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LE GRANDI

DOMANDE
LE GRANDI DOMANDE DELLA

Filosofia
DELLA

La storia del pensiero umano spiegata in modo nuovo, originale e semplice

Com’è nato Galileo Isaac


Che cos’è
l’universo? Galilei Newton il tempo?

Che cos’è
Dio esiste? Agostino Platone l’amore?

A che cosa serve


la filosofia? Come
La verità può essere ragionare
conosciuta? in modo
corretto?
Sono davvero Chi decide
Perché esistono il bene
Sigmund libero? il male e il dolore? e il male? Karl
Freud Marx
Che cosa ci aspetta
Che cosa sono
dopo la morte? Sono buono Possiamo creare
il pensiero, l’anima Esiste o cattivo? una società giusta
e la coscienza? la felicità? Che cos’è la bellezza? e pacifica?

I QUESITI SEMPLICI MA PROFONDI CHE HANNO TURBATO L’UOMO FIN DALLE ORIGINI
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Quelle domande
senza tempo
N
on si sa con certezza né come né dove sia
nata la filosofia, ma sappiamo a quando
risalgono i primi pensatori a noi noti: erano
esponenti del mondo greco che, a partire dal VII
secolo a.C., iniziarono a disquisire sulle origini
del mondo. Due secoli dopo, l’attenzione si spostò
dalla natura all’uomo e fiorì la scuola di Atene
che ebbe per massimi esponenti Socrate, Platone
e Aristotele. Gli ultimi due rimasero al centro della
speculazione intellettuale per oltre duemila anni, tanto
che, si dice, «tutta la storia della filosofia occidentale non è
che una serie di note a margine su Platone».
Il crollo dell’Impero Romano coincise con la diffusione del
cristianesimo, che spostò l’attenzione verso Dio e il suo rapporto con l’uomo.
A partire dall’anno Mille, la filosofia scolastica, di cui Tommaso d’Aquino fu il
massimo esponente, indagò il rapporto tra fede e ragione, finché esse presero strade
diverse, generando una gli studi metafisici, l’altra la teologia: dal punto di vista
intellettuale, era la fine del Medioevo.
Il Rinascimento abbandonò la pura speculazione teologica, aiutata in questo
dal recupero in lingua originale dei classici del pensiero greco, che diedero
nuova linfa alla logica e alle scienze matematiche, gettando le basi per il balzo
che si produsse tra Sei e Settecento: Galilei, Cartesio e Newton, supportati
dalle evidenze astronomiche che spostavano il centro dell’universo dalla
Terra al Sole, partorirono il metodo scientifico.
La scienza si emancipò dalla filosofia, che assunse caratteri più materialistici.
L’empirismo anglosassone di Hobbes, Locke e Hume si impegnò su temi
concreti, come la mediazione tra gli egoismi umani e la pace sociale. Kant ritornò
perentoriamente sulla questione etica, che con l’Età dei Lumi divenne un’esigenza
epocale, contribuendo a fomentare la Rivoluzione francese per sete di libertà e
raziocinio. Il periodo successivo, fino alla metà del Novecento, fu condizionato
dal contrasto fra l’idealismo di Hegel e il materialismo di Marx, che segnò il
momento di più stretta aderenza tra la filosofia e i problemi sociali.
Impossibile condensare i travagli della filosofia nell’ultimo mezzo secolo,
scossa alle fondamenta dai nuovi assiomi della fisica quantistica e da una conoscenza
della natura continuamente arricchita e rivoluzionata. Ma, nonostante tutto, le
domande dell’uomo restano sempre le stesse, i semplici ma fondamentali
quesiti che ogni essere umano si pone fin dall’alba dei tempi.

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Sommario
le grandi domande della filosofia
A che cosa serve la filosofia?6 Com’è nato l’universo?76
Come ragionare Qual è il mio posto
in modo corretto? 12 nella natura? 86
La verità può essere Che cos’è il tempo? 92
conosciuta? 20
Dio esiste? 100
Sono davvero libero? 28
Fede e ragione
L’uomo è buono o cattivo?36 sono nemiche? 110
Che cos’è la bellezza?44 Che cosa sono il pensiero,
l’anima e la coscienza?  118
Esiste la felicità?54
Che cosa ci aspetta
Che cos’è l’amore? 60
dopo la morte? 124
Possiamo creare una società
giusta e pacifica?  66 Testi di Luigi Lo Forti

L’ARTE CELEBRA IL LIBERO PENSIERO


Dal Rinascimento in avanti, i pittori ritrassero volentieri i protagonisti
della filosofia di ogni tempo. Con la fine del Medioevo, il pensiero
si era emancipato dalla fede, e pittori e scultori di tutta Europa
celebravano la ritrovata libertà, spesso ritraendo il momento della
disputa tra spiriti eccelsi, come fa questa tela olandese del 1580 ca.

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la filosofia?
a che cosa serve

Riflettere sul mondo, sulla realtà


delle cose e sulle loro possibili cause:
non è un talento riservato a pochi,
ma una capacità che tutti noi
possiamo, anzi dobbiamo esercitare

I
n un’epoca in cui la tecnologia riveste un
ruolo così preponderante e decisivo in tutti
gli aspetti della vita e in cui l’evoluzione
scientifica appare tanto veloce da farci
pensare che presto potremmo giungere a una
conoscenza del mondo pressoché completa,
“fare filosofia” può apparire un’attività oziosa.
Un lusso riservato a chi può permettersi di
dedicare il proprio tempo a qualcosa che non
ha, dopotutto, alcuna utilità pratica. IL MESTIERE
Questo giudizio nasce da un equivoco, DI UOMINI
quello di immaginare il filosofo come un Quello del filosofo
pensatore chiuso nella proverbiale “torre è un atteggiamento
d’avorio”, intento a porsi domande e fornire rispetto al mondo
risposte che risulteranno comunque irrilevanti e alla vita in generale.
per chiunque non sia interessato al sapere in Nell’opera Il filosofo in
quanto tale. In realtà, chiedersi a che cosa meditazione, del 1632,
possa mai servire la filosofia significa, di Rembrandt pone il suo
fatto, domandarsi quale utilità abbia cercare pensatore al centro della
di capire il mondo, noi stessi e gli altri. luce solare che invade la
stanza. Alla sua sinistra,
L’utilità del pensiero una bella scala elicoidale
Intesa come disciplina, la filosofia, ovvero conduce in alto, alludendo
l’esercizio della ricerca intellettuale del sapere, alle verità superiori, colte
ci aiuta a pensare meglio. Fare filosofia, ” attraverso la meditazione.

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A che cosa serve la filosofia?

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A che cosa serve la filosofia?
come scopriremo di pagina in pagina, significa
sviluppare un sistema di pensiero razionale in I filosofi possono ancora fare la differenza
grado di produrre conclusioni coerenti con le
premesse iniziali e di pervenire, finalmente, a una
spiegazione o a una visione della realtà.
Q uando pensiamo alla filosofia,
siamo istintivamente portati a
pensare che si tratti di un percor-
riflessione sull’intelligenza, sull’iden-
tità umana e sul futuro dell’umanità.
John Searle, per esempio, ritiene
I meccanismi e le strategie messe in atto in so concluso, e che oggi chi se ne che un computer non potrà mai svi-
questo tipo d'indagine hanno carattere universale: occupa sia impegnato solo a studia- luppare una mente simile a quella
possono essere usate in qualunque ambito per re e commentare i grandi pensatori umana attraverso un programma,
giungere a conclusioni efficaci. Esercitare e del passato. In realtà, come fa nota- come invece preconizzano i soste-
studiare la filosofia ci consente anche di scegliere re la filosofa Rebecca Newberger nitori dell’avvento della cosiddetta
gli ideali e la visione del mondo che meglio si Goldstein, attualmente esistono e “intelligenza artificiale forte”, che
accordino con la nostra sensibilità intellettuale. Un si stanno sviluppando nuove linee di sarà in grado di ragionare autonoma-
pensiero originali e capaci di aggiun- mente e dotata di autocritica.

« Ogni filosofo
gere nuove idee e nuove prospettive. Il compito dei filosofi di oggi,
Per esempio, negli ultimi trent’anni dunque, sembra essere quello di
il movimento animalista è diventato contribuire alla comprensione della

dev ' essere


sempre più forte e influente in tutto realtà mentre essa cambia e si
il mondo occidentale: pochi sanno evolve, introducendo allo
che uno dei suoi iniziatori è stato pro- stesso tempo nuo-

la cattiva coscienza
prio un filosofo, l’australiano Peter ve prospettive e
Singer, che, nel 1975, nel libro Libera- indicando la via
zione animale, richiamava l’attenzione dei possibili

della propria epoca.»  sulla sofferenza inflitta alle bestie


dall’uomo, coniando per questo com-
sviluppi.

portamento il termine “specismo”.


FRIEDRICH NIETZSCHE Un altro campo in cui sempre più
spesso la voce dei filosofi moder-
obiettivo, questo, raggiungibile solo ragionando ni si fa sentire è quello dello studio
intensamente e rigorosamente sui dati della realtà, dell’intelligenza artificiale, setto-
mettendo alla prova le idee in cui crediamo o che re in cui il progresso scientifico ha
incontriamo nel corso della nostra ricerca. raggiunto un livello tale da porre
Ma c'è di pù. L’atteggiamento filosofico di problemi che vanno al di là del-
estrema umiltà, che discende direttamente la tecnica e richiedono una
dall’insegnamento socratico (fondato sulla
constatazione di “sapere di non sapere”), ci impone
di continuare a studiare, di porre domande anche
scomode e di non accettare mai nulla per scontato.
Ci insegna a non accontentarsi mai, di nessuna
risposta, perché esiste sempre qualcosa di più alto,
di più profondo, di più chiarificatore.

I problemi da risolvere
Un simile atteggiamento ci consente di non
cadere vittime di pregiudizi intellettuali, e in
più ci offre la possibilità di esercitare un’azione
di controllo sulla società in cui viviamo.
Come disse il presidente degli Stati Uniti John
Fitzgerald Kennedy, «gli uomini che creano
il potere offrono senz’altro un indispensabile LA SFIDA
contributo alla grandezza di un Paese, ma DEL XXI SECOLO
quelli che mettono in discussione il potere non Il rapporto tra mente
sono da meno, soprattutto quando il loro agire umana e intelligenza
è disinteressato; perché sono loro che rivelano artificiale sta diventando
se siamo noi a usare il potere oppure se è il oggetto di indagine
potere che usa noi». Non è del resto un caso se filosofica: il computer
proprio Socrate (470-399 a.C.), che si definiva diventerà davvero
un “tafano” che continuava a infastidire gli altri più intelligente
con le sue domande insistenti, fu condannato a dell’uomo? Non è così
morte dalle autorità dell’epoca. che la pensa John
Possiamo applicare il pensiero filosofico a tutti Searle (a destra).

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« Ci si ciba di slogan pubblicitari,
ci si accontenta di modeste
evidenze. Sono, invece, le grandi
e ultime domande a mettere in moto
l’anima e a dare senso alla vita.» 
MONSIGNOR GIANFRANCO RAVASI

gli aspetti della nostra vita: quelle che offre non


sono, infatti, competenze specifiche o settoriali,
ma un metodo efficace per affrontare le difficoltà
e i dubbi, piccoli e grandi, che sicuramente
incontreremo nel corso della nostra esistenza.
In generale, la filosofia può venire in soccorso
ogni volta che ci confrontiamo con qualcosa di
inedito, una situazione o un problema per il quale
le risposte che abbiamo già ricevuto e i paradigmi
che abbiamo applicato fino ad ora si dimostrino
insufficienti o inapplicabili.
Questo vale tanto per le situazioni contingenti
(un nuovo lavoro, una malattia, un lutto, un
nuovo amore), quanto per le “grandi domande”.
In effetti, questo volume è dedicato proprio a loro,
i quesiti a cui, prima o poi, tutti quanti siamo
chiamati a rispondere. Chi sono io? Perché sono
nato? Esiste Dio? Che cosa c’è dopo la morte?
Dilemmi vertiginosi, che affrontiamo fin da
ragazzi e poi, perlopiù, dimentichiamo, fingendo
con noi stessi che siano irresolubili. Un filosofo
non è un genio dalla mente eccezionale, ma un
uomo che, a differenza di altri, si ostina a indagare
i temi più fondamentali e critici dell’esistenza.
Se proviamo a rispondere a questo tipo di quesiti
ci accorgiamo che occorrono strumenti adatti
a maneggiare i concetti e le idee. La filosofia è
una fucina di “attrezzi del pensiero”, sempre più
arricchitasi attraverso i secoli. Un sistema capace
di offrire i mezzi intellettuali per progredire in
una ricerca intellettuale che, a volte, è destinata
a rivelarsi più importante della risposta a cui
approda. «Conosco le domande, e conosco le
risposte» esclama uno dei protagonisti del romanzo
In principio, del premio Nobel Chaim Potok, per
poi dichiarare: «Preferisco le domande». Chi fa
filosofia arriva spesso alla medesima conclusione,
senza per questo sentirsi deluso o frustrato, ma anzi
arricchito, più lucido e più consapevole.
Nonostante molti pensino esattamente il
contrario, la filosofia può rivelarsi più utile
che mai non solo per i singoli individui, ma
per la società intera. A patto, come abbiamo
detto, che non ci si aspetti che essa produca ”

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degli effetti immediati, pratici e concreti. Il suo
campo d’azione è la speculazione intellettuale,
che dà profondità, indirizzo e scopo allo sviluppo
delle altre attività umane. Fino a pochi decenni fa,
la nostra società era ancora immersa negli effetti
economici, politici e sociali della Rivoluzione
industriale del XIX secolo: la fine del cosiddetto
“secolo breve”, il Novecento, ha per molti versi
coinciso con la chiusura di quel periodo e l’inizio
di un altro, caratterizzato da elementi differenti
di progresso, come il computer, le nuove scoperte
scientifiche, l’esplorazione dello spazio, la società
aperta, il mescolamento di culture molto lontane
fra loro. La velocità del cambiamento è stata tale
che, all’improvviso, la vecchia filosofia è sembrata
incapace di offrire spiegazioni e una guida verso un
futuro, che a un tratto apparivamolto diverso da
quello che i nostri nonni avevano sognato. Eppure
è proprio a questo punto che, storicamente, la
filosofia si dimostra una preziosa alleata, perché ci
impone una disciplina intellettuale chiarificatrice,
offrendoci diverse chiavi di lettura, grazie alle
quali interpretare il mondo nelle sue continue e
imprevedibili trasformazioni.

L e nuove sfide
Dunque, la filosofia del XXI secolo è chiamata
non solo ad aiutarci ad affrontare i problemi e
le domande che da sempre l’uomo si pone, ma
anche a rispondere a sfide del tutto inedite, quelle
che il nostro tempo ci sottopone. Il progresso
tecnologico e scientifico, i nuovi equilibri geopolitici
e i cambiamenti sociali si avvicendano a un ritmo
molto più veloce rispetto a quanto avveniva
in passato. Siamo in uno stato di “rivoluzione
permanente” che presenta molti rischi e incognite,
ma anche grandi opportunità. La Storia
insegna che a periodi tanto instabili
e turbolenti si associa sempre una La filosofia non serve a
fase di profondo rinnovamento
del pensiero, che è chiamato a
niente, parola di Aristotele
rivalutare schemi e visioni ormai
inadeguati a interpretare il
presente per sostituirli con altri,
C hi ritiene che la filosofia sia un’occupa-
zione inutile potrebbe sentirsi rincuorato
nel leggere l’opinione che il grande Aristote-
più adatti a spiegare ciò che sta le esprime nella Metafisica: «La filosofia non
accadendo. Così, per esempio, John serve a nulla!». Ma in realtà, come ci spiega lo
Perry e Ken Taylor, due studiosi stesso Aristotele subito dopo, proprio in que-
dell’università di Stanford, hanno sto risiede la grande forza e l’importanza della
provato a delineare i principali campi disciplina filosofica: «dal momento che è pri-
d’azione dei nostri tempi nei quali la va di legami di servitù, è il sapere più nobile».
filosofia si rivela in grado di dare un Insomma, perché la filosofia serva davvero,
contributo fondamentale. A partire dalla non deve servire a niente, fuorché a se stessa.
necessità di ricostruire Si tratta di una conclusione solo apparen-
un tessuto sociale che temente paradossale, ma che in realtà
i flussi migratori, risulta assai significativa, soprattut-
da una parte, e to in un contesto intellettuale come
l’interconnessione quello odierno, in cui sembra pre-
globale, dall’altra, valere una visione immediatamente
hanno reso più utilitaristica delle cose e del mondo.
complesso e fragile.
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A che cosa serve la filosofia?
Anche i progressi delle neuroscienze, che stanno
modificando addirittura la percezione del rapporto
mente-corpo, preoccupano e affascinano al tempo
stesso: le scoperte sul funzionamento del cervello
e l’accelerazione delle scienze cibernetiche stanno
avvicinando il momento in cui il concetto di
intelligenza dovrà essere ripensato ed esteso anche
al di fuori dei confini dell’individualità: quali
sono le opportunità e quali i rischi? E, a proposito
di opportunità e di rischi, possiamo chiederci:
la conoscenza condivisa, a portata di clic, è una
conquista democratica e sociale oppure un nuovo
campo di scontro tra verità e falsità, in cui gli
antagonismi e le pulsioni umane rischiano di
soppiantare i fatti con le pure opinioni?
Infine, dobbiamo prepararci ad affrontare quello

« La filosofia
è una disposizione
naturale propria
dell’essere umano.
Tutti i bambini,
Imparare a ragionare dopo i sei anni,
si domandano
rende migliori
S tudiare la filosofia può aiutare a miglio-
rare le nostre abilità anche in altri campi,
apparentemente distanti da quello di sua che cos’è la morte.» 
pertinenza, soprattutto nel periodo dell’ap-
prendimento. È quanto emerso da una ricerca HANS GEORG GADAMER
inglese, condotta dal gruppo no-profit Educa-
tion Endowment Foundation, che ha coinvolto che probabilmente si rivelerà il vero, grande banco di
oltre 3.000 bambini di età compresa tra i nove prova per l’umanità: il problema dell’identità, messo
e i dieci anni. I bimbi hanno partecipato a un in discussione da mete tecnologiche ormai prossime,
corso di filosofia, durante il quale sono stati come la clonazione e le capacità di migliorare o
chiamati a discutere temi importanti, riflet- alterare le capacità mentali e le percezioni. Le
tendo collet tivamente e individualmente, conquiste della scienza saranno in grado di
ponendo domande e cercando risposte. trasformare, in modo forse irreversibile, il concetto
Alla fine dell’anno scolastico, gli insegnanti stesso di personalità, tanto da indurre a chiedersi
hanno rilevato un miglioramento generale nel PROBLEMI se avrà ancora senso parlare di “io” quando parte
rendimento in matematica e nelle capacità di PER BAMBINI del pensiero non dipenderà più dalla nostra unicità
lettura. A far registrare i maggiori progressi Già da bambini iniziamo naturale, ma sarà determinato da cause esterne.
sono stati i bambini provenienti dagli ambienti a porci domande sulla L’urgenza e l’importanza di questi problemi è tale
più svantaggiati, che hanno cominciato a incre- vita e sull’origine del da non poter demandare ad altri la responsabilità
mentare le loro prestazioni dopo soli due mesi. mondo. Ecco perché delle risposte: ciascuno di noi è chiamato a prendere
I ricercatori sostengono di aver notato anche alcuni filosofi ritengono parte in prima persona al processo che disegnerà la
miglioramenti nella capacità di ascolto e nel che tali temi debbano vita nel futuro che ci aspetta. E per essere in grado
grado di fiducia nei confronti degli altri. essere trattati fin dalla di affrontare al meglio questo impegno decisivo,
scuola primaria. dobbiamo diventare tutti un po’ filosofi.
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Come
ragionare
in modo
corretto?
Per riflettere sui grandi interrogativi esistenziali
la curiosità non basta: occorre sviluppare un metodo
e imparare a usare al meglio la nostra razionalità

Q
uando ci troviamo di fronte a una spiegazione che soddisfi una curiosità che non ha
domanda che riguarda un aspetto nulla a che fare con l’atto concreto del nascere,
particolarmente significativo della ma che lo giustifichi. Il punto, dunque, è come
nostra esistenza, ci accorgiamo subito trovare le risposte alle grandi domande: se non
che non possiamo affrontare tale dilemma come possiamo sperare nell’aiuto della sola osservazione
faremmo di fronte a qualunque altro quesito. Non o nella rigida applicazione di teorie scientifiche
si tratta infatti di reperire un’informazione, oppure sperimentate, su quali armi a nostra disposizione
di risolvere un problema a partire da dati certi possiamo contare per affrontare questi problemi?
e attraverso una procedura unica e riconosciuta
universalmente valida, bensì di decidere come IMPARARE L e cose da sapere
interpretare la nostra vita, quella del nostro A PENSARE Uno dei primi ostacoli, che spesso spegne
prossimo e la nostra visione del mondo. Il ragionamento filosofico sul nascere la spinta all’indagine filosofica, è la
Ciò di cui siamo in cerca, insomma, non è non è un’attività riservata convinzione che tra le condizioni iniziali necessarie
una soluzione, ma una risposta. C’è una grande a pochi eletti: è una vi sia una conoscenza già acquisita dell’oggetto della
differenza tra il chiedersi, per esempio, “come disciplina alla portata nostra ricerca. In realtà, paradossalmente, una delle
sono stato concepito?” e “perché sono nato?”: di tutti, a patto di difficoltà maggiori quando si affronta un problema
entrambe le domande riguardano il medesimo coltivarla con impegno, complesso e articolato consiste proprio nell’analisi di
evento (la nostra nascita), ma alla prima possiamo come ben rappresentato quello che già conosciamo sull’argomento. Il rischio
rispondere studiando la riproduzione umana, dal Pensatore di Rodin, è infatti quello di essere influenzati da opinioni e
mentre alla seconda, dobbiamo replicare con una nella pagina a fronte. idee sedimentate in precedenza: se ci chiediamo che ”
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cosa ci aspetta dopo la morte, per esempio, la nostra
«Qualunque interesse
della mia ragione è concentrato
idea sull’aldilà sarà probabilmente già formata,
derivata da una serie di opinioni che abbiamo
assorbito in seguito all’educazione che abbiamo

su tre domande:
ricevuto a casa, a scuola o in chiesa. Per questo,
il primo passo è quello di fare un passo indietro,
rivalutando ciò che, magari inconsciamente,
riteniamo vero per abitudine o superficialità e non
per convinzione. È quello che ci raccomanderebbe Che cosa posso sapere?
di fare Platone (428-348 a.C), il quale definisce
filosofo proprio chi ama la verità e non segue
l’opinione, cioè la conoscenza delle sole apparenze Che cosa posso fare?
(o di quelle che vengono comunemente accettate
come verità). Ma come fare? Socrate, il maestro di
Platone, partiva da un semplice presupposto: quello
In che cosa ho diritto di sperare?»
di “sapere di non sapere”. Accettando la nostra IMMANUEL KANT
ignoranza, possiamo procedere nella costruzione
delle risposte a partire da affermazioni che possiamo
accogliere come vere solo dopo averle valutate e
confrontate con le possibili alternative.

Il linguaggio della filosofia


I maestri del pensiero si esprimono
utilizzando un linguaggio specifico, che può
apparire piuttosto criptico e astruso (e a
volte lo è), quando non incomprensibile.
Eppure, una volta addentratici nei
loro ragionamenti, ci accorgiamo
che c’è un motivo ben preciso
nella scelta dei termini che essi
utilizzano. Così, per esempio,
san Tommaso (1225-1274) è
molto attento a distinguere
tra “essenza” (che è ciò che
qualcosa è in potenza, quindi
può esistere) ed “esistenza”
(che è l’essere in atto, esistente), e
questo lo porta a chiedersi: che cosa fa in
modo che dalla potenza si passi all’atto?
La sua risposta è semplice: Dio. Con
poche parole il filosofo arriva a esprimere in
maniera chiara e comprensibile un concetto
complesso, che potrà poi essere accettato
oppure no, ma non equivocato.
L’impiego di un vocabolario filosofico
specifico limita dunque gli
errori dovuti a un utilizzo o a ANALISI
un’interpretazione errati dei O SINTESI
vari termini, che a questo Kant distingue tra
punto possono essere giudizio analitico,
utilizzati nelle frasi che coincide con la
(proposizioni) definizione, e sintetico,
che, poste in derivato dalla somma
relazione di più informazioni.

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Come ragionare in modo corretto?

