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IL DIRITTO MATRIARCALE IN BACHOFEN

Alle origini dell’antropologia giuridica

di Stefano Berni

1. Mito e storia

È per certi versi banale segnalare, con alcuni critici, che anche
Johann Jakob Bachofen1, come del resto tutti gli storici, voglia mira-
re all’obiettività e a far parlare veramente gli antichi. Ogni storiogra-
fia, da quella positivistica a quella ermeneutica, mira a ricercare la
verità. Il problema non è ciò che desidera ogni storico onesto; nes-
suno dubiterebbe del fatto che un medico voglia la guarigione del
suo paziente. Il problema è un altro: è nel modo e nel metodo con
cui decidere di analizzare le fonti e di affrontare la conoscenza della
storia. Il metodo di Bachofen mira a privilegiare lo studio dei miti,
soprattutto perché il suo centro d’interesse è la religione, vista come
il fondamento di ogni civiltà. Ecco che il mito, secondo Bachofen,
svela e si associa perfettamente alle idee spirituali che occupano la
mente di un popolo. L’importanza del mito per l’analisi storica riap-
parirà tra gli antropologi solo dopo l’approfondimento dei lavori di
Frazer, Freud, Jung, Mauss, Durkheim, Lévi-Strauss e di altri: essi
ricercano le modalità del pensiero mitico e archetipico di una data
cultura, la sua psicologia collettiva. Dilegua la distinzione tra ragione
e mito; o meglio, il mito accompagna la ragione essendo essa stes-
sa un mito. «In Bachofen’s work, the methods of nineteenth-century
historical rationalism, and their critique exist side-by-side in a histo-

1
Johann Jakob Bachofen nasce in Svizzera nel 1815, si laurea in giurisprudenza a Berli-
no entrando in stretto contatto con Savigny. Per alcuni anni insegna diritto romano a Basilea.
Tiene anche la carica di giudice presso il Tribunale Penale della sua città. Poi si dedica inte-
ramente ai suoi studi e a numerosi viaggi. Muore a Basilea nel 1887. Sulla vita di Bachofen
sono da vedere: R. Garré, Fra diritto romano e giustizia popolare. Il ruolo dell’attività giudizia-
ria nella vita e nell’opera di J. J. Bachofen (1815-1887), Frankfurt a.M., Vittorio Klostermann,
1999 e L. Gossman, Basel in The Age of Burckhardt. A Study in Unseasonable Ideas, Chicago,
University of Chicago Press, 2000, in cui si rivela l’interesse precoce di Bachofen per la storia
e la filologia benché poi decida di laurearsi in Legge.

MATERIALI PER UNA STORIA DELLA CULTURA GIURIDICA


a. XLIII, n. 2, dicembre 2013 321
rical system that elides history and myths. His approach to history is
mythological and his approach to myth historical»2.
Il mito rivela l’impronta lasciata dal modello religioso: i miti, che
lo storico rinviene, sarebbero insomma le tracce della Weltanschau-
ung di un popolo. Già questo permetterebbe di inquadrare Bacho-
fen tra gli antropologi perché più interessato alla cultura di un po-
polo, al suo Geist, «al nucleo originario di ciò che gli uomini hanno
pensato»3, che alla descrizione di avvenimenti politico militari. Lo
studio dei miti diventa dunque il grimaldello per mezzo del quale
si accede alla conoscenza del grado di civiltà di un popolo; il mito
è il mezzo stesso di cui si serve lo storico per comprendere l’atteg-
giamento degli uomini, è il metodo che permette di costituire una
vera e propria storia dell’antropologia. Non importa che i miti non
raccontino ciò che è successo veramente. Spesso, potrebbero ap-
partenere a forme di credenze costruite dal potere. Nonostante ciò,
essi rivelerebbero per Bachofen la vera essenza storica di una civil-
tà. Laddove non arriva la storiografia, soccorre il racconto del mito:
«Confermata da precise prove storiche, la tradizione mitica deve es-
sere considerata autentica testimonianza dei tempi primordiali, del
tutto indipendente dall’influsso di fantasie arbitrarie»4.
La vita di un popolo si rivela attraverso il racconto dei suoi miti,
vere e proprie immagini del mondo, che risalgono dal patrimonio
collettivo fatto di creazioni poetiche, di idee e di credenze. Soltanto
in questo modo si è capaci di capire interamente la civiltà di un po-
polo; di esso occorre comprendere l’origine, il fine ma anche lo svi-
luppo perché «il principio di ogni sviluppo giace nel mito»5. E per

2
P. Davies, Myth, Matriarchy and Modernity. Johann Jakob Bachofen in German Culture,
1860-1945, Berlino-New York, Walter de Gruyter, 2010, p. 34. Secondo ���������������������������
Davies nella moder-
nità sarebbe inclusa una sorta di «nostalgia» per il passato. Il punto di vista razionalista e
patriarcale ricercherebbe il proprio fondamento nel mito del matriarcato.
3
C. Cesa, Bachofen e la filosofia della storia, in «Annali della scuola normale Superiore di
Pisa», s. 3, vol. XVIII, Pisa, 1988, pp. 621-642, p. 630. Scrive Bachofen all’antropologo ameri-
cano Lewis Morgan: «The task of the historian consists in showing the difference of what
has been once and what is now […]. German scholars especially follow another way. They
propose to make antiquity intelligible by measuring it according to the popular ideas of our
present days», lettera n. 308, in J.J. Bachofen, Gesammelte Werke, Briefe X, Basel, Schwabe,
1954, p. 508.
4
J.J. Bachofen, Das Mutterrecht, 1861, trad. it. Il matriarcato. Ricerca sulla ginecocrazia del
mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici, Torino, Einaudi, 1988, p. 8. Sul fondamento
antropologico del matriarcato sul quale riposerebbe la nostra civiltà, si vedano i lavori di P.
Legendre, in particolare, L’empire de la vérité. Introduction aux espaces dogmatiques industriels,
Paris, Fayard, 2001, in cui si richiama costantemente il pensiero di Bachofen.
5
Ivi, p. 11. Sul mito e del suo rapporto con il simbolo non si può che rimandare princi-
palmente a F. Jesi, I recessi infiniti del «Mutterrecht», in J.J. Bachofen, Il matriarcato, cit., pp.
XIII-XXXV e Id., Bachofen, Torino, Bollati Boringhieri, 2005. Sul panorama storico e sull’in-
fluenza che alcuni autori hanno esercitato su Bachofen a proposito dell’utilizzo del concetto

322
comprendere tale sviluppo occorre risalire a stadi sempre più remoti
rintracciando le forme e le strutture di una civiltà le cui regole si
fondano sul diritto familiare, sulla proprietà, sulla religione. Le ipo-
tesi di Bachofen «riguardano, dunque, la preistoria delle istituzioni»6.
Infatti, l’origine del mito permette di cogliere l’essenza di una etnia,
coincide con l’origine stessa della civiltà, laddove «la vita di un po-
polo non era ancora estraniata dall’armonia della natura»7. Bacho-
fen non approfondisce sufficientemente questo passaggio decisivo
all’interno del suo ragionamento. Si può, tuttavia, supporre che sia-
no proprio i simboli (nel significato letterale di «mettere assieme») a
connettere natura e mito, in quanto specie di rappresentazioni im-
mediate ma inconsce che emergono dagli stadi antichi delle civiltà,
così come avviene, per Freud, nella psiche, dalla quale il simbolo
emerge dall’inconscio, attraverso il sogno. Il mito interpreta i simbo-
li di una civiltà risalendo alle origini della storia fino a raggiungere il
punto di intersezione col naturale. «Il mito è pertanto un ‘Naturpro-
dukt’, nato come spontanea reazione mentale. In tal modo il mito
coglie con sicurezza la mentalità primitiva»8. È proprio la scoperta
dell’origine (Herkunft) intesa come tradizione, provenienza, clima e
suolo, ma anche come emergenza (Entstehung) di forze, di corpi, di
scontri, che permette al mito di conoscere veramente.
L’immagine della natura di Bachofen risente certamente del clima
romantico. La natura è insieme armonica ma anche tragica, è, in una
parola, sublime. «La natura non come passato della storia da supe-
rare e dominare, bensì come terreno da cui la storia sorge, sempre
di nuovo»9. Solo approfondendo quest’alternanza tra natura e sto-
ria si può intendere perché Bachofen inserisca, nell’origine, il diritto
materno, e perché «negli stadi più profondi e oscuri dell’esistenza
umana l’amore fra la madre e il nato del suo corpo rappresenti il

di mito si veda, P. Borgeaud, La mythologie du matriarcat. L’atelier de J.J. Bachofen, Ginevra,


Librairie Droz, 1999.
6
E. Cantarella, J.J. Bachofen: un capitolo nella storia dei rapporti tra le scienze sociali, in J.J.
Bachofen, Introduzione al «Diritto materno», Roma, Editori Riuniti, 1983, p. 8.
7
J.J. Bachofen, Il matriarcato, cit., p. 12. Sulla importanza delle immagini nell’estetica ba-
chofeniana si veda P. Conte, Mito e tradizione. Bachofen tra estetica e filosofia della storia, Mi-
lano, LED, 2009.
8
F. Graf, La materia come maestra. La teoria del simbolo e dei miti di Johann Jakob Ba-
chofen e i suoi presupposti storico-scientifici. Simbolo e mito in Bachofen, in «Quaderni di Sto-
ria», 28, 1988, p. 19. Sulla distinzione tra Herkunft e Entstehung si veda M. Foucault, Nietzs-
che, la généalogie, l’histoire, 1971, trad. it. Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del
potere, Torino, Einaudi, 1977. Sulla mentalità primitiva, il fondamentale testo di L. Lévy-Bruhl,
La mentalité primitive, 1922, trad. it., La mentalità primitiva, Torino, Einaudi, 1966.
9
G. Moretti, Heidelberg romantica. Romanticismo tedesco e nichilismo europeo, Bologna,
Cosmopoli, 1995, p. 103, a cui non si può che rimandare anche per comprendere il romantici-
smo di Bachofen inquadrato nella linea Herder-Görres-Creuzer-Grimm.

