da due-
mila anni dona ombra e ristoro a tanti poveri di questo mondo.
È la dinamica del Regno: ogni persona che nasce alla fede
è un chicco di senape piantato nella società, che poi crescerà,
diventerà un albero e farà ombra, come quel ramoscello di ole-
andro che tre anni fa abbiamo preso a Medjugorje e piantato
in terrazza. Ora è diventato un albero, che fiorisce d’estate e i
merli vanno a beccuzzare le briciole sotto i suoi rami. I nostri
pranzi della domenica, che diventano sempre più numerosi per
le nuove nascite e per gli amici che vengono a trovarci, sono
una manifestazione del Regno che cresce. Avevano iniziato i
nonni, che ora ci benedicono dal cielo. Mi sembra di sentirla
ancora la nonna Rita che citava, dalle sue amate poesie, «Il
desco fiorito d’occhi di bambini». Ogni manifestazione di fede
è un aspetto del Regno che cresce. Ogni preghiera di interces-
sione o di ringraziamento prima di iniziare un pasto, fa crescere
il Regno silenziosamente. «Il regno di Dio non viene in modo
da attirare l’attenzione è in mezzo a voi!» ci annuncia il brano
del vangelo di oggi.

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XXXII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


È tempo di vigilanza
«Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio
dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano
marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li
fece morire tutti. Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano,
bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel
giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li
fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si
manifesterà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le
sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non
torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la
propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva. Io vi dico:
in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via
e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una
verrà portata via e l’altra lasciata» Lc 17,26-35

Oggi il vangelo ci presenta i tempi escatologici, nei quali


il Signore dovrà tornare a giudicare il mondo e la storia. Ge-
sù, quando ne parla, usa sempre una simbologia minacciosa:
il ladro che viene di notte, la porta che si chiude di fronte al-
le vergini stolte, un uomo che viene preso e un altro lasciato
mentre dormono insieme nello stesso letto. È una minaccia da
intendersi come una esortazione alla vigilanza, a trovarsi sem-
pre pronti alla partenza, con i bagagli fatti, come una donna
che attende le prime doglie del parto per andare in ospedale
a partorire e tiene sempre la valigia pronta con i vestitini del
bambino che nascerà.
Non si parla solo dell’attesa escatologica della fine del mon-
do, che avverrà quando avverrà, ma anche della fine della no-
stra vita terrena, quando saremo chiamati a lasciare questa sce-
na temporale per presentarci di fronte alla misericordia di Dio.
L’importante è essere preparati a partire. È il fatto di sentirsi
pronti che trasforma i simboli minacciosi in promesse accat-
tivanti. È il nostro destino eterno a permetterci di discernere i
beni veri da quelli fasulli. È la prospettiva della morte a render-
ci capaci di vivere bene la nostra vita: essa è un fascio di luce
potente che, come il faretto di un orefice, ci aiuta a riconoscere
i valori autentici da quelli falsi. Tutti, quando ci presenteremo

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a lui, avremo bisogno della misericordia di Dio, ma se una


persona ha la fede, combatte la propria battaglia per realizzare
il progetto che le è stato affidato, è consapevole di aver speso
tutte le sue energie per realizzarlo e ha perdonato tutti, può
attendere il momento di partire nella serenità e nella pace.
È questo il senso della vigilanza, che ha il potere di far vivere,
con un certo signorile distacco, eventi che altrimenti rischiereb-
bero di essere vissuti in modo troppo temporale: «mangiavano,
bevevano, prendevano moglie e prendevano marito». Tutte co-
se giuste, ma tutte hanno fine. Solo il Signore resta.

XXXII settimana del Tempo Ordinario – Sabato

La necessità di pregare
Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza
stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né
aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che
andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per
un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio
e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio,
le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E
il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio
non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso
di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia
prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla
terra?». Lc 18,1-8

Abbiamo ripetutamente parlato della preghiera di interces­


sione ma, visto che il brano odierno lo permette, non sarà
male riprendere l’argomento. Oggi il Signore ci esorta a pre-
gare e a chiedere, anche con insistenza, tutto ciò di cui abbia­
mo bisogno. Egli è contento di noi se lo coinvolgiamo nelle
vicende della nostra vita, come un padre quando un figlio gli
chiede qualcosa, poiché nella richiesta è implicito il riconosci-
mento della sua signoria.
Il Signore ascolta sempre le preghiere che gli rivolgiamo,

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ma qualche volta succede che non vengano esaudite: vuol di-


re che il suo progetto è più grande e lungimirante del nostro.
Dice l’evangelista Giovanni: «Questa è la fiducia che abbiamo
in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà,
egli ci ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in tutto quello che
gli chiediamo, sappiamo di avere già da lui quanto abbiamo
chiesto» (1Gv 5,14-15). La preghiera di intercessione, in altre
parole, ci difende dal fatto che venga fatta la volontà del demo-
nio, che è la causa di tutti i mali, ma deve essere intimamente
aperta ad accettare la volontà del Signore. È la condizione po-
sta dall’evangelista Giovanni: la nostra richiesta, perché venga
esaudita, deve essere «secondo la sua volontà».
A noi sembra, tuttavia, che il suo desiderio di esaudirci sia
così grande che, qualche volta, il Signore abbia addirittura
messo in atto una modifica dei suoi progetti. La nostra pre-
ghiera può ottenere anche questo, perché un padre, quando
può, cambia sempre i suoi programmi per esaudire le richieste
di un figlio.
Qualche volta, però, succede che il progetto del Signore sia
così grande da non avere alternative: allora lo dobbiamo accet-
tare, e accettandolo ne entriamo a far parte. L’unica cosa certa
è che noi dobbiamo chiedere, sempre e comunque, perché at-
traverso le nostre richieste di intercessione si attualizza la nostra
fede.

XXXIII settimana del Tempo Ordinario – Domenica


La parabola dei talenti
«Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò
i suoi servi… A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno,
secondo le capacità di ciascuno; poi partì… Dopo molto tempo il padrone
di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che
aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore,
mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”.
“Bene, servo buono e fedele…”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto
due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho
guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele…”. Si presentò infine

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anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei
un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai
sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto
terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro…
avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei
ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha
i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza;
ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha”». Mt 25,14-29

«Pensate – ci disse un giorno monsignor Guzzetti – quanto


sarebbe ingiusto il mondo se, alla fine, non fossimo tutti giudi-
cati secondo il principio della parabola dei talenti». È un brano
del vangelo che lo ha fatto riflettere per tutta la vita e, da molti
anni, è oggetto anche della nostra meditazione. Tuttavia, c’è
un versetto della parabola, che per lungo tempo ci era risultato
impenetrabile: «Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha
i dieci talenti». Il versetto successivo, che lo dovrebbe spiegare,
è ancora più ermetico: «Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà
nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che
ha». «Benissimo, che cosa vuol dire?».
Perché il padrone non ha dato il talento del servo fannullo-
ne a quello che ne aveva ricevuti solo due, per rimediare par-
zialmente all’ingiustizia iniziale? Ieri sera, dopo essermi ancora
una volta arrovellato su quel versetto, mi sono addormentato.
Durante la notte mi sono svegliato e mi sono messo a prega-
re per capire: lo Spirito Santo mi è venuto incontro e tutto è
diventato chiaro. «I talenti che riceviamo – mi ha detto – non
sono un dono personale, devono essere trafficati per realizza-
re il progetto che ti è stato affidato. Chi riceve più talenti, è
perché ha più lavoro da svolgere. Non c’è nessuna ingiustizia
iniziale da riparare. Quel talento rimasto inoperoso viene dato
a chi ne aveva già dieci perché lui, pur avendo un compito più
impegnativo, ha dimostrato di saperli trafficare. Il padrone si
è fidato di lui». È chiarissimo! In effetti, chi pensa che sia sta-
to ingiusto dare quel talento in più a chi ne aveva già dieci, è
perché vuole utilizzare quelli che ha ricevuto per i propri pro-
getti personali, non per il Signore. Sarebbe come se Lisalberta
ritenesse ingiusto che si chieda a Gianlorenzo, e non a lei, di
andare in cantina a prendere la pesante cassetta degli attrezzi.

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XXXIII settimana del Tempo Ord. – Lunedì (Anno dispari)


Il Pellegrino russo
Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto lungo la strada
a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse.
Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!». Allora gridò dicendo:
«Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano
avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte:
«Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù allora si fermò e ordinò che lo
conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che
io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli
disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». Subito ci vide di
nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo,
diede lode a Dio. Lc 18,35-43

Nella tradizione delle chiese d’Oriente il cammino di fede


si identifica nella preghiera del Pellegrino russo, il quale tra-
scorreva la sua vita camminando per i boschi di betulle e attra-
verso le steppe ripetendo notte e giorno, sul ritmo del respiro,
la preghiera del cieco di Gerico: «Gesù, figlio di Davide, abbi
pietà di me!». Questo cieco siamo noi, inguaribili malati di au-
togiustificazioni, di potere, di benessere e di cose. La sua cecità
è il simbolo della nostra durezza di cuore che ci rende incapaci
di «seguirlo glorificando Dio», lungo la strada della vita. È per
questo motivo che, come il Pellegrino russo, dobbiamo ripetere
a ogni passo la preghiera del cieco di Gerico: «Gesù, figlio di
Davide, abbi pietà di me!». Vivere la vita avendo nel cuore e
sulle labbra questa preghiera vuol dire combattere una battaglia
contro noi stessi che da soli non possiamo vincere.
Occorre l’aiuto del Signore che, a un certo punto, attratto
dalla nostra insistenza, ci chiederà: «Che cosa vuoi che io faccia
per te?». E noi risponderemo: «Signore, che io veda di nuovo!».
Ed egli dirà: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
Allora prenderemo anche noi a «seguirlo glorificando Dio», e
sarà l’inizio di un nuovo cammino come lo è stato per questo
cieco. Ma sarà un cammino faticoso. Gerico, infatti, è vicina
al Mar Morto, a quattrocento metri sotto al livello del mare,
e Gerusalemme, la città verso la quale il Signore sta andando,
è situata sopra un monte. Sarà un cammino in salita, durante

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il quale dovremo ripetere, a ogni passo, la preghiera del Pelle-


grino russo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». È il
cammino della vita e della fede: è l’unico per addentrarci nel
mistero e per scoprire il segreto della gioia.

XXXIII settimana del Tempo Ordinario – Lunedì (Anno pari)


Principio di reciprocità oggi
Uscì da loro una radice perversa, Antioco Epìfane, figlio del re An­
tioco, che era stato ostaggio a Roma, e cominciò a regnare nell’anno
centotrentasette del regno dei Greci… Poi il re prescrisse in tutto il suo
regno che tutti formassero un solo popolo e ciascuno abbandonasse le proprie
usanze… Anche molti Israeliti accettarono il suo culto, sacrificarono agli
idoli e profanarono il sabato… il re innalzò sull’altare un abominio di
devastazione. Anche nelle vicine città di Giuda eressero altari e bruciarono
incenso sulle porte delle case e nelle piazze. Stracciavano i libri della legge
che riuscivano a trovare e li gettavano nel fuoco… Tuttavia molti in
Israele si fecero forza e animo a vicenda per non mangiare cibi impuri e
preferirono morire pur di non contaminarsi con quei cibi e non disonorare
la santa alleanza, e per questo appunto morirono. Grandissima fu l’ira
sopra Israele. 1Mac 1,10.41-43.54-56.62-64

I Maccabei, dei quali si parla nella lettura di oggi, sono i


membri di una famiglia giudaica che guidò l’insurrezione con-
tro la persecuzione religiosa del re di Siria Antioco IV Epifane,
discendente di un ramo cadetto della famiglia di Alessandro
Magno il Macedone, che più di un secolo prima aveva occupa-
to tutta l’Asia Minore e aveva fondato un impero che arrivava
fino all’Oceano Indiano. Il re Antioco, perseguendo una po-
litica di ellenizzazione della Palestina, ordinò la soppressione
del culto ebraico e l’adozione di quello pagano, che prevedeva
anche di immolare agli dèi i suini, che nella civiltà giudaica era-
no considerati animali immondi. È in questo contesto storico
che i Maccabei guidarono l’insurrezione contro il re Antioco e
«molti Israeliti accettarono il suo culto, sacrificarono agli idoli
e profanarono il sabato». Fu uno scontro tra civiltà e religioni
diverse che ricorda molto l’attuale impegno musulmano di far
penetrare all’interno della nostra civiltà cristiana i loro usi e
le loro tradizioni: costruzioni di moschee, macellazione delle

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carni secondo la tradizione del Corano, esclusione delle carni


suine, copertura del volto delle donne con un velo quando si
trovano in pubblico. Questa loro politica espansionistica si sta
scontrando con le nostre tradizioni e le nostre leggi, ottenendo
molte concessioni, che la chiesa e la nostra mentalità democra-
tica sono disposte a dare. Non entriamo nel merito della giusti-
zia, notiamo solo che nella civiltà musulmana manca comple-
tamente il «principio di reciprocità», in base al quale, per ogni
diritto che si rivendica, occorre essere aperti a riconoscere lo
stesso negli altri. Quando, una ventina di anni fa, mi trovavo in
Arabia Saudita per realizzare una centrale termoelettrica, a noi
cattolici è stato severamente proibito di pregare in pubblico,
pena il carcere. Se si vuol costruire una convivenza autentica e
globale occorre riconoscerci reciprocamente la stessa dignità e
gli stessi diritti, altrimenti – avrebbe detto mio padre – non ci
siamo intesi.

XXXIII settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Essere dei sicomori
Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un
uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere
chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di
statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro,
perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo
e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».
Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Lc 19,1-6

Dopo che Matteo si era alzato dal tavolo delle gabelle e ave-
va seguito Gesù, Zaccheo, che era il suo capo, avrà pensato che
si fosse trattato di una infatuazione momentanea e che di lì a
poco sarebbe tornato alla sua redditizia attività di pubblicano.
Poiché questo non era accaduto, egli si sarà chiesto cosa mai
avesse trovato Matteo in quel nuovo rabbì (maestro) che fosse
più interessante della ricchezza, e da quella domanda sarà forse
nato anche in lui il desiderio di conoscere Gesù. Oppure, come
nei nostri tempi è successo a Marcello Candia, si sarà accorto di
quanta poca felicità dia il denaro usato per se stesso e avrà deci-

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so di vivere una vita più ricca di valori autentici. Probabilmente


i due motivi si sono sommati e Zaccheo ha preso la decisione di
andare anche lui a incontrare Gesù, ma, essendo piccolo di sta-
tura in mezzo a una grande folla e non mancando certo di ini-
ziativa, decide di salire su un sicomoro per poterlo vedere bene.
A Gesù, tutto quel darsi da fare per conoscerlo non è sfuggi-
to e, mentre passa sotto il sicomoro, gli dice: «Zaccheo, scendi
subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». E nasce una
nuova conversione. In questa simpatica scena un ruolo fon-
damentale lo gioca il sicomoro, senza il quale Zaccheo sareb-
be rimasto a terra, sommerso e trascinato dalla folla. Quante
persone, anche oggi, sono stanche della vita che conducono,
vorrebbero incontrare il Signore, ma non trovano un sicomoro
sul quale arrampicarsi. Chi sono, oggi, i sicomori? I sicomori
sono coloro che hanno veramente incontrato il Signore, si sono
convertiti, hanno cambiato vita, e riescono a farci vedere Ge-
sù in un modo nuovo, entusiasmante. Per noi, come abbiamo
raccontato durante una preghiera del mattino, è stato Oliviero
Gulot, il giorno in cui siamo capitati in quella prima riunione
di preghiera che si teneva nella parrocchia della Sacra Famiglia
di Saronno. Una cosa è chiara: se vogliamo vedere il Signore
in un modo nuovo, dobbiamo arrampicarci su quelle persone
che lo vedono e lo vivono in un modo entusiasmante. Essere
annunciatori del vangelo vuol dire essere dei sicomori.

XXXIII settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


Dove trafficare i talenti
[Gesù] Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese
lontano… Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro,
dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”… egli ritornò e fece chiamare
quei servi… Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne
ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato
fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo
e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a
questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un
altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in
un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo…”. Gli rispose:

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“… Sapevi che sono un uomo severo… perché allora non hai consegnato il
mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”.
Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne
ha dieci”». Lc 19,12-24

Alcuni giorni fa, guidati dal Vangelo di Matteo, abbiamo ri-


flettuto sui talenti ricevuti: oggi vediamo quali sono gli ambiti
nei quali devono essere trafficati. Qualunque sia il nostro pro-
getto di vita, gli ambiti che ci indicano le Sacre Scritture sono
tre: la famiglia, la natura e la società. I primi due li troviamo
nell’Antico Testamento, il terzo è indicato quasi in ogni pagi-
na del vangelo. L’ambito della famiglia lo troviamo all’inizio
della Genesi: «E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine
di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e
Dio disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”» (Gn 1,27-28).
Sono questi i versetti della Genesi che danno all’uomo e alla
donna il mandato a costituire una famiglia, a procreare figli,
aiutandoli a crescere nel corpo, nella mente e nello spirito, fino
a quando saranno abbastanza grandi perché anche loro inizino
il compimento dello stesso mandato. Se qualcuno fosse chia-
mato al sacerdozio o alla consacrazione, la famiglia diventa una
comunità, la procreazione assume aspetti educativi e spirituali,
ma il mandato rimane.
Anche il secondo ambito si trova all’inizio della Genesi: «Il
Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, per-
ché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn 2,15). Coltivare e custo-
dire la creazione, che il Signore ha posto nelle nostre mani,
vuol dire continuare l’atto creativo di Dio nell’ambito naturale.
È su questi versetti che sono radicati il rispetto e la cura della
creazione e ogni discorso ecologico in ottica cristiana. Del terzo
ambito, costituito dall’uomo e dalla società, ci sono riferimenti
in tutto il vangelo, tuttavia il brano che meglio li riassume lo
troviamo in Matteo, subito dopo la parabola dei talenti: «ho
avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi
avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi
avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete
venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). E ancora «tutto quello che
avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete
fatto a me» (Mt 25,40). Ogni altra parola sarebbe superflua.

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XXXIII settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


Il demonio distrugge sempre
Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se
avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace!
Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi
nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da
ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno
in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata
visitata». Lc 19,41-44

Gesù piange perché prevede ciò che sarebbe successo a Ge-


rusalemme trentasette anni dopo, nel 70 d.C., quando l’eserci-
to romano, per ordine dell’imperatore Tito, avrebbe distrutto
il tempio e tutta la città, non lasciando pietra su pietra. Questo
succederà – dice Gesù – perché Gerusalemme non ha rico-
nosciuto il «tempo in cui è stata visitata» dal Signore. Gesù
piange, ma non può far niente per impedire quella distruzione,
nemmeno una preghiera al Padre, perché anche il demonio ha i
suoi diritti e, dal momento che Gerusalemme ha rifiutato Gesù
di Nazaret come Messia, se li pretende tutti.
E quando il demonio esercita i suoi diritti, distrugge, perché
lui sa solo distruggere e ci gode. La distruzione però lo soddisfa
solo per un istante, dopo deve distruggere ancora, come succe-
de ai drogati, nei quali l’effetto della droga dura un po’ e poi si
devono drogare ancora, sempre di più e sempre più spesso. Per
inciso, basterebbe questa identità di comportamento per ren-
dersi conto che la droga è oggi il mezzo più diffuso con il quale
il demonio distrugge. Usa anche altri mezzi di distruzione: l’at-
taccamento al denaro, il sesso fine a se stesso, il fumo, l’alcol,
l’odio e la vendetta. Anche l’eccessivo cibo, che nella giusta mi-
sura è una grazia di Dio, oltre un certo limite diventa anch’esso
una droga, e quindi una manifestazione del demonio. Come
ogni distruzione ha per suggeritore e regista il demonio, così la
pace, l’amore e il perdono hanno come ispiratore il Signore.
Gesù è impotente di fronte alla distruzione di chi lo rifiu-
ta, ma può tutto per proteggere e benedire chi lo accetta co-
me Signore. La Provvidenza, la pace, la consolazione, la gio-
ia, l’equilibrio, la misericordia, il buon senso, il desiderio di

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condividere, il senso della misura nell’agire e nel parlare, sono


tutte manifestazioni che discendono dalla benedizione del Si-
gnore. Non abbiamo mai visto nessun uomo di Dio alterarsi,
eccedere, esagerare o perdere l’equilibrio, mentre conosciamo
molte persone alle quali ogni tanto comincia a soffiare il vento
in testa, perdono l’autocontrollo e si abbandonano ad atteggia-
menti illogici e talvolta dannosi per loro stessi e per il prossimo.
Anche il vento in testa può essere una manifestazione del de-
monio, il quale agisce sempre sui punti deboli delle persone. Il
Signore non può niente per chi lo rifiuta, come non ha potuto
fare niente per impedire la distruzione di Gerusalemme.