Il sillogismo, la base della logica


U n ragionamento coerente è un ragio-
namento nel quale le affermazioni
non sono in contraddizione tra loro, ma
uomini sono mortali), il medio è “uomo” e
quello minore (nel senso che si riferisce a
un sottoinsieme di uomini) è ”greco”. Se
(ogni uomo è mortale); quindi S-P (ogni
greco è mortale). Possono però esiste-
re sillogismi del tipo M-S; M-P; quindi S-P,
anzi risultano collegate in maniera tale da usiamo la S per indicare il termine minore oppure S-M; P-M; quindi S-P. Utilizzan-
condurre alla definizione di un pensiero (greco), P per quello maggiore (mortale) e do questo schema, possiamo analizzare
compiuto che possiamo considerare valido, M per il medio (uomo), pos- tutti i possibili rapporti tra
distinguendolo da uno non valido. Il primo siamo scrivere: S-M le premesse, e tra le
a studiare il meccanismo alla base di tale (ogni greco è un preme s se e le
processo e a codificarne la struttura è sta- uomo); M-P conclusioni.
to Aristotele, il quale negli Analitici primi ha
CONTRARI
analizzato le varie forme di sillogismo che
possiamo incontrare all’interno di un ragio-
namento logico. Il sillogismo può essere SP P S P
definito come una forma di inferenza per la
quale da alcune affermazioni (premesse) ne
seguono necessariamente altre (conclusio-
ni). Per capire meglio di che cosa si tratta, SaP SeP
possiamo ricorrere a un semplice esem- Tutti gli S Nessun S
SUBALTERNI

SUBALTERNI
pio, analizzando le seguenti affermazioni, sono P èP
collegate tra loro: ogni greco è un uomo;
ogni uomo è mortale; quindi, ogni greco è CONTRADDITTORI
mortale. Adesso, come faceva Aristotele,
utilizziamo delle lettere per rappresentare
i singoli elementi all’interno di un ragiona- SiP SoP
mento (per esempio: se A appartiene a B e Qualche S Qualche S
B appartiene a C, allora A appartiene a C). èP non è P
Sappiamo anche che tali termini non
sono tutti equivalenti, ma il loro rapporto
è variabile. Nel nostro esempio, il termine S SP P S SP P
maggiore (il più ampio) è “mortale” (tutti gli

SUBCONTRARI
IL PENSIERO tra loro, comporranno il nostro uomini pensano;
LOGICO ragionamento, secondo regole e quindi, io penso»,
Alla base di un processi che rappresentano l’oggetto della abbiamo costruito un
ragionamento solido logica: l’arma più potente a nostra disposizione per sillogismo, partendo da due
e funzionale, in grado affrontare qualunque sfida intellettuale. premesse e arrivando a una conclusione vera
di giungere a conclusioni (data come assodata la verità delle due premesse,
coerenti, c’è sempre L e regole da osservare ovviamente). Se invece diciamo: «Io penso; tutti
l’uso corretto delle Etimologicamente parlando, la logica è la gli uomini pensano; quindi, io sono un uomo», il
leggi della logica. scienza dell’espressione del pensiero: il termine nostro sillogismo, seppure apparentemente simile
deriva infatti dal greco logos, traducibile sia al precedente, non è corretto, perché nelle premesse
con “pensiero”, sia con “parola”. È dunque la non viene esplicitamente dichiarato che solo gli
logica quella che utilizziamo ogni volta che uomini pensano: io potrei appartenere a un’altra
organizziamo le nostre idee e le esprimiamo, specie pensante. Il rigore è dunque una caratteristica
agli altri e a noi stessi, quando ragioniamo. imprescindibile della logica, senza la quale non
Tutte le scienze, però, poggiano su tecniche che possiamo sperare di giungere a conclusioni
permettono a chi le utilizza di ottenere risultati sempre valide e quindi utilizzabili come verità nei
efficaci. Per usare al meglio la logica, quindi, ragionamenti successivi. Il ragionamento logico
occorre seguire le sue regole con coerenza, per non presuppone l’utilizzo di elementi (operatori) che
rischiare di approdare a risultati contraddittori tra collegano due proposizioni in maniera diversa, i
loro, o perfino a conclusioni errate. cosiddetti connettivi logici (“e”, “o”, “se”…), che
Il fondamento della logica è quello che Aristotele, permettono di definire le relazioni tra le proposizioni
nel IV secolo a.C., ha denominato sillogismo, che collegate così da formare una terza proposizione
consiste nel collegare tra loro delle proposizioni (costituita dalle prime due e dal connettivo) che
per costruire un’argomentazione. Per esempio, possiamo provare essere vera o falsa. Gli specialisti
quando diciamo: «Io sono un uomo; tutti gli individuano diversi tipi di logica (formale, ”

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Come ragionare in modo corretto?
estensionale, matematica…), ma il fondamento
comune a tutti è lo stesso di quello che dobbiamo Parola d’ordine: semplificare
utilizzare per costruire un ragionamento valido.

I princìpi del pensiero


A volte siamo portati a pensare
che più gli argomenti sono com-
plicati, più elaborati e difficili devono
francescano Guglielmo di Ockham
(1285-1347), e può essere espresso
in maniera sintetica con la formula
Quando ci troviamo di fronte a una domanda, risultare i ragionamenti che li riguar- “gli enti non vanno moltiplicati senza
spesso la difficoltà maggiore consiste nella dano. In realtà, spesso sono proprio necessità” (entia non sunt multiplican-
scelta dell’approccio in grado di sviluppare il la complessità e l’eccessiva ricchez- da praeter necessitatem).
ragionamento più efficace per avvicinarsi alla za argomentativa a In termini pratici, quan-
risposta. Quando, per esempio, disponiamo di impedirci di arrivare d o af f ro nt ia m o un
alcuni principi (affermazioni) che riteniamo alla comprensio- problema dobbiamo
veri, possiamo adottare il sistema deduttivo ne di un concetto cercare di eliminare
e procedere da tali premesse per arrivare a o alla spiegazione tutti gli elementi che
conclusioni fondate, applicando in maniera di un fenomeno. non sono necessari al
rigorosa le regole della logica. Se invece siamo in In questo caso, ragionamento: lo stes-
presenza di un problema complesso e articolato, possiamo ricorrere al so Ockham ripeteva: ”È
la strategia migliore potrebbe essere applicare formidabile strumento intellettua- inutile fare con più quello che si può
un ragionamento analitico, scomponendo le noto come “rasoio di Ockham”. fare con meno” (frustra fit per plura
cioè l’argomento nelle sue componenti Autentico principio di economia dei quod fieri potest per pauciora). Ne
elementari. Quando poi ci troviamo di fronte concetti, il “rasoio” fu ideato nel consegue che la spiegazione miglio-
a un’alternativa, allora ci conviene valutare le Trecento da un filosofo inglese, il re sarà sempre quella più semplice.
implicazioni di entrambe le scelte possibili, anche

« La storia della filosofia


è un continuo passaggio del testimone,
dove il testimone che ci si passa
è il problema, non le soluzioni.»
GIOVANNI REALE
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ponendo un’alternativa assurda, per provarne
« Gli assiomi della filosofia
non sono assiomi
la fallacità. Gli scienziati, invece, sono chiamati
ad applicare il metodo scientifico, quindi a
convalidare le proprie affermazioni con delle
evidenze sperimentali. Per confutare una teoria
che riteniamo falsa, poi, possiamo cercare dei finché non li abbiamo provati
sulla nostra pelle.»
contro-esempi. E se invece stiamo affrontando
un argomento che riguarda un oggetto che
non possiamo “vedere” perché sfugge ai sensi,
oppure vogliamo mettere alla prova una nostra JOHN KEATS
intuizione? Allora, possiamo fare come i
grandi fisici del Novecento, Einstein e Bohr su
tutti, che per confermare o confutare le loro Prima di tutto, quindi, dobbiamo stabilire una
teorie sulla relatività e sulla fisica quantistica serie di affermazioni che consideriamo vere “a
escogitavano degli “esperimenti mentali”, priori”, cioè senza la necessità di una prova: i
cercando di immaginare gli esiti concreti delle cosiddetti “assiomi”, come per esempio quello
loro elaborazioni teoriche. di uguaglianza, che stabilisce che una cosa è
Non appena cominciamo a sviluppare un uguale a se stessa. Simili agli assiomi sono le
ragionamento logico, ci accorgiamo di trovarci cosiddette “verità analitiche”, che riguardano
di fronte alla necessità di definire una serie di le definizioni: il fatto che il triangolo abbia tre
principi sui quali costruire il nostro pensiero lati, per esempio, è una verità analitica (Kant
così che possa risultare efficace e funzionale. lo chiama “giudizio analitico”), mentre non lo è ”

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il fatto che 4+7 è uguale a 11, perché il numero posteriori” diventano tali dopo che ne abbiamo SULLE SPALLE
11 non è sottinteso nel 4 o nel 7, quindi per avuto esperienza (“il cane abbaia” possiamo dirlo DEI GIGANTI
ottenerlo occorre un’operazione ulteriore di solo dopo aver sentito abbaiare l’animale). Ogni conquista filosofica
sintesi delle informazioni contenute nei primi Infine, ma si tratta di principi da maneggiare non è solo il risultato
due numeri (e infatti l’affermazione 4+7=11 è con estrema cura, possiamo ricorrere anche della mente di un singolo
una verità sintetica, o “giudizio sintetico”). all’intuito e all’immaginazione, facendo quindi pensatore, ma la somma
Anche le “verità a priori” non richiedono prove, appello ai concetti di ovvietà (“una cosa è vera di secoli di riflessioni,
ma sono, appunto, verità che appaiono tali al perché non può essere altrimenti”) e di verità critiche e discussioni.
pensiero (“se A è maggiore di B e B è maggiore di evidente (“una cosa è vera perché tale mi appare”).
C, allora A è maggiore di C”), mentre quelle “a In questi casi dobbiamo essere consapevoli del fatto
che gli assunti inziali del nostro ragionamento
possono essere veri per noi e in un certo contesto,

« Poiché sono un filosofo,


ma non è detto che siano sempre confermati da
ogni tipo di esperienza e da tutti i soggetti.

ho un problema
Scegliere un maestro
Un altro grande strumento che la filosofia ci
mette a disposizione quando dobbiamo cercare

per ogni soluzione.» 


le risposte ai grandi dilemmi è rappresentato
dai risultati di oltre venticinque secoli di storia
del pensiero. A partire dagli antichi Greci, che
ROBERT ZEND si interrogavano sui fenomeni naturali come

Induzione e deduzione, strumenti indispensabili


I n os tri ragionamenti pos-
sono seguire due percorsi
inversi: possono cioè partire
parla di “ragionamento indut-
tivo”, mentre nel secondo di
“ragionamento deduttivo”.
do, invece, è il cardine del
metodo (chiamato appunto
ipotetico-deduttivo), utilizzato
Il r ag ionam e nto d i ti p o
dedut tivo, in realtà, risul-
terebbe neces sario anche
dall’osser vazione dei feno- Il primo è alla base del ragio- dai matematici e basato sul- nell’ambito delle scienze spe-
meni reali e dall’esperienza namento scientifico moderno: la costruzione di connessioni rimentali. A esprimersi in tal
per poi arrivare a definire una occorre partire dall’osservazio- logiche del tipo “se… allo- senso è il filosofo della scien-
regola universale; oppure, al ne di un fenomeno per poter ra”: prende le mosse da alcuni za Karl Popper (1902-1994),
contrario, prendere le mos- formulare un’ipotesi, che dovrà “postulati” o “assiomi”, affer- il quale af ferma che anche
se da premesse generali per poi essere confermata oppu- mazioni assunte come vere quando osser viamo i feno-
arrivare a conclusioni più par- re confutata attraverso una senza essere state dimostra- meni naturali par tiamo da
ticolari. Nel primo caso, si serie di esperimenti. Il secon- te, per stabilire delle verità. congetture mentali a priori.

DEDUZIONE INDUZIONE
TEORIA TEORIA

IPOTESI IPOTESI

OSSERVAZIONE MODELLO

CONFERMA OSSERVAZIONE

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Come ragionare in modo corretto?
il tuono e il fulmine, per giungere fino agli ROVESCIAMO invita a scommettere tutto sull’ipotesi che Dio
scienziati dei nostri giorni, che indagano i misteri IL PROBLEMA esista, dal momento che ne potremo trarre solo
del tempo e dell’universo, dell’infinitamente Se non riusciamo vantaggio. Allo stesso modo, se siamo alla ricerca
piccolo e dell’infinitamente grande, possiamo a dimostrare la verità di una visione generale del mondo, possiamo
contare sulle idee, sulle intuizioni, sulle scoperte di un ragionamento, studiare quelle proposte da giganti del pensiero
di migliaia di intellettuali che hanno provato possiamo tentare come Cartesio (1596-1650), Kant (1724-1804),
a offrire risposte, che possono risultare molto di capovolgere Hegel (1770-1831) e Schopenhauer (1788-1860),
diverse tra loro e a volte addirittura antitetiche, la situazione e provare scegliendo quella che risulterà più affine alla
anche quando trattano il medesimo argomento l’assurdità della nostra idea: l’ipotesi, insomma, che ci apparirà
partendo dalle stesse evidenze. sua negazione. Sotto, più “vera”. Avremo trovato così un maestro
Conoscere le loro idee, contestualizzandole Relatività, dell’incisore intellettuale dal quale imparare e con il quale
all’interno del periodo storico in cui sono state olandese M.C. Escher. confrontarci criticamente (un vero filosofo non si
concepite e individuando i principi che possono aspetta altro dai propri allievi).
essere trasferiti anche nella nostra esperienza Scopriremo anche che è sempre possibile,
ci permette di partire da una formidabile base partendo dal pensiero di un maestro di
intellettuale per costruire la nostra filosofia: qualsiasi epoca e andando a ritroso nel tempo,
per esempio, quando cominciamo a ragionare individuare un percorso intellettuale che di
sull’esistenza di Dio, possiamo studiare le idea in idea, di critica in critica, di filosofia
dimostrazioni di san Tommaso e sant’Anselmo in filosofia ci condurrà alla culla del pensiero
(1033-1109), per poi magari concludere che non occidentale: la Grecia di Socrate, Platone,
ci soddisfano e che invece preferiamo l’approccio Aristotele, che possono essere considerati senza
“utilitaristico” di Pascal (1623-1662), che ci ombra di dubbio i maestri dei maestri.

Ragionamento assurdo, ma solo in apparenza


S pesso dimostrare la verità
logica di un ragionamento
può risultare particolarmente
difficile, e non è raro ritrovarsi
impossibilitati a pronuncia-
re la fatidica formula finale:
“come volevasi dimostrare”
(quod erat demonstrandum,
abbreviato nella sigla QED).
A volte, però, basta affron-
tare il problema da un punto
di vista diverso, anzi, opposto:
invece di cercare di confermare
la nostra tesi, possiamo provare
a dimostrare la sua negazio-
ne. Questo procedimento è la
dimostrazione o riduzione “per
assurdo”, nella quale si assu-
me come dato di fatto l’ipotesi
opposta a quella che voglia-
mo dimostrare e, attraverso il
ragionamento, si arriva a una
conclusione assurda, confer-
mando così indirettamente
l’assunto originale.
Si tratta di un sistema estre-
mamente efficace, ma solo se
vale il “principio del terzo esclu-
so” (tertium non datur), in base
al quale non esiste una terza
possibilità: il nostro assunto,
cioè, deve essere necessaria-
mente vero oppure falso.

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La verità
può essere
conosciuta?

UNA DOMANDA,
UNA RISPOSTA
Cercare la verità significa
essere in grado
di individuare, tra tutte
le possibili risposte,
l’unica che non può
essere confutata:
è solo un’illusione?
Nella foto, la Bocca
della Verità, un semplice
tombino romano che,
secondo la leggenda,
sarebbe in grado di
smascherare i bugiardi.

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Ogni qualvolta
ci poniamo una domanda,
vorremmo una risposta
che risulti “vera”
e definitiva. Ma spesso
non sappiamo nemmeno
se sia possibile giungere
a un’unica verità

S
i dice che esistano sempre tre versioni di
ogni storia: la mia, la tua e quella vera.
Sull’esistenza delle prime due nessuno ha
da obiettare, riconoscendo che ciascuno
interpreta e vede la realtà secondo la propria
prospettiva. Riguardo alla terza opzione, invece,
non tutti concordano sul fatto che si possa
individuare qualcosa che sia “vero” per tutti e
in ogni frangente. Esiste un principio di verità
assoluta? E, nel caso, dov’è possibile trovarlo?
Oppure la piena verità è solo un’illusione e
dobbiamo accontentarci di un metodo che
ci permetta di distingure il vero dal falso?
Sono domande ineludibili, per un filosofo,
perché riguardano gli strumenti primari del
ragionamento. Ecco perché hanno costituito un
proprio campo d’indagine lungo i secoli, dando
i natali alla logica e all’epistemologia, che è lo
studio della natura e dei limiti della scienza.

L’ incerta esistenza del vero


Fino a pochi decenni fa, la conoscenza
del mondo dipendeva dall’accesso limitato a
pochi canali dai quali reperire le informazioni
necessarie, e raramente l’affidabilità di tali
fonti veniva messa in discussione, proprio per
la difficoltà di confrontarne i contenuti con
versioni alternative. Oggi che viviamo nell’epoca
dell’informazione globale succede invece l’esatto
contrario: abbiamo accesso a notizie da tutto il
mondo e possiamo consultare testi, documenti e
commenti ogni volta che lo desideriamo. Eppure
spesso facciamo fatica a distinguere ciò che è
degno di fede da quanto è solo un’opinione
fatta passare, volontariamente o meno, per un
dato di fatto. Ma allora, se una cosa falsa può
essere fatta passare per vera, come possiamo
essere certi che ci sia qualcosa di effettivamente ”
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vero? È una domanda antica quanto la filosofia, convincere gli altri della nostra opinione.
tanto daessere illustrata, in maniera esemplare, Socrate, dal canto suo, ritiene invece che la
dal contrasto tra le idee di un sofista come verità esista, ma che non si debba ricercare nella
Gorgia da Lentini (vissuto a cavallo tra il V e natura, dove in effetti le esperienze possono essere
il IV secolo a.C.) e quelle del contemporaneo interpretate in maniera diversa e spesso, come
Socrate. Tale scontro viene drammatizzato e Gorgia e altri sofisti insegnano, strumentale.
raccontato da Platone, allievo e continuatore L’unico luogo in cui possiamo sperare di trovare
dell’opera di Socrate, nella sua opera intitolata, la verità è dentro di noi, perché proprio noi siamo
appunto, Gorgia. I punti di vista dei due filosofi l’oggetto unico della nostra conoscenza. “Conosci
non potrebbero apparire più distanti. Secondo te stesso”, ci esorta il filosofo. Ma se davvero
Gorgia «nulla esiste, e se qualcosa esiste, non è ciò che è vero è dentro di noi, come trovarlo e
comprensibile all’uomo; e se è comprensibile, portarlo alla luce? Socrate suggerisce l’impiego
non è comunicabile e spiegabile agli altri». Ma se della “maieutica”, letteralmente l’arte di “far
nulla esiste, o se comunque nulla è comprensibile partorire”, in questo caso le idee. Per utilizzare
o spiegabile, allora non possiamo parlare di tale metodo, la sola parola (il logos) non basta:
verità assolute; tutt’al più possiamo utilizzare le dobbiamo confrontare
nostre capacità intellettuali e dialettiche per le nostre idee

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La verità può essere conosciuta?

« Nulla esiste,
attraverso la discussione (il dialogos) per arrivare
infine a definire la verità condivisa.
Gli approcci di Gorgia e Socrate sono davvero

e se qualcosa esiste,
agli antipodi: dal primo possiamo desumere un
atteggiamento assolutamente relativistico, dal
secondo deriviamo l’idea che esistano principi di

non è comprensibile all’uomo;


verità assoluta che trascendono i dati sensibili.
È seguendo quest’ultima linea di pensiero che
Platone, prima, e i neoplatonici, poi, arriveranno
e se è comprensibile, a identificare la verità con la dimensione
ideale, fino ad giungere alla dottrina dell’Uno
di Plotino, che porterà successivamente
non è comunicabile all’identificazione di Dio come Verità assoluta.
È la stessa conclusione alla quale perverrà
sant’Agostino (354-430), che a sua volta
né spiegabile agli altri.» influenzerà Anselmo d’Aosta, secondo il quale
Dio (che è Verità) si pone come modello rispetto
GORGIA al quale l’uomo deve sempre conformare la
propria volontà e le proprie azioni.
Di inclinazione più aristotelica, Tommaso
d’Aquino farà sua la formula “adaequatio rei
et intellectus” (adeguazione dell’intelletto alla
cosa), che sembra sia stata originariamente
coniata, nel X secolo, dal filosofo ebreo-egiziano
Isaac Israeli ben Solomon e che identifica la
verità di un oggetto nella corrispondenza tra
l’oggetto stesso e l’idea che il nostro intelletto
ha di esso. Una prospettiva che, evidentemente,
dev’essere parsa soddisfacente a molti dei
pensatori successivi, al punto che si può dire
che anche i filosofi moderni (Cartesio, Leibniz e
Kant su tutti) l’hanno implicitamente accettata,
concentrandosi piuttosto nella ricerca di un
modo per stabilire la verità di una cosa o di un
fenomeno: le cosiddette “condizioni di validità”.

Dove cercare la realtà


La gran parte dei filosofi cristiani non ha
dubbi nel collocare la fonte della verità assoluta
in Dio. Si tratta di una posizione che si adatta
perfettamente a una visione religiosa della vita,
incentrata sul presupposto che tale verità sia stata
UNA, CENTO, rivelata. Ciò non significa che chi crede non
MILLE “VERITÀ” debba preoccuparsi del problema del vero e del
Se diamo ascolto al falso, ma solo che il punto di partenza e di arrivo
sofista Gorgia, non è già noto, e che è possibile trovare e conoscere il
esiste una verità unica, principio di verità rivolgendosi a Dio.
ma solo opinioni: tra Più tardi, Giambattista Vico (1668-1744)
queste, prevale quella riproporrà la questione sotto un’altra prospettiva,
che viene presentata con più limitata ma più accessibile e vicina alla
la maggior eloquenza. sensibilità di chi ritiene che le risposte alle
Nell’immagine, il Giudizio domande che ci poniamo dovrebbero riguardare
di Salomone, dipinto dalla maggiormente la dimensione umana, piuttosto
bottega di Raffaello nel che quella ideale o divina. Secondo il pensatore
1518: il sovrano biblico napoletano, la mente è limitata e quindi non può
ricorre a uno stratagemma pensare di raggiungere le verità di natura: l’uomo
psicologico per scoprire può, però, indagare le verità delle sue azioni, perché
quale delle due donne che provengono da lui. «Il vero e il fatto si convertono»,
si contendono il bimbo gli sentenzia, cioè finiscono per coincidere.
abbia mentito. I pragmatisti inglesi del XIX secolo erano ”

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Come scoprire se una frase è vera o è falsa
I ntrodotte alla fine del XIX
secolo da pensatori come
Frege, Peirce e Russel, e perfe-
una proposizione complessa, a
partire dall’analisi del valore di
verità delle singole proposizio-
appunto, come per esempio
la congiunzione logica “e” ( ),
la disgiunzione esclusiva “o”
ˆ
ne logica “non” (¬), che però si
riferisce alla singola proposizio-
ne. Il calcolo proposizionale,
zionate dal lavoro di Emil Post
e soprattutto da Ludwig Witt-
ni semplici che la compongono.
Queste proposizioni semplici
ˇ
( ), quella esclusiva “o… o…”
(≠), l’implicazione logica “se…
come viene chiamato, rappre-
senta un potente strumento
genstein, le cosiddette “tabelle sono collegate tra loro dai vari allora…” (=›) e la doppia implica- di analisi di una proposizione
di verità” permettono di deter- “connettivi logici” che le metto- zione “se e solo se” (‹=›). Inoltre, complessa ai fini di determinar-
minare la verità o la falsità di no in relazione in termini logici, bisogna aggiungere la negazio- ne il valore di verità.

d’accordo nel considerare come vero ciò che


si accorda alla realtà, falso ciò che invece la
« Colui che non conosce la verità
è uno sciocco, ma colui
contraddice. In effetti, questa potrebbe apparire
una definizione efficace del concetto di verità.
Ma, obiettano i critici, parte dalla premessa,

che la conosce e la chiama


tutt’altro che scontata, di sapere esattamente che
cosa sia la realtà, che invece rimane sempre un
concetto delicato e suscettibile di interpretazioni.
A cavallo tra Otto e Novecento, arriva la
precisazione di Charles Peirce e William menzogna, è un delinquente.»
James, che concordano sul fatto che la verità
contenuta in un’affermazione o in un concetto BERTOLT BRECHT
si riflette nelle conseguenze pratiche, vale a
dire nella sua utilità. Un concetto, quindi, VERITÀ CONTRO che segna il tempo, dunque della sua funzione,
dovrebbe essere considerato vero solo se la sua SINCERITÀ la quale può essere definita come l’effetto che
applicazione si rivela funzionale. Se osserviamo La macchina della verità l’oggetto ha nel mondo concreto. In altre parole,
un orologio appeso alla parete, chiudiamo gli (sopra) aiuta a valutare la nostra idea di orologio è vera se quello a cui
occhi e cerchiamo di immaginarlo, certamente la “sincerità” di un pensiamo è un oggetto che ci indica che ore
ne visualizziamo una copia approssimata e testimone: un concetto sono. Un approccio del genere implica però che
incompleta, perché probabilmente non sappiamo ben diverso da quello non si possa parlare di verità assolute, ma solo di
nulla dei suoi ingranaggi interni e del suo di “verità”, anche in verità che sono tali in rapporto al mondo concreto,
funzionamento; la nostra immagine mentale, termini giuridici. che è la realtà a cui dobbiamo fare riferimento.
però, mantiene ancora intatta l’idea dell’oggetto La verità pragmatica, dunque, è dinamica, perché
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La verità può essere conosciuta?