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punto luminoso della vita»10. La natura umana, lungi dal possedere
le caratteristiche delineate dal giusnaturalismo11, si presenta, almeno
come origine, con il legame più intimo: il principio (nel doppio sen-
so di inizio e di regola base) materno. L’origine è nel corpo natu-
rale della donna. Nel rapporto fondante tra madre e figlio si forma
il destino degli uomini, che si esplica e si riverbera in relazioni di
fratellanza e di uguaglianza, di fedeltà e di amore per la propria ter-
ra, di attaccamento alla propria comunità e alla propria tradizione,
ma anche si celano emozioni violente e ancestrali. Per tutti questi
motivi le società primitive e antiche, preelleniche, hanno elevato e
sacralizzato la Madre a divinità. E per questi motivi, la religione è
la sublimazione del rapporto madre-figlio e costituisce il fondamen-
to sociale di ogni comunità: «Vi è un’unica possente leva di tutte le
civiltà, la religione»12. L’umanità, all’inizio, è dominata interamente
dalla fede; dunque se ne deduce che «la civiltà ginecocratica dovette
portare con sé in modo particolare tale impronta ieratica, perché è

10
Ivi, p. 14.
11
Già in una prolusione intitolata, Das Naturrecht und das Recht geschichtliche in ihren
Gegensätzen, 1841, trad. it. L’opposizione tra diritto naturale e diritto storico, in J. J. Bachofen,
Diritto e storia. Scritti sul matriarcato, l’antichità e l’Ottocento, Venezia, Marsilio, 1990, Ba-
chofen prende le distanze dal diritto naturale considerato «valido per tutte le zone e per
tutte le epoche del mondo» (p. 45) a favore di un diritto storico empirico, capace di analiz-
zare e prendere in esame le varie civiltà e la loro evoluzione confrontandole con un metodo
storico-comparativo. Da cui risulta il riconoscimento di differenti tipi di consuetudini e leggi
rispetto per esempio al matrimonio, alla proprietà e così via. Egli inoltre mostra una partico-
lare attenzione «alle condizioni primitive del genere umano» e critica la teoria della perfezione
originaria dell’uomo e della sua eventuale degenerazione. Tuttavia, occorrerebbe capire se il
successivo Bachofen non consideri la scoperta del diritto materno come un vero e proprio
diritto naturale considerato certamente come un principio universale. F. Jesi, I recessi infiniti
del «Mutterrecht», cit., p. XXV, interpreta il principio materno come diritto naturale. A nos-
tro avviso, diversamente da Jesi, il diritto materno ci appare per certi versi molto lontano dal
diritto naturale inteso dal giusnaturalismo. Manca al primo l’aspetto razionalistico a favore di
un principio istintuale. Fassò lo avrebbe definito «giusnaturalismo naturalistico». Come scrive
Bachofen, Lebens-Ruckschau, 1854, trad. it. Retrospettiva di una vita, in Il Matriarcato, cit.,
«una sola legge governa tutte le cose, e che l’uomo primordiale organizzava e regolava la sua
esistenza terrena con la regolarità dell’istinto animale. Indagare questa caratteristica del più
antico pensiero, specialmente nell’ambito del diritto e della politica, è lo scopo di ogni studio,
di ogni attività letteraria. Io sono ora impegnato nel vero e proprio studio della natura» (p.
LXII). Di qui la simpatia per Ulpiano, che, come è noto, si riferiva alla natura umana, diver-
samente dallo stoicismo, intendendola come istinto animale.
Pertanto occorre fare attenzione a non sostenere, come qualcuno si è affrettato a con-
cludere, che la natura stessa sia, per Bachofen, mitica. I miti sono costruzioni culturali che
possono essere interpretati e compresi attraverso segni, simboli, immagini depositati su pietre
tombali, raffigurazioni o manufatti che esprimono e restituiscono l’immagine della natura. Mit-
ico è semmai proprio il diritto, in particolare, nel caso di Bachofen, quello materno. Ciò non
significa che il diritto, il mito e la natura non contengano, come segnala W. Benjamin, Zur
Kritik der Gewalt, 1920, trad. it., Per la critica della violenza, Roma, Alegre, 2010, elementi di
violenza, ora intesa come Macht (forza, potere) ora come Gewalt (violenza legalizzata).
12
J.J. Bachofen, Il Matriarcato, cit., p. 20.

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componente intima della natura femminile la profonda coscienza del
divino»13. Benché più debole fisicamente la donna è posta al centro
della società e può godere di un certo potere e influenza sulle deci-
sioni politiche, giuridiche e religiose. Tuttavia non dobbiamo inten-
dere il primato della donna sull’uomo come un momento inferiore o
degenerante. In realtà, il potere delle donne, «la ginecocrazia appare
come testimonianza del progresso della civiltà, fonte e garanzia dei
suoi benefici, necessario periodo di educazione dell’umanità e quindi
anche attuazione di una legge naturale valida per i popoli non meno
che per ogni singolo individuo»14. Anche il diritto poggia, infatti,
su questa concezione «sensuale-naturalistica» quasi che esso sgor-
ghi dalle profondità dell’inconscio. Il diritto materno si caratterizza
quindi, oltre che al richiamo alle emozioni, alla terra, ai sentimenti,
anche ai fenomeni naturali quali la caducità e la morte (e ai relativi
riti funebri), alla nutrizione e alla protezione del corpo. Per queste
ragioni la donna si è sempre occupata, secondo Bachofen, del suolo
e delle acque, della raccolta di bacche e frutta, e infine dell’agricol-
tura. In questo stadio, in cui la donna è posta al centro della società
e che Bachofen definisce col termine demetrismo (Demetra significa
proprio madre terra, Dea greca del grano), si scopre nelle varie civil-
tà l’uso del matrimonio monogamico.

2. L’eterismo

Prima dello stadio demetrico sono ravvisabili tracce di primordia-


li forme eteriche (eterismo) in cui i rapporti sessuali sono sregolati
e promiscui, è praticato l’incesto, e uomo e donna soddisfano im-
mediatamente l’impulso della natura, come accade tra i Massageti,
i Messineci, gli Ausi, i Garamanti15. Per Bachofen è evidente la ve-
ridicità di questo stadio iniziale, condiviso dalla maggior parte degli
antropologi a lui contemporanei (McLennan, Lubbock, Morgan) ma
è altresì evidente che una lotta tra maschi e femmine per accoppiarsi
non può giovare alla lunga alle donne che mirano ad una stabilità
familiare per accudire la prole: «La ginecocrazia si è ovunque affer-
mata e consolidata per la resistenza cosciente e continua della don-

13
Ibidem
14
Ivi, p. 27.
15
Bachofen riporta sull’eterismo una serie di testimonianze tratte da autori antichi come
Erodoto, Strabone, Plutarco in cui si narra delle vicende di antiche popolazioni dedite alla
promiscuità sessuale incluse l’omosessualità e l’incesto, e una serie di resoconti etnografici con-
temporanei provenienti dall’Asia e dall’Africa in cui si rivela il comportamento poliandrico;
insieme a una serie di riferimenti a miti.

