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Elena Abou Mrad Matricola 735039

Elena Abou Mrad


Università di Torino – Dipartimento di Studi Umanistici
Corso di Laurea Magistrale in Culture Moderne Comparate

POLTRONE, DIVANI, ARMADI E ALTRI MOBILI


La vivificazione dell’oggetto domestico in Nascita e morte della massaia
di Paola Masino e in alcuni racconti di Alberto Savinio

Nel suo studio sul perturbante, Freud cita Ernst Jentsch, che nel suo saggio Sulla
psicologia del perturbante individua come principale causa scatenante dell’Unheimliche “il
dubbio che un essere apparentemente animato sia vivo davvero e, viceversa, il dubbio che un
oggetto privo di vita non sia per caso animato”.1 Jentsch portava come esempio la sensazione
prodotta da figure di cera, pupazzi e automi; l’esperienza dell’Unheimliche, tuttavia, può essere
provocata da oggetti più vicini all’esperienza quotidiana. Secondo Sigmund Freud, “Il
perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che
ci è familiare”2. Il concetto di perturbante si lega all’ambiente domestico proprio a partire dalla
sua etimologia: la radice di Unheimliche, infatti, è Heim, “casa”.
Nella letteratura fantastica novecentesca, l’effetto perturbante è prodotto da situazioni
familiari, quotidiane, di cui viene esasperato l’elemento inquietante.3 Per suscitare l’esperienza
dell’Unheimliche, la letteratura fantastica non deve più ricorrere a fantasmi e castelli spaventosi:
è la casa a essere infestata, a sviluppare connotazioni inquietanti che creano una sensazione di
disagio nel protagonista e nel lettore. Esempi di un perturbante che scaturisce dallo spazio
domestico si trovano con esito analogo – i mobili che prendono vita – in due autori dell’“Italia
magica” Alberto Savinio e Paola Masino.
Questa relazione si propone di analizzare l’elemento di Unheimliche legato all’ambiente
domestico, e in particolare all’arredamento, prendendo in esame il romanzo Nascita e morte
della massaia di Paola Masino e i racconti Vecchio pianoforte, Casa «La Vita» e Paterni mobili
di Alberto Savinio.

1
JENTSCH, Ernst, Sulla psicologia del perturbante, 1906, citato in S. Freud, Il perturbante, in Sigmund
Freud, Opere 1917-1923, Torino, Boringhieri, 1977 (ed. orig. 1919, Das Unheimliche).
2
FREUD, Sigmund, Il perturbante, in Sigmund Freud, Opere 1917-1923, Torino, Boringhieri, 1977 (ed.
orig. 1919, Das Unheimliche).
3
Come sostiene Albertazzi, “l’esasperazione degli elementi inquietanti reperibili nel quotidiano conduce
a un capovolgimento di prospettiva secondo cui la norma e` l’ossessione, l’estraneità, e ciò che spaventa,
la banalità , il conosciuto.”. ALBERTAZZI S., Il punto sulla letteratura fantastica, Roma-Bari, Laterza,
1993, citato in Barbara Garbin, Paola Masino: from classic to modern fantastic, in «Forum Italicum», 47,
3, September 2013, p. 589.

1
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Nascita e morte della massaia di Paola Masino

La protagonista di Nascita e morte della massaia trascorre la sua infanzia in un baule,


che rappresenta per lei un rifugio da un mondo governato da regole incomprensibili. Il baule,
singolo oggetto dell’arredamento, svolge per la bambina la funzione di intera casa: “un baule
che le fungeva da letto, credenza, tavola e stanza”4. Un aspetto interessante, però, è il fatto che
la bambina venga assimilata a un mobile, al punto che le cameriere interagiscono con lei
mediante trattamenti di spolvero, restauro e decorazione:

“Per queste ragioni la famiglia non badava più a lei che come a un mobile. Ogni mattina le
cameriere le spolveravano il capo, le spazzavano i piedi, le sbattevano e ripiegavano
addosso gli abiti. A Pasqua la spingevano sul balcone tra le seggiole e le credenze di
cucina, la lavavano con la soda, le davano cera sui capelli, petrolio alle giunture,
guardavano che la pelle del volto e delle mani non fosse tarlata, le accomodavano una
ghirlanda di violacciocche sul capo e intorno al collo e ai polsi gale di carta velina azzurra o
rosa, poi la spingevano nella stanza da pranzo tra le torte pasquali e i vassoi di uova sode, a
che il prete la benedicesse, povera creatura.”5

Questo ironico paragrafo non serve solo a mostrare il rapporto tra la Massaia bambina e
gli altri, che la trattano come un oggetto: serve a preparare il lettore alle scene successive, in cui
il rapporto della Massaia con lo spazio domestico appare mutato.

