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Analisi 1 – Lezione 12

1. Alcuni concetti base


CONCETTO SPIEGAZIONE
NUMERI REALI I numeri reali si indicano con R, insieme di numeri che ha due
operazioni, l’addizione e la moltiplicazione, che entrambe godono della
proprietà commutativa e associativa. È un insieme denso e continuo che
si rappresenta per questo attraverso una retta.
NUMERI NEUTRI I numeri neutri rispetto ad un’operazione sono i numeri per cui il primo
termine, eseguita l’operazione con il numero neutro, è uguale al risultato.
Per l’addizione è 0 (𝑛 + 0 = 𝑛), per la moltiplicazione 1 (1 ∙ 𝑛 = 𝑛).
NUMERO OPPOSTO L’opposto di 𝑛 è – 𝑛.
NUMERO INVERSO L’inverso di 𝑛 è 1 .
𝑛

LEGGE DI 𝑎+𝑐 = 𝑏+𝑐 ⟺ 𝑎 = 𝑏


CANCELLAZIONE 𝑎 ∙ 𝑐 = 𝑏 ∙ 𝑐 ⟺ 𝑎 = 𝑏 ⋀𝑐 ≠ 0
DISEQUAZIONI E 𝑎 < 𝑏 ⟺ – 𝑏 > −𝑎
ALTRO CHE 𝑎 ≠ 0 ⟺ 𝑎^2 > 0
PIACCIONO A RITA 𝑎 > 𝑏 > 0 ⟺ 𝑎2 > 𝑏2
1 1
𝑎>𝑏>0 ⟺ 𝑎<𝑏

RELAZIONE In R c’è una relazione d’ordine, ossia dati due numeri a e b appartenenti
D’ORDINE ad R, ci sono solo tre possibilità: 𝑎 < 𝑏, 𝑎 = 𝑏, 𝑎 > 𝑏 (oppure due se si
usano gli operatori relazionali deboli ≤ e ≥, che eliminano il caso con
l’uguale). Per questo R è un insieme ordinato. La relazione d’ordine gode
della proprietà transitiva: 𝑎 < 𝑏 < 𝑐 ⇒ 𝑎 < 𝑐. Grazie a questa relazione si
può affermare che 𝑎 < 𝑏 ⟺ 𝑎 + 𝑐 < 𝑏 + 𝑐; per la moltiplicazione è più
complicato, infatti si ha 𝑎 < 𝑏 ⋀ 𝑐 > 0 ⟺ 𝑎 ∙ 𝑐 < 𝑏 ∙ 𝑐, mentre 𝑎 <
𝑏 ⋀ 𝑐 < 0 ⟺ 𝑎 ∙ 𝑐 > 𝑏 ∙ 𝑐 (aka la regola del cambio di verso: se moltiplichi
per un numero negativo la disequazione cambia verso).
PROPRIETÀ 𝐴, 𝐵 ⊆ 𝑅 ∧ 𝐴, 𝐵 ≠ ∅ ∧ 𝑎 ≤ 𝑏 ∧ 𝑎 ∈ 𝐴 ∧ 𝑏 ∈ 𝐵 ∧ 𝐴 ∪ 𝐵 = 𝑅 ⟺ ∃ 𝑠 ∈
FONDAMENTALE 𝑅 ∶ 𝑎 ≤ 𝑠 ≤ 𝑏 ∀ 𝑎, 𝑏 ∈ 𝑅
DEI NUMERI REALI Detto in parole povere: dividi R in due insiemi complementari fra loro
rispetto a R che non siano vuoti; preso un elemento a dal primo e un
elemento b dal secondo, c’è sempre un numero s tale che 𝑎 ≤ 𝑠 ≤ 𝑏.
Q non ha questa proprietà. Essa permette di rappresentare i numeri reali
come una retta e permette di dare la definizione di estremo superiore e
inferiore di un insieme o intervallo.
GLI INSIEMI PER N: tutti i numeri naturali TRANNE 0 CHE TALVOLTA INCLUDIAMO
RITA A CASO SE CI FA COMODO (NDR e facciamo informatica, rip)
Z: tutti i numeri interi (0 compreso)
𝑝
Q: tutti i numeri nella forma , p e q interi, q ≠ 0. Ci sono razionali finiti
𝑞
e periodici (NDR trucchetto: se nel denominatore ci sono solo i fattori 2 o 5
allora è finito. Altrimenti è periodico).
R: tutti i numeri razionali, “sono tanti”; sono tutti i numeri nella forma
𝑎0 , 𝑎1 𝑎2 𝑎3 𝑎4 … dove 𝑎0 ∈ 𝑍 e le altre cifre variano da 0 a 9,
completamente a caso. (NDR: spesso chiedono di dimostrare che i numeri
irrazionali sono infiniti. La dimostrazione è per assurdo: supponi che siano finiti,
mettili in ordine numerandoli da 1 a n. Ora creiamo un nuovo numero: la prima
cifra la scelgo diversa dalla prima cifra del primo numero, la seconda cifra
diversa dalla seconda cifra del secondo numero, e così via. Avrò creato un
numero che è diverso almeno per una cifra da tutti i numeri irrazionali che
conosco già. Ta-dan!)
FATTORIZZAZIONE Fattorizzare un numero significa scomporre il numero in un prodotto di
DI UN NUMERO potenze di fattori primi 𝑛 = 𝑝1 𝑘1 ∙ 𝑝2 𝑘2 ∙ 𝑝3 𝑘3 ∙ … ∙ 𝑝𝑁 𝑘𝑁 . È unica.
PARTE INTERA La parte intera di un numero è il più grande intero minore o uguale ad
esso (aka: elimina tutte le cifre dopo la virgola). Si indica con [𝑎] per Rita
e ⌊𝑎⌋ dal resto del mondo più o meno (NDR questo perché se si vuole invece
indicare l’intero uguale o superiore ad a si mettono al contrario così ⌈𝑎⌉, in modo
più intuitivo).
MODULO Il modulo assegna a un numero x il suo valore se è positivo, il suo
opposto se è negativo (leggi: se c’è il più bene se c’è il meno lo toglie).
Alcune cose da tenere da conto:
|𝑎 + 𝑏| ≤ |𝑎| + |𝑏|
𝑎 |𝑎|
| | = |𝑎|
𝑏
|𝑎||𝑏| = |𝑎𝑏|
Se poi c’è da risolvere un disequazione con un solo modulo tipo questa
𝑥 2 − 2|𝑥| − 3 ≤ 0, bisogna fare due sistemi con i due casi: quando x è
maggiore o uguale a 0 e quando è minore, in questo modo
𝑥≥0 𝑥<0
{ 2 ⋀ {(−𝑥)2 − 2(−𝑥) − 3 ≤ 0
𝑥 − 2𝑥 − 3 ≤ 0
E considerare poi le soluzioni in comune ai due insiemi.
RADICE Può dare un numero negativo? No: la radice quadrata è intesa come
QUADRATA FAQ funzione, e per essere una funzione si è limitato il suo insieme immagine
ai soli numeri non negativi. Quindi: se vedi una radice di qualcosa
uguale a qualcosa, il secondo qualcosa è sicuramente positivo o nullo.
Posso dire che √𝑥 2 = 𝑥? No. Non sappiamo che valore abbia x, e
potrebbe essere negativo: visto che l’equazione è nella forma “radice di
qualcosa uguale a qualcosa”, il secondo qualcosa DEVE essere positivo
o nullo. Quindi mettici un bel modulo, così: √𝑥 2 = |𝑥|.
CAMBIO DI BASE DI Cambio di base dei logaritmi: log 𝑎 𝑥 = log𝑐 𝑥
log𝑐 𝑎
UN LOGARITMO
.

2. Intervalli: primi cenni


TERMINE DEFINIZIONE
INTERVALLI DI Sottoinsieme di R di numeri compresi fra due estremi a e b, non
R necessariamente numerici. Presi due numeri all’interno dell’intervallo, tutti i
numeri compresi fra questi due appartengono all’intervallo.
𝐴 = {𝑥 ∈ 𝑅 ∶ 1 ≤ 𝑥 < 2} ∪ {3} non è un intervallo, mentre lo è 𝐴 = {𝑥 ∈
𝑅 ∶ 1 ≤ 𝑥 < 2} ∪ {2} (che si può riscrivere 𝐴 = {𝑥 ∈ 𝑅 ∶ 1 ≤ 𝑥 ≤ 2} , ossia
𝐴 = [1, 2])
SCRITTURA Se le parentesi sono tonde () l’estremo è escluso, se quadre [] è incluso. Con
l’infinito si usa escluso.
Esempi di intervalli: 𝐼 = (1, 2), 𝐴 = [3, 7], 𝐵 = (−∞, 12]
INTERVALLI Un intervallo che al suo interno contiene un infinito non è limitato. Se non
LIMITATI E contiene un infinito è limitato.
NON LIMITATI

3. Si dice che
TERMINE DEFINIZIONE IN PAROLE POVERE
MASSIMO 𝐴 ⊂ 𝑅, 𝐴 ≠ ∅ È il numero più grande all’interno
Si dice che 𝑎̅ è massimo di A dell’insieme. Può non esserci sempre: 𝐴 =
se 𝑎 ≤ 𝑎̅ ∀ 𝑎 ∈ 𝐴 [3, 7) per esempio non ammette massimo,
perché preso un numero è sempre possibile
trovarne uno che si avvicina di più a 7, che
però è escluso.
MINIMO 𝐴 ⊂ 𝑅, 𝐴 ≠ ∅ È il numero più piccolo all’interno
Si dice che 𝑎′ è minimo di A dell’insieme. Può non esserci sempre: 𝐴 =
se 𝑎′ ≤ 𝑎 ∀ 𝑎 ∈ 𝐴 (3, 4] per esempio non ammette minimo,
perché preso un numero è sempre possibile
trovarne uno che si avvicina di più a 3, che
però è escluso.
MAGGIORANTE 𝐴 ⊂ 𝑅, 𝐴 ≠ ∅ Un qualsiasi numero, anche appartenente
Si dice che k è maggiorante all’insieme, che sia più grande di tutti gli
di A se 𝑎 ≤ 𝑘 ∀ 𝑎 ∈ 𝐴, 𝑘 ∈ 𝑅 altri i numeri all’interno dell’insieme. Il
massimo è un maggiorante, nello specifico
l’unico maggiorante che appartiene
all’insieme. L’insieme dei maggioranti ha
sempre un minimo.
MINORANTE 𝐴 ⊂ 𝑅, 𝐴 ≠ ∅ Un qualsiasi numero, anche appartenente
Si dice che k è minorante di all’insieme, che sia più piccolo di tutti gli
A se 𝑘 ≤ 𝑎 ∀ 𝑎 ∈ 𝐴, 𝑘 ∈ 𝑅 altri i numeri all’interno dell’insieme. Il
minimo è un minorante, nello specifico
l’unico minorante che appartiene
all’insieme. L’insieme dei minoranti ha
sempre un massimo.
ESTREMO 𝐴 ⊂ 𝑅, 𝐴 ≠ ∅ È il numero a destra nelle parentesi, sia che
SUPERIORE Si dice che i è estremo sia compreso che non sia compreso. Se c’è
superiore di A se i è il più più infinito si dice che più infinito è
piccolo maggiorante di A, l’estremo superiore, anche se non è
𝑖∈𝑅 numerico, e si indica con 𝑠𝑢𝑝(𝐴) = +∞
A ∈ R, A ≠ ∅, A (non si può mettere 𝑖 = +∞). Esempio: 𝐴 =
superiormente limitato (3, 4], 𝑖 = 4. 𝐵 = (3, 4), 𝑖 = 4.
L ∈ R è l’estremo superiore
di A se L è un maggiorante
di A e ∀ 𝐿’ < 𝐿 ∃ 𝑎̅ ∈ 𝐴 ∶ 𝐿’ <
𝑎̅ ≤ 𝐿
ESTREMO 𝐴 ⊂ 𝑅, 𝐴 ≠ ∅ È il numero a sinistra nelle parentesi, sia
INFERIORE Si dice che i è estremo che sia compreso che non sia compreso. Se
inferiore di A se i è il più c’è meno infinito si dice che meno infinito è
grande minorante di A, 𝑖 ∈ l’estremo inferiore, anche se non è
𝑅 numerico, e si indica con 𝑖𝑛𝑓(𝐴) = −∞ (non
A ∈ R, A ≠ ∅, A si può mettere 𝑖 = −∞). Esempio: 𝐴 =
inferiormente limitato (3, 4], 𝑖 = 3. 𝐵 = [3, 4), 𝑖 = 3.
l ∈ R è l’estremo inferiore di
A se l è un minorante di A e
∀ 𝑙’ > 𝑙 ∃ 𝑎̅ ∈ 𝐴 ∶ 𝑙 ≤ 𝑎̅ < 𝑙’
SUPERIORMENTE 𝐴 ⊂ 𝑅, 𝐴 ≠ ∅ Un insieme è superiormente limitato se
LIMITATO Si dice che A è ammette almeno un maggiorante.
superiormente limitato se
∃ 𝑘 ∶ 𝑎 ≤ 𝑘 ∀ 𝑎 ∈ 𝐴, 𝑘 ∈ 𝑅
INFERIORMENTE 𝐴 ⊂ 𝑅, 𝐴 ≠ ∅ Un insieme è inferiormente limitato se
LIMITATO Si dice che A è inferiormente ammette almeno un minorante.
limitato se ∃ 𝑘 ∶ 𝑘 ≤ 𝑎 ∀ 𝑎 ∈
𝐴, 𝑘 ∈ 𝑅

4. Prima dimostrazione per assurdo


TESI LA RADICE QUADRATA DI DUE NON APPARTIENE A Q
√𝟐 ∉ 𝑸
IPOTESI 𝑝, 𝑞 ∈ 𝑁
𝑀𝐶𝐷(𝑝, 𝑞) = 1
DIMOSTRAZIONE (NDR: propongo qui la mia versione della dimostrazione, a mio avviso più
semplice ed efficace dell’astruso ragionamento di Rita)
Assumiamo per assurdo che √2 ∈ 𝑄. Allora
𝑝
√2 = 𝑞

Poiché p e q sono entrambi positivi, possiamo elevare al quadrato


𝑝2
2=
𝑞2
2𝑞 = 𝑝2
2

Si deduce che 𝑝2 è un numero pari (poiché uguale a 2𝑞2 , che è un numero


pari). Se 𝑝2 è un numero pari allora anche 𝑝 dev’essere pari, quindi
possiamo scrivere 𝑝 = 2𝑘 e sostituirlo
2𝑞2 = (2𝑘)2
2𝑞2 = 4𝑘 2
𝑞2 = 2𝑘 2

Si deduce che 𝑞2 è un numero pari (poiché uguale a 2𝑘 2 , che è un numero


pari). Se 𝑞2 è un numero pari allora anche 𝑞 dev’essere pari.