XXXIII settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


I mercanti nel tempio
Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano,
dicendo loro: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece
ne avete fatto un covo di ladri». Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi
dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del
popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva
dalle sue labbra nell’ascoltarlo». Lc 19,45-48

In terrazza abbiamo un albero di limoni che da due anni


produce pochi frutti, e quei pochi non sanno di niente. A pri-
mavera, ho deciso di fare una bella potatura: se sul vecchio
tronco spunteranno nuovi rami e nasceranno dei bei limoni,
l’albero avrà una nuova vita, altrimenti lo taglierò e ne farò
legna per il camino. Nel vangelo di oggi Gesù ha deciso di
fare la stessa cosa col tempio di Gerusalemme: «Ed entrato poi
nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo
loro: “Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece
ne avete fatto un covo di ladri”». Poi, ogni giorno va a inse-
gnare nel tempio per vedere se, dentro a quelle vecchie mura
che in passato hanno rappresentato la codificazione della legge
d’Israele, può essere innestata la nuova parola di Dio, che è egli
stesso. Gesù però, oltre ad aver scoperto che il tempio, simbolo
della fede di Israele, era diventato un mercato di venditori, si
rende anche conto di un’altra realtà: mentre i notabili del tem-

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pio e della legge cercano di farlo perire, il popolo pende dalle


sue labbra. È il segno che quel luogo ha già fatto il suo tempo
e ora sta nascendo una nuova moltitudine di templi, non più
fatti di sassi, ma nel cuore di quegli uomini che ascoltano con
fede la sua parola. È il segno profetico di quello che sarà il pas-
saggio dall’Antico al Nuovo Testamento, dalla religione basata
sulla legge ebraica alla chiesa universale, centrata sulla persona
di Gesù Cristo. Anche nella nostra vita dobbiamo ogni giorno
fare la stessa cosa: sbaraccare tutto ciò che ci inquina e ci pro-
fana, ascoltare la parola di Dio e produrre nuovi frutti. Non si
può vivere dei frutti passati, nemmeno quando siamo anziani.

XXXIII settimana del Tempo Ordinario – Sabato


Destinati all’eternità
Gli si avvicinarono alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è
risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha
prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli,
suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello.
C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza
figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono
senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque,
alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in
moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e
prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e
della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti
non possono più morire… poiché sono figli della risurrezione, sono figli di
Dio». Lc 20,27-36

Nel vangelo di ieri sono stati i farisei a tentare di mette-


re in difficoltà Gesù, oggi sono i sadducei, altre volte saranno
gli scribi; tutte categorie di persone in contrasto tra loro, ma
d’accordo nell’inimicizia nei confronti di quel nuovo rabbì. È
segno buono, perché le persone sono come le leggi: quando
scontentano tutti vuol dire che sono giuste. Questi sadducei
pongono a Gesù una domanda sulla risurrezione, che per noi è
di capitale importanza. Essi non credono nella risurrezione dei
morti, ma anziché porre l’argomento direttamente, lo fanno

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con quella domanda-tranello riportata nel vangelo di oggi, sul-


la quale Gesù non si fa cogliere impreparato, benché il quesito
sia capzioso. Al centro della rivelazione cristiana c’è, invece, la
risurrezione dei morti, senza la quale «vuota è allora la nostra
predicazione, vuota anche la vostra fede» (1Cor 15,14).
Il problema dell’uomo, infatti, è quello di dare un senso
ultimo alla propria vita, perché ogni progetto terreno è sem-
pre frustrato dalla realtà della morte, che è la tomba di ogni
speranza umana. Oltre alla risurrezione di Cristo ci sono due
motivi logici che assicurano l’eternità della vita: sono la fedeltà
e l’amore di Dio che, essendo infiniti, non possono terminare
con la morte. Quel Dio di cui ci parla Gesù, non è lo stesso dio
dei filosofi: è un Dio che stringe con l’uomo, con ogni uomo,
un’amicizia e un’alleanza eterne. Questa storia d’amore di Dio
per l’uomo non può aver fine, perché presupporrebbe l’esisten-
za di un Essere superiore limitato, e quindi non sarebbe un
vero Dio. Il nostro dialogo quotidiano con lui, nella preghiera,
non può essere che eterno e dopo la morte si deve compiere
nella pienezza, perché ciò che ora è speranza dovrà diventare
certezza. E ciò che oggi vediamo nella penombra lo vedremo
nella luce, altrimenti verrebbero meno l’amore di Dio e la rive-
lazione di Gesù Cristo.
San Paolo ci dice: «Io sono infatti persuaso che né morte
né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né
potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà
mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro
Signore» (Rm 8,38-39). Questa certezza dona all’uomo una
serenità senza fine.

XXXIV settimana del Tempo Ordinario – Domenica


Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo
Il Signore è il mio pastore
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi
fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia, mi
guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una
valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e
il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa

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sotto gli occhi dei miei nemici. Ungi di olio il mio capo; il mio calice
trabocca. Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia
vita, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni. Sal 22

Ognuno nella vita sogna di essere un leone, perché tutti


siamo affascinati dal mito della potenza, della forza e della re-
galità. I giovani che giocano a calcio, o che vanno in biciclet-
ta, sperano di diventare dei campioni, non dei gregari, perché
l’aspirazione dell’uomo, che la società con i suoi idoli alimenta
continuamente, è di essere un vincente. I gregari sono coloro
che non sono riusciti a diventare dei campioni. In ciascun uo-
mo, tuttavia, sonnecchia anche lo spirito della pecora, perché
tutti, anche i re, avvertono il desiderio di essere guidati e con-
sigliati. Il salmo di oggi è attribuito al re Davide. Un re come
lui, che prega il Signore di aiutarlo a governare bene e a vincere
i suoi nemici, è un re che desidera essere guidato. Nell’Antico
Testamento il titolo più grande che esista è quello di «servo»,
nel Nuovo è quello di «figlio».
Il cambiamento del ruolo è dovuto al fatto che nella Nuova
Alleanza realizzata da Gesù Cristo, egli è il Figlio primogenito,
noi siamo adottivi, ma siamo tutti figli. Mosè è il servo di Dio,
Gesù è il Figlio del Padre, ma entrambi hanno avuto il bisogno
di trascorrere lunghi tempi in preghiera, sul monte, per essere
dei buoni pastori in terra. Anche l’uomo di Dio sente il bisogno
di essere guidato per poter guidare: è lo spirito della pecora, è
il desiderio di appartenenza che, nel profondo, vive in ciascun
uomo. «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla» sono
le prime parole del salmo di oggi. Chi sa di essere ben guidato
è nella pace, nella sicurezza, nella tranquillità e nella gioia, e sa
sempre che cosa fare, dove andare e che cosa dire. Nel gregge
le pecore sono guidate ai pascoli dal pastore, sanno di apparte-
nergli, ma sono libere, non sono legate da una fune, possono
muoversi e andare a brucare l’erba dove vogliono. La pecora
non si pone il problema di dove andrà a pascolare d’inverno
o d’estate, quello è il compito del pastore. Le insicurezze sul
proprio futuro assalgono chi sa di non appartenere ad alcuno.
Anche la pecora, però, nel proprio piccolo ambito decisionale,
può scegliere di brucare l’erba lì oppure là, o di allattare l’agnel-
lino. Siamo tutti un po’ pecore e un po’ pastori.

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XXXIV settimana del Tempo Ordinario – Lunedì


L’insegnamento della vedova
Alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del
tempio. Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e
disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti.
Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo.
Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».
 Lc 21,1-4

Nel Vangelo di Marco (Mc 12,38-44), lo stesso episodio


della povera vedova è posto in risalto da un’esortazione di Gesù
sull’atteggiamento degli scribi e dei farisei: «Guardatevi dagli
scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti
nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti
nei banchetti».
Sono gli scribi di ieri e di oggi, coloro che curano solo
l’aspetto esteriore, quelli che si mettono in mostra e che ap­
paiono da tutte le parti: in società, alla televisione e sui gior-
nali. Hanno sempre qualcosa da dire, da scrivere, da insegnare
e ce li troviamo di fronte anche negli spot pubblicitari, per i
quali vengono ricercati, perché tutti li conoscono. Sono co-
loro ai quali, in fondo in fondo, anche noi vorremmo un po’
assomigliare, perché ci piacerebbe vivere da protagonisti sul
palcoscenico della vita. Entrando nel vangelo di oggi troviamo
questa povera vedova e, non visti, ci sono molti dei poveri di
oggi: che non sono gli accattoni con la mano sempre tesa per
chiedere, bensì coloro che vivono in una povertà dignitosa, ma
che hanno la mano sempre tesa per dare quel poco che hanno.
Lo fanno nel silenzio, nell’umiltà e consapevoli di poter dare
poco. Sono coloro che operano con discrezione, che vivono
in semplicità, ma sono sempre presenti quando qualcuno ha
bisogno. Conosco una signora, una vera signora, della quale
non faccio il nome perché non lo gradirebbe, che dona il suo
tempo libero andando in ospedale a far visita a persone che
sono sempre sole, e quando stanno per spegnersi rimane lì con
loro a pregare finché non hanno chiuso gli occhi. Sono queste
le povere vedove che, nel nascondimento, quasi con vergogna,
gettano i loro spiccioli nel tesoro del tempio, e delle quali ci

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accorgiamo solo per caso. Anche Gesù si accorge della povera


vedova, solo nel momento in cui, finito il suo insegnamento ai
discepoli, si è seduto a osservarla in silenzio, quasi per caso. Di
fronte a questa scena, la nostra preghiera del mattino scompare
nella penombra, e anche noi, come Gesù, dovremmo trovare
momenti di silenzio per cogliere gli insegnamenti che ci pro-
vengono da molte povere vedove di oggi.
Donaci, Signore, più semplicità, più silenzio, più povertà,
più generosità, più amore.

XXXIV settimana del Tempo Ordinario – Martedì


Gli ingannatori e gli allarmisti
Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di
doni votivi, disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non
sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono:
«Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno,
quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi
ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il
tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e
di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste
cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro
nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti,
carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi
dal cielo». Lc 21,5-11

Nel brano di oggi, Gesù passa dalla previsione della caduta


del tempio di Gerusalemme, che avverrà nel 70 d.C., alla visio-
ne escatologica della fine dei tempi. Sono la conclusione delle
ultime due tappe della storia della salvezza: la fine del mandato
affidato a Israele e di quello affidato alla chiesa, ancora in es-
sere. L’esortazione del brano di oggi è di rifuggire dalle elucu-
brazioni sulla fine del mondo che, partendo dalla prima chiesa
di Tessalonica fino ai tempi nostri, hanno sempre cercato di
deviare il cammino cristiano nella storia, in nome di un futuro
sovrannaturale. Tali tentazioni sono sobillate da due categorie
di persone, contro le quali il brano di oggi ci mette in guardia:

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gli «ingannatori» e gli «allarmisti». Nel momento storico at-


tuale, nel quale sono in atto dei cambiamenti epocali, è facile
abdicare, proprio in nome della religione, all’impegno sociale
ed evadere le proprie responsabilità. In questi periodi non so-
no mai mancati, e sono presenti anche oggi, ciarlatani e falsi
profeti, che hanno un certo successo sull’onda dell’emotività
religiosa della gente. Essi si dichiarano inviati da Dio e offrono
immaginifiche previsioni. Sono gli ingannatori contro i quali,
oggi, il Signore ci mette in guardia: «Badate di non lasciarvi in-
gannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono
io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!».
Oltre agli ingannatori, esistono anche gli allarmisti, coloro
che sono sempre in apprensione sia per gli eventi della storia,
che per quelli familiari e personali: «Quando sentirete di guerre
e di rivoluzioni, non vi terrorizzate Si solleverà nazione contro
nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi
terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrifican-
ti e segni grandiosi dal cielo». Sembra di leggere i giornali dei
nostri giorni, ma contro ogni allarmismo il Signore ci rassicura:
«Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).
Donaci, Signore, la fede di credere che la nostra storia è
nelle tue mani.

XXXIV settimana del Tempo Ordinario – Mercoledì


La chiesa, salvezza del mondo
«Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi
davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione
di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare
prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri
avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino
dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni
di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un
capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete
la vostra vita». Lc 21,12-19

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Il vangelo di oggi è la continuazione di quello di ieri, nel


quale abbiamo preso atto della presenza di ingannatori e al-
larmisti nello scenario delle calamità quotidiane: guerre, terre-
moti, alluvioni, attentati, carestie, devastazioni, sofferenze dei
popoli migranti. In tutti questi mali il cristiano ha il privilegio
di scorgere il travaglio della nascita di un mondo nuovo. In
questo contesto il brano odierno descrive il clima sociale in cui
vivono la chiesa e i singoli fedeli: «Metteranno le mani su di voi
e vi perseguiteranno». La persecuzione non è un disastro, è gra-
zia di Dio, dal momento che permette di rendere testimonian-
za della fede in Cristo e della speranza in un mondo migliore. È
un servizio vitale da rendere alla società, per il quale il cristiano
non deve far niente, fa tutto lo Spirito Santo: «Mettetevi dun-
que in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò
parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno
resistere né controbattere».
Tuttavia non dobbiamo fare grandi discorsi, molto spesso
è più eloquente il silenzio. Quando mi è stato richiesto di ab-
bandonare la scena politica, non è stato addotto alcun motivo,
e io nemmeno l’ho richiesto perché chiaramente il Signore mi
chiudeva quella porta per aprirmene un’altra. Ho salutato e me
ne sono andato. «Con la vostra perseveranza salverete la vostra
vita», ci dice Luca oggi, ma la perseveranza non è ostinazione a
realizzare i nostri progetti, è disponibilità ad aprirsi a quelli del
Signore. È anche il segreto umano per resistere nelle avversità:
sotto la tempesta le querce si spezzano, mentre i giunchi si pie-
gano e, quando il vento cala, tornano come prima.

XXXIV settimana del Tempo Ordinario – Giovedì


La nostra liberazione finale
«Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate
che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea
fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino,
e quelli che stanno in campagna non tornino in città… Gerusalemme
sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia

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di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini
moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra.
Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio
dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando
cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché
la vostra liberazione è vicina». Lc 21,20-28

Il vangelo di oggi ci mostra la visione apocalittica della fine


dei tempi che, nei primi versetti, è descritta con immagini mi-
nacciose: segni nel sole e negli astri del firmamento, angoscia
e paura sulla terra, sconvolgimento delle «potenze dei cieli».
Noi non sappiamo quando e come tutto questo avverrà, ma il
Signore oggi ci rassicura sul fatto che questi eventi escatologici
saranno la necessaria premessa alla nostra liberazione, completa
e definitiva: «Quando cominceranno ad accadere queste cose,
risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vi-
cina». L’uomo ricerca da sempre cambiamenti che gli permet-
tano di rinnovarsi e di alimentare il suo continuo desiderio di
vita felice, ma si spaventa di fronte a quelli che non abbia pro-
grammato. Anche un benefico temporale estivo suscita un dif-
fuso senso di allarme. Rischiamo, quindi, di essere travolti dalla
paura e dagli avvenimenti, se non vivremo in modo vigilante:
«State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantisca-
no in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita... Vegliate in
ogni momento pregando» (Lc 21,34-36). Ecco, il segreto della
vigilanza è la preghiera, che, permettendoci di vivere con lo
sguardo rivolto al cielo, evita di farci coinvolgere troppo dalle
vicende terrene. È anche il segreto, come lo è stato per san
Francesco d’Assisi, per prepararsi con gioia alla «nostra morte
corporale». Ma la liberazione, che dovrà seguire gli eventi esca-
tologici annunciati dal vangelo di oggi, da che cosa ci libererà?
Sarà una liberazione completa e definitiva dal peccato, dai no-
stri limiti e dalle loro conseguenze tragiche. Succederà come a
Paolo e Sila quando, in Macedonia, si trovavano in prigione a
causa della loro predicazione: «Verso mezzanotte Paolo e Sila,
in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano
ad ascoltarli. D’improvviso venne un terremoto così forte che
furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono
tutte le porte e caddero le catene di tutti» (At 16,25-26).

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XXXIV settimana del Tempo Ordinario – Venerdì


Gli ultimi tempi
E disse loro una parabola: «Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi:
quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è
vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il
regno di Dio è vicino. In verità io vi dico: non passerà questa generazione
prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole
non passeranno». Lc 21,29-33

Questo brano del Vangelo di Luca ha uno stile apocalittico,


ci parla della seconda venuta di Gesù Cristo che ridarà ordine
a tutte le cose di questo mondo e dei segni straordinari che
accompagneranno quell’evento. Noi non sappiamo quando
accadrà e quali saranno questi segni, ma il vangelo di oggi ci
assicura che l’umanità se ne renderà conto, allo stesso modo in
cui, vedendo il fico mettere i germogli, diciamo che l’estate è
vicina. L’unica certezza è che questo giorno verrà, perché il Si-
gnore l’ha detto e questo ci basta per crederlo. Ci sono tuttavia
due domande che è lecito porsi quando nelle Sacre Scritture si
parla dei tempi apocalittici.
La prima è: «Perché il Signore realizza la salvezza del mondo
in due tempi? Non avrebbe potuto risolvere tutto con una ve-
nuta soltanto?». A questa domanda c’è una sola risposta: perché
la salvezza del mondo non è un evento che Dio compie sopra
di noi, e nonostante noi; la sua strategia è di realizzarla insie-
me a noi, alla chiesa che Gesù stesso ha istituito. L’Emanuele,
che significa «il Dio con noi», è con noi per realizzare questo
progetto. L’umanità, però, dovrà compiere un lungo cammino
di redenzione, che la marcia di Israele nel deserto, descritta nel
libro dell’Esodo e durata quarant’anni, ha profetizzato. Sembra
essere questa la strategia di Dio.
La seconda domanda è: «Come concretamente la salvezza
finale avverrà e quali saranno gli eventi che la determineran-
no?». Questo nessuno lo sa, ma abbiamo ragione di ritenere
che questa seconda creazione, già in atto, debba compiersi con
gli stessi criteri della prima, della quale si parla all’inizio della
Genesi: come un riordino, un passaggio dal caos, che l’umanità
ha ricreato, a un nuovo cosmos, un mondo ordinato dove tutto

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è al suo posto e ha un senso buono. Rileggiamo quei versetti:


«La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso
e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gn 1,2). C’era caos,
tenebra e abisso, ma tutto è divenuto armonia, perché lo Spiri-
to di Dio aleggiava sulle acque. Di cose da rimettere a posto ce
ne sono di nuovo tante, ma lo Spirito di Dio aleggia ancora sul
mondo e nella chiesa. Questo ci rassicura.

XXXIV settimana del Tempo Ordinario – Sabato


L’attesa di colui che viene
«State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in
dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi
piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà
sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni
momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta
per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». Lc 21,34-36

Oggi si conclude l’anno liturgico con questa esortazione


di Gesù a vegliare, a rimanere attenti senza lasciarsi andare a
dissipazioni e ubriachezze, e nemmeno a farci prendere dagli
affanni della vita. La sentinella, per essere sicura di non essere
sorpresa da chi può venire da un momento all’altro, deve con-
tinuamente cercarlo con lo sguardo, stando attenta a tutti i
movimenti, dal vento che soffia ai cespugli che si muovono. È
l’attesa della seconda venuta di Gesù Cristo nella storia, che si
compirà alla fine dei tempi, ma che avrà come premessa profe-
tica il compimento della nostra vita terrena. Domani inizierà il
periodo di Avvento del nuovo anno liturgico, durante il quale
saremo chiamati a vivere di nuovo l’attesa della prima venuta
di Gesù Cristo sulla terra. È il meraviglioso destino della nostra
vita, quello di attendere continuamente colui che deve venire,
con la certezza che verrà, perché è già venuto. È l’attesa della
sposa che attende lo sposo nella gioia, descritta dal Cantico dei
Cantici con questa immagine:
«Una voce! L’amato mio! Eccolo viene saltando per i monti,
balzando per le colline. L’amato mio somiglia a una gazzella o

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ad un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro, guarda


dalla finestra, spia dalle inferriate. Ora l’amato mio prende a
dirmi: “àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto! Perché,
ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i
fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la
voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna.
Il fico sta maturando i primi frutti e le viti in fiore spandono
profumo. Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!”» (Ct 2,
8-13).
È il nuovo AVVENTO.