“Benché la stanza fosse assolutamente oscura, la donna vedeva benissimo i mobili intorno a
sé.
Erano mobili senza vita, ostinatamente mobili: non ne volevano sapere di essere stati alberi
vivi, non ricordavano il grembo del cielo o della terra. Ora si sentivano saliti di grado, a
fare i servi degli uomini. Avevano ognuno una funzione e ci tenevano. La poltrona tiene a
distanza lo sgabello, il letto matrimoniale la branda, la brocca ha ai suoi ordini una centuria
di bicchieri, la pentola grande urta la piccina, le candele stanno sull’attenti davanti alla
lampada a diffusore. La gerarchia è un fatto cosmico, si comincia dai cherubini e si finisce
agli uscieri, ma crederci è gratuito: la sposa non ci credeva, o per meglio dire, fin qui,
l’aveva ignorata.”6

L’ingresso nella vita adulta ha comportato l’introiezione delle convenzioni sociali dalle
quali la protagonista, isolandosi nel baule, si era finora protetta. Queste norme vengono
proiettate dalla protagonista sull’ambiente che la circonda, conferendo ai mobili un carattere e
una gerarchia che ricalca quella sociale. La notte, che dovrebbe rappresentare uno spazio di
libertà in cui lasciar correre la fantasia, viene contaminata dal conflitto psicologico che la

4
MASINO, Paola, Nascita e morte della massaia, Milano, Isbn Edizioni, 2009, p. 5.
5
Ivi, p. 8.
6
Ivi, p. 53.

2
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Massaia reprime durante il giorno: anche la vita parallela della protagonista si rivela degradata. 7
Se da bambina riusciva a fondersi senza sforzo con l’ambiente domestico, una volta divenuta
Massaia - padrona della casa per definizione – la protagonista perde la sua capacità di
trasformarsi nei mobili. Proprio per il fatto di essere divenuta la padrona di ciò che la casa
contiene, la Massaia ha perso il suo rapporto di identificazione con l’ambiente in cui si trova.

“Avanzando per le stanze adagiate nel buio non le veniva dalle pareti nessun senso
accogliente, nessun sussurro. Qualche volta, è vero, un mobile si faceva sentire ma con uno
scoppio tanto violento che sembrava uno sternuto fatto apposta per spaventarla. La sposa si
metteva inutilmente in cerchio tra le poltrone mantenendosi in un prodigioso e affaticante
equilibrio sulle gambe ripiegate e con le braccia distese a mo’ di braccioli: nessun
suggerimento per una tale metamorfosi le veniva dalle compagne di legno che rimanevano
rigide con il petto in fuori, come mogli di generali.” 8

Come individua Louise Rozier, il grottesco desiderio della Massaia di immedesimarsi


negli oggetti parte dalla sua speranza di capire se stessa e il proprio ambiente.9 A nulla, però,
valgono gli sforzi della Massaia: i suoi tentativi vengono continuamente frustrati dall’ottusa
resistenza dell’arredamento. Quando la sua “implorazione muta”10 si dimostra inutile, la
protagonista prova a suggestionarsi usando le parole. La Massaia cerca allora di annullarsi e di
trasformarsi nel fuoco del camino, contorcendosi sul pavimento e ripetendo una sorta di mantra:
“Sono fuoco. Il fuoco nasce da me, sono lume e calore”11. Come prevedibile, anche questo goffo
incantesimo non ottiene risultati: in questa scena grottesca e tragica al tempo stesso, la donna si
accorge che il solo fatto di avvertire il proprio annullamento significa affermarsi. La sua
frustrazione per il tradimento dei mobili, che si rifiutano di prendere vita, col tempo si trasforma
in compassione; la Massaia si arrende e accetta questa “diserzione della fanteria”12, questa
perdita della magia di cui gli altri avevano sempre tentato di convincerla. Uscendo dal baule, la
protagonista ha perso il suo potere di metamorfosi, la capacità di interagire in maniera non
convenzionale con gli oggetti e di uscire da se stessa per ritornare alla dimensione
dell’indifferenziato13. La sua vita quotidiana di donna e il suo calarsi nella dimensione sociale
hanno annientato la possibilità di trovare un elemento magico e autentico in se stessa e
nell’ambiente che la circonda.14

7
MANETTI, Beatrice, Nascita e morte di una scrittrice. Per un ritratto di Paola Masino, in «Paragone
Letteratura», a. LX, terza serie, n. 81-82-83 (714-716-718), agosto-dicembre 2009, pp. 145-146.
8
MASINO, Paola, Nascita e morte della massaia, op. cit., pp. 53-54.
9
ROZIER, Louise, Nascita e morte della massaia: la ribellione e il surrealismo metafisico, op. cit., p.137.
10
MASINO, Paola, Nascita e morte della massaia, op. cit., p.54
11
Ibidem.
12
Ibidem.
13
MANETTI, Beatrice, Nascita e morte di una scrittrice. Per un ritratto di Paola Masino, op. cit., p. 146.
14
Ivi, p. 148.

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Vi è un momento in cui la Massaia sembra aver trovato il modo di annullarsi e di


fondersi con gli oggetti: quando decide di dedicarsi alle piante. Abbracciando le azalee, la donna
cerca di trasformarsi in un fiore, e ad un certo punto la metamorfosi si compie:

“Le prime volte ella poteva sciogliersene con un piccolo strappo appena alle giunture,
proprio quanto lo sganciarsi di una fogliolina secca dal peduncolo; ma lo schianto crebbe,
vi si unì un premito sul cuore, un cattivo respiro dentro la gola, finché una notte con uno
scricchiolio delle ossa, le braccia le si alzarono con le mani spalancate tra i rami a far da
fronde, le ginocchia sbatterono forte una con l’altra e si piegarono. Il tronco le si contorse
quasi un nodo nelle midolla ve l’obbligasse. Intanto un sugo resinoso le scendeva per i
capelli sugli occhi dentro le orecchie, si raccoglieva intorno al naso e sopra la bocca, le
gocciolava dalle dita e le incollava le mani. Tutta l’aveva impastata, e avendole nascosto lo
sguardo, il tatto, l’odorato e l’udito, lasciò ch’ella entrasse in rapporto con i fiori.” 15

Con questa dolorosa trasformazione la Massaia sembra essersi finalmente annullata, per
entrare in perfetta sintonia con i fiori. La donna riesce addirittura a percepire il canto dei fiori, e
a “cantare con loro senza bisogno di labbra o fiato”16. Con gesti delicati e di grande tenerezza la
Massaia assiste le piante della sua casa nella nascita e nella morte, aiutandole a sbocciare e
preparando veglie funebri quando seccano. Anche questi riti, però, rivelano le angosce della
donna, e presto si traducono nelle sue solite manie di pulizia: anche il suo momento magico di
comunione con la natura viene guastato dall’irrompere della vita ordinaria.

