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OFFICIUM BEATAE MARIAE VIRGINIS

Modena, Biblioteca Estense Universitaria

Lat. 74 = alfa. Q. 9. 31

Scheda a cura di Paola Di Pietro Lombardi


Oficium Beatae MariaeVirginis
Ms. membr., sec. XV (seconda metà), mm 200 x 130, cc. I, 139,
I num. rec., miniato

Questo codice pergamenaceo, composto nella seconda metà del


XV secolo, è costituito da 139 carte più una guardia anteriore e una
posteriore numerate recentemente in numeri arabi, misura mm 200
x 130 e presenta fascicolazione a quaderni (cc. 1-8, 9-16, 17-21, 22-
29, 30-37, 38-45, 46-53, 54-61, 62-69, 70-77, 78-85, 86-93, 94-101,
108-115, 116-123, 124-131, 132-139), ad eccezione di due bifolii (cc.
102-104, 105-107). Il manoscritto è mutilo, poiché risultano tagliati
un foglio tra le cc. 19 e 20, due tra le cc. 21 e 22, uno tra le cc. 103
e 104 e uno tra le cc. 107 e 108. Tra le cc. 21 e 22, su quanto resta
del foglio asportato, sono visibili tracce di miniatura. Sui fascicoli non
compare la segnatura; la rigatura è a secco su 21 linee con scrittura
a tutta pagina iniziante sotto il primo rigo, per uno specchio di mm
125 x 70, delimitato ai margini sinistro e destro da una doppia riga.
Le cc. 104 e 107 sono state predisposte con la rigatura, ma sono state
lasciate bianche. La scrittura, in inchiostro seppia, è umanistica di
una stessa mano. I richiami sono disposti ovunque in basso a destra,
perpendicolarmente allo specchio di scrittura, vergati in inchiostro
seppia, tranne che alle cc. 16 e 37 dove sono rubricati. Il richiamo di
c. 8v è abraso. Non compaiono tracce di foratura. Titoli e titoletti sono
rubricati. Piccole iniziali a inchiostro rosso sono inserite in una semplice
decorazione a inchiostro seppia e piccole iniziali blu sono inserite in una
decorazione rossa. Lettere in argento (197) sono dipinte entro piccoli
capilettera in rosso e blu o rosso e verde con arabeschi in oro; le iniziali
del calendario sono invece alternatamente ornate in oro e in argento.
Undici grandi iniziali figurate, o decorate soltanto con ornamentazione
floreale, sottolineano l’inizio delle varie parti di cui l’officio è costituito.
La grande iniziale “D” (“Domine labia mea”, c. 1r) all’inizio dell’Officio
della Vergine rappresenta la Madonna, in abito rosso lumeggiato d’oro e
manto azzurro, nell’atto di allattare il Bambino Gesù appoggiato su un

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cuscino rosso sotto lo sguardo di due cherubini, l’iniziale “D” (“Dilexi
quondam exaudiet”, c. 66v), posta all’inizio dell’Officio dei Morti,
raffigura un teschio, mentre l’iniziale “D” (“Domine labia mea”, c. 100r),
che apre l’Officio dello Spirito Santo, contiene il sole e la Colomba. Le
altre iniziali sono quasi tutte decorate nel campo interno con un fiore
stilizzato (cc. 8v, 17r, 23r, 25v, 31r, 45v, 48r, 97r). Il codice è ornato
inoltre da 8 quadretti raffiguranti sante e santi. Si susseguono pertanto
S. Agnese con la palma del martirio e il libro in mano e ai piedi l’agnello
(c. 8v), S. Maria Maddalena con il vaso degli unguenti (c. 17r), S. Barbara
con la palma, il libro e la colonna spezzata accanto (c. 22v), S. Caterina
d’Alessandria con la palma e la ruota spezzata (c. 25v), S. Margherita con
la palma e ai piedi un drago dalle fauci spalancate (c. 30v), S. Ambrogio
con il flagello e il pastorale (c. 66v), S. Girolamo con il libro e il
leone (c. 97r), S. Agostino con il libro e il pastorale (c. 100r). A queste
immagini si affiancano le raffigurazioni della Vergine in apertura della
Messa di Maria Vergine (c. 45v), del Re David in preghiera all’inizio dei
sette Salmi penitenziali (c. 48r) e della Resurrezione con il Cristo, la
Croce e i simboli della Passione all’inizio dell’Oratio piissima Sancti
Gregorii (c. 105r). Una cornice di aspetto rinascimentale, dai toni scuri
del rosso, del blu e del verde, è all’apertura del codice e circonda la c.
1r con fiori stilizzati, foglie d’acanto e una candelabra sorretta da sfingi.
Nel bas de page due putti stringono con una mano una cornucopia e
con l’altra sorreggono uno stemma cardinalizio, che già nel secondo
Settecento, come testimonia il bibliotecario Antonio Lombardi nel suo
catalogo ragionato dei manoscritti latini, risultava essere stato asportato,
anche se solo parzialmente, poiché è rimasta integra l’immagine del
cappello cardinalizio che sormontava lo stemma stesso. “Incipit Oficium
Beate Marie Virginis secundum consuetudinem Romane curie. Ad matutinum
Ver. insunt praeterea oficium defunctorum, oficium Spiritus Sancti atque
aliae preces bene multae. Codex membranaceus in 4°, Saec. XV. Elegantissimus
et ornatibus picturis, imaginibus, initialibus litteris affabre factis insignis ex
stimmate gentilitio in prima operis pagina picto nihil aliud nunc superest nisi
pileus cardinalitius quo protegebatur” è la descrizione lasciata da Lombardi,