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SOLennità
e feste
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25 gennaio – Conversione di San Paolo apostolo


La conversione di san Paolo
E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco,
all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una
voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?». Rispose: «Chi
sei, o Signore?». Ed egli: «Io sono Gesù, che tu perséguiti! Ma tu àlzati ed
entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare».  At 9,3-6

Oggi la chiesa celebra la «conversione» di san Paolo. C’è un


«prima» e un «dopo» nella vita di Paolo: in mezzo c’è un evento
straordinario e inaspettato. Quello che era prima lo racconta
lo stesso Paolo in alcuni passaggi delle sue lettere, quando am-
mette che era «un bestemmiatore, un persecutore e un violen-
to» (1Tm 1,13), il tutto confermato da Luca negli Atti degli
apostoli: «Saulo era tra coloro che approvavano la sua uccisione
[di Stefano]... Saulo intanto cercava di distruggere la chiesa:
entrava nelle case, prendeva uomini e donne e li faceva mettere
in carcere» (At 8,1-3).
È su questo persecutore della Chiesa che irrompe, improvvi-
so come un lampo in un temporale estivo, l’intervento straordi-
nario e potente del Signore, che farà di lui una persona nuova.
Paolo non ha fatto niente per «convertirsi». Non era in un cam-
mino di fede, anzi stava conducendo «in catene a Gerusalemme
tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a
questa Via» (At 9,2). Egli, del resto, non ha mai usato la parola
«conversione» per esprimere l’esperienza che gli ha cambiato
la vita: ha sempre parlato di «illuminazione», «rivelazione» e
«grazia». Paolo è stato l’apostolo della grazia, dell’amore di Dio,
libero e gratuito. L’illuminazione che lo ha folgorato è consi-
stita nel prender coscienza, per il fulgore di quel lampo, del-
la sua schizofrenia religiosa: lui, il «fariseo irreprensibile» (Fil
3,5-6), stava facendo violenza a esseri umani liberi e inermi.
La voce «Io sono Gesù che tu perseguiti» (At 26,15) di colpo
lo illuminò sul fatto che quando si tocca una persona si tocca
Dio, e ogni violenza a una persona è un atto di violenza contro
Dio, come ogni atto di amore nei confronti di una persona è
un atto di amore nei confronti di Dio. È stato questo l’evento
che, dopo un processo di interiorizzazione durato dieci anni, lo

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ha trasformato in un uomo nuovo, tanto da arrivare a dire: «Per


me il vivere è Cristo» (Fil 1,21) e «per grazia di Dio però sono
quello che sono» (1Cor 15,10). Questa irruzione della grazia
in Paolo è una «buona notizia» anche per noi: vuol dire che il
Signore risorto ha la capacità e la libertà di stravolgere la vita di
ciascuno, anche nel nostro tempo, trasformando dei peccatori
in santi. Abbiamo parlato di san Paolo, ma la stessa cosa suc-
cesse a sant’Agostino, san Francesco e molti altri, anche meno
famosi. La storia della chiesa è ricca di queste «belle notizie».

26 gennaio – Santi Tito e Timoteo


La potenza dell’agnello
Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due
a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva
loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque
il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco,
vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né
sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque
casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa”». Lc 10,1-5

Durante l’anno liturgico avremo ancora occasione di me-


ditare, dal Vangelo di Matteo, la prima missione dei discepoli.
Oggi la chiesa ce la presenta da quello di Luca, il quale, oltre a
specificare che gli inviati erano settantadue, mette sulla bocca
di Gesù una frase che riassume tutto il rischio, lo spirito e la
forza del missionario: «Andate: ecco, vi mando come agnelli
in mezzo a lupi». In un mondo nel quale ognuno pensa a rag-
giungere i propri obiettivi e a spendere come meglio crede i
talenti ricevuti, andare ad annunciare all’uomo che il Signore è
venuto tra noi per salvarci dal nostro egoismo e che ha un pro-
getto di vita completamente diverso, sembrerebbe una follia.
Umanamente sarebbe assurdo pensare che una persona possa
accettare, di punto in bianco, di abbandonare tutto ciò per il
quale ha vissuto e su cui ha investito, per abbracciare ideali
sconvolgenti e per seguire obiettivi sconosciuti. Sarebbe una
proposta inaccettabile, se non fosse per il fatto che, da un lato

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il risultato finale dei nostri progetti è paurosamente deluden-


te e dall’altro il Signore non elargisse abbondantemente, alle
persone che egli invia, la potenza del suo Spirito. L’infelicità
dell’uomo e la potenza dello Spirito sono i motivi del successo
di ogni avventura missionaria.
Questa potenza, perché sia chiaro che proviene da lui, e so-
lo da lui, e perché possa vincere le forze del male, radicate in
ogni uomo, deve nascondersi nella debolezza dell’agnello. E,
se necessario, nella sua capacità di immolarsi, come quasi ogni
giorno avviene in molti paesi del mondo. È stato il segreto di
Gesù per passare dalla morte in croce al trionfo della risurrezio-
ne e sarà il segreto di Paolo per tutta la sua missione: «quando
sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). La debo-
lezza dell’agnello costituisce la forza del missionario. Quando
un uomo è chiamato ad annunciare il vangelo nel nome del
Signore, se in quel momento si affida allo Spirito Santo, riceve,
per grazia, il dono della potenza di Dio nelle sembianze del-
la debolezza dell’agnello. Succede anche oggi. Non potrò mai
dimenticare quando padre Fausto, molti anni fa, mi chiese di
annunciare il vangelo al posto suo. «Ma come posso fare – gli
dissi –, io sono balbuziente». «Non ti preoccupare – mi rispose
–, non è un problema tuo, è del Signore. Fidati!». Sono andato
al microfono e ho cominciato a parlare con una fluidità di pa-
rola che fino allora mi era sconosciuta. È la potenza di Dio che
si nasconde nella debolezza dell’agnello.

2 febbraio – Presentazione del Signore


La Candelora
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale,
secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per
presentarlo al Signore… Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome
Simeone, uomo giusto e pio… Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato
che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del
Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi
portavano il bambino Gesù… egli lo accolse tra le braccia e benedisse
Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace,
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secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e
gloria del tuo popolo, Israele»… Simeone li benedisse e a Maria, sua
madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in
Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà
l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche
una profetessa, Anna… aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava
mai dal tempio… Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a
lodare Dio. Lc 2,22-38

La legge di Mosè prescriveva che, quaranta giorni dopo la


nascita del figlio primogenito, i genitori si recassero al tempio
di Gerusalemme per offrirlo al Signore e per la purificazione
della madre. Nella circostanza del vangelo di oggi, però, non è
il bambino che viene offerto al Signore, ma è il Signore stesso
che viene offerto da Maria e Giuseppe per la salvezza dell’uma-
nità e del mondo. È questo il mistero che viene colto dalla
profetessa Anna e dal vecchio Simeone, che, illuminati dallo
Spirito Santo, si abbandonano alla gioia e alla lode, che si scio-
glie nel meraviglioso cantico del Dimittis: «Ora puoi lasciare, o
Signore, che il tuo servo vada in pace». Anche noi, stamattina,
siamo andati in chiesa per partecipare alla santa messa e per
presentare, come facciamo tutti i giorni, i nostri figli al Signore.
Ci è stata offerta una candela, perché è il giorno della Cande-
lora, così chiamata perché oggi la chiesa benedice le candele
per celebrare l’evento della presentazione di Gesù al tempio.
Quella candela che stamattina ci è stata donata dal sacerdote è
come la confermazione di quella che è stata accesa in occasione
del nostro battesimo. È il segno della fede e del vangelo che
dobbiamo portare nel mondo.
Donaci, Signore, la grazia di mantenerla sempre accesa.

14 febbraio – Santi Cirillo e Metodio


Evangelizzare ieri e oggi
Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion:
«Regna il tuo Dio». Is 52,7

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Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due


a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva
loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il
signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi
mando come agnelli in mezzo a lupi». Lc 10,1-3

Cerchiamo di immaginare che cosa avranno pensato, in


cuor loro, quei settantadue discepoli che, per primi hanno ri-
cevuto il mandato di andare ad annunciare Gesù Cristo «in
ogni città e luogo dove [egli] stava per recarsi». Erano tutte
persone semplici e di poca cultura, che non erano mai uscite
dai loro villaggi, tuttavia ebbero successo e tornarono pieni di
gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi
nel tuo nome» (Lc 10,17). A loro non era necessaria la sapien-
za, alla quale provvedeva lo Spirito Santo, e neppure la capacità
di compiere i miracoli, poiché a quelli pensava il Signore che
operava insieme a loro. Essi misero a disposizione solo i piedi
per andare: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero
che annuncia la pace».
Oggi, nel nostro mondo occidentale, andare è molto più
facile, ma l’annuncio del vangelo è forse più difficile, perché la
nostra civiltà è affetta da quella terribile malattia che si chiama
«edonismo». Essa fissa tutta la sua attenzione su questo mondo
e sulla possibilità di godimento e di successo che offre, evitan-
do sofferenze e sacrifici. Viviamo nelle cose senza interrogarci
sul senso della vita e temiamo la solitudine e il silenzio che ci
obbligano a pensare. Abbiamo una fiducia cieca nella scienza,
non solo come fonte di benessere, ma anche di verità, che noi
accettiamo solo se viene dall’uomo, perché vogliamo essere pa-
droni del nostro destino.
Pur vedendo il mondo dominato dall’ingiustizia, dallo sfrut-
tamento e dall’odio, non riteniamo che la salvezza possa venire
da un Altro. Sotto l’aspetto religioso, siamo tutti, più o meno,
secolarizzati. Tuttavia, anche ai giorni nostri, il messaggero che
annuncia il vangelo non è solo ad affrontare queste difficoltà
oggettive: c’è lo Spirito Santo che illumina e c’è il Signore che
opera confermando la parola con i miracoli. Anche oggi, per
quanto possa sembrare incredibile, servono solo piedi per an-
dare.

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22 febbraio – Cattedra di San Pietro apostolo

Chi è Gesù per Pietro


Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi
discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero:
«Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno
dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon
Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato
sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno
rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e
su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non
prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che
legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra
sarà sciolto nei cieli». Mt 16,13-19

La prima domanda che Gesù pone ai suoi discepoli, su ciò


che dice la gente di lui, ha solo lo scopo di introdurre la secon-
da: «Ma voi, chi dite che io sia?».
Egli sa bene che le opinioni della gente su di lui sono con-
trastanti, ma quello che egli vuole conoscere è l’opinione dei
suoi discepoli che, dopo la sua morte, avranno il mandato di
costituire e diffondere la sua chiesa. Non si aspettava, però,
quella risposta chiara, decisa e illuminata di Pietro, che lo in-
duce addirittura a proclamare la sua investitura a capo della
futura chiesa, cosa che, forse, avrà avuto in animo di fare in un
momento successivo.
La decisione di Gesù nasce da una semplice lettura dei fat-
ti: egli si rende conto che Pietro è stato illuminato dallo stes-
so Spirito Santo che, durante il suo battesimo nelle acque del
Giordano, era sceso su di lui.
Succede anche ai genitori di accorgersi, a un certo punto, che
i figli sono cresciuti ed è giunto il momento che si assumano
nuove responsabilità, in famiglia e nella società. Da quel mo-
mento l’azione educativa dei genitori non è finita, ma prende
un indirizzo nuovo, più maturo, se non proprio da pari a pari.
Sarà lo stesso atteggiamento che terrà Gesù: da quel momento
in poi il suo mandato assumerà una nuova accelerazione, e si
farà sempre più vicino il momento del Calvario.

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19 marzo – San Giuseppe Sposo della B. V. Maria


San Giuseppe, nostro protettore
Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore:
«Va’ e di’ al mio servo Davide: Così dice il Signore: “Forse tu mi costruirai
una casa, perché io vi abiti?… Quando i tuoi giorni saranno compiuti e
tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te,
uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una
casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. Io
sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con
verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo… La tua casa e il tuo regno
saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per
sempre”». 2Sam 7,4-5.12-14.16

Oggi si celebra la festa di san Giuseppe, lo sposo di Maria


santissima e, per quanto ci riguarda, protettore della nostra fa-
miglia e amministratore delegato eletto all’unanimità. La sua
statua, che troneggia nel tinello e alla quale manteniamo una
luce sempre accesa notte e giorno, ci fu regalata da don Luigi,
nostro parroco quando abitavamo a Castellanza. A don Luigi,
che in chiesa aveva deciso di sostituire quella statua con un’al-
tra, sempre di san Giuseppe, ma di fattura più recente, dispia-
ceva metterla in cantina tra le cose vecchie, così, un bel giorno
ci disse: «Voi che siete aperti all’accoglienza, potreste trovare
un posto per il mio san Giuseppe, in casa vostra?». Avemmo
subito la sensazione che ci fosse offerta una benedizione e così
rispondemmo con entusiasmo: «Certo, dallo a noi, don Luigi,
lo metteremo al centro della casa». E così è diventato il santo
protettore della famiglia, sentinella della casa e nostro ammini-
stratore delegato. Dobbiamo riconoscere che san Giuseppe ha
svolto il suo lavoro egregiamente, anche se lo abbiamo costret-
to a tante ore di straordinario. Non c’è mai mancato il lavoro e
il giusto benessere, e i ladri quando, durante le nostre assenze,
sono entrati in casa, lo hanno visto e se ne sono sempre andati
senza prendere mai niente, lasciando spesso la porta spalancata.
San Giuseppe discende dalla casa di Davide, è di origine re-
gale ed è a lui che oggi il Signore si riferisce parlando al profeta
Natan. È l’uomo che lo Spirito Santo ha scelto per proteggere
Maria e Gesù per tutto il tempo che ne hanno avuto bisogno e
perché, con il suo lavoro, assicurasse loro il pane quotidiano. A

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Giuseppe il Signore mandava gli angeli, in sogno, per suggerirgli


dove dovesse andare e che cosa dovesse fare, in ogni circostanza
della sua vita. Dobbiamo dire che, dal momento in cui lo ab-
biamo accolto in casa nostra, molti buoni suggerimenti, per le
vie misteriose dello Spirito, sono arrivati anche a noi. E quando
restiamo fuori di casa, anche per molti giorni, il fatto di lascia-
re san Giuseppe lì, con la lampada accesa, ci rende tranquilli.

25 marzo – Annunciazione del Signore


L’alleanza di Dio con l’uomo
L’angelo Gabriele fu mandato da Dio… a una vergine, promessa sposa
di… Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse:
«Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te»… ella fu molto turbata e si
domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non
temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai
un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà
chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide
suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non
avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché
non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su
di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui
che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta,
tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio… nulla è
impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga
per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.    Lc 1,26-38
Nell’Antico Testamento si respira un continuo, incessante
corteggiamento di Dio per il popolo di Israele, il quale accetta
con piacere tutte le attenzioni divine nei suoi confronti, ma
si comporta come una ragazza un po’ leggera. Di quando in
quando si permette delle scappatelle, tanto sa che Dio lo per-
donerà sempre, perché è troppo innamorato. Da parte sua egli
agisce come un fidanzato paziente, sicuro di sé e dell’esito del
suo corteggiamento. Questo rapporto d’amore viene colto mi-
rabilmente dal profeta Osea: «Ti farò mia sposa per sempre, ti
farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella
benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà» (Os 2,21-22).
Quando i tempi sono stati maturi, questa profezia si è realiz-

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zata e Dio ha sposato per sempre l’umanità, con la quale genera


un figlio, Gesù Cristo, che riassume in sé la natura umana della
madre e quella divina del Padre. È la definitiva alleanza di Dio
con l’uomo, per concretizzare la quale, egli ha avuto bisogno
del «Sì» di Maria. L’odierna ambasciata dell’arcangelo Gabriele
non si limita ad annunciare una venuta transitoria dello Spirito
Santo, un’effusione momentanea limitata alla nascita di Gesù,
che sarà il Salvatore dell’umanità. Il mistero dell’Incarnazione
è di un’ampiezza infinitamente più vasta e la sua magnificenza
si estende per tutti i secoli. Maria lo ha compreso così bene,
che nel Magnificat esplode nella profezia «D’ora in poi tutte
le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). Ella si rende
conto che il piano di salvezza divino e la storia del mondo si
snoderanno intorno alla sua persona. E tutto questo è stato
reso possibile dal suo «Sì». Ecco perché Maria è il veicolo delle
divine grazie! Dio non può negarle niente, perché ne è inna-
morato e perché le è riconoscente.

25 aprile – San Marco Evangelista


Il grande mandato
E [Gesù] disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo
a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non
crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno
quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue
nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non
recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno»…
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva
insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
. Mc 16,15-20

Questo è il mandato di Gesù alla chiesa e queste sono le pro-


messe. A noi la risposta. Abbiamo ricevuto, qualche giorno fa,
un opuscoletto con gli auguri di padre Raniero Cantalamessa,
un apostolo del nostro tempo, un amico. È stato stampato in
occasione dei suoi cinquant’anni di sacerdozio, completamen-
te vissuti per l’annuncio del vangelo, in ogni modo, in tutti
i continenti, a persone di ogni categoria e razza. Dal 1980 è

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predicatore della Casa Pontificia e pertanto, nei tempi dell’Av-


vento e della Quaresima, tiene catechesi al papa e ai vescovi, in
Vaticano. Dice padre Raniero: «Quando Giovanni Paolo II mi
ringraziava per la predica, io replicavo: “È lei che fa la predica
a noi, Santità, perché ci dà l’esempio di umiltà, di rispetto, di
stima per la Parola di Dio”». Dal 1995, ogni sabato sera, ha
condotto quasi ininterrottamente sulla rete Tv nazionale ita-
liana la trasmissione «Le ragioni della speranza». Dice padre
Raniero: «Se dovessi rinunciare – come presto o tardi succederà
– ad alcuni tra i tanti impegni, questo dovrebbe essere l’ultimo
da abbandonare». Nel 1980, dopo aver annunciato Gesù Cri-
sto in tutta Italia, padre Raniero iniziò la predicazione all’estero
partendo dalla Francia. Nel 1985 passò gli oceani, andando
prima negli Stati Uniti, dove si è recato più volte, poi in Au-
stralia. Gli anni successivi, al ritmo di una missione al mese, ha
predicato in tutto il mondo, negli stadi e nei conventi, tanto
che egli potrebbe far sue le parole che un ignoto camionista
brasiliano scrisse sul di dietro del suo camion: «vivo em casa,
moro na rua – vivo in casa, abito sulla strada». Non basterebbe
un libro intero per elencare tutte le località dove padre Raniero
ha predicato. Tra una missione e l’altra, ha scritto numerosis-
simi libri e articoli e, di quando in quando, abbiamo avuto
il privilegio di averlo a cena a casa nostra. La sua è stata una
risposta eccezionale alla pagina del vangelo di oggi. Essa de-
ve esserci d’esempio: ciascuno di noi è chiamato a rispondere,
utilizzando tutti i talenti che gli sono stati donati, al mandato
all’evangelizzazione. Non esistono chiamate eccezionali: esisto-
no risposte eccezionali.

29 aprile – Santa Caterina da Siena


Morire per vivere
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e
della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai
rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il
Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio
vorrà rivelarlo». Mt 11,25-27

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C’è nel vangelo un modo di perdere che è un vincere e un


modo di morire che è un vivere; c’è una debolezza che diventa
forza, una ricchezza che passa attraverso la povertà di spirito e
un possedere che si scopre nel donare; e c’è un modo di trovare
la vita perdendola. Nel vangelo di oggi leggiamo che il mistero
è tenuto nascosto ai sapienti e agli intelligenti, ed è rivelato ai
piccoli. «Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevo-
lenza». Ci chiediamo, allora: «Perché tutto ciò che il mondo
considera importante, nel regno dei cieli diventa marginale o
negativo?». Ci deve essere un motivo profondo se Gesù, nelle
tentazioni del deserto, ha rifiutato la gloria, la potenza e la ric-
chezza; e se per salvare il mondo ha dovuto morire in croce.
Poiché questo sembra essere il leit motiv della storia della sal-
vezza, dobbiamo dedurre che le categorie del pensiero di Dio
sono esattamente al contrario di quelle dell’uomo. Perché?
Per trovare il motivo bisogna risalire al primo atto di super-
bia dell’uomo, all’inizio dei tempi. Dio aveva detto all’uomo:
«Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’al-
bero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare,
perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai
morire» (Gn 2,16-17). In altre parole, la conoscenza profonda
del motivo della vita e dell’essenza delle cose sarebbe dovuta
rimanere prerogativa di Dio. Ma il serpente disse alla donna:
«Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi
ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio,
conoscendo il bene e il male» (Gn 3,4-5). E l’uomo e la donna
mangiarono il frutto proibito. In quel momento lontano nel
tempo, Dio mise in atto la storia della salvezza e tacitamente
sfidò l’uomo: «Tu vuoi essere simile a me! Vediamo se sei capa-
ce di donarmi la vita come io la dono a te!». E questa sfida si è
concretizzata quando Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio stesso,
ha offerto sulla croce la sua vita per la salvezza dell’uomo. Dal
peccato originale in poi, tutti coloro che si sono convertiti e
hanno sposato il progetto di Dio, sia nell’Antico che nel Nuo-
vo Testamento, hanno scoperto che esiste un modo di perdere
che è un vincere e un modo di morire che è un vivere. Ma han-
no scoperto anche che a loro è stato rivelato il mistero tenuto
nascosto ai sapienti e agli intelligenti.

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3 maggio – Santi Filippo e Giacomo apostoli


La via, la verità e la vita
Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al
Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche
il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo:
«Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo
sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto
il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono
nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me
stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me:
io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere
stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le
opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al
Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre
sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la
farò». Gv 14,6-14

All’inizio dei tempi «il Signore Dio piantò un giardino in


Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo... Il Signore Dio fece ger-
mogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni
da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero
della conoscenza del bene e del male... Il Signore Dio diede
questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli al-
beri del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e
del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne
mangerai, certamente dovrai morire”» (Gn 2,8-17). Di tutti
gli alberi del giardino due sono ben individuati: l’albero della
vita, che è in mezzo e quindi è il più importante, e l’albero della
conoscenza del bene e del male, piantato da qualche parte. Del
primo, come di tutti gli altri alberi, l’uomo ne poteva mangiare
i frutti, pervenendo alla verità, come dono della sua comu-
nione con Dio. Del secondo non ne doveva mangiare, pena la
morte e l’allontanamento dalla verità. Partendo da quei tempi
lontani, gli uomini hanno sempre cercato di conoscere la realtà
sovrannaturale e ciò che è bene e male, formulando le ipotesi
più diverse e smentendosi sempre gli uni gli altri, fino ad arri-
vare ai giorni nostri, nei quali una parte dell’umanità considera
vero ciò che pensa la maggioranza. Duemila anni fa, però, con
Gesù Cristo è avvenuta una nuova creazione, alla quale si ade-

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risce per fede, che ci ricolloca nel nuovo giardino dell’Eden, il


regno dei cieli. In questa nuova realtà spirituale l’albero della
vita, i cui frutti ci rivelano la verità su Dio e sull’uomo, è Gesù
Cristo. E della nostra intelligenza, allora, che cosa ne facciamo?
Vista la prima esperienza dell’umanità, sarà bene credere alle
parole di Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita». Con questo
atto di fede la nostra intelligenza non è messa da parte, ma,
accesa dallo Spirito Santo, ci permette di conoscere le verità su
Dio, sull’uomo, sulla creazione e sulla storia. Una lucciola con
la fede vede lontano e fa più luce di un sole senza fede.