“Avvenne che la massaia dal sostenere con il dito gli orli della foglia che si distende si
trovasse, per eredità femminile certo, a spolverare quella foglia e dalla foglia passò ai mazzi
di fiori, ai tronchi degli alberi in una ossessione di pulizia, che lasciava gli altri sbalorditi e
lei estenuata. Così a poco a poco non vide intorno a sé che cose da governare” 17

Il riferimento all’eredità femminile non è casuale: è infatti l’imposizione di un ruolo di


genere da parte della società a compromettere le possibilità della Massaia di creare uno spazio
per sé, in cui poter instaurare relazioni immediate e autentiche con ciò che la circonda.
La proiezione del turbamento psichico della Massaia sullo spazio domestico è
riscontrabile numerosi passi del romanzo. Due, in particolare, smascherano le ossessioni
nascoste della protagonista: la sessualità femminile e la maternità.

“Il marito svegliandosi dopo di lei, la sorprese così che in ginocchio per terra carezzava con
un lembo della camicia di velo la soglia di marmo, come una madre la fronte di un
bimbo.”18

15
MASINO, Paola, Nascita e morte della massaia, op. cit., p. 56.
16
Ivi, p.57.
17
Ivi, p. 58.
18
Ivi, p. 50.

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Questa scena avviene durante la prima notte di nozze, che dà inizio alla lunga sequenza
di peregrinazioni notturne della Massaia insonne. La protagonista, in una sorta di delirio, riversa
il proprio istinto materno sul pavimento, lucidandolo con la tenerezza di una madre. La Massaia,
destinata a non avere figli, sublima il suo controverso desiderio di maternità sugli oggetti della
propria casa, in quello che appare come un disturbo ossessivo - compulsivo che sfocia nella
costante preoccupazione per l’ordine e la pulizia. Questo episodio sancisce la prima apparizione
delle manie di pulizia, che diventano per la donna l'unico modo di interagire con lo spazio
domestico. La proiezione del turbamento psichico sugli oggetti viene teorizzata dalla Massaia
stessa quando, appurato il tradimento dei mobili, si interroga sul proprio ruolo nel mondo come
donna:

“Una donna nasce con un corpo simile al campo, che deve essere seminato e procreare; se
rimane sterile cercherà giustificazioni di se stessa nel distribuire la propria pietà su quanto il
mondo va di ora in ora partorendo.”19

Poche righe dopo, questo concetto viene esplicitato nei gesti di affetto che la Massaia
rivolge agli oggetti domestici, su cui viene riversata la tenerezza materna della donna.

“Ecco nascere in lei una specie di malposto affetto materno; impulsi di tenerezza nel toccare le
parti della sua casa quasi fossero parti del corpo di un figlio. Un graffio su un tavolino era un
graffio su un immaginario volto infantile; fiori appassiti nei vasi, capelli in disordine.” 20

La scena in cui la Massaia accarezza la soglia di marmo istituisce, inoltre, un gioco di


rimandi con un altro passo del romanzo, in cui la donna simula un rapporto sessuale con il
pavimento lucidato.

“La lingua scivolava avanti e indietro sul marmo lucidato a piombo e un sentore frizzante,
quasi di mosto, saliva dalle giunture delle lastre; un fermento algido, una vaporazione di
morte minerale, brulichio di germi stellari, l’annuncio di imbalsamati universi. La punta
della lingua, fatta di ghiaccio, le si era saldata al pavimento, ma la donna rimase così, con il
viso a terra, ad annusare e respirare il fiato della pietra. La bocca aperta, le labbra premute
sulle vene nere del marmo, ella non si accorse di muoverle e socchiuderle in un moto
regolare, battere le narici in un respiro sempre più necessario e di bere, bere, bere quel fumo
di zone sottomarine che, dalle più fonde epoche del mondo, va ancora asciugandosi all’aria
con esalazioni e fermenti; la donna li inghiottiva, trangugiava, masticava e non si accorse di
mugolare. Una certa contrazione del grembo la obbligò a stendersi bocconi sul pavimento e

19
Ivi, p. 55.
20
Ivi, pp. 55-56.

5
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premer visi, urtò forte le ginocchia, le punte dei seni irrigidite le dolsero, si accorse, con
una nausea mortale, che gocce di saliva le cadevano sul mento e capì di essere ubriaca.”21

Questa scena grottesca è, paradossalmente, la più sensuale del romanzo: a parte il bacio
del giovane bruno nel terzo capitolo, infatti, la donna non vive momenti di profonda intimità
fisica. La sua relazione con il marito-zio è fin dall’inizio priva di passione, e la Massaia trova
sfogo riversando la sua carica sessuale sul pavimento di marmo. Da questi due brani, è chiaro
come la protagonista proietti sugli oggetti le sue frustrazioni e le angosce di donna. Tormentata
dal proprio rapporto conflittuale con la maternità e dalla propria sessualità, la donna riesce a
reprimere il suo conflitto interiore sublimandolo nella sua ossessione per la pulizia. Tuttavia, nei
momenti meno sorvegliati (durante la notte o in momenti di solitudine), la Massaia proietta la
propria angoscia sugli oggetti a lei familiari.22