Ma così risulta che sia 𝑞 che 𝑝 sono multipli di due e ciò va contro alla
seconda ipotesi, ossia che i due numeri fossero primi tra loro (la frazione
non si poteva semplificare). Se √2 ∈ 𝑄 avremmo quindi una
contraddizione. Per cui √2 ∉ 𝑄.
Q.E.D.

5. Metodi pratici per calcolare gli estremi di un insieme scritto


intensionalmente
STEPS ESEMPIO
1
1. CAPIRE LA 𝐴 = {𝑥 ∈ 𝑅 ∶ 𝑥 = 1 − , 𝑛 ∈ 𝑁}
𝑛
“PROPRIETÀ” 1
Sono tutti i numeri nella forma 𝑥 = 1 − 𝑛 .
DELL’INSIEME
1
2. CAPIRE SE È I numeri 𝑥 = 1 − 𝑛 partono da 0 (𝑛 = 1). L’1 rimane sempre invariato, mentre
LIMITATO 1
diventa sempre più piccolo all’aumentare di 𝑛 (in gergo “tende a 0”); per
𝑛
1
cui 1 − 𝑛, uno meno una quantità sempre più piccola, tenderà a diventare più
1
grande. Quindi l’insieme è limitato inferiormente. Poiché il termine 𝑛
non
diventa mai negativo, non avremo mai una situazione 𝑥 = 1 + 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑜𝑠𝑎;
questo significa che è limitato anche superiormente, dato che non arriverà
mai ad 1.
3. IMPOSTARE Ora scegliamo di calcolare l’estremo superiore, perché quello inferiore dato
LE il ragionamento di prima è chiaro che sia 0.
DISEQUAZIONI La definizione operativa di estremo superiore è questa:
ATTRAVERSO A ∈ R, A ≠ ∅, A superiormente limitato
LA L ∈ R è l’estremo superiore di A se L è un maggiorante di A e ∀ 𝐿’ < 𝐿 ∃ 𝑎̅ ∈
DEFINIZIONE 𝐴 ∶ 𝐿’ < 𝑎̅ ≤ 𝐿
DI ESTREMO Iniziamo a impostare le equazioni dicendo che L è un maggiorante di A
𝐿 ≥ 𝑎̅
E per la precisione diciamo che se scegliamo un altro maggiorante L’ questo
sarà sempre maggiore di L: questo significa che L è il più piccolo maggiorante
di A
∀ 𝐿’ < 𝐿 ∃ 𝑎̅ ∈ 𝐴 ∶ 𝐿’ < 𝑎̅ ≤ 𝐿
Ora, questa definizione purtroppo è poco utile perché include un secondo
maggiorante, che complica inutilmente i calcoli. Quindi noi diciamo:
prendiamo L e gli togliamo una quantità positiva (non nulla) piccolissima,
che definiamo 𝜀. In verità essa può assumere qualsiasi valore positivo;
tuttavia ci è comodo immaginarla piccola piccola, in modo da renderci
intuitivo il ragionamento.
Quindi la definizione muta così: se togliamo una quantità piccolissima a L,
questo non è più un maggiorante (e vuol dire che L è il più piccolo
maggiorante di A). Si scrive in questo modo:
𝐿 − 𝜀 < 𝑎̅ ≤ 𝐿
Ora non ci resta che sostituire 𝑎̅ con la “proprietà” che abbiamo trovato
prima, la forma dei numeri dell’insieme A:
1
𝐿−𝜀 <1− ≤𝐿
𝑛
Ed ecco la nostra disequazione da risolvere.
(Nel caso dell’estremo inferiore, andremmo ad aggiungere una quantità
piccolissima, dimostrando che così non è più un minorante perché è
diventato troppo grande).
4. DIVIDIAMO Ora dividiamo in due la nostra disequazione:
1
LA 𝐿−𝜀 <1−𝑛 ≤𝐿
DISEQUAZIONE Diventa
IN DUE: TROVA 1
1−𝑛 ≤ 𝐿
L E VERIFICALO { 1
𝐿−𝜀 < 1−𝑛
La prima disequazione è per dire che L è un maggiorante, la seconda per dire
che è il più piccolo.
Partiamo dalla prima per trovare un possibile L:
1
1− ≤𝐿
𝑛
1
−𝑛 ≤ 𝐿 − 1
𝑛 è positivo quindi possiamo moltiplicare per n senza cambiare verso
−1 ≤ 𝑛(𝐿 − 1)
Ora osserviamo un paio di cose. Primo, 𝑛 è un numero positivo
arbitrariamente grande, quindi se moltiplicato per un qualsiasi numero
negativo potrebbe diventare minore di -1. Per cui 𝐿 − 1 sicuramente non è
negativo. Il valore più piccolo che L può assumere in modo che 𝐿 − 1 non sia
negativo è 1: in questo modo risulterebbe −1 ≤ 0𝑛 , ossia −1 ≤ 0 che è
sempre vera indipendentemente da 𝑛. Quindi il nostro L plausibile è 1,
poiché è sempre vero che scegliendo 1 come maggiorante è sempre più
grande dei numeri contenuti nell’insieme A.
La seconda disequazione serve per verificare la nostra ipotesi, ossia che L sia
effettivamente il maggiorante più piccolo. Sostituiamo L con 1 e vediamo che
succede.
1
1−𝜀 < 1−𝑛
1
−𝜀 < −
𝑛
1
𝜀>𝑛
La domanda è questa: data una quantità 𝜀 piccolissima, è possibile trovare
1
un 𝑛 tale che 𝑛 sia ancora più piccolo? La risposta è sì (proprietà archimedea
dei numeri naturali: prendi un numero, ce n’è sempre uno più grande.
1
Quindi se 𝑛 è sempre più grande, 𝑛 è sempre più piccolo). Questo conferma
che 1 è il nostro estremo superiore.
Per esperienza so che questo ragionamento porta qualche dubbio, soprattutto
perché si pensa “se trovo un 𝑛 piccolissimo c’è sempre un 𝜀 ancora più
piccolo, quindi potrebbe non essere vera!”. Per dissolvere ogni dubbio,
poniamo un ipotetico 𝐿 = 2.
1
2−𝜀 < 1−𝑛
1
1 −𝜀 < −𝑛
Visto? 1 − 𝜀 è una quantità di poco inferiore a 1, e dovrebbe essere inferiore
a un numero palesemente negativo! Quindi L, il maggiorante più piccolo,
non può essere 2. Ora ci credete? :)
6. Dimostrazioni per induzione: non capisco ma funziona
STEPS ESEMPIO
𝑛(𝑛+1)
1. Trova qualcosa da dimostrare: una formula, La somma dei numeri naturali da 1 a 𝑛 è .
2
un’equazione, qualsiasi cosa. Di solito questo 𝑛(𝑛+1)
La proprietà è: ” 2
è la somma dei primi n
step è easy perché ce la fornisce Rita. Questa
la chiameremo “proprietà”. numeri naturali”.
2. Prova con un numero a caso, possibilmente Somma dei numeri da 1 a 1: 1
1(1+1)
1 (o con il numero più piccolo per cui ti =1
2
chiedono di verificarlo: se ti dicono dimostra Funziona :(
questa formula per tutti gli 𝒏 ≥ 𝟓, metti 5).
Mettilo nella formula e vedi se funziona. Se
non funziona, hai finito qui: la formula non è
valida.
3. Ipotesi di induzione: visto che per un Sostituisco 𝑛 con 𝑛 + 1
𝑛(𝑛+1) (𝑛+1)(𝑛+2)
numero (quello di prima) funziona, →
2 2
assumiamo che la proprietà sia valida per un Poi scrivo la proprietà di 𝑛
generico 𝒏. Principio di induzione: ora 𝑛(𝑛+1)
1 + 2 + 3+. . +𝑛 = 2
verifichiamo che la proprietà è valida anche
per 𝒏 + 𝟏: se lo è allora la proprietà vale per E ci aggiungo quello che le serve per farla
tutti gli 𝒏 maggiori o uguali al primo numero diventare di 𝑛 + 1: in questo caso, a destra avrò
sostituito nella formula. Il perché lo vediamo un termine in più (ossia 𝑛 + 1), e ovviamente la
alla fine. somma totale aumenterà di 𝑛 + 1:
𝑛(𝑛+1)
Il trucchetto in questa fase è questo: sostituisci 1 + 2 + 3+. . +𝑛 + (𝑛 + 1) = + (𝑛 + 1)
2
𝒏 con 𝒏 + 𝟏 e fai i conti, e tieni la formula che Facciamo i calcoli
𝑛(𝑛+1) 2(𝑛+1)
hai trovato da parte. Poi scrivi la proprietà di +
2 2
𝒏 e ci aggiungi quello che le manca per farla 𝑛(𝑛+1)+2(𝑛+1)
diventare di 𝒏 + 𝟏, e smacchini un po’ finché 2
Raccogliamo 𝑛 + 1
non diventa uguale a quella che hai trovato (𝑛+2)(𝑛+1)
prima. Leggi a fianco che capisci meglio. 2
Ed ecco che la formula è proprio uguale a quella
che avevo trovato in partenza! La
dimostrazione è completata.
4. Capire che diavoleria abbiamo fatto. Il Abbiamo preso inizialmente 𝑛 = 1, e
principio di induzione si basa sul fatto che se dimostrandola per 𝑛 + 1 abbiamo dimostrato
una proprietà è valida per un numero casuale che è valida anche per 2. Ma se è valida per 2,
che abbiamo scelto, possiamo avremmo potuto sostituire 2 all’inizio, e allora
temporaneamente dichiarare la formula la formula sarebbe stata dimostrata valida per
valida in modo da poter verificare che questa 3. Ma se la formula funziona con 3, e in partenza
valga anche per il successivo 𝒏 + 𝟏. Se vale per avessimo casualmente scelto 3 come numero
il suo successivo, vuol dire che all’inizio con cui provarla, l’avremmo dimostrata per 4. E
potevamo verificare la formula con quel così per 5, 6, 7…all’infinito!
numero e dimostrarla per il successivo del
successivo, e così via all’infinito. È proprio (NDR: per il principio di induzione non servono
grazie al fatto che c’è sempre un numero tremila dimostrazioni pronte, bisogna mettere le
successivo a qualsiasi numero che abbiamo mani in pasta. Quindi: se vi servono le dimostrazioni
scelto che questo principio regge. Se non hai fatte in aula non esitate a scrivermi, qui metto il
capito, leggi a fianco :) necessario per capire, altrimenti escono 2000 pagine)
7. Funzioni
*ATTENTION PLEASE* Rita, d’ora in avanti, prenderà solo funzioni reali che vanno da A ⊆ R in R.
A è chiamato dominio della funzione, ma ha lo stesso significato che in Fondamenti di informatica
ha l’insieme di definizione. Che vuol dire? Che il dominio e l’insieme di definizione sono uguali, per
cui non avremo nessun elemento a di A per cui non esiste 𝑓(𝑎). Inoltre restiamo sempre nel campo
dei numeri ordinabili, e questo ci è molto comodo.

