Sei sulla pagina 1di 66

Istituto Statale d'Istruzione Superiore

"Arturo Malignani" - Udine


Istituto Tecnico Industriale “A. Malignani”
Sezione di Informatica e Telecomunicazioni
Sezione di Elettronica, Elettrotecnica e Automazione

Organizzazione
dello studio
Versione 0v24
Dicembre 2017
Santino Bandiziol

CC Organizzazione dello studio, 2015-2017
Santino Bandiziol

Le informazioni contenute nelle presenti pagine sono state verificate e documentate


con la massima cura possibile. Nessuna responsabilità derivante dal loro utilizzo potrà
venire imputata all’Autore o alle società coinvolte nella loro creazione, pubblicazione e
distribuzione.

Alcuni diritti riservati.

Documento prodotto con LATEX.


L’immagine di copertina è di proprietà di
Ian Burt
Titolo originale dell’opera: “Back to school - It was a long way to school”
rilasciata con licenza CC BY

Le restanti immagini sono di pubblico dominio o elaborate dall’autore.

Questo documento è rilasciato con licenza

Creative Commons BY-NC-SA


Attribuzione – Non Commerciale – Stessa licenza
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/it/deed.it

Attribuzione — Devi riconoscere una menzione di paternità adeguata, fornire


un link alla licenza e indicare se sono state effettuate delle modifiche. Puoi
fare ciò in qualsiasi maniera ragionevole possibile, ma non con modalità tali
da suggerire che il licenziante avalli te o il tuo utilizzo del materiale.
Non commerciale — Non puoi usare il materiale per scopi commerciali.
Stessa licenza — Se remixi, trasformi il materiale o ti basi su di esso, devi
distribuire i tuoi contributi con la stessa licenza del materiale originario.
Indice

Indice i

Introduzione iii

1 Il mondo della scuola 1


1.1 L’importanza dell’istruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.1.1 Ma insomma, l’istruzione è importante o no? . . . . . . . 3
1.2 La crisi dell’istituzione scolastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2.1 La trasformazione della scuola . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2.2 La cura dell’individuo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.3 L’alleanza scuola-famiglia-studente . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

2 La famiglia 9
2.1 Absit iniuria verbis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
2.2 Un unico obiettivo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.2.1 Sì, un unico obiettivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.2.2 Dal fine al mezzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
2.2.3 L’atteggiamento della scuola e della famiglia . . . . . . . 14
2.3 Come può la famiglia aiutare il proprio figlio? . . . . . . . . . . 16
2.3.1 Io alla tua età... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
2.3.2 Ma ragiona, per favore! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
2.3.3 La pazienza della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
2.3.4 L’esempio della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
2.4 Qualche consiglio pratico per la famiglia . . . . . . . . . . . . . . 20
2.4.1 L’organizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.4.1.1 Il cellulare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.4.1.2 Il PC per studiare . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.4.1.3 La musica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.4.1.4 Cattivi appunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2.4.1.5 Mancato controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2.4.1.6 Le ore dedicate allo studio . . . . . . . . . . . . 24
2.4.1.7 Il colloquio con i professori . . . . . . . . . . . . 24
2.4.1.8 Altre cattive abitudini . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.4.2 La pianificazione temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.4.2.1 Usare un calendario . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.4.2.2 “Mamma, oggi non mangio: devo studiare elet-
tronica” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.4.2.3 Ansia e panico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

i
ii INDICE

2.4.2.4 Creare alleanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26


2.4.3 Un punto di vista obiettivo . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
2.4.4 E se mio figlio fosse un po’ lento? . . . . . . . . . . . . . 28
2.4.5 Cos’è l’intelligenza? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
2.4.6 Quanto incide l’intelligenza nel successo di un ragazzo? 30
2.4.7 Un ragazzo “lento” può seguire con successo un corso di
studi difficile? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
2.4.8 La grinta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
2.4.9 Allenare l’autocontrollo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

3 Lo studente 35
3.1 Il Vero Studente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
3.1.1 Qualche consiglio pratico allo studente . . . . . . . . . . 36
3.1.1.1 Il Vero Studente inizia a studiare due-tre giorni
prima della verifica . . . . . . . . . . . . . . . . 37
3.1.1.2 Il Vero Studente non sta mai attento a lezione . 38
3.1.1.3 Il Vero Studente non studia subito il nuovo ar-
gomento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
3.1.1.4 Il Vero Studente non sta mai attento durante le
interrogazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
3.1.1.5 Il Vero Studente non prepara argomenti a piacere 39
3.1.1.6 Il Vero Studente cerca di fare meno esercizi che
può . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
3.1.1.7 Il Vero Studente non crede nelle proprie capacità 40
3.1.1.8 Il Vero Studente non vede l’utilità dell’istruzione 41
3.1.1.9 Il Vero Studente risponde in maniera intuitiva . 42
3.1.1.10 Il Vero Studente non chiede mai nulla al profes-
sore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
3.2 Qualche consiglio teorico allo studente . . . . . . . . . . . . . . . 42
3.2.1 Lo studio diluito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.2.1.1 I ritmi forzati non funzionano . . . . . . . . . . 43
3.2.1.2 La memorizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3.2.1.3 La comprensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3.2.2 La partecipazione passiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
3.2.2.1 La resistenza al cambiamento . . . . . . . . . . 45
3.2.2.2 I comportamenti più diffusi . . . . . . . . . . . 46
3.2.2.3 Il posto in aula . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
3.2.2.4 Chiedere chiarimenti . . . . . . . . . . . . . . . 47
3.2.3 La partecipazione attiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
3.2.3.1 L’effetto alone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
3.2.4 Un po’ di convinzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
3.2.5 Cambiare opinione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
3.2.6 Le risposte intuitive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50

4 Conclusioni 53

Bibliografia 55
Introduzione

Soltanto i giovani hanno momenti del genere. Non dico i più giovani.
No. Quando si è molto giovani, a dirla esatta, non vi sono momenti. È
privilegio della prima gioventù vivere d’anticipo sul tempo a venire, in
un flusso ininterrotto di belle speranze che non conosce soste o attimi di
riflessione.
Ci si chiude alle spalle il cancelletto dell’infanzia, e si entra in un giar-
dino di incanti. Persino la penombra qui brilla di promesse. A ogni svolta
il sentiero ha le sue seduzioni. E non perché sia questo un paese inesplo-
rato. Lo sappiamo bene che l’umanità tutta è passata di lì. È piuttosto
l’incanto dell’universale esperienza, da cui ci aspettiamo emozioni non
ordinarie o personali, qualcosa che sia solo nostro.
La linea d’ombra - Joseph Conrad
Si usa dire che fare il genitore sia il mestiere più difficile del mondo. A raf-
forzare tale pensiero popolare ci pensa una società liquida quanto mai complessa
e un digital gap generazionale che fino a qualche decennio fa nemmeno esiste-
va. Fare il genitore oggi è probabilmente parecchio più difficile di trent’anni
fa.
Nemmeno fare lo studente adolescente è, però, un mestiere semplice. La
scuola superiore può rappresentare per molti giovani il primo vero, a volte
insuperabile, problema della loro vita. E poi c’è l’ignoto. Si studia, ma in-
tanto si pensa se servirà a qualcosa. Certamente non si può dire che una tale
prospettiva sia incoraggiante.
Nel mezzo ci siamo noi insegnanti che vorremmo, e probabilmente po-
tremmo, aiutare gli uni e gli altri, ma che gli stereotipi sociali dipingono come
operanti nella scuola con strumenti spuntati e obsoleti.
Eppure questi stereotipi a volte si infrangono contro la passione, quella au-
tentica, dell’insegnamento, che riconduce il rapporto docente-discente a quello
che dovrebbe essere: un incessante fluire della conoscenza da una generazione
all’altra, in un rito che confina con l’affabulazione. Mi si consenta un ricordo
che meglio di qualsiasi altra cosa illustra quanto detto.
Il ricordo riguarda il mio primo incontro con la professoressa di Storia e
Letteratura Italiana del terzo corso di Elettronica Industriale all’allora ITI “A.

iii
iv INTRODUZIONE

Malignani”. Quando la professoressa entrò in classe, noi allievi della 3ˆ ELI/B,


ci alzammo in piedi in segno di saluto e poi ci sedemmo. Lei rimase statuaria
a fianco della cattedra e sibilò: “Chi vi ha dato il permesso di sedervi?”.
Come peri che cadevano dal pero all’incontrario, ci alzammo nuovamente
in piedi. Uno alla volta, pian piano, nell’incredulità più assoluta. Così re-
stammo per una trentina di secondi, in un silenzio tombale finché la profes-
soressa scandì a bassa voce: “Chi, a fine anno, non avrà imparato la data del
Concordato di Worms, ... (pausa) anno domini 1122, ... (pausa) io lo boccio.”
Fu odio a prima vista.
Poi, però, nelle settimane e nei mesi seguenti successe qualcosa. Quella
donna, severissima, ci affascinava. Riusciva a spiegarci Gregorio VII e la Di-
vina Commedia in maniera assolutamente irresistibile, intensa e affabulatoria.
Finché un giorno, ormai eravamo in quarta, durante una supplenza, entrò in
classe con un mazzo di gessi colorati, come fossero fiori di campo, dicendo:
“Oggi vi spiego la battaglia di Austerlitz.”
Fu come essere al cinema o come ascoltare la nonna che raccontava una fa-
vola. Napoleone da una parte e Kutuzov dall’altra. Sulla lavagna l’insegnante
disegnò con colori diversi le colline di Austerlitz e il fiume Goldbach. Furono
quasi due ore di racconto intenso e appassionato durante le quali vennero can-
tate le lodi del “più grande generale dopo Annibale e Cesare” come la nostra
professoressa apostrofò Napoleone.
E, stavolta, fu amore. Amore per Napoleone, per Dante, per Machiavelli,
per Paolo e Francesca, per Boccaccio, per la Mandragola, per il Concordato di
Worms, per Kierkegaard e per Schopenhauer, per Marat (quella carogna) e per
le brioches di Maria Antonietta che, povera, con le brioches probabilmente non
c’entrava nemmeno.

Questo dovrebbe essere il rapporto docente-discente. Così dovrebbe essere


fatta la scuola. Ed è compito nostro entrare in aula e cercare di ricreare quel-
l’incanto. I presenti appunti hanno la pretesa di provarci e per farlo parleranno
di studenti, di famiglie e di insegnanti. Parleranno di argomenti delicati, per-
ché i protagonisti delle pagine che seguiranno hanno anche delle responsabilità
concrete che a volte diventano delle trappole. Ma è proprio la parola, lo stru-
mento dell’affabulazione, che ci sarà d’aiuto e mediante la quale si cercherà di
raccontare il mondo della scuola.

Infine un’ultima riflessione. Dopo trentasei anni di insegnamento, posso


vantare qualche vaga conoscenza in campo elettronico. Per contro, le mie cono-
scenze in campo psicologico, psichiatrico e pedagogico sono pari a zero, come
pure, conseguentemente, i relativi titoli accademici. Mi sono limitato a leggere,
sull’argomento, qualche buon libro perché il mestiere lo richiedeva e perché la
curiosità stuzzicava la lettura.
Come mai, allora, una riflessione pubblica sul ruolo degli insegnanti e dei
genitori in questa appassionante avventura che è l’avvicinamento al mondo
degli adulti dei nostri ragazzi? È praticamente impossibile non invadere i
suddetti campi e confermo a tal proposito i miei “zero tituli”.
La scintilla è scoccata leggendo un pensiero di Laurence Steinberg, pro-
fessore di psicologia alla Temple University di Philadelfia specializzato nelle
problematiche relative all’adolescenza, che ha capovolto tale punto di vista:
v

Dobbiamo cominciare a pensare all’adolescenza in modo diverso e per


fortuna negli ultimi vent’anni lo studio scientifico di questa fase dello svi-
luppo ha fatto enormi passi avanti. La buona notizia è che tutte le co-
noscenze acquisite, derivanti dalle scienze comportamentali, dalle scienze
sociali e dalle neuroscienze, costituiscono un punto di partenza concreto,
che può aiutare genitori, insegnanti, datori di lavoro, operatori sanitari e
altre figure che si occupano dei giovani a migliorare: ad accudire i figli
in modo più intelligente; a insegnare in modo più efficace; a supervisio-
nare e a lavorare con i giovani in modo da aumentarne la possibilità di
successo; a capire perché tanti bravi ragazzi come Stacie [protagonista
di un episodio di cleptomanìa, NdA] compiano gesti così palesemente
sconsiderati.
La cattiva notizia è che molte di queste conseguenze non hanno anco-
ra minimamente influito sul nostro modo di allevare, educare e trattare i
giovani.

Il cervello adolescente - Laurence Steinberg

Dunque che fare? Aspettare una circolare ministeriale che esortasse a con-
siderare i progressi della scienza? Lavarsene le mani ributtando la palla agli
studenti, magari dicendo loro di studiare di più?
La domanda l’ho posta direttamente a Laurence Steinberg, prima di una
conferenza avente per tema l’adolescenza. La risposta esortava ad aggior-
narsi costantemente e seriamente e a mettere in opera quanto appreso, senza
esitazioni.
Alla fine la decisione presa ha dato vita alle presenti pagine, nelle quali
si parla di scuola, di famiglie e di adolescenti. Non è un trattato su come si
educa un giovane - non mi permetterei mai - ma un tentativo di creare un
ponte fra scuola e famiglie che permetta di migliorare e rendere più efficienti
i rapporti fra i due mondi. Chiedo comunque umilmente perdono in anticipo
per eventuali, non volute, invasioni di campo.

Data la natura di queste pagine è molto probabile che in esse si possano leg-
gere delle stupidaggini sesquipedali o semplicemente frasi che urtino la pro-
pria sensibilità. In entrambi i casi sono graditi i commenti e/o le segnalazioni
d’errore, che possono essere notificati a

bandiziol@katamail.com

Grazie.

ISIS “Arturo Malignani”


Udine, 14/11/2017

Santino Bandiziol
Capitolo 1

Il mondo della scuola

I meccanismi della costituzione democratica sono costruiti per essere


adoprati non dal gregge dei sudditi inerti, ma dal popolo dei cittadini re-
sponsabili: e trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola
può compiere.

Contro il privilegio dell’istruzione - Piero Calamandrei


saggio apparso sulla rivista “Il Ponte” - 1946

Vien da chiedersi se le parole di Calamandrei siano ancora attuali, oppure


se la capacità dell’istituzione scolastica di incidere nel tessuto sociale sia andata
via via affievolendosi.
La scuola di oggi è profondamente diversa non solo da quella del dopo-
guerra ma anche da quella, ad esempio, di 30 anni fa e ciò è valido per tutte le
scuole, di ogni ordine e grado. Ciò significa che il mondo dell’istruzione che
hanno conosciuto i genitori degli allievi che frequentano il nostro Istituto era
completamente diverso da quello di oggi. Eppure, nel loro immaginario, i ge-
nitori pensano ancora alla scuola d’oggi come a quella della loro adolescenza.
Questo punto di vista impedisce, però, di conoscere i meccanismi del sistema
educativo attuale e, talvolta, la stessa natura e genesi delle difficoltà scolastiche
vissute dai loro figli.
Quindi per capire il mondo in cui i giovani spendono parte della loro gior-
nata, le famiglie devono innanzi tutto rendersi conto che la loro idea di scuola
è, in molti casi, ferma a quella vissuta da loro in prima persona, che era molto
diversa da quella attuale. Era diversa dal punto di vista organizzativo, disci-
plinare, didattico e programmatico, come pure nel modo in cui si relazionava
con studenti e famiglie.
Anche quello che la società chiedeva alla scuola di allora è molto diverso
da quello che le viene chiesto oggi, soprattutto in virtù del fatto che numerosi e
profondi sono i cambiamenti avvenuti negli ultimi trent’anni. Per lo studente

1
2 CAPITOLO 1. IL MONDO DELLA SCUOLA

di allora, l’istruzione poteva rappresentare un autentico strumento di eman-


cipazione, per cui essa assumeva, in molti casi, un’importanza primaria nella
vita della famiglia. Tale importanza, per mille motivi, è andata via via sceman-
do, fino ad apparire sbiadita e incolore ai giorni nostri. Basta rileggere Bauman
per rendercene conto:

“Penso che noi tutti potremmo convenire, senza ulteriori indugi, che
la missione dell’istruzione, sin da quando essa fu formulata dagli Antichi
con il nome di paidèia, era, rimane e probabilmente continuerà a rimanere
quella di preparare i giovani alla vita. Se così è, allora l’istruzione, inclusa
l’istruzione universitaria, si trova ora ad affrontare la crisi più profonda
e critica nella sua storia così ricca di momenti difficili: una crisi che col-
pisce non soltanto una specifica consuetudine ereditata o acquisita, ma la
sua vera raison d’etre. Ora ci si attende che i giovani siano preparati a
vivere in un mondo che - in pratica, ancorché non in teoria - rende nulla e
vuota l’idea stessa "dell’essere preparato" - ovvero, adeguatamente quali-
ficato e specializzato, e non colto di sorpresa dagli eventi e dalle tendenze
mutevoli.”1

A tal proposito si propone una - divertente? - riflessione.

1.1 L’importanza dell’istruzione


Tutti i genitori sono solitamente d’accordo nel sottolineare che l’istruzione è
molto importante e che scegliere la scuola giusta insieme al proprio figlio sia
fondamentale. Da ciò dipende la vita futura del giovane, sia dal punto di vista
culturale che sociale ed economico. Insomma scegliere la scuola giusta è una
cosa da farsi con attenzione e in maniera ponderata. Tutti lo dicono e tutti
assumono un’aria seriosa quando lo proclamano.
Si propone, però, una riflessione semiseria ai padri che, un attimo fa, erano
d’accordo con quanto appena letto. Si rifletta per un attimo all’ultima automo-
bile comprata. Ci sono volute settimane, forse mesi, di attenta cernita prima di
compiere l’importante scelta. Si sono comprate per mesi riviste specializzate
ove si promuovevano automobili per tutti i gusti e per tutte le tasche. Si sono
controllati i consumi, le performances, i risultati dei test di frenata e di sbandata
controllata. Se ne è parlato con gli amici al bar per settimane chiedendo se il
difetto alla turbina era stato risolto, se le manutenzioni erano costose e se la
selleria in pelle era delicata.
Tutto giusto. In fin dei conti è molto sensato scegliere al meglio e non
buttare i soldi dalla finestra scegliendo in maniera superficiale.
Immagino anche, che i suddetti padri non abbiano dubbi se collocare il pro-
prio figlio sopra o sotto la propria automobile nella scala dei propri valori (eti-
ci oltre che economici). Sicuramente il figlio è immensamente più importante
della propria auto e sicuramente scegliere la scuola giusta - quella scuola che
può aprire al proprio figlio le porte della cultura e del benessere sociale, quella
stessa scuola che accompagnerà l’adolescente attraverso uno dei periodi più
delicati della propria vita - è immensamente più importante che scegliere bene
un’automobile.
1 B AUMAN , Le sfide all’istruzione nella modernità liquida [4], p. 1.
1.1. L’IMPORTANZA DELL’ISTRUZIONE 3

Ebbene, vadano i suddetti citati padri in edicola e chiedano qualche rivi-


sta che parli di scuola e di come sceglierla bene. Possono provare con “Mi
dia QuattroScuole di ottobre per favore”, oppure “È già uscito Allo Scuolan-
te di novembre?”. Se lo desiderano possono anche fotografare l’espressione
dell’edicolante per poi mostrarla al bar quando trattano l’argomento con gli
amici.
Perché tanta sarcastica ironia? Perché l’ironia fa riflettere. Perché la scuo-
la non “fa mercato”, non “fa tendenza”. Non è colpa di questo o di quello,
semplicemente è ignorata o perlomeno sottovalutata dai legittimi o potenziali
stakeholders. E allora, che fare?
Le presenti pagine hanno proprio l’ambizione di sollevare il problema e di
tentare di costruire un ponte fra famiglie e mondo dell’istruzione. Un ponte
che permetta loro di scegliere coscientemente il luogo dove il proprio figlio
studierà nei prossimi anni, ma che soprattutto permetta, a scelta già operata,
di accompagnare lo studente nel migliore dei modi sull’altra sponda. Lì, ad
attenderlo, ci sarà il mondo del lavoro. Un mondo esigente e non sempre ben
disposto alla comprensione.

1.1.1 Ma insomma, l’istruzione è importante o no?


Naturalmente non si poteva lasciare sospeso il paragrafo precedente senza
passare da un atteggiamento ironico a uno serio.
Chi scrive è intimamente convinto che l’istruzione sia una cosa serissima e
assolutamente fondamentale nella corretta crescita di un adolescente. Tutti noi
abbiamo ricordi vivissimi della scuola superiore e ciò non dipende solo dal pic-
co di reminiscenza, ovvero da quella particolare capacità di ricordarsi soprattutto
eventi legati all’adolescenza.
Dipende anche e soprattutto dall’avere incontrato persone che hanno sa-
puto interpretare al meglio la loro funzione docente in un periodo di grande
sensibilità intellettuale del discente.
Molti adulti ricordano con affetto, fra i loro insegnanti della scuola superio-
re, persone che si sono elevate a guida e che hanno saputo lasciare una traccia
indelebile nello studente: il rigore lessicale, ad esempio, oppure la capacità di
affrontare con metodo un problema o semplicemente l’amore per la conoscenza.
Quel rigore lessicale, quella capacità di affrontare con metodo un problema o
quell’amore per la conoscenza non abbandonerà più l’ex studente che nel frat-
tempo sarà diventato adulto. Sarà un tratto distintivo che lo caratterizzerà per
tutta la vita. Sarà la dote che la scuola gli avrà lasciato prima di entrare nella
vita adulta. Complice di quella azione di imprinting è sicuramente il picco di
reminiscenza, ma il vero fautore rimane l’istituzione scolastica.2
Quindi la scuola non è importante: è straordinariamente importante. Lo è
perché plasma gli adulti e i cittadini e perché cambia le coscienze delle persone.
Talvolta il genitore, sconsolato, dice al proprio figlio: “Ma perché non studi
un po’ di più? Dai, fa’ uno sforzo e fatti promuovere!”. Quel genitore trasfor-
ma un imperativo etico in una bassa azione speculativa. È come se dicesse al
proprio figlio birbantello: “Ma perché non rubi un po’ di meno? E cerca alme-
no di non farti beccare!”. Gli argomenti che quel genitore avanza sono deboli
2 J ANSSEN , C HESSA , M URRE , The reminiscence bump in autobiographical memory: Effects of age,

gender, education and culture [39], pp. 658-659 e pp. 665-666,


4 CAPITOLO 1. IL MONDO DELLA SCUOLA

eticamente. Per smontare la tesi del genitore basta un semplice: “E perché?