La matematica L’INTELLETTO E LA VERITÀ


è sempre vera. O quasi Secondo san Tommaso, la verità è
il processo con il quale la mente si mette

C hi oggi ritiene possibile l’esistenza di una


realtà oggettiva conoscibile razionalmen-
te, la cerca prima di tutto nella dimensione
in relazione con l’oggetto della sua indagine,
costruendo l’idea dell’oggetto stesso.

matematica, nella quale non trovano posto i


limiti dell’esperienza sensibile.
Nel 1931, però, il logico austriaco Kurt
Gödel rese nota la sua dimostrazione
del primo teorema di incompletez-
za, secondo il quale, all’interno
di ogni teoria matematica “suf-
ficientemente potente”, cioè
capace di esprimere e dimo-
strare almeno quello che
esprime e dimostra l’aritme-
tica elementare, è sempre
possibile costruire una propo-
sizione sintatticamente corretta:
tale, cioè, da non potere essere
né dimostrata, né confermata all’in-
terno di quello stesso sistema. Dunque,
nemmeno in questo ambito possiamo avere la
certezza assoluta di tutti i nostri assunti.
Successivamente, con il secondo teorema di
incompletezza, Gödel dimostra anche che nes-
sun sistema “sufficientemente potente” può
venire impiegato per dimostrare la sua stessa
coerenza: questo significa che non possiamo
sperare di confermare in maniera definitiva la
coerenza di una qualunque teoria matematica
nei confronti dei suoi stessi assunti.

nasce dal confronto tra idea e realtà.


Anche Hegel (1770-1831) sottoscrive l’idea di
una verità dinamica, ma lo fa in una prospettiva
decisamente diversa: quella di un percorso che
porta al vero solo dopo aver superato tutte le
opposizioni e le riunificazioni presenti nel corso
della ricerca intellettuale intrapresa, secondo un
continuo processo dialettico basato sul principio
logico di non contraddizione; il vero è ciò che
risulta alla fine di questo difficile percorso. Ma
una volta accettato (magari con riserva) che possa
esistere una verità, sia pure più o meno completa
e più o meno relativa, rimane da risolvere il vero
problema che si pone non solo ai filosofi, ma a
tutti noi: saper riconoscere ciò che vero non è.

Smascherare il falso
Parlare di vero e di falso significa, prima di
tutto, accertare una definizione di verità che sia
la più chiara e netta possibile. Platone è stato
il primo a provarci, indicando la verità come
la “proprietà” del discorso che “dice gli enti
come sono”. Ne deriva che il falso dev’essere la ”
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La verità può essere conosciuta?
proprietà del discorso che, al contrario, “dice gli
enti come non sono”. Sarà poi Aristotele, nella
Metafisica, a strutturare l’assunto completo:
«Dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è
che è, è falso; dire di ciò che è che è, o di ciò che
non è che non è, è vero». Quest’affermazione, che
si basa sul principio di non contraddizione, ha
tutta l’aria di uno scioglilingua, ma costituisce
una delle basi del discorso logico di cui noi stessi
ci serviamo, seppure spesso senza saperlo.
La logica aristotelica è uno degli assi portanti
della filosofia medievale, dunque non ci
stupiamo di trovarla applicata anche al tema della
verità. In questo caso, però, il punto di partenza è
molto più definito, perché, come abbiamo visto, i
pensatori del periodo, a cominciare dal IV secolo
con sant’Agostino, partono immancabilmente
dal presupposto che esista una verità eterna e
immutabile. Il fatto che l’ambiente culturale
fosse dominato dalla dottrina cristiana della
rivelazione ha reso il discorso su ciò che è vero e
ciò che è falso influenzato da un assunto di base
rigido, secondo il quale nessuna affermazione

« Ripetete una bugia cento,


logico-razionale può contraddire una verità
di fede. Tommaso d’Aquino, per esempio,
ritiene che la misura della verità si possa trovare
mille, un milione di volte,
studiando l’oggetto a cui si riferisce, e non
dipenda dall’intelletto. Insomma, non si trova
nella mente dell’osservatore, ma nella realtà di
quel che viene osservato.
Man mano che la realtà appariva in tutta e quella diventerà verità.»
la sua complessità e le certezze dell’impianto
aristotelico venivano a mancare, anche l’idea di JOSEPH GOEBBELS
verità si faceva sempre più sfuggente. Privati di
quelle che sembravano certezze assolute (come
per esempio la visione geocentrica del cosmo)
e sollecitati da nuove scoperte, molti pensatori
spostaono la ricerca della verità su un piano più
elevato, al di sopra della dimensione concreta.
Una strategia pericolosa, perché rischia di farci
tornare all’approccio platonico, ma che vale la
pena di intraprendere se si vuole costruire un
sapere basato su fondamenta solide. Il primo
mattone lo ha posto Cartesio (1596-1650) con
il suo celebre cogito ergo sum, “penso, dunque
sono”: una prima certezza su cui edificare
un sistema di verità sia matematiche, sia
metafisiche. Secondo il pensatore francese, esse
sono garantite dall’esistenza di un Dio che non
inganna l’uomo e non induce la sua mente in
errore (la cosiddetta “veracità di Dio”). Anche
il contemporaneo Spinoza (1632-1677) chiama
Dio a garanzia della verità, dal momento che,
secondo lui, Dio è sostanza unica che informa
tutto il creato e dunque ne garantisce la verità.
Per superare questa necessità metafisica, o
meglio, per aggirarla, Leibniz (1646-1716)
introduce un’importante distinzione, quella
tra le verità di ragione, basate sulla logica del
principio di non contraddizione (lo stesso che
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Il paradosso del mentitore
« Non sarà mai

S i dice che il cretese Epimenide una volta abbia


dichiarato: “Tutti i cretesi sono mentitori”. A
possibile, attraverso
la ragione pura,
partire dalla sua prima formulazione, risalente forse
al VI secolo a.C., tale paradosso, noto come “para-
dosso del mentitore”, ha dato molto da pensare.
Apparentemente, infatti, è impossibile stabilire
se la frase sia vera oppure falsa: se fosse vera, vor- arrivare a qualche
rebbe dire che Epimenide è sincero, ma essendo
egli cretese ciò andrebbe in contraddizione con
il contenuto della frase; viceversa, se mentisse, i verità assoluta.»
cretesi risulterebbero sinceri, lui compreso, il che
contraddice immediatamente la nostra premessa. WERNER HEISENBERG
Il paradosso nasconde un salto logico: in real-
tà è l’autore del paradosso a mettere in bocca al sarà alla base del processo dialettico di Hegel),
cretese Epimenide le parole “tutti i cretesi sono e le verità di fatto, che invece dipendono dai
mentitori”, e non è Epimenide a parlare diret- risultati dell’esperienza (il cosiddetto “principio
tamente: egli non potrebbe mai affermare di ragion sufficiente”). Una distinzione che
logicamente quanto riportato. Curiosando su sembra offrire un buon compromesso tra l’idea
internet, troviamo però una spiegazione più arti- di una verità “vera” e quella di una verità
colata, riportata dal sito Club di Epimenide, che soltanto empirica. Tant’è vero che, nel corso
parte dall’analisi del termine “mentitore”, consi- del XVIII secolo, tutto ciò verrà ripreso sia
derandolo alla stregua di un operatore logico: in dall’empirista David Hume che dall’illuminista
questa prospettiva, il mentitore inverte i valori di Immanuel Kant, con la sua distinzione tra i
verità. Così, se Epimenide mente, la frase collega giudizi analitici (basati sulla ragione) e i giudizi
il suo essere mentitore con la modalità operativa sintetici (che poggiano sull’esperienza).
(modus operandi) propria del sincero, in contra-
sto con il modus operandi del mentitore, che è Tra oggettività e soggettività
appunto quello di mentire; in questo caso Epime- Come si è detto, oggi il concetto di verità
nide sarebbe costretto a essere sincero. La stessa è, almeno nell’esperienza quotidiana, messo
situazione si verifica nel caso contrario: anche se particolarmente in crisi dalla molteplicità
dice il vero, Epimenide applica il modus operan- delle versioni di verità, che ci appaiono spesso
di del mentitore, che inverte i valori di verità, e ugualmente accettabili o comunque accoglibili,
pertanto mente; ma così facendo non rispetta a partire dai diversi punti di vista. Il problema
la sua natura di sincero, dunque è un mentito- era ben presente anche ai filosofi ottocenteschi,
re. Le sole possibili combinazioni logiche sono a partire da Nietzsche (1844-1900), il quale nel
quelle che prevedono che Epimenide sia since- suo Su verità e menzogna in senso extramorale
ro e che si comporti come tale, oppure che sia suggerisce che la verità non sia altro che una
mentitore e faccia lo stesso, negando così “costruzione retorica” dell’uomo, il quale ne è
logicamente il significato della fra- artefice e al contempo vittima, dal momento che
se. In entrambi i casi, la potenza della sua invenzione è tale da fargli
dimenticare la propria natura illusoria.
Nel Novecento, è Hilary Putnam (1926-2016)
a tentare una mediazione tra questa visione, che
nega l’esistenza di una verità oggettiva, e quella
che invece non rinuncia all’idea di un livello
di conoscenza dove sia possibile trovare un
criterio d'individuazione per i concetti definibili
come oggettivamente veri. Putnam, infatti, da
un lato nega l’esistenza di verità a priori, ma
dall’altro considera valide le nozioni analitiche,
cioè basate sulla ragione, benché queste
ultime possano essere identificate soltanto
l’affermazione di empiricamente: noi le consideriamo vere per
Epimenide risulta comunque illegitti- una sorta di “convenzione implicita”, senza però
ma, perché non rispetta le regole della logica, poter giustificare tale veridicità. Neppure la
oltre che indecidibile, perché su di essa non è pos- matematica sfugge a questa definizione:, tanto
sibile pronunciare un giudizio di verità o falsità. che la sua “verità” non sarebbe molto diversa da
quella che riguarda gli oggetti empirici.
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Sono
davvero
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libero?
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Sono io a decidere
della mia vita?
Esiste il libero
arbitrio? In che modo
vengo influenzato
dalle scelte degli altri?
Solo rispondendo
a tali quesiti possiamo
definire la misura
della nostra libertà

O
gni giorno, anzi ogni momento
siamo chiamati a compiere
scelte: alcune sono così semplici
e quotidiane che quasi non ci
accorgiamo di farle, altre possono rivelarsi
molto più significative, in grado di
modificare non solo la nostra vita, ma anche
quella degli altri. In ogni caso, tutte le volte
che siamo chiamati a prendere una decisione
mettiamo in atto processi mentali che ci
appartengono intimamente. Pensiamo di
essere assoluti padroni delle nostre azioni
e delle nostre scelte. Eppure, prima o poi
il dubbio ci assale: è davvero così? Siamo
liberi di decidere e agire come desideriamo,
oppure tutto ciò che accade nella nostra vita
è inevitabile e prestabilito?

Il nesso con la conoscenza


Nell’antichità greca e romana, quello
di libertà è prima di tutto un concetto
politico: essere liberi significa essere cittadini
e, come tali, godere dei diritti garantiti
da tale condizione. Il termine eleutherìa,
che noi traduciamo con “libertà”, indica
SOCIETÀ specificamente l’indipendenza politica: lo
E LIBERTÀ schiavo o il prigioniero, che chiaramente
Vivere all’interno di una non sono liberi, non possono neppure essere
società civile comporta considerati cittadini. È proprio all’interno
la corruzione dell’animo delle pòleis che praticano la dottrina politica
dell’uomo, il quale, dell’eleutherìa, però, che il problema della libertà
invece, è veramente libero individuale emerge in tutta la sua urgenza. I
solo quando si trova nello pensatori ateniesi, in particolare, si pongono il
stato di natura, come dilemma dell’autodeterminazione del singolo
affermava Rousseau, a cui individuo: l’uomo può decidere delle proprie
si ispira quest’immagine. azioni e, di conseguenza, del proprio destino? ”
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Uno dei primi filosofi a trattare,
sia pure indirettamente, il tema della
libertà è Socrate (470-399 a.C.), il quale
ritiene che l’uomo ricerchi sempre il bene
e che dunque orienti inevitabilmente le
proprie azioni in funzione di tale fine. In
questo senso, Socrate sembra suggerire che
l’uomo sia sempre libero di agire cercando
il bene, e che il problema, semmai, sia
di comprendere quale sia questo bene. La
vera libertà è, insomma, quella di errare, di
sbagliare obiettivo. In pratica, la libertà è una
conseguenza della conoscenza.
In qualche misura, questo approccio
contiene un nocciolo paradossale: l’uomo
sembrerebbe naturalmente obbligato a cercare
il bene, quindi la sua sarebbe una scelta
forzata. Da questo punto di vista, Platone
(428-348 a.C.), il più noto dei discepoli di
Socrate, offre una visione più aperta: nella
sua Repubblica, raccontando il mito di Er,
egli afferma che prima di reincarnarsi l’anima
può scegliere quale destino abbracciare nella
sua nuova vita, senza che la divinità possa
intervenire per influenzare la sua decisione.
Ognuno, sembra dirci Platone, è responsabile
del proprio destino, ma anche in questo
caso la scelta, per essere libera, dev’essere
informata: sono il ricordo della vita passata e le
testimonianze delle altre anime a permettere
all’anima di operare la scelta giusta. Sia
Socrate che Platone concordano nel ritenere
che si è liberi solo attraverso la conoscenza.

Svincolarsi dalla necessità


I l rapporto fra libertà ed economia è sempre
stato molto complicato, ma lo è divenuto
ancor più dopo la Rivoluzione industriale e l’af-
fermazione del sistema capitalistico. Proprio
partendo dalle riflessioni su questo binomio,
il pensatore ed economista tedesco Karl Marx
(1818-1883) sviluppa una teoria che conduce
alla nascita della dottrina politica del socia-
lismo. «La liber tà» scrive Marx, «comincia
soltanto là dove cessa il lavoro determinato
dalla necessità e da un fine esterno; perciò,
per la sua stessa natura, si pone al di là della
sfera della produzione materiale».
DIRITTO (E DOVERE) Per conseguire la libertà, dunque, è neces-
DI CITTADINANZA sario abolire il meccanismo che sta alla base
Per gli antichi Greci e del sistema capitalistico, secondo il quale un
Romani, la libertà era uomo, per sopravvivere, deve vendere il pro-
appannaggio esclusivo prio lavoro a un altro uomo. L’abolizione della
dei cittadini: essere liberi, proprietà privata e l’istituzione di quella col-
dunque, comportava lettiva diventano i prerequisiti per la creazione
anche l’assunzione del solo tipo di società in cui, nella visione
di gravose responsabilità. marxista, il cittadino sia davvero libero.

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Sono davvero libero ?
Il medesimo concetto viene ribadito da LA PRIGIONE Epicuro propone un’idea di libertà individuale
Aristotele (384-322 a.C.), discepolo di Platone, DELLE PASSIONI che sentiamo più moderna: è l’autosufficienza,
quando, nella sua Etica nicomachea, afferma che Quando parliamo di l’“autarchia”, che consente all’uomo di «liberarsi
si deve ritenere volontario ciò «il cui principio libertà, non intendiamo dalla prigione degli affari e della politica». La
sta in chi agisce, conoscendo le circostanze solo quella del corpo, libertà proposta da Epicuro è quella interiore,
particolari in cui si attua l’azione». L’uomo anzi: molti pensatori, una condizione necessaria per raggiungere la
non può ignorare i principi sui quali basare le come gli stoici e Plotino, felicità e che presuppone il disimpegno dalla
proprie azioni, perché li conosce istintivamente, vedono nelle passioni politica e dalla società; esige anche la rinuncia
ma è libero nel proprio agire solo se conosce la la prigione dell’anima. ai piaceri superflui, la cui ricerca condiziona
situazione in cui è chiamato ad applicarli. Sotto, il ritratto di Karl negativamente la nostra vita, costringendoci a
Marx, la cui dottrina vede scelte contrarie a quelle che condurrebbero al
Dio e l’emancipazione dell’uomo nell’affrancamento dalla raggiungimento della beatitudine.
È possibile conciliare l’idea della libertà con povertà e dalla servitù il Sul problema delle passioni, intese come
quella dell’esistenza di una divinità superiore primo passo sul cammino nemiche della libertà, ragiona anche Plotino
e creatrice? Epicuro (342-270 a.C.) dice di sì: della libertà intellettuale e (204-270 d.C.), fondatore del neoplatonismo.
secondo lui, gli dei esistono, ma non hanno della felicità individuale. Egli si chiede se esista qualcosa che l’uomo
influenza sul destino dell’uomo perché se possa decidere davvero, dominato com’è dai
ne disinteressano. Per quale ragione, infatti, suoi istinti, che lo portano a diventare schiavo
esseri perfetti dovrebbero abbassarsi al livello delle passioni terrene. La ricetta di Plotino per
terreno? Rispetto ai suoi grandi predecessori, raggiungere la libertà è semplice ma difficile

«Gli uomini ritengono di essere liberi poiché sono consapevoli


dei propri desideri e dei propri appetiti, mentre non pensano
neppure lontanamente alle cause da cui vengono disposti
ad appetire e a volere, perché non le conoscono.»
GOTTFRIED WILHELM VON LEIBNIZ

al tempo stesso: combattere e vincere le nostre


passioni per volgerci esclusivamente al bene che
è dentro di noi. Si tratta di un faro che la nostra
anima riconosce istintivamente come la meta
del suo ritorno verso l’“Uno”, da cui essa è stata
separata alla nascita. Lo scopo dell’esistenza è
uno soltanto, pertanto l’unica libertà possibile
consiste nel “voler” trovare l’Uno. In altre
parole, per essere liberi bisogna voler ottenere
ciò che la nostra anima desidera, e questa cosa è
inevitabilmente il ricongiungimento con l’unità
primigenia, ossia l’ente divino.
Un pensiero simile si ritrova anche nella
filosofia cristiana, che si concentra soprattutto
sul concetto di libertà, intesa come capacità
di scegliere tra “bene” e “male”: il libro della
Genesi pone subito il problema, descrivendo la
pessima scelta operata da Adamo ed Eva, che
seguendo il cattivo consiglio di Satana optano
per il male e disobbediscono a Dio.
Se l’uomo è fatto a immagine di Dio,
e Dio è ovviamente libero, allora anche
l’uomo dev’essere libero nelle proprie scelte.
Ancora una volta, la scelta giusta è quella
del vero bene, ma possiamo sempre decidere ”
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diversamente. Siamo liberi di sbagliare,
anche se, in tal caso, dobbiamo essere pronti Il principio del danno
a pagarne le conseguenze, come hanno fatto
Adamo ed Eva, espulsi dall’Eden.
Per il credente cristiano non è mai stato facile
A lla ricerca di una legge gene-
rale della libertà, John Stuart
Mill elaborò il “principio del dan-
ti di un altro. Per il resto, lo Stato,
inteso come rappresentante giuri-
dico della comunità civile, non ha
conciliare l’idea di una divinità onnipotente, no”: ogni persona dev’essere libera il diritto di stabilire che cosa sia
che definisce le regole a cui l’uomo deve di fare quel che più desidera, a meglio per l’individuo, lasciando-
attenersi, con quella del libero arbitrio di patto che ciò non procuri danno gli piena libertà di scelta per tutto
cui egli è dotato. A occuparsene in maniera ad altri. Si tratta di un concetto quello che riguarda la sfera privata.
approfondita è sant’Agostino (354-430), che all’epoca rivoluzionario (Mill scris- Ciò presuppone la capacità di
dedica al problema il suo La Grazia e il libero se Sulla libertà nel 1859, in epoca individuare con certezza quali scel-
arbitrio. Egli parte dall’assunto che l’uomo vittoriana) e che ancor oggi pro- te personali soddisfino il principio
è dotato della libertà di scegliere e che Dio voca accese discussioni, benché, d el d anno. L’a zione ind i v id ua -
lo pone in condizione di decidere il proprio apparentemente, sia largamente le può entrare in conflitto con la
destino. Ciò non esclude l’intervento della accettato dalle democrazie liberali. sfera morale, politica e religiosa
Grazia divina, che fornisce all’uomo la forza La sua più importante conseguen- altrui, provocando contrasti anche
e la volontà di non cadere in tentazione. za è quella di limitare l’intervento violenti in seno all’intera società.
La libertà concessa all’uomo spiega anche della collettività al manifestarsi del Basti pensare all’attuale dibatti-
l’esistenza del male, che, secondo Agostino, compor tamento nocivo da par- to sull’eutanasia per comprendere
scaturisce dalla scelta di Dio onnipotente di te di un individuo come l’idea di libertà di Mill risulti
lasciare all’uomo la potestà sulle proprie azioni. nei confron- di difficile applicazione.

Forse non tutto è stato scritto


Un altro filosofo cristiano, Boezio (476-525),
affronta la sfida di conciliare l’onnipotenza
di Dio con la libertà dell’uomo. Lo fa nella
sua opera fondamentale, De consolatione
philosophiae, ponendo una questione di
primaria importanza. Dato che Dio è
onnisciente, conosce anche ciò che sarà,
quindi tutte le nostre azioni e le decisioni
passate, presenti e future: possiamo
dunque definirci davvero liberi, oppure
la nostra vita è già scritta, fin nei minimi
dettagli? Boezio ritiene che l’uomo conservi PENSIERO
comunque il libero arbitrio. Ammettere che LIBERALE
Dio conosca ogni cosa non significa accettare L’uomo è libero di
l’idea della predestinazione Dio, spiega Boezio, fare ciò che vuole,
è al di fuori dal tempo umano: per Lui, ieri, a patto che non
oggi e domani coincidono in un unico istante, danneggi gli altri: è il
un istante che però ci appartiene e viene principio del danno
formato dalle nostre scelte. di Stuart Mill,
Di libero arbitrio e predestinazione si caposaldo del
discute lungo tutto il Medioevo, fino ad pensiero
arrivare allo scontro tra il padre della Riforma libero.
protestante, Martin Lutero (1483-1546), e
l’umanista Erasmo da Rotterdam (1466-1536).
Quest’ultimo, nel suo De libero arbitrio,
sottolinea la responsabilità dell’uomo nei
confronti delle proprie azioni. Cattolico e
finissimo conoscitore della Bibbia, Erasmo
vuole trovare il modo di conciliare la necessità
dell’intervento della Grazia divina con la libertà
individuale. Per farlo, scompone ogni azione
umana in tre fasi: nella prima e nell’ultima,
la Grazia è necessaria, per spingere l’uomo
a iniziare e a concludere l’azione; ma nella
fase intermedia, quella dello svolgimento, il
libero arbitrio gioca la sua parte e permette
all’uomo di esercitare la propria volontà.
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Sono davvero libero ?

Quando decidiamo... « Nessuno mi può costringere


abbiamo già deciso
L a libertà come risultato di un processo neu-
rologico: è questa la premessa alla base di
a essere felice secondo
la sua idea di felicità; ma ognuno
alcune moderne teorie scientifiche basate su evi-
denze mediche. Esse sembrano individuare nella
corteccia cingolata la sede ove hanno luogo i
processi cerebrali che danno origine alle nostre
scelte. Si tratta di un nuovo approccio, che ha può ricercare la sua felicità
portato Benjamin Libet (1916-2007) a chiedersi
se il libero arbitrio esista davvero, oppure se le
nostre scelte, nel momento in cui si manifesta- per la via che a lui sembri essere
buona, a patto che non nuoccia
no, non siano in realtà già state prese.
Per questo, nel 1977, Libet ha escogitato un
esperimento: al soggetto viene chiesto di com-

alla libertà degli altri di tendere


piere un’azione semplice, come flettere un dito,
senza stabilire prima quando agire. Grazie all’a-
nalisi dell’elettroencefalogramma, è possibile

allo stesso scopo, così che


individuare la variazione del potenziale elettrico
che precede il processo cerebrale che induce il
movimento volontario (“processo di volizione”).

la sua libertà possa coesistere


Il soggetto deve anche dichiarare il momento
in cui decide di agire, guardando un orologio.
Secondo i dati ottenuti, il processo di volizione
inizierebbe 550 millisecondi prima dell’azio-
ne, ma la dichiarazione dell’intenzione (quindi, con quella di ogni altro secondo
la consapevolezza) di compiere l’azione stessa
avviene in media solo 200 millisecondi prima di
agire. Dunque, quando pensiamo di decidere una possibile legge universale.»
qualcosa, in realtà l’abbiamo già fatto.
IMMANUEL KANT

Si tratta chiaramente di un compromesso, che


però consente a Erasmo di giustificare sia la
fede in un Dio onnipotente, sia la convinzione
dell’autonomia della volontà umana.