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na contro l’eterismo che la umiliava»16. D’altronde lo stesso termi-
ne, matrimonio, farebbe intendere l’urgenza di custodire e difendere
i diritti in primo luogo della madre. Si badi, ammonisce Bachofen,
tutto ciò non significa che donne e uomini non tendano per natura
alla promiscuità. La battaglia per uscire dall’eterismo è stata lunga
e difficile. Vi sono stadi intermedi in cui si riconosce la resistenza
per emergere dallo stato paludoso dell’eterismo, come «la prostitu-
zione, che diventa una garanzia della castità matrimoniale», una sor-
ta di sopravvivenza dell’eterismo necessaria a far rispettare il vincolo
matrimoniale. Anche la conquista della dote nel diritto romano di
tipo patriarcale e il disprezzo per l’indotata sono un’ulteriore riprova
del conflitto tra vita eterica e vita demetrica entro cui «la dotazione
ebbe una parte molto importante». Infine lo ius primae noctis che ad
un certo punto appartiene solo al re, «un restringersi dell’eterismo,
che in precedenza era più esteso».
Il figlio nasce in una famiglia allargata in cui l’unica certezza è
la madre che è posta al centro della società, mentre la paternità è
incerta e il figlio può appartenere a più uomini, ai fratelli del padre
o all’intera comunità. A questo livello «la paternità è sempre una
finzione»17.
La sovranità e la proprietà sono trasmesse unicamente per via
materna. «Gli etiopi per esempio lasciano in eredità il regno non ai
propri figli, ma ai figli delle sorelle. Colui che di volta in volta è a
capo della tribù fa derivare il proprio diritto, come il Licio, non dal
padre ma dalla madre»18.
Il matrimonio è un vincolo ancora molto labile, i beni sono in
comune. Tuttavia è evidente che a capo della tribù risiede sempre
un uomo, anche se la sovranità si eredita per via femminile. Nella
fase dell’eterismo, infatti, non vi è ancora ginecocrazia.

3. Il culto demetrico

Nel demetrismo, come si è accennato, la donna acquista una cer-


ta rilevanza all’interno della società. Demetra simboleggia la Madre
terra; è quindi un’ipostasi che presenta un carattere fortemente re-
ligioso nell’elemento materno. Oltre a essere collegata all’agricoltura
e alla raccolta del grano «a Demetra viene attribuita l’origine non

16
Ivi, p. 29.
17
Ivi, p. 83.
18
Ivi, p. 84.

326
solo dei costumi e delle leggi ma anche della città»19 i cui limiti sono
considerati sacri e inviolabili. Su tutto ciò si fonda il diritto materno
che diventa ginecocrazia. Infatti, «alla successione ereditaria si ag-
giungono l’esclusione di ogni diritto dei discendenti maschi e la so-
vranità della donna sulla famiglia e sullo Stato»20. Il matrimonio di-
venta monogamico. Esso rappresenta per Bachofen un passo impor-
tante riguardo alla «vita animalesca brutalmente sensuale». La donna
regola, limita e disciplina la forza primordiale del maschio. Per que-
sto potere limitante rispetto alla tracotanza dei maschi, la donna ha
da sempre simboleggiato la giustizia. Vi è uno stretto legame fra giu-
stizia e lato femminile-naturale a cui si attribuisce tra l’altro il nume-
ro pari, in particolare il due: «Da ciò consegue che il diritto basato
sulla dualità equivale necessariamente alla legge del taglione, in cui il
crimine deve corrispondere alla punizione, e in cui la bilancia deve
restare in bilico finché i suoi due piatti non risultino in equilibrio
perfetto. Tutte le forme di questa giustizia dualistica sono costituite
dal contraccambio e dalla vendetta»21. Il diritto in questo momento
riproduce esattamente il movimento della natura che è contesa tra
due istanze opposte: vita e morte. Quest’ultima è parte della vita ma-
teriale che il diritto materno testimonia nel piangere i morti. La terra
stessa a cui si associa simbolicamente la maternità, richiama il senso
di giustizia. Perciò secondo Bachofen, come per Schmitt, il diritto
proviene dalla terra. La terra è Nemesi, al pari di nomos derivante
da nemein, che significa distribuire, assegnare. «A questa caratteristi-
ca si ricollega il concetto della distribuzione giusta ed equa»22. Infat-

19
Ivi, p. 322.
20
Ivi, p. 86.
21
Ivi, p. 301.
22
Ivi, p. 181. Ricordiamo che Schmitt conosce bene il pensiero di Bachofen citato nella
Prefazione a Der Nomos der Erde im Völkerrecht des Jus Publicum Europaeum, 1950, trad. it.
a cura di F. Volpi, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello jus publicum europa-
eum, traduzione e postfazione di E. Castrucci, Milano, Adelphi, 1998, p. 14; Id., Die Lage
der Europäischen Rechts-Wissenschaft, 1944, trad. it. La condizione giuridica europea, Roma,
Antonio Pellicani Editore, 1996, p. 67. Non è improbabile che Schmitt abbia tratto da que-
sto riferimento di Bachofen spunti per la sua teoria. Bachofen prosegue definendo il termine
‘Nemesi’ come derivato dal greco némein (distribuire, assegnare). Qui egli scorge «l’idea del
dare e dell’attribuire, anzitutto nel senso puramente fisico del generare proprio della terra», da
cui segue il senso di giustizia: Nomos. Come sottolinea perfettamente E. Castrucci, Convenzio-
ne, forma potenza. Scritti di storia delle idee e di filosofia giuridico-politica, II, Milano, Giuffrè,
2003, in Schmitt «la terra possiede allora un chiaro carattere: essa è madre del diritto inteso
come misura dell’agire materiale, e non già mera legge, atto di posizione o regola normativa»
(p. 808). Sul legame tra nemesis e Nomos si veda A. Jellamo, Il cammino di Dike. L’idea di
giustizia da Omero a Eschilo, Roma, Donzelli, 2005. Su una opposta interpretazione del con-
cetto di Nomos si veda G. Semerano, L’infinito: un equivoco millenario. Le antiche civiltà del
vicino Oriente e le origini del pensiero greco, Milano, Mondadori, 2004, secondo il quale No-
mos significherebbe semplicemente parola, il nome che si dà alle cose. Di qui Nomos basileus,
il re che può parlare, colui che detiene il linguaggio, che e-mette, nel senso vocale, le leggi.

327
ti, in questa fase Bachofen constata, come farà anche Morgan, una
certa uguaglianza di diritti, una sorta di democrazia, perché la ma-
dre tende a dividere e a distribuire equamente tra i figli i frutti del
raccolto. «In tutti questi aspetti si rivela la peculiarità di quello ius
naturale fondato sulla preminenza della Madre e saldamente ancora-
to all’eguaglianza naturale di tutti i membri del popolo»23. La donna,
in questo stadio, può deliberare e decidere sulla vita della comunità.
Inoltre la donna decide autonomamente chi sposare. Dopo il matri-
monio sarà il maschio a doversi trasferire nel villaggio della moglie.
La moglie può decidere di divorziare liberamente.
Bachofen evidenzia la psicologia diversa tra uomo e donna.
Quest’ultima anticiperebbe, rispetto all’uomo, lo sviluppo psico-fisi-
co e psico-storico, dovendosi occupare rapidamente della prole. «Da
questo punto di vista la creazione della ginecocrazia appare come il
primo grande passo nell’educazione del mondo»24.
Ciò non significa che l’uomo in questa fase abbia perso il suo
carattere aggressivo e cavalleresco. Anzi, vi sarebbe una stretta con-
nessione tra ginecocrazia e potere militare maschile. Proprio tra quei
popoli votati alla guerra la donna può dedicarsi ad amministrare la
casa, i bambini, i beni e lo Stato. Scrive Bachofen: «La caccia, le
scorrerie e la guerra occupano interamente la vita dell’uomo e lo
tengono lontano dalla donna e dai figli. Alla donna restano affida-
ti la famiglia, i carri, il gregge, gli schiavi. Da questa funzione della
donna derivano la sua sovranità e il suo diritto esclusivo di succes-
sione ereditaria»25. Essa, infatti, eredita il patrimonio e i maschi ne
sono esclusi.

4. L’amazzonismo

Al culto demetrico risponde dialetticamente, quasi come un ri-


torno al culto afroditico dell’eterismo, il culto dionisiaco. Bachofen
lo definisce «il sistema materno dionisiaco»26. In esso si rilancia la
sensualità della donna in una forma però più alta rispetto alla civiltà

M. Cacciari, Geofilosofia dell’Europa, Milano, Adelphi, 2003, p. 110, analizza invece l’intreccio
tra Nemesis (dea della giustizia vendicatrice e distributiva) e Nomos, insistendo sul carattere
teologico politico o divino del diritto. Su una ricostruzione del concetto di Nomos nell’antica
Grecia, E. Stolfi, Introduzione allo studio dei diritti greci, Torino, Giappichelli, 2006.
23
Ivi, p. 246. Ius naturale che per Bachofen è stato riconosciuto nel suo corretto significato
soprattutto da Ulpiano. Si veda ivi alle pp. 311-313.
24
Ivi, p. 158.
25
Ivi, p. 97.
26
Ivi, p. 559.