Cosa mi dà la scuola?”. Il genitore sa bene, con la disoccupazione giovanile al
40%, che non può dire al figlio che studiando “un po’ di più” trova lavoro. Ri-
schia di far morire dal ridere l’innocente creatura. No, meglio lasciar perdere.
Conviene cambiare strategia.
Al figlio birbantello qualsiasi genitore avveduto dice: “Ma sei impazzito?
Cosa ti salta in mente? NON SI RUBA! È chiaro? Per nessun motivo al mon-
do!” Magari cambia frase, alza la voce, si lascia prendere la mano o si inalbera.
Comunque il genitore retto non può derogare nemmeno di una virgola dal dire
al proprio figlio che non si ruba. E se il figlio ha rubato, anche solo uno spillo,
ciò va considerato un errore al quale rimediare e da non rifare più.
Questa strategia risulta valida anche parlando di studio. Il genitore illumi-
nato potrebbe dire al proprio figlio - quello di prima, un po’ birbantello - in
maniera convincente: “Studia più che puoi, con tutta la passione che hai den-
tro. Divora i libri e sii curioso come una scimmia. Pensa con la tua testa e non
permettere mai a nessuno di farlo al posto tuo.”
Non serve urlare e non servono nemmeno i punti esclamativi. Se si saprà
parlare con il cuore, il giovane capirà. E se la predetta innocente creatura repli-
cherà dicendo: “Ma cosa leggo papà? Non c’è un libro in casa, solo riviste di
automobili” sarà bene mettersi una mano sulla coscienza e incominciare a dare
il buon esempio.

1.2 La crisi dell’istituzione scolastica


Certamente non basterà dire al proprio figlio: “Studia con passione” per tra-
sformarlo da Gavroche in Pico della Mirandola. Per il momento, comunque, si
cerchi di evitare di dirgli: “Studia un po’ di più.”
La verità è che la scuola italiana - e non solo quella italiana - non attraversa
un momento felice, anzi riflette fedelmente i problemi della società odierna.
Ma da dove nasce questa presunta crisi della scuola? Ovviamente non è facile
dare una risposta esaustiva alla domanda. Opinione personale è che essa abbia
almeno due madri: il passaggio, non ancora perfettamente compiuto, da una
scuola piuttosto chiusa ad una scuola moderna e più “democratica” e un calo
motivazionale delle ultime generazioni, ben illustrato in S TEINBERG, [20].3 In
realtà si tratta di risposte molto parziali, ma possono costituire un punto di
partenza dell’analisi.

1.2.1 La trasformazione della scuola


Si è detto che l’istituzione scolastica era, in passato, più chiusa. Certamente era
poco aperta e molto meno “democratica” di adesso. Bastano alcuni esempi per
rendersene conto.
Camminando lungo i corridoi del nostro Istituto si possono leggere brevi
scampoli di storia. Appeso quasi di fronte all’ufficio della Dirigenza si può
leggere una vecchia intervista all’allora Preside dell’ITI “A. Malignani” l’ing.
Gastone Conti e ad alcuni suoi collaboratori, fra i quali l’ing. Bottega. In det-
ta intervista si chiede l’opinione dei due ingegneri per sapere se fosse sensa-
3 S TEINBERG , Il cervello adolescente [20].
1.2. LA CRISI DELL’ISTITUZIONE SCOLASTICA 5

to, secondo loro, permettere l’accesso alle facoltà di Ingegneria ai diplomati


degli Istituti Tecnici. All’epoca, il prof. Bottega si dichiarava nettamente con-
trario, mentre il Preside Conti si dichiarava più possibilista, magari dopo una
selezione “affidata alla media dei voti [...] o ad un esame di ammissione.”4
Un altro esempio eclatante di scarsa democrazia scolastica, come la chiame-
remmo oggi, è dato da un gioco scolastico alquanto perverso, praticato qualche
anno fa. Alcuni studenti del nostro Istituto lo chiamavano “la conquista del
gesso” o qualcosa del genere.
Nella prima metà degli anni settanta accadde che, in seguito ad uno sciope-
ro del comparto scuola e conseguente assenza di un nostro insegnante, la ormai
conosciuta classe 3ˆ ELI/B venne smembrata per un giorno in quattro-cinque
parti e assegnata ad altre classi. In una di esse alcuni di noi hanno avuto modo
di assistere alla “conquista del gesso”.
L’insegnante chiamò un allievo della classe ospitante alla lavagna per essere
interrogato. Era sua usanza fare velocemente una domanda durante il tragitto,
effettuato dallo studente, dal banco alla lavagna. Se lo studente non rispondeva
correttamente a tale domanda veniva rispedito al banco con un sonoro 2, senza
aver nemmeno avuto modo di toccare il gesso che si trovava presso la lavagna.
Durante il tragitto dello spaventato - anzi, terrorizzato - studente eccheggiò
nell’aula la domanda-trabocchetto: “Uno elevato alla zero fa zero, vero?”. Le
parole non erano nemmeno ben scandite. Sembrava piuttosto uno scioglilin-
gua: “Unoallazerofazero, vero?” Lo sciagurato rispose: “Sì”. Venne rispedito
al posto in malo modo con un 2, senza che avesse avuto il modo di toccare il
gesso. Democrazia anni settanta o, se si preferisce, la “conquista del gesso”.
Per la cronaca, il suddetto insegnante, sotto molti aspetti eccellente, è stato
oggetto di numerosi episodi di violenza da parte di alcuni studenti facinorosi.

Ma funzionava una scuola del genere? Sotto molti aspetti sì. Aveva il gran
pregio di indurre gli studenti a studiare, anche se il metodo usato prevedeva
forme arcaiche di terrorismo. Si aggiunga a ciò che, ad esempio nella sezione
Elettronica, la bocciatura in classe terza implicava in quegli anni l’impossibilità,
per regolamento interno, della reiscrizione, per cui si era costretti ad “emigra-
re” in Elettrotecnica. Certo, una simile scuola aveva anche il non trascurabile
difetto di essere un po’ tirannica.
Poi vennero i decreti delegati che portarono una ventata di democrazia. Ec-
co, il “passaggio non ancora perfettamente compiuto” di cui si parlava poc’an-
zi è proprio quello dalla scuola “vecchio stampo” a una più moderna e più
democratica.
La domanda nasce spontanea: in che senso il passaggio non è ancora com-
piuto? Si può ragionevolmente sostenere che la scuola oggidì è luogo perfet-
tamente democratico, se si guarda ad essa con pratica oggettività. Per grandi
linee si può essere d’accordo. Quello che manca, ancora, è l’applicazione di
una delle peculiarità delle democrazie: la cura dell’individuo.5 La tirannìa
parla alle masse, ai sudditi; la democrazia parla agli individui, ai cittadini.
Questo punto di vista è meravigliosamente sostenuto da uno dei maggiori
Costituzionalisti italiani:
4 “Forza Malignani” numero di giungo 1961.
5 Z AGREBELSKY ,Imparare democrazia [22], pp, 18-21.
6 CAPITOLO 1. IL MONDO DELLA SCUOLA

Dobbiamo vedere con preoccupazione il procedere delle nostre società


verso l’omologazione, un fenomeno che riguarda molti livelli dell’esisten-
za, dai consumi opportunamente detti ’di massa’. Chi non si adegua, passa
nel migliore dei casi per un ’originale’; nel peggiore dei casi per uno ’spo-
stato’, da evitare, emarginare, bandire dal gruppo, tanto più in quanto, con
la sua stessa esistenza, solleva dubbi e interrogativi sul pigro conformismo
della maggioranza.
Imparare democrazia - Gustavo Zagrebelsky
L’insegnante che nella pagina precedente chiedeva Unoallazerofazero, vero?
non curava l’individuo, ma obbligava l’individuo ad avere cura di sé. In tal modo,
i risultati - la conoscenza, la promozione - venivano raggiunti, spesso, ugual-
mente ma a totale spesa e carico dello studente e delle famiglie. Era unicamente
compito dello studente mettersi nelle condizioni di apprendere e farsi promuo-
vere. L’insegnante si limitava a illustrare i concetti, limando, qua e là, alcune
difficoltà che gli allievi - plurale - potevano incontrare.

1.2.2 La cura dell’individuo


Si è detto che la cura dell’individuo è una delle caratteristiche della scuola de-
mocratica. Questo punto, non del tutto oscuro agli allievi e alle famiglie, va
approfondito.
Studenti e famiglie hanno il diritto di chiedere all’istituzione scolastica di
occuparsi del singolo individuo. Ma la democrazia non vive di soli diritti: chie-
de una partecipazione attiva ai suoi cittadini. Ciò vale anche nelle aule scola-
stiche. Questo fondamentale concetto non è sempre compreso dagli studenti,
che prendono posto fra i banchi di scuola come ci si siede sulla poltroncina
del barbiere: totalmente passivi. È come se dicessero all’insegnante/barbiere:
“Insegnami la matematica - Corti dietro, per favore.”6
Di nuovo stiamo parlando del “passaggio non ancora perfettamente com-
piuto”, ma stavolta non più puntando il dito verso il docente, ma puntando-
lo verso lo studente. Egli deve essere parte attiva nella trasformazione della
scuola, proprio per permettere a quest’ultima di portarla a compimento.
Analoga obiezione può essere, infine, sollevata per le famiglie. È un lo-
ro sacrosanto diritto chiedere che il proprio figlio sia visto dalla scuola co-
me individuo, ricco e insostituibile, ma anche in questo caso la democrazia
è partecipazione, tanto per parafrasare Giorgio Gaber.
Contatti stretti fra insegnanti e famiglia sono il presupposto per una mag-
giore serenità familiare e per una maggiore efficienza didattica. Purtroppo,
però, ci sono famiglie che frequentano molto poco le ore di ricevimento degli
insegnanti, né hanno contatti con i rappresentanti di classe.
Ciò è strategicamente errato. La scuola è quasi sempre una priorità nella
famiglia, volente o nolente. Conviene essere protagonisti attivi nelle vicende
scolastiche del proprio figli, piuttosto che spettatori passivi. Invece una delle
riunioni più importanti dell’anno, l’elezione dei rappresentanti di classe, non
è solitamente molto frequentata. Molti genitori preferiscono disertare la riu-
nione per non correre il rischio di essere eletti.7 Ciò è, invece, profondamente
6 La “sindrome del barbiere” è stata teorizzata anni fa dall’ing. Giancarlo Toso, nostro collega,

ora in quiescenza.
7 Potrebbe essere interessante sapere se sono abbonati a riviste di automobili.
1.3. L’ALLEANZA SCUOLA-FAMIGLIA-STUDENTE 7

sbagliato. È come, per fare un paragone un po’ forte, pretendere di vincere la


guerra senza presentarsi sul campo di battaglia.
Partecipare attivamente alla vita della scuola, nel rispetto dei rispettivi ruo-
li, costituisce condizione necessaria non sufficiente per abbattere le reciproche
diffidenze e per permettere alla scuola di completare il cambiamento messo
in atto negli ultimi tre decenni. Magari il cambiamento non interesserà l’in-
tera scuola italiana, ma almeno una singola classe, forse sì: magari quella del
proprio figlio.
A rafforzamento della predetta tesi si cita l’incipt di una lunga appendice
posta in coda ad un istruttivo manualetto:
Questa appendice ha lo scopo di indurre i genitori a collaborare attiva-
mente con gli insegnanti contribuendo, secondo le rispettive responsabili-
tà, a migliorare l’educazione e l’apprendimento dei ragazzi.
L’ex ministro dell’istruzione Tullio De Mauro, intervistato da Piero
Angela nel programma Superquark di giovedì 7 luglio 2011 ha descritto
una situazione della scuola italiana disastrosa. Il ministro rilevava che
l’abbandono scolastico di coloro che si iscrivono alle secondarie di 2o grado
è di 200.000 studenti all’anno, che vanno a rinnovare il gruppo del 5%
della popolazione tra i 15 e i 29 anni che non studiano, fanno lavoret-
ti saltuari e praticamente vivono a carico delle famiglie. Il professore De
Mauro diceva anche che il 5% della popolazione italiana si trova in una
situazione di ritorno all’analfabetismo, e un altro 76% si trova sotto i li-
velli minimi di competenze di calcolo, di lettura e scrittura, concludendo
che meno del 20% degli italiani avrebbe le competenze minime per orien-
tarsi in una società tecnologica contemporanea, e conseguentemente non
sarebbe in grado di orientare correttamente i propri figli negli studi.8

1.3 L’alleanza scuola-famiglia-studente


Si è visto che una scuola moderna e democratica deve occuparsi del singo-
lo individuo. Dal punto di vista teorico sembra piuttosto semplice: è suf-
ficiente che la triade docenti-famiglia-studente collabori ponendosi un unico
fine, ad esempio lo sviluppo e l’elaborazione della conoscenza negli ambi-
ti proposti dalla scuola, che tutto si sistemerà per il meglio. C’è un picco-
lo problema in tutto ciò: in realtà la triade non è docenti-famiglia-studente,
ma docenti-famiglie-studenti. Questi due plurali complicano enormemente le
cose.
Il singolo docente si trova a dover operare, normalmente, con classi di car-
dinalità variabile: da un minimo di 15 allievi ad un massimo di 30. In tali
condizioni diventa molto importante la collaborazione con il corpo docente del
singolo studente e quella della singola famiglia, per dare pieno compimento al-
la cura dell’individuo. Il grado di realizzazione dell’obiettivo precedentemente
dichiarato da parte delle tre componenti citate sarà direttamente proporzionale
al grado di impegno nella persecuzione dell’obiettivo stesso. È assolutamente
fondamentale che il corpo docente non sia lasciato solo nella persecuzione di
tale obiettivo.
Come ciò possa avvenire, sarà l’oggetto dei prossimi due capitoli.
8 G ALLI , Manuale dello studente professionista [7], p. 240.
Capitolo 2

La famiglia

A che genere di uomini appartengo? A quello di chi prova piacere nel-


l’essere confutato, se dice cosa non vera, e nel confutare, se qualcuno non
dice il vero, e che, senza dubbio, accetta d’esser confutato con un piacere
non minore di quello che prova confutando. Infatti, io ritengo che l’esser
confutati sia un bene maggiore, nel senso che è meglio essere liberati dal
male più grande piuttosto che liberarne altri. Niente, difatti, è per l’uo-
mo un male tanto grande quanto una falsa opinione sulle questioni di cui
ora stiamo discutendo. Se dunque anche tu sostieni di essere un uomo di
questo genere, discutiamo pure; altrimenti, se credi sia meglio smettere,
lasciamo perdere e chiudiamo il discorso.

Gorgia - Platone

La famiglia deve essere protagonista attiva nel mondo della scuola. Deve es-
sere presente attivamente nei singoli organismi sempre, come già detto, nel ri-
spetto dei rispettivi ruoli. Quest’ultimo aspetto è estremamente delicato, dato
che succede frequentemente che le famiglie abbiano qualcosa da dire a propo-
sito della didattica praticata in una determinata materia, come pure succede
che il corpo docente abbia da obiettare, talvolta, sull’educazione dei discenti.
Sembrano essere due invasioni di campo, in un senso e nell’altro. Che fare?

2.1 Absit iniuria verbis


La scuola trae immenso vantaggio dalla collaborazione docenti-famiglie. En-
trambi vogliono far bene il proprio lavoro, ossia insegnare ed educare. Può
succedere che si compiano degli errori, ma ciò non significa che non si debba
discutere. Si pensi all’azione educatrice dei genitori nei confronti del proprio

9
10 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

figlio: entrambi i genitori sono d’accordo nel dire che è giusto e sacrosanto edu-
care bene i figli, ma poi litigano fra loro su come applicare sul campo questa
sublime massima.
Anche le famiglie e gli insegnanti sono d’accordo nell’affermare che è giusto
e sacrosanto educare alla cultura i giovani, insegnando loro la matematica, la
storia, l’elettronica e quant’altro. L’eventuale disaccordo nasce dopo, quando
si mettono in pratica i sani princìpi. Per questo è importante discutere insie-
me e rendersi vicendevolmente edotti sui rispettivi punti di vista. Pacatamen-
te, educatamente e nel rispetto dei rispettivi ruoli, come il titolo della sezione
suggerisce.1
Come ricorda la citazione a inizio capitolo, è più importante, durante una
discussione, ammettere un proprio torto piuttosto che affermare la propria ra-
gione. Chi afferma la propria ragione - essendo nel giusto - fa crescere gli
altri, chi ammette un proprio torto, cresce. La qual cosa è molto più impor-
tante e difficile. Questo però deve essere lo spirito che anima le discussioni
docenti-famiglie e ciò dovrà essere sempre tenuto a mente da entrambi.

2.2 Un unico obiettivo?


Si è detto precedentemente che docenti e famiglie devono avere un unico obiet-
tivo: educare alla cultura i giovani. Si è anche detto che su tale punto solita-
mente le due parti sono d’accordo. Ma forse non è sempre così. Chi scrive ha
fatto molti consigli di classe e molti scrutini e conosce con precisione i meccani-
smi che regolano uno scrutinio di fine anno. Ha anche avuto modo di ascoltare
innumerevoli genitori, di percepire il senso di dolore che a volte il genitore si
portava appresso. E allora?
E allora, forse, è arrivato il momento di parlare della punizione estrema che
la scuola infligge talvolta agli allievi: la bocciatura. È uno di quei sostantivi
che si pronunciano malvolentieri, perché sono forieri di piccole o grandi tra-
gedie per le famiglie. E nell’immaginario collettivo il consiglio di classe non
sta a pensarci tanto su: se il ragazzo è gravemente insufficiente in matematica,
italiano e inglese, tanto per fare un esempio, viene bocciato e avanti il prossimo.

Ho letto “Lettera a un insegnante” di Vittorino Andreoli appena pubblicato,


nel 2006. È stata una lettura avida, avvincente, che mi ha insegnato molto e che
ha rappresentato e rappresenta una pietra miliare nella mia vita di docente.
Un brano di quel libro mi ha particolarmente colpito. L’ho letto e riletto varie
volte, non dimenticandolo, sostanzialmente, mai e ogni volta, rileggendolo,
percepisco un senso di condanna e di sostanziale impotenza:
[...] sono contrario alle punizioni perché so che, al di là di quanto quel-
la punizione si propone, e potrebbe essere più che giustificato, essa provoca
1 La locuzione latina absit iniuria verbis (lett. “sia lontana l’ingiuria dalle parole”) è una versione

alterata di una frase di Tito Livio, che risulta originariamente absit invidia verbo, cioè “sia lontana
l’ostilità dalla (mia) parola” (Ab Urbe condita, IX, 19, 15).
Il senso, in realtà, non muta di molto. In entrambi i casi, si sottolinea che il pensiero di chi parla
esprime (o vorrebbe esprimere) un concetto obiettivo, non fraintendibile o interpretabile da chi
ascolta, e soprattutto non offensivo nei suoi confronti. Ovvero, un’espressione attenuativa con la
quale, normalmente, si accompagnano dichiarazioni che potrebbero apparire offensive, ma dette
con franchezza e per amore di verità, o per riferire un giudizio dato da altri.
Tratto da: wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Absit_iniuria_verbis
2.2. UN UNICO OBIETTIVO? 11

degli effetti che vanno oltre, che non erano previsti, che risentono delle sin-
gole personalità e storie. Possono generare ferite che lasciano un segno per
sempre, provocare reazioni di abbandono che attivano la colpa oltre la mi-
sura che si voleva attivare per un comportamento specifico. La punizione
può venire vissuta come rifiuto della propria persona, del proprio esistere
e quindi essere letta come una condanna esistenziale totale.
Questa è la estensione, certo non voluta, di fronte a una bocciatura.
Nell’intento dell’insegnante o del consiglio dei docenti2 si voleva stimo-
lare l’allievo a ricominciare bene un anno, metterlo in condizioni di van-
taggio rispetto ai nuovi compagni e quindi nella possibilità di godere di
gratificazioni che nel corso dell’anno precedente non c’erano state. Invece
quell’allievo ha vissuto la bocciatura come un rifiuto esistenziale e lo ha
caricato di un giudizio globale, quello di non valere nulla e quindi di non
poter nemmeno vivere.
Al significato dato alla bocciatura da parte della scuola, si aggiunge poi
quello della famiglia. Il mancato risultato come insensibilità per i sacrifici
compiuti, il dolore dato a un padre che sta male.
Quel giudizio diventa un giudizio di Dio, e una bocciatura, una cata-
strofe della vita.
Lo so che non era questa l’intenzione di quel provvedimento, ma di
fatto questo è accaduto.3

È stato facile citare il brano. Aprendo il libro vi ho trovato due segnalibri,


uno dei quali proprio a sentinella severa e attenta del brano appena citato.
Ogni volta che si è dovuto discutere la bocciatura di un allievo la mente è
andata a quel brano.
Vorrei che si sapesse l’infinito travaglio che certi consigli di classe hanno
vissuto, durante le discussioni senza fine che li hanno animati. Le contrap-
posizioni quasi epiche fra “buonisti” e ”bocciaiòli” e, soprattutto, l’attenta,
attentissima considerazione del fatto che le nostre decisioni riguardavano un
adolescente, con le sue fragilità e il suo anèlito di crescita.
Tutte queste discussioni, però, prima o poi devono giungere a un termine e
se si non si raggiunge un accordo, la legge ci obbliga ad esprimerci mediante
votazione. Niente di più simile, talvolta, al Crucifige e in totale disaccordo
- potenza dell’incoerenza della scuola democratica - con uno dei paradigmi
dell’ethos democratico: evitare le decisioni irrimediabili.4 Questi consigli di classe
hanno sovente lasciato ferite non solo nell’animo dello studente, ma anche in
quello di molti docenti.
Un ultimo pensiero, doveroso, alle famiglie e agli studenti ai quali que-
ste decisioni vengono inflitte: durante le discussioni infinite, precedentemente
raccontate, l’aspetto “tecnico” praticamente non esiste. Se un ragazzo ha un
votaccio in matematica, non è di quello che si discute. Si discute se e quanto le
deficienze nella materia possono pregiudicare un sereno percorso nella classe
superiore. Si discute se l’allievo stia vivendo i travagli dell’adolescenza e se sia
possibile scommettere sul suo futuro scolastico. Si discute se vi siano i margini
per dare un’ulteriore possibilità allo studente. Non si discute mai della materia
in sé e del fatto che non si sia raggiunta la sufficienza.
2 In realtà Vittorino Andreoli allude al consiglio di classe. NdA.
3 A NDREOLI , Lettera a un insegnante [2], p. 34.
4 Z AGREBELSKY , Imparare democrazia [22], pp. 29-30.
12 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

Personalmente, mi è capitato di veder rimandare a settembre il giudizio


di un allievo che a giugno non aveva sufficienze. Nemmeno una! Era esone-
rato in Educazione Fisica per problemi di cuore e non si avvaleva dell’inse-
gnamento della religione cattolica. Era gravemente insufficiente in tutte le
materie, in molte delle quali riportava giudizi schiaccianti. Eppure, l’intero
consiglio di classe, con grandissima responsabilità, tenendo conto del partico-
lare vissuto del ragazzo, dopo un’attentissima discussione, ha deciso di porta-
re alla sufficienza tutte le materie meno le tre portanti e rinviare il giudizio a
settembre.
A settembre, il consiglio non ha potuto far altro che constatare che l’allievo
non aveva fatto il benché minimo progresso in nessuna delle tre materie e agi-
re di conseguenza, bocciandolo. Non era possibile portare quell’allievo nella
classe superiore: avrebbe vissuto un annus horribilis senza capire nulla degli ar-
gomenti, soprattutto quelli di natura tecnica, che il programma gli proponeva.
Promuoverlo in quelle condizioni significava minarne l’autostima giorno per
giorno, lezione dopo lezione.
Il consiglio di classe ha preferito parlare direttamente con la famiglia sia a
giugno che a settembre, spiegando le ragioni del consiglio e ascoltando quel-
le della famiglia. In particolare a giugno, parve che la famiglia non avesse
compreso a fondo l’atto di fiducia compiuto dal consiglio, mandando il figlio in
vacanza dai nonni a mo’ di premio per lo scampato pericolo.