Alberto Savinio: Vecchio Pianoforte, Casa «la Vita» e Paterni mobili

Il tema dei mobili che prendono vita è ricorrente nella narrativa di Savinio23, ed è
l’autore stesso a segnalarlo nella premessa al volume Tutta la vita:

“Fra questi racconti (…) alcuni portano in scena poltrone, divani, armadi e altri mobili, in
ispecie di personaggi sensibili, parlanti e operanti”.24

I mobili “sensibili, parlanti e operanti”, tuttavia, appaiono nei racconti di Savinio ancora
prima della pubblicazione di Tutta la vita (1953). Nella raccolta Achille innamorato (1938),
infatti, compare il primo oggetto dotato di vita propria: il vecchio pianoforte dell’omonimo
racconto. In Vecchio Pianoforte, una famiglia piccolo-borghese acquista dalla Filarmonica un
pianoforte a coda, che si rivelerà in grado di suonare da solo. Il lettore avverte l’atmosfera
surreale della storia fin dalla prima pagina, in cui l’arredamento della sala dei concertisti viene
descritto con connotazioni antropomorfe:

“Un divanetto rosso e due poltrone, si serravano come naufraghi sull’isolotto rettangolare
del tappeto. (…) Un contrabbasso intabarrato dormiva con la spallaccia al muro.”25

21
Ivi, pp. 168-169.
22
ROZIER, Louise, Nascita e morte della massaia: la ribellione e il surrealismo metafisico, op. cit., pp.
136-137.
23
Oltre ai tre racconti presi in esame, si segnalano Flora (contenuto nella raccolta Casa «la Vita»), La
pianessa, Poltromamma (dalla raccolta Tutta la vita).
24
SAVINIO, Alberto, Tutta la vita, Milano, Bompiani, 1953 (ed. orig. 1945), p. 8.
25
SAVINIO, Alberto, Vecchio Pianoforte, in Achille Innamorato, Milano, Adelphi, 1993 (ed. orig. 1938,
Firenze, Vallecchi), p. 131.

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Alla fine dell’atto di compravendita, inoltre, dall’adiacente sala dei concerti proviene un
rivolo di note: l’addio rivolto dal nuovo pianoforte della Filarmonica “al veterano che partiva”.26
Il vecchio pianoforte si ritrova, così, trasportato in casa Putignani e suonato dalle “manine
inabili e mollicce”27 della piccola Ilda. Fremente di sdegno per questo trattamento, lo strumento
trascorre le notti in solitudine, rievocando le sue glorie passate. Al ricordo di un pianista che lo
aveva saputo suonare con grande maestria, facendolo vibrare “come creatura viva”28, il
pianoforte produce una musica misteriosa. Il culmine surreale del racconto avviene quando una
domenica, al ritorno dalla messa, i Putignani trovano il vecchio pianoforte che suona
forsennatamente in salotto, per poi impennarsi, sfondare la vetrata e infrangersi sulla terrazza.
Con questo parossismo musicale, e il conseguente “suicidio”, lo strumento si sottrae al misero
destino impostogli dalla famiglia Putignani, ribadendo il proprio passato glorioso e la propria
dignità.
Anche in Casa «la Vita»29 il ruolo dell’arredamento è fondamentale nel racconto. Il
giovane Aniceto, recatosi sull’Isola Bella, inizia a camminare senza una meta precisa. Il suono
di un violino lo conduce a una villa misteriosa, in cui sembrano coesistere diverse dimensioni
temporali:

“Ma che casa è questa apparentemente così ben attrezzata, ove si trovano a un’ora gli
apprestamenti dell’aperitivo, del tè e della prima colazione?”30

La cosa che più colpisce Aniceto, tuttavia, è che la villa sembra essere stata
abbandonata da pochi istanti: i sedili del giardino sono ancora “caldi di uomo”31, in salotto la
poltrona a dondolo oscilla ancora32 e c’è perfino del fumo azzurrognolo che si leva da una
sigaretta lasciata nel posacenere33. L’arredamento reca impresse impronte di vita: gli oggetti
“conservano gli atteggiamenti, le forme dei loro padroni”.34 Ci sono, ad esempio una poltrona
maschio e una poltrona femmina35, una poltrona “familiare e antiquata che somiglia una vecchia

26
Ivi, p. 132.
27
Ivi, p. 133.
28
Ivi, p. 134.
29
SAVINIO, Alberto, Casa «La Vita», in Casa «La Vita», Milano, Adelphi, 1988 (ed. orig. 1943, Milano,
Bompiani), pp. 295-312.
30
Ivi, p.302.
31
Ivi, p.301.
32
Ivi, p.306.
33
Ivi, p.305.
34
Ivi, p.301.
35
Ibidem.

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zia grondante falpalà e il capino stretto in una scuffia a cannoncelli”36, un’“antica poltrona
stretta alla vita come una donna che porta il busto”.37
Quando il protagonista nota, su una mensola, la bottiglia di antiastenico che gli fa
prendere sua madre38, il significato della storia inizia a svelarsi: da questo momento, le tracce di
vita che finora erano rimaste anonime si rivelano tracce della vita di Aniceto.