TERMINE DEFINIZIONE
FUNZIONE Dati due insiemi A e B, una funzione 𝑓(𝑥) 𝐴 → 𝐵 è una legge che associa
ad ogni elemento di A (dominio) un unico elemento di B (insieme
immagine). In generale 𝐴 ⊆ 𝑅, 𝐵 = 𝑅. Dati gli elementi a di A e gli
elementi b di B, si scrive 𝑓(𝑎) = 𝑏; nel piano cartesiano, gli elementi di
A sono rappresentati sull’asse delle ascisse o asse x, gli elementi del
gruppo B sull’asse delle ordinate o asse y. Le loro coppie ordinate,
stabilite dalla funzione, formano il grafico della stessa.
Le funzioni in generale si scrivono indicando con x la variabile
indipendente e y la variabile dipendente (x nella formula, y per il
risultato).
IMMAGINE E 𝑓(𝑎) = 𝑏 : b è immagine di a, a è controimmagine di b.
CONTROIMMAGIN
E
RESTRIZIONE DEL Si può restringere il dominio della funzione in modo da considerarne
DOMINIO solo un pezzetto: in questo caso si parla di restrizione di 𝑓(𝑥) ad un
insieme C. Si scrive 𝑓|𝐶 o 𝑓̃(𝑥). Può di conseguenza ridursi anche
l’insieme immagine. Se si opera una restrizione all’insieme N (NDR con
lo 0 in questi casi di solito), stiamo dicendo che vogliamo solo considerare
le x naturali: il grafico sarà fatto da punti disgiunti e sarà chiamata
successione.
COMPOSIZIONE DI 𝑔(𝑎) ∘ 𝑓(𝑎) = 𝑔(𝑓(𝑎)) è una composizione di funzioni. Significa che a
FUNZIONI un numero a associo un elemento b, che a sua volta viene associato a un
terzo elemento c. Quindi ci sono due associazioni, aka leggi, alias
funzioni che operano sullo stesso valore. Per farla più semplice facciamo
un esempio:
𝑔(𝑎) = 𝑎 + 3 e 𝑓 (𝑎) = 2𝑎 − 1. Fare 𝑔(𝑎) ∘ 𝑓(𝑎) significa prendere il
risultato di 𝑓(𝑎) e di inserirlo al posto della 𝑎 in 𝑔(𝑎): quindi è uguale a
(2𝑎 − 1) + 3, ossia 2𝑎 + 2. La composizione di funzioni non è
commutativa: infatti se inserisco 𝑔(𝑎) in 𝑓(𝑎) esce 2(𝑎 + 3) − 1, che
risulta essere 2𝑎 + 5.
Bisogna fare attenzione: il primo valore viene “elaborato” da 𝑓(𝑎), che
diventa oggetto della funzione 𝑔(𝑎). Quindi bisogna assicurarsi che
l’insieme immagine di 𝑓(𝑎) sia contenuto o uguale al dominio di 𝑔(𝑎).
Se così non fosse, la prima funzione passerebbe alla seconda un valore
che questa non può “elaborare”. Per evitare ciò si può restringere il
dominio della prima funzione in modo da evitare valori che la seconda
non può accettare.
FUNZIONE Si dice che 𝑓(𝑎) è iniettiva se 𝑓 (𝑎 ) ≠ 𝑓 (𝑎’) ⟺ 𝑎 ≠ 𝑎’, ∀ 𝑎, 𝑎’ ∈ 𝐴
INIETTIVA, (leggi: ogni x è associato ad una e una sola y).
SURIETTIVA,
BIUNIVOCA Si dice che 𝑓(𝑎) è suriettiva se 𝑖𝑚 𝑓 (𝑎) = 𝐵
(leggi: la funzione dà come risultato tutti i numeri reali; se “schiacci” la
funzione a destra e a sinistra e la fai aderire all’asse delle y, tutto l’asse
è coperto dalla funzione).

Si dice che 𝑓(𝑎) è biunivoca o biiettiva se è sia suriettiva che iniettiva.


FUNZIONE INVERSA 𝑓: 𝐴 → 𝐵 biunivoca
∃ 𝑎 ∈ 𝐴 ∶ 𝑓(𝑎) = 𝑏 ⋀ 𝑎 𝑠𝑖𝑓𝑓𝑎𝑡𝑡𝑜 è 𝑢𝑛𝑖𝑐𝑜, ∀ 𝑏 ∈ 𝐵
(NDR: si può scrivere con ∃!, che significa esiste ed è unico, esiste un solo.
Viene così: ∃! 𝑎 ∈ 𝐴 ∶ 𝑓 (𝑎) = 𝑏, ∀ 𝑏 ∈ 𝐵)

Si dice funzione inversa di 𝑓 la funzione che associa ad ogni 𝑏 la sua


controimmagine 𝑎, ossia 𝑓 −1 (𝑏) = 𝑎 ⟺ 𝑓(𝑎) = 𝑏, ∀ 𝑎 ∈ 𝐴 ⋀ 𝑏 ∈ 𝐵.
La indichiamo con 𝑓 −1 : 𝐵 → 𝐴.
Per ricavare la funzione inversa, dopo esserci assicurati che la funzione
è biunivoca, basta scrivere sostituire le x con delle y e viceversa e poi
isolare la y. Esempio:
𝑓 (𝑥) = 3𝑥 − 2
𝑦 = 3𝑥 − 2
Sostituiamo x con y e viceversa
𝑥 = 3𝑦 − 2
Portiamo tutte le y a destra e il resto a sinistra
−3𝑦 = − 𝑥 − 2
− 𝑥−2
𝑦 = −3
𝑥+2 −1
𝑦= 3
(moltiplicato per −1, che è uguale a 1 e quindi non influisce)
E questa sopra è 𝑓 −1 (𝑥).

Osservazione 1: la composizione della funzione inversa e della funzione


diretta (e viceversa) risulta essere la funzione identità.

Funzione (𝑓 ∘ 𝑓 −1 )(𝑏) (𝑓 −1 ∘ 𝑓)(𝑎)


Dominio 𝑓: 𝐵 → 𝐵 𝑓: 𝐴 → 𝐴
Risultato 𝑓(𝑓 −1 (𝑏)) = 𝑏 𝑓 −1 (𝑓(𝑎))
= 𝑎

Osservazione 2: il grafico della funzione inversa è il simmetrico del


grafico della funzione diretta rispetto alla bisettrice primo-terzo
quadrante (y=x).
Ecco qui per esempio il grafico di una funzione (rossa) e della sua
inversa (blu):
MONOTONIA DI Monotonia significa letteralmente “un solo tono”, nel senso che la
UNA FUNZIONE funzione non cambia mai il suo salire o scendere (se sale continua a
salire, se scende continua a scendere).

Si dice che 𝑓 è monotona crescente (o crescente in senso stretto) se


∀ 𝑥1 , 𝑥2 ∈ 𝐴, 𝑥1 < 𝑥2 , si ha 𝑓 (𝑥1 ) < 𝑓 (𝑥2 ).
Si dice che 𝑓 è monotona decrescente (o decrescente in senso stretto) se
∀ 𝑥1 , 𝑥2 ∈ 𝐴, 𝑥1 < 𝑥2 , si ha 𝑓 (𝑥1 ) > 𝑓 (𝑥2 ).

Si dice che 𝑓 è monotona non decrescente (o crescente in senso lato) se


∀ 𝑥1 , 𝑥2 ∈ 𝐴, 𝑥1 < 𝑥2 , si ha 𝑓 (𝑥1 ) ≤ 𝑓 (𝑥2 ).
Si dice che 𝑓 è monotona non crescente (o decrescente in senso lato) se
∀ 𝑥1 , 𝑥2 ∈ 𝐴, 𝑥1 < 𝑥2 , si ha 𝑓 (𝑥1 ) ≥ 𝑓 (𝑥2 ).

Esempi:
Parabola 𝑦 = 𝑥 2 : su R non è crescente né decrescente: non è monotona
Se la restringo a (0,2) è monotona crescente in senso stretto

1
L’iperbole 𝑦 = 𝑥 non è monotona perché scende, ma poi risale per poi
riscendere
Se la restringo su un insieme adeguato è decrescente stretta; se includo
lo 0 non è decrescente perché “c’è il problema dello 0”

1−𝑥 𝑥 ≤ 0
𝑓 (𝑥) = { è monotona non crescente o decrescente in senso
−1 𝑥 > 0
lato.

Osservazione: Sia 𝑓: 𝐴 → 𝑅 : la monotonia stretta è una condizione


sufficiente per l’iniettività.
LIMITATEZZA DI 𝑓: 𝐴 → 𝑅 si dice superiormente limitata se la sua immagine 𝐼𝑚(𝑓) è un
UNA FUNZIONE sottoinsieme di R superiormente limitato (cioè ∃ 𝑘 ∈ 𝑅 ∶ 𝑓(𝑥) ≤
𝑘, ∀ 𝑥 ∈ 𝐴). Si valuta in verticale (guardando se va in alto all’infinito o
no) perché riguarda le immagini, aka “le y”.
𝑓: 𝐴 → 𝑅 si dice inferiormente limitata se la sua immagine 𝐼𝑚(𝑓) è un
sottoinsieme di R inferiormente limitato (cioè ∃ 𝑘 ∈ 𝑅 ∶ 𝑓(𝑥) ≥
𝑘, ∀ 𝑥 ∈ 𝐴).

Una funzione è limitata se è limitata sia inferiormente che


superiormente.
La limitatezza della funzione è la limitatezza della sua immagine, ossia
dell’insieme di arrivo B.
FUNZIONE PARI, Funzione pari: 𝑓 si dice pari se 𝑓(𝑥) = 𝑓(−𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝐴; il grafico è
FUNZIONE DISPARI simmetrico rispetto all’asse y.
Funzione dispari: 𝑓 si dice dispari se 𝑓(−𝑥) = −𝑓(𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝐴; il grafico
è simmetrico rispetto all’origine.

Entrambe suppongono che il dominio sia simmetrico rispetto all’origine


(0, 0).

La divisione di una funzione dispari per una pari (e viceversa) dà una


funzione dispari.
FUNZIONE 𝑓 si dice funzione periodica di periodo 𝑝 se 𝑝 è il più piccolo numero
PERIODICA positivo tale che 𝑓(𝑥 + 𝑝) = 𝑓(𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝐴. Gli esempi più banali sono le
funzioni trigonometriche seno, coseno e tangente.
PUNTO FISSO I punti fissi della funzione sono tutti i punti per cui 𝑓(𝑥) = 𝑥 (tutte le
DELLA FUNZIONE intersezioni con la bisettrice primo-terzo quadrante, y=x).

8. Successioni
TERMINE SPIEGAZIONE
SUCCESSIONE Si dice successione una funzione a valori reali definita su N (ossia che
ha come argomento i numeri naturali o un loro sottoinsieme). Può
partire da un qualsiasi numero naturale n (1, 5, 10199754…): 𝑁′ =
{𝑛 ∈ 𝑁: 𝑛 ≥ 𝑛0 , 𝑛0 ∈ 𝑁}

Si può scrivere in diversi modi:


𝑓 (𝑥) = 𝑎𝑥
{𝑎𝑛 }, 𝑛 ∈ 𝑁
{𝑎1 , 𝑎2 , 𝑎3 … }

Tutte le funzioni che sono ristrette in N sono successioni. Il grafico di


una successione è fatto da punti disgiunti.
MONOTONIA DI UNA Si dice che {𝑎𝑛 } è monotona crescente (o crescente in senso stretto) se
SUCCESSIONE ∀ 𝑛 ∈ N , si ha {𝑎𝑛 } < {𝑎𝑛+1 }.
Si dice che {𝑎𝑛 } è monotona decrescente (o decrescente in senso stretto)
se ∀ 𝑛 ∈ N , si ha {𝑎𝑛 } > {𝑎𝑛+1 }.

Si dice che {𝑎𝑛 } è monotona non decrescente (o crescente in senso lato)


se ∀ 𝑛 ∈ N , si ha {𝑎𝑛 } ≤ {𝑎𝑛+1 }.
Si dice che {𝑎𝑛 } è monotona non crescente (o decrescente in senso lato)
se ∀ 𝑛 ∈ N , si ha {𝑎𝑛 } ≥ {𝑎𝑛+1 }.
Quando dobbiamo verificare se una successione è monotona, ma in
generale se qualcosa vale per tutti i naturali maggiori di n, deve subito
venirci in mente di usare l’induzione.

Monotonia: condizione sufficiente per l’esistenza del limite, non


(−1)𝑛
necessaria ( saltella ma ha limite 0)
𝑛
Se una successione è monotona ⇒ ha limite; se ha limite non è detto
che sia monotona.
SUCCESSIONI Le successioni definite per ricorrenza specificano i valori iniziali di
DEFINITE PER tutti gli argomenti e una formula da applicare per ottenere il termine
RICORRENZA successivo a partire dai precedenti, non dall’indice.
𝑎1 = 𝑎
𝑎𝑛+1 = 𝑓(𝑎𝑛 )

Per esempio:
𝑎1 = 1
3+𝑎𝑛
𝑎𝑛+1 =
2
Quindi
3+𝑎𝑛
3+
2
𝑎𝑛+2 =
2

3+𝑎𝑛
3+
3+ 2
2
𝑎𝑛+3 =
2
Ecc ecc.

Una successione ricorsiva può essere pensata anche come una


funzione con dominio N che viene composta con sé stessa n+1 volte,
dove n+1 è l’indice del termine della successione (non parte da n
perché il primo termine, n=1, è uguale ad a: la prima volta che viene
“usata” è in 𝑎2 ). Quindi:
𝑎1 = 𝑎
𝑎2 = 𝑓(𝑎)
𝑎3 = 𝑓(𝑓(𝑎))
𝑎4 = 𝑓(𝑓 (𝑓(𝑎)))
E così via.

In generale, se si tratta di una funzione algebrica solitamente è


possibile trovare anche la formula diretta, ossia che calcola il termine
𝑎𝑛 a partire dal solo indice n.
Per trovare i valori della successione senza fare calcoli esasperanti si
usa il metodo del grafico a ragnatela, o metodo della bisettrice:
si disegna y = 𝑓(𝑥); partendo dal punto (𝑎1 , 0) si procede lungo una
retta verticale fino a raggiungere il grafico della funzione nel punto
(𝑎1 , 𝑓 (𝑎1 )) = (𝑎1 , 𝑎2 ). Quindi traccia una linea orizzontale fino ad
incontrare la retta 𝑦 = 𝑥 nel punto (𝑎2 , 𝑎2 ) e si ripete il procedimento
in modo che le coordinate x dei vertici della spezzata diano la
successione.
LIMITE DI UNA Si dice che {𝑎𝑛 } ha limite 𝐿 ∈ 𝑅 per 𝑛 che tende a (→) infinito
SUCCESSIONE lim 𝑎𝑛 = 𝐿 se ∀ 𝜀 > 0 ∃ 𝑁0 ∈ 𝑁: |𝑎𝑛 – 𝐿 | < ε (sciogliendo il modulo
𝑛→+∞
si ottiene 𝐿 − 𝜀 < 𝑎𝑛 < 𝐿 + 𝜀) ∀ 𝑛 > 𝑁0 .