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afroditica, segnando anche il passaggio tra Oriente e Occidente e tra
diritto materno e diritto paterno. Si segnala quindi un progresso, ma
«tale progresso nella sensualizzazione dell’esistenza coincise ovunque
con la dissoluzione dell’organizzazione politica e con la decadenza
della vita statale»27. Dioniso favorirebbe pertanto il principio demo-
cratico all’interno del quale la donna reagisce al potere maschile. In
questa situazione, e prima della definitiva vittoria da parte del princi-
pio apollineo, essa prova ad impossessarsi del potere degenerando in
quel fenomeno conosciuto come amazzonismo, in cui la donna tende
ad imitare l’uomo e a sostituirlo nel ruolo dominante. In un primo
tempo, ancora nella fase demetrica, le donne attuano lo sterminio
dei maschi, come succede sull’isola di Lemno o si racconta nel mito
delle Danaidi. «Ma questo supremo trionfo segna anche la degene-
razione massima. Tale statura eroica non si confà alla donna. Il mito
ha evidenziato che la massima estrinsecazione della ginecocrazia ave-
va in sé le radici della propria decadenza»28. Così, successivamente,
nel momento in cui si attua il culto dionisiaco, «le donne bellicose,
già scese in battaglia contro Dioniso, divengono ora la schiera eroi-
ca e irresistibile del dio»29. Da una forma di amazzonismo demetrico
disciplinare e militare ad imitazione dell’uomo, si passa ad un amaz-
zonismo dionisiaco che, grazie al contatto continuo con il nuovo
culto, riconduce la donna al suo primigenio stato naturale «che ha
per modello la spontaneità della vita della natura». Il secondo tipo
di amazzonismo, per il giurista svizzero, è uno stadio necessario che
fungerebbe da transito e condurrebbe successivamente all’edificazio-
ne di città stabili: «La legge dello sviluppo umano implica necessa-
riamente questo passaggio dalla vita nomade allo stanziamento do-
mestico il quale corrisponde in modo particolare alla tendenza della
natura femminile»30.

5. Il culto dionisiaco

Dopo l’amazzonismo e grazie ad esso sarà così possibile per


l’umanità dedicarsi più serenamente a rafforzare intere città eret-
te intorno al focolare domestico. All’interno del culto di Dioniso si
assisterà al definitivo affossamento dell’amazzonismo e avremo una

27
Ivi, p. 38.
28
Ivi, p. 213.
29
Ivi, p. 36.
30
Ivi, p. 42.

329
«ginecocrazia dionisiaca»31. In tutti i racconti analizzati da Bachofen,
a partire dalle Baccanti di Euripide, Dioniso è seguito dalle donne,
le rappresenta, ha natura effeminata ed ermafrodita. Insomma, «in
tutte queste manifestazioni si presenta la medesima idea: Dioniso si
è rivelato anzitutto alla donna»32. Dioniso è «in primo luogo il dio
delle donne». Egli le conduce su un piano morale più elevato rispet-
to all’amazzonismo. Nell’amazzonismo la donna reprime la propria
femminilità; ma con la presenza costante di Dioniso essa riesce ad
esprimere la propria sessualità. «In tal modo all’esistenza femminile
viene impresso un orientamento di carattere sempre più sensuale-ma-
teriale, che tuttavia recava l’impronta dell’ispirazione religiosa»33. La
religione dionisiaca promuove la pace, la vita raffinata, la sensualità.
Si raggiunge un equilibrio psico-fisico in cui però il rischio di rica-
dere nella corruzione o nel decadimento morale è sempre possibile.
Ogni momento democratico può rischiare di cadere, come ricorda
anche Platone, nella Tirannide.
Dioniso rappresenta il principio che accelera il passaggio dal ma-
triarcato al patriarcato. Il culto dionisiaco funge da ponte e da me-
diatore, collegando questi due estremi. Esso ha imposto la virilità
fallica alla donna consentendo a lei e a tutta l’umanità di muover-
si e progredire. Tuttavia con Dioniso siamo ancora in uno stadio in
cui la paternità è quella materiale sessuale della procreazione. «Una
vittoria completa e duratura sul principio materno viene raggiunta
soltanto in questo stadio supremo della religione apollinea»34. Dioni-
so permane in uno stadio mediano il cui l’ordine psichico è di tipo
lunare e non solare, lunare in quanto simbolo dell’ambiguità, della
luce riflessa, del principio femminile, mentre il sole rappresenta la
spiritualità, la forza, il potere maschile.

6. Il diritto paterno

Nelle città, lentamente ma inesorabilmente, il primato del diritto


materno si ritira a favore del principio maschile e paterno. Si assiste
pertanto ad un salto, ad un superamento completo rispetto al diritto
materno. Il diritto paterno si caratterizza per l’egemonia spirituale, so-
lare rispetto al carattere ctonio, tellurico del principio femminile. È il
passaggio dal principio dionisiaco a quello apollineo. «I due stadi in-

31
Ivi, p. 593.
32
Ivi, p. 601.
33
Ivi, p. 609.
34
Ivi, p. 618.

330
feriori, ossia quello tellurico-materno e quello fallico-dionisiaco, sono
insieme superati e perfezionati»35 dal principio paterno. Paradigmatico
ai fini del passaggio è il racconto del matricidio di Oreste (ma anche
del racconto di Edipo Re di Sofocle e dello Ione euripideo) nel mito
descrittoci da Eschilo; e anche Euripide mostra l’antico diritto rappre-
sentato dalle Erinni e da Clitemnestra in opposizione alla superiorità
del diritto paterno del dio Apollo. Sulla base del vecchio diritto ma-
terno Oreste sarebbe stato condannato a morte per aver ucciso sua
madre. Invece viene assolto di fronte al primo tribunale formalmen-
te eletto, perché il suo gesto è avvenuto per vendicare l’assassinio del
padre da parte di sua madre, Clitemnestra. Per il nuovo diritto pa-
terno, che si sta concretizzando, l’azione di Oreste è comprensibile e
giustificata. Ormai «alla divinità della madre segue quella del padre,
alla signoria della notte quella del giorno, alla preminenza del lato si-
nistro quella del destro»36, e proseguendo in questo gioco di oppo-
sti: alla materia segue lo spirito, al buio la luce, alla terra e all’acqua
il fuoco e l’aria, all’inconscio la coscienza, alla comunità l’individuo,
al globo terrestre e alla luna il sole, alla natura la cultura, alle emo-
zioni e ai piaceri la ragione, al corpo l’anima, ad Afrodite e Demetra
Dioniso e Apollo, alla promiscuità la monogamia, all’Oriente l’Oc-
cidente, al molteplice l’unità, al finito l’infinito, al pari il dispari, al
basso l’alto, alla tradizione il progresso, al diritto consuetudinario il
diritto formale, allo ius naturale lo ius civile, al posto della vendetta
del sangue il procedimento giudiziario37, alla democrazia l’imperium.
Con il sorgere del diritto paterno si assiste al declino del diritto
materno, della ginecocrazia matrimoniale e ovviamente dell’amazzo-
nismo. In Grecia, Apollo simboleggia in ogni mito, da quello di Te-
seo a quello di Oreste, tale diritto paterno. Associato alla luce del
Sole, alla Ragione e alla forza, egli primeggia e illumina sia la terra,
simbolo femminile, sia la luna, simbolo di un dio sensuale e mate-
riale come Dioniso. Con il diritto paterno apollineo si pone la so-
vranità maschile al centro dello sviluppo in Occidente. «La potestas
del marito fu ad Atene e a Roma fondamento e premessa necessaria
dell’imperium dello stato»38.
Il diritto paterno, per la sua natura simbolica più spirituale ed
elevata rispetto al diritto materno, coincide con un superiore svilup-
po religioso dell’umanità. Infatti, se «la donna incarna la funzione

35
Ivi, p. 639. Qui sarebbe da osservare l’opposizione con la tesi di Nietzsche per il quale il
dionisiaco proprio per il suo carattere sensuale risulta superiore all’apollineo in quanto avreb-
be raggiunto un equilibrio perfetto, in particolare durante il periodo greco.
36
Ivi, p. 45.
37
Ivi, p.133.
38
Ivi, p. 143.