“Gli pare di camminare nei ricordi. A poco a poco, su questa casa deserta e illuminatissima,
Aniceto si sente dei diritti.”39

Attraversare lo spazio, nella villa, significa attraversare anche il tempo, nella possibilità
di percorrerlo in entrambe le direzioni40: dalla torta di compleanno con le venti candeline in
cucina si passa alla poltrona della nonna in salotto e poi alla stanza della bambina41. In una
dimensione che è insieme di ricordo e di sogno, il protagonista vive tutte le fasi della sua
esistenza, e lo fa in sincronia. Come in giardino i tavoli erano apparecchiati per la colazione, il
tè e l’aperitivo e l’arredamento fonde stili di epoche diverse, così le età della vita appaiono in
simultanea, associate agli oggetti domestici. Nell’arco di poche ore, Aniceto compie
un’esplorazione sia spaziale sia temporale, che culmina nell’ultima stanza con la scoperta del
violino che suona da solo. Il protagonista corre giù da una scala di servizio, forza una porticina e
gli si apre davanti non un giardino, ma il mare, dove un bastimento lo attende: è Aniceto stesso
a svelare la metafora della morte, e vi si abbandona con sollievo.42
In questo passaggio di stanza in stanza, la figura assente e sempre menzionata è Isabella,
la ragazza bionda con cui Aniceto ha fatto (e farà di nuovo) Brüderschaft. È lei a prendere
l’antiastenico, è sua la torta di compleanno, suoi sono la stanza infantile profumata di talco e
l’abito da sposa appoggiato sul letto. Isabella è allo stesso tempo bambina, ragazza e donna, e in
un certo senso anche madre: il suo nome, infatti, è lo stesso della madre di Aniceto (Isabella
Negri). Il gioco delle sovrapposizioni si estende oltre il confine di genere, poiché le figure di
Isabella e Aniceto si confondono e si fondono a ricostituire l’Hermaphrodito43, l’essere
mitologico – caro a Savinio44 – che avendo entrambi i sessi è la figura di neutralizzazione dei

36
SAVINIO, Alberto, Casa «La Vita», op. cit., p.302.
37
Ivi, p.304.
38
Ivi, p.305.
39
Ivi, pp. 306-307.
40
GUGLIELMI, Guido, La lucerna di Psiche, in La prosa italiana del Novecento. Umorismo metafisica
grottesco, Torino, Einaudi, 1986, p.194.
41
SAVINIO, Alberto, Casa «La Vita», op. cit., pp. 306-307.
42
Ivi, pp. 311-312.
43
GUGLIELMI, Guido, La lucerna di Psiche, op. cit., p.194.
44
Hermaphrodito è infatti il titolo dell’opera di esordio di Alberto Savinio, pubblicata nel 1918.

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sessi45. A partire dal ritrovamento della bottiglia di antiastenico, si stabilisce una correlazione tra
Isabella e Aniceto, che si esprime attraverso gli oggetti presenti nella casa: la torta di
compleanno mostra che i due hanno la stessa età, e l’identificazione dei due personaggi viene
ulteriormente confermata quando il ragazzo ritrova la scrivania che sua madre aveva fatto
costruire per lui, e che ora appartiene a Isabella. Nella figura di Isabella si incrociano passato,
presente e futuro46, e la sua sovrapposizione con Aniceto fa convergere maschile e femminile.
In Casa «la Vita» l’elemento perturbante è generato dall’arredamento: è, infatti, il
progressivo riconoscimento dei mobili da parte di Aniceto a generare il cortocircuito fra
familiare ed estraneo, tipico dell’Unheimliche. Inoltre, il fatto che i mobili rechino le impronte
di persone diverse contribuisce a rendere la sensazione che Aniceto si muova con naturalezza
fra le diverse dimensioni temporali. Anche la fusione di maschile e femminile è rappresentata
dagli oggetti domestici, condivisi da Aniceto e Isabella.
Il tema dei mobili che conservano traccia dei loro proprietari si ritrova in Paterni
mobili47, contenuto nella raccolta Tutta la vita. I mobili in questione sono quelli che Azio Bot fa
riportare in salotto dopo il divorzio da Niuccia: questa decisione è per il protagonista un modo
di riaffermare se stesso nei confronti della ex-moglie, che aveva fatto relegare in cantina
l’arredo della casa dei suoceri per far posto a oggetti di gusto contemporaneo. Quando Azio
torna in casa dopo il trasloco, con l’arredo domestico tornano a galla le questioni irrisolte del
suo passato familiare. Attraverso la poltrona, il cavalletto e lo specchio il protagonista vive una
scena che coinvolge i suoi genitori, Niuccia e lo “Zio Ludovico”, che si rivelerà l’amante della
madre di Azio e che verrà ucciso con un colpo di pistola dal padre-cavalletto.
Il racconto si apre istituendo un paragone tra il nome della ditta di traslochi (ATMA) e
Atma (in sanscrito, “anima del mondo”), il nome del cane che – secondo Savinio - teneva
compagnia a Schopenhauer mentre scriveva Il mondo come volontà e rappresentazione.
Il riferimento a questa opera non è casuale: è proprio in essa, infatti, che il filosofo teorizza il
concetto di Wille zum Leben (“volontà di vivere”), e lo estende ai fenomeni naturali e agli
oggetti inanimati.48 Infondendo di vita lo spazio domestico, in Paterni mobili, Savinio dà una
sua interpretazione della Wille zum Leben applicata agli oggetti, che si rivelano esseri vivi,

45
GUGLIELMI, Guido, L’Hermaphrodito di Alberto Savinio e la letteratura metafisica, in La prosa
italiana del Novecento. Umorismo metafisica grottesco, Torino, Einaudi, 1986, p. 157.
46
GUGLIELMI, Guido, La lucerna di Psiche, op. cit., P.195.
47
SAVINIO, Alberto, Paterni Mobili, in Tutta la vita, Milano, Bompiani, 1953 (ed. orig. 1945), pp. 127-
136;
48
SCHOPENHAUER, Arthur, Il mondo come volontà e rappresentazione , traduzione di Paolo Savj-Lopez e
Giuseppe De Lorenzo, Roma – Bari, Laterza, 1991.
http://www.liberliber.it/mediateca/libri/s/schopenhauer/il_mondo_come_volonta_e_rappresentazione_1/p
df/schopenhauer_il_mondo_come_volonta_e_rappresentazione_1.pdf, visitato il 17-03-2015, pp. 216-
217.