In questo particolare caso, la famiglia e il consiglio di classe hanno dimo-


strato di non condividere un unico obiettivo. La famiglia chiedeva una pro-
mozione a prescindere, mentre il consiglio di classe ha voluto valutare se la
promozione rappresentasse l’effettivo bene per il ragazzo, al di là dei voti. Personal-
mente mi sono interrogato infinite volte riguardo a casi simili, cercando anche
di sentire nelle orecchie l’eco delle severe parole del professor Andreoli. Sono
sempre stato pronto a scommettere se esisteva anche solo una lontana possi-
bilità di recupero - e più di qualche volta la scommessa è stata vinta! - ma
di fronte all’evidenza bisogna avere la capacità di accettare la sconfitta. E sto
parlando della sconfitta del docente, non di quella dello studente.

2.2.1 Sì, un unico obiettivo


Deliberiamo non sui fini, ma sui mezzi per raggiungerli. Infatti, un
medico non delibera se debba guarire, né un oratore se debba persuadere,
né un politico se debba stabilire un buon governo, né alcun altro delibera
sul fine. Ma, una volta posto il fine, esaminano in che modo e con quali
mezzi questo potrà essere raggiunto.
Etica Nicomachea, libro III - Aristotele

L’argomento è troppo delicato e cruciale per liquidarlo in due paginette.


Il paragrafo precedente dovrebbe aver messo in evidenza in modo piuttosto
chiaro che la scuola, da sola, non è in grado di operare scelte estreme come
la bocciatura senza arrecare anche ulteriori danni collaterali, in primis allo stu-
dente, ma di riflesso anche alla relativa famiglia. Il caso particolare, infine, ha
posto in evidenza che anche il tentativo di recupero può essere infruttuoso se
operato senza l’aiuto della famiglia.
2.2. UN UNICO OBIETTIVO? 13

È quindi fondamentale una fattiva collaborazione fra scuola e famiglia, ce-


mentata da un unico obiettivo. Tale obiettivo, che fino ad ora è stato generi-
camente indicato come l’educazione alla cultura, va ora dettagliato in maniera
un po’ più precisa, al fine di potersi poi concentrare, come consiglia Aristotele
nel terzo libro dell’Etica, sui mezzi atti a raggiungerlo.

Sulla cultura, ahimè, non c’è sempre unicità di vedute. Non più tardi di
qualche anno fa un Ministro della Repubblica Italiana ha proclamato in TV che
“con la cultura non si mangia”, affermazione che si preferisce non commentare.
Si preferisce, quindi, andare per gradi.
Sicuramente si può convenire che si deve perseguire il bene dell’adolescente,
ossia metterlo nelle condizioni di affrontare serenamente e con mezzi appro-
priati le sfide che il futuro gli riserva. E si può anche convenire che le sfide
di oggi non sono certo quelle di ieri. Cinquantamila anni fa era sicuramen-
te molto importante possedere un buon udito e una buona vista, in modo da
poter rilevare prima possibile un eventuale pericolo. Altrettanto sicuramente
era importante saper correre veloce e saper lanciare con precisione i sassi. Ma
nel 2017, personalmente, eviterei di compilare la voce “Capacità e competenze
tecniche” del proprio Curriculum Vitae scrivendo “Ottimo lanciatore di sassi”.
Lo stesso ragionamento vale anche per un passato meno remoto. Trent’anni
fa era meno importante conoscere le lingue. Per comprenderne l’importanza
era necessario andare all’estero. Oggi non si può nemmeno prendere in mano
il telecomando della TV o navigare in Internet senza trovare delle scritte in
inglese.
Trent’anni fa l’obbligo scolastico si estendeva fino alla terza media e il con-
cetto di obbligo formativo nemmeno esisteva. Oggi, l’obbligo scolastico si esten-
de per almeno 10 anni - quindi almeno fino al compimento del sedicesimo anno
di età - e l’obbligo formativo fino al compimento del diciottesimo anno di età.5
La scuola è molto più importante per gli studenti di oggi di quanto non
lo fosse allora per i loro genitori. La scuola italiana odierna è “misurata” se-
condo parametri europei definiti nell’EQF (European Qualification Frameworks).
Nel primo rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al quadro
europeo EQF del 2012 si legge:6

Sulla base della comune esigenza di far fronte a problematiche nuove -


derivanti da rapidi cambiamenti economici, sociali, tecnologici e dal con-
tinuo bisogno di rinnovamento delle competenze dei cittadini lavoratori -,
i Paesi europei decidono di puntare insieme sullo sviluppo dei propri si-
stemi di istruzione e formazione per accrescere il livello di competitività
dell’Europa.

Davanti ad affermazioni del genere è arduo sostenere che “con la cultura


non si mangia”. La cultura è oggi molto più importante di ieri, non solo perché
forma l’uomo ma perché oggi forma anche l’ossatura sociale e professionale
dell’adulto. Il genitore che non lo capisce, manda il proprio figlio in guerra
senza scudo e con una forchetta al posto della spada.

5 Fonte: MIUR - Ufficio Relazioni con il Pubblico, [24]


6 EQF, Primo rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al quadro europeo EQF [34], p. 9.
14 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

2.2.2 Dal fine al mezzo


Se c’è accordo, sostanzialmente, sul fine - e, francamente, non si riesce a im-
maginare uno scenario diverso - si può, certamente senza dimenticare mai le
fragilità, le incertezze, le paure tipiche degli adolescenti che si vogliono aiutare,
riflettere sui mezzi usati per perseguire l’obiettivo.
Bisogna sottolineare subito che spesso i mezzi utilizzati dalle famiglie so-
no diversi da quelli utilizzati dai docenti e che ciò dipende principalmente dal
fatto che la famiglia ha maggiore possibilità di curare l’individuo, mentre l’in-
segnante opera all’interno di un insieme mediamente molto più numeroso. Il
rapporto figli-genitore varia grossolanamente fra 1 e 3, mentre quello studenti-
docente varia normalmente fra 15 e 30. Inoltre, il genitore può contare su un
“tempo educativo” prolungato, formato, sempre grossolanamente, da una me-
dia minima di 4-6 ore giornaliere, nel periodo settembre-giugno, se il genitore
lavora e almeno 8-10 ore giornaliere se il genitore non lavora. Il docente può
contare su una media giornaliera, nello stesso periodo settembre-giugno, che
tipicamente varia da un minimo di 9 minuti ad un massimo di 52 minuti gior-
nalieri. Anche tenendo conto che i genitori sono solamente 2 e che i docenti
possono essere 10-12, i numeri rimangono sempre a favore delle famiglie.
Ciò significa che il genitore si trova in una situazione educativa potenzial-
mente molto più efficiente di quella dell’insegnante e che di ciò si deve tener
conto.

Si è detto che i mezzi educativi utilizzati dalle famiglie e dalla scuola sono
sostanzialmente diversi. Si è anche detto che ciò è sostanzialmente dovuto
ad un rapporto familiare più intenso di quello scolastico, che permette legami
umani, nel primo caso, molto più stretti e nel secondo caso indubbiamente più
freddi. È giusto che sia così. La scuola non può essere una caricatura della
famiglia, ma deve fornire un servizio di alto livello.
Volendo coniare degli slogan un po’ frettolosi e pressappochisti, si potrebbe
dire che la famiglia utilizza mezzi che potrebbero essere catalogati come “ma-
terni” e la scuola mezzi più “paterni”. La famiglia offre un nido caldo al figlio,
mentre la scuola ha verso lo studente un atteggiamento più severo.
Anche fin qui sembra tutto ragionevole. Il problema reale consiste nel de-
finire quando il livello di severità della scuola può dirsi ragionevole, norma-
le, sensato, umanamente accettabile e condivisibile dalle famiglie e dagli stu-
denti. Analogamente è necessario definire quando un eventuale atteggiamen-
to consolatorio da parte della famiglia può dirsi ragionevole, normale, sensato,
umanamente accettabile e non diventare controproducente per l’azione edu-
catrice della scuola. I rispettivi atteggiamenti vanno sicuramente analizzati e
discussi, l’importante è che non si invertano: la famiglia continui ad essere
“consolatoria” e la scuola “severa”.

2.2.3 L’atteggiamento della scuola e della famiglia


La scuola può creare tragedie, piccole e grandi. Questo, ciascun insegnante de-
ve tenerlo bene a mente. Nel caso ci fossero dubbi sull’affermazione, potrebbe
tornare utile rileggere il pensiero di Vittorino Andreoli a pagina 10. Per esse-
re più precisi ed estremizzando il concetto, la scuola può essere la goccia che
fa traboccare il vaso o l’inondazione che allaga il paese. Nel secondo caso si
2.2. UN UNICO OBIETTIVO? 15

pone indubbiamente un grave problema per l’istituzione scolastica che deve


interrogarsi sulle proprie finalità e sui mezzi usati per perseguirle. I margini
di intervento delle famiglie, in questi casi estremi, si limitano alla denuncia
del problema al Dirigente Scolastico o alle autorità competenti. Francamente,
sembra piuttosto inutile approfondire la questione.
Il primo caso, invece, è più complesso e merita un approfondimento. Lo
studente potrebbe essere sotto stress per vari motivi e l’azione svolta dalla
scuola potrebbe essere oggettivamente inquadrata semplicemente come “sca-
tenante”. Personalmente non vedo colpa grave da parte dell’istituzione scola-
stica se non - e qui torna a presentarsi il problema massa/individuo - la man-
cata rilevazione dello stato di tensione dell’allievo. Si tratta di una situazione
potenzialmente esplosiva, ma anche potenzialmente risolvibile. In questi casi
l’aiuto della famiglia è insostituibile. Se la famiglia rileva una situazione di
disagio da parte del figlio è evidente che la scuola ne deve essere informata e
ne devono essere informati i docenti interessati. In caso contrario, addossare la
colpa alla scuola di eventuali azioni incontrollate da parte del giovane è pura
demagogia. Ed è anche piuttosto comodo.
Si noti che quando la situazione è rovesciata, la scuola, solitamente, fa il
proprio dovere senza tentennamenti. Appena il consiglio di classe rileva un di-
sagio o delle diffuse difficoltà da parte dell’allievo, provvede immediatamente
a comunicarlo alla famiglia. Personalmente mi è capitato di dover convocare
delle famiglie per esporre ai genitori casi di bullismo attivo da parte dei loro
figli, colti, tra l’altro, sul fatto e di registrare la reazione sdegnata della famiglia
che non accettava l’evidenza dei fatti.
Il consiglio di classe che viene avvertito di una situazione di disagio da par-
te di un allievo ha il dovere di monitorare con estrema serietà l’evolversi della
situazione. Personalmente potrei citare parecchi casi in cui la collaborazione
famiglia-scuola ha dato ottimi risultati con grande soddisfazione da parte del-
la famiglia, dell’allievo e, perché no, anche dell’insegnante che ha contribuito
a ricondurre la situazione entro limiti normali o, a volte, ad appianare conflitti
nati all’interno della scuola.
In casi come questi è evidente che la collaborazione funziona. Può succedere,
invece, che la scuola inneschi delle situazioni di attrito stabilitesi, ad esempio,
fra un docente e uno studente e che la famiglia, anziché parlare del proble-
ma con le figure a ciò preposte - il coordinatore di classe, l’eventuale funzio-
ne obiettivo individuata a tal fine dal collegio dei docenti, l’organo vicario, la
Dirigenza stessa - accentuino la loro azione consolatrice. Una tale situazione
è potenzialmente dannosa, perché solitamente la distanza docente-discente si
accentua anziché diminuire.
L’azione della famiglia potrebbe rafforzare la convinzione dello studente
di essere oggetto di un’azione ingiusta, portandolo a reagire di conseguenza
nei confronti del docente. Quest’ultimo potrebbe percepire l’ostilità nei propri
confronti e rispondere con la stessa moneta, e così via in un crescendo deleterio.
Naturalmente non si sta difendendo il docente, che in questo caso si comporta
in maniera professionalmente discutibile, ma si sta semplicemente descrivendo
una possibile evoluzione dei fatti.
La famiglia deve anche tener conto che il proprio figlio è spesso emotiva-
mente coinvolto nel problema, per cui le vicende potrebbero essere esposte in
maniera non sempre perfettamente oggettiva. Insomma, si vuole sottolineare
che parlare direttamente con il corpo docente in maniera serena e franca è sicu-
16 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

ramente la scelta migliore ed è il miglior contributo che la famiglia possa dare


nell’appianamento dei problemi che possono insorgere.

2.3 Come può la famiglia aiutare il proprio figlio?


Si supponga ora che non vi siano particolari problemi di natura strettamente
umana da risolvere, ma che semplicemente il figlio sia in difficoltà con qualche
materia. Cosa debba fare lo studente per migliorare la propria posizione è
argomento dibattuto ovunque - anche nel prossimo capitolo - ma quello che
può attivamente fare la famiglia è solitamente meno discusso.
In realtà la famiglia può aiutare moltissimo il proprio figlio, a patto che a
entrambi sia chiara una cosa fondamentale: il cervello dell’adolescente è profonda-
mente diverso da quello dell’adulto. Ciò significa che gli adulti possiedono delle
abilità che permettono loro di essere di immediato aiuto ai loro figli, senza doversi
ricordare la data del congresso di Worms, o sapere chi era Carneade o sapere
se l’integrale definito fa bene alla regolarità intestinale.
Prima, però, di poter dare dei consigli concreti alle famiglie è necessario
ripetere alcune cose che tutti i genitori sanno, ma la cui importanza, a volte, è
sottovalutata.

2.3.1 Io alla tua età...


Alzi la mano quel genitore che non ha mai detto a suo figlio la fatidica frase:
“Io alla tua età ...” seguito da qualche nobile predicato (lavoravo, aiutavo, stu-
diavo, vincevo, ecc.) e da ancor più nobili complementi, diversissimi fra loro
e praticamente impossibili da elencare significativamente anche solo in parte.
Così facendo l’adulto commette un inconsapevole errore:7 confronta e sovrap-
pone due periodi, la propria adolescenza e quella del giovane, non perfetta-
mente sovrapponibili. Non già e non solo perché sono diverse le condizioni
al contorno, tanto per usare una locuzione scolastica, ma perché i due gradi
di maturità e di responsabilità raggiunti non sono direttamente confrontabili.
Diversi studi, infatti, hanno messo in evidenza un allungamento dell’adolescenza,
specialmente in Italia.8 Tale allungamento è dovuto a una pubertà precoce e al
posticipo dell’abbandono della famiglia d’origine.
Quest’ultimo fenomeno, oltre a indurre l’allora ministro dell’Econimia Tom-
maso Padoa-Schioppa a coniare il termine “bamboccioni”, si merita all’estero
l’appellativo di Italian latest-late. Per sgombrare il campo da ambiguità, Lau-
rence Steinberg identifica l’inizio dell’adolescenza con la pubertà e la sua fine
con il matrimonio e l’indipendenza economica. Traducendo il concetto in cifre,
l’adolescenza si colloca tra i 10 e i 25 anni circa.9 Si tratta, quindi, di un periodo
ben più ampio dell’intervallo 13-19 identificato dal termine inglese teenage.
7 E qualche volta pure bara: chi scrive potrebbe portare innumerevoli esempi di medio-

cri studenti, diventati poi genitori esigenti (e prudentemente silenti riguardo al loro trascorso
scolastico).
8 M AZZUCCO , M ENCARINI , R ETTAROLI , Similarities and differences between two cohorts of young

adults in Italy [44], pp. 108-109, B ILLARI , TABELLINI, Italians are Late: Does it Matter? [29], p. 2 e
S TEINBERG, Il cervello adolescente [20], p. 14, solo per citarne alcuni.
9 Tale stima è valida per gli Stati Uniti, dove l’abbandono della famiglia di origine avviene

mediamente prima che in Italia.


2.3. COME PUÒ LA FAMIGLIA AIUTARE IL PROPRIO FIGLIO? 17

Sessant’anni fa, molti ventenni friulani, al termine del servizio militare emi-
gravano in Svizzera, Germania, Belgio, Francia, ecc. in cerca di lavoro e di
fortuna, guadagnandosi in tal modo l’indipendenza economica ma anche ac-
collandosi nuove responsabilità e fronteggiando nuovi problemi.
Oggidì, la mancanza di lavoro e il prolungamento del periodo di studi han-
no fatto sì che si ritardasse anche l’assunzione di responsabilità dei giovani con
conseguente posticipo dell’entrata nella vita adulta. I maschi nati alla fine de-
gli anni quaranta trovavano lavoro all’età media di 18 anni, mentre i nati alla
fine degli anni ottanta trovavano il loro primo impiego all’età media di oltre 21
anni.10
Non tenere conto di questi fenomeni significa rinunciare a capire il mondo
degli adolescenti e non poterli aiutare efficacemente.

2.3.2 Ma ragiona, per favore!


Adesso alzi la mano quell’adulto - genitore o insegnante che sia - che non ha
mai detto ad un adolescente: “Ma ragiona, per favore”. Quell’adulto che ha la
mano alzata è una persona intelligente e sensibile. Probabilmente, però, è an-
che neuropsichiatra che fa ricerca attiva o che si mantiene aggiornato leggendo
pubblicazioni. A coloro i quali, invece, la mano non l’hanno alzata - e fra co-
loro c’è anche il sottoscritto - un consiglio non richiesto: non diciamo mai più
quella frase! Perlomeno non con quel tono semicanzonatorio e di rimprovero
che gli adulti spesso usano. La frase, detta in quel modo, è odiosa e sleale.
È vero, gli adolescenti “non ragionano”. O perlomeno hanno effettivamen-
te qualche difficoltà a elaborare ragionamenti logici con la stessa facilità con
la quale li elaborano gli adulti. Il cervello, nel periodo dell’adolescenza, vive
una specie di “seconda infanzia”. In tale periodo il cervello rafforza signifi-
cativamente quelle capacità considerate non indispensabili (capacità cosidette
experience dependent, ossia legate alle capacità decisionali, di pianificazione, di
controllo delle emozioni, ecc.) e che sono fortemente dipendenti dalle esperienze
vissute e quindi dall’ambiente.11
L’adolescenza, in virtù della neuroplasticità che il cervello possiede in quel
periodo, diventa una straordinaria occasione da non perdere. Il giovane svilup-
pa, in quel periodo, la capacità di controllare le proprie emozioni, di pianifica-
re e organizzare il proprio futuro, di prendere decisioni difficili e di analizzare
problemi complessi. Attenzione, però: il fatto che l’adolescenza sia il perio-
do in cui dette capacità si sviluppano significa anche che l’adolescente ancora
non le possiede completamente. La stentorea frase spesso pronunciata da genitori
e insegnanti - “Ma ragiona, per favore!” - sembra essere, quindi, perlomeno
sleale.
Inoltre, durante l’adolescenza il giovane vive un periodo molto delicato,
causato da una ipersensibilità al mondo esterno e da uno spiccato “senso del
tragico”12 e anche di ciò si deve tener conto quando si svolgono le proprie
funzioni di genitore e di insegnante.

10 Dati ISTAT 2014, Generazioni a confronto [38], pp. 12-15.


11 S TEINBERG , Il cervello adolescente [20], p. XX
12 Ibidem, [20], pp. 23-29.
18 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

2.3.3 La pazienza della famiglia


In tempi recenti rimproverai un’intera classe di essere troppo legata al voto,
spiegando loro che, soprattutto a inizio anno, era più importante il metodo
piuttosto che il risultato. Perché utilizzando un metodo sbagliato, col tempo ciò
sarebbe diventato sempre più evidente e i risultati sarebbero inevitabilmente
peggiorati. Utilizzando, invece, un metodo corretto, i risultati, prima o poi,
dovevano migliorare. Ho anche aggiunto, al fin della licenza, che avrei portato
pazienza caso mai i risultati non fossero stati subito positivi.
La risposta di una ragazza mi sorprese: “Lei porterà sicuramente pazienza,
ma non i nostri genitori”. Anche a distanza di tempo mi rendo conto che quella
allieva aveva ragione. Fa parte della natura dei genitori voler vedere subito dei
risultati concreti. Chiedendo risultati subito, però, il genitore, suo malgrado,
diventa ansiogeno e alimenta l’ansia del figlio. Che fare? Credere in ciò che si
fa! Se insieme al ragazzo si sta organizzando al meglio il suo carico scolastico
e se lo studente si impegna, i risultati si vedranno.
Con ciò non sto dicendo che in qualsiasi momento basta una corretta orga-
nizzazione e un adeguato impegno per essere promossi e per essere dei pozzi
di scienza. Studente e famiglia potrebbero essersi accorti tardi del pericolo. Eb-
bene, anche in questi casi si deve credere nell’impegno organizzato. Forse non
sarà sufficiente a far promuovere il ragazzo, ma è comunque la cosa giusta da
fare. Attraverso il lavoro e la giusta organizzazione il ragazzo crescerà anche
se gli è capitato di inciampare.
In momenti così difficili, la famiglia deve essere un faro.