L’ illusione della libertà


«Ogni azione umana scaturisce da una
serie di cause che portano necessariamente
a un unico risultato»: così afferma il grande
filosofo Baruch Spinoza (1632-1677), il quale
nega decisamente la possibilità del libero
arbitrio. Secondo il pensatore olandese, gli
esseri umani non sarebbero diversi dalle pietre
che, lanciate in aria, tornano inevitabilmente
a terra, obbedendo a una legge fisica
MEGLIO FARE implacabile. Questa visione, che possiamo
O NON FARE? definire pessimistica, viene addolcita dalla
Recenti studi possibilità, da parte dell’uomo, di conoscere
neurologici le cause degli eventi, accettarle e quindi
hanno evidenziato compiere volontariamente “scelte” che tali
un fenomeno non sono, essendo comunque azioni obbligate.
sorprendente: sembra Una libertà più morale che effettiva, quindi, e
che un’azione volontaria che per Spinoza è l’unica possibile.
inizi prima del momento Anche Gottfried von Leibniz (1646-1716)
della decisione propone una visione deterministica della
cosciente di compierla. realtà, ossia dove nulla accade per caso, ma ”

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per necessità. Per spiegarla, il filosofo tedesco
sviluppa la teoria dell’“armonia prestabilita”, Libertà “da” o libertà “di”?
secondo la quale ogni singola entità, chiamata
“monade”, è stata creata da Dio in modo tale
da potersi sviluppare armoniosamente, insieme LA CHIAVE
T utti i pensatori parlano di libertà, ma non
sempre si riferiscono al medesimo concet-
to. Secondo il britannico Isaiah Berlin (1909-1997),
a tutte le altre. Il Dio di Leibniz è come un DELLA SOLIDARIETÀ occorre distinguere tra “libertà negativa” e “liber-
orologiaio e noi esseri umani, che al pari di Secondo la visione tà positiva”. Nel primo caso, si tratta di eliminare
ogni altra entità siamo monadi (anche se del ottimistica di Robert le interferenze esterne che limitano la nostra indi-
più alto grado, perché provvisti di intelletto Nozick, un sistema in pendenza; nel secondo, invece, ci si riferisce alla
cosciente), agiamo come orologi regolati cui i vincoli alla libertà libertà di intraprendere un’azione, esprimere un’o-
dalla divinità. Eppure, per Leibniz l’uomo è del singolo vengano pinione, raggiungere un obiettivo.
comunque libero, in quanto discende dalla totalmente rimossi La distinzione diventa evidente in ambito poli-
monade delle monadi, ossia Dio, il quale è farebbe emergere l’istinto tico. Nel capitalismo occidentale, per esempio,
libero. E la creatura di un essere assolutamente alla solidarietà. A suo si propugna spesso l’eliminazione dell’interven-
libero non può che essere libera essa stessa. parere, l’incremento di to regolamentatore dello Stato, affinché ognuno
quelle che Isaiah Berlin sia libero di perseguire i propri obiettivi senza
Tra ragione e volontà (nella foto) chiama “libertà vincoli; ma questa libertà negativa renderebbe i
Qualche tempo dopo, è un altro tedesco, negative” gioverebbe allo più deboli completamente indifesi. Al contrario,
Immanuel Kant (1724-1804), a ritornare sul sviluppo dell’espressione nelle società a vocazione “statalista” lo sviluppo
tema della libertà individuale, chiedendosi: personale da parte del di politiche assistenziali assicura ai singoli citta-
è l’uomo che deve tendere alla libertà, singolo individuo. dini un livello di sicurezza e benessere comune,
ma a costo di diminuire le libertà negative, sof-
focando l’iniziativa privata.
Secondo il filosofo libertario americano Robert
Nozick (1938-2002), invece, il sistema migliore per
equilibrare i due tipi di libertà è, paradossalmente,
l'aumento delle libertà negative: ciò consen-
tirebbe a ognuno di sviluppare il proprio
potenziale e libererebbe chi si affida pas-
sivamente alle cure dello Stato dall’idea
di non doversi impegnare attivamen-
te per raggiungere i propri obiettivi.
Inoltre, darebbe ai più deboli l’oppor-
tunità di venire protetti dal naturale
altruismo dell’uomo, che assicure-
rebbe comunque la creazione
di strutture di assistenza,
sia pure a carattere pri-
vato anziché statale.

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Sono davvero libero ?
oppure, al contrario, la libertà è la condizione di Kant, l’inglese Thomas Hobbes (1588-1679)
necessaria perché l’uomo si possa realizzare? parte da una visione pessimistica della natura
Secondo Kant, «il valore intrinseco dell’uomo dell’essere umano per spiegare la nascita della
si fonda sulla sua libertà, cioè sul fatto che società, identificandola come un’istituzione
è in possesso di una propria volontà». La nata per limitare la libertà dei singoli uomini.
libertà è intimamente connessa alla ragione, Secondo Hobbes, la razza umana è, per
perché «senza ragione un ente non può essere natura, brutale, egoista e sempre alla ricerca
cosciente della propria esistenza, non può dell’interesse individuale. Immersi in un
riflettere su di essa». Ma la sola ragione non mondo pieno di pericoli e con la necessità
basta: l’uomo deve agire «secondo il proprio di trovare le risorse per sopravvivere, gli
volere». Quello che ci differenzia dagli animali individui non hanno altra possibilità se
è proprio la capacità di agire volontariamente, non quella di unire le proprie forze. In una
ossia di essere il nostro stesso fine. Se non situazione del genere, però, se tutti fossero
fossimo liberi, allora dipenderemmo dalla lasciati pienamente liberi, gli istinti bestiali
volontà di qualcun altro, quindi non saremmo avrebbero il sopravvento e la convivenza
il nostro fine, ma quello di qualcun altro. risulterebbe impossibile: come dice lo stesso
In tal senso, la libertà è una condizione Hobbes, “homo homini lupus”, ogni uomo
necessaria per gli esseri razionali dotati di è un lupo per il suo simile. Occorre pertanto
coscienza (gli uomini) perché si realizzino che gli individui rinuncino a parte delle loro
come “scopo in sé”, e non si può applicare agli libertà e accettino il fatto che solo alcuni tra
animali, dominati invece dall’istinto. essi detengano il potere, elaborino leggi atte
Il ragionamento di Kant intorno alla libertà a regolare i rapporti reciproci e amministrino
non si ferma all’individuo, ma si rivolge punizioni per farle rispettare. Nel suo
anche all’ambito della vita politica. Nell’Età capolavoro, il Leviatano, Hobbes spiega come
dei Lumi, infatti, la questione della libertà, dal terribile “stato di natura” in cui l’uomo
che nell’antica Grecia era scaturita da una si trova, si giunga alla costruzione di una
definizione politica per essere in seguito società sicura sotto l’egida di un sovrano
indirizzata verso il singolo individuo, ritorna che garantisca ordine e protezione. Vivere
finalmente a guardare alla collettività. in società significa, certamente, essere meno
liberi, ma, in compenso, più sicuri.
L iberi da soli, liberi “insieme” Anche il francese Jean-Jacques Rousseau
Se l’uomo, come singolo individuo, può (1712-1778) crede che l’uomo nasca libero; a
essere libero, è possibile che lo sia anche differenza di Hobbes, però, considera questa
quando si trova insieme ai propri simili, condizione naturale in modo positivo. L’uomo,
quindi in un contesto sociale? Ancora prima a suo parere, è originariamente buono: è il
passaggio dallo stato naturale a quello artificiale

« Ciò che l’uomo perde


della città a trasformarlo in un essere egoista,
avido e invidioso. «L’uomo è nato libero, eppure
ovunque si ritrova in catene» scrive amaramente

attraverso il contratto sociale,


nel suo Contratto sociale. Rousseau è convinto
che si possa trovare un giusto compromesso
attraverso l’applicazione del concetto di

è la sua libertà naturale


“volontà generale”, che è da intendersi non
come espressione della volontà di tutti i
cittadini, bensì come quella volontà che mira
e un diritto illimitato a tutto ciò al bene della comunità. La libertà, in questo
caso, coincide con l’appartenenza a un gruppo
in cui ogni singolo individuo agisce per il bene
che lo attira e che può desiderare; comune. A dimostrazione di quanto sia difficile
armonizzare l’idea di libertà individuale con
quella di società, Rousseau si ritrova a teorizzare
ciò che guadagna è la libertà la necessità di obbligare a “essere liberi” coloro i
quali non accettassero la volontà generale.

civile e la proprietà
Si tratta indubbiamente di un paradosso
piuttosto inquietante, al quale il saggio Sulla
libertà di John Stuart Mill (1806-1873)

di tutto ciò che possiede.»


contrappone una visione decisamente più
ottimistica, secondo la quale all’uomo dev’essere
dato, anche in ambito sociale, il maggior spazio
JEAN-JACQUES ROUSSEAU possibile per affermare la propria libertà.
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L’uomo
è buono
U
na delle differenze fondamentali tra l’essere
Bene e male sono due concetti umano e gli altri animali riguarda il fatto
che il primo è dotato di una coscienza di
che fin dall’inizio della storia sé e del proprio comportamento. Questo
significa che le sue azioni non sono dettate solo
del pensiero l’uomo considera dall’istinto, ma anche dalla consapevolezza delle
loro conseguenze. Ogni comportamento diviene
fondamentali per delineare così soggetto a un giudizio etico e morale, e viene
giudicato buono oppure cattivo, così come buono
la sua stessa natura. Eppure, o cattivo viene definito chi lo mette in atto. Il
problema, quindi, è individuare i criteri rispetto ai
la loro definizione non è sempre quali bontà e cattiveria possano trovare una loro
precisa definizione, e renderle sempre individuabili.
chiara e condivisa e, a volte, Ammettere l’esistenza del male, tuttavia, comporta
una serie di conseguenze filosofiche decisamente
risultano difficili da distinguere importanti e di non facile soluzione.
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L’uomo è buono o cattivo?

o cattivo ?
I concetti di bene e male sono così interconnessi buono l’oggetto del suo desiderio, cattivo quello del CASTIGO
che la definizione del secondo non può prescindere suo odio». In questo caso, i termini “buono” (bene) E RICOMPENSA
dal primo. Se consideriamo il male in senso e “cattivo” (male) acquistano senso solo in relazione Il giudizio etico delle
“soggettivo”, usiamo il termine per dare valore a chi li usa, non in senso assoluto: è bene ciò che ci azioni umane ha portato,
negativo a un’azione o a un comportamento che rende felici, è male quello ci procura danno o dolore. fin dall’antichità, a
contravviene a una norma etica (che riguarda L’approccio oggettivo al problema del male, immaginare l’esistenza di
la condotta) o morale (riferita a principi ideali), invece, considera quest’ultimo come indipendente un tribunale ultraterreno
esprimendo quindi un giudizio; se invece ci riferiamo dal giudizio etico o morale e fa riferimento a un che giudica, premia e
all’ambito metafisico, “oggettivo”, stiamo parlando principio metafisico, la cui verità risiede al di là punisce. Il Giardino delle
del male come uno dei poli della dualità che, insieme del nostro mondo e quindi della nostra opinione. delizie di Hieronymus
alla sua antitesi, il bene, compone l’essere. Un’altra importante precisazione che Bosch (1485 ca.) contiene
dobbiamo fare, prima di cercare di cercare in sé sia i germi del bene
L’essenza del male di rispondere alla domanda sull’esistenza del che quelli del male.
Per quanto riguarda il male (e il bene) soggettivo, bene e del male e sulla loro essenza, è quella
è John Locke (1632-1704) a definirlo chiaramente di stabilire se intendiamo i due termini in
nel Saggio sull’intelletto umano: «L’uomo chiama “senso lato” (cioè, allargato), oppure ristretto. ”
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Nel primo caso, nella definizione includiamo DIVERSI
sia i fenomeni naturali che le idee e le azioni TIPI DI MALE Etica e morale:
di agenti dotati di capacità di giudizio: gli
uomini. Per esempio, il terremoto è un male
Quando ci riferiamo
al male, possiamo
ecco la differenza
naturale, un omicidio è invece da considerarsi
un male morale. Se però limitiamo le nostre
considerazioni solamente alla sfera morale,
intendere il termine in
diverse accezioni. Quello
su cui l’etica si interroga
Q uando si parla di bene e male, per indi-
care l’ambito di applicazione dei due
concetti si utilizzano i termini etica e mora-
allora stiamo considerando i due concetti è il male derivato dalle le, spesso considerandoli intercambiabili. In
nel loro senso ristretto. Così, quando ci azioni umane compiute effetti, i due sostantivi hanno un’origine simi-
interroghiamo sul perché il male esista nel mondo consapevolmente. Sotto, le (il primo deriva dal greco ethos, il secondo
o perché Dio permette la sofferenza e il dolore, Platone, che ragionò da quello latino mos, entrambi riferiti ai costu-
stiamo considerando il male da un punto di molto sui concetti morali. mi e alle usanze). Oggigiorno, tuttavia, hanno
vista oggettivo e in senso lato; se invece stiamo assunto connotazioni tali da renderli sottil-
discutendo le idee o le azioni di un personaggio mente, ma profondamente, diversi.
storico negativo, come Adolf Hitler, adottiamo La morale può essere intesa come la raccol-
un’interpretazione soggettiva e ristretta del termine. ta delle norme e dei valori che dovrebbero
guidare l’uomo ad agire nella maniera corret-

«C ’è un solo bene, il sapere;


ta, quindi tendendo al bene. L’etica, invece,
riguarda soprattutto il comportamento, cioè
l’applicazione delle norme all’interno dell’e-

e c’è un solo male, l’ignoranza.» 


sperienza quotidiana. La morale, insomma,
può essere considerata l’ambito in cui si discu-
te sulla natura di ciò che è bene o male, mentre
SOCRATE l’etica è quello in cui si studia quali comporta-
menti siano giusti (buoni)
La storia del pensiero filosofico, però, o errati (cattivi).
insegna che è impossibile parlare del bene
o del male senza evocare immediatamente
l’altro elemento della dualità. Addirittura,
sant’Agostino definisce il male, semplicemente,
come “assenza di bene”. Molto prima,
Democrito aveva stabilito che i due sono
una coppia di opposti che, come le altre che
definiscono la realtà esistente, quando si trovano
in equilibrio determinano una situazione di
armonia. Conoscere l’uno, quindi, significa
conoscere anche l’altro. Ma questo non ci aiuta
a rispondere alla domanda: come possiamo
stabilire cosa è bene e cosa è male? Per Protagora
(e per molti ancora oggi), «l’uomo è la misura di
tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono,
e di quelle che non sono, in quanto non sono».

L a capacità di discernere
Un atteggiamento del genere incoraggia un
relativismo morale assoluto, per cui ognuno di noi
può stabilire cosa sia bene e cosa sia male per poi
agire di conseguenza. Alcuni allievi di Protagora,
come Trasimaco, arrivarono a dichiarare che non
esistono leggi morali, e che definire un’azione
buona o malvagia è solo questione di abitudine o
tradizione: in natura, il forte domina sul debole,
e la morale è soltanto un artificio umano
per limitare tale incontrovertibile legge
naturale. Ancora più estremo
Callicle, secondo il quale
è diritto dell’uomo
più forte affermare
la propria volontà
su quella altrui.
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L’uomo è buono o cattivo?
Difficile, qui, non immaginare ad analogie con QUANDO L’ETICA cui ci ritroviamo, né dai nostri desideri.
il “superuomo” di cui parlerà Friedrich Nietzsche È CONVENIENZA Anche Platone è convinto che la distinzione tra
circa ventiquattro secoli più tardi. Tra il Sei e il Settecento, bene e male sia innata nell’animo umano, ma che
Molto diversa è invece l’idea di Socrate, per il diversi pensatori essa venga dimenticata prima del momento della
quale il male nasce dall’ignoranza. Secondo il inglesi, come Richard nascita e che possa venire recuperata attraverso
filosofo ateniese, la distinzione tra bene e male è Cumberland (sotto), la ricerca della conoscenza del mondo delle idee,
insita nell’animo umano: per individuarla, egli evidenziarono gli dove si può trovare il bene assoluto, identificato
non deve fare altro che “conoscere sé stesso”; aspetti utilitaristici del come attributo dell’Uno, la divinità. Dal momento
quindi il massimo bene è rappresentato dalla comportamento etico: che Dio è perfetto per definizione, da lui non
conoscenza (intesa, appunto, come piena coscienza essere virtuosi conveniva. può discendere alcun male, che allora deve per
di sé stessi) e non dipende né dalle contingenze in forza appartenere alla materia. Quindi, per
Platone, il male è riconoscibile nell’attaccamento
alla dimensione concreta. In effetti, per chi ha
una visione religiosa del mondo nella quale un
Essere buoni conviene dio perfetto ha creato il cosmo, almeno a livello

S e rifiutiamo l’idea di un principio


metafisico del bene, come pos-
siamo definire questo concetto?
un’azione è buona o cattiva il benesse-
re comune che ne può derivare.
Jeremy Bentham (1748-1832) e
teorico riconoscere il male è semplice: esso
rappresenta tutto ciò che allontana l’uomo da Dio,
il quale, come da definizione, è perfezione e bene
Richard Cumberland (1631-1718) ha John Stuart Mill (1806-1873) adot- assoluto. Estremizzando questa posizione, nel XIII
avanzato una teoria utilitaristica: par- teranno lo stesso punto di vista secolo il tedesco Meister Eckhart sviluppò un
tendo dal presupposto che l’uomo per definire l’“utilitarismo etico”,

« La funzione
non è del tutto egoista ma è provvisto riassumibile nella famosa frase, attri-
di uno slancio empatico nei confron- buita nella sua prima formulazione a
ti del suo prossimo, nel XVIII secolo Francis Hutcheson (1694-1746), «La

della saggezza
il filosofo inglese propose di consi- massima felicità per il maggior nume-
derare come criterio per stabilire se ro di persone possibile».

è distinguere
tra il bene e il male.»
CICERONE

approccio mistico al problema, secondo il quale


il bene corrisponde alla perfetta unione con Dio,
e per ottenerla l’uomo deve annullare sé stesso;
di converso, l’attaccamento alle cose terrene
allontana l’uomo dalla divinità.

L’origine delle tenebre


Se però Dio è solo bene, allora il male non
può originarsi da Lui. Ma allora, perché esiste il
male? Da dove ha origine? Epicuro fu tra i primi a
porsi la domanda. Se Dio è infinitamente buono,
non dovrebbe accettare l’esistenza del male; se
invece non vuole l’esistenza del male, ma non può
impedirla, allora non è onnipotente. È un dilemma
condiviso ancora oggi da molti, credenti e non, e
che ha tormentato a lungo sant’Agostino. Egli, nel
V secolo, dedicò le sue riflessioni a giustificare la
posizione di Dio rispetto al problema del male:
quella che dodici secoli più tardi Leibniz chiamerà
“teodicea”. Naturalmente, da cristiano, Agostino
credeva nel peccato originale, quindi faceva risalire
la nascita del male a quella trasgressione; tuttavia,
ciò non risolve il problema, dal momento che, in tal
caso, ci si potrebbe chiedere perché Dio non abbia
semplicemente impedito all’uomo l’accesso al frutto ”
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L’uomo è buono o cattivo?
proibito. La risposta di Agostino si basa sul concetto LE LEGGI
del libero arbitrio: Dio ha lasciato all’uomo la libertà DI DIO
di scelta tra il bene, che corrisponde all’osservanza Fin dall’inizio della
delle leggi divine, e il male, che coincide con la loro sua storia, l’uomo ha
trasgressione. Dio dunque potrebbe impedire il associato l’idea del
male, ma non lo fa, perché questo significherebbe bene a Dio: osservare
interferire con il libero arbitrio. L’uomo allora, con la legge divina (sotto,
le sue decisioni, deve essere considerato l’unico le Tavole consegnate
responsabile della presenza del male nel mondo. dal Creatore a Mosé),
quindi, significava agire
Due concetti relativi sicuramente in modo
Finora, a parte l’accenno all’approccio sofistico corretto. Non per nulla
al problema, si è parlato di bene e male la Bibbia fa iniziare la
prevalentemente in senso assoluto, cercando storia dell’uomo dalla
una risposta unica e sempre valida. Ma, fin dal drammatica scelta di
Medioevo, molti pensatori hanno riflettuto sul operare il male.
fatto che, forse, soprattutto il concetto di male
debba essere considerato in termini relativi. Tra
i primi a suggerire un’ipotesi del genere, nel
XII secolo, è Pietro Abelardo, filosofo e teologo
francese, secondo il quale a essere buone o cattive
non sono le azioni, quanto le intenzioni: un
ladro che rubi non per arricchirsi, ma spinto

« Nessun uomo è volontariamente


cattivo: diventa tale se non conosce
la differenza tra bene e male.
Quando riconosce ciò che è bene,
non esita a perseguirlo.»
SOCRATE

dall’intenzione di fare del bene, per esempio


per sfamare i poveri, è egli stesso buono. In
questo caso, Dio non giudicherebbe l’atto, ma lo
spirito con il quale viene compiuto. Una visione
“pericolosa”, diremmo oggi, perché sembra
giustificare troppo facilmente molte azioni
moralmente discutibili. Doveva essere lo stesso
timore di san Tommaso d'Aquino quando, due
secoli più tardi, si sentì in dovere di specificare
che le buone intenzioni non bastano: occorre
anche la piena consapevolezza che il risultato
finale sarà buono. Infatti, poiché tutto ciò
che è buono discende da Dio e l’uomo è
al servizio di Dio, agire con la coscienza
di perseguire il bene significa fare il bene.
Vedremo che Kant, nel XVIII secolo,
riprenderà l’argomento, ma proponendolo
sotto un punto di vista differente.
Il “relativismo” del bene e del male si ”

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« L ’u omo chiama buono
l’oggetto del suo desiderio,
cattivo l’oggetto del suo odio
o della sua avversione,
vile l’oggetto del suo disprezzo.»
JOHN LOCKE

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Sant’Agostino
e la sua triade nera
S pesso, quando parliamo di male, ci riferia-
mo ad ambiti e quindi significati diversi.
Con lo stesso termine possiamo infatti indica-
re tre cose molto diverse tra loro: un principio
assoluto, antitetico al bene; oppure un’azione
cattiva; o ancora, un dolore o una sofferenza.
Consapevole del possibile equivoco, sant'A-
gostino decide di operare una distinzione
molto precisa tra male metafisico, male
morale e male fisico. Il primo consiste-
rebbe nell’assenza di bene (quindi,
per il filosofo cristiano, nell’assen-
za di Dio). Il secondo, nell’errore
della volontà dell’uomo, che
sceglie di perseguire un fine
diverso dall'adesione al
bene assoluto. Da tale
errore discende il male
fisico, che si traduce
nella sofferenza fisi-
ca, conseguenza
del peccato
originale.

fa ancora più pronunciato in Thomas Hobbes,


secondo il quale il significato attribuito ai due
«Se il bene ha una causa,
non è più bene; se invece ha un effetto,
termini non solamente cambia a seconda dell’epoca
e delle condizioni storiche e sociali, ma anche a
livello individuale. Dal momento che, secondo

la ricompensa, allora non è bene.


il pensatore inglese, l’uomo è egoista per natura,
per ognuno di noi è bene ciò che ci soddisfa, male
quello che ci causa dolore e disagio. Cartesio, dal
canto suo, dà ragione a chi crede che l’uomo non
possa conoscere perfettamente la differenza tra Quindi, il bene è qualcosa
bene e male, e ciò, sempre secondo il pensatore
francese, a causa della distrazione provocata dai
desideri e dai sentimenti. Anche secondo il suo al di fuori della catena
contemporaneo Spinoza (entrambi appartengono
al XVII secolo), bene e male sono relativi,
nel senso che un’azione può apparire buona o
delle cause e degli effetti.»
cattiva, a seconda che questa sia funzionale al LEV TOLSTOJ
raggiungimento di un risultato oppure lo ostacoli.
In effetti, se (come Spinoza) crediamo in un
Dio immanente (che cioè è in tutte le cose), ma ESSERE BUONI spiega che la distinzione tra i due opposti poggia
indifferente all’uomo, non possiamo immaginare A OGNI COSTO su alcuni criteri di scelta che sono conoscibili
che esistano un male e un bene assoluti. Se per noi ciò che è razionalmente. In ogni caso, per avere valore, la
bene equivale a ciò scelta tra bene e male dev’essere compiuta da una
Il dualismo dentro di noi che è giusto, allora volontà libera, in grado di decidere di seguire il
Come abbiamo visto, la visione socratico- dobbiamo compierlo bene (la legge morale), anche quando ciò non
platonica prevede che i princìpi di bene e male sempre, anche quando, provoca piacere. Per esempio, se dicendo la
siano innati nell’uomo. Immanuel Kant e così facendo, rischiamo verità sappiamo di provocare dolore, dobbiamo
Johann Fichte (1762-1814) partono dallo stesso di provocare dolore. comunque farlo, perché è nostro dovere. Per Kant,
presupposto, ma il loro pensiero approfondisce quindi, bene e felicità non vanno necessariamente
alcuni elementi nuovi e importanti, rendendo a braccetto, anzi: voler conseguire il primo
questo approccio a noi più comprensibile. Kant significa essere disposti a rinunciare alla seconda.
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L’uomo è buono o cattivo?

Il bene di qualcuno è il male di altri


N ella sua Genealogia della morale,
pubblicata nel 1887, il tedesco Frie-
drich Nietzsche afferma che il concetto
sé e porta nel mondo la propria creativi-
tà, senza curarsi di chi gli è inferiore. Per
gli schiavi, all’esatto contrario, tutto ciò
di “bene” (buono), così come quello di rappresenta invece ciò che è malvagio, e
“male” (cattivo), può avere due signifi- dunque dev’essere combattuto: per loro,
cati diversi, perché due sono le morali spinti non da un ideale di giustizia, ben-
che vengono applicate dagli uomini, a sì dal risentimento (Ressentiment), l’uomo
seconda della loro posizione. Gli uomini buono è quello che rifugge la violenza,
forti, i “signori”, applicano la “morale dei non arreca danno adalcuni, si rimette a
signori”, aristocratica; quelli deboli, gli Dio, non si espone e si accontenta di poco.
“schiavi”, seguono invece la “morale del Con l’avvento della religione giudai-
gregge”. La prima si regge sulla contrap- co-cristiana, la morale del gregge sembra
posizione tra buono e cattivo, la seconda avere avuto la meglio, decretando l’appa-
su quello tra buono e malvagio. rente vittoria dell’“uomo mansuefatto”,
Per i signori, è buono chi ha la men- civilizzato, che Nietzsche dipinge negativa-
te e il cuore puro, cerca l’affermazione di mente come “irrimediabilmente mediocre”.