331
della terra, anzi è la stessa materia terrestre»39, perché la terra sim-
boleggia il ventre che partorisce l’umanità, l’uomo è colui che fe-
conda la terra stessa, è il principio immateriale. «Il trapasso dal di-
ritto materno a quello paterno coincide con un superiore sviluppo
religioso dell’umanità: è il progresso dal principio materiale a quello
intellettuale, da quello fisico a quello metafisico»40. In questa subli-
mazione si passa da un diritto femminile, che è «l’epoca della ven-
detta di sangue e dei sacrifici umani cruenti», all’epoca «del diritto
paterno che è invece quella del tribunale, dell’espiazione, del culto
incruento»41. È anche il passaggio da un diritto privato di famiglia
ad un diritto pubblico formale e statuale.
Per dissipare ogni parvenza di contraddizione, che alcuni inter-
preti avrebbero rilevato nel pensiero bachofeniano circa la natura
femminile, bisogna ricordare che tra il passaggio del diritto materno
a quello paterno si interpone l’amazzonismo, che, rispetto al deme-
trismo, appare in tutta la sua luce più violenta. Si può dire, dunque,
che vi è una circolarità degli opposti maschio-femmina, che consen-
te ogni volta il progresso su un piano superiore, fino a raggiungere
lo stadio apollineo in cui «la donna trova la sua pace soltanto nella
bellezza spirituale dell’uomo»42. Come mette bene in luce Annamaria
Rufino «la filosofia della storia e l’analisi sociologica bachofoniane si
soffermano non sulla contrapposizione di gruppi dominanti, ma su
un dualismo di specie – la divisione dei sessi come costante indivi-
duazione dei rapporti sociali»43.
Lo stadio paterno si concretizzerà principalmente a Roma la cui
forza consiste proprio nel rimuovere la concezione fisico-naturale a
favore di un diritto formalizzato, pubblico, dipendente da un gover-
no centralizzato, retto da un potere teologico-politico. Secondo Ba-
chofen non dobbiamo ingannarci nel vedere il diritto naturale per-
seguito dai Romani come un concetto che rimanda al diritto mater-
no. Il fatto è, sostiene Bachofen, che lo ius naturale «diviene ormai
una parte dello stesso diritto civile e viene inglobato da quest’ultimo
come una sua componente»44 e viene visto all’interno di una nor-

39
J.J. Bachofen, Il diritto materno, cit., p. 116.
40
Ivi, p. 117.
41
J.J. Bachofen, Il matriarcato, cit., p. 166.
42
Ivi, p. 235.
43
A. Rufino, Diritto e storia. J.J. Bachofen e la cultura giuridica romantica, Napoli, ESI,
2002, p. 10. Rufino chiarisce bene l’importanza per Bachofen della «comunità» organica e reli-
giosa rispetto alla società conflittuale; individua anche l’influenza che scienze come l’archeolo-
gia e la filologia possano aver esercitato sul giurista svizzero.
44
J.J. Bachofen, Il matriarcato, cit., p. 345. Lo stesso ius gentium, sostiene Bachofen in
Diritto naturale e diritto storico, cit., «non si fonda su un concetto intellettuale astratto, ma su
un’idea puramente storica» (p. 54).

332
ma superiore, più spirituale. Il diritto naturale non è più concepi-
to come espressione di una natura puramente animale ma inquadra-
to all’interno di una cornice spirituale e razionale che troverà il suo
prodotto finale nel Cristianesimo. Il diritto paterno ricerca una fra-
tellanza superiore, spirituale, rispetto alla fratellanza fisica tipica del
diritto materno. Dio-Padre si erge come il principio della paternità
spirituale che si «fonda sulla disgregazione del materialismo, anziché
sul perfezionamento o sulla graduale purificazione»45. Vi sarebbe in-
somma un abisso incolmabile tra questi due opposti sistemi, quello
materno e quello paterno, quello preellenico e quello cristiano. Ba-
chofen lo riaffermerà con convinzione: «Il mondo cristiano non è
l’evoluzione del mondo antico e della sua concezione della materia,
ne è piuttosto la distruzione»46.
La spiritualità e l’astrazione razionale di tipo paterno si ricono-
scono: nella couvade, in cui i maschi fingono di generare un figlio,
imitando la compagna che nello stesso momento sta partorendo, al
fine di impadronirsi definitivamente del potere; nell’invenzione della
adozione, in cui l’uomo in molte tribù decide di educare un figlio
anche non suo, compito che non spetta alla madre (a Roma vi era
l’impossibilità di adozione da parte della donna e ciò dimostrerebbe
l’instaurazione del rapporto filiale sulla base della sola volontà spiri-
tuale); nel testamento del diritto romano in cui il testatore è libero
di scegliere, entro certi limiti, i suoi eredi. Invece, nel diritto mater-
no si eredita il possesso materiale dei beni e «l’ultimo possessore ha
tutta una serie di predecessori, nessuno ha un successore»47.

45
Ivi, p. 880.
46
J.J. Bachofen, Die Grundgesetze der Völkerentwicklung und der Historiographie, 1951,
trad. it. Le leggi della storiografia, Napoli, Guida, 1999, p. 40. Chi mette bene in luce l’impor-
tanza fondamentale del cristianesimo e della «vision chrétienne de l’histoire que se rattache à
la tradition philosophique allemande par Lessing, Herder, Kant et Hegel, penseurs pour les-
quels l’histoire est ouvre de Dieu» è P. Borgeaud, La mythologie du matriarcat, cit., p. 147.
47
J.J. Bachofen, Il Matriarcato, cit., p. 367. Bachofen, ricordiamolo, è laureato in di-
ritto romano e inizia a scrivere una Storia dei Romani mai conclusa, di cui una parte esce
nel 1850 ed è scritta insieme al suo maestro e amico Franz Gerlach (1793-1876), ma la sua
concezione diverge rispetto alle posizioni dei suoi contemporanei in particolare con quella di
Theodor Mommsen (1817-1903) la cui Storia di Roma era stata pubblicata nel 1854. Per Ba-
chofen, Mommsen non coglie l’aspetto essenziale del popolo romano, ossia la sua religiosità,
e proietta sulla storia romana il punto di vista del presente, non storicizzando. Vi è inoltre
una forte critica alla pandettistica e alla razionalizzazione del diritto romano. Per una chiara
puntualizzazione del problema si veda: M. Fiorentini, Bachofen tra pandettistica e filologia, in
«Annali della scuola normale Superiore di Pisa», s. 3, 1988, vol. XVIII, 2, pp. 727-747. Ma
anche C. Lanza, Bachofen e il diritto, in «Annali della scuola normale Superiore di Pisa», s.
3, 1988, vol. XVIII, 2, pp. 770-801. Infine, Mommsen non crede, diversamente da Bachofen,
all’influenza diretta degli Etruschi e dell’Oriente su Roma. Invece per Bachofen anche Roma è
sorta, per così dire, da elementi matriarcali in quanto contaminata dalle popolazioni italiche,
in particolare Etruschi e Sabini, fortemente incentrati sul principio materno. Sulla vicenda, A.
Momigliano, Bachofen tra misticismo e antropologia, in von K. Christ-A. Momigliano, a cura

333
7. Savigny e Bachofen

Si potrebbe facilmente constatare che il pensiero bachofeniano ri-


sente in larga misura dell’idea progressiva ed evoluzionistica ottocen-
tesca48. Vi sono indubbiamente per Bachofen delle tappe che preve-
dono una crescita spirituale del genere umano. Nella più volte citata
prolusione giovanile, Diritto naturale e diritto storico Bachofen os-
serva: «La concezione storica interpreta dunque ogni periodo come
un miglioramento, come un progresso nella realizzazione e nella rap-
presentazione della legge razionale, situata come ultima meta dello
sviluppo»49.
Qualche dubbio sull’evoluzionismo (che non va ovviamente inte-
so in senso darwiniano) è sollevato invece da Luigi Capogrossi Colo-
gnesi che rileva la profonda ambivalenza nei confronti del matriarca-
to e il «tono di insuperabile nostalgia verso l’originaria età dell’oro,
coincidente con l’immagine positiva della maternità arcaica»50. In ef-
fetti, come avverte con acutezza il giurista romano, nel Matriarcato
Bachofen accenna appena al diritto paterno come se fosse dato per
scontato e conosciuto. E tuttavia anche per Capogrossi Colognesi
non si può negare, in un quadro riferito all’antropologia, di ricono-
scere in Bachofen, una prospettiva, lato senso, evoluzionistica.
A noi sembra piuttosto che in Bachofen vi sia una ciclicità di
eventi che conducono ora ad un progresso ora ad un regresso. Que-
sto permetterebbe di spiegare che in un certo tratto della storia si
può notare una crescita spirituale continua e lineare, che avrebbe
condotto dal paganesimo al cristianesimo, dal diritto materno al di-
ritto paterno, dalla materia allo spirito, e poi delle cadute che segne-
rebbero una discontinuità col passato. Su questo punto, ci sembra
abbia ragione Evola: «Il Bachofen in alcuni punti delle sue opere ha
presentito l’esistenza di leggi cicliche, in forza delle quali alla fine di

di, L’Antichità nell’Ottocento in Italia e Germania, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 99-118 e Id.,
From Bachofen to Cumont, in Nono contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico,
Roma, 1992, pp. 593-607; anche L. Gossman, Orpheus Philologus: Bachofen versus Momnsen
on the Study of Antiquity, Philadelphia, The American Philosophical Society, 1983.
48
E. Cantarella, Introduzione, in J.J. Bachofen, Il potere femminile, Milano, Mondadori,
1992, p. 10. Ma anche L. Capogrossi Colognesi, Modelli di stato e di famiglia nella storiografia
dell’800, Roma, La Sapienza, 1997, in particolare il primo capitolo intitolato significativamen-
te: Dallo storicismo all’evoluzionismo in cui inserisce anche il pensiero di Bachofen (pp. 24-26).
49
J.J. Bachofen, Diritto naturale e diritto storico, cit., p. 57. Al diritto naturale e al diritto
positivo bisogna insomma contrapporre un diritto storico. Si veda A. Cesana, L’antico e il nuo-
vo Stato. La critica del moderno, in «Quaderni di Storia», 28, 1988, pp. 89-103.
50
L. Capogrossi Colognesi, Dalla storia di Roma alle origini della società civile, Bologna, Il
Mulino, 2008, p.128.

