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dello studio
Versione 0v24
Dicembre 2017
Santino Bandiziol
CC Organizzazione dello studio, 2015-2017
Santino Bandiziol
Indice i
Introduzione iii
2 La famiglia 9
2.1 Absit iniuria verbis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
2.2 Un unico obiettivo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.2.1 Sì, un unico obiettivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.2.2 Dal fine al mezzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
2.2.3 L’atteggiamento della scuola e della famiglia . . . . . . . 14
2.3 Come può la famiglia aiutare il proprio figlio? . . . . . . . . . . 16
2.3.1 Io alla tua età... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
2.3.2 Ma ragiona, per favore! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
2.3.3 La pazienza della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
2.3.4 L’esempio della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
2.4 Qualche consiglio pratico per la famiglia . . . . . . . . . . . . . . 20
2.4.1 L’organizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.4.1.1 Il cellulare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.4.1.2 Il PC per studiare . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.4.1.3 La musica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.4.1.4 Cattivi appunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2.4.1.5 Mancato controllo . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2.4.1.6 Le ore dedicate allo studio . . . . . . . . . . . . 24
2.4.1.7 Il colloquio con i professori . . . . . . . . . . . . 24
2.4.1.8 Altre cattive abitudini . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.4.2 La pianificazione temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.4.2.1 Usare un calendario . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.4.2.2 “Mamma, oggi non mangio: devo studiare elet-
tronica” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.4.2.3 Ansia e panico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
i
ii INDICE
3 Lo studente 35
3.1 Il Vero Studente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
3.1.1 Qualche consiglio pratico allo studente . . . . . . . . . . 36
3.1.1.1 Il Vero Studente inizia a studiare due-tre giorni
prima della verifica . . . . . . . . . . . . . . . . 37
3.1.1.2 Il Vero Studente non sta mai attento a lezione . 38
3.1.1.3 Il Vero Studente non studia subito il nuovo ar-
gomento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
3.1.1.4 Il Vero Studente non sta mai attento durante le
interrogazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
3.1.1.5 Il Vero Studente non prepara argomenti a piacere 39
3.1.1.6 Il Vero Studente cerca di fare meno esercizi che
può . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
3.1.1.7 Il Vero Studente non crede nelle proprie capacità 40
3.1.1.8 Il Vero Studente non vede l’utilità dell’istruzione 41
3.1.1.9 Il Vero Studente risponde in maniera intuitiva . 42
3.1.1.10 Il Vero Studente non chiede mai nulla al profes-
sore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
3.2 Qualche consiglio teorico allo studente . . . . . . . . . . . . . . . 42
3.2.1 Lo studio diluito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.2.1.1 I ritmi forzati non funzionano . . . . . . . . . . 43
3.2.1.2 La memorizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3.2.1.3 La comprensione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3.2.2 La partecipazione passiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
3.2.2.1 La resistenza al cambiamento . . . . . . . . . . 45
3.2.2.2 I comportamenti più diffusi . . . . . . . . . . . 46
3.2.2.3 Il posto in aula . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
3.2.2.4 Chiedere chiarimenti . . . . . . . . . . . . . . . 47
3.2.3 La partecipazione attiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
3.2.3.1 L’effetto alone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
3.2.4 Un po’ di convinzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
3.2.5 Cambiare opinione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
3.2.6 Le risposte intuitive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
4 Conclusioni 53
Bibliografia 55
Introduzione
Soltanto i giovani hanno momenti del genere. Non dico i più giovani.
No. Quando si è molto giovani, a dirla esatta, non vi sono momenti. È
privilegio della prima gioventù vivere d’anticipo sul tempo a venire, in
un flusso ininterrotto di belle speranze che non conosce soste o attimi di
riflessione.
Ci si chiude alle spalle il cancelletto dell’infanzia, e si entra in un giar-
dino di incanti. Persino la penombra qui brilla di promesse. A ogni svolta
il sentiero ha le sue seduzioni. E non perché sia questo un paese inesplo-
rato. Lo sappiamo bene che l’umanità tutta è passata di lì. È piuttosto
l’incanto dell’universale esperienza, da cui ci aspettiamo emozioni non
ordinarie o personali, qualcosa che sia solo nostro.
La linea d’ombra - Joseph Conrad
Si usa dire che fare il genitore sia il mestiere più difficile del mondo. A raf-
forzare tale pensiero popolare ci pensa una società liquida quanto mai complessa
e un digital gap generazionale che fino a qualche decennio fa nemmeno esiste-
va. Fare il genitore oggi è probabilmente parecchio più difficile di trent’anni
fa.
Nemmeno fare lo studente adolescente è, però, un mestiere semplice. La
scuola superiore può rappresentare per molti giovani il primo vero, a volte
insuperabile, problema della loro vita. E poi c’è l’ignoto. Si studia, ma in-
tanto si pensa se servirà a qualcosa. Certamente non si può dire che una tale
prospettiva sia incoraggiante.
Nel mezzo ci siamo noi insegnanti che vorremmo, e probabilmente po-
tremmo, aiutare gli uni e gli altri, ma che gli stereotipi sociali dipingono come
operanti nella scuola con strumenti spuntati e obsoleti.
Eppure questi stereotipi a volte si infrangono contro la passione, quella au-
tentica, dell’insegnamento, che riconduce il rapporto docente-discente a quello
che dovrebbe essere: un incessante fluire della conoscenza da una generazione
all’altra, in un rito che confina con l’affabulazione. Mi si consenta un ricordo
che meglio di qualsiasi altra cosa illustra quanto detto.
Il ricordo riguarda il mio primo incontro con la professoressa di Storia e
Letteratura Italiana del terzo corso di Elettronica Industriale all’allora ITI “A.
iii
iv INTRODUZIONE
Dunque che fare? Aspettare una circolare ministeriale che esortasse a con-
siderare i progressi della scienza? Lavarsene le mani ributtando la palla agli
studenti, magari dicendo loro di studiare di più?
La domanda l’ho posta direttamente a Laurence Steinberg, prima di una
conferenza avente per tema l’adolescenza. La risposta esortava ad aggior-
narsi costantemente e seriamente e a mettere in opera quanto appreso, senza
esitazioni.