Qualcosa di simile accade anche quando si gettano fuori bordo i propri


averi durante le tempeste, giacché in generale nessuno butta via volonta-
riamente, ma chiunque abbia senno lo fa per salvare se stesso e tutti gli
altri.

Etica Nicomachea, Libro III - Aristotele

Gettare il carico in mare è doloroso, ma il capitano sa che è l’unica azione


giusta da fare. E lo deve fare senza tentennamenti.
In tal modo si stringe un alleanza intima fra genitori e figlio e i genitori
si erigono a guida salda e serena. Da un lato è evidente che potranno essere
momenti scolasticamente difficili, ma dall’altro saranno anche momenti di cre-
scita e di amore impagabili. In quei momenti i genitori raccontano al loro figlio
che, per loro, è più importante trasmettere al figlio dei valori in cui credere -
l’impegno, la coerenza - piuttosto che una sufficienza.

2.3.4 L’esempio della famiglia


Più che un discorso scritto, però ti sarà utile il poter vivere e con-
versare insieme; al momento è necessario che tu venga, primo perché gli
uomini credono di più ai loro occhi che alle loro orecchie, poi perché attra-
verso i precetti il cammino è lungo, mentre è breve ed efficace attraverso
gli esempi.

Lettere a Lucilio, Libro Primo, VI, 5 - Lucio Anneo Seneca


2.3. COME PUÒ LA FAMIGLIA AIUTARE IL PROPRIO FIGLIO? 19

Prima di passare a qualche consiglio pratico, si rammenti che senza il buon


esempio le parole si disperdono nel vento. Il figlio apprezzerà più facilmen-
te la cultura se la famiglia è aperta alla cultura. Lo studio, tanto per fare un
esempio concreto, non può essere visto dall’adolescente come una punizione.
Se la famiglia infliggerà lo studio come punizione (studio = punizione) e si sa
per esperienza che la punizione non è cosa piacevole (punizione = cosa brut-
ta), l’adolescente applicherà la proprietà transitiva e concluderà, con semplice
sillogismo, che studiare non può essere piacevole (studio = cosa brutta).
Sarebbe anche utile, oltre che bello, che la famiglia trasmettesse l’amore per
la lettura. La lettura di qualche buon libro non è tempo perso, anzi, allieta l’a-
nimo e lo predispone alla ricezione. E allarga la mente. Non dobbiamo dimen-
ticare quello che si è detto del cervello adolescente nella sezione 2.3.2: durante
l’adolescenza il proprio vissuto influenza in maniera significativa il rafforza-
mento delle nostre connessioni neuronali. Avviene, però, anche un altro fatto:
vengono rafforzate le connessioni neuronali utilizzate e pian pian depotenziate
e rese inutilizzabili quelle che non usiamo, in un processo denominato potatura
sinaptica.13
Detto in altri termini, se il ragazzo studia e legge rafforza quelle connessioni
neuronali preposte all’oggetto dello studio e delle letture; se non studia e non
legge, pian piano le indebolisce. E la cosa straordinaria è che l’azione di raffor-
zamento - e, ahimé, anche quella di indebolimento - è particolarmente efficace
durante l’adolescenza.
Diventa quindi importante che l’adolescente impari ad amare la lettura e lo
studio. La famiglia può fare molto in tal senso, soprattutto se sa sfruttare quel
particolare periodo che il proprio figlio attraversa. Non con l’imposizione, ma
con amore e, magari, stimolando la curiosità del giovane. A tal proposito si
propongono due brevi aneddoti.

La nostra professoressa di Letteratura Italiana - sempre quella del concor-


dato di Worms - un giorno entrò in classe, si sedette e disse: “Ragazzi, oggi
incominciamo il Machiavelli. Autore meraviglioso! In particolare, studieremo
il suo capolavoro: Il Principe.” Poi, con fare complice, si sporse impercettibil-
mente verso la classe e a bassa voce aggiunse: “A me piacerebbe parlarvi della
Mandragola, ma non si può: è un po’ pruriginosa.” L’effetto fu devastante. Più
di qualche allievo corse in libreria a comprare la Mandragola del Machiavelli.
Altri insegnanti sfruttarono l’effetto ricompensa per stimolarci alla lettura. Il
nostro insegnante di Tecnologia, spiegandoci un particolare effetto quantistico,
il tunnelling, fece scivolare il discorso sulla teoria della relatività di Einstein,
e poi concluse: “Ragazzi, ormai avete 16 anni, siete grandicelli. Sarebbe an-
che ora che incominciaste a leggere La teoria della relatività di Albert Einstein.”
Ci sentimmo innalzati di grado, come se, avendo 16 anni, fossimo finalmente
pronti a leggere cotanto libro. Anzi, dovevamo pure affrettarci.
Mezzi differenti, unico fine. Farci leggere e farci amare la lettura e lo studio.
Se sono riusciti nel loro intento degli insegnanti, possono riuscirci anche dei
genitori che, anzi, conoscono nei più minuziosi dettagli i loro figli.

13 S TEINBERG , Il cervello adolescente [20], pp. 37, 47.


20 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

2.4 Qualche consiglio pratico per la famiglia


Quindi il genitore avrà capito che, se sarà coerente e darà il buon esempio, po-
trà essere particolarmente utile in quelle competenze che il giovane sta ancora
sviluppando ma sono robuste nell’adulto, come, ad esempio, l’organizzazione
di un’azione complessa. Un’altra attività che l’adulto compie solitamente be-
ne e che l’adolescente fa con somma fatica è la pianificazione temporale delle
azioni complesse, ovvero la gestione, detto in maniera un po’ grezza, del pro-
prio futuro. Infine, a proposito del “senso del tragico” al quale si è accennato
precedentemente, il genitore può fornire al proprio figlio un punto di vista me-
no passionale e più “saggio” degli eventi che sta vivendo, riconducendo delle
possibili tragedie a normali conflitti superabili con la tenacia dello studente e
l’amore e il conforto dei genitori.
Questi tre aspetti meriterebbero un approfondimento corposo e dettagliato,
magari ad opera di personale qualificato ed esperto. In mancanza di ciò ci si
dovrà accontentare dei prossimi tre sottoparagrafi.

2.4.1 L’organizzazione
Studiare in maniera organizzata significa studiare meglio e di meno. Ma prima
ancora che organizzato, lo studio dovrebbe essere piacevole. Sarebbe quindi
utile che i genitori “proteggessero” il figlio che studia da distrazioni, chiasso,
interruzioni, false credenze, cattive abitudini e tutto quanto possa rallentare
lo studio. Gli errori organizzativi che lo studente compie più frequentemente
sono i seguenti.

2.4.1.1 Il cellulare
Si scrive cellulare, ma si pronuncia PC, tablet, notepad, ecc., ossia tutto quanto
possa metterci in contatto con il cosiddetto “mondo esterno”. Il genitore fa-
rebbe bene a spiegare al proprio figlio che il cellulare acceso durante lo studio
impedisce lo studio stesso. Oggidì i ragazzi sono “connessi” in una vasta rete
di relazioni sociali attraverso Whatsapp, Facebook, Twitter, Instagram e via di-
scorrendo. Il mezzo usato per formare la rete è il gruppo, e l’adolescente tipo
è connesso costantemente a decine di gruppi. Il risultato che ne deriva è che
lo studio verrà interrotto immediatamente dopo 2-3 minuti. Il ragazzo prende-
rà in mano il cellulare per verificare se il messaggio è diretto a lui oppure no.
Spesso constaterà che il messaggio era di tipo generale o indirizzato ad altri e
non risponderà neppure, ma ormai la frittata è fatta. La concentrazione è stata
distolta.
Lo studente riprenderà in mano il libro per altri 2-3 minuti finché il cellulare
non ronzerà di nuovo14 e così via all’infinito. Uno studio del genere non serve a
nulla. Conviene studiare per mezz’ora, andare in cucina dove c’è sia il cellulare
che la mamma - donna riservata che mai toccherebbe il telefonino del figlio per
sbirciare i messaggini - e rispondere ai messaggi arrivati in quel lasso di tempo
prima di tornare a studiare.
14 Ovviamente il ragazzo è sufficientemente intelligente da evitare di impostare la V di Beethoven

come suoneria: la sentirebbe tutto il palazzo, oltre che mamma e papà. Ah, a proposito. Come mai
vostro figlio non vi risponde mai al cellulare? Semplice: non è per cattiveria, è l’abitudine a tenere
la suoneria spenta.
2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 21

A proposito di cellulare: tempo fa ho sentito un sacerdote saveriano dare il


seguente consiglio a dei genitori, durante una serata dedicata agli adolescenti:
“Se dovete proprio fare la predica ai vostri figli, almeno accertatevi che non
abbiano il cellulare in tasca. Dite a vostro figlio di appoggiare il cellulare in
soggiorno e poi cambiate stanza. Altrimenti limitate la predica a 1-2 minuti,
oltre i quali verrà interrotta da un messaggino. Da quel momento in poi avrete
perso l’attenzione di vostro figlio, che continuerà a guardarvi come il gatto
Silvestro quando vuol dare l’impressione di stare attento, ma avrà il pensiero
irrimediabilmente rivolto al telefonino che vibra.”

2.4.1.2 Il PC per studiare


Gli adolescenti hanno inventato la leggenda che il PC serve per studiare e i ge-
nitori l’hanno bevuta con tutto il bicchiere. La realtà, come al solito, non è tutta
bianca o tutta nera. Il PC è indubbiamente utile in certi casi (se si stanno facen-
do esercizi di Informatica, se si preparano delle relazioni scritte, se si usa una
piattaforma Moodle o, in generale MOOC, a fini scolastici, ecc.), ma non deve
diventare una costante fissa a tutte le ore. La tentazione di dare una sbirciata a
FaceBook, di controllare la mail o verificare se sabato sera si esce con gli amici,
è sempre forte, per cui è meglio spegnere il PC quando si studia e accenderlo
quando lo studio è terminato. Se, quindi, il genitore vede il PC troppo spesso
acceso, è autorizzato a insospettirsi.

2.4.1.3 La musica
Altra leggenda metropolitana è che la musica aiuta la concentrazione durante
lo studio, per cui lo studente ritiene utile15 ascoltare musica con le cuffiette
mentre studia. Anche in questo caso è bene fare un po’ di chiarezza.
Nell’ottobre del 1993 due fisici, Frances Rauscher e Gordon Shaw, pub-
blicarono uno studio preliminare sulla rivista Nature nel quale sostenevano
che l’ascolto del primo movimento della Sonata in re maggiore per due pianoforti
KW448 di Wolfgang Amedeus Mozart produceva, in un gruppo di adolescenti,
un temporaneo aumento di alcune capacità cognitive - più precisamente della
sola intelligenza spazio-temporale - dopo l’ascolto. L’effetto durava circa 10-15
minuti.
Lo studio venne presentato meno di un anno dopo, nell’agosto del 1994,
all’annuale meeting dell’American Psychological Association col titolo “Music
and spatial task performance: a causal relationship” e pubblicato dall’istituto
governativo ERIC.16 . In esso il gruppo ampliò la ricerca formulando l’ipotesi
che lo studio della musica potesse avere effetti a più lunga durata, in particolare
sui bambini con corteccia cerebrale ancora in via di maturazione.
Lo studio destò molto scalpore e venne addirittura contestato da parte del-
la comunità scientifica perché non perfettamente riproducibile. In realtà ven-
ne parzialmente frainteso e comunque ebbe il merito di scatenare una vera e
propria “corsa alla musica”.
Ad esempio, nel 2006, un gruppo di ricerca capitanato dallo sloveno Nor-
bert Jaušovec confermò lo studio di Rauscher e Shaw, aggiungendo che Mo-
15 In realtà non lo ritiene “utile”, lo ritiene divertente. Ma questo non lo può dire.
16 R AUSCHER , S HAW, L EVINE , K Y, W RIGHT, Music and spatial task performance: a causal
relationship [48], pp. 2-7
22 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

zart potesse essere d’aiuto nel processo di apprendimento degli adolescenti.17


Per essere più espliciti, venne confermato il temporaneo aumento delle capa-
cità spazio-temporali, addirittura evidenziando una leggera diminuzione delle
abilità numeriche.
Altri studi evidenziarono analoghi effetti sostituendo il brano di Mozart
con un “qualsiasi” brano musicale, purché di preferenza dell’ascoltatore. Il
termine qualsiasi è stato messo tra virgolette perché si è notato una diminuzione
dell’effetto Mozart per brani troppo lenti (ad esempio l’Adagio di Albinoni) o
troppo veloci.18
Quindi si ritiene di poter chiudere la questione dicendo che nessuno stu-
dio scientifico ha mai sostenuto che ascoltando musica mentre si studia si ottengano
benefici durevoli nella materia studiata. Al massimo, si ottengono benefici tempo-
ranei, per 10-15 minuti, delle capacità spazio-temporali dopo aver ascoltato certi
tipi di musica. Invece, fare due cose contemporaneamente (studiare e ascolta-
re, musica ad esempio), determina semplicemente un calo della produttività e
null’altro. Gli studi in tal senso si sprecano, per cui si lascia allo studente e alle
famiglie il compito di eventuali ricerche sul tema.

2.4.1.4 Cattivi appunti


Accade spesso che l’insegnante non segua fedelmente il libro, per cui lo stu-
dente è obbligato a prendere appunti. Anche il presente argomento è piuttosto
delicato e va approfondito.
L’insegnante non è un pappagallo che ripete le parole del libro pedissequa-
mente. Questo crea sovente disagio allo studente che vede il libro come un’i-
nutile tempesta di parole, poste spesso in un ordine completamente diverso da
quello presentato dal docente. Lo studente è in tal modo costretto a verificare
quale e quanta parte del libro coincide sostanzialmente con gli appunti, non-
ché quanta parte degli appunti integra il libro e quanta parte del libro integra
gli appunti. Fatto ciò deve operare l’unione logica dei due saperi e utilizzarla
durante lo studio.
Le azioni appena descritte rappresentano uno studio maturo di un determi-
nato argomento sentito a scuola. Gli studenti più maturi arrivano addirittura
a confrontare gli appunti con diverse fonti, non solo con quella fornita dal libro
di testo.
Frequentemente, però, lo studente meno maturo e meno organizzato studia
solamente sugli appunti. In certi casi questa scelta può rappresentare l’inizio
della fine e si cercherà di chiarire con un esempio il perché di tale affermazione.
Personalmente, anni fa, ho condotto un piccolo “esperimento” in una classe
terza, a inizio anno, per verificare la qualità degli appunti presi dagli studenti.
Sono entrato in classe e ho annunciato platealmente che avrei spiegato la strut-
tura atomica secondo il modello di Bohr e che gli studenti avrebbero fatto bene
a prendere appunti.
Mi sono avvicinato alla lavagna intonsa e con il gesso ho tracciato un mi-
nuscolo puntino, dicendo: “L’atomo rappresenta una minuscola porzione di
materia. Infinitamente piccola. Esso è elettricamente neutro ed è formato da
17 J AUŠOVEC , J AUŠOVEC , G ERLI Č , The influence of Mozart’s music on brain activity in the process of

learning [40], pp. 2703-2704.


18 S CHELLENBERG , H ALLAM , Music listening and cognitive abilities in 10- and 11-year-olds: The Blur

effect [50], pp.2-4


2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 23

un nucleo carico positivamente e da elettroni carichi negativamente...” La spie-


gazione è continuata per circa 10-15 minuti, durante i quali ho sempre tenuto
il gesso in mano, ma ho accuratamente evitato di tracciare altro sulla lavagna.
Al termine della spiegazione ho chiesto di farmi vedere gli appunti. Cosa
ho trovato? Un puntino su un foglio bianco. Null’altro. I ragazzi hanno fatto il
più diffuso degli errori fra gli studenti: hanno riportato sul quaderno solo quello
che l’insegnante ha tracciato sulla lavagna, ma non anche le parole usate per legare
i concetti illustrati. Studiare su quegli appunti diventa come capire la trama di
un film dopo aver tolto l’audio e i sottotitoli.
Le famiglie farebbero bene a verificare quale sia l’effettiva fonte dello stu-
dio del proprio figlio. Se il figlio studia sugli appunti e solo su quelli, essi
devono essere di alta qualità. Devono essere ordinati e piacevoli da leggere, ma
soprattutto devono essere chiari. Un genitore è immediatamente in grado di
valutare se gli appunti del proprio figlio possono essere una proficua fonte di
studio. Lo si capisce dal numero di pagine, dall’ordine, dall’aspetto grafico,
dalle cancellature, da come i concetti sono esposti in italiano, ecc.
I cattivi appunti si vedono immediatamente. Sono in forma originale, non
essendo mai stati riscritti e riordinati; presentano cancellature e sono privi di
un discorso logico; se si tratta di un esercizio, sovente non si capisce nemmeno
quale sia la consegna, ecc.
In questi casi i genitori devono intervenire assolutamente e aiutare il pro-
prio figlio a riorganizzare la fonte dei propri studi. Se non è possibile ricom-
porre in maniera utile gli appunti, si può cercare di ricorrere agli appunti di
qualche compagno di classe più ordinato, oppure identificare gli argomenti e
cercarli sul libro di testo e studiare su quest’ultimo. È possibile che il figlio
si mostri poco felice alla prospettiva di dover studiare sul libro, a causa della
tempesta di parole di cui sopra, ma non c’è alternativa. È meglio non studiare
piuttosto che studiare cose ambigue o addirittura errate.

2.4.1.5 Mancato controllo


Il genitore farebbe bene a verificare il lavoro fatto dal proprio figlio durante
la giornata. Il genitore che non effettua tale controllo, oltre a non aiutare il
giovane in un’attività per può presentare difficoltà anche rilevanti per un ado-
lescente, manda anche messaggi chiari e forti di fondamentale disinteresse per
il lavoro del proprio figlio. Se il ragazzo può vantare risultati scolastici di buon
livello è indubbiamente sensato concedergli fiducia ed evitare di “opprimerlo”
con eccessivi controlli. Se, però, il figlio necessita di un aiuto in fase organiz-
zativa è corretto verificare il lavoro da lui svolto. Il genitore deve ricordare che
l’adolescente non ragiona come l’adulto e che ciò che è ovvio per un genitore
non è detto che sia altrettanto ovvio per il figlio.
Perciò è importante che il genitore faccia sentire al giovane la propria pre-
senza, sia verificando gli appunti, che gli esercizi fatti, che chiedendo gli ar-
gomenti studiati. Il genitore che conosce e segue il proprio figlio si accorge
immediatamente se il resoconto della giornata è perlomeno plausibile o meno.
Infine, vanno controllati con regolarità e cura sia il libretto personale che il
registro elettronico, in modo da porre attenzione particolare alle date - sia del
libretto che del registro. Solitamente, infatti, i genitori sono molto concentrati
sul voto e poco alla sua data di emissione. Quest’ultima, invece, come si vedrà
parlando di pianificazione temporale, riveste una particolare importanza.
24 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

2.4.1.6 Le ore dedicate allo studio

Non esistono tempi standard per tutti gli studenti. C’è chi necessita di maggior
studio e chi di meno. Facendo di tutte le erbe un fascio si può tentare di affer-
mare che, grossolanamente, il 95% degli studenti di scuola superiore farebbe
bene a non scendere mai sotto le 1-2 ore di studio casalingo al giorno e che un
buon 50% degli studenti farebbe bene a non scendere mai sotto le 3-4 ore di
studio casalingo giornaliero. La domenica può sempre, salvo casi eccezionali,
essere considerata giorno di riposo.
Si danno i predetti numeri non per contraddizione con quanto detto nella
sezione 1.1.1 a pagina 3, ma per non esercitare uno dei difetti tipici degli in-
segnanti, che spesso chiedono ai loro studenti di “studiare tanto”, trovando la
classe totalmente d’accordo. Il problema è che per molti studenti, 30’ di studio
è già tanto. Conviene dare quindi delle indicazioni temporali assolute e non
relative. È un po’ più brutale, ma è anche molto più chiaro.
Sull’argomento si tornerà, comunque, nel capitolo dedicato allo studente.

2.4.1.7 Il colloquio con i professori

Gli studenti i cui genitori prendono parte attivamente alla vita scola-
stica hanno un rendimento migliore.

Il cervello adolescente - Laurence Steinberg

È importante incontrare i professori almeno 1 volta a quadrimestre, anche se


il ragazzo ha ottimi o buoni risultati scolastici. Gli incontri dovrebbero salire
a 2 e arrivare, in casi particolari, a 3 a quadrimestre se il ragazzo evidenzia
difficoltà in qualche materia. La cosa è alquanto faticosa per i genitori, ma è
importante. Se il registro elettronico prevede al massimo 2 incontri quadrime-
strali, ma la situazione richiede palesemente un terzo incontro, è possibile fare
diretta richiesta di colloquio alla dirigenza, normalmente attraverso il Preside
Vicario.
Il genitore solitamente chiede all’insegnante notizie circa i risultati scolasti-
ci del figlio, ma è altrettanto importante parlare e chiedere lumi circa i motivi
che, secondo l’insegnante, determinano eventuali carenze. L’insegnante po-
trebbe rispondere che manca il lavoro casalingo, che il ragazzo si fa prendere
dall’ansia durante compiti e interrogazioni, che l’impegno è evidente ma poco
efficace, ecc. Più puntuale e più preciso sarà il resoconto dell’insegnante e più
efficace sarà il rimedio messo in pratica dalla famiglia e dallo studente. È, però,
importante insistere sui motivi, piuttosto che fermarsi ai voti.
Alcuni genitori, i più organizzati, prendono appunti durante i colloqui.
Può tornare utile soprattutto quando si parla con due-tre insegnanti lo stesso
giorno.