334
un dato sviluppo certe forme involutive e degeneranti rappresentano
quasi un ritorno indietro nello sviluppo complessivo»51.
Ricostruire le vicende biografiche che lo hanno condotto a tale
risultato, è impresa ardua e forse inutile. Oltre allo spirito del tempo
Bachofen è certamente influenzato dalla lettura di Giovan Battista
Vico, dai romantici tedeschi primi fra tutti Goethe e Schelling, dalla
scuola storica di Savigny, dall’idealismo di Fichte ed Hegel. Indub-
biamente però in Germania si presentano almeno due tipi di roman-
ticismo paralleli ma opposti: quello idealistico-razionalistico di tipo
hegeliano e quello «mistico» entro cui Croce52 pone, insieme a Creu-
zer, Görres, Müller, Grimm, anche il pensiero di Bachofen.
Per alcuni Bachofen risulterebbe un pensatore che si pone ad
«una distanza abissale da Hegel»53. Soprattutto perché riceve in ere-
dità l’insegnamento del suo maestro Savigny. E come ci spiega Schia-
vone, agli occhi di Hegel sono «falsi fratelli e falsi amici Savigny e la
sua scuola»54. Soprattutto perché Savigny dedica un’ampia attenzione
ai differenti ed eterogenei diritti consuetudinari, che vanno rispetta-
ti nella loro diversità e qualche volta nella loro incommensurabili-
tà. «La legge poteva solo rendere esplicita una norma già esistente.
Le convinzioni giuridiche erano radicate nel popolo»55. Basta leggere
il suo importante scritto, La vocazione del nostro tempo per la legi-
slazione e la giurisprudenza per accorgersi della polemica contro il
preteso universalismo dei codici. Bachofen sarebbe savignyano nella
misura in cui «si accentui la componente storica a scapito di quella
sistematica che pure, nel pensiero savignyano, costituiva un’inscindi-

51
J. Evola, Introduzione a J.J. Bachofen, Le madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia
segreta dell’antico mondo mediterraneo, Roma, Edizioni due C, 1973, p. 15.
52
B. Croce, Bachofen e la storiografia afilologica, in Id., Varietà di storia letteraria e civile,
Bari, Laterza, 1935, p. 303.
53
G. Moretti, Presentazione, in J.J. Bachofen, Il Matriarcato. Storia e mito tra Oriente e
Occidente, Genova, Marinotti, 2003, p. 9. Dello stesso parere A. Rufino, Diritto e storia, cit.,
p. 39 per la quale «in Savigny il diritto è storico ma non hegelianamente razionale». Chi in-
vece considera Hegel come colui che «ha fondato l’interesse di Bachofen e di Morgan per il
problema del matriarcato» è M. Horkheimer, Studi sull’autorità e la famiglia, Torino, UTET,
1974, p. 63, soprattutto in relazione al conflitto tra famiglia e autorità, tra comunità e Stato,
tra femminilità, incarnata nella figura di Antigone, e mascolinità, incarnata da Creonte così
come viene sviluppata nella Fenomenologia dello spirito ma anche nell’Estetica.
54
A. Schiavone, Alle origini del diritto borghese. Hegel contro Savigny, Roma, Laterza,
1984, p. 53. Id., La nascita del pensiero giuridico borghese in Germania. Formalismo della legge
e formalismo della libertà nella polemica di Hegel con Savigny, in «Quaderni fiorentini. Per una
storia del pensiero giuridico moderno», 9, 1980. Si veda anche G. Marini, Il rapporto Savigny-
Hegel nella storiografia recente, in «Quaderni fiorentini. Per una storia del pensiero giuridico
moderno», 9, 1980, in cui si elencano le ricostruzioni critiche della relazione tra il filosofo e il
giurista.
55
E. Cantarella, Introduzione, in J.J. Bachofen, Il potere femminile, cit., p. 19.

335
bile unità con quella storica»56. Diversamente da Hegel, come rileva
ancora Schiavone, Savigny sviluppa un «formalismo spontaneo non
dialettico». È questa la lezione di Savigny che convince l’allievo di
Basilea.
Chi si rende conto dell’importanza del lavoro su citato di Savigny
per il pensiero bachofeniano è Carl Schmitt. Nel saggio La condizio-
ne della scienza giuridica europea, il giurista tedesco affronta il saggio
di Savigny e lo pone al vertice della scienza giuridica: se è vero che
Savigny riconosce il diritto romano come minimo comune multiplo
e matrice dei diritti europei, egli riconosce altresì che il diritto ro-
mano ha contaminato e modificato in modi diversi i diritti delle na-
zioni europee. Inoltre, il diritto romano non può fornire una tecnica
al presente, come ha preteso di sostenere il positivismo giuridico; né
il presente può proiettare sul diritto romano la concezione attuale.
Esso va inquadrato piuttosto nella sua storicità e molteplicità inse-
rendolo all’interno di un diritto vivente e riconoscendo i differenti
diritti consuetudinari sviluppati da ciascun popolo. Secondo Schmitt,
nella concezione savignyana, «il vero diritto non è posto, bensì sorge
in un’evoluzione involontaria»57. Il diritto è dato e non sancito. Esso
però oggi ha perduto il riferimento al suolo natio, e il pensiero di
Savigny non è stato colto pienamente. Ma chi ha afferrato «il pro-
cesso di sviluppo» della scienza indicata da Savigny è proprio Ba-
chofen: «L’autentico erede di Savigny nel XIX secolo non è stato né
Puchta né Ihering, bensì Johann Jakob Bachofen»58. E nel Nomos
della terra scrive: «Molto più profondo di quello con la geografia è il
legame con le fonti mitiche del sapere storico-giuridico. Esse ci sono
state rese accessibili da Johann Jakob Bachofen. Bachofen è il legit-
timo erede di Savigny. Egli ha sviluppato, rendendolo infinitamente
fruttuoso, ciò che il fondatore della scuola giuridica storica intende-
va per storicità»59.

56
M. Fiorentini, Bachofen tra pandettistica e filologia, cit., p. 731.
57
C. Schmitt, La condizione giuridica europea, cit., p. 67. Su tale lezione di Schmitt si veda
L. Garofalo, Carl Schmitt e la «Wissenschaft des römischen Rechts». Saggio su un cantore della
scienza giuridica moderna, in Id., Giurisprudenza romana e diritto privato europeo, Padova, Ce-
dam, 2008, pp. 57-96. L’insegnamento savignyano di una storia intesa come vita sarebbe alla
base del pensiero di Bachofen anche per A. Baeumler, Von Winckelmann zu Bachofen, 1926,
trad. it. Da Winckelmann a Bachofen, in A. Baeumler-F. Creuzer-J.J. Bachofen, Dal simbolo al
mito, vol. 1, Milano, Spirali, 1983, p. 121. R. Treves, Introduzione alla sociologia del diritto,
Torino, Einaudi, 1977, riconosce in Savigny l’iniziatore della scuola storica che indirizzerà i
giuristi allo studio del diritto primitivo essendo il diritto «un fatto di formazione spontanea e
naturale che vive nella coscienza popolare» (p. 10) opposto alla costruzione razionale di tipo
giusnaturalistico.
58
Ivi, p. 73.
59
C. Schmitt, Il Nomos della terra, cit., p. 14. Anche nel carteggio con Armin Mohler, C.
Schmitt, Briefwechesl mit einem seiner Schüler, Berlin, 1995, p. 407, scrive che «se il tempo