14 maggio – San Mattia apostolo


Amicizia e comunicazione
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel
mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore,
come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo
amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra
gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli
altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io
vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che
fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito
dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho
scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto
rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo
conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri». Gv 15,9-17
Da alcuni anni si tengono, un po’ dovunque, corsi sulla co-
municazione e io stessa me ne sono occupata nelle scuole, nelle
aziende o negli ospedali. Anche nel vangelo di oggi ricorrono
molti termini che ci ricordano l’attività del comunicare: «chia-
mare», «udire», «chiedere», «sapere». Il loro significato, tutta-
via, è completamente diverso da quello consueto, perché non
si tratta di relazioni professionali o, più ampiamente, sociali,
bensì di legami che uniscono la vita in maniera inscindibile e
possono anche richiedere la vita stessa. Immersi in un’atmosfe-
ra culturale che, spesso, interpreta la capacità di comunicare
come il saper trarre il massimo vantaggio personale dalle diver-

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se situazioni, oggi ci troviamo di fronte alla proposta evangelica


di una comunicazione che è, sì, scambio di munus, di doni, co-
me ci suggerisce l’etimologia della parola, ma il dono da offrire
è l’amicizia profonda, che tutto dice e condivide, senza paura
di limiti e fraintendimenti, senza calcoli, con l’unico fine di
amarci gli uni gli altri, restando nell’amore del Signore. Solo
vivendo in questa unione profonda di cuori si può attingere
alla pienezza della gioia che Gesù ci promette: è questo il senso
di essere chiamati e inviati a portare un frutto che rimanga.

31 maggio – Visitazione della B. V. Maria


La Visitazione
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa…
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe
udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta
fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le
donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre
del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei
orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei
che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora
Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in
Dio, mio salvatore…». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a
casa sua. Lc 1,39-56

Dopo l’annunciazione dell’arcangelo Gabriele, Maria lascia


la casa di Nazaret e s’affretta, attraverso le colline, a raggiun-
gere la dimora della cugina Elisabetta, anche lei benedetta dal
Signore con una maternità che sembrava impossibile. Al suono
della voce di Maria, lo Spirito Santo inonda di luce Elisabetta e
fa trasalire di gioia il bambino che porta nel grembo. Ciò avvie-
ne perché Maria porta in sé la presenza santificante di Gesù, e
per mezzo di lei Giovanni riceve, già nel grembo di Elisabetta,
la purificazione che gli dà l’investitura a precursore di Cristo. Il
sussulto di Giovanni strappa a Elisabetta una esclamazione di
giubilo per essere di fronte alla madre di Dio. Si può ritenere,
quindi, che la gloria di Maria sia stata proclamata, per la prima
volta, da Giovanni il Battista. Egli è contemporaneamente il

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testimone di Cristo e di Maria. Potremmo andare oltre a scan-


dagliare questo mistero della Visitazione, perché il poco che
il vangelo ne racconta ci apre orizzonti sconfinati. Se il primo
contatto di Maria con Elisabetta ha suscitato tali effetti, non è
immaginabile la comunione di anime che si è creata tra queste
due donne nei tre mesi in cui sono rimaste insieme. E nemme-
no sono immaginabili la comunione e il cammino spirituale di
Maria e di Giuseppe negli anni trascorsi nella casa di Nazaret.
Sono misteri della fede, e rimarranno sempre tali. Una cosa
però è certa: se il solo avvicinarsi di Maria ha suscitato tan-
ta esultanza in Elisabetta, chissà quali meraviglie ha attuato
lo Spirito Santo in Giuseppe, al quale è sempre stato ricono-
scente per aver preso amorevole cura di Maria e di Gesù. C’è
da pensare che lo Spirito Santo si compiaccia di concedergli,
anche oggi, grazie innumerevoli. Nessuno più di Giuseppe ha,
inoltre, conosciuto la potenza, la dolcezza, l’entusiasmo e la
delicatezza della mediazione di Maria. Maria e Giuseppe sono,
anche oggi, i due principali veicoli di grazie. Abbiamo iniziato
meditando il mistero della Visitazione e abbiamo finito par-
lando di Giuseppe, del quale si avverte la grandezza, come una
montagna sullo sfondo.

Sacratissimo Cuore di Gesù


(venerdì dopo la seconda domenica dopo Pentecoste)
Lo Spirito Santo rivela il mistero
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della
terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai
piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato
dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno
conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile
di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce
e il mio peso leggero». Mt 11,25-30

Fin da bambino mi ha sempre stupito il fatto che i parteci-


panti alla santa messa, in particolare a quella dei giorni feria-
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li, fossero per la maggior parte persone semplici e di modesta


cultura. Abitavo alle Sieci, un paesotto vicino a Firenze, uno
di quelli in cui ci si conosce tutti; e mi stupiva il fatto che le
persone più in vista, i sapienti del paese, non andassero mai in
chiesa, nemmeno per fare – come si usava dire – una visitina e
dire una preghiera. Ci sarebbe stato da pensare che la fede fosse
roba per i sempliciotti che credono a tutto, se non fosse stato
per il fatto che mia madre, che, come maestra del paese, delle
persone in vista faceva parte, alla santa messa ci andava e mi
diceva sempre di andarci. Così, da giovane, quando dall’altare
sentivo proclamare che le verità del vangelo erano rivelate ai
piccoli, ho sempre ritenuto che in questa rivelazione ci fosse
una profonda verità, quasi un mistero.
Poi, con il passare degli anni, quando la mia fede si era fatta
più matura, ho cominciato a rendermi conto che addentrarsi
nelle verità del vangelo, come ci chiede Gesù, è possibile solo
se ci avviciniamo ad ascoltare quel continuo dialogo di amore,
di pensieri e di preghiera tra lui e il Padre, la trasmissione del
quale è assicurata dallo Spirito Santo.
È lo Spirito Santo il veicolo e il motore di tutto, colui che da
sempre illumina i semplici nella comprensione delle Scritture e
rivela la verità su Gesù di Nazaret.
Gesù, durante la sua vita terrena, e lo Spirito Santo, in que-
sto tempo della chiesa, non solo ci rivelano il mistero delle cose
di Dio, ma ci aprono anche le braccia per consolarci quan-
do siamo «stanchi e oppressi». E la consolazione non consiste
nell’eliminare le cause della fatica e dell’oppressione, ma nello
spiegarne il motivo e il valore, e di come tutto questo faccia
parte del grande progetto della redenzione del mondo.
Per capire queste cose, però, non dobbiamo fare appello alla
nostra capacità di comprenderle, ma alla mitezza e all’umiltà.
L’umiltà per renderci conto che il mistero nel quale siamo in-
seriti è infinitamente più grande di noi, e la mitezza per non
aggredirlo soltanto con l’intelligenza e la sapienza, ma per avvi-
cinarsi a esso con timore e rispetto, togliendoci le scarpe, come
Mosè di fronte al roveto ardente.
Questo lo hanno ben capito quelle vecchiette che incontro
la mattina alla santa messa.

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24 giugno – Natività di San Giovanni Battista


Lo spirito di Giovanni Battista
Elisabetta… diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono
che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si
rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino
e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre
intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della
tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con
cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e
scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli
si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio… Il
bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino
al giorno della sua manifestazione a Israele. Lc 1,57-66.80

Oggi la chiesa festeggia la nascita di Giovanni il Battista, il


precursore di Gesù Cristo, l’uomo che, nella sua persona, ha
vissuto il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Giovan-
ni è il profeta per eccellenza e sarebbe sbagliato relegarlo tra le
figure del passato, perché il suo spirito, in quanto precursore di
Gesù Cristo, opera tuttora nella chiesa. Se il Signore è, come è,
colui che perpetuamente viene nella chiesa e nella nostra vita,
Giovanni è colui che continuamente prepara la sua venuta. Egli
non è solo il precursore e il preparatore del continuo avvento
del Signore, è anche il profeta e l’annunciatore di ciò che è im-
minente, nella storia e nella nostra vita personale. Via via che
i nostri figli si sposano, escono di casa e formano le loro chiese
domestiche, Gesù ne è il Signore, e lo spirito di Giovanni ne è
il precursore e il preparatore.
Anche per noi genitori, ora che i figli sono andati per la loro
strada, si apre un progetto di vita nuovo che mettiamo nelle
mani del Signore, e a Giovanni chiediamo di arare il terreno
per prepararlo. In questo momento storico lo spirito del Batti-
sta è particolarmente impegnato all’interno della chiesa, nella
quale si fronteggiano le due forze contrapposte dei conservatori
e dei progressisti. I primi sono scoraggiati perché ritengono
che le forze della disgregazione siano talmente forti da rendere
vana ogni opposizione, per cui si affidano solo al silenzio e alla
preghiera. I progressisti sono sconfortati perché ritengono che
la chiesa di oggi non sia sufficientemente attenta ai richiami

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della storia e della vita, e auspicano un cristianesimo più calato


nella realtà sociale. Preghiamo Giovanni Battista di operare con
potenza nella chiesa di oggi, perché questo è un momento di
profondi turbamenti, ma anche di grande rinnovamento. Che
questo avvenga nello spirito del Signore!

29 giugno – Santi Pietro e Paolo apostoli


Amore per il Signore
Gesù… domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio
dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia,
altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io
sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne
né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te
dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le potenze
degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei
cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che
scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Mt 16,13-19

Verso la fine del 1975, quando da Legnano avevamo traslo-


cato a Saronno, conoscemmo Oliviero Gulot, una persona che,
da quasi ateo che era, aveva ritrovato la fede e la viveva in un
modo totalmente coinvolgente. Si portava la Bibbia nel borsello
e durante la giornata, di tanto in tanto, la tirava fuori, ne legge-
va qualche versetto, come un viandante beve un sorso d’acqua,
e la rimetteva dentro. Oliviero ci parlò del Signore in un modo
nuovo, raro per uno che non fosse sacerdote. Ben presto comin-
ciammo a pregare insieme e dopo un paio di mesi costituimmo
un gruppo di preghiera, di stile carismatico, frequentato da una
decina di persone. Ci incontravamo un paio di volte alla setti-
mana, si pregava, si cantava e si meditavano le Sacre Scritture.
Poiché, quando lo avevamo conosciuto, Oliviero era rimasto
vedovo da poco, lo invitavamo spesso a pranzo e, durante il
pasto, ci capitava che la conversazione si orientasse verso il de-
siderio che avevamo di vivere la vita insieme, se non proprio in
comunità. Su come riuscirci, però, non eravamo mai d’accordo.
Un giorno in cui i nostri discorsi erano più accesi del solito,

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Oliviero esclamò: «Pierluigi, soltanto il Signore poteva mettere


insieme due persone come noi!». Era vero, eravamo diversi in
tutto, ma totalmente d’accordo sul desiderio di vivere una vita
dedicata al Signore. Un paio d’anni dopo Oliviero conobbe
Francesca, anch’essa vedova, si sposarono, andarono a vivere
in un’altra città e da allora, incontrandoci di tanto in tanto,
abbiamo continuato il nostro cammino di fede in contesti
diversi. Però quella sua esclamazione sulle nostre divergenze,
nonostante fossimo animati dalla stessa fede nel Signore, mi
viene sempre in mente in questo giorno dell’anno liturgico,
nel quale si celebra la festa dei santi Pietro e Paolo. Questi due
pilastri del cristianesimo avevano in comune solo l’amore per
il Signore; per il resto erano diversi in tutto: nel carattere, nel-
la cultura e, soprattutto, sulle strategie missionarie. Pietro era
orientato all’evangelizzazione del mondo ebraico, Paolo a quel-
la del mondo pagano. Un giorno a Gerusalemme si sono anche
scontrati e Pietro dovette accettare le idee missionarie di Paolo,
perché si rese conto che erano più illuminate. La conclusione,
pur rimanendo sempre diversi, è stata che si sono ritrovati in-
sieme a Roma, dove entrambi sono morti martiri per il Signore.

3 luglio – San Tommaso apostolo


La beatitudine della chiesa
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando
venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma
egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio
dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche
Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a
voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani;
tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma
credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse:
«Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e
hanno creduto!». Gv 20,24-29

Un mese fa la mamma si trovava in Terra Santa con Gabriel-


la e Pietro, due cari amici. Ci sarei andato volentieri anch’io, se

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gli impegni di lavoro me l’avessero permesso. Ma è come se ci


fossi andato perché nel matrimonio esiste la proprietà transiti-
va della grazia, per la quale sentimenti, pensieri e benedizioni
si effondono tra moglie e marito in modo misterioso, e l’espe-
rienza di uno finisce per diventare quella di entrambi. Io mi
trovavo a Milano quando, nella pausa di una riunione di lavo-
ro, ho telefonato ad Anna Maria. «Che bello, Pierluigi – mi ha
risposto –, sto pregando sul monte delle beatitudini!». «Brava,
prega anche per me». «Lo sto facendo in questo momento», ha
aggiunto lei. Ci siamo salutati, Anna Maria ha continuato la
sua preghiera e io la mia riunione, con una pace nel cuore che
mi ha ricordato il saluto di Gesù agli apostoli, nel vangelo di
oggi: «Pace a voi!».
Ma da dove proviene questa pace? Si tratta di una beatitu-
dine che Gesù non ha elencato sul monte sul quale stava pre-
gando Anna Maria, ma l’ha annunciata dopo a Tommaso ed
è riportata nel vangelo di oggi: «Perché mi hai veduto, tu hai
creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». È
la beatitudine della chiesa, quella che da duemila anni vivono
tutti coloro che, avendo creduto al vangelo, percorrono il cam-
mino spirituale opposto a quello di Tommaso. Lui ha creduto
perché ha visto, noi vediamo perché crediamo. È la meraviglio-
sa sintesi di sant’Agostino: «Credo ut intelligam!», credo per
capire. È questa la prima beatitudine che, vissuta nella pienez-
za, ci permette di vivere tutte le altre che Gesù ha elencato sul
monte sul quale pregava Anna Maria: beati i poveri in spirito,
beati i miti, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore. È un
miracolo continuo della grazia di Dio.

11 luglio – San Benedetto


Le frasi di Gesù dalla croce
Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo
l’accolse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto,
affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di
aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna
e gliela accostarono alla bocca. Gv 19,27-29

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Gesù di Nazaret è stato crocifisso e mentre sta agonizzan-


do consegna agli uomini pochi messaggi, ma di una intensità
spirituale infinita. Sono otto piccole frasi, ciascuna delle qua-
li richiederebbe un lungo ascolto e una attenta meditazione.
Quattro di esse sono rivolte al Padre: «Padre, perdona loro per-
ché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34); «Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34); «Padre, nelle
tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46); «È compiuto!»
(Gv 19,30). Una frase è dedicata personalmente al buon la-
drone: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc
23,43). Un’altra è rivolta a Maria: «Donna, ecco tuo figlio!»
(Gv 19,26). Successivamente, come riporta il brano di oggi,
dice al discepolo Giovanni: «Ecco tua madre!», e infine, a ogni
uomo, dice: «Ho sete».
Qual è per noi oggi il significato di queste parole di Gesù?
La sua sete è sete di amore da parte degli uomini: nel momen-
to del sacrificio sulla croce «per noi», Gesù chiede di essere
corrisposto «da noi». Prima di questa richiesta rivolta a tutti
gli uomini egli indica a Maria il suo nuovo figlio, il discepolo
Giovanni, e con lui anche noi che crediamo in Gesù Cristo
morto e risorto: «Donna, ecco tuo figlio!» (Gv 19,26). In quel
momento ella diventa la madre di Giovanni, di ogni cristiano
e della chiesa: «Ecco la tua madre!». Noi dobbiamo quindi ri-
conoscerci tanto benedetti da essere divenuti figli di colei che
ha generato il Salvatore e parte della chiesa nata ai piedi della
croce. È per questi convincimenti che negli angoli più belli del-
la casa abbiamo collocato immagini sacre che rimandano a tale
mistero. E abbiamo voluto che fossero illuminate giorno e not-
te perché non si spenga mai il pensiero di questa appartenenza.

22 luglio – Santa Maria Maddalena


La purezza di Maria Maddalena
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro
di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal
sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello
che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro

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e non sappiamo dove l’hanno posto!»… Maria invece stava all’esterno,


vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro
e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e
l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero:
«Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore
e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù,
in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché
piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli
disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò
a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico:
«Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gv 20,1-2.11-16

Oggi la chiesa ci esorta a meditare sulla santità di Maria


Maddalena. Nemmeno Pietro e Giovanni, nei tre anni in cui
sono stati con lui, hanno amato Gesù come questa donna che
prima di mettersi alla sequela del Signore era una prostituta.
L’amore di Maria Maddalena per Gesù si è formato dalla fusio-
ne di tre sentimenti distinti: il fascino del Maestro, la ricono-
scenza per essere stata liberata e redenta dalla situazione di pub-
blica peccatrice e la gratitudine per aver vissuto un sentimento
di amore veramente puro dopo un passato che è stato quel che
possiamo immaginare. Nonostante che qualcuno, incredulo di
fronte alla purezza del suo amore per Gesù, abbia tentato di
umanizzarlo e di sporcarlo, l’amore di Maria Maddalena è stato
più puro di un diamante. Forse l’unico amore che si possa ac-
costare a quello di Maria Maddalena per Gesù di Nazaret, può
essere quello di santa Chiara per san Francesco.
La prova di tale purezza la troviamo proprio nel vangelo
di oggi. Maria Maddalena sta piangendo sul sepolcro vuoto,
quando Gesù risorto la chiama improvvisamente per nome; e
lei, d’istinto come un bambino sorpreso, risponde: «Maestro!».
In questa risposta improvvisa e incontrollata c’è la gioia di rive-
dere Gesù risorto, c’è il rispetto per il Maestro e la prova della
purezza del suo amore per lui. Proprio per il fatto di aver sapu-
to far convivere in se stessa, così bene e in modo tanto elevato,
queste tre componenti del suo amore per Gesù, santa Maria
Maddalena può essere pregata per aiutarci nelle situazioni sen-
timentalmente difficili da gestire. Pensiamo a un sacerdote che
faccia da guida spirituale a una donna, a un professionista che
lavora otto ore al giorno con la sua segretaria, o a qualunque al-

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tro tipo di rapporto che il demonio, costantemente in agguato,


cerca sempre di sporcare facendo nascere pensieri e sentimenti
illeciti. L’amore di Maria Maddalena per Gesù è stato anche
così coraggioso da renderla presente, sotto la croce, insieme a
Maria Santissima, la madre di Gesù.

23 luglio – Santa Brigida


Mamma Carolina
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in
me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché
porti più frutto… Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se
non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la
vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché
senza di me non potete far nulla… Se rimanete in me e le mie parole
rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto».    Gv 15,1-8
Il brano del vangelo di oggi mi ha fatto pensare a mamma
Carolina, una donna del popolo che ci ha lasciato da qualche
anno e per la quale è già in corso la causa di beatificazione.
Considero un dono del Signore l’aver avuto la possibilità di
conoscerla personalmente. Era giunta a Firenze dalla campagna
ed era una donna priva di quella cultura che si acquisisce sui
banchi di scuola, ma ricchissima di fede e di «sapientia cordis»,
di saggezza del cuore. Il suo temperamento esuberante, i suoi
incessanti slanci di amore verso il Signore e i poveri di ogni
tipo, la spingevano a correre dovunque ci fosse bisogno di lei.
Quando non soccorreva il prossimo, si rifugiava in chiesa a
pregare per impetrare grazie, con insistenza e perseveranza. So-
no molti i suoi insegnamenti che ho ereditato attraverso Maria
Rosa, ma il più bello di tutti, per me, è quello sull’assoluta
fedeltà al Signore: «Uniti a lui – soleva ripetere – si possono
compiere imprese incredibili, senza di lui non siamo capaci di
portare a compimento neppure le azioni più semplici del vivere
quotidiano». Mamma Carolina questa verità, annunciata dal
vangelo di oggi, l’ha vissuta dapprima nell’opera delle «prime
sante comunioni», quando riusciva a organizzare la celebrazio-

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ne dei sacramenti per centinaia di bambini. Ella provvedeva


a tutti gli abiti da cerimonia e poi, celebrato il sacramento,
organizzava grandi rinfreschi per i parenti e i loro invitati. In
tempi successivi, quando per le famiglie operaie non costituiva
più un problema acquistare gli abiti e organizzare la festa per la
prima comunione, si è dedicata al sostegno di quei monasteri
di clausura, rimasti isolati e trascurati dal sostegno dei fedeli.
Questo impegno la portava a percorrere le strade di tutta Italia
e un giorno, proprio in un incidente stradale, ha concluso la
sua corsa terrena. A noi, che ci consideriamo tralci della stessa
vite, mamma Carolina ha lasciato l’entusiasmo nel compiere le
opere che il Signore ci ha affidato: opere diverse da tralci diver-
si, ma sempre della stessa vite.