Una successione che ha un limite numerico si dice convergente. Per


essere specifici si dice che converge definitivamente, perché dopo 𝑁0
la successione darà valori sempre più vicini a L, ossia tende
inesorabilmente (definitivamente) a L.
Se la successione converge si dice anche che la successione è limitata.

Questa definizione di limite non è operativa: non dice come trovare


l’eventuale L.
TEOREMA DI Sia {𝑎𝑛 } una successione: lim {𝑎𝑛 } = 𝐿 ⋀ lim {𝑎𝑛 } = 𝐿′ ⇒ 𝐿 = 𝐿′.
𝑛→+∞ 𝑛→+∞
UNICITÀ DEL LIMITE Si dimostra per assurdo: supponiamo che 𝐿 < 𝐿’
(DIMOSTRAZIONE 𝐿′ −𝐿
Imponiamo che 𝜀 < , in modo che le aree di operazione di ε non
RICHIESTA DALLA 4

RITA!!) si sovrappongano (Esempio: se L=4 e L’=8, se 𝜀 = 3 le due disequazioni


sono 1 < 𝑎𝑛 < 7 e 5 < 𝑎𝑛 < 11 Si nota subito che hanno delle soluzioni
in comune, la striscia tra 𝑦 = 5 e 𝑦 = 7: noi invece vogliamo che le due
𝐿′ −𝐿
strisce non si sovrappongano, e con 𝜀 < 4
, ossia in questo caso 𝜀 <
1, non succede. Guarda qui sotto).

𝜺=3 𝜀 = 0.5

I limiti, per definizione, valgono dopo un certo numero 𝑁0 : prendiamo


𝑁̅ = max(𝑁0 , 𝑁1 ) in modo che valgano entrambi i limiti. Quindi dopo
questo numero possiamo impostare le disequazioni
𝐿 − 𝜀 < 𝑎𝑛 < 𝐿 + 𝜀
{
𝐿′ − 𝜀 < 𝑎𝑛 < 𝐿′ + 𝜀
Ma allora 𝑎𝑛 < 𝐿 + 𝜀 < 𝐿’ − 𝜀 < 𝑎𝑛 : Questo vuol dire che il termine
della successione dovrebbe essere maggiore di sé stesso, e questo è
impossibile.

ALGEBRA DEI LIMITI Siano {𝑎𝑛 } → 𝑎 ⋀ {𝑏𝑛 } → 𝑏 ⇒


{𝑎𝑛 } + {𝑏𝑛 } → 𝑎 + 𝑏
{𝑎𝑛 } − {𝑏𝑛 } → 𝑎 − 𝑏
{𝑎𝑛 }{𝑏𝑛 } → 𝑎𝑏
{𝑎𝑛} 𝑎
{𝑏 }
→𝑏
𝑛
|{𝑎𝑛 }| → |𝑎|
Se {𝑎𝑛 } < {𝑏𝑛 } allora 𝑎 ≤ 𝑏
Se {𝑎𝑛 } è costante {an } → 𝑎𝑛 ∀ n

La dimostrazione della somma procede così:


{𝑎𝑛 } → 𝑎 ⋀ {𝑏𝑛 } → 𝑏 ⇒ 𝑎 − 𝜀 < 𝑎𝑛 < 𝑎 + 𝜀 ⋀ 𝑏 − 𝜀 < 𝑏𝑛 < 𝑏 + 𝜀
𝜀
Possiamo prendere un 𝜀 qualsiasi, quindi scegliamo
2
𝜀 𝜀 𝜀 𝜀
𝑎 − 2 < 𝑎𝑛 < 𝑎 + 2 ⋀ 𝑏 − 2 < 𝑏𝑛 < 𝑏 + 2
Sommiamo le due disequazioni
(𝑎 + 𝑏) − 𝜀 < 𝑎𝑛 + 𝑏𝑛 < (𝑎 + 𝑏) + 𝜀
Ed è dimostrata, perché questa è la definizione di limite.
SUCCESSIONE Si dice che {𝑎𝑛 } ha limite 𝐿 ∈ 𝑅 per 𝑛 che tende a (→) infinito
CONVERGENTE, lim 𝑎𝑛 = 𝐿 se ∀ 𝜀 > 0 ∃ 𝑁0 ∈ 𝑁: |𝑎𝑛 – 𝐿 | < ε (sciogliendo il modulo
𝑛→+∞
SUCCESSIONE si ottiene 𝐿 − 𝜀 < 𝑎𝑛 < 𝐿 + 𝜀) ∀ 𝑛 > 𝑁0 . Una successione che ha un
DIVERGENTE limite numerico si dice convergente.

Si dice che la successione {𝑎𝑛 } diverge a +∞ se ∀ 𝑘 ∈ 𝑅 ∃ 𝑁0 ∈ 𝑁: 𝑎𝑛 >


𝑘 ∀ 𝑛 > 𝑁0 .

Si dice che la successione {𝑎𝑛 } diverge a −∞ se ∀ 𝑘 ∈ 𝑅 ∃ 𝑁0 ∈ 𝑁: 𝑎𝑛 <


𝑘 ∀ 𝑛 > 𝑁0 .

In pratica: se diverge a +∞ vuol dire che assume valori sempre più


grandi e non arriva mai ad un valore massimo; se diverge a −∞
significa che assume valori sempre più piccoli, ma non arriva mai ad
un minimo.
SISTEMA DEI Sistema dei numeri reali esteso R* (leggi “R asterisco” NDR: certe volte
NUMERI REALI è chiamato R star): comprende +∞ e − ∞, non sono numeri, ma simboli
ESTESO R* 𝑅 ∗ = 𝑅 ∪ {−∞, +∞}
−∞ < 𝑎 < +∞ ∀ 𝑎 ∈ 𝑅

𝑎 + (+∞) ≝ +∞
𝑎 + (−∞) ≝ – ∞

+∞ + (+∞) ≝ +∞
−∞ + (−∞) ≝ −∞

+∞ ∙ (+∞) ≝ +∞
−∞ ∙ (+∞) ≝ −∞
−∞ ∙ (−∞) ≝ +∞

𝑎(+∞) ≝ +∞, 𝑎 >0


𝑎(−∞) ≝ −∞, 𝑎 >0
𝑎(−∞) ≝ +∞, 𝑎 <0
𝑎(+∞) ≝ −∞, 𝑎 <0

𝑎
±∞
≝0

Non sono definite frazioni fra infiniti, né 0 ∙ ±∞. Le regole dell’algebra


dei limiti si estendono nel caso di successioni divergenti purché le
operazioni di somma, prodotto, quoziente dei limiti siano definite in
R*.
DIAMO SENSO AD lim 𝑎𝑛 = 𝑎 ≠ 0 ⋀ lim 𝑏𝑛 = 0 ⋀ 𝑏𝑛 > 0 𝑑𝑒𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑖𝑣𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 ⇒
𝑛→+∞ 𝑛→∞
UN’OPERAZIONE CHE 𝑎 +∞ 𝑎𝑛 > 0
lim 𝑏𝑛 = {
ALTRIMENTI NON 𝑛→+∞ 𝑛 −∞ 𝑎𝑛 < 0
AVREBBE SENSO (CIT. In pratica: la scrittura qui sopra dice che se abbiamo un limite
RITA) numerico e un limite a 0+ (ossia che tende a zero da sopra l’asse delle
x), allora il limite della divisione dei due è ±∞ in base al segno della
prima successione.
Non si definiscono certi limiti perché ci sono più casi e il limite
potrebbe non essere verificato (ossia i casi in cui bisogna valutare
limite per limite).
TEOREMA DI (Hp) Sia {𝑎𝑛 } una successione monotona non decrescente ⇒ (Th)
ESISTENZA DEL ∃ 𝑙𝑖𝑚 𝑎𝑛 ⋀ 𝑙𝑖𝑚 𝑎𝑛 = 𝑠𝑢𝑝{𝑎𝑛 }
𝑛→+∞ 𝑛→+∞
LIMITE PER
SUCCESSIONE Dim. se limite è numerico
MONOTONA NON Sia 𝐿 ∈ 𝑅 ⋀ 𝐿 = sup{𝑎𝑛 }
DECRESCENTE ∀ ε > 0 ∃ 𝑎𝑛̅ : 𝐿 − 𝜀 < 𝑎𝑛̅ < 𝐿 + 𝜀
(Nota: il limite superiore può coincidere con il massimo)
Poiché 𝐿 = sup{𝑎𝑛 } ⇒ 𝑎𝑛̅ ≤ 𝐿 ∀ 𝑛̅ ∈ 𝑁
Per la monotonia 𝑎𝑛̅ ≤ 𝑎𝑛̅+1 ≤ 𝑒𝑐𝑐 ≤ 𝐿
Cioè 𝐿 − 𝜀 < 𝑎𝑛̅ ≤ 𝐿, ∀ 𝑛 > 𝑛̅
Pertanto 𝑎𝑛 → 𝐿 per 𝑛 → +∞
lim 𝑎𝑛 = 𝐿
𝑛→+∞

Dim. se il limite non è numerico


Sia sup{𝑎𝑛 } = +∞
∀ 𝑁 ∈ 𝑅 ∃ 𝑛̅: 𝑁 < 𝑎𝑛̅ , ∀ 𝑛̅ > 𝑁0 , 𝑁0 ∈ N
Per la monotonia 𝑁 ≤ 𝑎𝑛̅ ≤ 𝑎𝑛̅+1 ≤ 𝑒𝑐𝑐
Cioè 𝐿 − 𝜀 < 𝑎𝑛̅ ≤ 𝐿, ∀ 𝑛 > 𝑛̅
Pertanto 𝑎𝑛 → +∞ per 𝑛 → +∞
lim 𝑎𝑛 = +∞
𝑛→+∞

Abbiamo dimostrato che il limite, sia numerico che non, per una
successione monotona non decrescente esiste sempre. Per le
successioni monotone non crescenti si procede cambiando di verso
alle disequazioni interessate.
CALCOLARE IL Calcolare il limite per 𝑛 → +∞ di una successione che è definita per
LIMITE PER 𝒏 → +∞ DI ricorsione:
UNA SUCCESSIONE 𝑎1 = 1
{
CHE È DEFINITA PER 𝑎𝑛+1 = √𝑎𝑛 + 1
RICORSIONE Successione ben definita (è sempre possibile calcolare 𝑎𝑛 aka verifica
che sotto la radice ci sia sempre un numero non negativo)

Che cosa dobbiamo fare? Prima, vediamo se la successione è positiva


o negativa. Poi vediamo se è monotona. Se è monotona, allora
ammette limite, e perché allora non ce lo calcoliamo, tanto due o tre
pagine in più di conti che ci cambiano…

Hp 𝑎𝑛 ≥ 0 (possibile perché con n=1 è verificata: procediamo per


induzione)
Th 𝑎𝑛+1 ≥ 0
Dim 𝑎𝑛+1 = √𝑎𝑛 + 1

⏟ 𝑎𝑛 + 1 ≥ 0 (Nota: possiamo dire che √𝑎𝑛 ≥ −1 ⇒
𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑎
√𝑎𝑛 > −1)
Verificata: è sempre positiva

Dimostrare che è monotona non decrescente


𝑎𝑛 ≤ 𝑎𝑛+1
𝑎𝑛 ≤ √𝑎𝑛 + 1
𝑎𝑛 − √𝑎𝑛 − 1 ≤ 0

𝑡 = √𝑎𝑛
𝑡2 − 𝑡 − 1 ≤ 0
1±√5
𝑡=
2
1+√5
𝑡1 = (prendo solo quella positiva perché la successione è sempre
2
positiva) (NDR: questo numero è la sezione aurea, aka “phi”. Se volete fare
gli acculturati, andate a vedere che meraviglie fa.)

(𝑡 2 = 𝑎𝑛 )
2
1+√5
𝑎𝑛 ≤ ( )
2
(𝑎𝑛 ≤ 2,6)
2
1+√5
⇒ possiamo dire che ∀ n è monotona per tutti gli 𝑎𝑛 ≤ ( 2
)
Ma non sarà mica che quel numero sia anche il limite? Vediamo!

2
1+√5
Verifica del limite ipotizzato: 𝑎𝑛 < ( 2
) ∀𝑛 ∈ 𝑁
Si va per induzione
2
1+√5
𝑎1 = 1 < ( 2
) ⇒ vera: quindi posso usarla come ipotesi di
induzione
2
1+√5
𝑎𝑛 < ( 2
) vera per ipotesi di induzione
2
1+√5
𝑎𝑛+1 < ( ) ?
2
2
1+√5
√𝑎𝑛 + 1 < ( 2
) ?
2 2
1+√5
𝑎𝑛 < (( ) − 1)
2
2 2 2
1+√5 1+√5
Se fate i calcoli, (( ) − 1) = ( ) : quindi si ritorna all’ipotesi
2 2

di induzione che è vera, per cui è dimostrato.