2.4.1.8 Altre cattive abitudini

Altre cattive abitudini possono rendere inefficiente il lavoro dell’allievo, fino


a vanificarne gli sforzi. Una carrellata simpatica si trova in rete all’indirizzo
indicato in bibliografia, con riferimento L’H UFFINGTON P OST [25].
2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 25

2.4.2 La pianificazione temporale


Il genitore non dimentichi mai che l’adolescente ragiona in modo diverso dal-
l’adulto. Il seguente è un esempio concreto che identifica il 90% degli studenti.
Gli insegnanti di matematica, tanto per citare una materia più o meno a ca-
so, fanno grossolanamente 3-4 compiti in classe a quadrimestre. Togliendo il
mese di settembre, quindici giorni a dicembre-gennaio e altrettanti fra pasqua
e l’inizio del secondo quadrimestre, è facile verificare che lo studente farà circa
un compito di matematica ogni 30-35 giorni. Ciò vale, più o meno, anche per le
altre materie. Ebbene, se lo studente ha fatto l’ultimo compito di matematica,
ad esempio, il 20 di ottobre, il genitore provi a chiedere al figlio il 10 di novem-
bre, ossia 10 giorni circa prima del prossimo compito, se ha “incominciato” a
studiare in preparazione della verifica di matematica. La risposta sarà: “Il prof.
non ci ha detto ancora quando c’è il compito”. Traduzione: ”Incomincio a stu-
diare quando saprò la data del compito”. Cioè, normalmente, una settimana
prima della verifica. Se lo studente ha difficoltà in matematica è ovvio - per un
adulto - che sarà troppo tardi. Purtroppo è ovvio solo per gli adulti.
Questo e altri errori compiono i nostri prodi nella pianificazione del loro
lavoro. Quei genitori che non conoscessero a fondo le abitudini scolastiche del
proprio figlio farebbero bene a dare un’occhiata al decalogo del Vero Studente
a inizio del prossimo capitolo.
Per fortuna, invece, i genitori sono bravi proprio là dove i giovani sono più
deboli: sanno pianificare il futuro in modo da limitare errori e imprevisti. Ecco
alcuni consigli tanto ovvi quanto utili.

2.4.2.1 Usare un calendario


Il calendario è uno strumento efficacissimo, soprattutto se appeso in forma ben
visibile, ad esempio, in cucina. Sul calendario il genitore annoterà, in bella
evidenza, e materia per materia, le date delle interrogazioni e delle verifiche. In
tal modo il genitore saprà che in data 20 ottobre è stato fatto l’ultimo compito
di matematica e incomincerà a chiedere al figlio se ha incominciato a studiare
matematica il 27 di ottobre e non il 10 di novembre. Se risponderà di sì, sarà
comunque utile e rassicurante dare un’occhiata al quaderno degli esercizi.
A proposito di esercizi: càpita spesso che l’allievo dica ai propri genitori che
ha sbagliato la verifica per delle banali sviste, di cui, magari, si è accorto pochi
minuti dopo la consegna. Il genitore non sottovaluti l’episodio. Le cosiddette
“sviste”, soprattutto se sono frequenti, sono indice di studio frettoloso e di
scarso esercizio. Significa che il cervello non ce l’ha fatta a tenere tutto sotto
controllo e qualcosa è sfuggito.
Bisogna fare come i pianisti: a quelli meno bravi scappa ogni tanto la stecca,
a quelli bravi no. E la differenza si misura in ore di studio.

2.4.2.2 “Mamma, oggi non mangio: devo studiare elettronica”


Ormai si sta toccando il fondo! Sono arrivato a citare le mie stesse battute.
Chiedo perdono.
Quando spiego un nuovo argomento in classe, al termine della lezione ag-
giungo spesso la bassissima, suddetta battuta, in modo da suggerire che l’ar-
gomento appena spiegato va studiato finché nelle orecchie rimbombano an-
26 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

cora le parole dell’insegnante. Se l’argomento citato verrà studiato dopo una


settimana, si vanificherà lo sforzo del docente.
Quindi, cosa può fare il genitore? Controllare il quaderno degli appunti e se
vede nuovi argomenti, consigliare al figlio di studiarli subito, anche in maniera
non approfondita, tanto per “trattenerli”. Li studierà in maniera più intensa il
giorno dopo, ma intanto non annullerà completamente lo sforzo del docente.
Attenzione. Se il ragazzo dovesse obiettare: “Non posso. Ho il compito di
questo e l’interrogazione di quello, domani” potrebbe voler dire che l’organiz-
zazione dello studio non ha raggiunto ancora livelli soddisfacenti, e che si sta
saltando ancora da un’urgenza all’altra.

2.4.2.3 Ansia e panico


Non c’è nulla di più commovente per una mamma che vedere il proprio figlio
in ansia per l’interrogazione o la verifica. Naturalmente è comprensibile. Però
il genitore risulterà più utile al figlio se si chiede come mai tanta ansia. Spesso
l’ansia è figlia di uno studio frettoloso e fatto in ritardo. Traduzione: di cattiva
organizzazione.
Generalmente, in questi casi, i genitori cercano di tranquillizzare il figlio
e di riportarlo alla calma. Ovviamente fanno benissimo. L’azione andrebbe,
però, continuata dopo la verifica o l’interrogazione, spiegando con calma che
forse è il caso di organizzare meglio lo studio. A mente fredda questi consigli
si capiscono meglio. E una migliore organizzazione deve comprendere una
adeguata diluizione dello studio. Se il ragazzo ha frequenti episodi di ansia, i
genitori farebbero bene a rivedere insieme al figlio come organizzare meglio le
attività scolastiche.
Ho detto che l’ansia e il panico sono “spesso” figlie di una cattiva organiz-
zazione. Non sempre: a volte sono delle vere e proprie patologie. Esiste addi-
rittura un’ansia da matematica o da materia scientifica in generale. E ha anche
un nome: HMA, ossia High levels of Mathematics Anxiety.19 . Lo studio ha messo
in luce che quando il soggetto afflitto da HMA apre il libro di matematica o
deve affrontare un quesito di matematica, viene attivata la corteccia insulare,
che ha il compito di elaborare la sensazione di dolore. Si noti che l’attivazione
avviene in seguito ad una previsione di fallimento e conseguente danno. È stato
dimostrato che è sufficiente affrontare il problema e concentrarsi su esso, che
dopo qualche minuto la corteccia insulare viene disattivata e l’ansia sparisce.
In casi di veri e propri attacchi di panico, invece, è palese che si necessita del
competente intervento di un professionista.

2.4.2.4 Creare alleanze


Quando si devono compiere imprese difficili è bene cercare alleanze.
Su un terreno dove è facile stabilire collegamenti, stringi alleanze coi
confinanti.
L’arte della guerra - Sun Tzu
Si noti che l’alleato più naturale è proprio il docente, che invece è spesso visto
come il nemico. Ma se non dovesse esserci sufficiente fiducia nell’insegnante,
19 LYONS , B EILOCK, High levels of Mathematics Anxiety [43].
2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 27

lo studente in difficoltà farebbe bene a passare qualche ora studiando insieme


a chi l’argomento lo ha capito o, meglio ancora, in gruppo.
Questo tipo di studio, che gli inglesi chiamano cooperative learning, presup-
pone un’adeguata maturità, per cui è bene che nello zainetto ci siano solamente
libri e quaderni, lasciando prudentemente la PSP a casa. Si tratta, però, di una
modalità di studio estremamente potente, perché richiede al gruppo uno stu-
dio analitico. Qualcuno incomincerà a dire che non ha capito il tal argomento e
formulerà una domanda, che magari inizierà con l’avverbio interrogativo “per-
ché”. Quello sarà un buon inizio. Inoltre, quel tipo di alleanza rafforza i legami
fra studenti, che sono utilissimi sotto molti aspetti.
Tutto questo funziona se effettuato per tempo. Studiare in gruppo è time-
consuming, per cui è bene effettuare questo tipo di studio per tempo, quando la
fretta non diventa consigliera - cattiva - eccessivamente presente.
L’allievo cerchi però di non sottovalutare l’alleanza con l’insegnante. È
un’alleanza molto importante e molto utile, ma soprattutto è un passo fonda-
mentale nel processo di “democratizzazione” della scuola. In tal modo la classe
da “massa” diventa “somma di individui” e il processo di democratizzazione
fa un ulteriore passo avanti, con grande beneficio per tutti.

2.4.3 Un punto di vista obiettivo


Nella sezione 2.3.2 a pagina 17 si è sottolineato il particolare periodo di sensibi-
lità dell’adolescente. Da tale punto di vista un insuccesso scolastico banale può
essere deformato e ingigantito dal giovane. In quei momenti l’obiettività dei
genitori, unita alla comprensione e al conforto, può essere utilissima. In quel
momento il genitore diventa faro per l’adolescente. Non amico o complice, ma
vero e proprio faro.20
Comprendere il figlio e manifestargli il proprio affetto non significa abbrac-
ciarne le esagerazioni. Se prende un brutto voto a scuola, magari a febbraio o
marzo, quando un brutto voto è solo un brutto voto e non è ancora una “sen-
tenza”, e tale esperienza diventa un piccolo dramma, il genitore ha l’occasione
di presentare un punto di vista obiettivo, non deformato dalle passioni.
È un’occasione per educare, ossia “tirare fuori” il meglio dal proprio figlio
e va sfruttata, per presentare non per convincere. Sarà compito del figlio riflet-
terci su, quando la tempesta sarà passata. E la cosa straordinaria consiste nel
fatto che lo farà, proprio in virtù di quella plasticità del cervello che tanto attira
la nostra attenzione. Più o meno come quei bambini di due-tre anni che sento-
no una parola nuova e pare che non l’abbiano notata né sentita. Poi, qualche
giorno dopo, la si sente, magari un po’ deformata, nei discorsi del bambino: è
diventata sua e d’ora in avanti, con qualche correzione se necessario, farà parte
del suo linguaggio.
Con il tempo il figlio imparerà anche l’obiettività, perché non c’è maestro
migliore dell’esempio, ma non bisogna avere fretta. È meglio avere fiducia nel-
l’azione educatrice. Un’azione compassionevole ma ferma, che comprende ma
non distorce. È importante che ognuno faccia il proprio mestiere: il figlio fa l’a-
dolescente esagerando un po’ e il genitore fa l’adulto educando con obiettività
e comprensione.
20 A NDREOLI , Lettera a un adolescente [1], pp. 14-20.
28 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

2.4.4 E se mio figlio fosse un po’ lento?


Ah, il mito dell’intelligenza! Stavo quasi per dimenticarmene. Ci sono talmen-
te tante false credenze sull’argomento che non ci si può esimere dal trattarlo
in un documento che parla di studio e di scuola. Si cercherà di farlo il più se-
riamente possibile senza diventare stucchevoli ma senza scivolare nemmeno
nella chiacchiera da bar sport.21
E tanto per incominciare con il piede giusto e per evitare qualsiasi forma
di ambiguità o di ipocrisia, si cercherà di formulare una serie di ipotetiche do-
mande dirette, che possano stimolare una serena e pacata riflessione, piuttosto
che produrre qualche risposta da leggere passivamente.
Le domande potrebbero essere le seguenti:
1. quanto incide l’intelligenza nel successo di un adolescente?
2. un ragazzo “lento” può seguire con successo un corso di studi difficile?22
Prima di rispondere alle due domande, però, è bene chiarire il concetto di
“intelligenza”.

2.4.5 Cos’è l’intelligenza?


Cos’è il Genio?
È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione.
Giorgio Perozzi in Amici miei di Mario Monicelli - 1975

L’incipit leggero vuole subito sdrammatizzare l’argomento. E chi ha visto la


scena alla quale si accenna nella citazione ha ben capito cosa si intenda qui per
“leggerezza”. Chi non l’ha vista può facilmente rimediare all’imperdonabile
mancanza, cercandola su YouTube. Ma torniamo alla domanda che suggerisce
il titolo: cos’è l’intelligenza? Se non si chiarisce prima questo concetto è inutile
tentare di rispondere alle due domande formulate nella sezione precedente.
Dal Devoto-Oli 2003:
Intelligenza s.f. Capacità di attribuire un conveniente significato
pratico o concettuale ai vari momenti dell’esperienza e della contingenza.
 concr. Persona dotata di ingegno, preparazione e capacità non comuni.
Tenendo ora bene in mente questa definizione si legga quanto Daniel Go-
leman riporta nel suo Intelligenza Emotiva23 , tratto a sua volta da un articolo
apparso sul New York Times del 23 giugno 1992:
Jason H., uno studente modello che frequentava il secondo anno della
scuola superiore di Coral Springs in California, si era fissato sull’idea di
entrare alla facoltà di medicina - si badi bene, non presso una qualsiasi
università: lui sognava Harvard. Ma Pologruto, il suo insegnante di fisi-
ca, gli aveva dato 80 in un test e Jason, pensando che il voto - un modesto
21 Nulla di personale contro i bar che usano la parola “sport” nella loro denominazione sociale.

È inteso come luogo mitico in cui la citazione accademica non è obbligatoria.


22 Queste domande rappresentano, in un certo senso, la misura della distanza scuola-famiglia.

Non ci sono questioni più stucchevoli per un insegnante delle succitate domande e, per contro,
non c’è nulla di più angosciante per un genitore del sapere di avere un figlio “un po’ lento”.
23 G OLEMAN , Intelligenza emotiva [11], pp. 53-54.
2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 29

B - compromettesse i suoi sogni, portò un coltello da macellaio a scuola


e, confrontandosi con l’insegnante nel laboratorio di fisica, lo colpì vicino
alla clavicola prima di essere bloccato in un corpo a corpo.

Probabilmente molti penseranno che il giovane protagonista di questa sto-


ria non sia una persona intelligente. Potrebbe, però, essere interessante sapere
cosa sia successo a Jason qualche anno più tardi.

Dopo essersi trasferito in una scuola privata, Jason si diplomò due anni
dopo fra i migliori. Seguendo corsi regolari avrebbe preso un A pieno, con
4.0 di media; ma Jason frequentò un numero sufficiente di corsi avanzati
per diplomarsi con la media di 4.614, meritando quindi più di A.

Insomma, Jason può definirsi una persona intelligente o no? La definizione


di “Intelligenza” sembra vacillare davanti al caso di Jason: da quel punto di
vista egli sembra essere “contemporaneamente” ottuso e intelligente.
Nel 1983, Howard Gardner, in un libro che fece storia - Formae mentis. Sag-
gio sulla pluralità dell’intelligenza24 - tentò di definire l’intelligenza in modo ra-
dicalmente diverso. Non al singolare, ma al plurale. Non la intelligenza, ma
le intelligenze. Gardner concluse vi fossero almeno sette tipi di intelligenze fon-
damentali che concorrono a formare l’individuo: le due intelligenze “scolasti-
che”, ossia quella verbale e quella logico-matematica; l’intelligenza spaziale,
tipica degli artisti e degli architetti; l’intelligenza cinestetica degli atleti e dei
danzatori; l’intelligenza musicale; l’intelligenza interpersonale o sociale tipica
di chi sa relazionarsi con gli altri e l’intelligenza intrapsichica tipica di chi ha
una vita spirituale densa e una brillante capacità introspettiva.25
Quindi, il successo in un determinato ambiente è determinato da un in-
sieme di fattori, non solo dalle intelligenze “scolastiche” (verbale e logica).
Questo insieme di fattori “extrascolastici” è chiamato da Goleman “Intelligenza
Emotiva”, che lui stesso così definisce:

La capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiet-


tivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la
gratificazione, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza
ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare.26

Purtroppo, la scuola pone ancora molto l’accento sulle intelligenze verbali


e logiche. Ma ciò non significa che il ragazzo è “lento”. Chi darebbe del lento a
Mozart, a Raffaello, a Christiaan Barnard,27 a Carla Fracci o a Renzo Piano?
24 G ARDNER , Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza [9]. Credo sia corretto aggiun-

gere una breve nota. Nel settembre del 2017, l’Istituto “A. Malignani” ha posto in essere una
collaborazione con INDIRE e la Harvard Graduate School of Education, dove nacque Project Zero,
il progetto, tutt’ora attivo, teso a sviluppare nuove strategie didattiche. Howard Gardner è stato
co-direttore di Project Zero per numerosi anni e fa tutt’ora parte del comitato direttivo. Le didatti-
che sviluppate da Project Zero sono attualmente sperimentate nel nostro Istituto e supervisionate
dall’INDIRE e da Mara Krechevsky, ricercatrice di Project Zero.
25 G OLEMAN , Intelligenza emotiva [11], pp. 58-59 e G ARDNER , Formae mentis. Saggio sulla pluralità

dell’intelligenza [9].
26 Ibidem, [11], p. 54.
27 Per coloro i quali sono troppo giovani per saperlo, Christiaan Barnard fu il primo cardiochirur-

go a eseguire il trapianto di cuore. Curiosità: per qualche anno nell’equipe di Barnard c’era anche
un certo Enzo Jannacci.
30 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

In conclusione, si vuole sottolineare che ognuno può fare riferimento alla


definizione di intelligenza che preferisce, ma deve essere chiaro che le intelli-
genze verbali e logico-matematiche non possono e non devono essere sufficien-
ti per definire “lento” un ragazzo. L’intelligenza è cosa molto più complessa di
quello che un semplice QI possa indicare.

2.4.6 Quanto incide l’intelligenza nel successo di un ragazzo?


Se per intelligenza si intende quella normalmente misurabile mediante un QI,
ovvero la somma delle intelligenze verbali e logico-matematiche e se per suc-
cesso si intende “riuscire nella vita”, allora Gardner indica tale incidenza in
meno del 20%.28
Se per successo si intende, invece, il successo scolastico, allora, secondo
Ulric Neisser, la percentuale di incidenza sale al 25% circa.29 Rimane comun-
que una quota parte relativamente piccola e sicuramente non tale da meritare
tutta la mitologia di cui è attorniata. Quindi l’intelligenza è utile, ma da sola
solitamente non basta.

2.4.7 Un ragazzo “lento” può seguire con successo un corso di


studi difficile?
Si è visto che l’intelligenza incide, ma non eccessivamente, nel successo scola-
stico di un adolescente. Quindi, quali sono i fattori che concorrono al successo
scolastico, oltre alla già citata intelligenza verbale e logica? Un sommario e
sicuramente non esaustivo elenco potrebbe essere il seguente:

• un’efficiente organizzazione dello studio;


• una famiglia accogliente e attenta;
• insegnanti che sappiano essere guide prima che giudici;
• una sostanziale assenza di fattori di “distrazione” (malattie, problemi
gravi, difficoltà logistiche, ecc.)
• buone alleanze fra pari (peer education);
• una cospicua dose di grinta.30

Particolare rilevanza riveste l’ultimo punto del parziale elenco. Purtroppo


si tratta di un aspetto la cui importanza è spesso sottostimata, soprattutto dal-
le famiglie, ma che risulta essere, invece, fondamentale nella vita scolastica,
professionale e sociale del ragazzo.
Si ritiene, quindi, utile dedicare qualche sezione all’argomento, cercando,
in tal modo, di portarlo all’attenzione del lettore e restituirgli la visibilità che
gli compete.

2.4.8 La grinta
Come al solito è bene chiarire i termini. Cosa si intende per “grinta”? Stavolta
prendo la definizione direttamente da una pubblicazione scientifica, anziché
dal dizionario:
28 G ARDNER , Cracking Open the IQ Box [26], p. 5.
29 N EISSER ,
Intelligence: Knowns and Unknowns [45], p. 81.
30 S TEINBERG , Il cervello adolescente [20], pp. 157-164.
2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 31

Grinta Perseveranza e passione per gli obiettivi a lungo termine


Grit: Perseverance and Passion for Long-Term Goals31
Angela Duckworth et al. [traduzione dell’autore]
Effettivamente è noto già da tempo che l’intelligenza da sola non costituisce
un buon indice predittivo del futuro successo di un giovane. Oggidì si prefe-
risce far riferimento al cosiddetto modello Big Five proposto inizialmente da
Robert McCrae e Paul Costa e ripreso poi da molti altri, secondo cui lo stu-
dio della personalità può essere efficacemente focalizzato su 5 caratteristiche
basilari dell’individuo:
• estroversione
• stabilità emozionale
• disponibilità
• coscienziosità
• apertura alle esperienze32
Il quarto termine è quello che maggiormente ci interessa, perché sembra che
sia necessario praticamente a qualsiasi attività umana nella quale si desidera
avere successo.33
Naturalmente tutte le suddette attitudini concorrono al successo nella vita o
nella scuola dell’individuo, ma alcune caratteristiche si adattano maggiormen-
te a certe attività (estroversione - relazione col pubblico; stabilità emozionale -
attività decisionali; disponibilità - lavoro di gruppo; apertura alle esperienze -
attività di apprendimento), mentre altre - la coscienziosità, ovverso la capaci-
tà di applicarsi con passione su obiettivi a lungo termine - sono necessarie in
praticamente tutte le attività umane.
Un ragazzo di media intelligenza e coscienziosità superiore alla media ot-
tiene risultati superiori di un ragazzo di media coscienziosità e intelligenza
superiore alla media.34
Alla luce di ciò, quei genitori che ritengono di avere un figlio “un po’ lento”
farebbero meglio a chiedersi se il ragazzo è svogliato o meno. Analogamente, i
genitori fieri di avere un figlio intelligente farebbero altrettanto bene a porsi la
medesima domanda, ponendo in secondo piano, nel bene e nel male, il mito
dell’intelligenza.

Inoltre, propongo una ulteriore riflessione, anche se è bene avvertire subito


di accoglierla con una certa prudenza. Perché mai un ragazzo “un po’ lento”,
ma volenteroso, non dovrebbe intraprendere un corso di studi difficile? Per-
ché un ragazzo che non ha ottenuto brillanti risultati alle medie inferiori non
dovrebbe accedere a un percorso di studi di relativa difficoltà?
In fin dei conti sarà proprio la costante applicazione durante il percorso di
studi a permettere una cospicua potatura sinaptica e una vigorosa mielinizza-
zione di quei circuiti cerebrali necessari al completamento degli studi superiori.
31 D UCKWORTH , Grit: Perseverance and Passion for Long-Term Goals [33].
32 I termini originali sono: Extraversion, Emotional Stability, Agreeableness, Conscientiousness e
Openness to Experience e andrebbero commentati, dato che pubblicazioni diverse modificano leg-
germente detti termini e danno sfumature diverse ai singoli concetti. Noi, però siamo interessati al
solo termine su cui più o meno tutti concordano (Coscienziosità) e che viene indicato come quello
“maggiormente necessario”.
33 B ARRICK , M OUNT , The Big Five Personality Dimensions and Job Performance [28], pp. 13-14, 17-19.
34 S TEINBERG , Il cervello adolescente [20], p. 162 e relative pubblicazioni citate.
32 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA

Non vorrei, però, essere frainteso: non è che tutti i ragazzi che hanno incontra-
to difficoltà alle medie devono per forza mettersi a studiare greco e latino! Il
percorso di studi deve essere scelto con cura, tenendo ampiamente conto delle
inclinazioni manifestate dal ragazzo e dalla sua oggettiva capacità a sostenerlo.
Certamente affrontando anche delle difficoltà, ma non tali da far diventare la
scuola un incubo per lui e per la famiglia.
Non è che attraverso la potatura e la mielinizzazione il ragazzo diventerà
più intelligente: semplicemente farà come quel pianista che attraverso ore e ore
di studio affina la tecnica e migliora la sua capacità di suonare il pianoforte e
interpretare un brano musicale.
Il problema, caso mai, è domandarsi perché fino ad ora il ragazzo non ha
ottenuto risultati brillanti. Se non si individua il granello che inceppa il mec-
canismo, il giovane potrebbe incontrare alle superiori le stesse difficoltà incon-
trate alle medie. Conviene quindi cercare di dare delle risposte oggettive alla
presunta “lentezza” del giovane e a tal fine potrebbe essere utile rileggere lo
scarno elenco di fattori proposto a pagina 30.
E se, effettivamente, mancasse un po’ di grinta al ragazzo? È possibile inter-
venire, in qualità di genitori ed educatori, per migliorare la capacità del ragaz-
zo a essere più coscienzioso, più tenace, più risoluto a perseguire un obiettivo a
lungo termine? È, insomma, possibile “allenare” la capacità di autoregolazione
del giovane?