Alla fine la decisione presa ha dato vita alle presenti pagine, nelle quali
si parla di scuola, di famiglie e di adolescenti. Non è un trattato su come si
educa un giovane - non mi permetterei mai - ma un tentativo di creare un
ponte fra scuola e famiglie che permetta di migliorare e rendere più efficienti
i rapporti fra i due mondi. Chiedo comunque umilmente perdono in anticipo
per eventuali, non volute, invasioni di campo.
Data la natura di queste pagine è molto probabile che in esse si possano leg-
gere delle stupidaggini sesquipedali o semplicemente frasi che urtino la pro-
pria sensibilità. In entrambi i casi sono graditi i commenti e/o le segnalazioni
d’errore, che possono essere notificati a
bandiziol@katamail.com
Grazie.
Santino Bandiziol
Capitolo 1
1
2 CAPITOLO 1. IL MONDO DELLA SCUOLA
“Penso che noi tutti potremmo convenire, senza ulteriori indugi, che
la missione dell’istruzione, sin da quando essa fu formulata dagli Antichi
con il nome di paidèia, era, rimane e probabilmente continuerà a rimanere
quella di preparare i giovani alla vita. Se così è, allora l’istruzione, inclusa
l’istruzione universitaria, si trova ora ad affrontare la crisi più profonda
e critica nella sua storia così ricca di momenti difficili: una crisi che col-
pisce non soltanto una specifica consuetudine ereditata o acquisita, ma la
sua vera raison d’etre. Ora ci si attende che i giovani siano preparati a
vivere in un mondo che - in pratica, ancorché non in teoria - rende nulla e
vuota l’idea stessa "dell’essere preparato" - ovvero, adeguatamente quali-
ficato e specializzato, e non colto di sorpresa dagli eventi e dalle tendenze
mutevoli.”1
Ma funzionava una scuola del genere? Sotto molti aspetti sì. Aveva il gran
pregio di indurre gli studenti a studiare, anche se il metodo usato prevedeva
forme arcaiche di terrorismo. Si aggiunga a ciò che, ad esempio nella sezione
Elettronica, la bocciatura in classe terza implicava in quegli anni l’impossibilità,
per regolamento interno, della reiscrizione, per cui si era costretti ad “emigra-
re” in Elettrotecnica. Certo, una simile scuola aveva anche il non trascurabile
difetto di essere un po’ tirannica.
Poi vennero i decreti delegati che portarono una ventata di democrazia. Ec-
co, il “passaggio non ancora perfettamente compiuto” di cui si parlava poc’an-
zi è proprio quello dalla scuola “vecchio stampo” a una più moderna e più
democratica.
La domanda nasce spontanea: in che senso il passaggio non è ancora com-
piuto? Si può ragionevolmente sostenere che la scuola oggidì è luogo perfet-
tamente democratico, se si guarda ad essa con pratica oggettività. Per grandi
linee si può essere d’accordo. Quello che manca, ancora, è l’applicazione di
una delle peculiarità delle democrazie: la cura dell’individuo.5 La tirannìa
parla alle masse, ai sudditi; la democrazia parla agli individui, ai cittadini.
Questo punto di vista è meravigliosamente sostenuto da uno dei maggiori
Costituzionalisti italiani:
4 “Forza Malignani” numero di giungo 1961.
5 Z AGREBELSKY ,Imparare democrazia [22], pp, 18-21.
6 CAPITOLO 1. IL MONDO DELLA SCUOLA
ora in quiescenza.
7 Potrebbe essere interessante sapere se sono abbonati a riviste di automobili.
1.3. L’ALLEANZA SCUOLA-FAMIGLIA-STUDENTE 7
La famiglia
Gorgia - Platone
La famiglia deve essere protagonista attiva nel mondo della scuola. Deve es-
sere presente attivamente nei singoli organismi sempre, come già detto, nel ri-
spetto dei rispettivi ruoli. Quest’ultimo aspetto è estremamente delicato, dato
che succede frequentemente che le famiglie abbiano qualcosa da dire a propo-
sito della didattica praticata in una determinata materia, come pure succede
che il corpo docente abbia da obiettare, talvolta, sull’educazione dei discenti.
Sembrano essere due invasioni di campo, in un senso e nell’altro. Che fare?
9
10 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA
figlio: entrambi i genitori sono d’accordo nel dire che è giusto e sacrosanto edu-
care bene i figli, ma poi litigano fra loro su come applicare sul campo questa
sublime massima.
Anche le famiglie e gli insegnanti sono d’accordo nell’affermare che è giusto
e sacrosanto educare alla cultura i giovani, insegnando loro la matematica, la
storia, l’elettronica e quant’altro. L’eventuale disaccordo nasce dopo, quando
si mettono in pratica i sani princìpi. Per questo è importante discutere insie-
me e rendersi vicendevolmente edotti sui rispettivi punti di vista. Pacatamen-
te, educatamente e nel rispetto dei rispettivi ruoli, come il titolo della sezione
suggerisce.1
Come ricorda la citazione a inizio capitolo, è più importante, durante una
discussione, ammettere un proprio torto piuttosto che affermare la propria ra-
gione. Chi afferma la propria ragione - essendo nel giusto - fa crescere gli
altri, chi ammette un proprio torto, cresce. La qual cosa è molto più impor-
tante e difficile. Questo però deve essere lo spirito che anima le discussioni
docenti-famiglie e ciò dovrà essere sempre tenuto a mente da entrambi.
alterata di una frase di Tito Livio, che risulta originariamente absit invidia verbo, cioè “sia lontana
l’ostilità dalla (mia) parola” (Ab Urbe condita, IX, 19, 15).
Il senso, in realtà, non muta di molto. In entrambi i casi, si sottolinea che il pensiero di chi parla
esprime (o vorrebbe esprimere) un concetto obiettivo, non fraintendibile o interpretabile da chi
ascolta, e soprattutto non offensivo nei suoi confronti. Ovvero, un’espressione attenuativa con la
quale, normalmente, si accompagnano dichiarazioni che potrebbero apparire offensive, ma dette
con franchezza e per amore di verità, o per riferire un giudizio dato da altri.