Per il teorema di ∃ limite di successione monotona ed è uguale a
2
1+√5
( ) . L’esercizio è finito, andiamo in pace (rendiamo grazie alla
2
Rita).
TEOREMA DEL Teorema del confronto (dei carabinieri: le due successioni “esterne
CONFRONTO sono i carabinieri che stringono sempre di più il furfante)
𝑎𝑛 ≤ 𝑏𝑛 ≤ 𝑐𝑛 definitivamente (ossia ∀ 𝑛 > 𝑁0 , dove 𝑁0 è un numero
particolare per ogni successione, la successione ha la proprietà che è
enunciata. Ossia: se diciamo che 𝑎𝑛 è monotona non decrescente ∀ n ≥
4, si dice che è monotona non decrescente definitivamente per ogni n
maggiore o uguale a quattro)
lim 𝑎𝑛 = 𝐿, lim 𝑐𝑛 = 𝐿, ⇒ lim 𝑏𝑛 = 𝐿 (th)
𝑛→𝑘 𝑛→𝑘 𝑛→𝑘
(k può essere uguale anche a ±∞)
Per la definizione di limite
𝐿 − 𝜀 < 𝑎𝑛 < 𝐿 + 𝜀, ∀ 𝑛 > 𝑁0
𝐿 − 𝜀 < 𝑏𝑛 < 𝐿 + 𝜀, ∀ 𝑛 > 𝑁1
𝐿 − 𝜀 < 𝑐𝑛 < 𝐿 + 𝜀, ∀ 𝑛 > 𝑁2

̃ = max(𝑁0 , 𝑁1 , 𝑁2 ) ossia prendiamo il valore per cui tutti i limiti sono


𝑁
validi

Quindi combiniamo tutte le disequazioni precedenti insieme a 𝑎𝑛 ≤


𝑏𝑛 ≤ 𝑐𝑛 e ci esce
𝐿 − 𝜀 < 𝑎𝑛 ≤ 𝑏𝑛 ≤ 𝑐𝑛 < 𝐿 + 𝜀
In pratica: sia 𝑎𝑛 e 𝑐𝑛 sono comprese fra 𝐿 − 𝜀 e 𝐿 + 𝜀, ma 𝑏𝑛 è
compresa fra 𝑎𝑛 e 𝑐𝑛 : quindi è compresa anche questa fra 𝐿 − 𝜀 e 𝐿 + 𝜀.
Dimostrato!
ESEMPI DI lim sin(𝑛!)
2 = ? Notiamo che sin(𝑛!) è sempre compreso fra -1 e 1
𝑛→+∞ 𝑛
APPLICAZIONE
⇒ costruisco le funzioni in modo che siano sempre maggiori o sempre
PRATICA DEL
minore
TEOREMA DEL
Quando ho una funzione limitata, per costruire una funzione sempre
CONFRONTO
maggiore o uguale alla stessa sostituisco alla funzione il suo valore
massimo e riscrivo la funzione; idem per la funzione sempre minore o
uguale con il valore minimo)
1 sin(𝑛!) 1
− 𝑛2 ≤ 𝑛2
≤ 𝑛2 entrambe tendono a 0 quindi la successione tende a
0
(Se avete un prodotto di due funzioni, una limitata e l’altra che tende
a 0, il limite è 0 per risultato dell’applicazione di questo teorema)
OSSERVAZIONE SUL Osservazione. Siano {𝑎𝑛 } e {𝑏𝑛 } successioni tali che 𝑎𝑛 ≤ 𝑏𝑛 : ⇒ se
CONFRONTO DI 𝑙𝑖𝑚 𝑎𝑛 = +∞ ⇒ 𝑙𝑖𝑚 𝑏𝑛 = +∞
𝑛→+∞ 𝑛→+∞
SUCCESSIONI CHE {
𝑙𝑖𝑚 𝑏𝑛 = −∞ ⇒ 𝑙𝑖𝑚 𝑎𝑛 = −∞
𝑛→+∞ 𝑛→+∞
TENDONO A Dimostrazione: basta giocare con le disequazioni come per il teorema
INFINITO dei carabinieri: 𝑎 > 𝑁 per qualsivoglia N grande a piacere poiché
𝑛
tende a +∞, ma 𝑏𝑛 > 𝑎𝑛 > 𝑁: quindi 𝑏𝑛 > 𝑁 per qualsivoglia N, quindi
risponde alla definizione di limite = +∞.
CRITERIO DEL Sia {𝑎𝑛 } una successione sempre positiva 𝑎𝑛 > 0 ∀ 𝑛
RAPPORTO 𝐿<1 lim 𝑎𝑛 = 0
𝑛→+∞
𝑎𝑛+1
lim =𝐿⇒{ 𝐿=1 ?
𝑛→+∞ 𝑎𝑛
𝐿>1 lim 𝑎𝑛 = +∞
𝑛→+∞
L è un numero, ossia 𝐿 ∈ 𝑅
Dimostrazione per 𝐿 < 1
𝑎
lim 𝑎𝑛+1 < 1
𝑛→+∞ 𝑛
Quindi possiamo dire che 𝐿 + 𝜀 < 1 ∀ 𝜀 > 0
𝑎𝑛+1
< 𝐿+𝜀 ∀𝑛 ≥ 𝑁 ̅
𝑎𝑛
𝑎𝑛+1 < 𝑎𝑛 (𝐿 + 𝜀) ∀ 𝑛 ≥ 𝑁 ̅
𝑎𝑁̅+1 < 𝑎𝑁̅ (𝐿 + 𝜀)
𝑎𝑁̅+2 < 𝑎𝑁̅+1 (𝐿 + 𝜀) < 𝑎𝑁̅ (𝐿 + 𝜀)2
(Se si prendono solo gli ultimi due membri della disequazione e si
semplifica (𝐿 + 𝜀) ritorniamo alla prima disequazione)
0 < 𝑎𝑛 < 𝑎𝑁̅ (𝐿 + 𝜀)𝑛−𝑁̅
𝑎𝑁
̅
∙ (𝐿 + 𝜀)𝑛 → 0
⏟ 𝑁̅ ⏟
(𝐿+𝜀)
→0
𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
Per teorema del confronto anche {𝑎𝑛 } tende a 0 per 𝑛 → +∞.

𝑎𝑛+1
lim > 1: la dimostrazione segue più o meno quella sopra, tranne
𝑛→+∞ 𝑎𝑛
il fatto che si dimostra essere sempre superiore ad una serie
divergente, per cui è divergente anche {𝑎𝑛 }.

𝑛𝛼
Esempio 1: 𝑎𝑛 = , ℎ > 0, 𝛼 > 0
ℎ𝑛
𝑎𝑛+1 (𝑛+1)𝛼 ℎ𝑛 1 𝛼 1 1
= ∙ = (1 + ) ∙ →
𝑎𝑛 ℎ 𝑛+1 𝑛𝛼 𝑛 ℎ ℎ
ℎ > 1 𝑎𝑛 → 0
{
ℎ < 1 𝑎𝑛 → +∞
Quindi
𝑛5
lim =0
𝑛→+∞ 2𝑛
𝑛2
lim =0
𝑛→+∞ 𝜋 𝑛

ℎ𝑛
Esempio 2: 𝑎𝑛 = ,ℎ > 0
𝑛!
𝑎𝑛+1 ℎ 𝑛+1 𝑛! 1
𝑎𝑛
= ∙
(𝑛+1)! ℎ 𝑛
= ℎ ∙ 𝑛+1 → 0
Quindi
10𝑛
lim =0
𝑛→+∞ 𝑛!

𝑛!
Esempio 3: 𝑎𝑛 = 𝑛𝑛
𝑎𝑛+1 (𝑛+1)! 𝑛𝑛 1 1
𝑎𝑛
= (𝑛+1)𝑛+1 ∙ 𝑛!
= 1 𝑛
→𝑒
(1+ )
𝑛
FUNZIONI Sia {𝑎𝑛 }: 𝑎𝑛 → 𝑎 ∈ R,
ELEMENTARI E sia 𝑓 una funzione elementare tale che 𝑎, 𝑎𝑛 ∈ 𝐷𝑓 ⇒ 𝑙𝑖𝑚 𝑓(𝑎𝑛 ) =
𝑛→+∞
SUCCESSIONI 𝑓 (𝑎)
(in pratica si costruisce una funzione che contiene tutti i punti della
successione)
1
Es.: lim cos (𝑛2 ) = 1
𝑛→+∞
1
2 +7
lim 𝑒 𝑛 = 𝑒7
𝑛→+∞
INFINITI Si dice che una successione {𝑎𝑛 } è un infinito o è infinita se la
successione è divergente, ossia 𝑎𝑛 → ±∞
Siano {𝑎𝑛 }, {𝑏𝑛 } infiniti
𝑎𝑛
→ 0 {𝑎𝑛 } è 𝑢𝑛 𝑖𝑛𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑒 𝑖𝑛𝑓𝑒𝑟𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑎 {𝑏𝑛 }
𝑏𝑛
𝑎𝑛
→ 𝑘 ∈ 𝑅, 𝑘 ≠ 0 {𝑎𝑛 } 𝑒 {𝑏𝑛 } 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑖𝑛𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑒
𝑏𝑛
𝑎𝑛
→ +∞ {𝑎𝑛 } è 𝑢𝑛 𝑖𝑛𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑒 𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑎 {𝑏𝑛 }
{𝑏𝑛

Esempi {𝑛𝛼 }𝛼>0 , {ℎ 𝑛 }ℎ>1 , {log 𝑎 𝑛}

Logaritmi: cambiare la base non cambia l’ordine di infinito


Esponenziali: cambiare l’esponente cambia l’ordine dell’infinito

Infiniti di ordine inferiore: ordini che vengono prima (NDR: la Rita ha


messo come simbolo per indicare “è un infinito inferiore di” questo: “<”. Io
userò quello “ufficiale”: <<)
{log 𝛼𝑎 𝑛}≪{𝑛𝛽 }𝛽>0 ≪ {ℎ 𝑛 }ℎ>1 ≪ 𝑛! ≪ 𝑛𝑛
INFINITESIMI Si dice che una successione {𝑎𝑛 } è un infinitesimo o è infinitesima se la
successione converge a 0, ossia 𝑎𝑛 → 0.
Siano {𝑎𝑛 }, {𝑏𝑛 } infinitesimi, 𝑏𝑛 ≠ 0 definitivamente
𝑎𝑛
→ 0 {𝑎𝑛 } è 𝑢𝑛 𝑖𝑛𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑒𝑠𝑖𝑚𝑜 𝑑𝑖 𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑒 𝑠𝑢𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑎 {𝑏𝑛 }
𝑏𝑛
𝑎𝑛
→ 𝑘 ∈ 𝑅, 𝑘 ≠ 0 {𝑎𝑛 } 𝑒 {𝑏𝑛 } 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑖𝑛𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑒𝑠𝑖𝑚𝑖 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑒
𝑏𝑛
𝑎𝑛
→ +∞ {𝑎𝑛 } è 𝑢𝑛 𝑖𝑛𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑒𝑠𝑖𝑚𝑜 𝑑𝑖 𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑒 𝑖𝑛𝑓𝑒𝑟𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑎 {𝑏𝑛 }
{ 𝑏𝑛

1 (−1)𝑛
Esempi di infinitesimi: { 𝛼 } , {ℎ 𝑛 }0<ℎ<1 ,
𝑛 𝑎>0 𝑛

1
𝑛𝛼
Esempio 1: 1 →0 ⇔𝛼>𝛽>0
𝑛𝛽
1 1
Esempio 2: 𝑛2 >
√𝑛
ℎ𝑛
Esempio 3: ℎ > 0, 𝑘 < 1 𝑘𝑛
→0⇔ℎ<𝑘

CALCOLARE I LIMITI Si guardano gli infiniti di ordine superiore, ossia si stabilisce l’infinito
CON L’ORDINE DEGLI dominante.
INFINITI O DEGLI Si raccoglie l’infinito di ordine superiore sia al numeratore che al
INFINITESIMI denominatore: si formerà una situazione in cui ci sarà l’infinito
superiore moltiplicato per una parentesi che include 1 più tutti gli
infiniti inferiori fratto quello superiore. Questi ultimi termini tendono
tutti a 0; quindi la parentesi tende a 1. Per questo gli unici infiniti da
confrontare sono quelli superiori di numeratore e denominatore: se
l’infinito al numeratore è maggiore di quello al denominatore, la
successione diverge a +∞ o -∞; se sono infiniti di stesso ordine la
successione tenderà al coefficiente dell’infinito al numeratore fratto
quello dell’infinito al denominatore; se invece l’infinito al numeratore
è inferiore a quello del denominatore, la successione tende a 0.

4𝑛 +2𝑛
Esempio 1: lim
𝑛→+∞ 𝑛2 +4𝑛+1
→1
⏞ →0

1 𝑛
4𝑛 (1+( ) )
2
4𝑛 1
lim →1 = lim =4
𝑛→+∞ ⏞ →0 𝑛→+∞ 4∙4𝑛
⏞2
𝑛
4∙4𝑛 (1+ 𝑛 )
4

𝑛!−𝑛𝑛
Esempio 2: lim = −∞
𝑛→+∞ 2∙𝑛!

Nel caso degli infinitesimi dobbiamo prendere quello inferiore, ossia


quello che ha “massa” maggiore, ovvero quello che va a 0 più
lentamente. In quel caso dobbiamo raccogliere proprio l’infinitesimo
inferiore, e ci ritroveremo praticamente nello stesso caso sopra
riportato.
𝑏
METODO Quando ci serve, possiamo riscrivere la successione 𝑎𝑛𝑛 in questo
DELL’ESPONENZIALE 𝑏
modo: 𝑎𝑛𝑛 = 𝑒 𝑏𝑛∙ln(𝑎𝑛) (assicurandoci che 𝑎𝑛 > 0).