25 luglio – San Giacomo apostolo


La forza dello Spirito
Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che
questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In
tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma
non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi,
portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché
anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che
siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche
la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi
agisce la morte, in voi la vita. Animati tuttavia da quello stesso spirito di
fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo
e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù,
risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi.
Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia
abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio. 2Cor 4,7-15

È così grande ciò che certi uomini di Dio realizzano nella


vita che non si può fare a meno di esultare per la potenza del-
lo Spirito Santo che li anima. Basti pensare a Paolo, a Pietro,
a Daniele Comboni, a Madre Teresa di Calcutta, agli ultimi
pontefici, per toccare con mano il fatto che lo Spirito Santo
compia cose straordinarie servendosi di persone che, quando

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sono state chiamate dal Signore, erano proprio normali. «Tutto


posso – dice Paolo – in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13). È
la potenza di quel tesoro che, nella lettura di oggi, è contenuto
nei «vasi di creta».
Per queste persone, nelle quali il Signore opera potentemen-
te, è tutto facile e al tempo stesso tutto difficile, perché il de-
monio fa l’impossibile affinché non vengano realizzate le opere
di Dio. C’è, soprattutto, un prezzo da pagare: «siamo tribolati,
schiacciati, sconvolti, perseguitati, colpiti, portando sempre e
dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la
vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo». Sono persone che
non si fermano mai, non si abbattono mai, sono sempre in
piedi come il Misirizzi, un pupazzetto dalla base rotondeggian-
te, di quando eravamo ragazzi, che aveva nella parte bassa un
pezzo di piombo che gli permetteva di ritornare sempre in po-
sizione verticale, anche quando si cercava di buttarlo giù. Sono
persone invincibili, perché animate dallo Spirito di Cristo, e
operano sempre al servizio degli altri, con il risultato – come
dice Paolo – che in loro opera costantemente la morte e negli
altri la vita. È lo stesso mistero dell’amore di Dio che, in Gesù
di Nazaret, si dona sulla croce perché noi, ogni giorno, possia-
mo vivere di vita nuova. Se ci fosse ancora bisogno di una prova
che Gesù è veramente – come dice il centurione sotto la croce
– il Figlio di Dio, queste persone ce la offrono ogni giorno, in
ogni momento: nelle azioni, con le parole, con i gesti, con gli
occhi e con il loro sorriso.

6 agosto – Trasfigurazione del Signore


Il progetto e il servizio
Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e un
vegliardo si assise. La sua veste era candida come la neve e i capelli del
suo capo erano candidi come la lana; il suo trono era come vampe di
fuoco… Un fiume di fuoco scorreva e usciva dinanzi a lui, mille migliaia
lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano. La corte sedette e i libri
furono aperti. Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con
le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e

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fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli,
nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non
finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto. Dn 7,9-10.13-14

Oggi la chiesa festeggia la Trasfigurazione del Signore sul


monte Tabor, evento che abbiamo meditato in altra occasione.
Riflettiamo, allora, sulla prima lettura, tratta dal libro del pro-
feta Daniele. È un brano scritto in stile apocalittico, in voga
negli ultimi secoli prima dell’era cristiana, con il quale il profe-
ta getta lo sguardo a ciò che avverrà con l’avvento del Messia,
quando saranno debellate le forze del male. Per quanto ci ri-
guarda personalmente, la lettura di oggi ci presenta Dio, visto
come un vegliardo, nel momento in cui, alla fine della nostra
vita terrena, aprirà i libri dove sta scritto tutto ciò che abbia-
mo fatto e pensato durante questa traversata nel tempo. Sono i
libri di bordo della nostra nave, che un giorno è salpata da un
porto per arrivare a un altro, nei quali è annotato tutto quanto
è avvenuto durante la navigazione.
Colui che, giorno per giorno, compila il diario di bordo è
il Signore, l’ammiraglio della nave che, nella lettura di oggi,
compare alla fine e viene presentato al vegliardo, come «uno
simile a un figlio d’uomo». Per inciso sarà questa la definizio-
ne che Gesù di Nazaret applicherà a se stesso per evitare di
presentarsi come Figlio di Dio nell’ambiente della Palestina,
non certo aperta ad accoglierlo come tale. Tornando, però, alla
nostra navigazione nel tempo, una nave non viene costruita per
caso, ha uno scopo e un servizio da compiere come ogni uomo
che nasce ha un progetto da realizzare. Non è allora difficile
immaginare ciò che il Signore sta scrivendo sul nostro diario
di bordo: annota come stiamo realizzando il progetto, come
viene compiuto il servizio e soprattutto se tentiamo ammutina-
menti per impossessarci della nave al fine di perseguire progetti
diversi dai suoi. Credo che oggi sia il giorno più indicato per
chiederci quali siano il progetto che dobbiamo realizzare e il
servizio che ci è stato affidato. In questa fase della vita, io penso
di aver individuato chiaramente il mio, ma devo chiedere per-
dono al Signore perché, non poche volte, in passato, ho cercato
di prender possesso della nave per seguire rotte e realizzare pro-
getti diversi dai suoi. Erano belli, ma erano i miei.

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9 agosto – Santa Teresa Benedetta della Croce


Dove stiamo andando
«Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro
lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque
sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le
sagge invece… presero anche l’olio… Poiché lo sposo tardava, si assopirono
tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo!
Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono
le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro
olio…”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a
voi; andate… e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare
l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle
nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e
incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In
verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il
giorno né l’ora». Mt 25,1-13

Edith Stein (1891-1942), undicesima figlia di una famiglia


ebrea, nacque a Breslavia, in Polonia. Fin da piccola si dichia-
rava atea e a quindici anni decise di non pregare più, benché
il suo cuore fosse in attenta ricerca della verità. Seguì gli stu-
di universitari, ebbe occasione di leggere Il castello interiore di
santa Teresa d’Avila e alla fine del libro esclamò: «Questa è la
verità!».
Si convertì al cristianesimo, fu battezzata nel 1922 e nel
1938 prese i voti perpetui nell’ordine delle Suore del Carmelo,
con il nome di Teresa Benedetta. Come donna di origine ebrea
fu perseguitata dal regime tedesco di Hitler e fu soggetta alle
leggi razziali di Norimberga. Mentre si trovava nel convento
delle carmelitane di Echt (Olanda), Teresa Benedetta fu arre-
stata insieme alla sorella Rosa. Nel lasciare il convento prese per
mano la sorella e le disse: «Andiamo, siamo insieme al nostro
popolo». Morì ad Auschwitz il 9 agosto 1942. È stata beatifica-
ta e dichiarata Patrona d’Europa nel 1999.
Con la parabola delle dieci vergini che vanno incontro allo
sposo, oggi il Signore tratteggia la vicenda del discepolo in que-
sto mondo, aiutandoci a rispondere all’eterna domanda: dove
stiamo andando? La vita, alla luce di questa parabola, è un’at-
tesa attiva, come lo è stata per santa Teresa Benedetta, la quale,

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mentre in Olanda era perseguitata, scrisse il libro La conoscenza


della croce. La sua croce è stata la persecuzione tedesca e la porta
che per lei si è aperta è stata quella della camera a gas nel campo
di sterminio di Auschwitz, dove è entrata con la lucerna della
fede in Cristo Gesù accesa.
Santa Teresa Benedetta è una santa che possiamo pregare
perché ci aiuti a compiere la volontà del Signore anche nel-
la persecuzione. Ella scriveva: «Le sofferenze sopportate con il
Signore sono le sue stesse sofferenze e portano grandi frutti
nell’opera della redenzione».

10 agosto – San Lorenzo


La matematica celeste
Tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà
e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo
quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio
ama chi dona con gioia. Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi
ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere
generosamente tutte le opere di bene. Sta scritto infatti: Ha largheggiato,
ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno. Colui che dà il seme
al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la
vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. 2Cor 9,6-10

Quando lo zio della zia Margherita, don Giulio Facibeni,


che la chiesa ha recentemente beatificato, distribuiva le cara-
melle agli orfani della Madonnina del Grappa, l’opera da lui
fondata nel dopoguerra, metteva le mani nel sacchetto e le di-
stribuiva a manciate, senza contarle. Suor Giovanna, che ne
conosceva il numero, gli si avvicinava, lo tirava per la manica
e gli sussurrava all’orecchio: «Due a testa: son contate!». Quel
giorno, quando alla fine il sacchetto era vuoto e tutti ne ave-
vano ricevute in abbondanza, suor Giovanna non poté fare a
meno di esclamare: «Non capisco. Le avevo contate, ne tocca-
vano due per ciascuno!». Don Giulio, che era già anziano e con
le spalle curve, si girò lentamente e le disse sorridendo: «Poca
fede, suor Giovanna!».

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Se si dona con generosità, la matematica terrestre in base alla


quale due più due è uguale a quattro, non vale più: vale quella
celeste, in cui due più due fa quello che vuole il Signore. Sono
due scienze diverse, la prima ce l’hanno insegnata sui banchi
della scuola, la seconda l’abbiamo appresa dal vangelo con i mi-
racoli della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Un giorno agli
apostoli che, come suor Giovanna, in matematica celeste non
erano bravi, Gesù, dopo avergliela spiegata ancora una volta,
chiese loro: «Non comprendete ancora?» (Mc 8,21).
Quando Paolo, nella lettura di oggi, ci dice «Tenete presen-
te questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e
chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà», si riferisce
proprio alla differenza tra la matematica terrestre e quella cele-
ste. «Ciascuno – dice Paolo – dia secondo quanto ha deciso nel
suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi
dona con gioia». E ancora: «Colui che dà il seme al seminatore
e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra
semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia». Per uno
come me, che nella professione ha sempre dovuto applicare la
matematica terrestre, non è stato facile apprendere quella cele-
ste, ma fortunatamente Anna Maria mi ha aiutato a superare
questa difficoltà.

15 agosto – Assunzione della B. V. Maria

Maria, modello di educatrice


Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò
nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran
voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A
che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il
tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel
mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il
Signore le ha detto». Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio,
mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi

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tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me


l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la
sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo
braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato
i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli
affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo
servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri
padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Lc 1,41-55

Quante volte abbiamo meditato questa pagina del Magnifi-


cat, che costituisce la sorgente della nostra fede! L’Incarnazione
di Dio in Gesù di Nazaret, il vangelo, la chiesa e questa pre-
ghiera del mattino sono nati dal «Sì» di Maria che ha accettato
di essere strumento del matrimonio teologico fra cielo e terra,
dal quale è nato Gesù. Maria non si è limitata a essere madre
del Figlio di Dio, ma ha avuto un ruolo fondamentale nella
sua formazione e, conseguentemente, sulla formulazione del
vangelo e sulla dottrina della chiesa.
Ce ne rendiamo conto proprio leggendo il Magnificat, nel
quale, in embrione, troviamo tutti i principi fondanti del van-
gelo, che Maria ha certamente trasmesso a Gesù durante gli
anni della sua educazione nella casa di Nazaret. Vi troviamo
la fede in Dio, nella sua onnipotenza e nella sua misericordia;
vi troviamo il sovvertimento dei valori di ricchezza e povertà;
vi troviamo l’umiltà come presupposto all’accoglimento della
chiamata; vi troviamo il collegamento della futura chiesa alla
storia di Abramo: vi troviamo i semi della Provvidenza e della
giustizia sociale. Sono gli stessi princìpi che costituiranno la
base degli insegnamenti di Gesù.
Ma l’insegnamento fondamentale che Maria ha trasmesso a
Gesù è stata la completa disponibilità ad accettare il progetto
del Padre su di lui. Questi semi di verità, che in seguito Gesù
farà crescere nella preghiera e che costituiranno l’essenza del
vangelo, sono tutti già contenuti nel Magnificat. La trasmissio-
ne della fede e dei valori cristiani ai figli costituisce l’impegno
prioritario anche di noi genitori. Il progetto di vita dei figli, i
genitori non lo conoscono, ma possono aiutare i figli a ricono-
scerlo e a viverlo in modo cristiano.

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24 agosto – San Bartolomeo apostolo


La chiamata del Signore
Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui:
«Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaele gli domandò:
«Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse,
io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaele:
«Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù:
«Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai
cose più grandi di queste!». Gv 1,47-50

«Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea,


fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano
infatti pescatori. Gesù disse loro: “Venite dietro a me”» (Mc
1,16-20). «Passando, vide Levi [Matteo] seduto al banco delle
imposte, e gli disse: “Seguimi”» (Mc 2,14). Nei vangeli la chia-
mata è costituita da tre fasi distinte: Gesù passa, vede, chiama.
Di esse la fase più importante è la seconda, il vedere di Gesù;
il passare è un preambolo e la chiamata una conseguenza, allo
stesso modo in cui la luce del lampo è preceduta dalla prima
pioggia e seguita dal tuono.
La chiamata è sempre «inaspettata», ci raggiunge mentre
stiamo facendo qualcosa; ed è «radicale», possiamo solo rispon-
dere «Sì» lasciando tutto e seguendo il Signore, o «No» come il
giovane ricco, che se n’è andato via triste. Nel vangelo di oggi,
le fasi secondarie del «passare» e del «chiamare» avvengono tra-
mite Filippo, ma sono rese possibili dal fatto che Natanaele era
già stato «visto» da Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti
ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Questa di Natanaele
può essere considerata il prototipo della chiamata moderna:
oggigiorno Gesù non passa più di persona per le strade del
mondo, passa sempre Filippo, un fratello che ha già incontrato
il Signore. Filippo, però, passa quando la persona è già stata
vista dal Signore.
Anche a noi è successo così. La domenica precedente il Na-
tale del 1975, andammo alla parrocchia della Sacra Famiglia di
Saronno, per informarci sulla possibilità di iscrivere Gianmario
e Giannandrea all’asilo parrocchiale. Entrammo, girammo un
po’ per i corridoi, ma non c’era nessuno. Finalmente, dall’ulti-

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ma porta in fondo, udimmo provenire delle voci e notato un


po’ di luce. Bussammo, girammo la maniglia e mettemmo il
capo nello spiraglio della porta. «Venite fratelli», ci disse una
voce dall’interno.
Era Oliviero Gulot, che stava guidando un incontro di pre-
ghiera. «Scusate, abbiamo sbagliato stanza», rispondemmo noi.
«No, no, accomodatevi fratelli, non avete sbagliato stanza», ri-
prese Oliviero. «Perché, noi forse siamo fratelli?», ribattei io
un po’ piccato. «Certo – esclamò Oliviero – noi siamo fratelli
in Cristo». «Bene, fratello in Cristo, abbiamo sbagliato stan-
za». Siccome quel botta e risposta era durato alcuni istanti, per
togliere d’imbarazzo le altre persone presenti, decidemmo di
sederci nelle ultime due sedie rimaste libere, in fondo alla sala.
Quel giorno, nel gruppo di preghiera di Saronno, cominciò il
nostro cammino spirituale, che sta andando avanti negli anni,
come un amico fedele, un vero compagno di vita. Grazie Oli-
viero!

29 agosto – Martirio di San Giovanni Battista


Il volto del missionario
«Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti
ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura
davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una
colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di
Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno
guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti». Oracolo
del Signore. Ger 1,17-19

Geremia è stato il profeta più scomodo che Israele abbia


avuto, per i suoi continui richiami alla fedeltà al Signore, ri-
volti ai re, ai sacerdoti e al popolo di Israele. Nel brano di og-
gi il Signore gli conferisce il mandato, il potere e il carattere
per sostenere, in suo nome, la propria battaglia missionaria.
Ogni fedele è un soldato, al quale il Signore consegna le armi
per attaccare le resistenze e le convinzioni del mondo, e quelle
per difendersi dai conseguenti contrattacchi delle persecuzioni.

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Nessuno, infatti, è disponibile a farsi scardinare, senza reagire,


le proprie convinzioni e i propri equilibri esistenziali, spesso
raggiunti con dure battaglie personali. Pertanto le parole che
il Signore oggi rivolge a Geremia sono da intendersi rivolte a
ogni missionario: «Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati
e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò... Ed ecco, oggi io faccio di
te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro
di bronzo».
Non ci è mai successo, del resto, di incontrare missionari
con mani signorili e con facce da impiegati di scrivania; sono
sempre pieni di rughe, che si sono formate nelle tante battaglie
sostenute sotto il soffiare dei venti, sia atmosferici che sociali.
Mi ricordo di padre Daniele, che, il giorno prima di partire per
l’Africa, era venuto a cena a casa nostra. Aveva la bella faccia
pulita e sorridente dello studente appena uscito dal seminario,
che finalmente sta per realizzare il sogno di partire per la mis-
sione. L’ho incontrato tre anni dopo in Kenya, nella bidonville
di Korogocho dove ha sostituito padre Alex Zanotelli, e quasi
non lo riconoscevo. Si era scurito e aveva la faccia scavata da
molte rughe, come quelle che il vento forma nella sabbia del
deserto, ma aveva lo stesso sorriso e gli occhi ridenti di colui
che ha dato un senso vero ai propri giorni.

8 settembre – Natività della B. V. Maria


La natività di Maria
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo
generò Isacco, Isacco generò Giacobbe… Salmon generò Booz da Racab,
Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, Salomone
generò Roboamo… Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della
deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia
generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele… Azor generò Sadoc, Sadoc
generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò
Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di
Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. Mt 1,1-16

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Oggi è il giorno nel quale viene celebrata la natività di Maria


di Nazaret, la Madonna, la madre di Gesù. Maria è la regina
della chiesa, colei che, per sua stessa ammissione durante l’ap-
parizione di Lourdes a Bernadette, è nata senza peccato origi-
nale: «Io sono l’Immacolata Concezione». Verità che è divenu-
ta dogma della chiesa. A Maria nascente la città di Milano ha
dedicato il duomo. Essa è, fin dalla nascita, la promessa sposa
dello Spirito Santo, colei che rappresenta tutta l’umanità nel
suo matrimonio con Dio. È la donna nella quale si compie la
«giustizia biblica» che, da parte di Dio, è la fedeltà alle sue pro-
messe, e per l’umanità è la fedeltà all’Alleanza.
Questa verità assoluta viene descritta mirabilmente dall’in-
vocazione del profeta Isaia: «Stillate, cieli, dall’alto e le nubi
facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la sal-
vezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato
tutto questo» (Is 45,8). In questa giustizia divina sono radicate
tutte le nostre storie personali che, come ha detto il sacerdote
stamattina durante la celebrazione della messa al santuario di
Saronno, possono essere anche delle storielle, ma sono bene-
dette dal Signore e fanno parte del grande fiume della storia
della salvezza. Sono piccole storie come quelle delle persone
che l’odierno brano di Matteo ci elenca, descrivendoci la sor-
gente e il primo tratto della storia della salvezza che le raccoglie
e che, alla foce, si riaprono a delta ed entrano nel grande mare
del mistero di Dio. Di questo mistero, che ha dimensioni co-
smiche, anche noi con la nostra piccola preghiera del mattino
ne celebriamo l’evento, perché ogni famiglia che al mattino si
alzi e si metta a pregare, è inserita stabilmente in questa storia.

14 settembre – Esaltazione della Santa Croce


I sentimenti di Cristo Gesù
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo
nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma
svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli
uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi

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obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua
proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. Fil 2,5-11

Quest’inno di Paolo al mistero di Gesù Cristo, Figlio di Dio,


è uno dei testi più sublimi delle Sacre Scritture. Esso inizia con
una esortazione: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo
Gesù»; poi, di questi sentimenti, ne descrive tre. Raccogliamo-
li, stamattina, per capire che cosa Paolo intenda, e cerchiamo di
farli nostri. Il primo: non considerare nostro quello che siamo e
quello che abbiamo come se fosse frutto dei nostri meriti, per-
ché Gesù Cristo «non ritenne un privilegio l’essere come Dio».
Il secondo: la capacità di spogliarsi del proprio egoismo, «assu-
mendo una condizione di servo» del prossimo. Il terzo: umi-
liarsi facendosi ubbidiente al progetto di Dio «fino alla morte e
a una morte di croce». Sono tre esortazioni che definiscono un
programma di vita e, vissute in modo radicale, alla fine hanno
per premio una stima grande da parte di tutti: nei cieli da parte
di Dio e in terra da parte degli uomini, anche dopo la morte.
È il cammino che hanno percorso i santi: Paolo, Pietro,
Madre Teresa di Calcutta, papa Giovanni Paolo II, il dottor
Giuseppe Moscati, padre Arturo e tanti, tanti altri che noi non
conosciamo, ma che risplendono davanti al Signore come stelle
nel cielo. Come è possibile avere questi sentimenti che furono
in Cristo Gesù, se noi non li abbiamo e forse nemmeno ci
toccano? Pensiamo che l’unica strada da percorrere sia questa:
riconoscerne la grandezza; non scoraggiarsi se non li abbiamo,
ma assumerli come meta da raggiungere; cominciare a rivestir-
si – come dice Paolo in un’altra lettera – di questi sentimenti,
anche se all’inizio hanno una taglia molto diversa dalla nostra;
pregare perché il Signore ce li faccia vivere. È un programma
meraviglioso, perseguibile solo nella preghiera. Nella preghie-
ra noi possiamo dire al Signore: «Signore, io sono una povera
persona: vorrei essere grande, ma sono piccolo; vorrei essere
buono, ma non lo sono; vorrei essere generoso, ma mi ricono-
sco meschino; vorrei avere la fede che non ho. Aiutami tu!». Di
fronte a una preghiera come questa, non possiamo nemmeno
immaginare di cosa sia capace il Signore.