«Tutto ciò che viene fatto per amore


è sempre al di là del bene e del male.»
FRIEDRICH NIETZSCHE

UN’IDEA Al contrario, la cattiveria, intesa come il male Bentham (1748-1832) e John Stuart Mill (1806-
IN EVOLUZIONE? compiuto dall’uomo, corrisponde a una scelta 1873), il bene coincide con tutto ciò che porta
Per alcuni filosofi, deliberata, quella di anteporre il proprio interesse alla massima felicità possibile per il maggior
i concetti di bene alla legge morale. Kant, insomma, mette numero possibile di individui. Schopenhauer,
e male non sono l’accento sull’intenzione, e considera la vera dal canto suo, trova nella compassione nei
assoluti, ma vanno bontà riferibile solo alla volontà di fare il bene: confronti del prossimo e nella partecipazione al
modificati in funzione daessa discendono le buone azioni e tutte suo dolore la via per liberarsi, sia pure per un
dell’evoluzione del le cose buone. Fichte la pensa diveramente: istante, da dolore e noia; il bene, allora, così,
pensiero e della società sottolinea il fatto che è la pratica della legge nella pratica della giustizia e della carità.
in cui viviamo. Nella morale a produrre il bene. La conoscenza della Più ottimista, Herbert Spencer (1820-
foto in alto a destra, legge morale è il risultato dell’evoluzione della 1903)si rifà a una visione “biologica” e, come
Nietzsche, la cui mente nostra coscienza, dunque la formula per fare il contemporaneo di Charles Darwin, chiama in
anticonvenzionale non bene diventa quella di «agire secondo coscienza». causa la teoria dell’evoluzione naturale: per lui,
smise mai di indagare i Kant e Fichte, quindi, non solo ci dicono che, il bene corrisponde al comportamento che rende
temi etici e morali. in quanto uomini, possiamo distinguere il bene la vita dell’individuo e della società la migliore
dal male, ma anche che abbiamo il dovere di possibile. Quella che Spencer ci propone è
desiderare il bene e che poi dobbiamo metterlo in dunque una visione relativa, perché ciò che è
pratica. Certo, possiamo dubitare ancora se l’atto bene per la società può cambiare nel corso della
che ci apprestiamo a compiere avrà conseguenze Storia, quindi sono ammessi (anzi, vengono
buone; ma, ci rassicura Kant, se l’intenzione è richiesti) continui aggiustamenti.
buona noi stiamo comunque facendo il bene. A chiudere il cerchio arrivano William James
(1842-1910) e John Dewey (1859-1952) che,
Norme di comportamento come spesso accade nello sviluppo del pensiero
Finora, abbiamo visto che le riflessioni filosofico, propongono una sintesi delle proposte
filosofiche sul bene e sul male hanno precedenti: in questo caso, si tratta di considerare
riguardato soprattutto il singolo individuo. la felicità e il benessere del singolo individuo e e
Ma l’uomo vive immerso in una società, e le quelli della società come equivalenti e, pertanto,
sue azioni riguardano e influenzano anche la occorre valutare la bontà o la malvagità di
vita degli altri: è difficile non tenerne conto un’azione o di una decisione in funzione del
quando ragioniamo su ciò che può essere giusto fatto che l’esito finale sia il miglioramento delle
o sbagliato. Per alcuni filosofi, come Jeremy condizioni di vita per il singolo e la collettività.
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?
Che cos’è
la bellezza
Tutti noi siamo convinti
di saper distinguere
il “bello”
dalla mediocrità
e dalla bruttezza.
La bellezza, però,
si rivela sempre essere
un concetto sfuggente
e arduo da interpretare
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Che cos'è la bellezza?

D
efinire in maniera univoca la
bellezza e le espressioni attraverso
le quali si manifesta non è affatto
facile. Anzi, secondo alcuni è
addirittura impossibile, visto che ogni
epoca e ogni cultura hanno interpretato e
coniugato il concetto in maniera diversa,
rendendo così impossibile estrapolare
dei parametri universali su cui basare il
giudizio. Ciò che veniva considerato un
capolavoro artistico cent’anni fa, oggi può
apparire come un semplice prodotto del
clima culturale di un’epoca e, in quanto tale,
liquidato al pari di una semplice curiosità o
di una testimonianza del gusto di allora.
D’altro canto, è innegabile che esistano
opere d’arte anche millenarie che ancora ”

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oggi continuano a colpire e affascinare con
una forza irresistibile chi le contempla:
ammirandole, si pensa che esista davvero un
ideale estetico universale. Allo stesso modo,
appare evidente che anche il gusto personale
è determinante quando si tratta di esprimere
un giudizio estetico. Considerando tutto ciò,
ancora oggi non è affatto facile rispondere a
semplici domande, come: che cos’è la bellezza?
E qual è il suo rapporto con l’arte?

I mitazione della realtà


Può sembrare strano, ma lo “studio della
bellezza” è relativamente recente: l’estetica,
intesa letteralmente come lo “studio di ciò che
è percepibile con i sensi”, è un termine coniato
verso la metà del XVIII secolo dal filosofo
tedesco Alexander Gottlieb Baumgarten. Anche

«Il bello è ciò che


piace universalmente
e senza concetto.»
IMMANUEL KANT

se non esplicitamente chiamata in causa come


branca della filosofia, tale disciplina affonda
le sue radici nella Grecia del V secolo a.C., la
culla del pensiero occidentale. In particolare,
è Platone il primo a occuparsene criticamente,
esprimendo un giudizio netto nella Repubblica.
Secondo la sua visione, il processo artistico
primario è quello dell’“imitazione”, la mimesi.
Possiamo parlare di buona arte, sottintende
Platone, quando il livello di verosimiglianza La forma è il significato
dell’opera è tale da richiamare alla mente di
chi la osserva l’oggetto reale. Che sia buona
o cattiva, però, Platone non vede l’arte sotto
A l pari di Kant, anche Clive Bell, critico e
filosofo dell’arte inglese del XIX secolo,
parte dalla convinzione che l’arte abbia l’unico
una buona luce. Come potrebbe, del resto? fine di produrre un’emozione estetica disinte-
Se infatti (come insegnava ai suoi allievi) il ressata. Cercando di scoprire cosa colpisca
mondo del reale altro non è che la copia di un davvero il nostro senso estetico, Bell individua
modello ideale, la sua riproduzione artistica tale caratteristica nella “forma significante”: BELLEZZA
non potrà essere altro che una copia della copia. in poche parole, ciò che conta in un’opera È EMOZIONE
Seguendo il ragionamento platonico, le opere d’arte non sarebbe il suo contenuto o il suo Per definire la bellezza,
d’arte sono addirittura dannose alla società, significato, quanto il modo in cui le diverse molti pensatori invocano
perché chi le ammira si allontana senza saperlo componenti sono in rapporto tra di loro. l’impatto emotivo che
di un altro passo rispetto alla verità. Questo Questa teoria dimostra la propria effica- gli elementi estetici
vale per la pittura e la scultura, ma anche per la cia soprattutto quando si tratta di spiegare propri dell’oggetto
poesia, colpevole, a suo dire, di lasciar parlare le il fascino esercitato da certa pittura astrat- contemplato suscitano in
passioni, distraendo la mente dalla sua missione ta, oppure dalla musica contemporanea: chi li osserva, come fa il
più alta, che è la ricerca della verità. Discorso per apprezzare quest’ultima, infatti, non è surrealista Salvador Dalí
analogo per la musica, della quale si salverebbe necessario trovare un significato nella for- in quest'opera del 1940.
solo la struttura matematica che la sostiene. ma, ma godere della pura successione delle Nelle pagine precedenti,
Bello, secondo Platone, è solamente ciò che battute e delle note all’interno delle scale, la Primavera di Sandro
coincide con il bene: del resto, “bello e buono” che producono il risultato finale. Botticelli (1482).

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Che cos'è la bellezza?
(kalòs kai agathòs) era l’ideale dell’eroe greco.
Al pari del suo antico maestro, anche
Aristotele considera l’arte come imitazione della
realtà, ma in questo caso non si tratta di un
difetto, anzi: l’artista, rielaborando il modello
originale, compie un’azione creativa, quindi
fornisce un contributo originale. Platone e
Aristotele concordano sul fatto che l’arte sia
in grado di suscitare passioni, ma anche in
questo caso il loro giudizio diverge: Aristotele,
al contrario di Platone, ritiene che questa sua
capacità di suscitare sentimenti, anche negativi,
abbia un effetto catartico sugli spettatori.
Se l’arte è imitazione, in che modo essa può
rappresentare la bellezza? È ancora Aristotele
a spiegarcelo in maniera chiara, quando, nella
sua Poetica, spiega che «per essere bella, una
creatura, così come qualunque oggetto formato
da più parti, deve presentare un certo ordine
riguardo alla composizione di tali parti». Ancora
più esplicitamente, nella Metafisica spiega che «le
principali forme della bellezza sono l’ordine, la
simmetria e il limite». Si tratta di un approccio
matematico all’estetica, che cerca di dare risposta
a una domanda fondamentale: la bellezza è
oggettiva, cioè si basa sul rispetto di leggi
precise che noi riconosciamo istintivamente,
oppure dipende dai gusti e dalle inclinazioni
personali del singolo individuo? Per Aristotele,
evidentemente, la prima ipotesi è quella corretta.
Se davvero la bellezza risiede esclusivamente
nel rispetto delle leggi dell’armonia e della
matematica, però, basterebbe conoscere tali
leggi e applicarle per ottenere un’opera d’arte;
per esempio, dovremmo considerare una sedia
costruita da un bravo artigiano più “bella” di un
quadro di Botticelli o di Dalí.
Dobbiamo aspettare l’inizio del III secolo d.C.
per imbatterci in una visione diversa dell’arte e
della bellezza che essa è in grado di esprimere. A
proporla è Plotino, il padre del neoplatonismo.
Superando le posizioni dei suoi illustri
predecessori, egli afferma che non è la simmetria
in sé a rendere bella una scultura, ma ciò che

« L ’opera d ’arte
nella simmetria viene sottinteso, vale a dire la
forma che l’artista ha saputo dare alla materia.
È l’artista, quindi (o meglio, la sua intelligenza),

è una combinazione di linee,


a creare l’arte, che pertanto non può più essere
considerata una semplice imitazione della
realtà. Si tratta di una posizione decisamente

forme e colori posti


“moderna”, che troverà riscontri significativi
nell’epoca medievale. Prima di allora, però,
la filosofia cristiana e quella medievale
in certe relazioni tra loro esprimeranno ben altre opinioni al riguardo.
Uno degli effetti che la bellezza provoca in
chi la contempla è una sorta di “commozione”:
che produce un’emozione estetica.» quando osserviamo (oppure, nel caso della
musica, ascoltiamo) qualcosa che ci piace
davvero, avvertiamo un trasporto emotivo.
NIGEL WARBURTON Secondo sant’Agostino, tale sentimento è ”

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La bellezza è oggettiva,
il gusto è soggettivo

E siste qualcosa come la bellezza asso-


luta? L’uomo si pone questa domanda
da millenni, tuttavia mai come oggi trovare
una risposta sembra difficile, considerata la
varietà di mezzi, stili e correnti esistenti.
Secondo il filosofo Stefano Zecchi, oggi
occorre distinguere tra bellezza (che possiede
“una propria oggettività”) e percezione del-
la bellezza, che prende il nome di “gusto”. È
quest’ultimo che cambia, e che fa apprezzare
maggiormente uno stile o un artista rispet-
to a un altro. A cambiare nel tempo, dunque,
sarebbe la rappresentazione della bellezza,
non la bellezza in sé. Pertanto, Zecchi sug-
gerisce di studiare la “fenomenologia della
bellezza”, ossia le sue diverse manifestazioni
nel corso delle varie epoche storiche
Nell’immagine, il particolare di una scultura
universalmente riconosciuta come esempio
di bellezza assoluta: il David di Michelangelo.

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Che cos’è la bellezza?
dovuto al fatto che in quel “bello” noi vediamo
Verso la fine dell’arte l’immagine del Bello divino. In effetti, il grande

S econdo il filosofo americano contempo-


raneo Arthur Coleman Danto, quella che
stiamo vivendo è un’età “post-storica” dell’arte,
Padre della Chiesa associa spesso la parola
“bellezza” al nome divino: nei Soliloqui, per
esempio, definisce Dio «bontà e bellezza, nel
la quale avrebbe terminato il suo percorso evo- quale, dal quale e per il quale è buono e bello
lutivo nel momento in cui opere come le celebri tutto ciò che è buono e bello». La bellezza
Brillo Box di Andy Warhol (riproduzioni di sca- (e la bontà, binomio classico inscindibile) è
tole di detersivo) vennero considerate opere emanazione della bellezza divina, insomma; e
d’arte, esposte nelle gallerie di tutto il mondo poiché l’uomo è creato a immagine di Dio, riesce
e vendute a cifre astronomiche. a percepire tale bellezza con la sua anima.
Se infatti l’arte è rappresentazione di un Anche Plotino aveva confermato il legame tra
oggetto, nel momento in cui coincide con bene e bellezza, ma in quel caso la seconda era
quest’ultimo, allora ha raggiunto il suo limi- subordinata al primo; Agostino, invece, non ha
te. Forse proprio per questo motivo, per molti,

«T utto il mondo si dispiega


risulta difficile considerare la pop art e le cor-
renti da essa derivate come genuine forme
artistiche. Al riguardo, è interessante riporta-

di fronte a noi impaziente


re l’opinione di un critico contemporaneo al
movimento, Harold Rosenberg, che evidenziò
come «la mano dell’artista non ha alcuna par-

che lo inventiamo,
te nell’evoluzione dell’opera, né la personalità
dell’artista è coinvolta nel processo creativo».

non che lo ripetiamo.»


PICASSO

dubbi nel far discendere la bellezza direttamente


da Dio. Secondo la sua visione, l’uomo percepisce
una cosa come “bella” quanto più quella
cosa si avvicinerà al divino. Una prospettiva
dichiaratamente metafisica, ma che non esclude
affatto l’intervento della razionalità. In effetti,
Agostino fa notare che la bellezza si gusta con
la vista e l’udito, mentre a nessuno verrebbe in
mente di definire bello un odore o un sapore.
Gusto e olfatto sono considerati sensi inferiori,
legati soprattutto alla soddisfazione dei bisogni
primari del nutrimento; vedere e sentire, invece
fanno da tramite tra i fenomeni visti e uditi e la
mente, che ne comprende il significato superiore.
Agostino arriva a concepire un’idea platonica
della bellezza: chi contempla la realtà attorno a sé,
percepisce attraverso i sensi forme e armonie, ma la
sua mente riesce a discernere la bellezza perfetta.
COPIA O IMITAZIONE:
LA DIFFERENZA C olpire anima e intelletto
È difficile stabilire se la Più complicato il discorso sull’arte, dove la
riproduzione fedele di bellezza di un’opera dipende proprio dal fatto
un oggetto sia anch'essa che si tratta di una finzione, e non di una verità
un’opera d’arte: per oggettiva, dal momento che le sue forme e la
poterla reputare tale, sua struttura rispondono alla mano dell’artista
essa dovrebbe contenere che le produce, e non ai criteri naturali.
almeno un elemento Un’opera d’arte, dice Agostino, è vera sotto
di originalità. A sinistra, certi aspetti, quelli appunto artistici, ma è falsa
una delle lattine di zuppa relativamente alla realtà esistente. «Rispetto
Campbell riprodotte in alla loro intima verità, giova solo il fatto che
serie da Andy Warhol. sono false rispetto al resto» scrive nei Soliloqui, ”
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«Il bello delle cose
è nella mente che le contempla.»
DAVID HUME

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Che cos'è la bellezza?
per indicare il paradosso dell’arte, che per
essere vera in sé deve essere falsa esteriormente.
Secondo questo ragionamento, possiamo
affermare che bellezza e arte vivono un rapporto
quantomeno problematico: la prima proviene
da Dio ed è quindi necessariamente vera;
la seconda, per sua stessa natura, è falsa. La
posizione di Agostino è quella che si definisce
“intellettualistica”: ciò che conta, per lui, è la
ricerca del vero universale, mentre l’ambiguità
rappresentata dall’opera d’arte è inaccettabile.
Otto secoli più tardi, san Tommaso d’Aquino
propone una visione della bellezza che cerca
di armonizzare la visione aristotelica con i
precetti cristiani ed elenca le sue tre doti:
integrità e perfezione («le cose incomplete sono
deformi»), proporzione e armonia e, infine,
chiarezza e splendore. Il fatto che l’uomo ami

«Il bello è la prima


manifestazione
di Dio.»
PLOTINO

ciò che è integro, proporzionato e luminoso,


secondo Tommaso, dimostra che esiste una
corrispondenza tra ciò che è dentro di lui e
quello che i suoi sensi avvertono. Per il filosofo,
tale corrispondenza è legata al fatto che la
bellezza è verità (che l’uomo riconosce), e la
verità è Dio; non per niente, egli indica proprio
la bellezza come uno degli attributi di Gesù.
Tommaso non distingue tra natura e arte, ma
espone le regole che rendono qualcosa “bello”
per l’essere umano. Bello è «ciò che piace alla
nostra vista», scrive nella sua Summa theologica.
L’analisi di Tommaso parte dall’assunto
fondamentale che ciò che è bello (e buono)
riconduce inevitabilmente a Dio, quindi a
un’unica verità. Ne consegue che dovrebbe
esistere un unico tipo di bellezza percepita,
mentre sappiamo che ogni cultura ed epoca
storica ha proposto propri modelli, tutti
diversi tra loro. Le caratteristiche della bellezza
indicate da Tommaso, inoltre, oggi appaiono
troppo limitanti: se dovessimo applicarle
rigidamente al nostro giudizio, non potremmo
in alcun modo considerare artistici movimenti
come l’impressionismo, l’astrattismo, il
dadaismo, né celebrare le opere di autori come
Munch, Picasso, Dalí. Occorre attendere il
Quattrocento e il Rinascimento perché l’arte
cominci ad affrancarsi dall’ambito religioso. ”

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Intanto, pittura, scultura e architettura si
stavano già trasformando da arti “meccaniche”
in arti “liberali”, e gli artisti, in generale,
iniziavano a essere percepiti sotto una luce
tutta diversa, già simile a quella di oggi; ormai
si distinguevano nettamente dagli artigiani.
Per arrivare a una vera e propria teoria
estetica bisogna attendere però il Settecento e
l’empirismo del filosofo scozzese David Hume.

Una questione soggettiva


La bellezza è negli occhi di chi guarda:
una frase che tutti abbiamo ascoltato (e,
probabilmente, pronunciato) molte volte, magari
senza renderci conto delle profonde implicazioni
filosofiche che tale approccio sottende: la
soggettività della percezione estetica, ovvero
il fatto che ognuno di noi può percepire come
bello ciò che bello, per altri, non è.
L'inglese David Hume è stato il primo
a concettualizzare quest’intuizione: «La
bellezza delle cose esiste nella mente di chi le
contempla» scrive infatti nelle Dissertazioni
sulla tragedia. Si tratta di una prospettiva del
tutto nuova e, per certi versi, ardita: infatti,
mentre la maggior parte dei pensatori antichi
e di quelli medievali poneva la bellezza
oggettivamente al di fuori dell’osservatore,
Hume adesso sostiene fermamente che «la
bellezza non è una qualità intrinseca alle
cose, ma esiste soltanto nella mente che le
contempla, e ogni mente percepisce una
bellezza diversa». Di più: «Ogni individuo deve
accettare la propria inclinazione estetica e non
pretendere che gli altri si uniformino a essa».
Anche Immanuel Kant sposta l’obiettivo
sul soggetto: la bellezza provoca, in chi la
sperimenta, un giudizio contemplativo,
senza che il piacere provato durante tale
contemplazione derivi da un interesse per
l’esistenza dell’oggetto, come invece capita per La bellezza umana,
ciò che è buono o piacevole. La bellezza non
è quindi una caratteristica intrinseca di un
un concetto in evoluzione
oggetto o di un’opera, ma deriva dalla capacità
di eccitare lo spirito di chi la ammira. Il piacere
che si prova di fronte a qualcosa di bello nasce
P erché consideriamo “belle” alcu-
ne precise carat teristiche del
corpo umano? La risposta è, alme-
ne, così come un corpo armonico
e muscoloso (spalle larghe, torace
ampio, assenza di difetti e irregola-
dall’applicazione congiunta dell’immaginazione no nella maggior par te dei casi, rità somatiche) nell’uomo è indizio
e dell’intelletto: due facoltà, appunto, poco “filosofica” e molto “biolo- di for za e c apacità fisiche, che
soggettive, in grado di produrre uno stato gica”, e ha a che fare con le leggi saranno utili a offrire protezione e
d’animo che può essere comunicato e condiviso dell’evoluzione. A venire considera- sostentamento alla prole.
con altri individui. Si viene così a definire ti belli (e quindi desiderabili) sono i Tuttavia, anche alcuni canoni di
un “senso comune estetico”, grazie al quale corpi che appaiono più sani e fun- bellezza fisica sono soggetti a cam-
i giudizi individuali possono venire espressi zionali rispetto ai compiti per i quali biamenti culturali. Soprattutto in
compiutamente e assumere un valore sociale. sono stati selezionati. epoche antiche, la grassezza era
Il genio artistico, secondo Kant, è quello di Ecco, così, che, per quanto riguar- indizio certo di opulenza, pertanto
chi esprime “idee estetiche”, rappresentazioni da le donne, i fianchi torniti, il seno rappresentava un motivo di forte
dell’immaginazione capaci di far pensare chi le florido e, più in generale, le curve attrazione per le donne alla ricer-
individua nelle opere d’arte. generose trasmettono l’idea di una ca di un marito in grado di offrire, a
Per quanto complesso e articolato, costituzione adatta alla procreazio- loro e ai figli, sicurezza economica.
l’approccio kantiano appare decisamente più
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Che cos'è la bellezza?
vicino a una concezione moderna dell’arte
L’autore? È morto! rispetto al tradizionale approccio “oggettivista”

N egli ultimi decenni, si è af fermata una


corrente di pensiero filosofico “post-
modernista” che considera il significato di
IL VERO FINE
DELL’ARTE
sostenuto dai maggiori pensatori antichi.

L’utilità del bello


un’opera d’arte definito soprattutto dal conte- Perché facciamo arte? Qual è lo scopo dell’arte? Che cosa può
sto sociale e dagli interessi del pubblico; allo Secondo alcuni, per darci, e perché ne siamo attratti? Georg
stesso modo, considera la sua creazione come procurare un piacere Wilhelm Hegel ha provato a rispondere a queste
il risultato degli influssi delle forze sociali e cul- emotivo, suscitare un domande. Nel corso delle lezioni universitarie
turali sull’artista che la produce fisicamente. moto dell’anima; altri, tenute a Heidelberg e Berlino tra il 1818 e il
Secondo tale visione, dunque, è un errore invece, la ritengono 1829, Hegel tratteggiò quella che, per molti,
attribuire la creazione dell’opera d’arte a un un’esperienza intellettuale. rappresenta la riflessione più completa e
unico individuo. L’ha spiegato bene l’artista Fino al Rinascimento, la approfondita sull’argomento. Per Hegel, tutto
Marcel Duchamp, quando ha affermato che filosofia ritenne di aver ciò che è ideale è superiore a ciò che appartiene
«l’atto creativo non è compiuto dal solo artista; trovato nella proporzione al mondo fisico. Dunque, l’essenza della bellezza
è lo spettatore che mette l’opera in contatto il segreto della bellezza, può trovarsi solo nell’arte, in quanto essa origina
con il mondo esterno, decifrandola e inter- come dimostra l'Uomo dallo spirito, e non dal mondo naturale. Il fine
pretandone le sue caratteristiche più intime, vitruviano disegnato da ultimo dell’arte non è quello di imitare la realtà,
aggiungendo così il proprio contributo all’atto Leonardo da Vinci (nella né quello di suscitare sentimenti: si tratta,
creativo». Il filosofo francese Roland Barthes è pagina a fronte). Nella foto piuttosto, di rivelare la verità attraverso una
stato ancora più drastico, annunciando senza sotto, Benedetto Croce, rappresentazione “sensibile”, cioè percepibile
mezzi termini la “morte dell’artista”. che vedeva nell’arte attraverso i sensi. L’opera d’arte riesce in
un’esperienza spirituale. tale intento perché è in grado di mediare tra

« La bellezza è lo splendore dell’Essere.»


PLATONE

spirito e materia, tra particolare e universale.