→1
⏞ →+∞
𝑛+2 𝑛 𝑛+2

𝑛
Esempio: lim (𝑛+1) = lim 𝑒 𝑛+1 = +∞
𝑛→+∞ 𝑛→+∞
SUCCESSIONI 𝑎𝑛 , 𝑏𝑛 ≠ 0
𝑎
ASINTOTICHE Se lim 𝑏𝑛 = 1 ⇒ {𝑎𝑛 } 𝑒 {𝑏𝑛 } 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑎𝑠𝑖𝑛𝑡𝑜𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒: 𝑎𝑛 ~ 𝑏𝑛
𝑛→+∞ 𝑛
1
Esempio 1: 𝑒 −𝑛 ~ 𝑒 −𝑛 + 𝑛!
1
(𝑛! tende a 0, quindi nel limite si elimina poiché è legato tramite
addizione (se fosse moltiplicato non potrei farlo))

Osservazione: se le funzioni sono asintotiche, allora hanno stesso


limite a +∞; non è vero il contrario (per esempio per 𝑛 e 𝑛2 )

𝑎𝑛 𝑎′𝑛
Osservazione: 𝑎𝑛 ~ 𝑎’𝑛 , 𝑏𝑛 ~ 𝑏’𝑛 ⇒ lim = lim
𝑛→+∞ 𝑏𝑛 𝑛→+∞ 𝑏′𝑛
𝑎𝑛 ~ sin(𝑎𝑛 )
𝑎𝑛 ~ ln(1 + 𝑎𝑛 )
𝑎𝑛 ~ 𝑒 𝑎𝑛 − 1
𝑎𝑛 𝛼 ~ (1 + 𝑎𝑛 )𝛼 − 1

Siano 𝑎𝑛 , 𝑏𝑛 > 0: 𝑎𝑛 ~𝑏𝑛


log(𝑎𝑛 )~ log(𝑏𝑛 ) , 𝑠𝑒 𝑎𝑛 𝑛𝑜𝑛 𝑡𝑒𝑛𝑑𝑒 𝑎 1

Quindi se si trovano queste forme si possono scambiare a vicenda:


possono renderci la vita molto più facile. Dobbiamo però assicurarci
che 𝑎𝑛 → 0.
(NDR: il limite che ha fatto d’esempio la Rita non si vedeva da registrazione
*rip* se avete bisogno di una mano non esitate a contattarmi. In ogni caso
cercherò di essere in presenza d’ora in poi per evitare questi problemi)
𝑎
O PICCOLO lim 𝑛 = 0 ⇒ {𝑎𝑛 } è o piccolo 𝑑𝑖 {𝑏𝑛 }: 𝑎𝑛 = 𝑜(𝑏𝑛 )
𝑛→+∞ 𝑏𝑛
sin(𝑛) = 𝑜(𝑛)
𝑛𝛼 = 𝑜(ℎ 𝑛 )
𝑛𝛼 = 𝑜(𝑛!)
𝑛! = 𝑜(𝑛𝑛 )
√𝑛 = 𝑜(𝑛 + 1)
ln2 𝑛 = 𝑜(𝑛)

In pratica: un infinito di ordine inferiore è o piccolo di un infinito di


ordine superiore. La relazione di o piccolo è transitiva naturalmente :)

9. Limiti di funzioni elementari

FUNZIONE FORMULA LIMITE


COSTANTE 𝑦=𝑘 lim 𝑘 = 𝑘
𝑥→+∞
RETTA 𝑦=𝑥 lim 𝑥 = +∞
𝑥→+∞
𝑦 = 𝑚𝑥 + 𝑞
POTENZA N-ESIMA 𝑦 = 𝑥𝑛 , 𝑛 ∈ 𝑁 lim 𝑥 𝑛 = +∞
𝑥→+∞
DI X 𝑦 = 𝑎1 𝑥 𝑛 + 𝑎2 𝑥 𝑛−1 + ⋯ +
𝑎𝑛 𝑥1 + 𝑎𝑛+1
RADICE N-ESIMA 𝑛
𝑦 = √𝑥 , 𝑛 ∈ 𝑁 lim 𝑛√𝑥 = +∞
𝑥→+∞

IPERBOLE 𝑘 1
𝑦= lim =0
𝑥 𝑥→+∞ 𝑥

ESPONENZIALE 𝑦 = 𝑎𝑥 Se 𝑎 > 1
lim 𝑎 𝑥 = +∞
𝑥→+∞

Se −1 < 𝑎 < 1
lim 𝑎 𝑥 = 0
𝑥→+∞
Se 𝑎 ≤ 1
lim 𝑎 𝑥 = indefinito perché “saltella”
𝑥→+∞
senza avvicinarsi a nessun
numero/infinito

LOGARITMO 𝑦 = log 𝑎 𝑥 Se 𝑎 > 1


lim log 𝑎 𝑥 = +∞
𝑥→+∞

Se 0 < 𝑎 < 1
lim log 𝑎 𝑥 = −∞
𝑥→+∞
10. Limiti notevoli
TIPO DI LIMITE LIMITI NOTEVOLI

LIMITI CHE Data una successione {𝑎𝑛 }: 𝑎𝑛 → 0, 𝑎𝑛 ≠ 0


ln(1+𝑎𝑛)
TENDONO A 1 lim =1
𝑛→+∞ 𝑎𝑛
𝑒 𝑎𝑛 −1
lim 𝑎𝑛
=1
𝑛→+∞
sin(𝑎𝑛)
lim 𝑎𝑛
=1
𝑛→+∞
tan(𝑎𝑛)
lim 𝑎𝑛
=1
𝑛→+∞
arctan(𝑎𝑛)
lim 𝑎𝑛
=1
𝑛→+∞
LIMITI CHE Data una successione {𝑎𝑛 }: 𝑎𝑛 → 0, 𝑎𝑛 ≠ 0
𝑛
TENDONO AL ( lim (1 + 1 ) = 𝑒)
𝑛
NUMERO DI NEPERO 𝑛→+∞ 1

(𝒆) lim (1 + 𝑎 𝑛 )𝑎𝑛 = 𝑒


𝑛→+∞
LIMITI CHE Data una successione {𝑎𝑛 }: 𝑎𝑛 → 0, 𝑎𝑛 ≠ 0
(1+𝑎𝑛 )𝛼−1
TENDONO AD ALTRO lim =𝛼
𝑎
𝑛→+∞ 𝑛
1−cos(𝑎𝑛) 1
lim 2 =
𝑛→+∞ 𝑎𝑛 2

11. Serie

SERIE Le serie sono le somme dei termini di una successione, ossia si chiama serie
la somma infinita per (=a partire da) 𝑛 = 1 (o impropriamente da 0 o da 𝑛0
) di 𝑎𝑛 (detto termine generale). In simboli:

∑ 𝑎𝑛
𝑛=1
Se non è una somma infinita ma solo per k volte si chiama somma parziale
{𝑠𝑛 }:
𝑘

∑ 𝑎𝑛
𝑛=1

Significato plausibile alla somma di infiniti termini:


Posso fare la somma del primo termine, poi del primo e del secondo, poi
del primo, del secondo e del terzo…più vado avanti, più la somma è
precisa. Quindi faccio la somma dei primi n termini e se pongo 𝑛 → +∞
ottengo la somma di tutti i termini.

Si dice che la serie di 𝑎𝑛 converge o ha somma finita se {𝑠𝑛 } converge a 𝑠 e


si dice che 𝑠 è la somma della serie.
Si dice che la serie di 𝑎𝑛 converge o ha somma finita se {𝑠𝑛 } diverge a ±∞.
SERIE La serie geometrica
GEOMETRICA

𝑞>1 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑎 + ∞
1
∑ 𝑞𝑛 → −1 < 𝑞 < 1 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑎
1−𝑞
𝑛=0
{ 𝑞 ≤ −1 𝑖𝑛𝑑𝑒𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑎𝑡𝑎

Somma parziale se converge


𝑘
1 − 𝑞𝑘+1
∑ 𝑞𝑛 =
1−𝑞
𝑛=0
𝑘 𝑘+𝑛0 𝑛0 +1

∑ 𝑞 = ∑ 𝑞 − ∑ 𝑞𝑛
𝑛 𝑛

𝑛=𝑛0 𝑛=0 𝑛=0


(NDR: domani faccio i calcoli, perdonatemi)
SERIE DI Serie di Mengoli: serie telescopica (diversi termini si annullano fra loro)

MENGOLI 1
∑ =1
𝑛(𝑛 + 1)
𝑛=1
1+𝑛−𝑛 1 1
𝑎𝑛 = = −
𝑛(𝑛 + 1) 𝑛 𝑛 + 1
1 1 1 1 1 1 1 1
⇒ − + − + − …− = 1 − = 1
⏟ ⏟
1 2 2 3 3 4 ⏟ ∞ ∞
𝑛=1 𝑛=2 𝑛=3

SERIE ARMONICA Serie armonica



1

𝑛
𝑛=1
Questa serie, anche se non sembra, diverge.
Dimostriamolo:
Teniamo conto del confronto tra successioni che vanno all’infinito: se 𝑎𝑛 →
∞ e 𝑏𝑛 > 𝑎𝑛 , 𝑏𝑛 → ∞.
1
Quindi se “riduciamo” i termini della successione 𝑛 e questa tenderà a
infinito, anche la serie armonica che è maggiore di essa tenderà a ∞.
Consideriamo la serie parziale fino a una generica potenza di 2:
2𝑚
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
∑ = + + + 2 + + + + 3 …+ 𝑚

𝑛 1 2 3 2 ⏟
5 6 7 2 2
𝑛=1
≥22 ≥23
Possiamo ridurre i termini di ogni raggruppamento di una potenza 2𝑘
1
generica a 2𝑘 , in modo da creare una successione minore.
2𝑚
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
∑ = + + 2 + 2 + 3 + 3 + 3 + 3…+ 𝑚
𝑛 1 2 2 2 2 2 2 2 2
𝑛=1
Notiamo che in ogni raggruppamento di potenza 2𝑘 ci sono 2𝑘−1 termini,
per cui
2𝑚
1 1 1 1 1 1
∑ = + + 2 2 + 22 3 … + 2𝑚−1 𝑚
𝑛 1 2 2 2 2
𝑛=1
2𝑚
1 1 1 1 1 1
∑ = + + + + ⋯+
𝑛 1 2 2 2 2
𝑛=1
1
Se portiamo all’infinito m, sommeremo infiniti 2
, quindi la serie è
divergente.
CONDIZIONE Condizione necessaria di convergenza (di Cauchy)

NECESSARIA DI
CONVERGENZA ∑ 𝑎𝑛 = 𝐿 → (𝑎𝑛 → 0)
𝑛=1
(DI CAUCHY)
Dim
𝑠𝑛 → 𝐿
𝑠𝑛+1 → 𝐿
𝑎𝑛 = 𝑠𝑛+1 – 𝑠𝑛 = 0
Se 𝑎𝑛 non va a 0 non posso avere la serie convergente

Th: 𝑎𝑛 → 0 ⇒ ∃ lim ∑∞𝑛=1 𝑎𝑛 (ossia la serie è regolare, ammette limite)


Dim: si osservi che la serie delle somme parziali è monotona non
decrescente, quindi ∃ il limite e quindi non è indeterminata.

(NDR: Ripassino sulle condizioni necessarie e sufficienti!


A⇒B
Si dice che
1. A è condizione sufficiente per B
2. B è condizione necessaria per A
Esempio: A = Avere la patente, B = Essere maggiorenni
Avere la patente ⇒ essere maggiorenni (Se ho la patente, sono maggiorenne)
1. Avere la patente è condizione sufficiente per essere maggiorenni.
(Se ho la patente, sono maggiorenne)
A⇒B
2. Essere maggiorenni è condizione necessaria per avere la patente.
(Se non sono maggiorenne, non ho la patente)
!B ⇒ !A
NON VALE B ⇒ A (se sono maggiorenne ho la patente) E !A ⇒ !B (Se non ho la
patente non sono maggiorenne). Quindi occhio con Cauchy!!)
OSSERVAZIONI E Oss. Se due serie sono convergenti, la loro somma è convergente (la serie);
TEOREMI VARI inoltre la somma è data dalla somma delle singole serie.
∞ ∞ ∞

∑ 𝑎𝑛 = 𝑠1 , ∑ 𝑏𝑛 = 𝑠2 ⇒ ∑ 𝑎𝑛 + 𝑏𝑛 = 𝑠1 + 𝑠2
𝑛=1 𝑛=1 𝑛=1

Oss. Se una serie è convergente, allora inserire un coefficiente lambda


cambia la somma moltiplicandola per lambda, e rimane sempre
convergente.
∞ ∞

∑ 𝑎𝑛 = 𝑠1 , 𝜆 ∈ 𝑅 ⇒ ∑ 𝜆𝑎𝑛 = 𝜆𝑠1
𝑛=1 𝑛=1

Th. Se le due serie sono tali che i loro termini generali sono uguali
definitivamente, allora hanno lo stesso carattere. La loro differenza
converge a 0. Si indicano con la sigma maiuscola senza nulla
∞ ∞ ∞

∑ 𝑎𝑛 , ∑ 𝑏𝑛 , 𝑎𝑛 = 𝑏𝑛 ∀ 𝑛 > 𝑁 ⇒ ∑ 𝑎𝑛 − 𝑏𝑛 = 𝑘
𝑛=1 𝑛=1 𝑛=1
𝑘 = 𝑎1 + 𝑎2 + ⋯ + 𝑎𝑁 − 𝑏1 − 𝑏2 − ⋯ − 𝑏𝑁
Ha senso fare la somma perché diventa telescopica per 𝑛 > 𝑁, i termini
𝑎𝑛 – 𝑏𝑛 = 0 perché sono uguali.
CRITERIO DEL Criterio del confronto
∞ ∞
CONFRONTO
∑ 𝑏𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 ⇒ ∑ 𝑎𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒
𝑛=1 𝑛=1
0 ≤ 𝑎𝑛 ≤ 𝑏𝑛 ⇒ ∞ ∞

∑ 𝑎𝑛 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 ⇒ ∑ 𝑏𝑛 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒
{ 𝑛=1 𝑛=1
∞ ∞

