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“Una donna è sua madre”. E’ la lapidaria sentenza che pone il sigillo a” Casalinga” la
poesia di Anne Sexton. Un’affermazione oracolare che sembra certifichi un karma
universale, decretato da leggi imperscrutabili. Ineluttabile come un incantesimo di
pietrificazione. Un sortilegio arcano, non giocoso come quelli presenti nelle
avventure di Harry Potter, ma punitivo come nei racconti mitologici. Una lezione
impartita ai mortali che vorrebbero svincolarsi dal potere degli dei per trasformare il
fato in destino e acquisire la libertà di scegliere. Per la poetessa, se da un lato,
l’affermazione del sé come esistenza autonoma, l’integrazione di tutte le molteplici
contraddizioni della personalità umana, fino all’incontro tra l’Io e il Sé, sono alla
base dell’esperienza visionaria che funge da ispirazione della sua poesia, dall’altro,
fantasmi di rapporti familiari disfunzionali, assenti e abusanti rimettono in scena i
drammi più tragici, e la fatale impossibilità di amare se stessa
“.. io, che non ero mai stata certa di essere una bambina,
avevo bisogno di un’altra vita, di un’altra immagine che me lo ricordasse.
E questa fu la mia peggior colpa: tu non potevi curarla
o alleviarla. Ti ho fatta per ritrovarmi”
La poesia per Anne Sexton rappresenta la pozione salvifica, come per tutti quegli
artisti fragili e sofferenti che affidano alla loro arte, la sopravvivenza delle loro parti
vitali, eppure, nel suo spietato e realistico dualismo è anche una possibile nemica. Le
parole, essenza della vita stessa,” buone come le dita, fidate come la roccia,
appassionate come il sole”, sono come amanti, e in tal senso possono ferire, “una
volta rotte sono impossibili da riparare”. Anne come una funambula in equilibrio su
un filo di parole che si assottiglia sempre più. Anne che compie gli ultimi volteggi in
aule di Università prestigiose, stracolme di spettatori che la osannano come fosse
una rock star, o una sciamana che riesce ad sprofondar nelle notti oscure dell’anima
per riemergere con parole verdi come foglie cadute e magicamente riattaccatesi al
ramo. Zac, il filo si spezza, come in una tragica storia d’amore. La fragilità, la
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transitorietà, l’instabilità delle parole, non riesce più ad opporsi ai pensieri suicidi
della poetessa. Il “sole appassionato”, viene inghiottito dalle tenebre, in una nuova
versione senza rinascita del Libro Egiziano sei Morti. Il suicidio un amico riparatore di
cui fidarsi, in cui rifugiarsi
“… I suicidi l’hanno già tradito, il corpo.
Nati morti non sempre muoiono,
ma abbagliati, non scordano una droga così dolce
che farebbe sorridere un bambino …”
E ancora..
“Ero stanca di essere donna,
stanca di cucchiai e pentole,
stanca della mia bocca e dei miei seni,
stanca di trucchi e sete.
Una donna è sua madre. Così in una notte di Ottobre del 1974, Anne, con l’aiuto del
monossido di carbonio, se ne va. In mano un bicchiere di vodka, addosso, solo la
pelliccia della madre.
“Chi non conosce l’amore felice dica pure che in nessun luogo esiste l’amore felice. Con tale fede gli
sarà più lieve vivere e morire”.
Il confronto tra le due poetesse, tra le traiettorie delle loro vite, modalità di
guardare al mondo, di esprimersi, di relazionarsi alla quotidianità, all’amore, al loro
lavoro, ci invita a considerare un tema di particolare rilevanza per la reale
emancipazione ed evoluzione di una donna, quello della individuazione.
Una strenua lotta quella di Anne Sexton resa vana da traumi e ferite di dolore
insopportabile, dove l’individuazione assume una valenza quasi di mistica e
irraggiungibile trascendenza, Un anelito verso un sé idealizzato che non potrà essere
raggiunto, collassando dentro il proprio immutabile passato. Per Wislawa
l’individuazione è una incessante scoperta, in cui ogni risposta contiene nuove
domande dove dolore e gioia hanno gli stessi diritti ma senza che vadano confusi.
L’apertura consapevole alle imprevedibili manifestazioni del mistero. Una messa alla
prova costante della propria capacità di libero arbitrio.
“Conosciamo noi stessi solo fin dove siamo stati messi alla prova. Ve lo dico io dal mio cuore
sconosciuto”
ibrida che divora e pietrifica le sue risorse psichiche, con il desiderio di potere e
dominio. Per la donna si tratta di affrontare la paura di perdersi nel vuoto. Quella
d’incontrarsi con la libertà. Ma essere liberi talvolta spaventa, poiché è il momento
in cui si sperimenta la vastità delle possibilità che si possiedono, e indirizzarsi verso
una vita senza schemi convenzionali, si rivela immediatamente una vita incerta. Non
è trascurabile rammentare che è pratica comune preferire un’infelicità certa a una
felicità incerta. Per la donna si tratta di affrontare la paura di lasciarsi com-penetrare
dallo spazio. Ma è proprio nell’abbandonarsi fiduciosa alla generatività di
quell’esperienza che, per usare le parole di Nietzsche”, partorirà una stella. Una
nuova sé stessa. Un essere umano che brilla di luce propria.
Una bambina è sua madre. Nel tempo indifferenziato dopo la nascita, per il
neonato tutto è madre, l’ambiente, gli oggetti, le sensazioni, il padre stesso. Tutto è
madre, tutto è seno, con il suo potere assoluto di nutrire e frustrare. Tutto è madre,
Sarà una mente capace di holding e rêverie, ovvero di contenere e alleggerire le
angosce primarie, oppure di restituirle crude, aprendo i sentieri a future
identificazioni proiettive del bambino. E’ il periodo fondamentale delle esperienze di
attaccamento. Quelle che Bowlby considera prime responsabili del destino, tatuaggi
indelebili nella psiche di un essere umano.
“Anche se particolarmente evidente nella prima infanzia, il comportamento di attaccamento
caratterizza l'essere umano dalla culla alla tomba”.
Il sogno di Giustina
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Gianluca Caldana