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dotati di memoria e quindi portatori di una verità nascosta. Attraverso i mobili, Azio Bot scopre
che “avendo smosso quei mobili paterni, essi avevano rivissuto il loro ricordo più commovente,
più tragico”.49 I “paterni mobili” sono oggetti banali, di uso comune, esteticamente inadatti alla
tragedia che ha luogo nel salotto: questo provoca, in Azio Bot e nello spettatore, il sentimento
del perturbante.50
Il tema delle persone che si fondono con gli oggetti domestici si esprime anche nelle
opere figurative di Alberto Savinio, e in particolare nella serie che può essere definita con i
termini (coniati dall’artista) “Poltrobabbo e poltromamma”.51

Queste figure fanno la loro prima comparsa nel 1945, con la litografia intitolata I miei
genitori, prodotta in soli trentadue esemplari per le edizioni “Concilium Lithographicum” a cura
del critico d’arte Velso Mucci. Mucci aveva proposto a quindici artisti di stampare una litografia
accompagnata dalle parole di un poeta: Savinio fu l’unico a realizzare sia l’opera sia i versi,
fondendo il ruolo di artista figurativo e poeta. La litografia ritrae figure antropomorfe nate dalla
fusione dei genitori di Savinio con le loro poltrone,, che assumono i tratti fisici e caratteriali dei

49
SAVINIO, Alberto, Paterni Mobili, op. cit., p.136.
50
SCHIANO, Gennaro, Humour noir, comicità e ironia. Alberto Savinio e il sublime cambiato di segno, in
Sublime e antisublime nella modernità, a cura di M. Paino, D. Tomasello, Pisa, ETS, 2014, pp. 817-832.
https://www.academia.edu/7491901/Humour_noir_comicit%C3%A0_e_ironia._Alberto_Savinio_e_il_su
blime_cambiato_di_segno, visitato il 17-03-2015;
51
BALDACCI, Paolo, Alberto Savinio. PENELOPE E ULISSE, 1945, in Opere d’Arte Moderna e
Contemporanea, catalogo dell’asta a cura di Porro & C. Art Consulting (Milano, Palazzo Durini, giovedì
29 Novembre 2012), Segrate, Grafiche Milani, 2012,
http://porroartconsulting.it/content/download/147/605/version/3/file/Porro_asta_72.pdf, visitato il 17-03-
2015, pp. 13-15.

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loro proprietari. Quelle che sembrano ombre proiettate dalla poltromamma e dal poltrobabbo
sono le scritte di Alberto Savinio, che narra con parole sgradevoli e oscene la vita dei suoi
genitori al sopraggiungere della morte. 52
In un articolo apparso sulla rivista letteraria “Lo smeraldo” nel 1947, Savinio definisce
il poltrobabbo e la poltromamma come vere e proprie figure mitologiche, al pari dei centauri
dell’antichità classica. In questo brano, oltre al tema della fusione tra esseri umani e oggetti
domestici, è presente il concetto del mobile che reca impressa la traccia della persona che lo ha
usato.

“Sono circa quattro anni che, sia con le parole, sia con le linee, sia con i colori, io vado
rappresentando delle figure composite, metà uomini e metà mobili. Questi ibridi sono la
raffigurazione di alcuni miei ricordi arrivati allo stato di maturazione plastica. Maturazione
lunga, se io penso che la viva figura onde questi ricordi traggono, è la figura di mio padre
seduto in poltrona, così come io la vedevo più di quarant’anni addietro (…) Queste figure
composite che io chiamo poltromamma e poltrobabbo mi hanno anche dato la riprova
naturale di come nascono le figure mitologiche. L’unione di un uomo e di un cavallo finisce
per comporre un centauro. L’unione di mio padre e della poltrona sulla quale egli soleva
sedersi, finì per comporre un poltromo. (…). Mio padre morì, e la poltrona rimase vuota.
Rimase vedova. Nessuno ci si sedeva per rispetto. Sul sedile, sullo schienale, sui braccioli
restavano le fosse incavate del corpo che non era più: il negativo del corpo di mio padre, la
forma della statua, il concavo del convesso passato tra le ombre. E la poltrona sembrava
mutilata. Non in un senso ispirato dal sentimento, ma in senso anatomico. Come un
centauro che ha perduto la parte umana, ed è ridotto alla sola parte equina.” 53

Gli stessi concetti vengono ripresi nell’articolo Autunno, nel quale diviene esplicito il
nesso fra i mobili antropomorfi e la morte: il padre di Savinio continua a vivere fra i suoi cari
attraverso la sua poltrona, e l’autore stesso, una volta morto, lascerà il suo studio come traccia
della sua esistenza. Lo spazio domestico viene vivificato dalla presenza dei suoi abitanti, e
diviene il mezzo attraverso cui parte di loro può sopravvivere. Il mobile personificato, quindi,
da elemento inquietante diviene un oggetto magico in grado di salvare l’essenza di una persona
dal decadimento del corpo e di istituire un legame fra il mondo dei vivi e quello dei morti.