∑ 𝑎𝑛 = 𝑠𝑛 , ∑ 𝑏𝑛 = 𝑠𝑛′
𝑛=1 𝑛=1
(1) Per ipotesi 0 ≤ 𝑎𝑛 ≤ 𝑏𝑛 : allora anche la somma dei termini sarà tale
che 𝑠𝑛′ ≥ 𝑠𝑛 ≥ 0
(2) Se 𝑠𝑛 → +∞ e 𝑠𝑛′ > 𝑠𝑛 , ⇒ 𝑠𝑛′ → +∞
CRITERIO DEL Criterio del confronto asintotico
CONFRONTO Sian due serie positive, se il quoziente dei loro termini generali tende a k,
ASINTOTICO ⇒ le due serie hanno lo stesso carattere.
∞ ∞
𝑎𝑛
∑ 𝑎𝑛 , ∑ 𝑏𝑛 , 𝑎𝑛 , 𝑏𝑛 > 0, →𝑘
𝑏𝑛
𝑛=1 𝑛=1
∞ ∞

⇒ 𝑎𝑛 ~ 𝑘𝑏𝑛 𝑒 ∑ 𝑎𝑛 , ∑ 𝑏𝑛 ℎ𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑐𝑎𝑟𝑎𝑡𝑡𝑒𝑟𝑒


𝑛=1 𝑛=1
Cenni di dimostrazione:
𝑎𝑛
∀𝜀 > 0, ∀𝑛 ≥ 𝑁 ⇒ 𝑘 − 𝜀 <
< 𝑘+𝜀
𝑏𝑛
(𝑘 − 𝜀)𝑏𝑛 < 𝑎𝑛 < (𝑘 + 𝜀)𝑏𝑛
Se 𝑎𝑛 converge, anche ∑∞ 𝑛=1(𝑘 − 𝜀 )𝑏𝑛 converge

Se 𝑎𝑛 diverge, anche ∑𝑛=1(𝑘 + 𝜀)𝑏𝑛 diverge
CRITERIO DI Criterio di condensazione
CONDENSAZIONE Si applica a qualsiasi serie sempre positiva il cui termine generale è una
successione monotona decrescente:
∞ ∞ ∞

∑ 𝑎𝑛 , 𝑎𝑛 > 𝑎𝑛+1 > 0 ∀ 𝑛 ⇒ ∑ 𝑎𝑛 ℎ𝑎 𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑐𝑎𝑟𝑎𝑡𝑡𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑖 ∑ 2𝑛 𝑎2𝑛


𝑛=1 𝑛=1 𝑛=1

(Si dimostra, ma noi non lo facciamo, che hanno lo stesso carattere)

Serve per dimostrare che


1
Serie 𝑛𝛼 : se alfa maggiore di uno converge, se tra 0 e 1 compreso diverge

1 𝑑𝑖𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑠𝑒 0 < 𝛼 ≤ 1
∑ ⇒{
𝑛 𝛼 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑠𝑒 𝛼 > 1
𝑛=1
CONVERGENZA Th una serie si dice che converge assolutamente se è convergente la serie
ASSOLUTA che ha come termine generale modulo di 𝑎𝑛
∞ ∞

∑ |𝑎𝑛 | 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 ⇒ ∑ 𝑎𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒


𝑛=1 𝑛=1
∞ ∞

∑ 𝑎𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 ⇒ ∑ 𝑎𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒


𝑛=1 𝑛=1
∞ ∞

𝑜𝑠𝑠𝑖𝑎 𝑠𝑒 ∑ |𝑎𝑛 | 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 ⇒ ∑ 𝑎𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒


𝑛=1 𝑛=1

CRITERIO DEL Criterio del rapporto



RAPPORTO
∑ 𝑎𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑎𝑠𝑠. 𝑝𝑒𝑟 𝐿 < 1
𝑛=1
∞ ∞
𝑎𝑛+1
∑ 𝑎𝑛 , 𝑎𝑛 ≠ 0, →𝐿⇒ ∑ 𝑎𝑛 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝐿 > 1
𝑎𝑛
𝑛=1 𝑛=1

∑ 𝑎𝑛 𝑠𝑖 𝑑𝑒𝑣𝑒 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑐𝑎𝑠𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝐿 = 1


{𝑛=1
Il criterio del rapporto nel caso 𝐿 < 1 oltre a dirci che il termine va a 0, ci
dice che ci va così rapidamente che anche la sua serie converge.

CRITERIO DELLA Criterio della radice: stesse conclusioni del criterio del rapporto

RADICE
∑ 𝑎𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑎𝑠𝑠. 𝑝𝑒𝑟 𝐿 < 1
𝑛=1
∞ ∞

∑ 𝑎𝑛 , lim 𝑛√|𝑎𝑛 | → 𝐿 ⇒ ∑ 𝑎𝑛 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝐿 > 1


n→+∞
𝑛=1 𝑛=1

∑ 𝑎𝑛 𝑠𝑖 𝑑𝑒𝑣𝑒 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑐𝑎𝑠𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝐿 = 1


{𝑛=1

CRITERIO DI Una successione a segno alterno


+∞
LEIBNIZ
∑(−1)𝑛 𝑎𝑛
𝑛=0
Converge per il criterio di Leibnitz se:
1) 𝑎𝑛 converge assolutamente a 0;
2) |𝑎𝑛 | è monotona decrescente;
3) 𝑎𝑛 non è a segno alterno (ha segno costante).
(NDR: queste condizioni non sono “fisse”, nel senso che molti riportano che 𝑎𝑛
dev’essere positiva tendente a 0 e monotona decrescente, o sempre negativa,
tendente a 0 e monotona crescente...chiederò alla Rita dei chiarimenti).
Dimostrazione:
Le somme parziali degli indici pari sono decrescenti: infatti
𝑠2𝑛+2 = 𝑠2𝑛 ⏟ −𝑎2𝑛+1 + 𝑎2𝑛+2 ≤ 𝑠2𝑛
≤0 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎé 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒
Mentre quelle degli indici dispari sono crescenti:
𝑠2𝑛+1 = 𝑠2𝑛−1 +𝑎2𝑛 − 𝑎2𝑛+1
⏟ ≤ 𝑠2𝑛−1
≥0 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎé 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑟𝑒𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒
Sapendo che
𝑠2𝑛 = 𝑠2𝑛−1 + 𝑎2𝑛
Possiamo scrivere che
𝑠1 < 𝑠3 < ⋯ < 𝑠2𝑛−1 < 𝑠2𝑛 < ⋯ < 𝑠4 < 𝑠2
E quindi le somme sono entrambe monotone e limitate, e perciò
convergenti.

12. Topologia della retta


TERMINE DEFINIZIONE
INTORNO Intorno del punto 𝑥0 : un qualsiasi intervallo aperto che contiene 𝑥0
Intorno simmetrico (𝑥0 − 𝑟, 𝑥0 + 𝑟), 𝑟 > 0; si indica con 𝐵𝑟 (𝑥0 ), 𝑟 è detto
raggio dell’intorno
Intorno di +∞: un qualsiasi intervallo (𝑎, +∞), a anche −∞
Intorno di −∞: un qualsiasi intervallo (−∞, 𝑎), a anche +∞
PUNTO DI Un punto 𝑝 ∈ 𝑅 ∗ è di accumulazione per D se in ogni intorno di p ci sono
ACCUMULAZIONE infiniti punti di D.
(Bisogna essere vicini ma non necessariamente dentro)
Esempio: 1 e 2 sono punti di accumulazione di (1, 4).
Anche i punti isolati sono punti di accumulazione.
PUNTO INTERNO Sia D un insieme, e sia 𝑥0 ∈ 𝐷 si dice che 𝑥0 è interno a D se ∃ un intorno
di 𝑥0 ⊂ 𝐷.
PUNTO DI Sia D un insieme, si dice che 𝑝 ∈ 𝑅∗ è un punto di frontiera di D se in ogni
FRONTIERA intorno di p ci sono sia punti di D che punti esterni (±∞ può essere punto
di frontiera).
INSIEME CHIUSO, Un insieme limitato si dice chiuso se contiene tutti i suoi punti di
INSIEME APERTO accumulazione.
Un insieme si dice aperto se tutti i suoi punti sono interni.
LIMITI DI lim 𝑓(𝑥) = 𝐿
𝑥→𝑥0
FUNZIONI Sia 𝑓: 𝐷 ⊆ 𝑅 → 𝑅 , e sia 𝑥0 un punto di accumulazione per D. Si dice che
𝑓 → 𝐿 ∈ 𝑅 per 𝑥 → 𝑥0 se ∀ 𝜀 > 0 ∃ 𝛿 > 0 ∶ ∀ 𝑥 ≠ 𝑥0 , 𝑥 ∈ 𝐷𝑛 (𝑥0 −
𝛿, 𝑥0 + 𝛿 ) ⇒ 𝐿 − 𝜀 < 𝑓(𝑥) < 𝐿 + 𝜀.

lim 𝑓(𝑥) = +∞
𝑥→𝑥0
Sia 𝑓: 𝐷 ⊆ 𝑅 → 𝑅 , e sia 𝑥0 un punto di accumulazione per D. Si dice che
𝑓 → +∞ per 𝑥 → 𝑥0 se ∀ 𝑘 > 0 ∃ 𝛿 > 0 ∶ 𝑓(𝑥) > 𝑘, ∀ 𝑥 ≠ 𝑥0 , 𝑥 ∈
𝐷𝑛 (𝑥0 − 𝛿, 𝑥0 + 𝛿 ).

lim 𝑓(𝑥) = 𝐿
𝑥→+∞
Sia 𝑓: 𝐷 ⊆ 𝑅 → 𝑅 , e sia +∞ un punto di accumulazione per D. Si dice che
𝑓 → 𝐿 ∈ 𝑅 per 𝑥 → +∞ se ∀ 𝜀 > 0 ∃ 𝐻 > 0 ∶ 𝐿 − 𝜀 < 𝑓 (𝑥) < 𝐿 + 𝜀 ∀ 𝑥 ∈
(𝐻, +∞) ∩ 𝐷.

lim 𝑓(𝑥) = +∞
𝑥→+∞
Sia 𝑓: 𝐷 ⊆ 𝑅 → 𝑅 , e sia +∞ un punto di accumulazione per D. Si dice che
𝑓 → +∞ per 𝑥 → +∞ se ∀ 𝑘 > 0 ∃ 𝐻 > 0 ∶ 𝑓 (𝑥) > 𝑘 ∀ 𝑥 ∈ (𝐻, +∞) ∩ 𝐷.

DEFINIZIONE GENERALE: Sia 𝑓: 𝐷 ⊆ 𝑅 → 𝑅 , e sia p punto di


accumulazione per D; L ∈ 𝑅∗ ; lim 𝑓(𝑥) = 𝐿 se ∀ intorno U di L ∃ un intorno
𝑥→𝑝
V di p: ∀ 𝑥 ∈ 𝑉 ∩ 𝐷, 𝑥 ≠ 𝑝, 𝑓(𝑥) ∈ 𝑈.
Osservazione: Sia 𝑓: 𝐷 ⊆ 𝑅 → 𝑅 , e sia 𝑥0 un punto di accumulazione per
D. Si dice che 𝑓 → 𝐿 ∈ 𝑅 per 𝑥 → 𝑥0− (intorno sinistro) se
∀ 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑈 𝑑𝑖 𝐿 ∃ 𝛿 > 0 ∶ 𝑓(𝑥) ∈ 𝑈 ∀ 𝑥 ∈ (𝑥0 − 𝛿, 𝑥0 ) ∩ 𝐷 .
Sia 𝑓: 𝐷 ⊆ 𝑅 → 𝑅 , e sia 𝑥0 un punto di accumulazione per D. Si dice che
𝑓 → 𝐿 ∈ 𝑅 per 𝑥 → 𝑥0+ (intorno destro) se ∀ 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑈 𝑑𝑖 𝐿 ∃ 𝛿 > 0 ∶
𝑓 (𝑥) ∈ 𝑈 ∀ 𝑥 ∈ (𝑥0 , 𝑥0 + 𝛿 ) ∩ 𝐷.
Se esiste il limite per 𝑥 → 𝑥0 esiste anche il limite destro e sinistro e
coincidono con il limite completo.
TEOREMI SUI Teorema di unicità del limite: se esiste il limite, tale limite è unico. Si
LIMITI dimostra come è stato dimostrato quello per le successioni.

Teorema della permanenza del segno: se lim 𝑓 (𝑥) = 𝐿 > 0, 𝐿 ∈ 𝑅 ∗ ⇒


𝑥→𝑝
∃ 𝑢𝑛 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑈 𝑑𝑖 𝑝: 𝑓(𝑥) > 0 ∀ 𝑥 ≠ 𝑝, 𝑥 ∈ 𝑈 ∩ 𝐷.
Dimostrazione: per la definizione di limite, se lim 𝑓(𝑥) = 𝐿 > 0, allora 𝐿 −
𝑥→𝑝
𝜀 < 𝑓 (𝑥) < 𝐿 + 𝜀 per 𝑥 ∈ 𝑈 ∩ 𝐷. Prendendo un ε tale che 𝐿 − 𝜀 > 0,
avremo che 0 < 𝐿 − 𝜀 < 𝑓 (𝑥) < 𝐿 + 𝜀 in un intorno (𝑝 − 𝛿, 𝑝 + 𝛿 ), per cui
0 < 𝑓 (𝑥).
Se la funzione ha limite negativo si procede nello stesso modo: se
lim 𝑓(𝑥) = 𝐿 < 0, 𝐿 ∈ 𝑅 ∗ ⇒ ∃ 𝑢𝑛 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑈 𝑑𝑖 𝑝: 𝑓 (𝑥) < 0 ∀ 𝑥 ≠ 𝑝, 𝑥 ∈ 𝑈 ∩
𝑥→𝑝
𝐷.