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mentre più semplice e più breve, con accenni soltanto alla raffinatezza
e all’accuratezza della miniatura, è la scheda (“Oficium B. MariaeVirginis.
Codex membr., in 4°, saec. XV, picturis et litteris minio aliove colore affabre
efformatis ornatus.”) fornita da Carlo Ciocchi, collaboratore di Lombardi,
nel catalogo dei manoscritti della Biblioteca ducale.
Sul recto della carta di guardia I del codice, sul verso del rattoppo, resosi
necessario per l’asportazione dello stemma, alle cc. 8v, 139r e sul verso
della carta di guardia II è il semplice timbro “BE”, mentre a c. 5r un
timbro rettangolare riporta per esteso l’indicazione dell’appartenenza
alla “R. Biblioteca Estense di Modena”.
La legatura in cuoio rossiccio, con doppio riquadro a secco sui piatti e lo
stemma estense e il titolo in oro sul dorso, è tipica della seconda metà
del XVIII secolo. Il Presidente della biblioteca Girolamo Tiraboschi volle
infatti conferire omogeneità alla raccolta del Duca e dotare i manoscritti,
ormai appartenenti ad una biblioteca aperta al pubblico, di una legatura
robusta e funzionale, che ha consentito al codice di giungere fino a noi in
buono stato di conservazione, ad eccezione di fori da tarlo nelle prime e
nelle ultime carte, testimonianza della presenza in antico di una legatura
in assi.
Il manoscritto, che appartiene all’antico Fondo Estense sicuramente a
partire dall’epoca tiraboschiana, riporta le antiche segnature Ms.VI.
A.34 e XII.E.18 scritte su di un cartiglio incollato all’interno del piatto
posteriore. Il taglio è dorato e inciso.

Il nostro codice, che segue la struttura tipica del libro devozionale all’uso
di Roma, contiene Oficium Beatae Mariae Virginis secundum consuetudinem
Romanae curiae (cc. 1r-45r), Missa Sanctae Mariae Virginis (cc. 45r-47v),
Septem psalmi poenitentiales (cc. 48r-56r), Litaniae (cc. 56r-66r), Oficium
Mortuorum (cc. 66v-96v), Oficium Sanctae Crucis (cc. 97r-99v), Oficium
Sancti Spiritus (cc. 100r-103v), Oratio piissima Sancti Gregorii (cc. 105r-
106v), il Calendario (cc. 108r-117v), le Pericopi dei Vangeli (cc. 118r-
132r) e Orazioni varie (cc. 132r-139r).
L’Officio della Vergine Maria si apre con il Mattutino (“Domine labia