Tratto da: wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Absit_iniuria_verbis
2.2. UN UNICO OBIETTIVO? 11
degli effetti che vanno oltre, che non erano previsti, che risentono delle sin-
gole personalità e storie. Possono generare ferite che lasciano un segno per
sempre, provocare reazioni di abbandono che attivano la colpa oltre la mi-
sura che si voleva attivare per un comportamento specifico. La punizione
può venire vissuta come rifiuto della propria persona, del proprio esistere
e quindi essere letta come una condanna esistenziale totale.
Questa è la estensione, certo non voluta, di fronte a una bocciatura.
Nell’intento dell’insegnante o del consiglio dei docenti2 si voleva stimo-
lare l’allievo a ricominciare bene un anno, metterlo in condizioni di van-
taggio rispetto ai nuovi compagni e quindi nella possibilità di godere di
gratificazioni che nel corso dell’anno precedente non c’erano state. Invece
quell’allievo ha vissuto la bocciatura come un rifiuto esistenziale e lo ha
caricato di un giudizio globale, quello di non valere nulla e quindi di non
poter nemmeno vivere.
Al significato dato alla bocciatura da parte della scuola, si aggiunge poi
quello della famiglia. Il mancato risultato come insensibilità per i sacrifici
compiuti, il dolore dato a un padre che sta male.
Quel giudizio diventa un giudizio di Dio, e una bocciatura, una cata-
strofe della vita.
Lo so che non era questa l’intenzione di quel provvedimento, ma di
fatto questo è accaduto.3
Sulla cultura, ahimè, non c’è sempre unicità di vedute. Non più tardi di
qualche anno fa un Ministro della Repubblica Italiana ha proclamato in TV che
“con la cultura non si mangia”, affermazione che si preferisce non commentare.
Si preferisce, quindi, andare per gradi.
Sicuramente si può convenire che si deve perseguire il bene dell’adolescente,
ossia metterlo nelle condizioni di affrontare serenamente e con mezzi appro-
priati le sfide che il futuro gli riserva. E si può anche convenire che le sfide
di oggi non sono certo quelle di ieri. Cinquantamila anni fa era sicuramen-
te molto importante possedere un buon udito e una buona vista, in modo da
poter rilevare prima possibile un eventuale pericolo. Altrettanto sicuramente
era importante saper correre veloce e saper lanciare con precisione i sassi. Ma
nel 2017, personalmente, eviterei di compilare la voce “Capacità e competenze
tecniche” del proprio Curriculum Vitae scrivendo “Ottimo lanciatore di sassi”.
Lo stesso ragionamento vale anche per un passato meno remoto. Trent’anni
fa era meno importante conoscere le lingue. Per comprenderne l’importanza
era necessario andare all’estero. Oggi non si può nemmeno prendere in mano
il telecomando della TV o navigare in Internet senza trovare delle scritte in
inglese.
Trent’anni fa l’obbligo scolastico si estendeva fino alla terza media e il con-
cetto di obbligo formativo nemmeno esisteva. Oggi, l’obbligo scolastico si esten-
de per almeno 10 anni - quindi almeno fino al compimento del sedicesimo anno
di età - e l’obbligo formativo fino al compimento del diciottesimo anno di età.5
La scuola è molto più importante per gli studenti di oggi di quanto non
lo fosse allora per i loro genitori. La scuola italiana odierna è “misurata” se-
condo parametri europei definiti nell’EQF (European Qualification Frameworks).
Nel primo rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al quadro
europeo EQF del 2012 si legge:6
Si è detto che i mezzi educativi utilizzati dalle famiglie e dalla scuola sono
sostanzialmente diversi. Si è anche detto che ciò è sostanzialmente dovuto
ad un rapporto familiare più intenso di quello scolastico, che permette legami
umani, nel primo caso, molto più stretti e nel secondo caso indubbiamente più
freddi. È giusto che sia così. La scuola non può essere una caricatura della
famiglia, ma deve fornire un servizio di alto livello.
Volendo coniare degli slogan un po’ frettolosi e pressappochisti, si potrebbe
dire che la famiglia utilizza mezzi che potrebbero essere catalogati come “ma-
terni” e la scuola mezzi più “paterni”. La famiglia offre un nido caldo al figlio,
mentre la scuola ha verso lo studente un atteggiamento più severo.
Anche fin qui sembra tutto ragionevole. Il problema reale consiste nel de-
finire quando il livello di severità della scuola può dirsi ragionevole, norma-
le, sensato, umanamente accettabile e condivisibile dalle famiglie e dagli stu-
denti. Analogamente è necessario definire quando un eventuale atteggiamen-
to consolatorio da parte della famiglia può dirsi ragionevole, normale, sensato,
umanamente accettabile e non diventare controproducente per l’azione edu-
catrice della scuola. I rispettivi atteggiamenti vanno sicuramente analizzati e
discussi, l’importante è che non si invertano: la famiglia continui ad essere
“consolatoria” e la scuola “severa”.
cri studenti, diventati poi genitori esigenti (e prudentemente silenti riguardo al loro trascorso
scolastico).
8 M AZZUCCO , M ENCARINI , R ETTAROLI , Similarities and differences between two cohorts of young
adults in Italy [44], pp. 108-109, B ILLARI , TABELLINI, Italians are Late: Does it Matter? [29], p. 2 e
S TEINBERG, Il cervello adolescente [20], p. 14, solo per citarne alcuni.
9 Tale stima è valida per gli Stati Uniti, dove l’abbandono della famiglia di origine avviene
Sessant’anni fa, molti ventenni friulani, al termine del servizio militare emi-
gravano in Svizzera, Germania, Belgio, Francia, ecc. in cerca di lavoro e di
fortuna, guadagnandosi in tal modo l’indipendenza economica ma anche ac-
collandosi nuove responsabilità e fronteggiando nuovi problemi.
Oggidì, la mancanza di lavoro e il prolungamento del periodo di studi han-
no fatto sì che si ritardasse anche l’assunzione di responsabilità dei giovani con
conseguente posticipo dell’entrata nella vita adulta. I maschi nati alla fine de-
gli anni quaranta trovavano lavoro all’età media di 18 anni, mentre i nati alla
fine degli anni ottanta trovavano il loro primo impiego all’età media di oltre 21
anni.10
Non tenere conto di questi fenomeni significa rinunciare a capire il mondo
degli adolescenti e non poterli aiutare efficacemente.