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15 settembre – B. V. Maria Addolorata


L’adorazione della croce
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano
di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è
qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di
contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché
siano svelati i pensieri di molti cuori». Lc 2,33-35
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre,
Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo
la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre:
«Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da
quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Gv 19,25-27

Oggi la chiesa ci propone, in alternativa, la meditazione di


due brani del vangelo di Luca e di Giovanni. Noi li riportiamo
entrambi, perché si illuminano a vicenda, come due fari nella
notte: la spada che trafiggerà l’anima di Maria, profetizzata dal
vecchio Simeone nella prima lettura, sarà la sua esperienza sot-
to la croce, dove Gesù offrirà la vita per salvare il mondo, narra-
ta nella seconda. Non sono in molti, nel momento della croce,
a partecipare con il proprio dolore alla morte di Gesù, e alla
redenzione del mondo: la Madonna, Maria Maddalena, Maria
di Cleopa, l’apostolo Giovanni, il buon ladrone, il centurione
romano. A questo gruppo vogliamo unirci anche noi, dedican-
do un tempo all’adorazione della croce, lasciando che questa ci
parli e conservando nel nostro cuore i messaggi che ci trasmette.
Cominciamo con il segno della croce, che accompagna il
Credo trinitario: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. L’adorazione della croce ci dona il privilegio di parteci-
pare alla redenzione del mondo, non di condividerla. Solo no-
stro Signore Gesù Cristo è il Redentore, noi siamo tutti libera-
ti, salvati e redenti dal nostro peccato. Noi non sappiamo quali
messaggi ci consegnerà, oggi, l’adorazione che faremo con lo
spirito di quel contadino che il santo Curato d’Ars vedeva ogni
sera tornare dal lavoro dei campi, posare gli attrezzi fuori dalla
chiesa, entrare e sostare a lungo, seduto in silenzio, di fronte
al Crocifisso. Il curato una sera gli chiese che cosa facesse, ed
egli, quasi stupito per la domanda, gli rispose: «Sto davanti al

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mio Signore. Io guardo lui e lui guarda me e siamo felici tutti


e due». Gesù parla in maniera diversa a ogni uomo. Il centu-
rione romano è stato illuminato su chi fosse Gesù: «Davvero
quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). San Paolo è stato
illuminato dell’importanza della croce nella storia della salvez-
za: «Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non
Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1Cor 2,2). All’Abbé Pierre,
l’uomo che nel dopoguerra ha ridato dignità ai derelitti e ai
barboni dei bassifondi di Parigi, Gesù in croce ha detto: «Io ho
i piedi e le mani inchiodate, vai tu e fai tu al posto mio». A noi,
oggi, l’adorazione della croce che cosa dirà?

21 settembre – San Matteo apostolo ed evangelista


La chiamata di Matteo
Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al
banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre
sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se
ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei
dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme
ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che
hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol
dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a
chiamare i giusti, ma i peccatori». Mt 9,9-13

Fa sempre una certa impressione leggere la chiamata di Mat-


teo dal suo stesso Vangelo, perché non si può fare a meno di
pensare ai sentimenti che avrà rivissuto nel descrivere un even-
to che gli ha sconvolto completamente la vita. Matteo è tri-
stemente seduto al tavolo delle imposte, che incassa per conto
di Roma, trattenendone una buona parte per sé. È un lavoro
malfamato e disonesto, detestato dagli ebrei e disprezzato dai
romani. Gesù passa e lui vorrebbe scomparire dalla vergogna;
Gesù, però, si ferma e, invece di mostrare disprezzo, lo guar-
da e gli dice: «Seguimi». Matteo rimane fulminato da quella
proposta che proprio non si aspettava e, per quella scintilla di
grandezza che ciascuno porta dentro di sé, intuisce che in quel
momento gli viene offerta la possibilità di rilanciare la pro-

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pria esistenza in una dimensione nuova, dignitosa e forse anche


grande. Così si alza, lascia tutto e va da Gesù.
Prima di partire per la nuova avventura offre, però, un pran-
zo per salutare i suoi amici, pubblicani come lui, prostitute, la-
dri; e invita anche Gesù. Avrà pensato: «Se si è degnato di chia-
mare uno come me, certamente non si vergognerà a festeggiare
insieme a loro». Difatti Gesù accetta l’invito, e si ritrova a tavola
con quell’allegra compagnia, della quale si può immaginare la
conversazione. Certamente non avranno parlato delle tavole
della legge e nemmeno delle profezie di Isaia. I farisei si scan-
dalizzano e chiedono ai discepoli il motivo per cui il loro Mae-
stro facesse festa con quella gente. All’udire la domanda, Gesù
risponde di essere venuto per i peccatori, non per i giusti, come
il medico va dai malati, non dai sani. E aggiunge: «Misericordia
io voglio e non sacrifici». Una delle mie studentesse ha scelto
di impegnarsi in un’opera di sostegno per le ragazze dei paesi
dell’Est o nigeriane, che sono state costrette alla prostituzione.
Mentre esponeva la sua relazione su questa sua attività, le sono
venuti gli occhi lucidi ricordando le poesie che una di costoro
ha scritto per lei. Ascoltandola, anch’io mi sono commossa e me
la sono immaginata come una ninfea che ha le radici nel fango,
ma protende i suoi petali verso il cielo. Tutti cerchiamo la luce.

29 settembre – Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele


Le battaglie si vincono in cielo
Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano
contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse
e non vi fu più posto per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico,
colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata,
fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli. Allora udii una voce
potente nel cielo che diceva: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il
regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato precipitato
l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio
giorno e notte». Ap 12,7-10

Prima di meditare l’odierno brano dell’Apocalisse, leggiamo


l’antefatto: «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna

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vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una
corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il
travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un
enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna… Il drago si
pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da
divorare il bambino appena lo avesse partorito» (Ap 12,1-4).
In questa visione giovannea, la donna rappresenta simbo-
licamente sia la Madonna che ha fatto nascere Gesù Cristo in
questo mondo, sia la chiesa che ha ricevuto il mandato di semi-
narlo e farlo crescere nel cuore degli uomini. L’enorme drago
che si pone davanti alla donna è il simbolo di Satana che, dopo
aver fatto di tutto per impedirne la nascita a Betlemme, com-
batte a ché il Signore non nasca nel cuore dell’uomo. La situa-
zione della donna incinta, simbolo della massima debolezza,
di fronte al grande drago rosso, sembrerebbe tragica. Anche ai
giorni nostri, se guardiamo gli eventi della terra, parrebbe che il
demonio avesse spesso il sopravvento: ingiustizie, guerre, odio,
persecuzioni, terremoti, alluvioni, devastazioni. Però non è così,
perché il brano di oggi annuncia che le battaglie si combattono
in terra, ma si vincono in cielo. È un incoraggiante messaggio
di salvezza: «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i
suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva
insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto
per loro in cielo». In questa rivelazione è radicata la speranza
cristiana di poter resistere alle tentazioni qui sulla terra e di
poter essere accolti dalla misericordia del Signore nell’eternità.

4 ottobre – San Francesco d’Assisi


I santi rinnovano la chiesa
Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore
nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso,
come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non
circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa
norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. D’ora innanzi
nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. La
grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli.
Amen. Gal 6,14-18

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Oggi la chiesa celebra Francesco d’Assisi, un santo che ha


vissuto il vangelo in un modo così radicale e completo, da es-
sere ritenuto la persona che si è avvicinata più di ogni altra al
modello di Gesù Cristo. La prima lettura di oggi è tratta dalla
Lettera di san Paolo ai Galati. Paolo è certamente il più grande
evangelizzatore della chiesa, un santo che ha speso completa-
mente la sua vita per il Signore. Paolo e Francesco, che oggi
accomuniamo nella nostra meditazione, sono due giganti della
storia della salvezza, due santi insigniti con il dono delle stig-
mate, che sono i segni delle sofferenze subite a motivo della lo-
ro fedeltà al vangelo. I galati, nel brano odierno, avevano posto
a Paolo dei problemi, come si suol dire, di lana caprina, come
il quesito se fosse necessario essere circoncisi per poter essere
seguaci di Gesù Cristo. Paolo, che a certe domande (anche non
sollevate dalla comunità dei galati) ha dovuto rispondere abba-
stanza spesso, oggi lo fa con una frase che forse avrebbe dovuto
usare più di frequente: «D’ora innanzi nessuno mi procuri fa-
stidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo».
Succede spesso che il vangelo venga inteso come una serie di
regole da seguire, di pratiche da espletare o di cose da fare o non
fare. Tutte cose giuste e sante, ma quello che veramente conta,
dice Paolo, è essere una «nuova creatura». È sufficiente una sola
creatura nuova in Cristo per rinnovare tutta la chiesa. È ciò che
è stato Francesco d’Assisi per la chiesa del suo periodo storico,
e lo è anche per quella di oggi. Una goccia di santità santifica
tutto un ambiente per lungo tempo. È successo con il non-
no Mario nella sua famiglia e con la nonna Betta nella nostra,
quando, negli ultimi tempi, non si alzava più da letto e passava
tutta la sua giornata in preghiera: tutta la casa ne era benedetta.

18 ottobre – San Luca evangelista


Vita di missione
Dema mi ha abbandonato… Crescente è andato in Galazia, Tito in
Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi con te Marco e portalo… Ho
inviato Tìchico a Èfeso… Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti
danni… Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito;

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tutti mi hanno abbandonato… Il Signore però mi è stato vicino e mi ha


dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo
e tutte le genti lo ascoltassero… 2Tm 4,10-17
«Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate
borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la
strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”…
Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché
chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa
all’altra». Lc 10,3-7
Quella del missionario è una vita ricca di preghiera e di rap-
porti umani. Nelle letture di oggi risalta più il secondo aspet-
to, ma in filigrana si avverte che sono i momenti trascorsi in
preghiera a guidare i passi, i pensieri, i sentimenti, le parole e
le azioni di chi spende la vita per la diffusione del vangelo. Il
brano odierno stabilisce alcune regole che costituiscono il de-
calogo della missione. Definisce il modo essenziale di andare e
di vestire: «non portate borsa, né sacca, né sandali»; ed esorta a
non essere dispersivi: «non fermatevi a salutare nessuno lungo
la strada». Parla dell’ospitalità e del cibo da accettare con gioia
e insegna il modo di salutare quando si entra in una casa: «Pace
a questa casa!». Raccomanda alla gratitudine per ciò che viene
donato: «mangiando e bevendo di quello che hanno», e infine
parla dei rapporti profondi che devono essere allacciati con le
persone: «Non passate da una casa all’altra».
La Lettera di Paolo a Timoteo è, invece, uno spaccato che
mostra come il viaggiare del missionario sia sempre finalizzato
alla missione: «Dema mi ha abbandonato Crescente è andato
in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi con
te Marco e portalo... Ho inviato Tìchico a Èfeso»; e mostra
come la persecuzione sia sempre presente: «Alessandro, il fab-
bro, mi ha procurato molti danni». Riflettendo sulle letture
di oggi, dobbiamo prendere atto che anche il nostro vivere e
il nostro viaggiare sono stati pianificati dal Signore per indi-
rizzarci secondo il suo progetto. La Lettera di Paolo mostra,
infine, come il missionario sia veramente forte quando è uma-
namente debole: «tutti mi hanno abbandonato. Il Signore però
mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare
a compimento l’annuncio del Vangelo». È lo Spirito Santo che
dirige la missione.

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28 ottobre – Santi Simone e Giuda apostoli


La gioia della testimonianza
Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini
dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e
dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta
la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in
lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per
mezzo dello Spirito. Ef 2,19-22

Quando, alla fine dei tempi, saranno aperti i libri della vita e
della storia, voi – scriveva Paolo ai fratelli di Tessalonica, che si
erano convertiti in seguito alla sua predicazione – siete la nostra
corona: «Infatti chi, se non proprio voi, è la nostra speranza, la
nostra gioia e la corona di cui vantarci davanti al Signore nostro
Gesù, nel momento della sua venuta?» (1Ts 2,19). «Voi – scrive
oggi Paolo ai fratelli di Efeso – non siete più stranieri né ospiti,
ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio [nel regno dei
cieli], edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti,
avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù».
La gioia di Paolo, quando scrive alle comunità da lui fon-
date su tutto il bacino del Mediterraneo, sarà la nostra stessa
gioia, se anche una sola persona sarà giunta alla fede in seguito
alla nostra testimonianza. Non esiste felicità più grande. Ab-
biamo il nostro peccato, contro il quale ogni giorno dobbiamo
combattere e che ci porteremo fino alla fine, ma quella persona
costituirà la nostra corona e il motivo per il quale, con un colpo
di spugna, tutti i nostri debiti saranno rimessi e noi ci potremo
sedere a tavola con i santi nel banchetto celeste. Ci siederemo,
mangeremo, faremo festa e, alla fine dei tempi, il Signore si
alzerà, verranno stappate le bottiglie di champagne e brindere-
mo insieme a lui alla felice conclusione della storia del mondo.
Tuttavia non è per partecipare a quel pranzo che noi, oggi,
annunciamo il vangelo: è perché non possiamo farne a meno, è
per la gioia nostra, che è solo una piccola caparra di quella che
proveremo durante il banchetto celeste.
Abbiamo capito che oggi dovevamo meditare questo argo-
mento quando, all’inizio della preghiera, abbiamo erronea-
mente aperto la Bibbia al capitolo 2 della Prima lettera ai Tes-

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salonicesi, anziché a quella agli Efesini, e abbiamo incontrato


la frase riportata all’inizio: «Infatti chi, se non proprio voi, è la
nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui vantarci da-
vanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta?»
(1Ts 2,19). Ogni tanto ci succede.

1 novembre – Tutti i Santi


I santi e le beatitudini
Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono
a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i
poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel
pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità
la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno
saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri
di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno
chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi
è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno
e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
 Mt 5,1-12a

I santi, dei quali oggi celebriamo la comunione, sono coloro


che hanno già concluso la loro esistenza nel tempo e ora vivono
nella beatitudine del paradiso. La vita terrena è come una corsa
a cronometro: c’è chi parte prima e chi dopo, ma arriviamo
tutti allo stesso traguardo. A un certo punto la corsa finisce,
e con essa finiscono la fede e la speranza. Non finirà, però, la
carità, che, nella visione di Dio, si sublima passando dalla vita
terrena a quella celeste. In questa futura dimensione della cer-
tezza e della carità, alle quali siamo destinati, vivono già i nostri
cari che ci hanno lasciato. Dice san Paolo: «La carità non avrà
mai fine... Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora co-
noscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1Cor
13,8-12).
Mentre siamo impegnati in questa nostra corsa nel tempo,
Paolo ci insegna ad affinare la nostra carità per vivere già da

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ora un anticipo della gioia celeste: «La carità è magnanima,


benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia
d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interes-
se, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode
dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto cre-
de, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,4-7).
Tante volte ci siamo chiesti come sia possibile incamminarci
sulla strada della carità descritta da san Paolo. È la stessa strada
delle beatitudini, delle quali parla il vangelo di oggi. Ricercan-
do queste ci incamminiamo verso la carità: «Beati i poveri in
spirito... Beati quelli che sono nel pianto... Beati i miti... Beati
quelli che hanno fame e sete della giustizia... Beati i miseri-
cordiosi... Beati i puri di cuore... Beati gli operatori di pace...
Beati i perseguitati per la giustizia... Beati voi quando vi insul-
teranno, vi perseguiteranno per causa mia». Penso proprio che
i nostri cari, che ora vivono nell’eternità, se ci potessero dare
un consiglio per vivere la carità, ci direbbero: «Vivete le beati-
tudini!».

2 novembre – Commemorazione dei Fedeli Defunti


La risurrezione finale
Giobbe prese a dire: «...Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero
in un libro, fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre
s’incidessero sulla roccia! Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si
ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la
mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno
e non un altro» Gb 19,1.23-27
«E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda
nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e
crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
 Gv 6,39-40

Questi due brani delle Scritture, il primo tratto dal libro di


Giobbe e il secondo dal Vangelo di Giovanni, sono uno più
consolante dell’altro: uno ci illumina su ciò che succederà alla
fine dei nostri giorni terreni, l’altro annuncia la nostra risurre-

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zione alla fine dei tempi. Non sappiamo quando avverranno,


ma avverranno. Alla fine della vita – dice Giobbe – quando si
sarà depositata tutta la polvere che avremo sollevato nei nostri
giorni terreni, noi vedremo Dio così come egli è, e quella visio-
ne costituirà l’essenza del paradiso per l’eternità.
Racconta una leggenda che, un giorno, un monaco di un
convento, pensando al paradiso come all’eterna visione di Dio,
avesse esclamato: «Chissà che noia guardare Dio faccia a faccia
per l’eternità». Mentre era assorto in questi pensieri, si alzò e
le gambe lo portarono in un boschetto circostante il convento,
dal quale proveniva il canto di un usignolo. Rimase ad ascol-
tarlo per un certo tempo e alla fine, quando ritornò al conven-
to, nessuno lo conosceva più e lui stesso non si ricordava di
nessuno dei monaci presenti. Andando a rovistare tra le carte
del passato, trovarono che quel monaco era vissuto quattro-
cento anni prima. «Ecco come ha fatto il Signore – esclamò il
monaco – a spiegarmi che cosa sia il paradiso. Se, ascoltando
il canto di un usignolo, sono trascorsi, senza che me ne accor-
gessi, quattrocento anni, come potrò annoiarmi della visione
di Dio per l’eternità?». Mentre questo succederà in paradiso,
nella dimensione del mondo – dice il Vangelo di Giovanni –
scorrerà il tempo, che, a un certo punto, finirà e ci sarà la pa-
rusia, il ritorno glorioso di Cristo, con la risurrezione finale
dei corpi. Noi non sappiamo come tutto questo accadrà, ma,
essendo risuscitato Gesù di Nazaret, anche il nostro corpo un
giorno risusciterà. E sarà festa grande perché al nostro corpo,
prima giovane e poi invecchiato negli anni, che ci ha permesso
di sollevare tutta quella polvere di cui parla Giobbe, abbiamo
voluto bene. Questo ci dicono le letture di oggi e questa è la
nostra certezza.

9 novembre – Dedicazione della Basilica Lateranense


La preghiera e la vita
Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi,
pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di

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cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a
terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori
di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del
Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo
zelo per la tua casa mi divorerà. Allora i Giudei presero la parola e gli
dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù:
«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero
allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu
in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
 Gv 2,13-21

Questo brano è di fondamentale importanza. Infatti, in mo-


do diverso, è riportato da tutti e quattro gli evangelisti, come
gli episodi della morte e risurrezione e della moltiplicazione
dei pani.
Gesù scaccia i venditori dal tempio, aggiungendo: «Portate
via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un
mercato!». E Marco specifica: «La mia casa sarà chiamata casa
di preghiera» (Mc 11,17). Poi, nella discussione con i giudei
Gesù afferma: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo
farò risorgere». E l’evangelista, in riferimento alla risurrezione
aggiunge: «Ma egli parlava del tempio del suo corpo», il che
significa che Gesù risorto è il tempio del nuovo culto, quindi
le preghiere e le offerte a Dio dovranno passare attraverso Ge-
sù, nostro Signore. Tutto ciò è confermato da Pietro: «Avvici-
nandovi a lui... quali pietre vive siete costruiti anche voi come
edificio spirituale... per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio,
mediante Gesù Cristo» (1Pt 2,4-5).
Pietro raccomanda, inoltre, che i sacrifici spirituali, cioè le
offerte, siano «graditi a Dio»: non siano ipocriti, ma coerenti
con le scelte di vita. Passando al concreto: non si può rubare
o non pagare le tasse e fare poi la carità ai poveri; onorare i
genitori a parole e abbandonarli nella vecchiaia. Non è gradito
a Dio presentare offerte al Signore e dopo praticare l’aborto,
licenziare senza alcun sussidio gli operai e fare l’elemosina in
chiesa.
Signore, ci rendiamo conto che la coerenza di vita è costan-
temente minacciata dalla nostra fragilità: illumina le nostre
menti perché sappiano discernere con chiarezza il bene dal ma-
le, e scalda i nostri cuori perché amiamo ciò che ci chiedi.

