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Un universo di vite possibili.

Vorrei parlarvi del film “Il favoloso mondo di Amelie” di Jean-Pierre Jeunet.
Ho scelto di partire da quest’opera cinematografica perché mi ha colpito molto il
fatto che contenga moltissime chiavi d’interpretazione, così ho voluto prendere in
considerazione quella che più si addiceva a me, ovvero che la protagonista sia
un’inetta all’interno della società.

Amelie fin da bambina ha deciso di vedere il mondo in modo differente per poter
trovare un po’ di conforto, anche se spesso viene incompresa. Di questo
Schopenhauer nella sua opera “Il mondo come volontà e rappresentazione” che con
la sua citazione: “Il mondo è una mia rappresentazione” vuole dire che nessun
soggetto può uscire da se stesso e vedere le cose per quello che sono, ma sarà
condizionato dalle forme a priori di spazio e tempo.
Per poter raggiungere la vera essenza delle cose l’uomo deve prima squarciare il
cosiddetto “velo di Maya” che è solo apparenza.
Ciò è possibile quando l’uomo si rende conto che l’essenza del proprio fenomeno, il
corpo, è la volontà.
Mano a mano che la conoscenza diviene più distinta cresce però il tormento
dell’uomo, che per natura cerca di soddisfare i suoi bisogni, cadendo infine della
noia, una volta soddisfatti.
Per sfuggire a queste sensazioni che fanno della vita un pendolo che oscilla tra il
dolore e la noia , il filosofo parla di redenzione attraverso l’arte.
Nell’esperienza artistica l’individuo annulla i suoi bisogni, si immerge nell’oggetto e
dimentica se stesso e il suo dolore. Questi momenti felici sono però brevi e rari, che
potrebbero essere definiti epifanie.
Nel film è il caso dell’Uomo di vetro, impegnato nella riproduzione fedele del quadro
di Renoir, “Colazione dei canottieri”.

La vita di Amelie cambia radicalmente quando ritrova una scatoletta di ricordi


di un bambino, e da questo momento decide di occuparsi dei problemi degli altri per
non badare ai suoi, cercando di migliorare la vita di chi incontra lungo tragitto.
Partendo proprio dal proprietario di quella vecchia scatola di latta, il quale appena
gli viene restituita, viene invaso dal proprio passato e dalle piacevoli, e non solo,
sensazioni di un tempo, l’effetto di una Medeleine inzuppata nel tè per Proust.
Dans le passage "La petite Madelaine" de l'oeuvre "Du côté de chez Swann", le
protagoniste est en train de boire du thé au tilleul dans lequel étaient mêlées les
miettes du gâteau, et tout d’un coup il revoit devant soi, son souvenirs d'enfance et
le dimanche matin passé avec sa tante qui avait l'habitude de lui offrir le même
gâteau trempé dans le même thé.
Celle-ci est l'application de la mémoire involontaire, c'est-à-dire un procès qui arrive
par hasard quand une odeur, un goût ou une musique, réveillent en nous le passé et
les vraies sensations que sont différentes de celles qu’on ressent par effet de la
mémoire volontaire.

Mentre la protagonista del film mette apposto la vita degli altri, l’Uomo di
vetro, che ho nominato precedentemente, mette a posto la sua.

L’Uomo di vetro viene chiamato così a causa della sua malattia che non gli permette
nemmeno di uscire di casa. È affetto da Osteogenesi Imperfetta, una malattia rara
che causa fragilità ossea. Questo argomento mi sta molto a cuore anche perché ho
un caso in famiglia e penso che si sappia ancora troppo poco a riguardo.
La sindrome è dovuta a una mutazione genetica a carico di uno dei due geni
responsabili della sintesi del collagene, una proteina che fa parte di strutture
organiche di supporto e di connessione quali legamenti e cartilagini.
Le mutazioni del DNA sono errori nell’appaiamento delle basi azotate durante la
costruzione del filamento. Se non vengono corretti dalla DNA polimerasi o dagli
enzimi riparatori, questi errori portano alla sintesi di una proteina difettosa. Il
processo biochimico di sintesi proteica nelle cellule eucarioti è formato da 3 fasi:
trascrizione, maturazione del mRNA e traduzione, grazie alle quali il flusso
dell’informazione genetica passa dal gene alla proteina.

Proprio per questo difetto, causa di solitudine e sofferenza, fisica e mentale, il


personaggio appare come la rappresentazione umana della fragilità, delle paure e
dei rimorsi degli uomini.

Ma all’interno di questa storia non è il solo. Il personaggio di Nino, che si potrebbe


anche definire la versione maschile di Amelie, è motivato a cercare quel qualcosa
che renda la vita armoniosa, che metta fine alla sua condizione di emarginato.
Purtroppo però si ritrova a essere un altro inetto nella società, senza una vera
possibilità di cambiamento e che non riesce a portare a termine nemmeno i suoi
molteplici passatempi, come per esempio quello di collezionare fototessere
strappate o dimenticate, visto come la metafora della ricerca dell’identità.
Si potrebbe definire un moderno Mattia Pascal che all’inizio dell’omonimo romanzo
dichiara di avere poche certezze e l’unica è quella di chiamarsi Mattia Pascal, non ha
quindi valori e principi a cui ancorarsi, ed è pieno di dubbi.
È il primo vero anti-eroe del Novecento, destinato ad essere affiancato da altri inetti,
protagonisti di molti romanzi di inizio secolo, ad esempio Zeno Cosini ne “La
Coscienza di Zeno” di Italo Svevo (1923) e Augusto Pérez in “Niebla” di Miguel de
Unamuno (1914).
Il percorso di Mattia è segnato dal tema del doppio, tipico del racconto umoristico.
Le situazioni principali in cui lo ritroviamo sono: 1)quando, appresa la notizia della
sua morte, il protagonista immaginerà il suo doppio nel cadavere di un ignoto
individuo riconosciuto come il suo; 2) a Roma una volta assunto il nome di Adriano
Meis che lo porterà poi al “secondo suicidio”; 3) infine l’ultima reincarnazione nei
panni del fu Mattia Pascal, davanti alla sua lapide.
Secondo Pirandello, gli individui sono maschere, consapevoli dell’autoinganno
prodotto dalle convenzioni sociali, ciò che Jean-Paul Sartre definirà Malafede.
Il protagonista vive quindi una crisi d’identità che lo porterà all’estraniazione, una
sorta di Bovarysme, poiché Mattia aspira alla libertà e alla realizzazione di sé, ma si
ritroverà alla fine con le stesse incertezze, a cercare rifugio nel suo particolare
mondo, in questo caso la biblioteca di Miragno.

Vorrei concludere spiegando il perché del titolo della mia tesina: “un universo
di vite possibili”.
Oltre per il motivo più banale, ovvero la molteplicità di personaggi dell’opera
cinematografica, vi è anche una ragione più profonda.
Riflettendo ho realizzato quante possibilità di vita abbiamo noi esseri umani, ma
forse perché ci sentiamo inadatti, non riusciamo mai a concretizzarle, quando
servirebbe solamente cogliere l’attimo e non lasciarselo sfuggire, CARPE DIEM!

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