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mea aperies”, lettera “D”, c. 1r) costituito dal salmo invitatorio, dal
Gloria al Padre, da un Inno alla Vergine, da una serie di salmi preceduti
dall’antifona, da tre brevi letture bibliche, dal Cantico di S. Ambrogio
e di S. Agostino, procede poi con le Lodi (“Deus in adiutorium meum
intende”, lettera “D”, c. 8v) che, dopo un’alternanza di antifone e salmi,
comprendono il Canticum trium puerorum, il Canticum Zacharie e orazioni
di invocazione ai santi. Seguono le Ore, la Prima e la Nona (“Deus in
adiutorium meum intende”, lettera “D”, cc. 1r e 23r), accompagnate da
antifone, salmi, orazioni.
Non compaiono le Ore Terza e Sesta.
L’Officio della Vergine continua poi con i Vespri (“Deus in adiutorium
meum intende”, lettera “D”, c. 25v) che riportano il Canticum Mariae
Virginis (“Magniicat anima mea”, lettera “M”, c. 29r).
L’explicit dell’officio (c. 45r) introduce la Messa di S. Maria Vergine
(“Salve sancta parens”, lettera “S”, c. 45v).
Seguono i Sette salmi penitenziali (“Domine ne in furore tuo arguas me”,
lettera “D”, c. 48r), cui si succedono le Litanie (“Khirieleison”, lettera
“K”, c. 56r). A c. 66v ha inizio l’Officio dei morti con antifona, salmi,
cantico del Magniicat (“Magniicat anima mea dominum”, c. 69v), lezioni
varie seguito, a c. 97r, dall’Officio della Santa Croce (“Domine labia mea
aperies”, lettera “D”, c. 97r), con inno, orazioni e salmi.
La rappresentazione di Cristo risorto, con accanto i segni della Passione,
segna l’inizio dell’orazione di San Gregorio (c. 105r), “Oratio piissima
sancti Gregorii qui concessit omnibus penitentibus et confessis dicentibus quinque
pater noster et quinque ave maria apud imaginem pietatis quatuordecim milia
annorum indulgentie”.
A c. 108r si apre il calendario, completo di tutti i mesi, con l’indicazione
delle principali feste religiose dell’anno e la sequenza dei principali santi,
vergini, martiri e confessori, ma anche di “santi nuovi”, canonizzati fra
Tre e Quattrocento. Il calendario, non illustrato e corredato soltanto
della sigla “KL” decorata in argento su fondo rosso e blu, non si trova
come di consueto all’inizio dell’officio; la sua inserzione inusuale fa
ragionevolmente pensare ad un’erronea cucitura dei fascicoli in fase di

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approntamento della legatura settecentesca.
Dopo il calendario compaiono le pericopi dei Vangeli (cc. 118r-132v),
seguite da preghiere varie da recitare al momento dell’elevazione e da
orazioni a S. Agostino.
L’explicit “…qui vivis et regnas cum Deo patre in unitate Spiritus Sancti Deus
per omnia secula seculorum amen” (c. 139r) chiude il manoscritto.

Nella prima metà del secolo scorso H. J. Hermann e M. Salmi hanno


collocato in area lombarda la miniatura di questo elegante e raffinato
codice, riconducibile ad una stessa mano, e ne hanno proposto come
datazione la fine del Quattrocento. Negli anni Novanta del Novecento
questa attribuzione è stata ripresa da F. Toniolo (in H. J. Hermann, La
miniatura estense, Modena 1994, p. 197), che ha anche avanzato l’ipotesi
che il miniatore possa essere avvicinato al maestro che ha siglato “ F. B.”
un gruppo di iniziali di pregevole fattura, e che P. Wescher ha suggerito
di identificare con Francesco Binasco, attivo in Milano alla corte degli
Sforza tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento.
Comunque, a prescindere da una esatta identificazione dell’autore,
nella miniatura dell’Officio si ravvisano gli elementi tipici dell’arte
lombarda. Realismo nella rappresentazione delle figure, nella resa degli
abiti lumeggiati d’oro, nelle dita affusolate, nei lunghi ondulati capelli
delle sante, nelle barbe fluenti dei santi, nella raffigurazione della fertile
pianura rappresentata sullo sfondo, ricca di piante, fiori, verdi prati,
fiumi. La miniatura, dai toni caldi e vivaci, presenta echi dello stile del
lombardo Bernardino Zenale, le forme architettoniche in prospettiva,
espressione del Rinascimento, riflettono l’influenza di Leonardo e di
Bramante, presenti a Milano a fine Quattrocento. Continuano però a
permanere in questa miniatura anche echi della pittura trecentesca, in
particolare fiamminga, ravvisabili negli edifici dalle guglie tardo gotiche
che spiccano sullo sfondo. Lo splendore delle corti dei Visconti e degli
Sforza hanno conferito alla miniatura milanese grande eleganza, gusto
del bello e del raffinato, riscontrabile nella signorilità delle figure. I visi