In questo senso, l’arte rappresenta una tappa
verso la liberazione dai limiti della natura e il
ritorno alla piena comprensione di sé. Poiché
presuppone un’azione, quella del “fare” l’opera,
l’arte lega lo spirito ai limiti della materia, ma
in diverso grado, a seconda della forza di tale
legame: così, architettura e scultura sono le arti
maggiormente condizionate dalla vicinanza
alla materia, mentre la pittura, la musica e
la poesia permettono allo spirito di liberarsi
gradualmente dai vincoli del mondo fisico.
Una risposta completamente diversa
alla domanda arriva infine da Benedetto
Croce (1866-1952), per il quale l’arte non
ha cittadinanza nel mondo fisico, non deve
necessariamente procurare un piacere e non
è nemmeno utile: si tratta di un momento
istantaneo di conoscenza spirituale,
un’intuizione che, secondo il pensatore
abruzzese, è un fatto spirituale, inscindibile
dell’intuizione stessa. Una conclusione, questa,
che da un lato può deludere chi è alla ricerca di
risposte specifiche sui fini e i meccanismi alla
base del nostro modo di percepire e intendere
la bellezza, ma dall'altro, in qualche modo,
ci autorizza ad ampliare il nostro campo di
ricerca del bello in tutte le aree di espressione
dell’essere umano, comprese le più moderne,
come cinema, fumetto e la televisione.
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F
Tutti noi la sogniamo, tutti noi elicità: senza dubbio un concetto
sfuggente, non tanto nella sua definizione,
la desideriamo, ma raramente sulla quale è facile concordare, quanto nei
contenuti che la circondano. Ci riferiamo
ci accorgiamo di averla davvero alla felicità quando vogliamo indicare uno stato
d’animo che segue alla realizzazione dei nostri
raggiunta: è la felicità, e ognuno desideri. Appena formulata tale descrizione,
però, ci accorgiamo che abbiamo solo spostato
la cerca in modi e luoghi diversi i termini del problema: quali sono i desideri il
cui esaudimento porta alla vera felicità? Posso
raggiungere una felicità assoluta, oppure si tratta
di uno stato momentaneo? La felicità è davvero
il fine ultimo della nostra vita? Sono tutti
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?
Esiste
la felicità
interrogativi che, in forme diverse, l’uomo si pone quell’anima che ha raggiunto la virtù: un termine, L’ESPERIENZA
da sempre, e non è certo un caso che anche la quest’ultimo, che dev’essere inteso non solamente ESTATICA
filosofia abbia scelto di prestarvi attenzione. nella sua usuale accezione morale, ma in quella più Nella foto sopra,
ampia di “qualità” e “piena potenzialità”. Dunque, la Transverberazione
Un’indagine onesta si tratta di una condizione che può essere ottenuta di S. Teresa d’Avila
Il problema della felicità è stato affrontato solo quando l’anima ha raggiunto il proprio fine. del Bernini (1650 ca.),
soprattutto nel periodo classico, all’inizio della In questo caso, Socrate identifica la felicità con che interpreta
storia della filosofia. Anche se non riusciamo una sensazione di benessere e di distacco dal magistralmente il più
descriverla con certezza, sappiamo per certo che dolore, che egli indica con il termine “eudemonia”, alto grado di felicità
possiamo sperimentare la felicità solo in assenza che letteralmente indica la presenza di un “buon raggiungibile in vita:
di pericolo, di tristezza o di dolore. Già nel V demone” (daimon, una sorta di guida celeste che ci l’estasi mistica.
secolo a.C., Socrate aveva ragionato sul fatto che accompagna dalla nascita) e che è in antitesi con
la felicità potesse rappresentare la condizione di la disarmonia (un disordine interiore causato dal ”
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vizio). L’ipotesi che il raggiungimento della virtù
sia condizione necessaria e sufficiente per essere
felici è condivisa anche dal più celebre degli allievi
di Socrate, Platone, e fornisce forse una spiegazione
convincente per la sensazione di benessere che
proviamo quando sentiamo di aver fatto qualcosa
di “giusto” secondo i nostri parametri morali, o
semplicemente di aver compiuto il nostro dovere.
Porre l’accento sulla virtù aiuta anche a
distinguere il concetto di felicità da quello
di piacere. Quest’ultimo, infatti, può essere
passeggero, mentre la prima, come abbiamo
detto, rappresenta uno stato duraturo. Per
spiegare questo passaggio fondamentale,

«Tutti vogliono vivere


felici, ma quando
si tratta di veder chiaro
cosa può rendere
felice la vita, sono
avvolti dall’oscurità.»
SENECA

nell’Etica nicomachea, riferendosi al piacere,


Aristotele utilizza il famoso detto «una
rondine non fa primavera»: non dobbiamo
scambiare la comparsa di qualche raro e breve
attimo di gioia per vera felicità. L’idea di
felicità aristotelica è particolarmente interessante
perché appare molto diversa da quella che oggi
risulta predominante. Essa, infatti non ha nulla
a che vedere con i concetti di spensieratezza e due categorie si originano gli impulsi legati alla
innocenza ai quali spesso la associamo. Anzi, dimensione fisica, corporea, mentre la terza
secondo il filosofo, i bambini non possono è la sede del pensiero, grazie al quale si può
essere davvero felici, perché non accedere al bene. Nel Filebo, Platone espone
hanno vissuto abbastanza a lungo la tesi che una vita buona è quella in
e non possono ancora avere cui si mescola l’esperienza dei piaceri
ben compreso e imparato a positivi, di tipo intellettuale (la
esercitare la propria virtù; musica, l’arte, la conoscenza che
dunque la felicità è alla portata appaga la sete di sapere) con
solo di chi è maturo. l’utilizzo dell’intelligenza, alla
Prima di Aristotele, Platone quale spetta anche il delicato
aveva sviluppato l’idea di compito di distinguere tra piaceri
felicità socratica in relazione buoni e piaceri cattivi.
all’equilibrio tra le diverse spinte È difficile non concordare con
dell’anima umana, che secondo lui la proposta platonica, almeno a
è composta da tre parti: irascibile, livello intellettuale; eppure, spesso
concupiscibile e razionale. Nelle prime ci sorprendiamo a pensare alla felicità
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Esiste la felicità?

Che cosa succede


quando siamo felici?
A l di là delle cause che genera-
no felicità, la sensazione che
proviamo quando “siamo felici”
deriva da processi mediati da
biomolecole, capaci di inter-
venire sul nostro umore, al
punto che qualcuno si spin-
ge a parlare di “biologia
della gioia”. In effetti, l’arse-
nale chimico di cui dispone
il nostro organismo per sti-
molare risposte appaganti
a eventi positivi è piuttosto
vario e articolato.
Tr a l e m o l e c o l e p i ù
importanti ed efficaci si anno-
vera certamente la serotonina,
un ormone sintetizzato dagli ani-
mali anche (ma non solo) attraverso
un particolare tipo di neurone del siste-
ma nervoso centrale e che influisce in
maniera importante sull’umore, tanto da
essere chiamato l’“ormone della felicità”.
La dopamina è invece rilasciata da altre
cellule nervose, contestualmente alla
soddisfazione di un bisogno fisico e dal
raggiungimento di risultati gratificanti.
Studi sulla depressione, hanno evi-
denziato il ruolo che la prolattina
potrebbe giocare nella regolazione
dell’umore. Le endorfine, da parte
loro, oltre a minimizzare la per-
cezione del dolore, stimolano i
centri cerebrali del piacere, arri-
vando a provocare veri e propri
accessi di euforia.

come a qualcosa di più concreto, quasi fisico. (quelle degli dei, della morte e del dolore) e spinge COMBATTERE
In questo caso, possiamo trovare una sponda al godimento dell’unico vero piacere possibile, LE PAURE
illustre in un altro greco: Epicuro. che è quello del momento presente. L’epicureismo Il segreto della felicità?
ci può anche confermare nell’idea che solo gli Non avere paura.
L a differenza con il piacere anziani possano essere felici, dal momento che a È questa l’antica ricetta
La concezione della felicità “virtuosa” non è loro il futuro non riserva più i pericoli e i dolori tramandataci dagli
stata certo l’unica a emergere nel pensiero antico. che un giovane invece deve ancora provare. epicurei e che ancora
Nel III secolo a.C., l’insegnamento di Epicuro La distinzione tra piacere e felicità è ancora oggi molti condividono.
rovescia in buona parte l’impostazione socratica, oggi ardua e controversa, e coinvolge a Nella pagina a fronte,
anche se in modo decisamente diversao da ciò che pieno titolo anche gli psicologi. Tra loro, il un busto di Seneca.
di solito si è portati a pensare a proposito degli contemporaneo Martin Seligman, considerato
insegnamenti della sua dottrina. Essa non riguarda fondatore della “psicologia positiva”, una
tanto la ricerca del godimento dei piaceri materiali, dottrina che ha come l’obiettivo di aiutare
quanto la liberazione dai timori e dalle paure. l’uomo ad aumentare le condizioni che
Non per niente, la dottrina di Epicuro viene anche rendono la vita degna di essere vissuta.
detta del “quadrifarmaco”, perché è come una Secondo Seligman, la differenza tra piacere
medicina che cura le tre grandi paure dell’uomo e felicità (che viene identificata in termini ”

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psicologici con la “gratificazione”) risiede nel
fatto che il primo è momentaneo e, soprattutto, Il benessere: un sinonimo?
genera assuefazione e dipendenza. La seconda
richiede invece impegno e dedizione; una
volta conseguita, tuttavia, non solo provoca
È possibile trovarsi in difficoltà, perseguitati dalla sfortu-
na eppure sentirsi felici? Secondo Friedrich Nietzsche, sì.
Anzi, sarebbero proprio le avversità a permettere all’uomo
di provare la vera felicità, che per il filosofo corrisponde alla
sensazione provata quando si impiega la propria forza vitale

« La felicità e i piaceri per affermare se stessi e creare il proprio mondo. Al


contrario, vivere in una situazione piacevole, senza
affanni o problemi, porterebbe inevitabilmente a
sono solo una chimera uno stato di pigrizia che impedisce di raggiun-
gere la pienezza dell’essere. Non è, per

che l’illusione ci mostra


usare le parole dello stesso filosofo, una
felicità “da malati”, ma piuttosto una
felicità totale, che non ha nulla di

in lontananza.»
razionalistico o materialistico,
ma neppure di spiritualistico.
Una felicità, scrive nel suo
ARTHUR SCHOPENHAUER breve saggio giovanile Può
un invidioso essere felice?,
«aperta e ridente, alla cui
il benessere, ma carica di significato positivo luce gli occhi degli sco-
l’intera esistenza. Non è difficile scorgere in nosciuti si accendono e
questa tesi una chiara eco della lezione degli i volti ostili divengono
antichi maestri greci, segno forse che l’idea di cor tesi». Una felicità
vera felicità non è, dopotutto, così difficile da che può nascere sol-
rintracciare, circoscrivere e condividere. tanto dalla difficoltà.

L a ricetta giusta
Socrate e Platone ci spingono a cercare il bene e
a limitare la ricerca della soddisfazione dei nostri
desideri; Epicuro ci indica la strada della liberazione
dalle paure come quella da percorrere. In entrambi
i casi, sia che si guardi verso l’alto, sia che invece
si circoscriva il campo d’azione LA FATICA bene assoluto esista, e non sia di questo mondo ma
alla realtà fisica, la felicità è DI ESSERE FELICI ci aspetti in quello che verrà, dobbiamo accettare
un traguardo che queste Secondo lo psicologo il fatto che la felicità assoluta può essere incontrata
filosofie prospettano Martin Seligman solo nella dimensione ultraterrena. Risale al
come raggiungibile. (nella foto), IV secolo d.C., per esempio, l’insegnamento
Ma gli altri filosofi, raggiungere la di sant’Agostino, secondo il quale la religione
e soprattutto quelli felicità comporta rappresenta non solo la strada verso la felicità,
cristiani, che hanno lavoro e impegno, ma anche quella che dovrebbe allontanare dai
formato gran parte ma i frutti di (faldi) piaceri fisici. Di felicità terrena parla invece
della nostra cultura tale sforzo Tommaso d’Aquino (1225-1274), che non la
e del nostro modo di sono destinati condanna come distrazione, ma la considera un
pensare, sono di diverso a durare nel gradino di quella “scala dell’essere” che conduce
avviso. Evidentemente, se tempo. fino a Dio. Anche Pico della Mirandola (1463-
pensiamo che il 1494) è sulla stessa lunghezza d’onda: se è vero che
solo dopo la morte l’uomo può incontrare la vera
felicità, durante la sua esistenza terrena egli può
però accedere a una “felicità naturale”: la religione
conduce alla prima, la filosofia alla seconda. Ancor
più netto è Tommaso Moro (1478-1535), che nello
stesso periodo, nel suo capolavoro Utopia, disegna
una società ideale. In essa, mentre la promessa
della ricompensa divina rimane il premio finale,
il godimento delle gioie terrene rappresenta «lo
scopo naturale di tutti gli sforzi umani.»
Se abbandoniamo la dimensione metafisica
e torniamo a un’idea di felicità più concreta e
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Esiste la felicità?

I saggi consigli di Cartesio


I n una lettera indirizzata alla principessa
Elisabetta di Boemia, Cartesio propone
alcuni consigli su come essere virtuosi e
prima cosa bisogna conoscere se stes-
si e i propri limiti, così da non ritrovarsi
a cercare di raggiungere traguardi inac-
felici. Le riflessioni del grande pensatore cessibili. Secondariamente, dobbiamo
francese sono ancora più interessanti se affidarci alla ragione nel prendere qual-
si considera che egli fu spinto al scriverle siasi decisione, così da evitare di cadere
nel tentativo di curare, proprio attraver- vittime di impulsi irrazionali e fuorvianti.
so la filosofia, la depressione di cui la era Infine, ricollegandosi al primo punto,
caduta vittima la sua giovane e aristocra- Cartesio ci raccomanda di non desiderare
tica corrispondente. ciò che è al di fuori della nostra porta-
Per prima cosa, Cartesio distingue tra ta, perché il rimpianto e la delusione ci
due tipi di felicità: quella che ottenia- impedirebbero di essere felici: un uomo
mo fortuitamente, o comunque senza ricco, sano e virtuoso sarà sicuramente
merito, e quella il cui conseguimento più felice di uno povero e malato, ma se
dipende da noi, in quanto deriva da beni quest’ultimo coltiverà desideri e senti-
quali la saggezza e la virtù. Per accede- menti adatti alla propria condizione potrà
re a questo secondo tipo di felicità, per anch’egli condurre una vita appagante.

«Ottenere, conservare, ritrovare la felicità è, per la maggior


parte degli uomini, in qualsiasi epoca, il vero movente occulto
di ogni loro azione e della loro capacità di sopportazione.»
WILLIAM JAMES

mondana, incontriamo il pensiero degli empiristi SOTTO IL SEGNO afferma soltanto Locke: lo ribadisce anche Blaise
inglesi. In particolare, John Locke (1632-1704), DI SATURNO Pascal (1623-1662), quando afferma che la libertà,
sviluppa la convinzione che l’uomo nasca Nel ritratto in alto, in fondo, «è il motivo di tutte le azioni umane».
senza alcun condizionamento innato e privo di Elisabetta di Boemia.
costrizioni: una tabula rasa, insomma, libera di Cartesio, che restò in Un obiettivo pericoloso
ricercare nella realtà i motivi per i quali valga la contatto epistolare Oggi, pempre più pensatori mettono in guardia
pena vivere, e che in questo caso sono identificati con lei per sette anni, dal fatto che, più che la felicità, siamo spinti a
nelle cose che procurano piacere. «Le cose sono le elargiva consigli “desiderare di essere felici”. In questo senso, potrebbe
buone o cattive solo in rapporto al piacere e per uscire dallo stato avere ragione lo scrittore contemporaneo Pascal
al dolore che procurano» scrive nel suo Saggio depressivo in cui la Bruckner quando osserva che la nostra è la prima
sull’ intelligenza umana. «Possiamo chiamare nobildonna versava. società capace di «rendere le persone infelici per il
“buono” ciò che può procurare o aumentare A quei tempi la fatto di non essere felici». La ricerca ossessiva della
il piacere, oppure diminuire il dolore». Anche depressione veniva felicità, se non è guidata da riferimenti sicuri, può
Locke ritiene che la strada più certa per trovare chiamata “malinconia” diventare pericolosa. Già nell’Ottocento, il saggista
la felicità sia la stessa che conduce alla “vita ed era attribuita ai transiti Alexis de Tocqueville, domandandosi in quale veste
eterna”, come scrive nella Ragionevolezza del del pianeta Saturno. sarebbe potuto riapparire il dispotismo nel mondo,
cristianesimo. Ma, come fa notare lo storico paventava il rischio di una “tirannia della felicità”.
Darrin McMahon, Locke è stato anche tra i Scriveva nella Democrazia in America: «Vedo una
primi a postulare un “diritto alla felicità” che, moltitudine di uomini, simili e uguali, che vanno
messo nero su bianco un secolo dopo nella alla continua ricerca dei piccoli, banali piaceri con
Dichiarazione d’Indipendenza dei futuri Stati i quali nutrono la loro anima. Al di sopra, c’è un
Uniti d’America, sarebbe diventato una pietra potere immenso, protettivo, unico responsabile
miliare per ogni società civile, noncheé uno dei della loro gioia e del loro destino; vuole che i
“diritti inalienabili” di ogni essere umano. Che cittadini si divertano, purché non pensino a
lo scopo ultimo dell’uomo sia proprio quello di nient’altro. Lavora volentieri alla loro felicità, ma di
ricercare la felicità, qualunque essa sia, non lo essa vuole essere l’unico artefice e giudice».
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che cos’è
l'amore ?
L’amore per un altro
essere umano:
una delle forze
più potenti che si
possano sperimentare.
Ma il modo in cui
questo sentimento
nasce e si sviluppa
è davvero misterioso
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«I
l cuore ha le sue ragioni, che la ragione risposta circostanziata alla nostra domanda.
non conosce». Non è la frase di un Riprendendo quanto insegnato dal suo maestro
poeta, ma di uno dei più grandi Socrate, nel Liside Platone individua nella ricerca
pensatori della storia, il francese Blaise del bene il fondamento dell’amicizia e dell’eros.
Pascal (1623-1662), il quale, in realtà, non si Essi devono essere però considerati anche al di
riferiva al sentimento dell’amore in sé, ma a un tipo fuori della dimensione umana e riferiti al “Primo
di conoscenza che potremmo definire “intuizione amico”, ciò che lega tutte le cose e al quale tutte
intellettuale”. Eppure, anche se l’amore di cui parla le cose tendono. Dunque, indipendentemente dal
il filosofo è quello per l’Essere universale, o per se tipo di amore e di amicizia che sperimentiamo, tale
stessi, noi interpretiamo questa massima come una

« L ’amore è il desiderio
verità riferita al sentimento dell’amore. Qualcosa
che sempre ci sorprende e ci disorienta, anche se
crediamo di conoscerne benissimo cause ed effetti.

di possedere il Bene
E, forse, le risposte ai nostri interrogativi in merito
alla questione sono nascoste nella ragione…

per sempre.» 
A lla ricerca dell’altra metà
Quando scopriamo di provare attrazione per una
persona, di desiderarne la vicinanza, pensiamo di
sapere esattamente quale sia l’oggetto del nostro PLATONE
amore, vale a dire quella persona stessa. Ma è
davvero così? Amiamo veramente la persona per sentimento nasce dalla ricerca di un bene superiore.
quel che è, o per quel che rappresenta? Il primo È nel Simposio, però, che possiamo trovare
a cercare di studiare l’amore come “forza” è stato un’intuizione che fa meglio comprendere cosa
Empedocle, vissuto intorno al V secolo a.C., il davvero cerchiamo uno nell’altro. Si tratta di una
quale riteneva che l’intero universo fosse animato completezza perduta, quella che possedevano i
da due forze contrapposte: una repulsiva, l’Odio primi esseri, gli androgini, metà uomini e metà
(o meglio, la Contesa), e una attrattiva, l’Amore, donne. Secondo il mito platonico, le due metà
che si avvicendavano nella vennero separate dagli dei. Da allora, il maschile
supremazia sul creato, è alla perenne ricerca della sua metà femminile
creando un’alternanza perduta, e viceversa. L’amore sarebbe dunque
di attrazione e una tendenza alla perfezione, un’ammissione
CHE COSA DICE disgregazione tra di incompletezza. Ma l’amore conosce diversi
LA PSICOLOGIA gli elementi che gradi: partendo da quello più sensibile e fisico, si
Secondo Sigmund compongono il arriva all’amore per la sapienza, che è il grado più
Freud (nella foto), mondo. Anche nobile. Una prospettiva assai simile appare nel
la spinta affettiva se riferito alla mondo cristiano, che vede l’amore terreno come
influenza le nostre cosmologia, il inferiore rispetto a quello per Dio. Che però,
decisioni e le concetto di amore in fondo, l’oggetto dell’attrazione sia lo stesso
nostre azioni, anche come affinità appare e sia ricercabile a tutti i livelli, lo testimonia la
(anzi, soprattutto) qui già ben chiaro. ricca tradizione della mistica cristiana, in cui il
a livello inconscio. Bisogna però aspettare linguaggio che descrive l’estasi della trascendenza
Il quadro Il bacio, il IV secolo a.C. e usa termini e metafore propri dell’amore fisico.
di Francesco Hayez, rivolgersi a Platone Era già avvenuto nel Cantico dei cantici, un poema
è del 1859. per avere una di matrice erotica che, nella tradizione ebraica,
prima prima, e cristiana, poi, ha celebrato l’amore
umano in tutte le sue sfaccettature.
Questo approccio possiede sicuramente una sua
forza implicita, e non è difficile individuare nel
sentimento dell’amore riferito a un’altra persona
la manifestazione del bisogno di trovare il nostro
“pezzo mancante”. In tal modo, però, l’aspetto
carnale rischia di scomparire del tutto, mentre
sappiamo bene che l’amore contempla anche un
elemento concreto, un moto fisico verso l’oggetto
amato. A guidare le azioni dell’essere umano sono
le emozioni, le passioni, che a volte rappresentano
anche un alibi per giustificare eccessi eticamente
e moralmente censurabili, come il tradimento, la
violenza, la sopraffazione, ma che invece, secondo ”
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sant’Agostino, possono essere disciplinate dalla
volontà e volte a un buon uso. Basta prendere
«Quando si è
innamorati, si prova
esempio da Gesù, che ha amato gli uomini e ha
provato l’intera gamma delle emozioni umane.

un sentimento
Il sesso è passione, non sentimento
Quando pensiamo all’amore, siamo tentati di
precisare se ci riferiamo al sentimento o all’istinto
di serenità tale
sessuale, considerandoli, di fatto, due ambiti
separati. Tale dicotomia viene di solito imputata
alla tradizione cristiana, influenzata dal platonismo
e dalla sua concezione della triplice anima
(concupiscente, irascibile e intellettiva). Questa che sembra di essere
struttura autorizza a pensare a una gerarchia delle
passioni, a seconda del livello dell’anima che esse
sollecitano. Così, per esempio, Tommaso d’Aquino in paradiso.»

distingue tra atti umani volontari (che è possibile
sottoporre a un’analisi etica) e involontari (in ALAIN BADIOU
comune con gli animali). In quest’ottica, la passione
va considerata come un movimento che dall’anima
si trasmette all’intero organismo, e che procede
dall’appetito sensitivo (corrispondente ai primi FISICO
due tipi di anima, la concupiscibile e l’irascibile), E SPIRITUALE
al quale vengono ricondotti amore, desiderio e Parlando di amore,
piacere. È a questo livello che si situa l’istinto di solito ci riferiamo
sessuale, di origine istintuale (perciò condiviso con al sentimento declinato
gli animali) e pertanto di genere inferiore. Tuttavia, in senso romantico, che
quando viene moderato dalla volontà, anche non sempre si accorda
l’istinto sessuale può offrire un giusto diletto. con l’istinto sessuale.
Se abbandoniamo la visione religiosa e, Il quadro a destra, di
conseguentemente, gerarchica dei vari gradi di Auguste Renoir, si intitola
amore in funzione del loro oggetto, arriviamo Gli innamorati (1885).

I diversi tipi di amicizia Una strategia evolutiva


Q uando pensiamo all’amicizia,
siamo certi di riferirci sempre
allo stesso sentimento? Secondo
causa dell’utile amano per via del
bene che ne traggono, e quelli che
amano a causa del piacere amano D a quando l’essere umano ha iniziato a sta-
bilire relazioni affettive che andassero oltre
Aristotele, no: in realtà, ci spiega, per via di ciò che di piacevole posso- la spinta biologica verso la ricerca di un partner
esisterebbero ben tre tipi diversi di no ottenere: non perché la persona sessuale per la riproduzione? Secondo alcune
questo sentimento, ognuno gene- amata è quella che è, ma perché ricerche, l’innamoramento sarebbe una reazio-
rato da una causa diversa. essa è utile o piacevole. Dunque, ne codificata nel cervello, dunque il risultato di
Scrive infatti nell’Etica nicoma- possiamo considerare queste ami- un processo antichissimo, durato millenni.
chea: «Tre dunque sono le specie cizie accidentali […] Quindi, amicizie L’amore, dunque, non sarebbe un’invenzio-
di amicizia, come tre sono le qualità del genere sono destinate a termi- ne moderna, bensì il risultato di una vera e
che portano all’amicizia e a ricam- nare, poiché le persone non restano propria strategia evolutiva. Il mediatore bio-
biare tale amicizia». Come spiega sempre eguali, e se non sono più chimico sarebbe la feniletilamina, un ormone
più avanti, le cause a cui si riferisce piacevoli o utili, l’amicizia cessa di che, associato a un’elevata produzione di
sono il buono, il piacere e l’utile. esistere. […] L’amicizia perfetta è dopamina e norepinefrina, porterebbe al rila-
Quindi prosegue, spiegando le quella tra i buoni e tra quelli che scio di dopamina e a una serie di effetti, tra
differenze: «Quelli che si amano sono simili nella virtù, perché que- i quali l’acuirsi delle reazioni emotive prova-
reciprocamente a causa dell’utile sti si vogliono bene reciprocamente te durante il rapporto sessuale. È sempre la
non si amano per se stessi, ben- in quanto sono buoni, e sono buo- chimica a spiegare anche la famosa “crisi del
sì perché da tale amore deriva loro ni di per sé; e quelli che vogliono settimo anno”: secondo gli stessi studi, l’orga-
reciprocamente un qualche bene; bene a un amico proprio per come nismo andrebbe gradualmente assuefacendosi
Lo stesso si può dire anche per quel- è quell’amico. Questa amicizia dura alla feniletilamina, rendendosi così refrattario
li che si amano a causa del piacere. finché i due sono buoni, e la virtù alla sua azione. A quel punto, la vicinanza del
[…] Dunque, coloro che amano a è qualcosa di stabile, che rimane». partner non scatena più le reazioni iniziali.