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30 novembre – Sant’Andrea apostolo


Evangelizzare è vivere
Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il
tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo… Dice
infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c’è
distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco
verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del
Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno
creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare?
Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo
annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono
belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!… Dunque, la
fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo…Rm 10,9-17
Gli esseri viventi, piante e animali, procreano altri esseri vi-
venti; la fontana fa scorrere l’acqua che le arriva; i corpi tra-
smettono il calore ricevuto; l’universo è un meraviglioso equi-
librio dinamico di astri che si mantengono in moto ordinato
gli uni gli altri; e gli uomini amano perché sono amati da Dio
e da altri uomini. C’è nella creazione un principio fondamen-
tale: non si può ritenere solo per sé, come proprietà esclusiva,
ciò che si è ricevuto da altri. Questo dinamismo naturale vale
ancora di più per la fede: «Chiunque invocherà il nome del
Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale
non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non
hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qual-
cuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono
stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di co-
loro che recano un lieto annuncio di bene!… Dunque, la fede
viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo».
Come gli esseri viventi non possono non trasmettere la vita
e la fontana non far scorrere l’acqua che le arriva, così è impos-
sibile ricevere il dono della fede e trattenerlo solo per noi. La
testimonianza del vangelo, prima di essere un mandato e un
dovere, è un bisogno irrefrenabile che prorompe dal didentro,
che si sposa con il bisogno e il diritto che tutti, «Giudei e Gre-
ci» hanno di conoscere Gesù Cristo, di addivenire alla fede,
ricevere dalla vita le risposte che attendono da sempre ed essere

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salvati. Evangelizzare vuol dire ricevere e trasmettere continua-


mente lo Spirito Santo e il messaggio del vangelo, come la fon-
tana riceve e trasmette l’acqua. Se così non fosse, nel mondo
scomparirebbero la vita, la fede, l’amore e la condivisione di ciò
che si è e che si ha e le fontane diventerebbero pozzanghere ma-
leodoranti. Annunciare il vangelo vuol dire vivere e trasmettere
la vita: una chiesa che non evangelizza non è chiesa e un cri-
stiano che non testimonia il vangelo è un cristiano tristemente
in pensione.

8 dicembre – Immacolata Concezione della B.  V. Maria


L’Immacolata Concezione
Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della
Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo
della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse
un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai
trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce
e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo;
il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre
sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse
all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose
l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo
ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà
chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua
vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei,
che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco
la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si
allontanò da lei. Lc 1,26-38

Vi sono alcuni episodi, nella storia dell’umanità, che paiono


sospesi nello spazio e nel tempo; forse perché ogni paese e ogni
secolo li sentono propri. Uno di questi è l’Annunciazione: è
stata rappresentata dagli artisti di ogni epoca, che hanno lascia-
to alla nostra ammirazione i loro capolavori dedicati all’angelo
Gabriele che porta il lieto annuncio a Maria.

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La nostra fede risulta illuminata dallo splendore dell’arte, e


allora lasciamoci guidare nella contemplazione del brano odier-
no da pittori come il Beato Angelico, poiché la scena descritta
nel vangelo di oggi non è da comprendere, ma da contemplare.
Davanti al fulgore del messaggero di Dio, Maria è dapprima
turbata, poi si domanda quale senso potessero avere le parole
appena udite, e infine chiede come possa realizzarsi un evento
ai suoi occhi impossibile. Sarà il suo atteggiamento di fiducia,
di accettazione e di abbandono alla volontà di Dio, che can-
cellerà ogni timore e permetterà il realizzarsi dell’irrealizzabile.
Ripetiamo allora, come Maria, di essere i servi del Signore, per-
ché nella nostra vita avvenga di noi quello che egli desidera: la
nostra vita, posta nelle sue mani, diventerà un capolavoro.

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SIGLE E INDICI
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Sigle bibliche
Ab Abacuc Gdc Giudici
Abd Abdia Gdt Giuditta
Ag Aggeo Is Isaia
Am Amos Lam Lamentazioni
Ap Apocalisse Lv Levitico
At Atti degli Apostoli Lc Luca
Bar Baruc 1Mac Maccabei (I Libro)
Ct Cantico dei Cantici 2Mac Maccabei (II Libro)
Col Colossesi Ml Malachia
1Cor Corinzi (I Lettera) Mc Marco
2Cor Corinzi (II Lettera) Mt Matteo
1Cr Cronache (I Libro) Mic Michea
2Cr Cronache (II Libro) Na Naum
Dn Daniele Ne Neemia
Dt Deuteronomio Nm Numeri
Eb Ebrei Os Osea
1Pt Pietro (I Lettera)
Ef Efesini
2Pt Pietro (II Lettera)
Esd Esdra
Pro Proverbi
Es Esodo
Qo Qoèlet (Ecclesiaste)
Est Ester
1Re Re (I Libro)
Ez Ezechiele 2Re Re (II Libro)
Fm Filemone Rm Romani
Fil Filippesi Rt Rut
Gal Galati Sal Salmi
Gn Genesi 1Sam Samuele (I Libro)
Ger Geremia 2Sam Samuele (II Libro)
Gc Giacomo Sap Sapienza
Gb Giobbe Sir Siracide (Ecclesiastico)
Gl Gioele Sof Sofonia
Gio Giona 1Ts Tessalonicesi (I Lettera)
Gs Giosuè 2Ts Tessalonicesi (II Lettera)
Gv Giovanni (Vangelo) 1Tm Timoteo (I Lettera)
1Gv Giovanni (I Lettera) 2Tm Timoteo (II Lettera)
2Gv Giovanni (II Lettera) Tt Tito
3Gv Giovanni (III Lettera) Tb Tobia
Gd Giuda Zc Zaccaria

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Indice dei brani biblici commentati


ANTICO Isaia 5,27-32 298
TESTAMENTO 35,1-10 24 5,33-37 256, 299
40,9-11 25 5,38-42 301
Genesi 40,25-31 28 5,43-48 95, 302
2,4b-9.15 249 52,7 543 6,1-6.16-18 82,
304
2,18-25 252 58,4-9 84
6,7-15 89, 306
18,1-14 317
Geremia 6,19-23 307
22,1-14 326 6,24-34 274
1,17-19 571
32,23-32 384 6,25-34 308
Daniele 7,1-5 311
Esodo
7,9-10.13-14 565 7,6.12-14 312
16,2-5.11-15 352 7,15-20 313
34,29-35 362 Aggeo 7,21.24-27 19
40,16-21.34-38 364 2,1-9 448 7,21-29 315
8,1-4 316
Giosuè Zaccaria 8,5-11 15
24,1-13 387 8,1-8 451 8,5-17 318
8,18-22 321
2Samuele 8,23-27 322
7,4-5.12-14.16 546 8,28-32 323
1Maccabei NUOVO 9,1-8 325
TESTAMENTO 9,9-13 292, 327, 576
1,10.41-43.54-56.62-64 9,14-17 328
521 Matteo 9,18-26 331
1,1-16 572 9,27-31 20
Giobbe 1,1-17 41 9,35-38 332
19,1.23-27 583 1,18-24 40, 42 9,36-10,1.7-8 21,
Salmi 2,1-12 70 300
2,13-15.19-23 53 10,1-7 333
22 529 2,13-18 57 10,7-10 334
24 48 3,1-12 22 10,16-20 336
99 437 3,13-17 79 10,17-22 54
105 373 4,1-11 87 10,27-31 309
125 442 4,12-17.23-25 71 10,27-33 337
136 456 4,18-23 227 10,34-40 339
137 92 5,1-12a 236, 582 10,40-42 319
144 509 5,1-12 293 11,11-15 29
5,13-16 245, 294 11,16-19 30
Siracide 5,17-19 108, 295 11,20-24 341
24,1-2.8-12 63 5,20-25 296 11,25-27 329, 342, 549
48,1.9-10 31 5,20-26 93 11,25-30 554

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11,28-30 26, 343 20,17-28 99 5,1-15 237


12,1-8 344 21,23-27 33 5,21-43 238
12,14-21 346 21,31-32 35 6,1-6 239
12,38-42 348 21,33-43.45-46 102 6,7-13 240
12,46-50 349 22,1-13 395, 470 6,17-28 243
13,1-9 351 22,15-21 480 6,30-34 244
13,10-17 353 22,34-40 396, 488 6,34-44 73
13,3-23 338 23,1-11 397 6,45-52 74
13,18-23 355 23,1-12 98 6,53-56 247
13,24-30 356 23,13-22 400 7,1-13 248
13,24-33 347 23,23-26 402 7,14-23 250
13,31-35 358 23,27-32 403 7,24-30 253
13,36-43 360 24,37-44 14 7,31-37 254
13,44-46 360 24,42-47 404 8,1-9 255
13,44-49 357 25,1-13 406, 566 8,11-13 257
13,47-53 363 25,14-29 519 8,14-21 259
14,1-12 366 25,14-30 407 8,22-26 260
14,13-21 368 25,34-46 88 8,27-31 261
14,22-33 378 26,14-19 134 8,34-9,1 262
14,22-36 369 26,14-27.66 131 9,2-9 264
15,1-2.10-14 370 28,8-15 142 9,16-29 266
15,21-28 372, 389
Marco 9,30-37 267
15,29-37 18
1,14-20 210 9,38-40 269
16,13-18 374
1,21-28 211 9,41-50 270
16,13-19 545, 557
16,21-23 408 1,29-31 212 10,1-12 272
16,24-28 375 1,40-45 214 10,13-16 273
17,1-9 96 2,3-12 215 10,17-27 275
17,10-13 31 2,14-17 216 10,28-31 277
17,14-20 377 2,18-22 219 10,32-45 278
17,24-27 379 2,23-28 220 10,46-52 279
18,12-14 25 3,1-6 221 11,12-22 280
18,1-5.10 380 3,7-12 222 11,27-33 282
18,15-20 381, 418 3,13-19 225 12,1-12 284
18,21-19.1 383 3,20-21 226 12,13-17 285
18,21-33 107 3,22-35 228 12,18-27 287
19,3-9 385 3,31-35 230 12,28-34 110, 288
19,13-15 388 4,1-3 231 12,35-37 289
19,16-22 390 4,21-25 232 12,38-44 290
19,23-29 392 4,26-29 233 16,9-15 148
20,1-16 393, 439 4,35-41 235 16,15-20 548

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Luca 9,7-9 445 15,2-10 505


1,5-25 44 9,18-22 447 15,11-13.17-32 103
1,26-38 45, 547, 587 9,23-25 83 16,1-8 506
1,39-45 46 9,43b-45 449 16,9-15 508
1,39-56 553 9,46-50 453 16,19-31 100
1,41-55 569 9,51-56 454 17,3-6 511
1,46-55 47 9,57-62 455 17,7-10 512
1,57-66.80 556 10,1-3 544 17,11-19 513
1,67-79 50 10,1-5 541 17,20-25 515
2,16-21 62 10,3-7 580 17,26-35 516
2,22-35 58 10,1-12 458 18,1-8 517
2,22-38 543 10,13-16 459 18,9-14 111
2,33-35 575 10,17-20 460 18,35-43 520
2,36-40 59 10,21-24 16 19,1-6 522
4,14-22 75 10,25-37 463 19,12-24 524
4,16-22 409 10,38-42 464 19,41-44 525
4,24-30 105 11,1-4 465 19,45-48 526
4,31-37 411 11,5-13 466 20,27-36 527
4,38-44 412 11,14-23 109 21,1-4 530
5,1-8 413 11,18-26 467 21,5-11 531
5,12-16 76 11,27-28 469 21,12-19 532
5,27-32 85 11,29-32 91, 471 21,20-28 534
5,33-38 414 11,37-41 472 21,29-33 535
6,1-5 415 11,42-46 475 21,34-36 536
6,6-11 419 11,47-54 476 24,13-33 145, 159
6,12-19 423 12,1-7 478 24,35-48 146
6,20-23 424 12,8-12 479
6,27-38 425 12,16-21 481 Giovanni
6,36-38 97 12,35-38 482 1,1-18 52, 60
6,39-42 426 12,39-47 484 1,19-28 65
6,47-49 427 12,49-53 485 1,29-34 66, 217
7,2-10 430 12,54-57 486 1,35-42 67
7,11-16 432 13,6-9 487 1,43-51 69
7,19-23 36 13,10-17 490 1,47-50 570
7,24-30 37 13,18-21 492 2,13-21 585
7,31-35 433 13,22-27 493 3,1-8 151
7,36-50 435 13,31-35 494 3,16-18 205
8,1-3 436 14,1-6 497 3,22-30 78
8,4-15 438 14,1.7-11 498 4,5-28 104
8,16-18 440 14,12-14 500 4,46-53 114
8,19-21 443 14,15-24 503 5,1-16 115
9,1-6 444 14,25-27 504 5,17-30 116

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5,31-47 118 19,27-29 559 11,33-36 398


5,33-36 38 20,1-8 141 14,7-9 428
6,16-21 158 20,2-8 56
6,22-29 160 20,11-18 144 1Corinzi
6,39-40 583 20,1-2.11-16 561 3,16-23 265
6,51-58 206 20,19-23 203 2Corinzi
6,52-58 165 20,24-29 558 4,7-15 563
6,60-69 166 20,26-31 150 9,6-10 567
7,1-2.10.25-30 119 21,1-12 148 11,1-6 305
7,40-51 120 21,15-19 201
8,1-11 123 21,20-25 202 Galati
8,21-30 124 6,14-18 578
8,31-42 126 Atti degli apostoli
8,51-59 127 1,3-11 194 Efesini
9,1-39 113 2,42-47 150 2,19-22 581
10,1-10 168 4,32-35 152 Filippesi
10,31-38 128 5,17-25 154 2,5-11 450, 574
11,17-44 122 5,27-32 155 4,6-9 461
11,19-27 365 5,34-39 156
11,45-46.53 129 6,1-5 176 Colossesi
12,1-8 132 7,54-8,1a 161 1,21-23 416
13,1-15 138 8,1b-8 163 1,24-2,1 420
13,16-20 173 8,26-39 164 2,6-14 421
13,21-31 133 9,3-6 540
14,1-6 174 11,4-18 169
1Tessalonicesi
14,6-14 551 11,19-26 170 1,2-5.8-12 401
14,7-11 175 2,7b-9.13 499
12,24-13,3 171
14,15-21 185 4,14-18 510
15,22-28 182
14,21-26 178 16,1-10 184 1Timoteo
14,27-31 179 16,11-15 186 2,1-8 431
15,1-7 180 17,22-32 189
15,1-8 562 18,1-4 190 2Timoteo
15,9-11 181 18,9-18 191 4,10-17 580
15,9-17 552 19,1-8 195
15,18-20 184 Ebrei
16,5-11 187 Romani 8,6-13 224
16,23b-28 193 1,16-22 474 13,1-6 242
17,1-11a 197 3,21-25a.28 283 Giacomo
17,11b-19 198 8,12-17 491 5,7-10 32
17,20-26 199 8,31b-39 496
18,1-18 139 10,9-17 586 Apocalisse
19,25-27 575 11,29-36 502 12,7-10 57

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Indice generale
Presentazione Genesi del libro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Tabella annuale delle celebrazioni mobili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Introduzione La pedagogia di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
TEMPO DI AVVENTO
I settimana di Avvento
Domenica La fine dei giorni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
Lunedì La fede del centurione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
Martedì Dio abita nell’uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
Mercoledì Nel deserto si con-divide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
Giovedì Convertirsi nei fatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
Venerdì I primi annunciatori del vangelo.. . . . . . . . . . . . . 20
Sabato La strategia di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
II settimana di Avvento
Domenica Vivere da convertiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
Lunedì I tempi messianici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
Martedì Dio e l’uomo nella Bibbia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
Mercoledì (1) La preghiera del cuore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
Mercoledì (2) Il Signore guida i suoi servi . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
Giovedì I privilegi del Regno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
Venerdì Il vangelo della gioia e della pace . . . . . . . . . . . . . 30
Sabato L’attuale battaglia sui valori . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
III settimana di Avvento
Domenica La fede è ricordo e attesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
Lunedì L’autorità e la libertà di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . 33
Martedì Salvati dalla misericordia del Signore . . . . . . . . . . 34
Mercoledì La forza della preghiera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
Giovedì Lo stile dell’apostolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
Venerdì La fede arde e risplende . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
IV settimana di Avvento
Domenica Giuseppe, padre di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
17 dicembre La storia della salvezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
18 dicembre Dio è un gran signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
19 dicembre Gli angeli e i bambini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
20 dicembre Il matrimonio tra cielo e terra . . . . . . . . . . . . . . . 45
21 dicembre L’aborto è un omicidio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
22 dicembre La preghiera del Magnificat . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
23 dicembre Richieste e ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
24 dicembre Il senso vero del Natale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

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TEMPO DI NATALE
25 dicembre Il Natale tra i barboni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
I dom. dopo Natale: Santa Famiglia  Ascolto e libertà . . . . . . . . 53
26 dicembre: Santo Stefano  Il martirio di santo Stefano . . . . . . 54
27 dicembre San Giovanni apostolo ed evangelista
Il mistero dell’amore di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
28 dicembre      Santi Innocenti martiri
L’eterna lotta tra bene e male . . . . . . . . . . . . . . . . 57
29 dicembre Lo Spirito soffia sulla chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
30 dicembre Al servizio del tempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
31 dicembre Gesù Cristo, luce vera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
  1 gennaio: Maria Madre di Dio  .La festa di Maria Santissima 62
II Domenica dopo Natale
La creazione, atto d’amore di Dio . . . . . . . . . . . . 63
  2 gennaio Lo spirito del missionario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
  3 gennaio Io non lo conoscevo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
  4 gennaio Giovanni il Battista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
  5 gennaio I primi discepoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
  6 gennaio L’Epifania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
  7 gennaio L’annuncio è: «Convertitevi!» . . . . . . . . . . . . . . . . 71
  8 gennaio I nostri pani e i nostri pesci . . . . . . . . . . . . . . . . . 72
  9 gennaio La vita è un miracolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74
10 gennaio Alzarsi e annunciare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
11 gennaio Il mistero del peccato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
12 gennaio La vera umiltà è nobiltà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
I dom. del Tempo Ord.: Battesimo del Signore . . . . La vita donata 79

TEMPO DI QUARESIMA
Mercoledì delle Ceneri :   Testimonianza, non ostentazione . . . . . 82
Giovedì dopo le Ceneri :  Perdere per vincere . . . . . . . . . . . . . . . . 83
Venerdì dopo le Ceneri :  Il digiuno sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
Sabato dopo le Ceneri :  Gesù è venuto per i peccatori . . . . . . . 85
I settimana di Quaresima
Domenica Il peccato e la grazia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
Lunedì La fede e le opere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88
Martedì Il Padre nostro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
Mercoledì Il segno di Giona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
Giovedì Il Signore ci ascolta sempre . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
Venerdì Il perdono, vera giustizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
Sabato Perdonare è convertirsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94

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II settimana di Quaresima
Domenica Alzatevi e non temete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
Lunedì La misericordia di Livia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
Martedì Il Signore è l’unico Maestro . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
Mercoledì La dinamica della salvezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
Giovedì Ricchezza e povertà, oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100
Venerdì Il piano di salvezza del Signore . . . . . . . . . . . . . . 101
Sabato Grandezza e mediocrità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
III settimana di Quaresima
Domenica L’incontro con il Signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
Lunedì La fede è sapienza e potenza . . . . . . . . . . . . . . . . 105
Martedì Il perdono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
Mercoledì La legge e la libertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
Giovedì Il mondo è una prigione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109
Venerdì Il Signore Dio tuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110
Sabato Il fariseo e il pubblicano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111
IV settimana di Quaresima
Domenica La luce della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
Lunedì La preghiera di intercessione . . . . . . . . . . . . . . . . 114
Martedì La carità è generosità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
Mercoledì Dio opera sempre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116
Giovedì Le testimonianze su Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
Venerdì L’umanità di Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
Sabato Gesù è il Signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120
V settimana di Quaresima
Domenica La nostra risurrezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121
Lunedì Il perdono guarisce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
Martedì I tempi forti della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124
Mercoledì La verità ci rende liberi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
Giovedì La morte è solo apparenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127
Venerdì Voi sarete dèi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128
Sabato Uscire dal bunker . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129
Settimana santa
Domenica delle Palme :  Vivere da risorti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130
Lunedì La cena di Betania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132
Martedì La notte della storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
Mercoledì Pasqua, tempo di conversione . . . . . . . . . . . . . . . . 134

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Triduo pasquale e tempo di pasqua


Giovedì Santo :  La figura del vero capo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138
Venerdì Santo :  La grandezza di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139
Sabato Santo :  Il sabato santo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140
Domenica di Pasqua :   Pasqua di risurrezione . . . . . . . . . . . . . . . 141
Ottava di Pasqua
Lunedì dell’Angelo :  Le apparizioni di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . 142
Martedì Contemplare la risurrezione . . . . . . . . . . . . . . . . . 143
Mercoledì Gesù vive nella chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145
Giovedì Testimoni della risurrezione . . . . . . . . . . . . . . . . . 146
Venerdì L’apparizione sul lago . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147
Sabato La missione è qui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148
II settimana di Pasqua
Domenica La fede, la vita, la chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150
Lunedì Rinascere nello Spirito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151
Martedì Meritocrazia e condivisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152
Mercoledì La normalità del miracolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154
Giovedì Chiedere lo Spirito Santo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155
Venerdì Non si può combattere contro Dio . . . . . . . . . . . 156
Sabato Navigare sul lago, oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157
III settimana di Pasqua
Domenica I discepoli di Emmaus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159
Lunedì Credere in Gesù è la nostra opera . . . . . . . . . . . . 160
Martedì La potenza del perdono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161
Mercoledì Evangelizzazione ed ecumenismo . . . . . . . . . . . . . 162
Giovedì Filippo battezza l’eunuco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164
Venerdì La teologia sfuggita a Feuerbach . . . . . . . . . . . . . . 165
Sabato Non c’è un altro Signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166
IV settimana di Pasqua
Domenica Il Signore ci porta fuori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167
Lunedì Il vangelo è per tutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169
Martedì I primi cristiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170
Mercoledì Il discernimento e lo Spirito Santo . . . . . . . . . . . 171
Giovedì La presunzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172
Venerdì Il nostro posto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174
Sabato Signore, mostraci il Padre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
V settimana di Pasqua
Domenica L’elezione dei diaconi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176
Lunedì I comandamenti e l’amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177