2.4.1 L’organizzazione
Studiare in maniera organizzata significa studiare meglio e di meno. Ma prima
ancora che organizzato, lo studio dovrebbe essere piacevole. Sarebbe quindi
utile che i genitori “proteggessero” il figlio che studia da distrazioni, chiasso,
interruzioni, false credenze, cattive abitudini e tutto quanto possa rallentare
lo studio. Gli errori organizzativi che lo studente compie più frequentemente
sono i seguenti.
2.4.1.1 Il cellulare
Si scrive cellulare, ma si pronuncia PC, tablet, notepad, ecc., ossia tutto quanto
possa metterci in contatto con il cosiddetto “mondo esterno”. Il genitore fa-
rebbe bene a spiegare al proprio figlio che il cellulare acceso durante lo studio
impedisce lo studio stesso. Oggidì i ragazzi sono “connessi” in una vasta rete
di relazioni sociali attraverso Whatsapp, Facebook, Twitter, Instagram e via di-
scorrendo. Il mezzo usato per formare la rete è il gruppo, e l’adolescente tipo
è connesso costantemente a decine di gruppi. Il risultato che ne deriva è che
lo studio verrà interrotto immediatamente dopo 2-3 minuti. Il ragazzo prende-
rà in mano il cellulare per verificare se il messaggio è diretto a lui oppure no.
Spesso constaterà che il messaggio era di tipo generale o indirizzato ad altri e
non risponderà neppure, ma ormai la frittata è fatta. La concentrazione è stata
distolta.
Lo studente riprenderà in mano il libro per altri 2-3 minuti finché il cellulare
non ronzerà di nuovo14 e così via all’infinito. Uno studio del genere non serve a
nulla. Conviene studiare per mezz’ora, andare in cucina dove c’è sia il cellulare
che la mamma - donna riservata che mai toccherebbe il telefonino del figlio per
sbirciare i messaggini - e rispondere ai messaggi arrivati in quel lasso di tempo
prima di tornare a studiare.
14 Ovviamente il ragazzo è sufficientemente intelligente da evitare di impostare la V di Beethoven
come suoneria: la sentirebbe tutto il palazzo, oltre che mamma e papà. Ah, a proposito. Come mai
vostro figlio non vi risponde mai al cellulare? Semplice: non è per cattiveria, è l’abitudine a tenere
la suoneria spenta.
2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 21
2.4.1.3 La musica
Altra leggenda metropolitana è che la musica aiuta la concentrazione durante
lo studio, per cui lo studente ritiene utile15 ascoltare musica con le cuffiette
mentre studia. Anche in questo caso è bene fare un po’ di chiarezza.
Nell’ottobre del 1993 due fisici, Frances Rauscher e Gordon Shaw, pub-
blicarono uno studio preliminare sulla rivista Nature nel quale sostenevano
che l’ascolto del primo movimento della Sonata in re maggiore per due pianoforti
KW448 di Wolfgang Amedeus Mozart produceva, in un gruppo di adolescenti,
un temporaneo aumento di alcune capacità cognitive - più precisamente della
sola intelligenza spazio-temporale - dopo l’ascolto. L’effetto durava circa 10-15
minuti.
Lo studio venne presentato meno di un anno dopo, nell’agosto del 1994,
all’annuale meeting dell’American Psychological Association col titolo “Music
and spatial task performance: a causal relationship” e pubblicato dall’istituto
governativo ERIC.16 . In esso il gruppo ampliò la ricerca formulando l’ipotesi
che lo studio della musica potesse avere effetti a più lunga durata, in particolare
sui bambini con corteccia cerebrale ancora in via di maturazione.
Lo studio destò molto scalpore e venne addirittura contestato da parte del-
la comunità scientifica perché non perfettamente riproducibile. In realtà ven-
ne parzialmente frainteso e comunque ebbe il merito di scatenare una vera e
propria “corsa alla musica”.
Ad esempio, nel 2006, un gruppo di ricerca capitanato dallo sloveno Nor-
bert Jaušovec confermò lo studio di Rauscher e Shaw, aggiungendo che Mo-
15 In realtà non lo ritiene “utile”, lo ritiene divertente. Ma questo non lo può dire.
16 R AUSCHER , S HAW, L EVINE , K Y, W RIGHT, Music and spatial task performance: a causal
relationship [48], pp. 2-7
22 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA
Non esistono tempi standard per tutti gli studenti. C’è chi necessita di maggior
studio e chi di meno. Facendo di tutte le erbe un fascio si può tentare di affer-
mare che, grossolanamente, il 95% degli studenti di scuola superiore farebbe
bene a non scendere mai sotto le 1-2 ore di studio casalingo al giorno e che un
buon 50% degli studenti farebbe bene a non scendere mai sotto le 3-4 ore di
studio casalingo giornaliero. La domenica può sempre, salvo casi eccezionali,
essere considerata giorno di riposo.
Si danno i predetti numeri non per contraddizione con quanto detto nella
sezione 1.1.1 a pagina 3, ma per non esercitare uno dei difetti tipici degli in-
segnanti, che spesso chiedono ai loro studenti di “studiare tanto”, trovando la
classe totalmente d’accordo. Il problema è che per molti studenti, 30’ di studio
è già tanto. Conviene dare quindi delle indicazioni temporali assolute e non
relative. È un po’ più brutale, ma è anche molto più chiaro.
Sull’argomento si tornerà, comunque, nel capitolo dedicato allo studente.
Gli studenti i cui genitori prendono parte attivamente alla vita scola-
stica hanno un rendimento migliore.
Non ci sono questioni più stucchevoli per un insegnante delle succitate domande e, per contro,
non c’è nulla di più angosciante per un genitore del sapere di avere un figlio “un po’ lento”.