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Che cos’è l'amore?
a conclusioni decisamente diverse. Secondo
alcune teorie psicologiche, possiamo vedere
nell’amore la sublimazione di una pulsione
eminentemente primaria, ossia quella che
ci spinge all’accoppiamento ai fini della
perpetuazione della specie.
Sigmund Freud (1856-1939), il padre della
psicanalisi, arriva a ipotizzare l’esistenza di una
vera e propria energia sessuale, la “libido”, in
grado di determinare i comportamenti umani
nel corso delle varie fasi della sua esistenza.
L’importanza attribuita all’eros come forza
istintuale dell’uomo ha portato gli epigoni
di Freud a conferire alla sessualità un ruolo
fondamentale nelle relazioni d’amore, fino a
postulare la sovrapposizione tra eros e amore.

Verso una società senza affetto


Sia che lo intendiamo come il rapporto
esclusivo tra uomo e donna (o comunque,
tra due soggetti singoli, legati da rapporto
fisico e affettivo) oppure come relazione di
amicizia, oggi lo scenario che ci viene dipinto
da pensatori, sociologi e psicologi non appare
incoraggiante. Si assiste infatti a una nuova
separazione tra sesso e amore, con il primo che
ha perso la sua funzione liberatoria per diventare
uno strumento di violanza e oppressione. Torna,
insomma, di attualità la distinzione tra ciò che
nel Medioevo gli scolastici indicavano come
“amor benevolentiae” (che ci porta a desiderare
il bene dell’oggetto del nostro amore) e l’“amor ”

Uomo e donna amano in modo diverso


T ra i luoghi comuni più diffusi
a proposito delle differenze
tra uomini e donne, quello sul
infatti, le donne soffrirebbero
molto di più rispetto agli uomi-
ni alla fine di una storia d’amore,
diverso modo di vivere e perce- ma si riprenderebbero anche
pire l’amore rimane uno dei più più in fretta, suggerendo così il
popolari, anche perché coinvol- fatto che sono portate a investi-
ge meccanismi sociali e culturali re maggiormente dal punto di
che lo rendono particolarmente vista emotivo ma anche che sono
complesso e dibattibile. È infat- meglio predisposte a riprendere
ti difficile affrontare il discorso la loro vita sentimentale. «È una
senza cadere in stereotipi che questione di biologia», spiega
dipendono dal contesto a cui si Craig Morris, ricercatore associa-
riferiscono, non solo storico, ma to. «Le donne si sono evolute in
anche geografico. modo da investire loro stesse in
Analizzando le reazioni alla fine un rapporto sentimentale perché
di una storia, però, una ricerca sanno che da quello potrebbe
della newyorkese Binghamton scaturire la maternità. D’altro can-
University, condotta su un cam- to, devono anche essere molto
pione di 5.705 tra uomini e donne selettive nella scelta del partner,
di 96 Paesi diversi, sembra avere cioè del potenziale padre, quindi
individuato una comprovata dif- sono pronte a sostituirlo con un
ferenza di genere. Secondo le altro poco dopo avere interrotto
conclusioni riportate nello studio, il rapporto precedente.»

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« Nell’amore, c’è sempre un certo grado
di pazzia. Del resto, c’è anche una certa
ragione nella pazzia.»
FRIEDRICH NIETZSCHE

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Che cos’è l'amore?
concupiscentiae” (che persegue solo il bene del
EVOLUZIONE soggetto amante, e non dell’oggetto, e si traduce
DI UN SENTIMENTO in una relazione di possesso). È il secondo tipo
Secondo Zygmunt di amore che sembra caratterizzare la maggior
Bauman (nella foto parte dei rapporti attuali. In tale contesto, il
a destra), l’amore non sesso viene vissuto senza aspettative di gioia e
rimane sempre uguale felicità (che invece deriverebbe dal suo “buon
a se stesso, ma modifica uso”, in senso agostiniano): separato dall’ambito
le proprie espressioni affettivo, assume un carattere transitorio, che non
secondo i cambiamenti porta ad alcun approfondimento della relazione
sociali e culturali. La tela amorosa. Non è solo la vita sessuale a soffrire della
di René Magritte, del 1928, separazione tra le due componenti, ma l’intera
si intitola Gli amanti. sfera affettiva nelle sue varie espressioni.
È possibile, allora, trovarsi d’accordo con
Zygmunt Bauman (1925-2017), il quale
ipotizza che il problema risieda nel fatto che le
vecchie modalità con le quali gli esseri umani

stringevano legami tra loro non funzionano più;


le nuove procedure introdotte nello scenario
moderno devono ancora mostrare la loro validità
ed efficacia. Gli incontri virtuali sui social
network, le diverse dinamiche del rapporto di
coppia, la maggiore instabilità economica e una
“società fluida” hanno creato scenari per molti
versi inediti anche sul piano sentimentale. I
legami di oggi, sempre più allentati e facili da
sciogliere, possono essere recisi senza dolore
o difficoltà. Sorge allora il dubbio, conclude
Bauman, che tale allarmante situazione non sia
dovuta tanto a un cambio di paradigma sociale
(che pure è innegabilmente avvenuto), quanto
alla presa di coscienza di una realtà finora
nascosta dalle convenzioni e dalle contingenze
storiche. Anche se, fin dai tempi di Aristotele,
viene definito un “animale sociale”, l’uomo
potrebbe in realtà temere l’impegno richiesto
per costruire una relazione con un partner,
ma anche con un amico o un gruppo social.
Verrebbe così tristemente confermata una visione
concupiscente dell’amore, dove tutto quel che
viene insistentemente ricercato e desiderato non
è l’intimità con l’altro, ma con se stessi.
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Possiamo creare
una società
giusta
e pacifica?

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Individuo e collettività:
da sempre un rapporto
complesso, difficile,
delicato, che costituisce
il cuore della politica.
Tra egoismo e altruismo,
qual è la scelta giusta?
Ed è possibile ricercare
una forma di mediazione?

F
in dal giorno della nostra nascita ci
troviamo immersi in un ambiente
“sociale”, quello della nostra famiglia.
Da quel momento in avanti, tutta la
nostra vita trascorrerà in mezzo a parenti, amici,
compagni di scuola, colleghi, concittadini…
Sono proprio i rapporti con gli altri a formare e
definire la nostra esistenza, in senso sia positivo
che negativo, vale a dire attraverso le relazioni
che intrecciamo e le regole di convivenza che
dobbiamo seguire, e che limitano le nostre azioni
e le libertà personali a favore del gruppo sociale
in cui viviamo. Ma quali sono queste regole?
Esiste un sistema migliore degli altri? Quanto
è giusto sacrificare di se stessi a favore della
società? Sono domande che prima o poi siamo
destinati a porci e alle quali, nel corso dei secoli,
l’uomo ha dato molte risposte diverse.

Fianco a fianco, come natura vuole


Pensiamo a un bambino appena nato: trascorsi i
primi mesi di vita, durante i quali la sua curiosità
è diretta verso gli oggetti e l’ambiente che lo
circondano, il suo interesse si orienta verso se
L’UOMO, stesso e i rapporti con gli individui con cui si
ANIMALE SOCIALE trova a vivere. Lo stesso percorso ha compiuto
La definizione la filosofia: dopo una prima fase in cui si è
“animale sociale” è di preoccupata soprattutto della natura e delle sue
Aristotele e indica una manifestazioni, l’attenzione dei primi pensatori
delle caratteristiche greci si è presto spostata sull’uomo e sulle relazioni
più significative della che questi stabilisce con i propri simili. Del resto,
nostra natura: il bisogno la filosofia è nata nella città, quindi all’interno
e il piacere di stare di una società organizzata: come avrebbe potuto
insieme, come illustra non preoccuparsi dei rapporti tra cittadini? E
questo dipinto di che per i Greci la dimensione comunitaria fosse
Auguste Renoir (1881). fondamentale lo esprime chiaramente Platone, ”

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quando nel Critone fa dire al suo personaggio: « L ’amore per il prossimo
«Tu, Socrate, sei stato fatto dalla città». L’idea che
fosse la società a fare l’individuo e non viceversa
è stata poi ribadita in maniera ancora più chiara non è che cattivo amore per se stessi.
da Aristotele, che addirittura ha definito l’uomo
un “animale sociale”, individuando proprio
nell’istinto di costruire rapporti interpersonali Si fugge verso il prossimo mentre
si fugge da se stessi, e di questo
la sua essenza specifica. Per gli antichi Greci,
dunque, la politica (una parola che deriva appunto
da polis, città) rappresentava la dimensione in

se ne vorrebbe fare una virtù.»


cui l’uomo doveva esprimere il suo valore e le
sue capacità: in questo senso, i termini “uomo”
e “cittadino” finiscono per coincidere. Dunque,
ci dicono i grandi pensatori greci, la politica non FRIEDRICH NIETZSCHE
solo è utile, ma è addirittura necessari: senza di
essa non avrebbe senso parlare di umanità. Perciò, con i primi. Allo stesso tempo, però, l’obbedienza
le leggi che regolano i rapporti tra gli uomini alle leggi della comunità arriva a giustificare
assumono il valore più alto, al punto che per perfino il sacrificio della propria vita.
seguirle Socrate accetterà la sua condanna a morte
rifiutando di fuggire dalla prigione e bevendo Il governo migliore
serenamente la cicuta, come ci racconta Platone Fin dai tempi dei Greci, sappiamo che vivere
nel Fedone. In realtà, bisogna ammettere che con gli altri è (per alcuni, un male) necessario, a BUONE REGOLE
più che la società, Socrate mette al primo posto patto però di capire con quali regole gestire tale PER VIVERE INSIEME
la giustizia: quando, nel 404, Sparta insediò ad convivenza. Dal punto di vista sociale, questo Le leggi sono nate con
Atene il governo dei Trenta Tiranni, il filosofo, che significa stabilire quale tipo di governo sia più l’intento di disciplinare
ricopriva una carica pubblica, si rifiutò di ubbidire vantaggioso adottare e, tra i primi a occuparsi il comportamento degli
agli ordini e di avallare l’arresto di Leonte di approfonditamente della questione si distingue uomini, in modo che
Salamina, un uomo innocente. Dunque, sembra certamente Platone, che analizzando i sistemi di potessero vivere insieme:
dirci il grande ateniese con il suo esempio, essere governo possibili conosciuti alla sua epoca (fatta la sopravvivenza della
fedeli ai propri ideali superiori è più importante esclusione per quello ideale, quindi irrealizzabile) società dipende quindi
che osservare le leggi, se queste sono in contrasto stila una sorta di classifica, in cima alla quale dalla loro osservanza.

Montesquieu:
un governo per ogni clima
C harles-Louis de Secondat, barone di Monte-
squieu (1689-1755, nella foto), dedicò molti
anni alla redazione della sua opera maggiore, Lo
spirito delle leggi, pubblicata nel 1748. In essa
egli distingue tre tipi di possibili costituzioni
(monarchia, aristocrazia e democrazia) e tre tipi
di governo (dispotismo, monarchia e repubbli-
ca), ognuno individuato da un carattere distintivo
(rispettivamente la paura, l’onore e la virtù).
Molto interessante è la teoria secondo la
quale gli uomini e il modo in cui si organizzano
dipendono da molti fattori: la religione, le leggi,
le tradizioni e perfino il clima. Così, la repubbli-
ca sarebbe il sistema perfetto per i climi freddi
e gli Stati di dimensioni ridotte, mentre ai cli-
mi caldi e agli Stati molto estesi sembra addirsi
maggiormente il dispotismo. Anche la geogra-
fia, secondo Montesquieu, può influire sul tipo
di governo da adottare: un’isola piccola come
la Sicilia, per esempio, non dovrebbe ambire ad
avere lo stesso sistema politico della Scozia, più
vasta e dal territorio più montuoso.

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Possiamo creare una società giusta e pacifica?
pone la monarchia o l’aristocrazia: secondo il John Wyclif (1331-1384), il quale arrivò a
filosofo dovremmo quindi obbedire a un solo suggerire che gli uomini vivessero in un regime
individuo oppure a pochi, purché degni e sapienti. che potremmo definire di comunismo ante
Seguono la timocrazia (il governo dei nobili litteram: se lo scopo di ogni uomo è infatti quello
ambiziosi), l’oligarchia (il governo di pochi, più di vivere nella grazia di Dio, e una volta raggiunta
ricchi degli altri), la democrazia (il governo del quella condizione egli diventa (come prospettato
popolo) e infine, all’ultimo posto, la tirannide. Per dalle Sacre Scritture) padrone del mondo, allora
Platone, insomma, l’idea che uomini ignoranti tutti noi siamo proprietari in egual misura di
e impreparati abbiano facoltà di decidere le tutto ciò che è stato creato e che, di conseguenza,
sorti dello Stato è la seconda opzione peggiore. deve essere condiviso fra gli uomini.
La sua è una posizione che oggi definiremmo Una posizione alla quale, due secoli più tardi,
“politicamente scorretta”, ma che trova d’accordo non si allineò certo Thomas Hobbes (1588-1679),
quanti ritengono che per regolare i rapporti tra i che fornisce un ritratto della natura umana tale
singoli individui occorra la mediazione autorevole da rendere impossibile anche solo vagheggiare
di una classe dirigente al di sopra delle parti. la possibilità di una società collettivista come
La ricerca della forma migliore di convivenza quella prospettata da Wyclif. L’uomo, afferma
tra gli uomini è continuata senza posa nel corso Hobbes, è per natura in competizione con gli
dei secoli, ma si è rivelata particolarmente altri, impegnato in una continua lotta che gli
pressante nell’Inghilterra del XIV secolo. Al garantisca la sopravvivenza in un mondo brutale.
punto che le risposte fornite dai pensatori del Non si tratta di considerare gli uomini “cattivi”,
Trecento rappresentano un importante punto di ma solo di prendere atto di uno stato naturale in
partenza anche per noi moderni. cui «la forza e l’inganno sono le virtù cardinali»,
Il primo ad avanzare una teoria in proposito, e che può essere superato solo qualora un potere
decisamente audace per l’epoca, fu il teologo superiore obblighi gli individui a non esercitare i ”

«Vivere per gli altri non è soltanto la legge del dovere,


ma anche quella della felicità.»
AUGUSTE COMTE

Dobbiamo preoccuparci
anche di chi non c’è
N on solo con il nostro prossimo: noi siamo in
relazione anche con chi non c’è più e chi non
c’è ancora. È questa una delle tesi più affasci-
nanti di Auguste Comte (1798-1857), il padre del
Positivismo. Secondo il filosofo francese, vissu-
to nella prima metà del XIX secolo, la società è
qualcosa di vivo, in cui ogni membro rappresen-
ta un’unità funzionale che contribuisce a formare,
appunto, un organismo vivente vero e proprio, la
patria (che Comte trasforma in “matria”, sottoli-
neandone il carattere materno). Così, l’esistenza
LA SCIENZA dell’uomo ha senso solo se si mette in relazione
DELLA SOCIETÀ con i suoi simili per formare un Tutto armonico.
Auguste Comte è Comte, però, va oltre, e spiega che dovremmo
l’inventore del termine rivolgere le nostre attenzioni e il nostro ascolto
“sociologia”, una addirittura ai morti, perché sono coloro che ci
disciplina nella quale hanno lasciato il sapere su cui basiamo il nostro
si intende applicare modo di vivere. Allo stesso modo, dobbiamo
il metodo scientifico “parlare” anche ai nostri discendenti, agendo
per studiare con la consapevolezza che le nostre azioni
i fenomeni sociali. rappresenteranno la loro eredità.

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loro “diritti naturali”, cioè la libertà di compiere LA TIRANNIDE vengano repressi e viga la massima “non fare
o meno determinate azioni. Secondo Hobbes, NECESSARIA agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te”. A
la società (e quindi la civiltà) può nascere solo Hobbes (in basso) sostiene differenza di Hobbes, però, Spinoza considera la
se gli uomini rinunciano a tutti i loro diritti che solo un potere democrazia come la forma più naturale di governo:
(tranne quello all’autodifesa) e li conferiscono politico superiore, come in essa, infatti, l’uomo non trasferisce i suoi diritti
a un organismo superiore, sia esso il sovrano o nell’allegoria rapprestata in modo definitivo, perché mantiene la possibilità
l’assemblea. Nel suo Leviatano, Hobbes esplicita sotto, può permettere agli di essere consultato. Inoltre, li trasferisce non ad
quale dovrebbe essere il patto tra i cittadini: uomini di vivere in società. altri uomini ma alla società nel suo complesso,
«Io cedo il mio diritto di governare me stesso a
quest’uomo, o a questa assemblea, a patto che
allo stesso modo tu ceda il tuo». Ma allora, se
accettassimo un accordo del genere, quali libertà
ci resterebbero? Quelle garantite dal “silenzio della
legge”, cioè relative ai campi dove il sovrano o
il parlamento non hanno legiferato, e quelle che
hanno a che vedere con la nostra vita e la nostra
salute. Il pensiero politico di Hobbes è arrivato
fino ai giorni nostri, anche perché, contrariamente
a quanto si potrebbe pensare, non promuove un
sistema totalitario: lo Stato, dice, esiste per il
bene dei cittadini, e non viceversa.

L a differenza tra “mio” e “tuo”


Anche Spinoza, contemporaneo di Hobbes,
ritiene la natura dell’uomo fondamentalmente
e necessariamente egoista: l’uomo ha il diritto
naturale a cercare di ottenere ciò che vuole, ma
per il suo bene deve vivere secondo ragione e non
secondo volontà, stipulare un patto con gli altri
e costruire una società in cui i desideri dannosi

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Possiamo creare una società giusta e pacifica?
cosicché tutti «continuano a rimanere uguali, britannico, però, si sofferma su un altro problema
come lo erano allo stato di natura». legato alla convivenza tra esseri umani e che ci
John Locke, dal canto suo, parte da un tocca ancora oggi da vicino: quello della proprietà.
presupposto più ottimista: crede che gli uomini La visione ottimistica della natura umana di
nascano tutti liberi e uguali e che ognuno di Locke lo porta a considerare la terra un bene
essi sia consapevole di tale legge naturale, che comune all’intera umanità. Dunque, come
conferisce a ciascuno di noi diritti naturali e giustificare l’esistenza della proprietà privata?
inalienabili, come la vita e la libertà. Il filosofo Semplicemente con il lavoro, che trasforma una ”

Il sogno di uno Stato perfetto


S critta nel 1516 e attraversata
spesso da lampi di criti-
ca ironia, Utopia è l’opera più
cinquantaquattro città, ognu-
na abitata da seimila famiglie.
La proprietà privata è stata
Nessuno è nullafacente, ma il
lavoro impegna solo per sei
ore al giorno: la vita sempli-
all’ascolto della musica. Le
uniche leggi in vigore sono
quelle familiari, mentre, per
celebre dell’umanista inglese bandita, e a rotazione gli abi- ce, l’assenza di vizi e il fatto quanto riguarda la religione,
Tommaso Moro, che evoca la tanti trascorrono nelle fattorie che nessuno può possede- gli utopiani adorano il “padre
visione di una società ideale. due anni di lavoro. Tutti, uomi- re qualcosa rende semplice di tut to”, inconoscibile ed
Riprendendo alcuni capisal- ni e donne, apprendono anche soddisfare i bisogni di tutti, eterno, ma a nessuno vie-
di della Repubblica di Platone, un mestiere tecnico (come la e lascia il tempo per dedicar- ne imposto di credervi. Una
l’isola descritta è formata da sartoria, la falegnameria ecc.). si alle letture serali oppure società perfetta. O quasi…

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risorsa naturale (il bene comune) in qualcosa
che appartiene a chi lo ha trasformato. Un
uomo, cioè, si guadagna il diritto alla proprietà
di qualcosa che ha modificato con la propria
opera, rendendolo utile o produttivo. Si tratta
di un diritto che precede il patto sociale,
non dipende da esso: l’accordo tra gli uomini
per la creazione di una società avviene allora
per tutelare questo e gli altri diritti naturali.
Paradossalmente, quindi, l’uomo trasferisce i
propri poteri allo Stato perché questo faccia
rispettare i suoi diritti di natura in maniera
più efficace rispetto a quanto potrebbe fare
lui stesso da solo. Attraverso l’istituzione della
moneta e la recinzione delle proprietà, inoltre,
il governo permette ai singoli di ampliare il
diritto a possedere beni e terre in quantità
superiore a quelle necessarie al sostentamento
(che è invece il limite fissato dal diritto
naturale), quindi a raggiungere la ricchezza.
Una possibilità che porterà alla creazione della
civiltà industriale e del sistema capitalistico.
In pieno Ottocento, emerge una questione
fondamentale, che investe la relazione
intercorrente tra proprietà privata e rapporti
fra singoli all’interno della società. La sua
importanza diventa la base della riflessione
di pensatori come i tedeschi Friedrich Engels
(1820-1895) e Karl Marx (1818-1883), destinata
a gettare le basi dell’ideologia comunista che,
nel bene e nel male, ha caratterizzato la storia
politica e sociale dell’ultimo secolo.
Il secondo, in particolare, parte dall’analisi
della drammatica situazione degli operai delle
fabbriche, poveri, costretti a lavori ripetitivi
e privati di qualunque gratificazione: una
situazione di spietato sfruttamento e completa
alienazione rispetto alla loro vera natura di
esseri umani. Il tutto a vantaggio dei capitalisti,
che accumulavano ricchezze derivate proprio
dal lavoro dei loro operai che, trasformando le
materie prime in prodotto finito, generavano
un “plusvalore” che, a differenza del modello di
Locke, non rimaneva nelle mani di chi lo aveva
creato, ma finiva in quelle dei “padroni”.

Tu e io: tra amicizia ed etica


Nella visione di Marx, i beni avrebbero
invece dovuto essere prodotti da ognuno
secondo le capacità individuali e ceduti alla
società, la quale avrebbe distribuito le ricchezze
secondo necessità: «Da ciascuno secondo le sue
abilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni». Fino
al momento in cui tale utopia non si realizzi,
il destino della società è quello di essere
attraversata da una “lotta di classe” dove ricchi
e poveri, padroni e operai sono in conflitto
tra loro. Alla fine però, profetizza Marx, il
comunismo abolirà ogni differenza di ceto,
nessuno possiederà terreni e il lavoro di tutti
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Possiamo creare una società giusta e pacifica?
contribuirà al benessere generale. Una visione
La cura degli altri? teoricamente ideale, ma che in realtà non si è
Roba da deboli! mai (i più ottimisti dicono: ancora) realizzata.
Tra i primi a parlare in maniera approfondita

I l p e n s a to r e te d e s c o Fr i e d r i c h
Nietzsche aveva una visione mol-
to particolare (e controversa) delle
e “filosofica” dell’amicizia c’è sicuramente
Aristotele. L’amicizia, dice lo Stagirita, è uno
dei motivi per i quali vale la pena vivere,
modalità che regolano i rappor ti giacché «nessuno sceglierebbe di vivere una
tra gli individui. Così, lungi dal con- vita senza amici anche se avesse tutti gli altri
siderare la compassione e la bontà beni», ed elenca tre possibili tipi di amicizia:
come virtù lodevoli, nel suo Genealo- quella utilitaristica, quella di piacere e quella
gia della morale afferma che a causa virtuosa. La prima è un tipo di rapporto
dell’invidia nei confronti degli eroi interessato, coltivato perché offre un vantaggio
e dei potenti, i deboli e gli schiavi pratico, mentre la seconda dà una gratificazione
cominciarono a elogiare la gentilez- immediata, diremmo edonistica: si tratta di
za e la generosità come qualità sociali situazioni comuni, che Aristotele attribuisce
superiori, a discapito dei valori aristo- nel primo caso soprattutto ai vecchi (che hanno
cratici della forza e della volontà. bisogno di aiuto) e nel secondo ai giovani (che
Un cinico cambio di prospettiva che,

« Chi non è in grado di entrare nella


nella visione eroica e “superomistica”
del pensatore, avrebbe fatto compiere
all’umanità un terribile balzo all’indietro.

comunità o per la sua autosufficienza


non ne sente il bisogno, non è parte
dello Stato, e di conseguenza
è o una bestia o un dio.»
ARISTOTELE

ricercano prima di tutto il piacere). Il terzo tipo


è il più duraturo, perché si fonda sul bene. Si
tratta però, come abbiamo anche oggi modo di
sperimentare, di un genere di amicizia molto raro.
UN SEGNO Ed è proprio a questo tipo di amicizia
DI SICURA CIVILTÀ aristotelica che pensa Cicerone nel suo De
La società civile amicitia, opera in cui descrive l’amicizia
ha spesso sviluppato disinteressata come «ciò che è più adatto alla
un’attitudine protettiva vita dell’uomo, sia nella buona, sia nella cattiva
nei confronti dei più sorte». Un sentimento che, trasposto nella sfera
deboli. Per Nietzsche pubblica, diventa una nobile virtù, dalla quale
si tratta di un errore scaturisce una concordia civile che permette
rovinoso, eppure nella allo Stato di prosperare e di superare i momenti
Storia non mancano di crisi. È facile scorgere in questa visione la
sublimi esempi di carità derivazione dallo stoicismo greco e allo stesso
praticata proprio da tempo il suo riverbero sul pensiero cristiano, in
nobili e potenti, come cui gli uomini, in quanto figli di Dio, devono
nel caso di Elisabetta considerarsi tutti fratelli. Per quanto riguarda
d’Ungheria, langravia le regole dei rapporti tra gli uomini, la filosofia
di Turingia e venerata cristiana si rifà naturalmente agli insegnamenti
come santa, qui biblici, che sono ancora oggi alla base di molti
raffigurata da Edmund dei nostri paradigmi comportamentali: primo
Blair Leighton mentre fra tutti, amare il prossimo come se stessi. Non
distribuisce pane a caso, san Tommaso indica tale precetto come
ai diseredati. il più alto condiviso dagli uomini, nonché ”

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Servo e padrone,
una ruota che gira
P er spiegare la necessità dell’uomo di
stabilire una relazione con il prossi-
mo, Hegel propone il celebre esempio
del rapporto tra servo e padrone. Il primo
è tale perché a un certo punto ha avuto
“paura della morte” e si è sottomesso al
primo, che invece l’ha vinta. Tuttavia, con
l’andare del tempo, il servo acquista sem-
pre maggiore potere, perché attraverso
il lavoro al servizio del padrone impara a
vincere i suoi impulsi (la fase del “servi-
zio”) e infine a cedere i frutti del proprio
lavoro. Il padrone, dal canto suo, adesso
dipende dal servo, che invece ha impara-
to a essere indipendente.
Questa trasformazione si realizza attra-
verso il lavoro, ma può verificarsi solo se ci
sono sia il servo, sia il padrone: è grazie
alla loro relazione dialettica
che entrambi possono
raggiungere l’auto-
coscienza di sé, il
riconoscimento del
proprio ruolo.