2.4.9 Allenare l’autocontrollo


Le presenti righe sono basate su due libri di Laurence Steinberg: Il cervello ado-
lescente35 e The 10 Basic Principles of Good Parenting.36 È però utile aggiungere
qualche informazione per chi volesse approfondire il tema sugli originali. Il
primo dei due libri era un supplemento a “Le Scienze” di settembre 2015 e non
è possibile trovarlo in libreria con quel titolo. Si trova con il titolo “Adolescenti.
L’età delle opportunità” edito da Codice. Il secondo ha qualche anno in più e,
purtroppo, non mi risulta sia mai stato tradotto in italiano.

Steinberg consiglia ai genitori la costante applicazione di tre semplici rego-


le, per rafforzare la capacità di autocontrollo del proprio figlio:

• essere affettuosi;
• essere risoluti;
• essere incoraggianti.

Essere affettuosi significa manifestare il proprio amore al figlio, non nascon-


derlo. Significa essere presente nella sua vita, conoscendone gli amici, le band
preferite, la squadra per cui tifa. Significa conoscere le sue ambizioni, le sue
aspettative, le sue delusioni e le sue paure.
Significa anche camminare insieme a lui, nella stessa direzione, ma restan-
do sempre un passo indietro, in modo che possa decidere lui la strada, ma
senza essere solo. Quando sarà in difficoltà dovrà potersi voltare e trovare i ge-
nitori che, con affetto, lo aiuteranno senza essere invadenti e lasciandolo libero
35 S TEINBERG , Il cervello adolescente [20]
36 S TEINBERG , The 10 Basic Principles of Good Parenting [21]
2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 33

di decidere. Se prenderà decisioni sbagliate dovrà sentire la mano dei genito-


ri sulla propria spalla che lo avvertirà dell’errore e lo stimolerà a riflettere in
autonomia e a correggersi.
Essere risoluti significa dare delle regole chiare, condivise, assennate e, se
necessario, spiegate, mai imposte. Ma, soprattutto, significa crederci, rispet-
tarle, farle rispettare e non cambiarle dopo dieci minuti o dopo dieci giorni.
A scuola, gli insegnanti che sanno condividere regole chiare e farle rispettare,
ottengono risultati migliori dai propri allievi. Per contro, insegnanti con altissi-
me competenze nel loro campo di insegnamento, ma incapaci di fornire regole
chiare ai propri allievi, ottengono frequentemente risultati di basso profilo. Lo
stesso vale anche per i genitori.
Il genitore aiuterà realmente il proprio figlio se la regola sarà chiara e detta-
gliata e se il giovane ne avrà capito la motivazione. Questo potrebbe voler dire
aprire il proprio cuore di genitore al figlio, parlandogli delle proprie paure e
del perché non vuole che torni a casa alle quattro del mattino. Significa an-
che chiedergli - ma soprattutto chiedersi - cosa significa per lui tornare a casa
alle quattro. Risalire alla motivazione nascosta, senza accontentarsi di quella
palese.
Essere incoraggianti significa ricompensare con una buona parola gli sforzi
dell’adolescente. A volte pare che certi insegnanti, come anche certi padri, deb-
bano pagare di tasca loro un complimento o una parola di incoraggiamento.
Come se fosse una tassa o una multa!
Si noti che ricompensare gli sforzi non significa ricompensare i risultati.
Anche perché ci si dovrebbe limitare a ricompensare solo i risultati positivi.
Sono l’intento e l’impegno che vanno lodati, perché preparano il terreno al
successo. Il genitore deve ricordare che ottenere dei risultati positivi quando
si imparano cose nuove non è mai banale. Ci vuole impegno e fiducia nel
lavoro svolto. Si deve essere cioè capaci di aspettare di raccogliere il frutto della
semina dopo settimane o mesi, talvolta anni. Si tratta di un periodo di tempo
durante il quale l’adolescente deve affrontare delusioni, cali di motivazione,
scarsità di successi, per cui incoraggiare e porgere una parola di conforto e
rassicurazione diventa utilissimo.

Steinberg pone l’accento su un particolare piuttosto importante: il genitore


dovrebbe incarnare tutte e tre le caratteristiche elencate e non solo una o due. Il
genitore dovrebbe incoraggiare con affetto e risolutezza, solo così educa all’au-
tonomia e quindi anche alla capacità di autocontrollo. Se l’adolescente miglio-
rerà la propria capacità di autoregolarsi, avrà anche la capacità di progettare
il proprio futuro senza l’assillo del “tutto e subito”. Imparerà a produrre del
lavoro oggi, sapendo che ne vedrà i frutti domani.
Capitolo 3

Lo studente

Tante volte incontro persone che giudicano irrealizzabile tutto quello


che loro non possono fare, e sostengono che noi parliamo di cose superiori
a quelle che la natura umana può sostenere. Ma io ho di loro una migliore
opinione! Anch’essi sono in grado di fare queste cose, ma non vogliono. E
poi, hanno mai deluso chi ha tentato? All’atto pratico non sono apparse
più facili? Non perché siano difficili non osiamo: sono difficili perché non
osiamo.

Lettere a Luciclio, Libro XVII-XVIII, 104, 25-26 - Lucio Anneo Seneca

Lo studente farebbe bene a incorniciare la suddetta citazione di Seneca, evi-


denziare l’ultima frase e appenderla bene in vista nella propria camera. Perso-
nalmente vorrei ripetere - e lo faccio insistentemente ogni anno - ai miei allievi
quelle frasi. “Tante volte incontro persone che giudicano irrealizzabile tutto quello
che non possono fare”. Sono i miei allievi che non hanno fiducia nelle loro capa-
cità. “E sostengono che noi parliamo di cose superiori a quelle che la natura umana
può sostenere”. Ma ciò è falso! Gli argomenti che trattiamo noi insegnanti in
classe sono dimensionati per loro, i nostri studenti. “Ma io ho di loro una miglio-
re opinione!” Spesso molto più alta di quella che alcuni studenti hanno di loro
stessi. “Anch’essi sono in grado di fare queste cose, ma non vogliono”. O meglio,
non vogliono farlo perché hanno paura di fallire e un fallimento brucia più di
una rinuncia. “Non perché siano difficili non osiamo: sono difficili perché non
osiamo”. Questa è la frase che dovrebbe far riflettere tutti gli studenti e che va
appesa in camera.
Nelle prossime pagine lo studente è chiamato a fare un viaggio dentro di sé
e a porsi domande che possono sembrare a volte un po’ scomode. Si cercherà
di guardare agli errori più comuni dello studente con ironia, a volte un po’
feroce, ma ormai abbiamo capito perché: perché l’ironia, prima di muovere al
sorriso, fa riflettere.

35
36 CAPITOLO 3. LO STUDENTE

Per poter iniziare questo viaggio introspettivo, dovremo innanzi tutto im-
parare a conoscere uno dei protagonisti delle prossime pagine: il Vero Studen-
te.

3.1 Il Vero Studente


Decalogo del Vero Studente

1. il Vero Studente inizia a studiare due-tre giorni prima della verifica;


2. il Vero Studente non sta mai attento a lezione;
3. quando un insegnante spiega un nuovo argomento, il Vero Studente non
lo studia subito - troppo facile - ma aspetta pazientemente di aver dimenti-
cato quello che l’insegnante ha spiegato1 e dopo 5-6 giorni, o anche dopo,
inizia lo studio;
4. Il Vero Studente non sta mai attento quando l’insegnante interroga. Atten-
to a cosa, poi?
5. il Vero Studente, in previsione dell’interrogazione, non prepara mai un
argomento a piacere. Se l’insegnante gli chiede se vuole parlare di un
argomento in particolare, deve essere in grado di rispondere: “No!”;
6. il Vero Studente cerca di fare meno esercizi che può: tutti sono capaci di farsi
promuovere se fanno tanti esercizi;
7. il vero Studente non crede nelle proprie capacità. Traduzione: “Se solo il
professore sapesse quanto poco so...”;
8. il Vero Studente non vede l’utilità dell’istruzione, tanto “dovrò comunque
fare il disoccupato a vita”;
9. il Vero Studente, quando non conosce la risposta a una determinata do-
manda, risponde in maniera intuitiva;
10. ma, soprattutto, il Vero Studente NON CHIEDE MAI NULLA al profes-
sore. Al massimo chiede se può andare al bagno.

Praticare costantemente e con tenacia questo semplice decalogo è assolutamen-


te fondamentale se si vuole ripetere l’anno scolastico. Se poi si fallisce l’obiet-
tivo, pazienza, ma la fama di Vero Studente ne viene comunque accresciuta.

3.1.1 Qualche consiglio pratico allo studente


Si è detto che nel presente capitolo si parlerà spesso - ma non solo - degli errori
che lo studente compie durante lo studio. Alcuni sono già stati illustrati, in
modo da rendere edotte le famiglie e permettere loro di aiutare il figlio nella
correzione dell’errore.
Ci sono, però, degli errori che solo lo studente può capire a fondo, perché
vive in prima persona nel mondo della scuola e compie in prima persona quei
determinati errori, per cui li riconosce al di là dell’imperfezione della lingua
parlata e scritta. Inoltre, questi errori possono essere visti come qualcosa che
“interessa docenti e discenti”. Non deve diventare un problema della famiglia,
altrimenti fanno tutto i genitori, e noi insegnanti cosa facciamo? Fuor di battuta
non si può chiedere al genitore di sostituirsi all’insegnante. Non deve farlo. Il
genitore ha compiti diversi e altrettanto importanti.
1 Al netto del punto 2 del decalogo, naturalmente
3.1. IL VERO STUDENTE 37

Ma, insomma, quali sono questi errori? Su che cosa dovrebbe riflettere lo
studente? Innanzi tutto sul decalogo del Vero Studente. Esso va commentato
insieme, fra docenti e discenti, in modo da far capire allo studente il pericolo
che rappresenta.

3.1.1.1 Il Vero Studente inizia a studiare due-tre giorni prima della verifica
Ovviamente è un errore clamoroso. Per spiegarlo potrebbe essere utile parlare
del concetto di fluidità cognitiva. Siccome, però, il Vero Studente ha la tendenza
a non credere molto alle cose che il professore dice, può essere utile far parlare
un premio Nobel, che ha studiato a fondo come il cervello reagisce in condi-
zioni di stress, in situazioni spesso molto simili a quelle che si presentano a
scuola:2
Le parole già viste in precedenza diventano più facili da vedere di nuo-
vo: le si identifica meglio di altre quando ci vengono mostrate per qualche
istante o quando sono mascherate da rumore, e le si legge più rapidamente
(di alcuni centesimi di secondo). In breve abbiamo maggiore fluidità co-
gnitiva davanti a una parola già vista in precedenza, ed è questo senso di
fluidità che ci dà un’impressione di familiarità.
Pensieri lenti e veloci - Daniel Kahneman
Uno studio diluito nel tempo offre molti vantaggi. Supponiamo per un atti-
mo che il nostro studente debba studiare in previsione di un compito e che un
suo compagno di classe, solitamente piuttosto organizzato, lo abbia avvertito
che non è possibile studiare gli argomenti richiesti per meno di 15 ore. Suppo-
niamo anche che il nostro protagonista convenga che, effettivamente, studiare
meno di 15 ore non serva a nulla. La domanda è: è meglio fare tre “tirate” da
5 ore l’una tre giorni prima della verifica, oppure mezz’ora al giorno per un
mese?
Kahneman e la coppia Ariga-Lleras consigliano certamente la seconda op-
zione. Innanzi tutto perché uno studio “diluito” permette una maggiore fluidità
cognitiva (Kahneman) dopo 1-2 giorni di studio. Dopo qualche giorno i termini
studiati sono diventati familiari e il cervello può concentrarsi più sui concetti
che sulla terminologia. L’ideale sarebbe leggere inizialmente - non studiare - gli
argomenti della verifica. La prima mezz’ora potrebbe essere dedicata ad una
rilassata lettura. Il cervello avrà modo di familiarizzare con la terminologia e
di manifestare minor tensione cognitiva di fronte al puro lessico.
Questo modo di studiare, seguito da ripassi frequenti, veloci e distanziati,
hanno meritato un termine ben preciso: retrieval practice.3
Questo non è, però, l’unico motivo. Fare sessioni di studio troppo lunghe
e ininterrotte non è efficiente (Ariga-Lleras). È noto da qualche decennio che
la curva dell’attenzione diventa calante dopo un breve periodo di tempo. Man
mano che l’attenzione cala, subentra, in maggior misura, un’attività del tut-
to involontaria, ovvero il “sogno ad occhi aperti”, che così frequentemente gli
insegnanti notano nello sguardo assente di quelli allievi che hanno perso l’at-
tenzione alla lezione. La scienza chiama questi sogni ad occhi aperti TUTs,
ossia Task Unrelated Thoughts. Per evitare che le suddette attività involontarie
2 K AHNEMAN , Pensieri lenti e veloci [13], pp. 69-71
3
38 CAPITOLO 3. LO STUDENTE

ci distolgano dal mantenere alta la concentrazione conviene interrompere volon-


tariamente, anche molto brevemente, l’attività che richiede la nostra attenzione
per riprenderla subito dopo. Gli esperimenti scientifici effettuati da Ariga e
Lleras prevedevano interruzioni di pochi secondi ogni 10 minuti, per 40 mi-
nuti,4 ma naturalmente detti tempi possono variare. Passata la mezz’ora che
ci siamo prefissati di studiare, la nostra mente sarà già sufficientemente stanca
da consigliare comunque una pausa di qualche minuto, durante la quale, ad
esempio, si potrebbe andare in cucina a controllare i messaggini!
Gli studenti più maturi ripetono mentalmente gli argomenti studiati in quel-
la mezz’ora quando sono in autobus, o in fila, o mentre fanno merenda o co-
munque non direttamente impegnati in attività intellettuali e relativamente
rilassati.5

3.1.1.2 Il Vero Studente non sta mai attento a lezione


Altro errore clamoroso. Stare attenti in classe riduce di molto lo studio casalin-
go. Ciò è vero per almeno due motivi:

• si risparmia tempo. Se l’argomento che si deve studiare è già conosciuto


per grandi linee, si riduce il tempo necessario a comprenderlo;
• la spiegazione del professore rende l’argomento più semplice da capire.
È il compito dell’insegnante facilitare la comprensione di un argomento
da parte degli studenti.

Perciò non si riesce a capire come mai gli allievi spesso non prestino atten-
zione alle lezioni. È un atteggiamento che va contro gli interessi dell’allievo.
Una possibile spiegazione è data dal goal habituation ipotizzato da Ariga-
Lleras,6 ovvero una specie di assuefazione da attenzione, che va interrotta ogni
5-15 minuti a seconda del grado di stanchezza mentale raggiunta.
Riuscire, per contro, a mantenere alta l’attenzione in classe permetterà allo
studente di risparmiare tempo durante lo studio casalingo.

3.1.1.3 Il Vero Studente non studia subito il nuovo argomento


Studiare, anche superficialmente, immediatamente il nuovo argomento pre-
sentato in classe riduce i tempi di assimilazione. Se l’allievo aspetta troppo
tempo - e questo è un errore che gli studenti fanno sistematicamente - si dimen-
ticherà la lezione. È come se il professore non spiegasse nulla in classe e dices-
se: “Studiate da pagina tale a pagina tal altra.” L’aiuto del professore è andato
completamente in fumo. Quello che inconsciamente lo studente pensa è, inve-
ce, quanto segue: “Oh, che bello. Se il prof. spiega vuol dire che non interroga
e se non interroga, io faccio ferie.” A tale atteggiamento da Vero Studente si
oppone ancora una volta Seneca:

Anche nei momenti di tranquillità l’animo si prepari ai tempi difficili


e quando va tutto bene si rafforzi contro i colpi della sorte.

Lettere a Lucilio, Libro II, 18, 6 - Lucio Anneo Seneca


4 A RIGA , L LERAS, Brief and rare mental breaks keep you focused [27], pp. 1-5.
5 Questo aspetto, importantissimo, verrà ripreso tra qualche pagina. Vedi il paragrafo 3.2.1.
6 Ibidem, [27], p. 2.
3.1. IL VERO STUDENTE 39

3.1.1.4 Il Vero Studente non sta mai attento durante le interrogazioni


Anche questo atteggiamento è controproducente. Più di mille parole può vale-
re il seguente controesempio.

Pierino7 è un giovane studente di quarta ginnasio alle prese con i micidiali


paradigmi dei verbi greci. I verbi da studiare sono circa duecento, di cui si
deve sapere, per ciascuno di essi, il significato e le diverse coniugazioni. Un
disastro assoluto e totale. Per giunta, il professore di greco è anche piuttosto
esigente e punisce piuttosto severamente ogni errore. Insomma, ci sono tutti
gli ingredienti per un bagno di sangue.
Infatti le prime interrogazioni sono delle autentiche fucilazioni per gli ester-
refatti studenti, durante le quali, però, Pierino prende diligentemente appunti.
E studiando, anzi, analizzando, gli appunti scopre una cosa piuttosto interes-
sante: durante le prime interrogazioni emerge che il severo professore chiede
sempre gli stessi 40-50 verbi.
Ergo: è importante studiare bene, anzi benissimo, quei 40-50 verbi mentre
i restanti 150-200 si possono studiare molto più superficialmente, riducendo
in tal modo lo studio di almeno il 50% circa e facendo letteralmente schizzare
verso l’alto i voti.
Morale della favola: pare che la “lista di Pierino” sia circolata nel ginnasio
per più di qualche anno, con grande soddisfazione degli studenti e, perché no?,
pure del severo, ma ignaro, insegnante.

Infine, una nota etica sul protagonista della storiella. Pierino non imbro-
gliava: i verbi li studiava tutti, ma alcuni benissimo, altri in maniera appena
sufficiente, dimostrando una buona capacità di adattamento all’ambiente. In
fin dei conti perché l’insegnante continuava a chiedere soprattutto quei 40-50
verbi? Perché li riteneva più importanti degli altri ed è assolutamente sensato e
ragionevole studiare meglio le cose importanti e in maniera più superficiale il
resto.
Prendere appunti durante le interrogazioni permette di conoscere in antici-
po le probabili domande del professore, oppure se ha la tendenza a permettere
allo studente di iniziare un’interrogazione con un argomento a piacere. Questa
osservazione ci introduce alla prossima riflessione.

3.1.1.5 Il Vero Studente non prepara argomenti a piacere


Lo studente accorto, in previsione dell’interrogazione, prepara sempre un ar-
gomento a piacere. L’insegnante lo apprezza sempre e può essere un modo
soft di iniziare il colloquio con il professore. Non avere pronto un argomento
da trattare se il docente lo richiede è sinonimo di superficialità e scarsa ma-
turità scolastica. Significa anche che lo studente è un pessimo stratega, che
rappresenta pur sempre la miglior garanzia per perdere le battaglie e le guerre.
Se, invece, l’argomento a piacere non viene chiesto, è compito dell’allie-
vo tentare di portare la discussione su quell’argomento. I più sensibili fra gli
insegnanti, notata la cosa, chiuderanno un occhio e faranno la domanda tan-
to attesa. Si consiglia, in tal caso, di non iniziare l’esposizione dicendo: “Oh,
finalmente!”
7 In realtà il protagonista dell’aneddoto non si chiama Pierino, ma lo si chiama così per non

imbarazzare nessuno e mantenere l’anonimato. La storiella è comunque assolutamente vera.


40 CAPITOLO 3. LO STUDENTE

3.1.1.6 Il Vero Studente cerca di fare meno esercizi che può


Invece lo studente furbo deve fare come il pianista incontrato qualche pagi-
na fa. Si allena tanto per non steccare. Lo studente provi a pensare che ogni
stecca potrebbe valere un voto in meno. Fare tanti esercizi, invece, costituisce
una forma di brain training8 che, pare, favorisca sia la potatura sinaptica che
la mielinizzazione dei circuiti neuronali.9 Inoltre, l’esercizio aumenta la flui-
dità cognitiva, per cui sarà anche più difficile commettere errori che passino
inosservati: un errore apparirà più facilmente come non familiare, creando in
tal modo tensione cognitiva e destando l’attenzione dello studente.