23 G OLEMAN , Intelligenza emotiva [11], pp. 53-54.
2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 29
Dopo essersi trasferito in una scuola privata, Jason si diplomò due anni
dopo fra i migliori. Seguendo corsi regolari avrebbe preso un A pieno, con
4.0 di media; ma Jason frequentò un numero sufficiente di corsi avanzati
per diplomarsi con la media di 4.614, meritando quindi più di A.
gere una breve nota. Nel settembre del 2017, l’Istituto “A. Malignani” ha posto in essere una
collaborazione con INDIRE e la Harvard Graduate School of Education, dove nacque Project Zero,
il progetto, tutt’ora attivo, teso a sviluppare nuove strategie didattiche. Howard Gardner è stato
co-direttore di Project Zero per numerosi anni e fa tutt’ora parte del comitato direttivo. Le didatti-
che sviluppate da Project Zero sono attualmente sperimentate nel nostro Istituto e supervisionate
dall’INDIRE e da Mara Krechevsky, ricercatrice di Project Zero.
25 G OLEMAN , Intelligenza emotiva [11], pp. 58-59 e G ARDNER , Formae mentis. Saggio sulla pluralità
dell’intelligenza [9].
26 Ibidem, [11], p. 54.
27 Per coloro i quali sono troppo giovani per saperlo, Christiaan Barnard fu il primo cardiochirur-
go a eseguire il trapianto di cuore. Curiosità: per qualche anno nell’equipe di Barnard c’era anche
un certo Enzo Jannacci.
30 CAPITOLO 2. LA FAMIGLIA
2.4.8 La grinta
Come al solito è bene chiarire i termini. Cosa si intende per “grinta”? Stavolta
prendo la definizione direttamente da una pubblicazione scientifica, anziché
dal dizionario:
28 G ARDNER , Cracking Open the IQ Box [26], p. 5.
29 N EISSER ,
Intelligence: Knowns and Unknowns [45], p. 81.
30 S TEINBERG , Il cervello adolescente [20], pp. 157-164.
2.4. QUALCHE CONSIGLIO PRATICO PER LA FAMIGLIA 31
Non vorrei, però, essere frainteso: non è che tutti i ragazzi che hanno incontra-
to difficoltà alle medie devono per forza mettersi a studiare greco e latino! Il
percorso di studi deve essere scelto con cura, tenendo ampiamente conto delle
inclinazioni manifestate dal ragazzo e dalla sua oggettiva capacità a sostenerlo.
Certamente affrontando anche delle difficoltà, ma non tali da far diventare la
scuola un incubo per lui e per la famiglia.
Non è che attraverso la potatura e la mielinizzazione il ragazzo diventerà
più intelligente: semplicemente farà come quel pianista che attraverso ore e ore
di studio affina la tecnica e migliora la sua capacità di suonare il pianoforte e
interpretare un brano musicale.
Il problema, caso mai, è domandarsi perché fino ad ora il ragazzo non ha
ottenuto risultati brillanti. Se non si individua il granello che inceppa il mec-
canismo, il giovane potrebbe incontrare alle superiori le stesse difficoltà incon-
trate alle medie. Conviene quindi cercare di dare delle risposte oggettive alla
presunta “lentezza” del giovane e a tal fine potrebbe essere utile rileggere lo
scarno elenco di fattori proposto a pagina 30.
E se, effettivamente, mancasse un po’ di grinta al ragazzo? È possibile inter-
venire, in qualità di genitori ed educatori, per migliorare la capacità del ragaz-
zo a essere più coscienzioso, più tenace, più risoluto a perseguire un obiettivo a
lungo termine? È, insomma, possibile “allenare” la capacità di autoregolazione
del giovane?
• essere affettuosi;
• essere risoluti;
• essere incoraggianti.
Lo studente
35
36 CAPITOLO 3. LO STUDENTE
Per poter iniziare questo viaggio introspettivo, dovremo innanzi tutto im-
parare a conoscere uno dei protagonisti delle prossime pagine: il Vero Studen-
te.
Ma, insomma, quali sono questi errori? Su che cosa dovrebbe riflettere lo
studente? Innanzi tutto sul decalogo del Vero Studente. Esso va commentato
insieme, fra docenti e discenti, in modo da far capire allo studente il pericolo
che rappresenta.
3.1.1.1 Il Vero Studente inizia a studiare due-tre giorni prima della verifica
Ovviamente è un errore clamoroso. Per spiegarlo potrebbe essere utile parlare
del concetto di fluidità cognitiva. Siccome, però, il Vero Studente ha la tendenza
a non credere molto alle cose che il professore dice, può essere utile far parlare
un premio Nobel, che ha studiato a fondo come il cervello reagisce in condi-
zioni di stress, in situazioni spesso molto simili a quelle che si presentano a
scuola:2
Le parole già viste in precedenza diventano più facili da vedere di nuo-
vo: le si identifica meglio di altre quando ci vengono mostrate per qualche
istante o quando sono mascherate da rumore, e le si legge più rapidamente
(di alcuni centesimi di secondo). In breve abbiamo maggiore fluidità co-
gnitiva davanti a una parola già vista in precedenza, ed è questo senso di
fluidità che ci dà un’impressione di familiarità.
Pensieri lenti e veloci - Daniel Kahneman
Uno studio diluito nel tempo offre molti vantaggi. Supponiamo per un atti-
mo che il nostro studente debba studiare in previsione di un compito e che un
suo compagno di classe, solitamente piuttosto organizzato, lo abbia avvertito
che non è possibile studiare gli argomenti richiesti per meno di 15 ore. Suppo-
niamo anche che il nostro protagonista convenga che, effettivamente, studiare
meno di 15 ore non serva a nulla. La domanda è: è meglio fare tre “tirate” da
5 ore l’una tre giorni prima della verifica, oppure mezz’ora al giorno per un
mese?
Kahneman e la coppia Ariga-Lleras consigliano certamente la seconda op-
zione. Innanzi tutto perché uno studio “diluito” permette una maggiore fluidità
cognitiva (Kahneman) dopo 1-2 giorni di studio. Dopo qualche giorno i termini
studiati sono diventati familiari e il cervello può concentrarsi più sui concetti
che sulla terminologia. L’ideale sarebbe leggere inizialmente - non studiare - gli
argomenti della verifica. La prima mezz’ora potrebbe essere dedicata ad una
rilassata lettura. Il cervello avrà modo di familiarizzare con la terminologia e
di manifestare minor tensione cognitiva di fronte al puro lessico.