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Martedì La vita nella pace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179


Mercoledì La vite e i tralci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180
Giovedì Rimanete nel mio amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181
Venerdì I principi e i valori cristiani . . . . . . . . . . . . . . . . . 182
Sabato I motivi della persecuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184
VI settimana di Pasqua
Domenica Pentecoste, battesimo e cresima . . . . . . . . . . . . . . 185
Lunedì La comunione nella fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186
Martedì Lo Spirito Santo e la chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . 187
Mercoledì L’annuncio di Paolo all’Aeropago . . . . . . . . . . . . . 189
Giovedì L’attività dell’apostolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 190
Venerdì La sua parola creatrice siamo noi . . . . . . . . . . . . . 191
Sabato Chiedere e ottenere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193
VII settimana di Pasqua
Domenica Ascensione di Gesù al cielo . . . . . . . . . . . . . . . . . 194
Lunedì Il battesimo nello Spirito Santo . . . . . . . . . . . . . . 195
Martedì Preghiera sacerdotale di Gesù (I) . . . . . . . . . . . . . 197
Mercoledì Preghiera sacerdotale di Gesù (II) . . . . . . . . . . . . . 198
Giovedì Preghiera sacerdotale di Gesù (III) . . . . . . . . . . . . 199
Venerdì I martiri costruiscono la chiesa . . . . . . . . . . . . . . . 201
Sabato Il momento della diaspora . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202
Feste del Signore durante l’anno
Pentecoste Pace a voi e pace a tutti! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203
Santissima Trinità :  Maria ci ascolta sempre . . . . . . . . . . . . . . . 205
SS. Corpo e Sangue di Cristo :  L’eucaristia, fonte di vita . . . . . . . 206

TEMPO ORDINARIO
I settimana
Lunedì La vita nuova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210
Martedì Una parola libera e una vita libera . . . . . . . . . . . . 211
Mercoledì I nonni in famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212
Giovedì Gli emarginati ci salveranno . . . . . . . . . . . . . . . . . 214
Venerdì Dio ci salva di persona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215
Sabato Gesù e il perbenismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 216
II settimana
Domenica Gesù di Nazaret, l’agnello di Dio . . . . . . . . . . . . . 217
Lunedì La festa messianica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218
Martedì Il sabato è per l’uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 220
Mercoledì La maledizione della legge . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221

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Giovedì È l’ora dei poveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222


Venerdì (d) La conversione degli ebrei . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223
Venerdì (p) Il primo vagito della chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . 225
Sabato Perché meditiamo il vangelo . . . . . . . . . . . . . . . . . 226
III settimana
Domenica Una nuova evangelizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 227
Lunedì Combattere le tentazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 228
Martedì La vera famiglia di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229
Mercoledì L’ascolto globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231
Giovedì Il risveglio della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232
Venerdì La parabola della pazienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233
Sabato Il valore personale e sociale della fede . . . . . . . . . 234
IV settimana
Domenica Il povero in spirito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235
Lunedì Il fulcro della preghiera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237
Martedì I tre livelli della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 238
Mercoledì Nessuno è profeta in patria . . . . . . . . . . . . . . . . . 239
Giovedì L’annuncio, strada facendo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 240
Venerdì (d) L’accoglienza e gli angeli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241
Venerdì (p) Il destino del testimone e della chiesa . . . . . . . . . 243
Sabato Il bisogno del deserto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 244
V settimana
Domenica Essere sale e luce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245
Lunedì Toccare Gesù e il mistero della vita . . . . . . . . . . . 246
Martedì Accoglienza dei clandestini e legalità . . . . . . . . . . 248
Mercoledì (d) Creazione dell’uomo ed ecologia . . . . . . . . . . . . . 249
Mercoledì (p) Diventiamo ciò che contempliamo . . . . . . . . . . . . 250
Giovedì (d) L’uomo e la donna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251
Giovedì (p) La fede scaccia i demoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253
Venerdì La guarigione del sordomuto . . . . . . . . . . . . . . . . 254
Sabato L’eucaristia, nostra speranza . . . . . . . . . . . . . . . . . 255
VI settimana
Domenica La comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 256
Lunedì Il segno dal cielo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257
Martedì Il segno del pane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 258
Mercoledì Perché comprendiamo lentamente . . . . . . . . . . . . 260
Giovedì Confessione di Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261
Venerdì L’esodo verso l’eternità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262
Sabato La Trasfigurazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263

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VII settimana
Domenica L’uomo è tempio di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 265
Lunedì L’esorcismo quotidiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 266
Martedì L’idea fissa della carriera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 267
Mercoledì La centralità di Cristo nella chiesa . . . . . . . . . . . . 268
Giovedì Esigenze della sequela . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 270
Venerdì Il matrimonio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271
Sabato Gesù e i bambini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273
VIII settimana
Domenica La vera ricchezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274
Lunedì Il giovane ricco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 275
Martedì La nuova economia del vangelo . . . . . . . . . . . . . . 276
Mercoledì Il servizio e la missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 278
Giovedì Il cieco di Gerico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279
Venerdì Il Signore chiede frutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 280
Sabato Il compromesso tra servizio e privilegi . . . . . . . . . 281
IX settimana
Domenica L’amore supera la legge . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283
Lunedì La fedeltà di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 284
Martedì La chiesa e lo stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 285
Mercoledì La risurrezione dei morti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 286
Giovedì Gesù e lo scriba . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 288
Venerdì Il vero scandalo della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289
Sabato Giocarci nella fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 290
X settimana
Domenica Misericordia e non sacrificio . . . . . . . . . . . . . . . . . 291
Lunedì Le beatitudini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 293
Martedì La preghiera familiare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 294
Mercoledì Pregare è libertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295
Giovedì La vita nel regno dei cieli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296
Venerdì L’adulterio e il divorzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 297
Sabato Parlare per immagini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299
XI settimana
Domenica La gratuità del Regno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300
Lunedì La forza della mitezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 301
Martedì Amare i propri nemici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 302
Mercoledì L’apparenza non inganna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303
Giovedì (d) La gelosia, segno di immaturità . . . . . . . . . . . . . . 304
Giovedì (p) Meditiamo il Padre nostro . . . . . . . . . . . . . . . . . . 306
Venerdì Una riflessione necessaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 307
Sabato La fede nella Provvidenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 308

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XII settimana
Domenica Non abbiate paura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 309
Lunedì Perché non dobbiamo giudicare . . . . . . . . . . . . . . 311
Martedì Dio, noi e il prossimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 312
Mercoledì Le parole e le opere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313
Giovedì Non basta dire: Signore, Signore! . . . . . . . . . . . . . 314
Venerdì Ringiovanire la fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 316
Sabato (d) La fedeltà del Signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 317
Sabato (p) I centurioni e il nostro autista . . . . . . . . . . . . . . . 318
XIII settimana
Domenica Accogliere il Signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 319
Lunedì Che cosa vuoi Signore? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 321
Martedì La tempesta sedata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 322
Mercoledì La vita alla luce del sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323
Giovedì (d) Il miracolo di ogni riconciliazione . . . . . . . . . . . . 324
Giovedì (p) Sul monte il Signore si fa vedere . . . . . . . . . . . . . 326
Venerdì Inno alla convivialità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 327
Sabato Vino nuovo in otri nuovi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 328
XIV settimana
Domenica L’intelligenza dei semplici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 329
Lunedì La fede di Giairo e della emorroissa . . . . . . . . . . 330
Martedì La messe è molta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332
Mercoledì L’ascolto del Signore e la missione . . . . . . . . . . . . 333
Giovedì Il vangelo vissuto alla lettera . . . . . . . . . . . . . . . . 334
Venerdì Il momento della testimonianza . . . . . . . . . . . . . . 335
Sabato La continua creazione di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . 337
XV settimana
Domenica Crescere ascoltando la Parola . . . . . . . . . . . . . . . . 338
Lunedì La pace familiare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 339
Martedì Il nostro paganesimo di ritorno . . . . . . . . . . . . . . 340
Mercoledì Il vangelo rivelato ai piccoli . . . . . . . . . . . . . . . . . 342
Giovedì Tempo di vacanza e di riposo . . . . . . . . . . . . . . . 343
Venerdì Gesù Cristo, il liberatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 344
Sabato È Cristo, in noi, ad amare . . . . . . . . . . . . . . . . . . 345
XVI settimana
Domenica Pazienza, amore e perdono . . . . . . . . . . . . . . . . . . 347
Lunedì Testimoni della gioia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 348
Martedì Attenzione al buonsenso! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 349
Mercoledì (d) La saggezza del contadino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 350
Mercoledì (p) Mosè, modello per i genitori . . . . . . . . . . . . . . . . 352

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Giovedì L’ascolto della Parola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 353


Venerdì La parabola del seminatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 354
Sabato Il grano buono e la zizzania . . . . . . . . . . . . . . . . . 356
XVII settimana
Domenica Le parabole del Regno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 357
Lunedì La crescita spirituale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 358
Martedì L’amore trasforma la zizzania . . . . . . . . . . . . . . . . 359
Mercoledì (d) Il mistero nascosto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360
Mercoledì (p) La preghiera ci trasforma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 361
Giovedì (d) Il nostro esame finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363
Giovedì (p) L’esodo, vicenda di ogni uomo . . . . . . . . . . . . . . . 364
Venerdì La fede di Marta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 365
Sabato Quando la morte è un trionfo . . . . . . . . . . . . . . . 366
XVIII settimana
Domenica La generosità del Signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 367
Lunedì La logica del miracolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 369
Martedì La comunicazione buona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 370
Mercoledì (d) Condividere il pane eucaristico . . . . . . . . . . . . . . . 371
Mercoledì (p) Facciamo memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373
Giovedì Il problema sociale, oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374
Venerdì La croce che conosce il trionfo . . . . . . . . . . . . . . 375
Sabato La guarigione dell’epilettico . . . . . . . . . . . . . . . . . 377
XIX settimana
Domenica La fede, la calma e la pace . . . . . . . . . . . . . . . . . . 378
Lunedì Il potere d’esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 379
Martedì Autorità e servizio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 380
Mercoledì Il decalogo della vita comunitaria . . . . . . . . . . . . . 381
Giovedì (d) Dal perdono all’amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 382
Giovedì (p) La lotta di Giacobbe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384
Venerdì (d) Indissolubilità del matrimonio . . . . . . . . . . . . . . . 385
Venerdì (p) L’eterna staffetta della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . 386
Sabato Il Regno è dei piccoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 388
XX settimana
Domenica La preghiera della Cananea . . . . . . . . . . . . . . . . . . 389
Lunedì La ricchezza è ostacolo alla sequela . . . . . . . . . . . 390
Martedì Il dono e la condivisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392
Mercoledì Il lavoro e il giusto compenso . . . . . . . . . . . . . . . 393
Giovedì Amico, tu non hai la fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . 394
Venerdì L’amore per la chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 396
Sabato Ricordo di un politico cristiano . . . . . . . . . . . . . . 397

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XXI settimana
Domenica La sapienza rivelata ai semplici . . . . . . . . . . . . . . . 398
Lunedì (d) Guai a voi, ipocriti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 399
Lunedì (p) Paolo ringrazia i tessalonicesi . . . . . . . . . . . . . . . . 401
Martedì L’ipocrisia rende ciechi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402
Mercoledì Il segreto della giovinezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 403
Giovedì La vigilanza cristiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 404
Venerdì Il senso della vigilanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 405
Sabato I talenti ricevuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407
XXII settimana
Domenica Scandali inconsapevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 408
Lunedì Pregare per capire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 409
Martedì Il cammino di liberazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 410
Mercoledì La suocera di Pietro e la nonna Betta . . . . . . . . . 412
Giovedì Andare al largo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 413
Venerdì La festa e il digiuno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 414
Sabato (d) La liberazione integrale dell’uomo . . . . . . . . . . . . 415
Sabato (p) L’astrologia e il fatalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 416
XXIII settimana
Domenica Le sberle pedagogiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 417
Lunedì (d) Il nostro perbenismo è spazzatura . . . . . . . . . . . . 419
Lunedì (p) Il mistero rivelato a Paolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 420
Martedì (d) È Cristo l’unico Signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 421
Martedì (p) La struttura della chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 422
Mercoledì Le beatitudini sociali di Luca . . . . . . . . . . . . . . . . 424
Giovedì La sorgente della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 425
Venerdì I cinque sassi dei genitori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 426
Sabato Le due case . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 427
XXIV settimana
Domenica Vivere per il Signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 428
Lunedì (d) Vangelo senza frontiere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 429
Lunedì (p) Preghiera per i governanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 431
Martedì I miracoli nel vangelo e nella vita . . . . . . . . . . . . 432
Mercoledì L’autodifesa dagli altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 433
Giovedì La guarigione interiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 434
Venerdì Il Signore ha bisogno di tutti . . . . . . . . . . . . . . . . 436
Sabato (d) Rendere grazie a Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 437
Sabato (p) Gesù Cristo illumina il mistero . . . . . . . . . . . . . . 438
XXV settimana
Domenica Il giusto salario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 439
Lunedì Il candelabro della croce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 440
Lunedì (d) La gioia dei reduci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 442

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Martedì La famiglia e il progetto di vita . . . . . . . . . . . . . . 443


Mercoledì La missione quotidiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 444
Giovedì I dubbi del non credente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 445
Venerdì (d) Chi è il Signore per me . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 446
Venerdì (p) La storia di Piera e Luigi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 448
Sabato Predizione della passione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 449
XXVI settimana
Domenica La grandezza dell’umiltà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 450
Lunedì (d) La chiesa di Gerusalemme . . . . . . . . . . . . . . . . . . 451
Lunedì (p) Farsi piccoli per essere grandi . . . . . . . . . . . . . . . . 452
Martedì Operare perché tutto sia compiuto . . . . . . . . . . . . 454
Mercoledì (d) I tre bocciati per la missione . . . . . . . . . . . . . . . . 455
Mercoledì (p) Il salmo della nostalgia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 456
Giovedì Come vivere la missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 458
Venerdì L’Occidente è al crepuscolo . . . . . . . . . . . . . . . . . 459
Sabato Il nostro potere sui demoni . . . . . . . . . . . . . . . . . 460
XXVII settimana
Domenica Non angustiamoci per nulla . . . . . . . . . . . . . . . . . 461
Lunedì l buon samaritano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 462
Martedì Marta e Maria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 464
Mercoledì Perché preghiamo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 465
Giovedì Elogio dell’insistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 466
Venerdì Il demonio, re degli idoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 467
Sabato La nostra beatitudine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 469
XXVIII settimana
Domenica I servi del vangelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 470
Lunedì Il dono della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 471
Martedì (d) La forma e la sostanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 472
Martedì (p) Adorare Dio per capire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 473
Mercoledì L’esercizio dell’autorità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 475
Giovedì Strategie di persecuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 476
Venerdì La battaglia contro il peccato . . . . . . . . . . . . . . . . 477
Sabato La bestemmia contro lo Spirito Santo . . . . . . . . . 479
XXIX settimana
Domenica Il tributo a Cesare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 480
Lunedì Il ciclo della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 481
Martedì L’attesa nella vigilanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 482
Mercoledì I talenti e il progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 483
Giovedì Condividere il Signore in famiglia . . . . . . . . . . . . 485
Venerdì La memoria e la vigilanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 486
Sabato Gli operai del Signore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 487

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XXX settimana
Domenica L’amore per Dio e per il prossimo . . . . . . . . . . . . 488
Lunedì (d) La festa del settimo giorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . 489
Lunedì (p) Il corpo e lo spirito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 491
Martedì Crescere insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 492
Mercoledì Le due porte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 493
Giovedì (d) I doni di Dio sono irrevocabili . . . . . . . . . . . . . . 494
Giovedì (p) L’amore di Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 495
Venerdì La guarigione dell’idropico . . . . . . . . . . . . . . . . . . 497
Sabato Essere protagonisti nel servizio . . . . . . . . . . . . . . . 498
XXXI settimana
Domenica L’indipendenza economica dei genitori . . . . . . . . . 499
Lunedì (d) Far festa con i poveri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 500
Lunedì (p) La chiesa salverà gli ebrei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 501
Martedì Siamo tutti missionari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 503
Mercoledì Come seguire Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 504
Giovedì Quando i figli si perdono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 505
Venerdì Elogio della scaltrezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 506
Sabato (d) Il denaro e il sesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 507
Sabato (p) Il sorriso e la lode . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 509
XXXII settimana
Domenica La seconda venuta del Signore . . . . . . . . . . . . . . . 510
Lunedì La fede al quadrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 511
Martedì Siamo servi inutili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 512
Mercoledì Dai miracoli alla conversione . . . . . . . . . . . . . . . . 513
Giovedì Il regno di Dio è già qui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514
Venerdì È tempo di vigilanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 516
Sabato La necessità di pregare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 517
XXXIII settimana
Domenica La parabola dei talenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 518
Lunedì (d) Il Pellegrino russo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 520
Lunedì (p) Principio di reciprocità oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . 521
Martedì Essere dei sicomori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 522
Mercoledì Dove trafficare i talenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 523
Giovedì Il demonio distrugge sempre . . . . . . . . . . . . . . . . 525
Venerdì I mercanti nel tempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 526
Sabato Destinati all’eternità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 527
XXXIV settimana
Domenica :  Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo
Il Signore è il mio pastore . . . . . . . . . . . . . . . . . . 528
Lunedì L’insegnamento della vedova . . . . . . . . . . . . . . . . . 530

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Martedì Gli ingannatori e gli allarmisti . . . . . . . . . . . . . . . 531


Mercoledì La chiesa, salvezza del mondo . . . . . . . . . . . . . . . 532
Giovedì La nostra liberazione finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 533
Venerdì Gli ultimi tempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 535
Sabato L’attesa di colui che viene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 536

SOlennità e feste
Gennaio 25  Conversione di San Paolo apostolo . . . . . . . . . . . . . . 540
26  Santi Tito e Timoteo  La potenza dell’agnello . . . . 541
Febbraio   2  Presentazione del Signore  La Candelora . . . . . . . . 542
14  Santi Cirillo e Metodio  Evangelizzare ieri e oggi . 543
22  Cattedra di San Pietro  Chi è Gesù per Pietro . . . 545
Marzo 19  San Giuseppe  San Giuseppe, nostro protettore . . 546
25  Annunciazione  L’alleanza di Dio con l’uomo . . . 547
Aprile 25  San Marco evangelista  Il grande mandato . . . . . . 548
29  Santa Caterina da Siena  Morire per vivere . . . . . 549
Maggio   3  Ss. Filippo e Giacomo  La via, la verità e la vita . . 551
14  San Mattia apostolo  Amicizia e comunicazione . . 552
31  Visitazione della B. V. Maria  La Visitazione . . . . 553
   Cuore  di  Gesù  Lo Spirito Santo rivela il mistero . 554
Giugno 24  Natività del Battista  Lo spirito di Giovanni Battista 556
29  Ss.Pietro e Paolo apostoli  Amore per il Signore . . 557
Luglio   3  San Tommaso apostolo  La beatitudine della chiesa 558
11  San Benedetto  Le frasi di Gesù dalla croce . . . . . 559
22  Santa Maria Maddalena  La purezza di Maria M. 560
23  Santa Brigida  Mamma Carolina . . . . . . . . . . . . . 562
25  San Giacomo apostolo  La forza dello Spirito . . . . 563
Agosto   6  Trasfiguraz. del Signore  Il progetto e il servizio . . 564
  9  S. Teresa Benedetta d. Croce  Dove stiamo andando 566
10  San Lorenzo  La matematica celeste . . . . . . . . . . . 567
15  Assunzione di Maria  Maria, modello di educatrice 568
24  San Bartolomeo ap.  La chiamata del Signore . . . . 570
29  Martirio del Battista  Il volto del missionario . . . 571
Settembre  8  Natività della B.V. Maria  La natività di Maria . . 572
14  Esaltazione d. Croce     I sentimenti di Cristo Gesù 573
15  B.V. Maria Addolorata  L’adorazione della croce . 575

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21  San Matteo ap. ed ev.  La chiamata di Matteo . . 576


29  Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele
   Le battaglie si vincono in cielo . . . . . . . . . . . . . . . 577
Ottobre   4  San Francesco d’Assisi  I santi rinnovano la chiesa 578
18  San Luca evangelista  Vita di missione . . . . . . . . . 579
28  Ss. Simone e Giuda  La gioia della testimonianza 581
Novembre  1  Tutti i Santi  I santi e le beatitudini . . . . . . . . . . 582
  2  Commemoraz. dei defunti  La risurrezione finale . 583
  9  Dedicaz. del Laterano  La preghiera e la vita . . . . 584
30  Sant’Andrea apostolo  Evangelizzare è vivere . . . . . 586
Dicembre   8  Immacolata Concezione della B.  V. Maria . . . . . . . . 587

SIGLE E INDICI

Sigle bibliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 590


Indice dei brani biblici commentati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 591
Indice generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 597

Finito di stampare nel mese di ottobre 2010


Villaggio Grafica – Noventa Padovana, Padova

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