336
Più articolato il ragionamento di Roy Garré che non condivide
l’atteggiamento entusiastico di Schmitt. Egli scrive che, per certi ver-
si, «Bachofen può apparire più savignyano dello stesso Savigny»60.
Per altri, «diventa arduo definirlo come savignyano». Alla base vi
sarebbe un «malinteso». Bachofen avrebbe spogliato progressiva-
mente il nucleo delle ricerche giuridiche savignyane per rintracciare
il nocciolo teologico sacrale presente nel diritto romano e non solo.
Se questo richiama il motto savignyano di risalire alle radici ultime
delle cose, con ciò si perde la veste empirico induttiva di stampo ba-
coniano a cui Savigny teneva. Insomma, il mito e la natura divente-
rebbero, per Garré, un punto virtuale, metafisico. Né vale analizzare
l’autobiografia di Bachofen61 (scritta in verità un po’ troppo presto,
siamo nel 1854) in cui ci richiama esplicitamente al pensiero del ma-
estro, in quanto Bachofen si rivolge a Savigny come destinatario e
su commissione dello stesso. Garré riconosce che, diversamente da
Savigny e più di Savigny, Bachofen è sensibile al diritto comparato:
«Questo genere di comparativismo, pragmatico e funzionale non te-
meva di abbattere le angustie frontiere della pura romanistica»62 e
condurrà alla relazione sempre più intensa con l’antropologia e con
gli autori, più sensibili allo studio dei diritti extraoccidentali, come
Morgan e McLennan. Invece Savigny mostrerebbe una «fonda-
mentale indifferenza nei confronti degli sforzi comparativi del suo
allievo»63. Infine, per Garré, benché entrambi rifiutino la codificazio-
ne, l’interesse per il diritto in Bachofen sarebbe rivolto allo studio
storico-antiquario, mentre quello di Savigny si rivolgerebbe ad un
organico progetto sistematico di diritto positivo.
Eppure, anche per il giovane Bachofen, come per Savigny, i po-
poli si mescolano, si fecondano e si contaminano a vicenda, come
accade, oltre che per il diritto, anche per la lingua. Fondamentale

glielo avesse concesso, gli rimanevano da portare a termine tre compiti: Daubler, Bachofen,
Donoso Cortés». La frase è riportata in italiano nell’articolo di Antonio Gnoli e Francesco
Volpi, in «La Repubblica», 12 ottobre 1996. Ringrazio Tommaso Gazzolo a cui devo la seg-
nalazione.
60
R. Garré, Fra diritto romano e giustizia popolare, cit., p. 53.
61
J.J. Bachofen, Retrospettiva di una vita, cit.
62
R. Garré, Fra diritto romano e giustizia popolare, cit., p. 168. Di parere opposto invece è
la conclusione di A. Rufino, Diritto e storia, cit., perché proprio la ricerca dell’universale por-
terebbe Bachofen a supporre che «per comprendere pienamente le epoche primitive è necessa-
rio liberarsi della tendenza alla comparazione» (p. 78). Se in Bachofen vi è comparazione è per
rintracciare e dimostrare che ogni civiltà potrebbe o dovrebbe attraversare sempre gli stessi
stadi successivi. Insomma, come scrive U. Wesel, Der Mythos vom Matriarchat (1980), trad. it.
Il mito del matriarcato. La donna nelle società primitive, Milano, Il Saggiatore, 1985, «Bacho-
fen è un neoplatonico cristiano, che interpreta il passaggio dal matriarcato al patriarcato come
l’innalzamento dello spirito dalle bassezze della materia alla luce e all’immortalità» (p. 24).
63
Ivi, p. 188.

337
diventa la considerazione per il diritto consuetudinario senza dimen-
ticare però un certo progresso universale. Ciò che appare nuovo in
un luogo è stato possibile grazie al contatto con altri popoli ma an-
che grazie alle peculiarità della terra sopra di cui essi abitano: «Non
v’è pedagogo più inflessibile della terra»64. La terra e la natura, lungi
dall’indicare i bisogni materiali o «le condizioni esteriori della vita»
plasma lo spirito di un popolo «le riserve etiche dell’umanità, la vita
della vita»65.
Diversamente da Hegel non vi è, in Bachofen, come fine ultimo,
lo Stato nazionale. «Lo Stato, sia pure nella forma dell’orda – che
merita il nome di Stato – è l’organismo primitivo, nato con l’uomo.
La famiglia e le gentes si sono formate entro lo Stato e per opera
dello Stato»66. Lo Stato è considerato da Bachofen fin dall’inizio del-
la storia dell’umanità come entità naturale e «l’evoluzione naturale
non può costituire lo scopo ultimo dell’esistenza di un popolo»67.

64
J.J. Bachofen, Diritto naturale e diritto storico, cit., p. 18.
65
Ivi, p. 37.
66
P. Bonfante, Teorie vecchie e nuove nelle formazioni sociali primitive. Scritti giuridici varii,
Vol. 1, Roma, Aracne, 2007, p. 46. Il giurista si schiera a difesa di Bachofen, ma anche di
McLennan e Morgan, contro la teoria patriarcale di Sumner Maine. L’idea di Bonfante è che
si debba parlare, già nelle prime strutture sociali primitive, di organizzazione politica. L’orda,
la famiglia costituiscono e rispondono a requisiti politici. Per un approfondimento del pen-
siero di Bonfante in riferimento alle sue conoscenze antropologiche, L. Capogrossi Colognesi,
Modelli di stato e di famiglia, cit., e Id., A cent’anni della ‘res mancipi’ di Pietro Bonfante, in
«Quaderni fiorentini, per la storia del pensiero giuridico moderno», n. 17, 1988, ma anche C.
Rossetti, L’etnologia storico-giuridica italiana nella prima metà del Novecento, in P. Clemente, a
cura di, L’antropologia italiana. Un secolo di storia, Roma, Laterza, 1985, che sottolinea l’im-
portanza degli studi giuridici per la nascita dell’etnologia in particolare, proprio per l’attenzio-
ne posta, come nel caso di Bonfante, sugli ordinamenti anziché sulle norme (p. 171).
Più cauto e per certi versi più attento a mediare la posizione di Bachofen con quella di
Sumner Maine è G. Carle, La filosofia del diritto nello stato moderno, vol I, Torino, Utet, 1903,
in cui nel capitolo quattro del secondo libro, intitolato, Origini e svolgimento dell’aggregazione
sociale, presenta l’orda come una fase ancora promiscua e caotica, «mentre il gruppo gentili-
zio è l’inizio e il germe di ogni vera e propria aggregazione sociale» (p. 146). Sul pensiero di
Carle, G. Solari, La vita e il pensiero civile di Giuseppe Carle, Torino, Fratelli Bocca Editore,
1928, per il quale Carle avrebbe trovato nella storia la conferma della «genesi psicologica e
sociale del diritto» (p. 156).
Per un inquadramento della cultura giuridica italiana all’interno delle elaborazioni positivi-
stiche e sociologiche ottocentesche rimandiamo a M. Nardozza, Tradizione romanistica e ‘dom-
matica’ moderna. Percorsi della romano-civilistica italiana nel primo Novecento, Torino, Giappi-
chelli, 2007, pp. 25-33; C. Faralli, Diritto e scienze sociali. Aspetti della cultura giuridica italia-
na nell’età del positivismo, Bologna, Clueb 1993; F. Barbano, Sociologia e positivismo in Italia:
1850-1910. Un capitolo di sociologia storica, in E.R. Papa, a cura di, prefazione di Norberto
Bobbio, Il positivismo e la cultura italiana, Milano, Franco Angeli, 1985, pp. 163-225.
67
Ivi, p. 59. Tuttavia, anche in Bachofen, tradizionalista, conservatore e cristiano, l’idea di
Stato, che deve basarsi su una forte religiosità, svolge un ruolo decisivo come collante della
comunità. Inoltre, esso dovrebbe incarnare la concezione patriarcale sorta con il diritto roma-
no. Per un approfondimento si rimanda a S.A. Fusco, La concezione dello Stato, in «Quaderni
di Storia», 28, 1988, pp. 53-75 e a A. Cesana, L’antico e il nuovo Stato, cit. Quest’ultimo chia-
risce perché, benché ci sia un’idea di progressiva spiritualizzazione universalistica e provviden-

338
Semmai vi sono, come si è visto, tappe evolutive che potrebbero es-
sere le stesse per ogni popolo. Qui in Bachofen si potrebbe intrave-
dere, oltre alla lezione del suo maestro, anche un certo hegelismo:
la progressiva spiritualizzazione dell’Occidente; la lotta incessante tra
opposti che determina un superamento all’interno di una legge ge-
nerale e universale; una certa linearità e direzione di senso seppure
fatta di ritorni e ricadute. La storia insomma ha le sue cause che
si dipanano e si collegano, così «si impone la legge dello sviluppo
progressivo, la più importante legge della storia»68. Per il più matu-
ro Bachofen le civiltà sembrano superarsi in senso hegeliano, come
accade a Roma, che raccoglie l’eredità dei Greci e degli Etruschi e
imponendo definitivamente un nuovo e ultimo stadio, quello del di-
ritto patriarcale.
Come suggerisce Benjamin, Bachofen sostituisce perciò al Vol-
kgeist hegeliano il diritto stesso che proviene dal basso, dalla terra,
«dagli usi e costumi religiosi del mondo antico»69. Ciò permette di
limitare i rischi dello storicismo e dell’idealismo. Insomma, sarebbe
proprio questa pendolarità incessante tra natura e civiltà – questo
andamento circolare che ogni volta ripropone l’attenzione e la non
rimozione del carattere materno, ctonio e oscuro dell’esistenza uma-
na – a permettere il movimento progressivo. Allora Bachofen può
essere maggiormente contrapposto al razionalismo hegeliano colle-