Questo modo di studiare, seguito da ripassi frequenti, veloci e distanziati,
hanno meritato un termine ben preciso: retrieval practice.3
Questo non è, però, l’unico motivo. Fare sessioni di studio troppo lunghe
e ininterrotte non è efficiente (Ariga-Lleras). È noto da qualche decennio che
la curva dell’attenzione diventa calante dopo un breve periodo di tempo. Man
mano che l’attenzione cala, subentra, in maggior misura, un’attività del tut-
to involontaria, ovvero il “sogno ad occhi aperti”, che così frequentemente gli
insegnanti notano nello sguardo assente di quelli allievi che hanno perso l’at-
tenzione alla lezione. La scienza chiama questi sogni ad occhi aperti TUTs,
ossia Task Unrelated Thoughts. Per evitare che le suddette attività involontarie
2 K AHNEMAN , Pensieri lenti e veloci [13], pp. 69-71
3
38 CAPITOLO 3. LO STUDENTE
Perciò non si riesce a capire come mai gli allievi spesso non prestino atten-
zione alle lezioni. È un atteggiamento che va contro gli interessi dell’allievo.
Una possibile spiegazione è data dal goal habituation ipotizzato da Ariga-
Lleras,6 ovvero una specie di assuefazione da attenzione, che va interrotta ogni
5-15 minuti a seconda del grado di stanchezza mentale raggiunta.
Riuscire, per contro, a mantenere alta l’attenzione in classe permetterà allo
studente di risparmiare tempo durante lo studio casalingo.
Infine, una nota etica sul protagonista della storiella. Pierino non imbro-
gliava: i verbi li studiava tutti, ma alcuni benissimo, altri in maniera appena
sufficiente, dimostrando una buona capacità di adattamento all’ambiente. In
fin dei conti perché l’insegnante continuava a chiedere soprattutto quei 40-50
verbi? Perché li riteneva più importanti degli altri ed è assolutamente sensato e
ragionevole studiare meglio le cose importanti e in maniera più superficiale il
resto.
Prendere appunti durante le interrogazioni permette di conoscere in antici-
po le probabili domande del professore, oppure se ha la tendenza a permettere
allo studente di iniziare un’interrogazione con un argomento a piacere. Questa
osservazione ci introduce alla prossima riflessione.
Tutte le presenti pagine vogliono essere un aiuto alle famiglie e allo stu-
dente per ricercare il motivo che porta all’insuccesso scolastico. Magari una
parziale risposta la si potrà trovare a pagina 3, o 19, o 26, tanto per buttare
là dei numeri a caso. Spetta ai protagonisti di questa storia investigare con
obiettività e cercare i motivi che rallentano la crescita.
si danna in una folle corsa per scoprire un antidoto, un vaccino o anche solo un
lenitivo o un palliativo, per salvare l’Italia. Niente da fare: gli italiani sono presi
da una irrefrenabile voglia di studiare, di conoscere, di migliorarsi sul lavoro e in
famiglia. Appena hanno un attimo di tempo leggono e studiano. Non guar-
dano più la televisione - orrore - e vanno nei centri commerciali solo quando
serve qualcosa in casa - tragedia - trovando maggior conforto in una pagina
letta piuttosto che in una cosa inutile comprata. Gli studenti arriverebbero a
casa da scuola dicendo finalmente: “Mamma, mamma, oggi non mangio: de-
vo studiare elettronica.”12 e persino i nostri politici passerebbero più tempo a
studiare.
Cosa succederebbe a una simile Italia nel giro di 5-10 anni, se non si trovas-
se un antidoto in tempo? Sarebbe sicuramente più competitiva e più creativa.
Il mondo del lavoro sarebbe fatto di personale qualificato e istruito, più attento
alla cultura, alla salute, alla sicurezza. I morti sul lavoro crollerebbero e pro-
dotti innovativi verrebbero presentati sul mercato. Diminuirebbero i suicidi e
si allungherebbe la vita media. La delinquenza crollerebbe e la mafia restereb-
be solo un ricordo sui libri di scuola, a monito di cosa era l’Italia quando era
ignorante.
Niente paura! Era solo un gioco. Però, ciascuno di noi, se vuole, può provare
a giocare da solo, modificando, umilmente, il piccolo mondo che lo circonda.
Almeno fino a quando non si troverà un antidoto.
organizzare
[or-ga-niZ-Zà-re] v. tr.
aus. avere
Quale sia il “fine comune” credo sia piuttosto evidente: l’efficacia dello studio,
che si concretizza in un sapere solido, spendibile, duraturo e facente parte
integrante e integrato della persona che lo pratica.
Quali siano i “vari elementi” che costituiscono il suddetto insieme è meno
evidente. Si tratta sicuramente di comportamenti che lo studente deve porre in
essere, ma quali siano non è sempre chiarissimo. I prossimi paragrafi voglio-
no tentare di elencare gli elementi/comportamenti che possono influenzare -
positivamente o negativamente - l’efficacia dello studio.
La tecnica non funziona. Per poter sostenere una simile tesi è però necessario
definire l’obiettivo. L’obiettivo dello studente è prendere la sufficienza. L’o-
biettivo del docente è permettere l’elaborazione di nuove competenze e nuove
conoscenze da parte dello studente.
Per lo studente, solitamente, la discussione si chiude qui, avendo egli già
deciso qual è l’obiettivo da perseguire. Io intendo spendere, invece, ancora
qualche parola. Vanno capite le regole del gioco. Non si può entrare sul campo
da calcio con le pinne, senza far ridere compagni e avversari. Non sono quelle
le regole. Analogamente, la regola da osservare a scuola non è farsi promuove-
re a qualsiasi costo, magari col minimo dei voti. Questo, di solito, non è un pro-
blema: ormai si promuovono tutti, basta insistere. La regola da osservare è un
po’ più complessa: prepararsi alla vita. Professionale, sociale, familiare, fatta
di interazioni e dinamiche complesse e liquide, dove l’unica certezza è l’incer-
tezza e dove bisogna essere preparati a reinventarsi continuamente. Sembrano
parole vuote, ma non lo sono. Sono il paradigma del terzo millennio.