3.1.1.7 Il Vero Studente non crede nelle proprie capacità


Or incomincian le dolenti note. Questo è un punto assolutamente centrale della
propria crescita, che l’allievo farebbe bene a considerare con molta attenzione,
magari rileggendo la citazione di Seneca in apertura. Lo studente ha la tenden-
za a sminuirsi e a non credere nelle proprie potenzialità, né tanto meno nelle
proprie capacità.
Ma come si fa a credere nelle proprie capacità? Quel tipo di fiducia non
si improvvisa, cresce piano piano, come un albero: lentamente ma inesorabil-
mente. “Appunto, tanto lentamente che nel frattempo mi avranno bocciato
sette volte” potrebbe pensare lo studente.
Problema mal posto. Lo studente non deve chiedersi come credere nelle
proprie capacità, ma in che cosa crede. O meglio: in che cosa non crede.
Probabilmente non crede nel lavoro, nell’impegno. Non crede che in segui-
to a uno sforzo ci possa essere un risultato. Non crede nell’istruzione e nella
cultura.10 Eppure è attraverso un lavoro organizzato che lo studente otterrà qual-
che risultato scolastico significativo e, attraverso esso, migliorerà - lentamente
ma inesorabilmente - la propria autostima.
Tutti noi adulti e adolescenti - ma l’adolescente in maniera particolare - sof-
friamo da sindrome WYSIATI (What You See Is All There Is).11 Cosa vedo? Vedo
che nonostante i miei sforzi gli ultimi compiti sono stati uno schifo. Conclusio-
ne: i prossimi compiti, nonostante i miei sforzi saranno uno schifo. WYSIATI,
appunto.
Questa conclusione è errata perché tiene conto solo di ciò che è evidente e
“visibile”. Quindi cos’è che non è evidente nell’esempio? Non è evidente se gli
sforzi fatti fossero effettuati nella giusta direzione. Non è evidente se il metodo
di studio fosse corretto. Non è evidente se le ore di studio fossero adeguate.
Non è evidente se il numero di esercizi fatti fosse adeguato, ecc.
Tutto ciò significa che c’è un motivo valido che porta ad avere risultati insufficien-
ti nelle verifiche. Tale motivo va ricercato con obiettività - insieme all’insegnante
e ai genitori - e si deve porre rimedio all’errore, non a una generica autosti-
ma che non c’è. A quella ci penserà il tempo - che è sempre galantuomo - con
nostro vivo stupore.
8 S TEINBERG ,
Il cervello adolescente [20], p. 55.
9 Se
si pensa alle connessioni neuronali come a dei sentieri di comunicazione, mielinizzare equi-
vale a rendere più veloce e asfaltare la via di comunicazione. Una connessione mielinizzata resiste
molto di più alle successive potature ed è più difficile che venga dismessa.
10 Cfr. punto 8 del decalogo del Vero Studente. ;-)
11 K AHNEMAN , Pensieri lenti e veloci [13], pp. 96-99. Significa che la realtà è rappresentata

unicamente da ciò che esplicitamente si vede.


3.1. IL VERO STUDENTE 41

Tutte le presenti pagine vogliono essere un aiuto alle famiglie e allo stu-
dente per ricercare il motivo che porta all’insuccesso scolastico. Magari una
parziale risposta la si potrà trovare a pagina 3, o 19, o 26, tanto per buttare
là dei numeri a caso. Spetta ai protagonisti di questa storia investigare con
obiettività e cercare i motivi che rallentano la crescita.

3.1.1.8 Il Vero Studente non vede l’utilità dell’istruzione


Ammetto che la disoccupazione, giovanile e no, è un dramma, non un proble-
ma. È figlia di tante madri e tanti padri e ognuno dovrebbe chiedersi se non
ha contribuito, in minima parte, ad allevare il problema che poi è diventato
dramma.
La disoccupazione è certamente un problema che i nostri amministratori
e i nostri politici devono cercare di alleviare, ma nel frattempo faremmo bene
anche noi a chiederci se c’è qualcosa che possiamo fare. Come insegnante cerco
di affilare la spada ai miei allievi, sistemando, qua e là, un elmo fuori posto e
insegnando a proteggersi con lo scudo. La metafora della battaglia è doverosa,
anche se vorrei venisse colta più la leggerezza che la violenza dell’esempio.
Credo che una preparazione scolastica granitica sia fondamentale. E non
sto pensando al solo “posto di lavoro”, ma a una corazza che protegga il futuro
adulto dalle avversità e a una creatività che sappia trasformare il problema
in opportunità. La scuola è esattamente tutto ciò. L’istruzione - la cultura! -
ci fa vedere il mondo con occhi diversi, più pronti a cogliere l’attimo e più
consapevoli della realtà che ci circonda.
Ma se proprio vogliamo parlare di lavoro è il caso di dirlo chiaro e forte:
lo studente che ha studiato con passione e con impegno non resta disoccupato
a lungo. Lo dico per esperienza diretta, magari fatta di piccoli numeri, ma
concreta. Credo piuttosto che il problema sia un altro, ben evidenziato dalla
nostra Voce nel deserto televisivo:
... la scuola oggi è incapace di sviluppare quelle competenze e quei
talenti che sono oggi necessari per continuare ad appartenere a una società
industriale avanzata. È talmente distaccata dalle vere esigenze del mondo
del lavoro da essere diventata, in larga misura, una fabbrica di disoccupati
con la laurea.
Nel buio degli anni luce, 1977 - Piero Angela
È sufficiente visitare qualche scuola all’estero per rendersi conto dei danni
incalcolabili inflitti alla scuola italiana dal sistema politico negli ultimi 40-50
anni. All’estero le scuole non sono perfette, sia ben chiaro - sono a metà del
guado nel processo di democratizzazione, esattamente come in Italia - ma in
molti casi sanno essere più efficienti e più utili al territorio.
Dunque non c’è scampo? No, anzi, è proprio la scuola a offrire l’antidoto a
questo epidemia che sembra inarrestabile: si chiama studio.

A proposito di epidemia. A volte propongo ai miei allievi il seguente gio-


chetto. Il gioco consiste nell’immaginare un’Italia diversa.
Si supponga una malattia contagiosa che colpisca l’Italia. Colpisce tutti,
indistintamente, giovani e vecchi di qualsiasi ceto sociale, professionisti e di-
soccupati, studenti e insegnanti, panettieri, idraulici, casalinghe, medici, mara-
toneti, cavallerizzi e nullafacenti, insomma proprio tutti. La scienza mondiale
42 CAPITOLO 3. LO STUDENTE

si danna in una folle corsa per scoprire un antidoto, un vaccino o anche solo un
lenitivo o un palliativo, per salvare l’Italia. Niente da fare: gli italiani sono presi
da una irrefrenabile voglia di studiare, di conoscere, di migliorarsi sul lavoro e in
famiglia. Appena hanno un attimo di tempo leggono e studiano. Non guar-
dano più la televisione - orrore - e vanno nei centri commerciali solo quando
serve qualcosa in casa - tragedia - trovando maggior conforto in una pagina
letta piuttosto che in una cosa inutile comprata. Gli studenti arriverebbero a
casa da scuola dicendo finalmente: “Mamma, mamma, oggi non mangio: de-
vo studiare elettronica.”12 e persino i nostri politici passerebbero più tempo a
studiare.
Cosa succederebbe a una simile Italia nel giro di 5-10 anni, se non si trovas-
se un antidoto in tempo? Sarebbe sicuramente più competitiva e più creativa.
Il mondo del lavoro sarebbe fatto di personale qualificato e istruito, più attento
alla cultura, alla salute, alla sicurezza. I morti sul lavoro crollerebbero e pro-
dotti innovativi verrebbero presentati sul mercato. Diminuirebbero i suicidi e
si allungherebbe la vita media. La delinquenza crollerebbe e la mafia restereb-
be solo un ricordo sui libri di scuola, a monito di cosa era l’Italia quando era
ignorante.
Niente paura! Era solo un gioco. Però, ciascuno di noi, se vuole, può provare
a giocare da solo, modificando, umilmente, il piccolo mondo che lo circonda.
Almeno fino a quando non si troverà un antidoto.

3.1.1.9 Il Vero Studente risponde in maniera intuitiva


Il presente argomento è talmente importante che non verrà discusso immedia-
tamente, ma sarà oggetto di apposita sezione. Vedi paragrafo 3.2.6.

3.1.1.10 Il Vero Studente non chiede mai nulla al professore


Anche questo argomento è assolutamente fondamentale, visto che da esso di-
pende gran parte dei risultati scolastici dell’allievo. Anche ad esso verrà dedi-
cata un’apposita sezione. Vedi paragrafi 3.2.2 e 3.2.3.

3.2 Qualche consiglio teorico allo studente


Si è accennato in più punti che uno dei punti deboli dello studente è l’orga-
nizzazione del proprio studio. Ma cosa si intende per “organizzare”? Dal
dizionario Garzanti:

organizzare
[or-ga-niZ-Zà-re] v. tr.

aus. avere

1. coordinare i vari elementi che costituiscono un insieme in mo-


do che, integrandosi reciprocamente, concorrano alla realizzazione
di un fine comune [...].
12 Ok, ok, ho esagerato: questa la ritiro.
3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 43

Quale sia il “fine comune” credo sia piuttosto evidente: l’efficacia dello studio,
che si concretizza in un sapere solido, spendibile, duraturo e facente parte
integrante e integrato della persona che lo pratica.
Quali siano i “vari elementi” che costituiscono il suddetto insieme è meno
evidente. Si tratta sicuramente di comportamenti che lo studente deve porre in
essere, ma quali siano non è sempre chiarissimo. I prossimi paragrafi voglio-
no tentare di elencare gli elementi/comportamenti che possono influenzare -
positivamente o negativamente - l’efficacia dello studio.

3.2.1 Lo studio diluito


Si narra che un allievo chiese a Jigoro Kano, il padre del Judo, perché la tecnica
considerata più difficile, il De Ashi Barai, fosse anche la prima che solitamente
veniva insegnata. Pare che il maestro rispose che proprio perché considerata la
più difficile doveva anche essere la prima, dato che necessitava di più tempo
per essere imparata.
Analogamente si vuole iniziare questo “elenco” con una delle pratiche più
difficili per uno studente: lo studio diluito nel tempo.

Spesso, in previsione di una verifica scritta, lo studente inizia a studiare


due-tre giorni prima. Il motivo è piuttosto semplice: gli argomenti trattati ven-
gono mandati a memoria e si teme di dimenticare quanto imparato prima della
verifica. Ciò implica la necessità di concentrare lo studio - o meglio, la memo-
rizzazione - nelle immediate vicinanze del compito in classe. Non si vuole ur-
tare la sensibilità dello studente che utilizza tale tecnica, ma non esiste peggior
modo di studiare. In tal modo lo studente si fa del male. Vediamo come.

3.2.1.1 I ritmi forzati non funzionano

La tecnica non funziona. Per poter sostenere una simile tesi è però necessario
definire l’obiettivo. L’obiettivo dello studente è prendere la sufficienza. L’o-
biettivo del docente è permettere l’elaborazione di nuove competenze e nuove
conoscenze da parte dello studente.
Per lo studente, solitamente, la discussione si chiude qui, avendo egli già
deciso qual è l’obiettivo da perseguire. Io intendo spendere, invece, ancora
qualche parola. Vanno capite le regole del gioco. Non si può entrare sul campo
da calcio con le pinne, senza far ridere compagni e avversari. Non sono quelle
le regole. Analogamente, la regola da osservare a scuola non è farsi promuove-
re a qualsiasi costo, magari col minimo dei voti. Questo, di solito, non è un pro-
blema: ormai si promuovono tutti, basta insistere. La regola da osservare è un
po’ più complessa: prepararsi alla vita. Professionale, sociale, familiare, fatta
di interazioni e dinamiche complesse e liquide, dove l’unica certezza è l’incer-
tezza e dove bisogna essere preparati a reinventarsi continuamente. Sembrano
parole vuote, ma non lo sono. Sono il paradigma del terzo millennio.
Cosa può fare lo studente? Può migliorare la propria organizzazione. È già
stato detto che piuttosto di studiare 5 ore ogni giorno negli ultimi tre giorni
è meglio studiare mezz’ora per un mese. La differenza fra questi due modi
di studiare è abissale: uno studio lento viene assimilato dal cervello, mentre
uno studio a ritmi forzati non permette alcuna assimilazione. Ma soprattutto
44 CAPITOLO 3. LO STUDENTE

si verifica un ulteriore fenomeno che è fondamentale. Prima di affrontarlo è


bene chiarire cosa si intende per studio.
Studiare è il tentativo di inglobare nella propria cultura un argomento. Io
studio il teorema di Pitagora ed esso diventa parte della mia cultura, parte
di me stesso. Se è parte di me, devo essere in gradi di utilizzarlo in qualun-
que momento, senza la necessità di doverlo ripassare o di dare una guardatina
agli appunti. Ciò significa che l’argomento deve essere stato sia memorizza-
to che compreso. Se manca una delle due caratteristiche non sarò in grado di
utilizzare la nuova conoscenza o competenza.
Adesso chiarisco qual è l’aspetto fondamentale dello studio diluito. Suppo-
niamo di dover imparare il teorema di Pitagora. Dobbiamo passare attraverso
due fasi: la memorizzazione e la comprensione. Analizziamole separatamente.

3.2.1.2 La memorizzazione
Come studia/impara un argomento nuovo solitamente lo studente? Lo stu-
dia una prima volta. Dopo un certo tempo lo stesso concetto viene ripassato.
Passato ulteriore tempo lo si ripassa nuovamente e così via ciclicamente finché
l’argomento non è sufficientemente padroneggiato. Diversi studi indicano che
una tale tecnica presenta tratti di inefficienza.13 Molto più efficiente sembra
essere, invece, la retrieval practice.
Secondo tale tecnica, si studia una prima volta una piccola parte dell’argo-
mento. La quantità di studio non deve essere eccessiva: l’ordine di grandezza
dovrebbe essre la decina di minuti. Dopo un tempo relativamente breve - mez-
z’ora, un’ora - si riprende in mano l’argomento studiato nel seguente modo:
senza guardare preventivamente gli appunti o il libro si ripete quello che si è studia-
to cercando di ricordare quanto più possibile. La memorizzazione si perfeziona nel
momento in cui si tenta di ricordare. Se non si è riusciti a ricordare tutto, si può
ripassare l’argomento. Il ciclo va ripetuto allungando via via i periodi. Ogni
volta che si tenterà di ricordare l’argomento, anche dopo mesi, se ne rafforzerà
la memorizzazione. Gli studi della retrieval practice sono innumerevoli e se ne
citano solo alcuni, per semplicità di consultazione.14

3.2.1.3 La comprensione
Non basta memorizzare qualcosa. Si deve sapere cosa memorizzare, possibil-
mente “occupando meno spazio in memoria”. Si cercherà di illustrare con un
esempio cosa si intende con quest’ultima affermazione.
13 Essa è indicata solitamente con l’espressione try and try again. Ad esempio, H OWARD , H O -
WARD , When it does hurt to try: Adult age differences in the effect of instructions on implicit pattern
learning. [37], descrive gli aspetti deleteri di tale tecnica nello studio di sistemi complessi, mentre
F INN, When it hurts (and helps) to try: the role of effort in language learning [35] si concentra maggior-
mente sullo studio delle lingue. I risultati migliori si ottengono, paradossalmente, con uno studio
“passivo”, ovvero non eccessivamente concentrato. In tal modo è più facile che il cervello colga
gli schemi nascosti del linguaggio o del sistema. Riflessione da dilettante: lo studio sembra essere
collegato alla teoria di McGilchirst [14], secondo la quale una eccessiva concentrazione attiva l’e-
misfero sinistro del cervello, permettendo una visione dettagliata della parte, disattivando, però,
l’emisfero destro, preposto alla visione del tutto.
14 C ARPENTER , Spacing and interleaving of study and practice [30], K ARPICKE , Retireval-based lear-

ning: Active retrieval promotes meaningful learning [41], K ARPICKE, Retireval practice produces more
learning than elaborative studing with concept mapping [42], R OEDIGER, The critical role of retrieval
practice in long-term retention [49].
3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 45

Si guardino le seguenti lettere per 3 secondi e si tenti di memorizzarle:

NRGUTLIFITFA

L’azione non è proprio semplicissima, soprattutto per il poco tempo conces-


so. Inoltre, lo sforzo cognitivo che si deve porre in atto è notevole. Si ritenti di
memorizzare per una seconda volta le lettere guardandole ora per 30 secondi.
Dopo la seconda prova, forse, saremo riusciti a memorizzarle, ma comunque
non senza fatica.
Si guardino ora le stesse lettere, nuovamente per tre secondi, disposte in
altro modo:

FRANGIFLUTTI

Ovviamente bastano meno di 3 secondi. Perché? Perché abbiamo “capito”


l’informazione veicolata. Cosa intendiamo per “capito”? Aver collegato una
nuova informazione al nostro sapere preesistente.
Se non capiamo ciò che studiamo siamo costretti ad uno sforzo cognitivo
alto. Se riusciamo a collegare un nuovo sapere a un nostro sapere già conso-
lidato la memorizzazione risulta essere più efficiente. La prova è semplice: si
provi a ricordare la prima sequenza di lettere senza riguardarle. Sarà un’azione
per nulla facile. Si provi ora a ricordare la seconda sequenza: impossibile non
ricordarla.

Il secondo modo di memorizzare è detto chunking ovvero “spezzettare”.15


Una nuova informazione va ricollegata al nostro sapere preesistente e diventa
significativa - ovvero portatrice di significato - solo a collegamento avvenu-
to. Senza tale collegamento la nuova informazione è priva di significato, e
memorizzarla richiede un notevole sforzo.

Dovrebbe essere ora un po’ più chiaro perché lo studio deve essere diluito.
Fare tutto all’ultimo momento non permette allo studente di capire cosa sta
studiando, ovvero di collegarlo al proprio sapere. Concentrarsi su piccoli pezzi
- chunk - facilita sia la comprensione che la memorizzazione.

3.2.2 La partecipazione passiva


In ordine di difficoltà segue la partecipazione attiva al dialogo educativo. Lo
studente demotivato non partecipa attivamente alle lezioni, ma semplicemente
è presente in aula. Cerca di seguire le lezioni, ma dopo dieci minuti molla
perché non capisce niente. Mollando accentua ancora di più il divario fra ciò
che sa e ciò che dovrebbe sapere. Come interrompere questo circolo vizioso?

3.2.2.1 La resistenza al cambiamento

Innanzi tutto è bene inquadrare il problema, in modo da non banalizzarlo. È


idea alquanto diffusa che se si presenta una buona pratica ad una persona che
15 G OBET et al., Chunking mechanisms in human learning [36].
46 CAPITOLO 3. LO STUDENTE

sta facendo uso di una pessima pratica, questi la debba adottare per il sempli-
ce motivo che è migliore. Ciò è falso perché non si tiene conto della resisten-
za al cambiamento che è connaturata in ciascuno di noi.16 I fattori che condi-
zionano un cambiamento mentale sono molti e non tenerne conto quando si
entra in classe significa spesso porre in atto un’azione che può risultare inef-
ficace. Tutti noi, semplificando molto il problema, tendiamo a non cambiare
facilmente opinione e a distorcere la realtà fino a farla coincidere con le nostre
convinzioni. Il nostro comportamento si irrigidisce ulteriormente se le nostre
convinzioni sono rese pubbliche, essendo rafforzate dal bisogno di coerenza e
dall’orgoglio.17
Lo studente deve conoscere questo meccanismo e sapere che ne è vittima
quando il docente gli chiede di modificare alcuni suoi comportamenti in classe.
La tendenza a irrigidirsi e diventare resistente al cambiamento è la reazione più
diffusa e quella che crea i maggiori danni.

3.2.2.2 I comportamenti più diffusi


Vale la pena, comunque, tornare al protagonista delle nostre riflessioni, ossia
allo studente demotivato. Gli daremo un nome piuttosto usato in letteratura,
così lo nobilitiamo: lo chiameremo Tonio. È piuttosto facile tracciarne un profilo
psicologico, come si usa dire dei serial killer dei film polizieschi:

durante le lezioni è invisibile Di solito Tonio sta negli ultimi banchi, nasco-
sto dietro la testa del compagno di classe che gli sta davanti, o dietro
lo zainetto, o dietro il monitor del PC se c’è lezione in laboratorio di
Informatica;
non alza mai la mano Se il professore dovesse parlare arabo dall’inizio della
lezione fino alla fine e poi chiedere in italiano se tutto è chiaro, guardan-
do dritto negli occhi Tonio, questo, con aria la più neutra possibile per
non dare nell’occhio, accennerebbe un sì con la testa senza emanare suo-
no. Così se il prof. dovesse arrabbiarsi potrebbe sempre dire che stava
scacciando una mosca;
durante le interrogazioni ha l’aria rassegnata È intimamente convinto che non
ce la farà mai a strappare una sufficienza. Di solito è piuttosto sereno
- è temprato: purtroppo ne ha viste di peggio - comunque non è mai
impaurito: è semplicemente rassegnato;
ha una bassa opinione di se stesso Naturalmente dal punto di vista scolasti-
co. È convinto di non sapere nulla o comunque molto poco. Soprattutto è
convinto che il professore non immaginerà MAI quanto poco lui sappia.
Come suona la campanella diventa un ragazzo perfettamente normale,
con normale autostima di sé - basta non parlare di scuola.

Si potrebbe continuare, ma i tratti fondamentali di Tonio sono quelli cita-


ti. Beh, insomma, con queste premesse sarà dura prendere il premio Nobel.18
Ma una premessa non è una condanna. Si può prendere coscienza che forse è
16 G ARDNER , Cambiare idee. L’arte e la scienza della persuasione. [8], pp. 13-34.
17 Ibidem,[8], pp. 65-71.
18 Tranquillo Tonio, ce la puoi ancora fare. Einstein è stato trattato peggio. Ha incominciato a

camminare tardi e a parlare a tre anni. Il dottore di famiglia diceva che, sì, insomma, era un po’
indietro e poi alle superiori è stato anche bocciato in matematica. Come vedi, tutto il mondo è
paese.
3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 47

conveniente cambiare qualcosa nel proprio modo di agire e provarci. In fin dei
conti si dice che l’adolescenza è l’età dei cambiamenti, quindi, cambiare per
cambiare, forse conviene cambiare in meglio. Vediamo come.

3.2.2.3 Il posto in aula


Purtroppo le classi sono sempre numerose e ciò significa che alcuni potranno
stare più vicini alla lavagna e altri dovranno stare più lontani. Si vedono, però,
molti allievi ipovedenti, o perlomeno con qualche difficoltà a vedere da lon-
tano, seduti negli ultimissimi banchi. Chi ha problemi di vista farebbe bene,
invece, a sedere nei primissimi banchi.
Questo vale anche per gli allievi in difficoltà. Spesso la lavagna è oggetto
di brutti riflessi di luce, per cui, soprattutto se si è scritto su di essa con mano
leggera, vi possono essere difficoltà a leggere quanto scritto. Conviene quindi
sempre cercare di sedersi nei primi banchi. Se si intende seguire la lezione
naturalmente.