Teorema del confronto: 𝑔(𝑥) ≤ 𝑓(𝑥) ≤ 𝑓(𝑥), lim 𝑔(𝑥) = 𝐿, lim ℎ(𝑥) =
𝑥→𝑘 𝑥→𝑘
𝐿, ⇒ lim 𝑓(𝑥) = 𝐿. La dimostrazione segue quella delle successioni.
𝑥→𝑘

Teorema di collegamento (successioni e funzioni): Sia 𝑓: 𝐷 ⊆ 𝑅 →


𝑅, 𝑝 𝑑𝑖 𝑎𝑐𝑐. 𝑝𝑒𝑟 𝐷, allora lim 𝑓(𝑥) = 𝐿 ∈ 𝑅 ∗ ⇔ ∀ {𝑎𝑛 } ∈ 𝐷, 𝑎𝑛 →
𝑛→𝑝
𝑝 𝑑𝑒𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑖𝑣𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒, 𝑎 ≠ 𝑝 ⇒ 𝑓 (𝑎𝑛 ) → 𝐿

(NDR: l’algebra dei limiti che abbiamo fatto con le successioni funziona anche con
le funzioni, idem i limiti notevoli e quelli delle funzioni elementari)
CONTINUITÀ E 𝑓(𝑥) è continua in 𝑥0 ⟺ lim−𝑓(𝑥) = 𝑓 (𝑥0 ) = lim+ 𝑓(𝑥)
⏟ 0
𝑥→𝑥 ⏟ 𝑥→𝑥0
DISCONTINUITÀ 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑎 𝑑𝑎 𝑠𝑥 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑎 𝑑𝑎 𝑑𝑥
Se la funzione è continua in tutti i punti di un intervallo [𝑎, 𝑏] ed è continua
da destra in a e continua da sinistra in b, si dice che la funzione è continua
in quell’intervallo. Se una funzione è continua sul suo dominio, si dice
semplicemente che è continua.
Se una delle uguaglianze non è rispettata, si ha una discontinuità.

Discontinuità di I specie (salto): lim+ 𝑓(𝑥) = 𝐿 ∧ lim− 𝑓 (𝑥) = 𝐿′ ∧ 𝐿 ≠ 𝐿′ ∧


𝑥→𝑥0 𝑥→𝑥0

𝐿, 𝐿 ∈ 𝑅
Discontinuità di II specie: almeno uno dei due limite non esiste o è
infinito.
Discontinuità di III specie (eliminabile): lim+ 𝑓(𝑥) = lim− 𝑓 (𝑥) ≠ 𝑓(𝑥0 ).
𝑥→𝑥0 𝑥→𝑥0
Si chiama eliminabile perché basta definire 𝑓(𝑥)0 = lim− 𝑓(𝑥) e la
𝑥→𝑥0
discontinuità è risolta.
TEOREMI SULLA Teorema: operazioni fra funzioni e continuità
CONTINUITÀ 𝑓 (𝑥), 𝑔(𝑥) 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑒 𝑠𝑢 𝑅: allora sono continue anche
𝑓 (𝑥) ± 𝑔(𝑥)
𝑓 (𝑥) ∙ 𝑔(𝑥)
𝑓(𝑥)
𝑔(𝑥)
, 𝑔(𝑥) ≠ 0
𝑔(𝑥) ∘ 𝑓(𝑥) (se è lecito comporle)

Teorema: tutte le funzioni elementari sono continue sui loro domini.

Teorema: se esiste l’inversa di una funzione definita e continua su [a, b],


allora anche l’inversa è continua su [a, b].
TEOREMA DEGLI Sia 𝑓[𝑎, 𝑏] → 𝑅 una funzione continua e tale che 𝑓(𝑎) < 0 e 𝑓 (𝑏) > 0 ⇒ ∃
ZERI 𝑐 ∈ (𝑎, 𝑏): 𝑓 (𝑐) = 0
Dimostrazione:
Supponiamo di costruire l’insieme 𝑆 = {𝑥 ∈ [𝑎, 𝑏]: 𝑓 (𝑥) ≤ 0} di tutti i
risultati negativi o nulli; chiaramente 𝑎 ∈ 𝑆, inoltre definiamo 𝑐 = sup 𝑆.
Supponiamo per assurdo che 𝑓 (𝑐) ≠ 0. Abbiamo due casi: o 𝑓 (𝑐) < 0 o
𝑓 (𝑐) > 0.
Nel primo caso, per la continuità lim 𝑓(𝑥) = 𝑐. Ma questo implica, per la
𝑥→𝑐
permanenza del segno, che sia a destra che a sinistra del punto ci siano
valori negativi (dato che 𝑐 < 0): ciò è assurdo, perché essendo estremo
superiore, a destra dovrebbe avere solo numeri positivi (se ne avesse di
negativi, rientrerebbero in S e sarebbero maggiori di c, e quindi c non
sarebbe più maggiorante e quindi nemmeno estremo superiore).
Nel secondo caso sempre per la continuità lim 𝑓(𝑥) = 𝑐. Ma questo
𝑥→𝑐
implica, per la permanenza del segno, che sia a destra che a sinistra del
punto ci siano valori positivi (dato che 𝑐 > 0): ciò è assurdo, perché
essendo estremo superiore, a sinistra dovrebbe avere solo numeri negativi
(se ne avesse di positivi, vorrebbe dire che esistono dei numeri positivi più
piccoli di c che sono maggioranti di S e quindi c non è più il più piccolo
maggiorante, e quindi non è l’estremo superiore).
Essendo assurdi entrambi i casi, dev’essere per forza 𝑓(𝑐) = 0.
TEOREMA DEL Sia 𝑓: [𝑎, 𝑏] → [𝑎, 𝑏], 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑎 ⇒ ∃ 𝑐 ∈ [𝑎, 𝑏]: 𝑓(𝑐) = 𝑐.
PUNTO FISSO Dimostrazione:
Se 𝑓 (𝑎) = 𝑎 oppure 𝑓(𝑏) = 𝑏 abbiamo già finito. In caso contrario
possiamo certamente affermare che 𝑓 (𝑎) > 𝑎 e 𝑓(𝑏) < 𝑏 per ipotesi. Allora
definisco la funzione 𝑔(𝑥) = 𝑓(𝑥) − 𝑥: nel caso di a ho 𝑔(𝑎) = 𝑓(𝑎) − 𝑎 >
0, mentre per b ho 𝑔(𝑏) = 𝑓 (𝑏) − 𝑏 < 0. Soddisfo le condizioni per il
teorema degli zeri: esisterà un punto p tale che 𝑔(𝑝) = 0. Ma
allora𝑓⏟(𝑝 ) − 𝑝 = 0 e quindi 𝑓 (𝑝) = 𝑝. Dimostrato!
𝑔(𝑝)
METODO DI Metodo di bisezione: conoscendo il teorema degli zeri, possiamo usare il
BISEZIONE seguente algoritmo per approssimare lo zero di una funzione conoscendo
un 𝑎 ∶ 𝑓 (𝑎) < 0 e un 𝑏 ∶ 𝑓 (𝑏) > 0.
𝑎+𝑏
1) Calcola 𝑓( 2
).
𝑎+𝑏 𝑎+𝑏
2) Se 𝑓 ( 2
) < 0 ⇒ 𝑎𝑠𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎 𝑎 =
2
;
𝑎+𝑏
Se 𝑓 ( ) = 0 ⇒ ℎ𝑎𝑖 𝑡𝑟𝑜𝑣𝑎𝑡𝑜 𝑙𝑜 𝑧𝑒𝑟𝑜;
2
𝑎+𝑏 𝑎+𝑏
Se 𝑓 ( 2
) > 0 ⇒ 𝑎𝑠𝑠𝑒𝑔𝑛𝑎 𝑏 =
2
.
3) Ripeti secondo necessità.
TEOREMA DEI Sia 𝑓: 𝐼 → 𝑅 una funzione continua definita su un intervallo 𝐼 [a, b]: allora
VALORI 𝑓(𝐼) è un intervallo (la funzione assume tutti i valori intermedi).
INTERMEDI (O DI Dimostrazione: procediamo come per il teorema del punto fisso.
DARBOUX) Prendiamo un 𝑥1 ∈ 𝐼: 𝑓 (𝑥1 ) = 𝛼 e un 𝑥1 < 𝑥2 ∈ 𝐼: 𝑓 (𝑥2 ) = 𝛽. Supponiamo
𝛼 < 𝛽 (la dimostrazione funziona anche al contrario). Allora per la densità
di R esiste un 𝛾: 𝛼 < 𝛾 < 𝛽. Costruiamo la nostra funzione 𝑔(𝑥) = 𝑓(𝑥) −
𝛾: abbiamo le condizioni per usare anche qui il teorema degli zeri, che ci
garantisce che esiste un 𝑝: 𝑔(𝑝) = 0. Ma questo significa che 𝑓 (𝑝) − 𝛾 = 0
e quindi 𝑓(𝑝) = 𝛾. Questo implica che qualsiasi valori scegliamo come 𝑥1
e 𝑥2 possiamo trovare tutti i 𝛾 che stanno in mezzo a 𝑓(𝑥1 ) e 𝑓(𝑥2 ).
PUNTI DI Sia 𝑓(𝑥): 𝐷 → 𝑅
MASSIMO O DI
MINIMO 𝑥0 è un punto di massimo globale o assoluto
⇔ 𝑓(𝑥0 ) ≥ 𝑓 (𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝐷

𝑥0 è un punto di minimo globale o assoluto


⇔ 𝑓(𝑥0 ) ≤ 𝑓 (𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝐷

𝑥0 è un punto di massimo locale o relativo


⇔ ∃ 𝑢𝑛 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑈 𝑑𝑖 𝑥0 : 𝑓(𝑥0 ) ≥ 𝑓 (𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝑈 ∩ 𝐷

𝑥0 è un punto di minimo locale o relativo


⇔ ∃ 𝑢𝑛 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑈 𝑑𝑖 𝑥0 : 𝑓(𝑥0 ) ≤ 𝑓 (𝑥) ∀ 𝑥 ∈ 𝑈 ∩ 𝐷
TEOREMA DI Sia 𝑓: [𝑎, 𝑏] → 𝑅, 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑎
WEIERSTRASS ⇒ 𝑓 𝑎𝑠𝑠𝑢𝑚𝑒 𝑠𝑖𝑎 𝑖𝑙 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑖𝑚𝑜 𝑔𝑙𝑜𝑏𝑎𝑙𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑖𝑙 𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜 𝑔𝑙𝑜𝑏𝑎𝑙𝑒 𝑠𝑢 [𝑎, 𝑏].

(NDR: Dimostrazione: non si fa. Usa la nozione di compattezza o il teorema di


Bolzano-Weierstrass che non abbiamo fatto.)
INFINITI, Funziona proprio come per le successioni, ma bisogna specificare di quale
INFINITESIMI, O punto di accumulazione si sta parlano (a cosa tende x): infatti, per
PICCOLO, esempio, per 𝑥 → −∞, 𝑒 𝑥 → 0, mentre per 𝑥 → +∞, 𝑒 𝑥 → +∞: è un
ASINTOTICO infinitesimo a meno infinito e un infinito a più infinito. Ovviamente x può
tendere anche a valori finiti.

Asintotico e o piccolo:
𝑓(𝑥)
lim = 1 ⇒ 𝑓 (𝑥)~𝑛→𝑝 𝑔(𝑥), 𝑝 ∈ 𝑅∗
𝑛→𝑝 𝑔(𝑥)
𝑓(𝑥)
lim = 0 ⇒ 𝑓 (𝑥) = ℴ𝑛→𝑝 (𝑔(𝑥)), 𝑝 ∈ 𝑅 ∗
𝑛→𝑝 𝑔(𝑥)
ASINTOTI Asintoto verticale: lim+ 𝑓(𝑥) = ±∞ ∨ lim− 𝑓(𝑥) = ±∞. Se entrambi non
𝑥→𝑥0 𝑥→𝑥0
sono finiti, si dice bilatero, altrimenti è rispettivamente destro o sinistro.
Asintoto orizzontale: lim 𝑓(𝑥) = 𝐿 ∈ 𝑅 ∨ lim 𝑓 (𝑥) = 𝐿′ ∈ 𝑅.
𝑥→+∞ 𝑥→−∞
Asintoto obliquo: 𝑓(𝑥) 𝑎𝑚𝑚𝑒𝑡𝑡𝑒 𝑎𝑠𝑖𝑛𝑡𝑜𝑡𝑜 𝑜𝑏𝑙𝑖𝑞𝑢𝑜 𝑦 = 𝑚𝑥 + 𝑞 𝑝𝑒𝑟 𝑥 →
𝑓(𝑥)
±∞ ⇔ lim = 𝑚 ≠ 0 ∧ lim (𝑓(𝑥) − 𝑚𝑥) = 𝑞 ∧ 𝑚, 𝑞 ∈ 𝑅.
𝑥→±∞ 𝑥 𝑥→±∞

(NDR: come cercare gli asintoti? Fai il dominio della funzione e scrivilo come
unione di intervalli, tipo 𝐷: (−∞, 𝑎) ∪ [𝑐, 𝑏) ∪ (𝑏, +∞). Ogni volta che trovi una
parentesi tonda, fai il limite: nei casi ±∞ troverai forse degli asintoti orizzontali,
mentre con tutte le altre potresti trovare asintoti verticali. In questo caso farei i
limiti a ±∞ per gli asintoti orizzontali, poi a 𝑎− (𝑐 + no perché c è incluso!) e a
𝑏− e a 𝑏+ . Poi si applica la formula per gli asintoti obliqui sia a più che a meno
infinito e sei a posto! :D)

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