Cosa può fare lo studente? Può migliorare la propria organizzazione. È già
stato detto che piuttosto di studiare 5 ore ogni giorno negli ultimi tre giorni
è meglio studiare mezz’ora per un mese. La differenza fra questi due modi
di studiare è abissale: uno studio lento viene assimilato dal cervello, mentre
uno studio a ritmi forzati non permette alcuna assimilazione. Ma soprattutto
44 CAPITOLO 3. LO STUDENTE
3.2.1.2 La memorizzazione
Come studia/impara un argomento nuovo solitamente lo studente? Lo stu-
dia una prima volta. Dopo un certo tempo lo stesso concetto viene ripassato.
Passato ulteriore tempo lo si ripassa nuovamente e così via ciclicamente finché
l’argomento non è sufficientemente padroneggiato. Diversi studi indicano che
una tale tecnica presenta tratti di inefficienza.13 Molto più efficiente sembra
essere, invece, la retrieval practice.
Secondo tale tecnica, si studia una prima volta una piccola parte dell’argo-
mento. La quantità di studio non deve essere eccessiva: l’ordine di grandezza
dovrebbe essre la decina di minuti. Dopo un tempo relativamente breve - mez-
z’ora, un’ora - si riprende in mano l’argomento studiato nel seguente modo:
senza guardare preventivamente gli appunti o il libro si ripete quello che si è studia-
to cercando di ricordare quanto più possibile. La memorizzazione si perfeziona nel
momento in cui si tenta di ricordare. Se non si è riusciti a ricordare tutto, si può
ripassare l’argomento. Il ciclo va ripetuto allungando via via i periodi. Ogni
volta che si tenterà di ricordare l’argomento, anche dopo mesi, se ne rafforzerà
la memorizzazione. Gli studi della retrieval practice sono innumerevoli e se ne
citano solo alcuni, per semplicità di consultazione.14
3.2.1.3 La comprensione
Non basta memorizzare qualcosa. Si deve sapere cosa memorizzare, possibil-
mente “occupando meno spazio in memoria”. Si cercherà di illustrare con un
esempio cosa si intende con quest’ultima affermazione.
13 Essa è indicata solitamente con l’espressione try and try again. Ad esempio, H OWARD , H O -
WARD , When it does hurt to try: Adult age differences in the effect of instructions on implicit pattern
learning. [37], descrive gli aspetti deleteri di tale tecnica nello studio di sistemi complessi, mentre
F INN, When it hurts (and helps) to try: the role of effort in language learning [35] si concentra maggior-
mente sullo studio delle lingue. I risultati migliori si ottengono, paradossalmente, con uno studio
“passivo”, ovvero non eccessivamente concentrato. In tal modo è più facile che il cervello colga
gli schemi nascosti del linguaggio o del sistema. Riflessione da dilettante: lo studio sembra essere
collegato alla teoria di McGilchirst [14], secondo la quale una eccessiva concentrazione attiva l’e-
misfero sinistro del cervello, permettendo una visione dettagliata della parte, disattivando, però,
l’emisfero destro, preposto alla visione del tutto.
14 C ARPENTER , Spacing and interleaving of study and practice [30], K ARPICKE , Retireval-based lear-
ning: Active retrieval promotes meaningful learning [41], K ARPICKE, Retireval practice produces more
learning than elaborative studing with concept mapping [42], R OEDIGER, The critical role of retrieval
practice in long-term retention [49].
3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 45
NRGUTLIFITFA
FRANGIFLUTTI
Dovrebbe essere ora un po’ più chiaro perché lo studio deve essere diluito.
Fare tutto all’ultimo momento non permette allo studente di capire cosa sta
studiando, ovvero di collegarlo al proprio sapere. Concentrarsi su piccoli pezzi
- chunk - facilita sia la comprensione che la memorizzazione.
sta facendo uso di una pessima pratica, questi la debba adottare per il sempli-
ce motivo che è migliore. Ciò è falso perché non si tiene conto della resisten-
za al cambiamento che è connaturata in ciascuno di noi.16 I fattori che condi-
zionano un cambiamento mentale sono molti e non tenerne conto quando si
entra in classe significa spesso porre in atto un’azione che può risultare inef-
ficace. Tutti noi, semplificando molto il problema, tendiamo a non cambiare
facilmente opinione e a distorcere la realtà fino a farla coincidere con le nostre
convinzioni. Il nostro comportamento si irrigidisce ulteriormente se le nostre
convinzioni sono rese pubbliche, essendo rafforzate dal bisogno di coerenza e
dall’orgoglio.17
Lo studente deve conoscere questo meccanismo e sapere che ne è vittima
quando il docente gli chiede di modificare alcuni suoi comportamenti in classe.
La tendenza a irrigidirsi e diventare resistente al cambiamento è la reazione più
diffusa e quella che crea i maggiori danni.
durante le lezioni è invisibile Di solito Tonio sta negli ultimi banchi, nasco-
sto dietro la testa del compagno di classe che gli sta davanti, o dietro
lo zainetto, o dietro il monitor del PC se c’è lezione in laboratorio di
Informatica;
non alza mai la mano Se il professore dovesse parlare arabo dall’inizio della
lezione fino alla fine e poi chiedere in italiano se tutto è chiaro, guardan-
do dritto negli occhi Tonio, questo, con aria la più neutra possibile per
non dare nell’occhio, accennerebbe un sì con la testa senza emanare suo-
no. Così se il prof. dovesse arrabbiarsi potrebbe sempre dire che stava
scacciando una mosca;
durante le interrogazioni ha l’aria rassegnata È intimamente convinto che non
ce la farà mai a strappare una sufficienza. Di solito è piuttosto sereno
- è temprato: purtroppo ne ha viste di peggio - comunque non è mai
impaurito: è semplicemente rassegnato;
ha una bassa opinione di se stesso Naturalmente dal punto di vista scolasti-
co. È convinto di non sapere nulla o comunque molto poco. Soprattutto è
convinto che il professore non immaginerà MAI quanto poco lui sappia.
Come suona la campanella diventa un ragazzo perfettamente normale,
con normale autostima di sé - basta non parlare di scuola.
camminare tardi e a parlare a tre anni. Il dottore di famiglia diceva che, sì, insomma, era un po’
indietro e poi alle superiori è stato anche bocciato in matematica. Come vedi, tutto il mondo è
paese.