3.2.2.4 Chiedere chiarimenti


Non alzare mai la mano quando non si capisce qualcosa è forse il peggior difet-
to di molti studenti. Una buona classe si vede dal numero e dalla qualità delle
domande poste all’insegnante e dalla sua capacità di essere parte attiva duran-
te la lezione. Il retropensiero che spinge molti studenti a non porre domande
all’insegnante è più o meno il seguente. Se alzo la mano commetto almeno due
errori clamorosi: mi faccio notare e, soprattutto, dalla domanda il prof. capisce che
non ho studiato. E siccome lo studente medio ha la coda di paglia sempre, non
alza mai la mano.
Personalmente propongo il seguente, semiserio, patto con i miei studenti.
Se appartengono alla categoria di studenti appena descritta consiglio loro di
alzare la mano quando non hanno capito qualcosa ed esordire: “Senta prof.,
io la vedo da tanto tempo, ma devo confessare che non ho capito bene che
materia insegna. Fino a ieri ho fatto vacanza attiva e gaudente, ma oggi mi
sono imposto di stare attento durante le lezioni, anche perché sto preparando
la letterina a Babbo Natale e vorrei essere coerente almeno un po’. Non che
abbia studiato, sia ben chiaro, ma credo di non aver capito l’ultima cosa che ha
detto. Vorrei capire”.
Premetto che non tutti gli insegnanti del nostro Istituto hanno uno spic-
cato senso dell’umorismo, quindi forse si dovrà modificare il testo qua e là.
Però il concetto che vorrei veicolare è il seguente: se uno studente vuole capi-
re qualcosa e ci mette impegno, la sua storia pregressa non mi interessa più di
tanto. Certo sarebbe carino notare una qualche forma di ravvedimento, però,
sostanzialmente, stendo tappeti rossi allo studente che vuol capire.
Questo modo di veder le cose è diffuso fra gli insegnanti. A cambiare, a
volte, è la forma - il testo di cui sopra - ma non la sostanza. Soprattutto l’allie-
vo deve convincersi che l’insegnante è in grado di fargli risparmiare un sacco di
tempo: quello che lo studente impiega, ad esempio, un’ora a capire studiando
da solo, un bravo insegnante può spiegarlo con poche parole. I docenti hanno
il dono della sintesi, bisogna ricordarlo, e insegnare è il loro mestiere.
Un altro pensiero diffuso fra gli studenti è il seguente: “Quando non capi-
sco qualcosa, aspetto che la domanda la faccia qualcun altro”. Non funziona.
48 CAPITOLO 3. LO STUDENTE

O meglio, funziona solo in certi casi. Quello che è sbagliato è non chiedere
di persona. In tal modo l’allievo rinuncia a un suo diritto e peggiora la sua
situazione posticipando o addirittura compromettendo un eventuale tentativo
di recupero.

3.2.3 La partecipazione attiva


Torniamo da Pierino, quello dei verbi greci. Scolasticamente lo potremmo de-
finire uno stratega. Sì, gli piace studiare, ma soprattutto non fa mai nulla per
caso. Lo si è già detto: non esce dal sentiero tracciato dall’etica - non copierebbe
mai un compito, tanto per intenderci, né farebbe mai uso di foglietti, piccoli o
grandi che siano, durante una verifica - però cerca sempre il massimo risultato
col minimo sforzo. Ebbene, chiedete a Pierino cos’è l’effetto alone.19

3.2.3.1 L’effetto alone

“Eh, caspita! È un’arma piuttosto potente. Occhio, però: è un’arma a doppio taglio.”
Sempre criptico Pierino. Cerchiamo di essere un po’ più chiari.
Pierino a inizio anno parte in quarta. Sempre. Se l’anno scolastico fosse una
maratona, lui farebbe una partenza da 100 metri piani. L’obiettivo di Pierino è
ottenere voti alti a inizio anno/quadrimestre. Perché?
Tre sono i motivi:

1. gli argomenti trattati in classe sono pochi e farsi interrogare subito è meno
rischioso. In sostanza è più facile prendere voti alti;
2. se Pierino ha sottovalutato la difficoltà del corso, una partenza a razzo
può metterlo al riparo da iniziali scivoloni. In tal caso, semmai, si presen-
terà il problema di come mantenere un ritmo così alto, ma intanto non ha
portato a casa insufficienze;
3. se i primi voti saranno alti questi certificheranno la sostanziale omoge-
neità del sapere del nostro protagonista - che tornerà utile nel prosieguo
dell’anno - ma soprattutto, il professore ci penserà due volte prima di
abbassare il voto a Pierino: effetto alone.

In Psicologia è un fenomeno ben conosciuto e pare che sia piuttosto difficile


non esserne influenzati. Da insegnante lo confermo. Nei compiti con le doman-
de prestampate, faccio apporre il nome all’allievo sempre in fondo al compito,
in modo da correggere una verifica che sia la più anonima possibile.
Quindi se si “parte sparati” è più facile mantenere i voti alti o almeno suf-
ficienti? Sì, certo. Ma ricordiamoci di quello che ha detto il criptico Pierino: è
un’arma a doppio taglio. Eh sì, perché vale anche il contrario.
Questo significa che uno studente che parte male deve poi sudare sette ca-
micie per riconquistare la fiducia del professore. A proposito di sette camicie.
Parecchi anni fa è stato effettuato uno studio in Giappone, che riguardava il
rapporto cliente-fornitore. Da questo studio emerse che se il fornitore tradiva
la fiducia del cliente, doveva fare uno sforzo circa sette volte superiore a quel-
lo necessario per mantenere la sua fiducia. Morale dello studio: mai perdere la
fiducia del cliente/professore.
19 K AHNEMAN , Pensieri lenti e veloci [13], pp. 92-95.
3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 49

Immagino l’obiezione. Il professore è pagato per essere obiettivo, non per dare
la fiducia a chi gli pare. Ma certamente. Il problema è che l’effetto alone è
subdolo: non è facile identificarlo e anche dopo averlo identificato è molto
difficile ignorarlo del tutto. Appartiene alla categoria delle idee resistenti al
cambiamento, alle quali si è accennato nel paragrafo 3.2.2.1.

3.2.4 Un po’ di convinzione


Avere la faccia di quello che gli è morta la salvia sul terrazzo non aiuta. Non
si può calciare un rigore con l’aria afflitta e rassegnata: non si segnerà mai.
Ogni momento a scuola richiede partecipazione attiva e convinta. Le lezioni
non vengono inflitte, vengono proposte, e sono un momento di crescita, non di
dolore e afflizione. Ma soprattutto lo studente in difficoltà non deve pensare
che il presente sia perpetuo e immutabile.
L’adolescente ricordi che il sua visione del futuro non è ancora del tutto ma-
tura. Spesso a quell’età - ma non solo - c’è la tendenza a “dilatare” il presente,
non immaginando altra situazione di quella che si sta vivendo. Se sto vivendo
un rovescio di fortuna è evidente che il mio futuro sarà buio e desolato da qui
all’eternità (WYSIATI).20 Vale anche il contrario naturalmente. Se sono felice
oggi, perché mai dovrebbe esistere il dolore? In realtà sappiamo tutti che non
è così. Però la particolare sensibilità - è un dono, si badi bene, mica una cro-
ce - del cervello adolescente amplifica e dilata il vissuto fino a rappresentarlo
addirittura deformato.
Quindi le cose cambiano. Anzi, esistono per essere cambiate. Ogni giorno
è un’occasione, ogni lezione è un’occasione. Però, bisogna esserne convinti o
perlomeno indotti a fare un tentativo. Senza contare che un po’ di ottimismo
non guasta. Smile, please.

3.2.5 Cambiare opinione


Il sapere nozionistico di un allievo - di chiunque, naturalmente - potrebbe es-
sere visto come un’immensa cassettiera, divisa in righe e colonne. Quando si
vuole accedere ad un certo sapere, ad esempio la ricetta della torta pasquali-
na, si punta il cassetto identificato dalla colonna AZBGFT e dalla riga 529018
e lo si apre. Qualcuno ha una cassettiera più grande, indice di grande cultura
nozionistica, qualcuno più piccola. I cassetti non sono posti nella cassettiera in
modo casuale, ma strettamente raggruppati per argomenti.
Molti studenti ritengono di non possedere - dal punto di vista scolastico -
una cassettiera degna di tale nome. Normalmente durante le interrogazioni si
chiudono in un mutismo autolesionistico che non rende minimamente onore
al loro sapere. Si rifiutano di aprire i cassetti.
Invece, lo studente farebbe bene a prendere coscienza che la cassettiera esi-
ste e che molti cassetti - oppure pochi, non ha importanza - contengono del
sapere nozionistico. Ciò è inevitabile e fa parte del vissuto di ciascuno di noi.
Forse lo studente fa fatica a sostenere un’interrogazione perché il suo in-
segnante non vuole semplici nozioni, ma ragionamenti oppure semplicemente
un sapere articolato riguardante un determinato argomento. Questo è un po’
più difficile. Come passare dal singolo cassetto al sapere articolato? Si devono
20 Vedi paragrafo 3.1.1.7.
50 CAPITOLO 3. LO STUDENTE

creare delle connessioni fra i cassetti. Si tratta di tirare un immaginario filo fra
un cassetto e un altro. I “geni” sono capaci di connettere fra loro cassetti lon-
tanissimi. Lo studente in difficoltà dovrebbe incominciare a connettere cassetti
vicini fra loro, ovvero appartenenti allo stesso argomento.
Stabilire connessioni fra saperi/cassetti diversi è quello che l’insegnante
chiede ai propri allievi. Questa azione si chiama ragionamento. A volte il ragio-
namento chiede l’apertura di molti cassetti e di molte connessioni, a volte basta
aprire due cassetti vicini e collegarli. L’importante è esercitarsi. Solitamente
l’insegnante fornisce esercizi per imparare ad aprire e connettere i cassetti e
insostituibili, in tal senso, sono gli esercizi di geometria analitica.
Lo studente deve esercitarsi sia attraverso l’esercizio scritto sia a collega-
re mentalmente i propri saperi. Altrimenti fa come quel protagonista della
barzelletta al quale chiedono se sa suonare il violino: “No lo so: non ho mai
provato”.

3.2.6 Le risposte intuitive


Last but not least, le risposte intuitive. Prima di parlarne si vuole riportare un
breve aneddoto. Racconta Howard Gardner21 che è stato chiesto, durante la
cerimonia di laurea, a degli studenti neolaureati di Harvard perché la terra si
scaldi d’estate e si raffreddi d’inverno. La risposta unanime è stata perché la
terra è più vicina al sole. La risposta è chiaramente errata, dato che quando in
Italia è estate, in Argentina è inverno. La risposta corretta è legata all’inclina-
zione dell’asse terrestre che permette ai raggi solari di colpire la terra con an-
golazioni differenti a seconda del periodo dell’anno. Rimane, però, la risposta
errata data dagli studenti. Il commento di Gardner a tali risposte è lapidario:

In realtà, questi studenti sono bravi solo in apparenza. Ricevono buoni


voti alle scuole superiori o all’università e riescono bene negli esami con-
venzionali, ma quando li si valuta al di fuori del contesto scolastico, spesso
la loro preparazione si rivela inconsistente. E la loro ignoranza non si limi-
ta ai fenomeni dell’astronomia: è dimostrato che si estende ai programmi
di tutte le discipline.

Come vengono elaborate simili risposte? Daniel Kahneman22 sostiene che


di fronte ad una domanda di cui non conosce la risposta né l’approccio per
affrontarla, lo studente sostituisce inconsciamente la domanda originale23 con
una domanda euristica, ossia più semplice. Così, invece che affrontare il pro-
blema delle stagioni, si elabora una possibile risposta sulle orbite ellittiche. La
sostituzione non è volontaria ma inconscia ed è operata dal sistema limbico a
danno del lobo frontale del cervello.24
Ciò avviene perché lo studente si sente sotto stress quando deve affrontare
un problema di cui non conosce la soluzione ed in tali condizioni il sistema

21 G ARDNER , Cambiare idee. L’arte e la scienza della persuasione. [8], p. 65.


22 Daniel Kahneman, psicologo israeliano, ha ricevuto il premio Nobel per l’Economia nel 2002,
per i suoi studi sulle decisioni prese in condizioni di incertezza.
23 Kahneman chiama la domanda originale domanda bersaglio (target question).
24 K AHNEMAN , Pensieri lenti e veloci [13], pp. 109-112.
3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 51

limbico25 “sequestra” letteralmente il cervello impedendo al lobo frontale di


affrontare il problema razionalmente e logicamente.
Quello che lo studente dovrebbe fare è non rispondere frettolosamente as-
secondando l’intuito, ma aspettare qualche secondo e utilizzare razionalmente
le conoscenze - poche o tante che siano, non ha importanza - acquisite durante
la propria carriera scolastica. Purtroppo una tale pratica richiede allenamento
e fiducia nel proprio sapere: due condizioni che molti studenti non sono dispo-
sti a considerare. Lo studente deve però sapere che alimentare l’intuito condu-
ce inesorabilmente alla “preparazione inconsistente” di cui parlava Gardner a
pag. 50.

Recentemente un piccolo gruppo di docenti del nostro Istituto è stato coin-


volto dall’INDIRE e dalla Harvard Graduate School of Education per affrontare
la questione della motivazione allo studio. In maniera indiretta è stata affronta-
ta anche la questione del pensiero associativo e delle risposte euristiche, per cui
si rimanda alla documentazione che verrà resa pubblica alla fine del presente
anno scolastico per un approfondimento che funga da appendice al presente
opuscolo.
Il problema, comunque, è stato affrontato professionalmente da moltissimi
scienziati e ricercatori ed è stato divulgato da molti libri e pubblicazioni: al-
cune opere divulgative possono essere particolarmente utili a comprendere il
fenomeno e a porvi rimedio. Se ne consiglia la lettura.26

25 Parlare di lobo frontale deputato ad affrontare i problemi in maniera logica e di sistema limbico

deputato ad affrontarli emozionalmente è una grossolana semplificazione: non c’è modo di evitarla
parlando dell’argomento in poche righe.
26 Due libri sono particolarmente illuminanti: K AHNEMAN , Pensieri lenti e veloci [13] e G ARDNER ,

The Unschooled Mind - How Children Think and How Schools Should Teach [10].
Capitolo 4

Conclusioni

L’adolescenza è una grande opportunità. È un’occasione che nessun adolescen-


te deve lasciarsi scappare. È un’occasione anche per i genitori. Se necessario, il
nostro modo di educare va rivisto e si è cercato, umilmente e sulla base degli
anni spesi a lavorare con i giovani, di spiegare come.
Naturalmente il genitore non distratto tutte queste cose le sapeva già. Ma-
gari non sapeva che quella tal cosa si chiama picco di reminiscenza o effetto alone,
ma cosa importa? Non dobbiamo mica tenere conferenze di Psicologia.
Dobbiamo aiutare un adolescente a crescere armoniosamente durante un
periodo in cui sono frequenti le tempeste e i cambiamenti. Alcune tempeste sa-
ranno delle semplici pioggerelline, mentre altri cambiamenti non ci piaceranno
per nulla. Anche in questo caso, se i cambiamenti non saranno “pericolosi”,
sarà saggio essere pazienti.
Certo, è compito del genitore - e in minor misura del docente - sorvegliare
l’adolescente e intervenire senza esitazioni quando il gioco si fa pericoloso. Ma
nei restanti casi l’azione di genitori e insegnanti è svolta quasi nell’ombra. I
protagonisti della loro vita sono loro, i nostri ragazzi. Vanno aiutati con discre-
zione, sensibilità e amore perché a volte si complicano la vita da soli. Ma non
servono azioni eroiche: basta organizzare un po’ lo stesso lavoro che genitori e
figli già fanno da anni.

Bello sarebbe insegnare ai giovani ad avvicinarsi alla cultura come lo fa


Dante nel quarto canto dell’Inferno:

Venimmo al piè d’un nobile castello,


sette volte cerchiato d’alte mura,
difeso intorno d’un bel fiumicello.
Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di fresca verdura.

53
54 CAPITOLO 4. CONCLUSIONI

Il castello rappresenta la cultura, la conoscenza che eleva l’uomo. Il fiu-


micello rappresenta l’ostacolo che si frappone fra l’uomo e la cultura. Dante,
insieme ai savi - Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e naturalmente Virgilio - passa
il fiumicello come se fosse “terra dura”, calpestando letteralmente le difficoltà
che si frappongono fra lui e la conoscenza.
L’augurio mio è che i giovani possano avvicinarsi al sapere nel medesimo
modo in cui lo ha fatto Dante.

Buon lavoro a tutti.


Bibliografia

[1] Andreoli Vittorino, Lettera a un adolescente, Rizzoli, 2004

[2] Andreoli Vittorino, Lettera a un insegnante, Rizzoli, 2006

[3] Aristotele, Etica Nicomachea, Editori Laterza, 1999

[4] Baunman Zygmunt, Le sfide all’istruzione nella modernità liquida, Padova


University Press, 2011

[5] Descartes René, Discorso sul metodo, Casa Editrice La Scuola, 2003

[6] Descartes René, Regole per la guida dell’intelligenza, Editrice Fabbri, 2006

[7] Galli Gianfranco, Manuale dello studente professionista, Dario De Bastiani


Editore, 2012

[8] Gardner Howard, Cambiare idee. L’arte e la scienza della persuasione.,


Feltrinelli, 2011

[9] Gardner Howard, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza,


Feltrinelli, 2002

[10] Gardner Howard, The Unschooled Mind - How Children Think and How
Schools Should Teach, Basic Books, 1995

[11] Goleman Daniel, Intelligenza emotiva, Rizzoli, 1996

[12] Halliday David, Resnick Robert, Walker Jearl, Fondamenti di Fisica, Casa
Editrice Ambrosiana, 2007

[13] Kahneman Daniel, Pensieri lenti e veloci, Mondadori, 2014

[14] McGilchrist Iain, The Master and his Emissary, Yale University Press, 2012

[15] Platone, Gorgia, Editori Laterza, 1997

[16] Polito Mario, Guida allo studio: la Motivazione, Muzzio Editore, 1997

[17] Savater Fernando, Etica per un figlio, Edizioni Laterza, 1992

[18] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria editrice fiorentina,


1976

[19] Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, Edizioni Laterza, 1999

55
56 BIBLIOGRAFIA

[20] Steinberg Laurence, Il cervello adolescente, supplemento a “Le Scienze” di


settembre 2015, Codice Edizioni
si trova in libreria con il titolo Adolescenti. L’età delle opportunità, Codice
Edizioni, 2015

[21] Steinberg Laurence, The 10 Basic Principles of Good Parenting, Simon &
Schuster, 2004

[22] Zagrebelsky Gustavo, Imparare democrazia, Einaudi, 2007

Sitografia

[23] Buffer Open, The Science of Taking Breaks at Work, visitato in data
25/09/2015 e consultabile al sito
https://open.bufferapp.com/science-taking-breaks-at-work/

[24] MIUR-URP, Obbligo scolastico, visitato in data 19/09/2015 e consultabile al


sito
http://www.istruzione.it/urp/obbligo_scolastico.shtml

[25] L’Huffington Post, 10 abitudini da abbandonare per migliorare la produttività


del tuo lavoro, visitato in data 25/09/2015 e consultabile al sito
http://www.huffingtonpost.it/2015/04/15/abitudini-abbandonare-
produttivita_n_7069180.html

[26] Gardner Howard, Cracking Open the IQ Box, visitato in data 08/10/2015 e
consultabile al sito
http://prospect.org/article/cracking-open-iq-box

Articoli

[27] Ariga Atsunori, Lleras Alejandro, Brief and rare mental “breaks” keep you
focused: Deactivation and reactivation of task goals preempt vigilance decrements.,
2011, Cognition

[28] Barrick Murray, Mount Michael, The Big Five Personality Dimensions and
Job Performance: A Meta-Analysis, 1991, Personnel Psychology

[29] Billari Francesco, Tabellini Guido, Italians are Late: Does it Matter?, 2008,
National Bureau of Economic Research
BIBLIOGRAFIA 57

[30] Carpenter Shana, Spacing and interleaving of study and practice, American
Psychological Association, 2014

[31] B. J. Casey B. J., Caudle Kristina, The Teenage Brain: Self Control

[32] McCrae Robert, Costa Paul, The Five-Factor Theory of Personality

[33] Duckworth Angela, Grit: Perseverance and Passion for Long-Term Goals

[34] EQF, Primo rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al quadro


europeo EQF

[35] Finn Amy, When it hurts (and helps) to try: the role of effort in language
learning, PLOS ONE Vol. 9 Issue 7 July 2014

[36] Gobet Fernand et al., Chunking mechanisms in human learning, Trends in


Cognitive Sciences, Vol. 5 No. 6, June 2001

[37] Howard Darlene, Howard James, When it does hurt to try: Adult age dif-
ferences in the effect of instructions on implicit pattern learning., Psychonomic
Bulletin & Review, 2001

[38] Dati ISTAT 2014, Generazioni a confronto - Come cambiano i per-


corsi verso la vita adulta, 2014, Istituto Nazionale di Statistica
http://www.istat.it/it/files/2014/09/Generazioni-a-confronto.pdf

[39] Janssen Steve, Chessa Antonio, Murre Jaap, The reminiscence bump in
autobiographical memory: Effects of age, gender, education and culture

[40] Jaušovec Norbert, Jaušovec Ksenija, Gerlič Ivan, The influence of Mo-
zart’s music on brain activity in the process of learning, 2006, Clinical
Neurophysiology 117

[41] Karpicke Jeffrey, Retrieval-based learning: Active retrieval promotes


meaningful learning, Association for Psychological Science, 2012

[42] Karpicke Jeffrey, Retrieval practice produces more learning than elaborative
studing with concept mapping, Science, Vol. 331, February 2011

[43] Lyons Ian, Beilock Sian, When Math Hurts: Math Anxiety Predicts Pain
Network Activation in Anticipation of Doing Math, PLoS ONE, 2012

[44] Stefano Mazzucco, Letizia Mencarini, Rosella Rettaroli, Similarities and dif-
ferences between two cohorts of young adults in Italy, 2006, Max Planck Institute
for Demographic Research

[45] Neisser Ulric et al., Intelligence: Knowns and Unknowns, 1996, American
Psychologist

[46] OECD (2014), Education at a Glance 2014: OECD Indicators

[47] Pleger Burkhard, Ruff Christian, Blankenburg Felix, Klöppel Stefan, Dri-
ver Jon, Dolan Raymond, Influence of Dopaminergically Mediated Reward on
Somatosensory Decision-Making
58 BIBLIOGRAFIA

[48] Rauscher Frances, Shaw Gordon, Levine Linda, Ky Katherine, Wright


Eric, Music and Spatial Task Performance: A causal Relationship

[49] Roediger Henry, The critical role of retrieval practice in long-term retention,
Trends in Cognitive Sciences, Vol. 15, No 1, January 2011
[50] Schellenberg Glenn, Hallam Susan, Music listening and cognitive abilities in
10- and 11-year-olds: The Blur effect

Potrebbero piacerti anche