“Con troppa indifferenza, con troppa ignoranza noi abbiamo considerato finora queste
continuazioni di noi stessi: le stanze nelle quali noi abitiamo, i mobili tra i quali e “con” i
quali noi viviamo. Mio padre morì, ma la poltrona nella quale egli sempre stanco sedeva e
che aveva fatto corpo con lui continuò a vivere in mezzo a noi, simile a una vedova, simile
alla metà di un centauro. E nessuno di noi sedette mai su quella poltrona vuota ormai di lui:
non per quel disciplinato, quel consapevole rispetto che io propongo qui, ma come selvaggi
tenuti a bada da un inaccostabile tabù. Io morrò, ma parte di me sopravviverà dentro questo
cubo di cemento e ferro, gonfio di lato da un semicerchio vetrato, dentro il quale io mi sto

52
Poltrobabbo e poltromamma. I miei genitori di Alberto Savinio, di Charles Sala, Sandro Dorna,
http://www.allemandi.com/dett_libri.php?id=350, visitato il 20-03-2015.
53
SAVINIO, Alberto, Su una pittura chiamata I miei genitori, in “Lo smeraldo”, 30 luglio 1947.

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al modo di un oggetto nel suo astuccio: e sarà il guscio della noce dopo che il gheriglio s’è
disciolto nella marcedine, sarà il carapace della tartaruga dopo che la carne si è consunta
nella putrefazione.”54

Conclusioni

Dall’analisi del romanzo di Paola Masino e dei racconti di Savinio emerge che, nei due
autori, il tema della “vivificazione dei mobili”, pur partendo da premesse simili, giunge a esiti
diversi. In entrambi, infatti, il tema dei mobili antropomorfi si lega a quello della famiglia e del
rimosso. In Savinio, questo nesso è esplicito: nelle opere figurative Poltromamma e
poltrobabbo e negli articoli su questo argomento, l’arredo domestico trae vita dall’ambiente
famigliare - e, in particolare, genitoriale – portandone alla luce i tratti nascosti. Anche in Paterni
mobili sono i genitori del protagonista a emergere dagli oggetti, che prendendo vita rivelano i
conflitti famigliari sopiti. In Nascita e morte della massaia, il rapporto della protagonista con lo
spazio domestico simula i legami affettivi che la donna non riesce ad avere nella sua vita reale: i
mobili, i vasi di fiori, il pavimento rappresentano per lei i figli e gli amanti che non ha mai
avuto. Il conflitto interiore, rimosso dalla vita diurna per preservare una patina di rispettabilità
sociale, viene convogliato sugli oggetti, che però si dimostrano “esseri che non solo non davano
ma neppure accettavano aiuto”.55
In Masino e Savinio, il fatto che i mobili prendano vita genera il perturbante, ma
secondo modalità differenti. In Savinio, il fantastico si riversa nel reale e crea sconcerto nel
protagonista, rivelandogli una verità fino allora taciuta. In Paterni mobili, ad esempio, gli
oggetti che prendono vita mettono in scena uno scabroso dramma famigliare, finora ignorato da
Azio Bot. In Casa «la Vita», Aniceto sperimenta la destabilizzante sovrapposizione dei sessi e
dei piani temporali proprio grazie ai mobili e alle impronte di vita che recano. In Vecchio
pianoforte, invece, l’inadeguatezza culturale della famiglia piccolo-borghese dei Putignani
viene rivelata dal funzionamento autonomo dello strumento musicale che hanno acquistato. La
rivelazione del fantastico celato dietro al reale avviene in genere alla fine del racconto e ne
segna il culmine narrativo.
In Nascita e morte della massaia, invece, il perturbante non genera alcuna scoperta
rivelatrice, ma solo la constatazione della vuotezza del reale. Nel romanzo, infatti, è il reale a
riversarsi nel fantastico, rovinandolo: infatti, quando la protagonista proietta i suoi turbamenti
psichici sull’ambiente domestico, ne compromette le possibilità magiche. La rivelazione del
fantastico non avviene, anzi, esso viene progressivamente logorato dalla vita diurna della
54
SAVINIO, Alberto, Autunno, in Alberto Savinio, Opere. Scritti dispersi. Tra guerra e dopoguerra (1943-
1952), a cura di Leonardo Sciascia e Franco De Maria, Milano, Bompiani, 1989, pp. 829-832 (ed. orig.
19-20 novembre 1948, in “Corriere d’informazione”);
55
MASINO, Paola, Nascita e morte della massaia, op. cit., p. 54.

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Massaia, che cedendo all’insistenza del mondo esterno inconsapevolmente rinuncia al proprio
potere vivificante. La situazione, più che perturbante, è grottesca: nei suoi vani tentativi di
annullarsi e di infondere vita negli oggetti, la Massaia suscita ironia e pietà.
Un’ulteriore differenza, infine, consiste nel trattamento del tema della personificazione
dei mobili da parte dei due autori. In Savinio, è esplicito il fatto che i mobili antropomorfi siano
creature mitologiche: il poltrobabbo e la poltromamma sono definiti come ibridi generati dalla
fusione tra esseri umani e poltrone. Anche nei tre racconti presi in esame, gli oggetti prendono
vita con naturalezza, senza sforzo, e assumono un’identità propria, seppure a partire da una
situazione del tutto banale, come un trasloco (Paterni mobili), l’acquisto di un pianoforte
(Vecchio pianoforte) o una gita fuori porta (Casa «la Vita»). In Savinio, il tragico è ancora
possibile, anche se trova posto in un mondo borghese da cui non sembra che possa scaturire il
mito.56 Lo schema mitico si sovrappone a uno schema banale: in Casa «la Vita», ad esempio,
Aniceto è l’eroe che compie un viaggio di iniziazione alla conoscenza, esplorando gli scenari
della vita.57
In Nascita e morte della massaia, il mito non è possibile:: uscendo dal baule, la Massaia
ha rinunciato alla sua autenticità, rappresentata dalla capacità di vedere la realtà che la circonda
in maniera diversa dagli altri. Adattandosi alle convenzioni sociali del mondo borghese, la
protagonista ha perso il suo sguardo magico sul mondo, e ogni tentativo di recuperarlo è uno
sforzo immane e destinato al fallimento. In Masino, non sono i mobili a prendere vita, ma è la
Massaia a cercare barlumi di vita negli oggetti inanimati che la circondano.