3.2. QUALCHE CONSIGLIO TEORICO ALLO STUDENTE 47
conveniente cambiare qualcosa nel proprio modo di agire e provarci. In fin dei
conti si dice che l’adolescenza è l’età dei cambiamenti, quindi, cambiare per
cambiare, forse conviene cambiare in meglio. Vediamo come.
O meglio, funziona solo in certi casi. Quello che è sbagliato è non chiedere
di persona. In tal modo l’allievo rinuncia a un suo diritto e peggiora la sua
situazione posticipando o addirittura compromettendo un eventuale tentativo
di recupero.
“Eh, caspita! È un’arma piuttosto potente. Occhio, però: è un’arma a doppio taglio.”
Sempre criptico Pierino. Cerchiamo di essere un po’ più chiari.
Pierino a inizio anno parte in quarta. Sempre. Se l’anno scolastico fosse una
maratona, lui farebbe una partenza da 100 metri piani. L’obiettivo di Pierino è
ottenere voti alti a inizio anno/quadrimestre. Perché?
Tre sono i motivi:
1. gli argomenti trattati in classe sono pochi e farsi interrogare subito è meno
rischioso. In sostanza è più facile prendere voti alti;
2. se Pierino ha sottovalutato la difficoltà del corso, una partenza a razzo
può metterlo al riparo da iniziali scivoloni. In tal caso, semmai, si presen-
terà il problema di come mantenere un ritmo così alto, ma intanto non ha
portato a casa insufficienze;
3. se i primi voti saranno alti questi certificheranno la sostanziale omoge-
neità del sapere del nostro protagonista - che tornerà utile nel prosieguo
dell’anno - ma soprattutto, il professore ci penserà due volte prima di
abbassare il voto a Pierino: effetto alone.
Immagino l’obiezione. Il professore è pagato per essere obiettivo, non per dare
la fiducia a chi gli pare. Ma certamente. Il problema è che l’effetto alone è
subdolo: non è facile identificarlo e anche dopo averlo identificato è molto
difficile ignorarlo del tutto. Appartiene alla categoria delle idee resistenti al
cambiamento, alle quali si è accennato nel paragrafo 3.2.2.1.
creare delle connessioni fra i cassetti. Si tratta di tirare un immaginario filo fra
un cassetto e un altro. I “geni” sono capaci di connettere fra loro cassetti lon-
tanissimi. Lo studente in difficoltà dovrebbe incominciare a connettere cassetti
vicini fra loro, ovvero appartenenti allo stesso argomento.
Stabilire connessioni fra saperi/cassetti diversi è quello che l’insegnante
chiede ai propri allievi. Questa azione si chiama ragionamento. A volte il ragio-
namento chiede l’apertura di molti cassetti e di molte connessioni, a volte basta
aprire due cassetti vicini e collegarli. L’importante è esercitarsi. Solitamente
l’insegnante fornisce esercizi per imparare ad aprire e connettere i cassetti e
insostituibili, in tal senso, sono gli esercizi di geometria analitica.
Lo studente deve esercitarsi sia attraverso l’esercizio scritto sia a collega-
re mentalmente i propri saperi. Altrimenti fa come quel protagonista della
barzelletta al quale chiedono se sa suonare il violino: “No lo so: non ho mai
provato”.
25 Parlare di lobo frontale deputato ad affrontare i problemi in maniera logica e di sistema limbico
deputato ad affrontarli emozionalmente è una grossolana semplificazione: non c’è modo di evitarla
parlando dell’argomento in poche righe.
26 Due libri sono particolarmente illuminanti: K AHNEMAN , Pensieri lenti e veloci [13] e G ARDNER ,
The Unschooled Mind - How Children Think and How Schools Should Teach [10].
Capitolo 4
Conclusioni
53
54 CAPITOLO 4. CONCLUSIONI
[5] Descartes René, Discorso sul metodo, Casa Editrice La Scuola, 2003
[6] Descartes René, Regole per la guida dell’intelligenza, Editrice Fabbri, 2006
[10] Gardner Howard, The Unschooled Mind - How Children Think and How
Schools Should Teach, Basic Books, 1995
[12] Halliday David, Resnick Robert, Walker Jearl, Fondamenti di Fisica, Casa
Editrice Ambrosiana, 2007
[14] McGilchrist Iain, The Master and his Emissary, Yale University Press, 2012
[16] Polito Mario, Guida allo studio: la Motivazione, Muzzio Editore, 1997
55
56 BIBLIOGRAFIA
[21] Steinberg Laurence, The 10 Basic Principles of Good Parenting, Simon &
Schuster, 2004
Sitografia
[23] Buffer Open, The Science of Taking Breaks at Work, visitato in data
25/09/2015 e consultabile al sito
https://open.bufferapp.com/science-taking-breaks-at-work/
[26] Gardner Howard, Cracking Open the IQ Box, visitato in data 08/10/2015 e
consultabile al sito
http://prospect.org/article/cracking-open-iq-box
Articoli
[27] Ariga Atsunori, Lleras Alejandro, Brief and rare mental “breaks” keep you
focused: Deactivation and reactivation of task goals preempt vigilance decrements.,
2011, Cognition
[28] Barrick Murray, Mount Michael, The Big Five Personality Dimensions and
Job Performance: A Meta-Analysis, 1991, Personnel Psychology
[29] Billari Francesco, Tabellini Guido, Italians are Late: Does it Matter?, 2008,
National Bureau of Economic Research
BIBLIOGRAFIA 57
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[40] Jaušovec Norbert, Jaušovec Ksenija, Gerlič Ivan, The influence of Mo-
zart’s music on brain activity in the process of learning, 2006, Clinical
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studing with concept mapping, Science, Vol. 331, February 2011
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Network Activation in Anticipation of Doing Math, PLoS ONE, 2012
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ferences between two cohorts of young adults in Italy, 2006, Max Planck Institute
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[45] Neisser Ulric et al., Intelligence: Knowns and Unknowns, 1996, American
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[47] Pleger Burkhard, Ruff Christian, Blankenburg Felix, Klöppel Stefan, Dri-
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Somatosensory Decision-Making
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[50] Schellenberg Glenn, Hallam Susan, Music listening and cognitive abilities in
10- and 11-year-olds: The Blur effect