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Vorrei parlarvi del film “Il favoloso mondo di Amelie” di Jean-Pierre Jeunet.
Ho scelto di partire da quest’opera cinematografica perché mi ha colpito molto il
fatto che contenga moltissime chiavi d’interpretazione, così ho voluto prendere in
considerazione quella che più si addiceva a me, ovvero che la protagonista sia
un’inetta all’interno della società.
Amelie fin da bambina ha deciso di vedere il mondo in modo differente per poter
trovare un po’ di conforto, anche se spesso viene incompresa. Di questo
Schopenhauer nella sua opera “Il mondo come volontà e rappresentazione” che con
la sua citazione: “Il mondo è una mia rappresentazione” vuole dire che nessun
soggetto può uscire da se stesso e vedere le cose per quello che sono, ma sarà
condizionato dalle forme a priori di spazio e tempo.
Per poter raggiungere la vera essenza delle cose l’uomo deve prima squarciare il
cosiddetto “velo di Maya” che è solo apparenza.
Ciò è possibile quando l’uomo si rende conto che l’essenza del proprio fenomeno, il
corpo, è la volontà.
Mano a mano che la conoscenza diviene più distinta cresce però il tormento
dell’uomo, che per natura cerca di soddisfare i suoi bisogni, cadendo infine della
noia, una volta soddisfatti.
Per sfuggire a queste sensazioni che fanno della vita un pendolo che oscilla tra il
dolore e la noia , il filosofo parla di redenzione attraverso l’arte.
Nell’esperienza artistica l’individuo annulla i suoi bisogni, si immerge nell’oggetto e
dimentica se stesso e il suo dolore. Questi momenti felici sono però brevi e rari, che
potrebbero essere definiti epifanie.
Nel film è il caso dell’Uomo di vetro, impegnato nella riproduzione fedele del quadro
di Renoir, “Colazione dei canottieri”.
Mentre la protagonista del film mette apposto la vita degli altri, l’Uomo di
vetro, che ho nominato precedentemente, mette a posto la sua.
L’Uomo di vetro viene chiamato così a causa della sua malattia che non gli permette
nemmeno di uscire di casa. È affetto da Osteogenesi Imperfetta, una malattia rara
che causa fragilità ossea. Questo argomento mi sta molto a cuore anche perché ho
un caso in famiglia e penso che si sappia ancora troppo poco a riguardo.
La sindrome è dovuta a una mutazione genetica a carico di uno dei due geni
responsabili della sintesi del collagene, una proteina che fa parte di strutture
organiche di supporto e di connessione quali legamenti e cartilagini.
Le mutazioni del DNA sono errori nell’appaiamento delle basi azotate durante la
costruzione del filamento. Se non vengono corretti dalla DNA polimerasi o dagli
enzimi riparatori, questi errori portano alla sintesi di una proteina difettosa. Il
processo biochimico di sintesi proteica nelle cellule eucarioti è formato da 3 fasi:
trascrizione, maturazione del mRNA e traduzione, grazie alle quali il flusso
dell’informazione genetica passa dal gene alla proteina.
Vorrei concludere spiegando il perché del titolo della mia tesina: “un universo
di vite possibili”.
Oltre per il motivo più banale, ovvero la molteplicità di personaggi dell’opera
cinematografica, vi è anche una ragione più profonda.
Riflettendo ho realizzato quante possibilità di vita abbiamo noi esseri umani, ma
forse perché ci sentiamo inadatti, non riusciamo mai a concretizzarle, quando
servirebbe solamente cogliere l’attimo e non lasciarselo sfuggire, CARPE DIEM!