56
SCHIANO, Gennaro, Humour noir, comicità e ironia. Alberto Savinio e il sublime cambiato di segno,
op.cit.;
57
GUGLIELMI, Guido, La lucerna di Psiche, op. cit., p. 193.

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Bibliografia

Fonti primarie

 MASINO, Paola, Nascita e morte della massaia, Milano, Isbn Edizioni, 2009;
 SAVINIO, Alberto, Autunno, in Alberto Savinio, Opere. Scritti dispersi. Tra guerra e
dopoguerra (1943-1952), a cura di Leonardo Sciascia e Franco De Maria, Milano,
Bompiani, 1989, pp. 829-832 (ed. orig. 19-20 novembre 1948, in “Corriere
d’informazione”);
 SAVINIO, Alberto, Casa «La Vita», in Casa «La Vita», Milano, Adelphi, 1988 (ed. orig.
1943, Milano, Bompiani), pp. 295-312;
 SAVINIO, Alberto, Paterni Mobili, in Tutta la vita, Milano, Bompiani, 1953 (ed. orig.
1945), pp. 127-136;
 SAVINIO, Alberto, Su una pittura chiamata I miei genitori, in “Lo smeraldo”, 30 luglio
1947;
 SAVINIO, Alberto, Tutta la vita, Milano, Bompiani, 1953 (ed. orig. 1945);
 SAVINIO, Alberto, Vecchio Pianoforte, in Achille Innamorato, Milano, Adelphi, 1993 (ed.
orig. 1938, Firenze, Vallecchi), pp.131-135.

Fonti secondarie
 BALDACCI, Paolo, Alberto Savinio. PENELOPE E ULISSE, 1945, in Opere d’Arte
Moderna e Contemporanea, catalogo dell’asta a cura di Porro & C. Art Consulting
(Milano, Palazzo Durini, giovedì 29 Novembre 2012), Segrate, Grafiche Milani, 2012,
http://porroartconsulting.it/content/download/147/605/version/3/file/Porro_asta_72.pdf,
visitato il 17-03-2015;
 FREUD, Sigmund, Il perturbante, in Sigmund Freud, Opere 1917-1923, Torino,
Boringhieri, 1977 (ed. orig. 1919, Das Unheimliche);
 GARBIN, Barbara, Paola Masino: from classic to modern fantastic, in «Forum Italicum»,
47, 3, September 2013, pp. 586-603;
 GUGLIELMI, Guido, La lucerna di Psiche, in La prosa italiana del Novecento. Umorismo
metafisica grottesco, Torino, Einaudi, 1986, pp.165-197;
 GUGLIELMI, Guido, L’Hermaphrodito di Alberto Savinio e la letteratura metafisica, in La
prosa italiana del Novecento. Umorismo metafisica grottesco, Torino, Einaudi, 1986, pp.
156-164;

14
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 MANETTI, Beatrice, Nascita e morte di una scrittrice. Per un ritratto di Paola Masino, in
«Paragone Letteratura», a. LX, terza serie, n. 81-82-83 (714-716-718), agosto-dicembre
2009, pp. 134-152;
 Poltrobabbo e poltromamma. I miei genitori di Alberto Savinio, di Charles Sala, Sandro
Dorna, http://www.allemandi.com/dett_libri.php?id=350, visitato il 20-03-2015;
 ROZIER, Louise, Nascita e morte della massaia: la ribellione e il surrealismo metafisico in
Louise Rozier, Il mito e l’allegoria nella narrativa di Paola Masino, Lewiston-Queenston-
Lampeter, The Edwin Mellen Press, 2004, pp. 123-143;
 SCHIANO, Gennaro, Humour noir, comicità e ironia. Alberto Savinio e il sublime cambiato
di segno, in Sublime e antisublime nella modernità, a cura di M. Paino, D. Tomasello, Pisa,
ETS, 2014, pp. 817-832.
https://www.academia.edu/7491901/Humour_noir_comicit%C3%A0_e_ironia._Alberto_S
avinio_e_il_sublime_cambiato_di_segno, visitato il 17-03-2015;
 SCHOPENHAUER, Arthur, Il mondo come volontà e rappresentazione , traduzione di Paolo
Savj-Lopez e Giuseppe De Lorenzo, Roma – Bari, Laterza, 1991.
http://www.liberliber.it/mediateca/libri/s/schopenhauer/il_mondo_come_volonta_e_rappres
entazione_1/pdf/schopenhauer_il_mondo_come_volonta_e_rappresentazione_1.pdf,
visitato il 17-03-2015;
 TINTERRI, Alessandro, Savinio e l’“Altro”, Genova, il melangolo, 1999;

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