zialistica, Bachofen diverga su questo punto da Hegel: il pensiero di Hegel sarebbe sorretto da
una forte fiducia della Ragione, mentre per Bachofen ogni sistema statuale e giuridico fondato
razionalmente è destinato al fallimento. Per questo motivo Bachofen assurge lo Stato romano
a modello di perfezione retto non dalla ragione ma dalla religione.
68
J.J. Bachofen, Le leggi della storiografia, cit., p. 10. Anche per E. Cantarella, Introduzi-
one, in J.J. Bachofen, Il potere femminile, cit., «la concezione savignana della storia si incontra
con l’idea hegeliana che i cambiamenti avvengono per opposizione tra principi opposti» (p.
19). Lo stesso pensa E. Fromm, Liebe, Sexualität und Matriarchat, 1994, trad. it. Amore, ses-
sualità e matriarcato, Milano, Mondadori, 1997, che scrive: «Come per Hegel anche per Ba-
chofen il conflitto e la contraddizione rappresentano strumenti di progresso» (p. 25).
69
W. Benjamin, Johann Jakob Bachofen, 1935, trad. it. Il viaggiatore solitario e il flâneur.
Saggio su Bachofen, Genova, Il melangolo, 1998, p. 48. Peraltro Benjamin tende a leggere Ba-
chofen come un neoplatonico in cui diritto e vita, diritto e mito si identificano. Sul platonismo
di Bachofen si rimanda a M.M. Sassi, Percorsi del platonismo nel pensiero romantico: La sym-
bolik di Bachofen, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», s. 3, vol. XVIII, Pisa,
1988, pp. 643-677. Sul rapporto Benjamin-Bachofen e sulla lettura romantica, metastorica del
simbolo e antistoricista (nel senso di antihegeliana), si leggano le dense pagine di M. Pezzella,
Interpretazioni di Bachofen nell’opera di Walter Benjamin, in «Annali della Scuola Normale Su-
periore di Pisa», s. 3, vol. XVIII, Pisa, 1988, pp. 843-857. Sul rapporto diritto-mito alla luce
delle immagini benjaminiane si legga: U. Fadini, Violenza e desiderio, in U.Fadini-G.Pascucci,
Immagine-desiderio. Contributo ad una genealogia del moderno, Milano, Mimesis, 1999, che
scrive tra l’altro: «Per lo studioso svizzero, la mitologia ctonia, tellurica, è in sintesi una sorta
di trasposizione giuridico-normativa del ciclo di vita e morte» (p. 50); Id., Esperienze della mo-
dernità: Carl Schmitt e Walter Benjamin, in Id., Configurazioni antropologiche, Napoli, Liguori,
1991, pp. 79-104; E. Castrucci, Il teologico e il politico: Walter Benjamin e Carl Schmitt, ora in
Id., Convenzione, forma, potenza. Scritti di storia delle idee e di filosofia giuridico-politica, cit.

339
gandolo, come scrive Moretti, a quella corrente che da Nietzsche a
Klages, da Freud e Jung, giunge fino all’ermeneutica heideggeriana70.
In conclusione, mi sembrano dirimenti le parole di Cesana: «Nel
pensiero storico bachofeniano si congiungono due modelli interpre-
tativi opposti: uno ciclico e uno lineare»71. Il modello lineare riguar-
da la prospettiva storico-universale, l’altro riguarda le singole cultu-
re che possono degenerare. È possibile supporre che, nella nostra
tradizione, Bachofen individuasse il pericolo della democrazia, del-
la libertà, dell’uguaglianza come fattori di femminilizzazione, di un
ritorno regressivo alla fase matriarcale e tellurica, materiale, come
sembra credere anche Evola. Tuttavia il principio femminile contiene
anche dei momenti ‘positivi’, per esempio la religiosità, l’amore per
la patria, per la propria terra. Su questo non detto di Bachofen si
sono rivolte le interpretazioni opposte da un lato di Marx, Engels
e della Scuola di Francoforte, dall’altro di Bauemler e di Evola. In
particolare secondo Fromm «l’aver considerato il patriarcato, uno
stadio evolutivo più avanzato non porta Bachofen ad ignorare i van-
taggi della struttura matriarcale o a trascurare gli elementi negativi
del patriarcato»72.

8. All’origine dell’antropologia giuridica

Il giurista tedesco, forse deluso da un certo silenzio intorno alla


sua opera principale che tanta fatica gli era costata e che si presen-
tava anche materialmente come una raccolta completa e minuziosa

70
G. Moretti, Heidelberg romantica, cit., p. 110. Per altro Moretti affronta nello stesso sag-
gio in un modo assai convincente le distinzioni non di poco conto tra il pensiero di Bacho-
fen e quello di Nietzsche. Sul tema anche il saggio di A. Baeumler, Bachofen und Nietzsche,
1929, trad. it. Nietzsche e Bachofen, Padova, Lupa capitolina, 1985. Occorre aggiungere anche
il nome di Wilhelm Reich in quanto utilizza i lavori di Bachofen, Morgan ed Engels per cri-
ticare il patriarcato fascista e nazista ma anche le tesi freudiane. In particolare si vedano, Die
Funktion des Orgasmus: zur Psychopathologie und zur Soziologie des Geschlechtslebens, 1927,
trad. it. La funzione dell’orgasmo. Della cura delle nevrosi alla rivoluzione sessuale e politica,
Milano, Il Saggiatore, 2010, p. 240; Id., Die Massenpsychologie des Faschismus, 1933, trad. it.
Psicologia di massa del fascismo, Torino, Einaudi, 2002, p. 94.
71
A. Cesana, L’antico e il nuovo Stato, cit., p. 101.
72
E. Fromm, Amore, sessualità e Matriarcato, cit., p. 21. Fromm riconosce in Bachofen un
precursore della psicologia del profondo di tipo freudiano e junghiano, per aver saputo indi-
viduare i simboli appartenenti all’umanità, ma anche per aver distinto il profondo rapporto
che lega l’uomo alla madre. Diversamente da Freud però per Bachofen la storia della civiltà è
la storia dell’affrancamento dal legame con la madre; per Freud invece tutto inizia con l’orda
primigenia dominata dal padre. Inoltre, come sottolinea bene L. Gossman, Basel in the Age of
Burckhardt, cit., i simboli freudiani sono riferibili al desiderio sessuale, sono cioè ormai secola-
rizzati e materialistici e hanno perduto la concezione spiritualistica e romantica a cui Bachofen
li ascriveva (p. 146).

340
di vicende e narrazioni storico-mitologiche, si decide di rivolgersi
al mondo anglosassone che si sta caratterizzando per un vivace di-
battito tra antropologi sul diritto materno e paterno. Bachofen si è
convinto che occorra estendere il suo lavoro anche allo studio delle
popolazioni primitive di cui si era occupato incidentalmente nel suo
Mutterrecht. Quest’ultima opera appare più un lavoro di archeolo-
gia mitologica sui popoli antichi che un resoconto storico. Bachofen
vuole misurare l’importanza della sua opera confrontandosi col mon-
do degli antropologi. Egli si rende conto che i suoi studi vanno nel-
la stessa direzione dei suoi correligionari anglosassoni. Perciò cerca
di contattare Lubbock, Morgan, McLennan, quei giuristi insomma
che sembrano, indipendentemente da lui, aver rintracciato il diritto
materno, non risalendo alle origini della storia occidentale, ma nei
comportamenti di primitivi attuali ancora viventi, come i pellirossa
o altre tribù africane e asiatiche. Tuttavia gli studi di McLennan e di
Morgan non portano a concludere che sia esistito o esista in qual-
che società una qualsiasi forma di ginecocrazia. Essi hanno scoperto
solo alcune tribù segnate da matrilinearità o matrilocalità. La don-
na è in ogni caso quasi sempre in una posizione non dominante. La
teoria di Bachofen si presenta più come una congettura storica che
una realtà accaduta. Ciò che lo divide dalla ipotesi degli antropologi
anglosassoni è l’importanza che lui concede alla religione, che non
gli permette di guardare oltre alle costruzioni mitiche e di scopri-
re la dura realtà della vita primitiva. Ciononostante, proprio la sua
sensibilità storico giuridica e insieme religiosa lo condurrà ad esten-
dere i suoi interessi invadendo il campo antropologico. Insomma,
«Bachofen sapeva che il discorso tecnico-giuridico non era avulso da
un più ampio retroterra sociale, antropologico e culturale, che dove-
va necessariamente venire inglobato nell’orizzonte di ricerca, pena la
costruzione di una storia del diritto sterile e astratta»73. Ciò che lo
inquadra a pieno titolo entro la cornice antropologica è quello che
Croce definisce «la virtù propulsiva d’indagini nella sua esperienza
originaria, nella sua nuova coscienza dell’antico e del primitivo»74.

73
R. Garré, L’interculturalità in un mondo segnato da confini. L’apporto della storia del dirit-
to, in F. Merlini-E. Boldrini, a cura di, Identità e alterità. 13 esercizi di comprensione, Milano,
Franco Angeli, 2006, p. 74.
74
B. Croce, Bachofen e la storiografia filologica, cit., p. 309.

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