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delle sante sono delicatissimi e dolcissimi, ma tutti con una stereotipata
espressione sorridente. Sono immagini nelle quali si persegue e si
raggiunge la bellezza, ma dalle quali non trapela un sentimento interiore,
quella bellezza spirituale, unica e misteriosa, che ritroviamo nelle figure
femminili di Leonardo.
Anche l’esame del calendario consente di collocare il codice in
Lombardia, per la presenza di un elevato numero di santi che in quella
zona sono nati o hanno operato o alla quale sono in vario modo riferiti.
Agnese (21 gennaio) è esaltata da S. Ambrogio nel De virginibus (377
circa) e nell’inno Agnes beatae virginis; Faustino e Giovita (15 febbraio),
originari di Brescia, sono divenuti patroni di quella città dopo che
la loro prodigiosa apparizione sulle mura portò i Milanesi a levare
un feroce assedio nel 1438; Siro (9 dicembre) fu il primo vescovo di
Pavia; Gervasio e Protasio (19 giugno), fratelli gemelli milanesi, furono
martiri della cristianità presumibilmente nel III secolo; Nabore e Felice
(12 luglio), originari del nord Africa, furono martirizzati a Milano nel
IV secolo dopo la loro conversione al cristianesimo e anche Celso e
Nazario (28 luglio) subirono il martirio a Milano nel 304 durante la
persecuzione di Diocleziano; il vescovo Agostino (28 agosto) a Milano
ricevette il battesimo da S. Ambrogio; Ambrogio (7 dicembre), inviato a
Milano come governatore dell’Italia settentrionale, nel 374, alla morte
del vescovo Aussenzio, fu acclamato vescovo di Milano; Omobono (13
novembre) è patrono di Cremona; Geminiano (segnato al 29 e non
all’attuale 31 gennaio), patrono di Modena, è quasi certamente quel
vescovo Geminiano che nel 390 fu presente al concilio dei vescovi
dell’Italia settentrionale, presieduto da S. Ambrogio per condannare
l’eretico Gioviniano.
La miniatura ci orienta verso l’ultimo quarto del quindicesimo secolo,
ma anche il calendario ci consente di ipotizzare una datazione del
codice, seppure approssimativa. La “lettera domenicale”, segnata in
rosso, che contraddistingue la domenica, in questo codice corrisponde
al capodanno e indica come date possibili il 1475, il 1486, il 1492 e il
1497.

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Si può scartare l’ipotesi relativa al 1475 in quanto la nota rubricata
di c.138r, che fa riferimento all’indulgenza plenaria concessa da papa
Sisto IV proprio nel 1475, secondo del suo pontificato (“Sanctissimus in
Cristo pater et dominus noster dominus Sixtus papa quartus concessit et indulsit
cuicumque lexis genibus quantum poterit infrascriptam orationem devote
dicenti in mediate post elevationem corporis Christi et totiens quotiens dixerit
plenissimam omnium peccatorum quorum remissionem de quibus fuerit corde
contrictus licet aliqua legiptima causa non fuerit confessus nec opere satisfecerit
anno videlicet domini MCCCCLXXV pontiicatus sui anno secondo”), fa pensare
ad una composizione del codice successiva a tale data.

Nulla vieta che il manufatto risalga al 1486, ma risultano più probabili


le date del 1492 e del 1497, anni in cui le famiglie Sforza ed Este erano
legate più strettamente da interessi comuni, rafforzati anche da vincoli
matrimoniali.
Il codice, che sembra destinato a soddisfare un gusto tutto femminile
per l’accuratezza delle lunghe e ondulate chiome delle molte sante
raffigurate, potrebbe essere stato composto per la giovane Anna
Sforza, che nel 1491 divenne sposa di Alfonso I d’Este. Il matrimonio
giustificherebbe infatti la presenza anche di questo codice lombardo
nella libreria ducale estense accanto ai codici ferraresi. Altri manoscritti
lombardi, come il De Sphaera e il Missale di Anna Sforza, sono pervenuti
alla raccolta della famiglia d’Este proprio in occasione di questo legame
tra le due famiglie, come dono di nozze o come bene dotale della
principessa. Il cappello cardinalizio, però, che insisteva sullo stemma
e che è sfuggito all’asportazione dello stemma stesso, non conferma
l’ipotesi.
L’insegna cardinalizia induce a pensare come possibile committente ad
Ippolito d’Este, che fu però creato cardinale nel 1493, in epoca quindi
posteriore alle nozze di Anna, e che divenne cardinale di Milano soltanto
nel 1497, anno in cui la giovane Anna Sforza concludeva a Ferrara la sua
breve vita.

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La chiave di lettura giusta per affrontare il problema dell’appartenenza
di questo codice, allo stato attuale delle cose, sta forse soltanto in un
fortunato ritrovamento tra le carte d’archivio di nuovi, illuminanti
documenti.

Paola Di Pietro Lombardi

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BIBLIOGRAFIA

Manuscriptorum codicum Bibliotecae catalogus in quinque partes tributus


(catalogo CIOCCHI - LOMBARDI), sec. XVIII, Lat. 74

Catalogus codicum latinorum Bibliothecae Atestiae (catalogo ZACCARIA -


GABARDI - LOMBARDI), sec. XVIII-XIX, Lat. 74

D. FAVA, La Biblioteca Estense nel suo sviluppo storico, Modena 1925, p. 239

D. FAVA - M. SALMI, I manoscritti miniati della Biblioteca Estense di Modena,


Modena-Milano,1950-1973, v. 2, pp. 32-33

Biblioteca Estense. Modena, Firenze 1987, p. 172

H. J. HERMANN, La miniatura estense, Modena 1994, p. 197

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