«Stare al mondo significa stare


fra gli esseri umani, vivere,
nel bene e nel male,
in società con gli altri.»
FERNANDO SAVATER

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Possiamo creare una società giusta e pacifica?
I DIVERSI RUOLI immediatamente evidente alla ragione. Si tratta,
NELLA SOCIETÀ secondo l’Aquinate, di una legge naturale, che
La filosofia si è occupata altro non è se non emanazione di quella divina.
spesso del divario fra i
ceti sociali, che in alcune L’altro è necessario?
epoche era assai marcato, Del medesimo avviso si dimostra anche
come dimostra questo il grande illuminista tedesco Immanuel
dipinto secentesco Kant, che nella Critica della ragion pratica
di Charles Le Brun. Sotto, raccomanda: «Agisci in modo da trattare
il filosofo Martin Buber. l’umanità, che si tratti della tua o di quella altrui,

« Lo Stato è la realizzazione
della libertà, ossia del fine ultimo
assoluto. Esso esiste come fine in sé.»
GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL

sempre come se fosse il fine e mai il mezzo».


Se Aristotele dice che una vita senza amici
non vale la pena di essere vissuta, Hegel va oltre,
affermando che è solo dal rapporto con l’altro,
quindi nell’ambito della società, che un individuo
può perseguire i propri scopi e sviluppare le
proprie potenzialità. Nella Fenomenologia dello
spirito, il filosofo idealista tedesco spiega il
concetto con l’esempio del rapporto tra servo
e signore, nel quale si dimostra che l’uno ha
bisogno dell’altro per sviluppare un’autocoscienza
intesa come confronto politico e sociale. Tale
visione viene ulteriormente approfondita da
Auguste Comte (1798-1857), che considera la
società come un organismo vivente, composto
dalle singole “cellule” (gli individui) che si
uniscono a formare strutture.
La necessità del rapporto con l’altro è
alla base anche del pensiero sociale
del filosofo cattolico tedesco
Dietrich von Hildebrand (1889-
1977) e di quello ebreo austriaco
Martin Buber (1878-1965),
entrambi convinti che solo
nel rapporto interpersonale
l’individuo possa realizzarsi
pienamente: prima come
singola persona, quindi
nella relazione con un altro
individuo (“Io-Tu”) e infine in
quella con la società (“Noi”).
Sia Hildebrand che Buber sono
filosofi contemporanei, ma le
loro conclusioni richiamano
molto da vicino quelle
aristoteliche: per molti, si
tratta di una conferma storica
della loro validità.
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com’è nato

«C
i sono più cose in cielo e in
È una delle prime domande terra, Orazio, di quante ne possa
sognare la tua filosofia.» Sono
metafisiche che l’uomo, sia come trascorsi più di cinque secoli da
quando Shakespeare ha fatto pronunciare al suo
specie che come individuo, si pone: Amleto questa celebre frase, e certo la scienza
ha svelato molti dei misteri che avvolgono
qual è l’origine dell’immenso l’universo che ci circonda, ma tali parole
suonano ancora decisamente vere e attuali. E
cosmo che ci circonda? tra tutte le domande rimaste inevase, quella
dell’origine dell’universo resta una delle più
ardue e significative, perché non scaturisce solo
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Com’è nato l'universo?

l'universo ?

da una curiosità scientifica e intellettuale, ma a una serie di quesiti che ancora oggi, prima o DA SEMPRE
coinvolge anche l’ambito religioso, arrivando poi, ognuno di noi finisce per porsi: come si è E PER SEMPRE
a mettere in discussione il significato stesso originato l’universo? È sempre stato e sempre sarà, Se «nulla si crea e nulla
della nostra esistenza. Non è certo un caso che oppure ha avuto un principio e avrà una fine? E si distrugge», come
dall’inizio della sua storia intellettuale l’uomo soprattutto: ha un senso, uno scopo finale? recita il principio di
abbia tentato di darsi una risposta, prima in conservazione della
forma poetica, chiamando in causa divinità Il principio fondamentale materia, allora bisogna
superne più o meno antropomorfe, quindi Immaginiamo di non conoscere nessuna supporre che l’universo
cercando le risposte nell’osservazione della realtà delle teorie e delle evidenze scientifiche oggi a esista da sempre
fisica che lo circondava. La cosmogonia nasce disposizione, e di poter fare affidamento solo sulle e sia eterno.
dunque contemporaneamente alla filosofia, la nostre osservazioni dirette: quale spiegazione
quale fin da subito è stata chiamata a rispondere potremmo dare allora all’esistenza dell’universo? È ”
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« Alcuni uomini pii esclamano:
“ All’inizio, vi era Dio”,
ma io invece dico:
“ All’inizio, vi era l’idrogeno”.»
HARLOW SHAPLEY

la situazione in cui si sono trovati i primi pensatori L’UOMO in forma liquida e, quando questa evaporava,
(i presocratici, vissuti fra il VII e il V secolo a.C.), È “NECESSARIO” rimanevano i solidi. Anassimene proponeva l’aria,
che si sono concentrati sull’individuazione di Nella Bibbia, Dio prepara mentre Empedocle coinvolgeva tutti e quattro gli
un principio fisico a partire dal quale il mondo l’universo per ospitare elementi (acqua, aria, fuoco e terra).
materiale avrebbe preso forma e vita. Il primo ad l’uomo: Michelangelo L’esistenza di uno o più principi, però, non basta a
avanzare una congettura sull’origine dell’universo immortala questa visione spiegare la realtà, la sua struttura, le sue leggi. Come
fu Talete, che la individuò nell’acqua: dal nella Cappella Sistina Aristotele ha illustrato chiaramente nella Metafisica,
momento che ciò di cui tutti gli esseri viventi si (sopra). Oggi, il principio occorre individuare anche un agente che provochi
nutrono è umido, ragionava, allora tutto deve antropico afferma che il mutamento di tali principi e ne determini le
provenire dall’acqua, e all’acqua ritornare. Eraclito, l’universo dev’essere trasformazioni e il movimento, mettendoli in
invece, chiamava in causa il fuoco: aveva notato strutturato per permettere relazione tra loro. La soluzione più immediata è
che da esso scaturivano i gas che si condensavano l’esistenza dell’uomo. quella di invocare l’azione di un ente esterno, un
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Com’è nato l'universo?
principio superiore (un dio), oppure una coppia, in
quest’ultimo caso per spiegare l’apparente dualismo
che spesso sembra regnare in natura: quello più
immediato, naturalmente, è tra Bene e Male.
Secondo la concezione aristotelica, questi primi
filosofi avevano indagato solo la “causa materiale”
(la materia che costituisce l’universo) e la “causa
efficiente” (chi o che cosa ordina e governa tale
materia). Ammesso e non concesso che una di queste
teorie risultasse valida, si rivelerebbe comunque
lacunosa, perché non spiegherebbe come i principi
e ciò che deriva dalla loro interazione interagiscono
tra loro (la “causa formale”, vale a dire le leggi),
né perché si verifica tutto ciò (la “causa finale”).
Anche gli atomisti si erano concentrati sull’aspetto
materiale: per loro, alla base della realtà fisica ci
sono, appunto, gli atomi, corpuscoli microscopici di
varia forma che si possono unire in diversa misura
per formare composti che costituiranno i corpi
fisici. Un’intuizione decisamente “moderna” (siamo
nel V secolo a.C.) ma che si limita a indagare la
causa materiale, senza riuscire ad accontentare le
menti più curiose, che infatti, fin dai tempi antichi,
hanno cominciato a indagare anche le leggi che
regolano il mondo, quelle formali, nella speranza di
comprenderne il funzionamento più intimo.

Ciò che esiste è razionale


Nel VI secolo a.C., i pitagorici avevano già
elaborato una teoria cosmologica complessa,
secondo la quale al centro del cosmo si trovava
il fuoco, attorno a cui i pianeti descrivevano
orbite concentriche. In particolare, ercavano di
individuare le leggi in grado di spiegare le evidenze
che si possono ravvisare nella realtà. A partire dalla
scoperta del rapporto esistente tra la lunghezza
delle corde di una lira e le note da essa prodotte,
avanzarono l’ipotesi che le differenze qualitative
con cui si manifestano i vari fenomeni siano
Il principio antropico: noi e il cosmo dovute a differenze numeriche. Musica e universo

A nche se non possediamo ancora


le risposte a tutti i suoi miste-
ri, forse l’universo potrebbe essere
possedere solo le proprietà che
permettano, a un certo punto del-
la sua storia, l’esistenza di esseri
sarebbero dunque in intima connessione, al punto
da ipotizzare una “musica universale” prodotta dai
movimenti dei corpi celesti, inaudibile alle nostre
così com’è proprio per permetterci che possano osservarlo. Il principio orecchie ma rispondente a rigide regole armoniche.
di comprenderlo. È la conclusione è derivato dall’analisi delle quattro Studiando i rapporti matematico-musicali, dunque,
a cui approdiamo se abbracciamo costanti riferite alle quattro forze sarebbe possibile comprendere le leggi che regolano
il cosiddetto “principio antropico”. fondamentali: gravitazionale, elet- i moti e il comportamento delle sfere all’interno di
Espresso in maniera compiuta tromagnetica, nucleare debole e cui ogni corpo celeste (compreso il Sole) si muove,
nel 1974 dal fisico australiano Bran- nucleare forte. Tali costanti pos- derivando così la causa formale. La relazione musica-
don Carter, quando viene espresso sono assumere valori compresi tra moto dei pianeti venne accolta da Platone e più
nella sua forma “debole” tale intervalli numerici molto limitati, gli tardi da Tolomeo, per poi passare nella cosmologia
assunto afferma che i valori che unici che permettono lo sviluppo cristiana, mediata dalle personalità di sant’Agostino
possono assumere alcuni parame- delle condizioni fisiche e chimiche e Boezio, e che molti di noi conoscono per la
tri fisici propri dell’universo devono adatte allo sviluppo della vita. descrizione che ne fa Dante nella Commedia, dove
essere tali da risultare compatibi- Nella sua formulazione “forte”, il in più parti viene poeticamente introdotta una legge
li con l’esistenza di esseri capaci di principio antropico implica quindi superiore, quella di Amore, che crea negli astri un
osservare l’universo stesso. Nella il legame necessario tra l’esisten- desiderio che ne provoca il movimento. L’ipotesi
sua forma “forte”, invece, il prin- za dell’universo e quella del suo della musica delle sfere arrivò fino al Rinascimento:
cipio dichiara che l’universo deve osservatore: l’uomo. anche Keplero concepiva un universo strutturato
come un insieme di sfere concentriche nel quale ”

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C’è un perché
se il cielo è buio « Non potete neanche immaginare quanto sia divertente capire 
come funziona una stella. E il bello è che tutte queste cose 
S e l’universo è davvero così gran-
de e popolato di stelle, perché
il cielo not turno è buio? Questa
si possono studiare anche senza lasciarsi divorare dalle solite 
domanda ha tormentato un astro- eterne domande intrise di presunzione:
nomo del calibro di Keplero, e anche
il suo collega tedesco del XVIII seco- Chi siamo noi?
lo Wilhelm Mat thias Olbers l’ha
Da dove veniamo?
espressa nel suo celebre parados-
so. Se consideriamo un firmamento Qual è il senso della nostra vita?
pieno di stelle disposte in modo
statisticamente uniforme, fissando Che cosa ci aspetta dopo la morte?» 
un punto prima o poi dovremmo MARGHERITA HACK

incontrare la luce di una di esse.


In teoria, quindi, il cielo dovrebbe
essere completamente illuminato, e
un universo infinito dovrebbe esse-
re infinitamente illuminato.
Il dubbio di Olbers, ai suoi tempi,
era più che legittimo: solo un secolo e
mezzo più tardi, infatti, si sarebbe sco-
perto che l’universo è in espansione,
cosicché la velocità di allontanamento
delle stelle rispetto a noi è tanto mag-
giore quanto più sono lontane. E, a
causa dell’effetto Doppler, la luce che
emettono ha una frequenza che ricade
nella porzione dello spettro corrispon-
dente a quella delle microonde, non
percepibile dall’occhio umano.
La luce, quindi, c’è, ma non si vede.

SCIENZIA forme, armonie e musica, creata dai movimenti Terra come il fulcro del sistema (geocentrismo):
E TEOLOGIA planetari, erano in stretta correlazione. accettando l’idea dei moti terrestri di rotazione e
Johannes von Kepler, L’idea di un mondo conoscibile nelle sue rivoluzione, diventava possibile ridurre il numero
conosciuto come Keplero dinamiche attraverso l’indagine razionale è stata di sfere necessarie a spiegare i fenomeni e, di
(nel ritratto della pagina a decisiva nello sviluppo della fisica e della cosmologia, conseguenza, semplificare l’intera impalcatura
fronte), ha elaborato e a pensarci bene è il motivo per cui ha senso porsi teorica. Copernico (1473-1543) non rinunciava
tre leggi dell’astronomia domande sulla sua forma, il suo inizio, la sua fine. quindi all’impianto idealistico, ma si affidava alla
che descrivono il La ricerca delle cause formali, infatti, non mette ragione, alla geometria e al calcolo per sostenere
comportamento immediatamente in discussione l’esistenza e la un certo modello oppure per correggere ciò che
dei pianeti, senza definizione di una causa efficiente e di una finale. risultava in contrasto con le evidenze.
mettere in dubbio In effetti, il campo dell’indagine scientifica è Allo stesso modo, Keplero (1571-1630) modificò
l’esistenza di Dio. proprio quello delle cause formali, ma con il suo le orbite da circolari (perfette) a ellittiche e definì
progresso e sviluppo è destinato a influenzare in variabile la velocità dei corpi celesti; Galileo
modo determinante anche gli altri ambiti, primo Galilei (1564-1642), invece, con il suo metodo
fra tutti quello filosofico. La famosa “rivoluzione scientifico che muoveva dall’osservazione verso
copernicana” del XVI secolo, per esempio, scaturì la formulazione dell’ipotesi e la ricerca della sua
proprio all’interno di una visione cosmologica conferma, pose in primo piano la ricerca delle cause
che prevedeva l’esistenza delle sfere celesti. formali considerate come l’oggetto della scienza, e
Infatti, osservava l’astronomo polacco, i moti dei la matematica come la lingua in cui è scritto il libro
corpi celesti e degli astri erano più facilmente della natura: «I suoi caratteri sono triangoli, cerchi
spiegabili ipotizzando che la Terra e gli altri e altre figure geometriche senza le quali l’uomo non
pianeti ruotassero intorno al Sole (eliocentrismo) può capire una sola parola di esso».
piuttosto che continuando a considerare la L’universo, dunque, può essere conosciuto e le sue
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Com’è nato l'universo?

Il cosmo
e i suoi limiti
L’ universo si espande
illimitatamente oppu-
re, per quanto immenso,
ha una dimensione fini-
t a? E in q u e s to c a s o,
che cosa c’è oltre i suoi
confini? Domande affa-
scinanti e quasi inevitabili,
ma destinate a scontrar-
si con un limite fisico che
non ci permette di cerca-
re una prova diretta.
Se infatti accettiamo l’i-
dea di un universo che ha
avuto origine nel tempo e
consideriamo che la velo-
cità della luce ha un valore
finito (circa 300.000 km/
sec), dobbiamo anche ras-
segnarci al fatto che non
potremo mai spingerci a
osservare le galassie più
lontane, per il semplice
fatto che la loro luce, per
raggiungerci, impieghe-
rebbe un tempo superiore
all’età dell’universo stesso.
I confini dell’universo,
dunque, sono anche i limi-
ti della nostra conoscenza.

leggi comprese grazie all’indagine razionale. Isaac


Newton (1642-1727), con il suo Philosophiae
Naturalis Principia Mathematica, pubblicato nel
1687, applicò con successo l’analisi delle forze allo
studio dei moti celesti. Lo scienziato inglese, che
era credente, considerava le forze fisiche (prima
fra tutte la gravità) come un’emanazione divina,
che rappresenterebbe la causa efficiente in grado
di garantire il funzionamento dell’intero sistema:
Dio, insomma, avrebbe creato l’universo come una
macchina perfetta, che una volta messa in moto
non ha più bisogno del Suo intervento. La visione
deterministica newtoniana, portata alle estreme
conseguenze, delinea un mondo regolato da leggi
rigorose e ineludibili in tutte le sue componenti,
anche le più microscopiche, dove tutto è
teoricamente predeterminato.
A partire dal Settecento, sarà la scienza a
occuparsi in misura sempre maggiore dello studio
delle forme e delle leggi dell’universo, mentre la
filosofia, invece di stabilirne gli ambiti e i limiti, si
ritroverà spesso a riflettere sulle sue scoperte. Gli
ambiti in cui essa ha invece ancora competenza ”
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« Secondo molte culture, Dio o gli Dèi crearono il cosmo
dal nulla. Allora, però, dobbiamo chiederci: e Dio,
da dove è venuto? Se stabiliamo che la domanda
è senza risposta, perché non risparmiarci un passaggio
e dire che è l’universo a essere senza risposta?»
CARL SAGAN

sono quelli in cui la scienza si dichiara DOMANDE continuando a convivere, hanno smesso di
“incompetente”, perché non può applicare il SENZA RISPOSTA coincidere, è diventato inevitabile interrogarsi
proprio metodo. Rimangono dunque ancora da Il nostro desiderio di criticamente sul motivo per cui il mondo esiste.
individuare la causa efficiente e la causa finale. penetrare i misteri Ragionano in questi termini due filosofi tedeschi,
dell’universo è destinato il primo del Settecento e il secondo del Novecento:
Perché esiste l’universo a scontrarsi con i Gottfried Wilhelm Leibniz si chiedeva: «Perché vi è
Secondo una visione religiosa del mondo, limiti invalicabili della qualcosa piuttosto che nulla?»; e Martin Heidegger
certamente predominante nei tempi antichi e scienza. Dunque, come si poneva questo interrogativo: «Perché vi è l’essente
in epoca medievale, l’esistenza dell’universo era suggerisce l’astronomo e non il nulla?». I due quesiti, apparentemente
giustificata dall’atto creativo volontario degli dei Carl Sagan (sopra), non molto simili tra loro, nascondono in realtà una
prima e di un Dio unico creatore poi. Quando c’è altro da fare che differenza importante: dicendo “qualcosa”, Leibniz
però l’ambito teologico e quello filosofico, pur riconoscerli e accettarli. indica l’esistenza delle “cose”, degli enti fisici
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Com’è nato l'universo?

Anche la scienza ha un limite


Q uando ci si interroga sull’ori-
gine dell’universo, spesso a
scontrarsi sono due visioni per mol-
alle continue scoperte in tutti i settori
della scienza, i sostenitori dell’ap-
proccio ateistico ritengono che sia
ti versi inconciliabili: nella prima, solo questione di tempo perché si
di tipo “fideistico”, alla base della arrivi a una dimostrazione inoppu-
nascita di tutto ci sarebbe un atto gnabile della “verità”.
creativo da parte di una forza o di un La stessa scienza moderna, però,
ente che si deve trovare necessaria- ammette di dover accettare alcu-
mente al di sopra della realtà fisica; ni limiti intrinseci, individuati da
la seconda, detta “ateisti- diversi studiosi: il principio di inde-
ca”, pretende invece di terminazione di Werner Heisenberg
spiegare l’esistenza (1901-1976, nella foto) denuncia i limi-
della materia, del- ti della conoscenza contemporanea
le sue leggi e dei di tutte le proprietà di una parti-
fenomeni natu- cella; il teorema di incompletezza
rali in termini di Kurt Gödel (1906-1978), da par-
esclusivamen- te sua, dimostra che all’interno di
te scientifici, qualunque teoria matematica esi-
negando ogni ste almeno un enunciato che non
intervento può essere dimostrato o confutato.
metafisico. Gra- Nel caso dell’indagine sull’origine
zie agli enormi dell’universo, accettando l’ipotesi del
progressi e Big Bang, le attuali teorie si possono
applicare solo a partire dal momento
successivo a quella che viene chia-
mata l’era di Planck, cioè l’intervallo
di tempo compreso tra l’”istante
zero” della storia universale e i
10 -43 secondi successivi: un perio-
do di durata infinitesima, in cui i
valori delle forze fondamenta-
li dovevano tendere all’infinito
e le distanze tra le particel-
le essere inferiori a quello
che nella meccanica quan-
tistica viene considerato il
limite minimo (la lunghez-
za di Planck). Al di sotto
di questo limite, le teorie
scientifiche perdono il loro
valore predittivo e non pos-
sono più offrire alcuna base
per una risposta definitiva.

singoli, mentre l’“essente”


invocato da Heidegger può essere
inteso come un principio generale.
Da un punto di vista cosmologico,
quindi, possiamo considerare la prima come la
domanda più pertinente e di maggiore interesse.
La risposta che lo stesso Leibniz fornisce chiama
in causa il famoso “principio di ragion sufficiente”,
secondo il quale se qualcosa esiste è perché c’è una
ragione per la sua esistenza, anche se noi non la
vediamo. Potrebbe apparirci come una soluzione
insoddisfacente, una banale “tautologia” (di fatto, ”
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Il cosmo è nato o è sempre esistito?
I l modello cosmologico attualmente accettato prevede un inizio nel
tempo: la singolarità nota come Big Bang. L’espressione, parados-
salmente, è stata coniata dall’astronomo inglese Fred Hoyle, convinto
sostenitore dell’ipotesi dell’universo stazionario, secondo la quale esso
non avrebbe avuto un inizio e, di conseguenza, nemmeno una fine.
Questa concezione, dal sapore aristotelico, fu elaborata inizialmente
da Gold e Bondi, due studiosi di Oxford che nella prima metà del XX
secolo proposero un modello in cui le proprietà dell’universo (come
il suo ritmo di espansione e di formazione delle galassie e dei corpi
celesti) sarebbero rimaste sempre costanti, a parte qualche fluttuazio-
ne statistica. Il concetto che l’universo potesse essere costante in tutti
i suoi punti era stato suggerito da Einstein e definito da Milne “princi-
pio cosmologico”, ma solo Gold e Bondi lo avevano esteso al tempo,
trasformandolo in un “principio cosmologico perfetto”.
Inevitabilmente, la teoria si scontrò con le crescenti evidenze di un
universo in espansione infinita, come quello proposto dalle teorie di
Friedman e Lamaître, dove a un passato in cui densità e temperature ave-
vano raggiunto valori altissimi si contrapponeva la previsione di un futuro
nel quale, contestualmente a un rallentamento del tasso di espansione, il
graduale raffreddamento avrebbe portato a un’inevitabile “morte termi-
ca” oppure a un immane collasso, il cosiddetto “Big Crunch”. Per salvare
la loro idea, Gold e Bondi introdussero l’ipotesi di una creazione infinita
di materia che compensasse la diminuzione di densità causata dall’espan-
sione (si tratterebbe di una quantità davvero minima, calcolata nell’ordine
di un atomo per metro cubo ogni dieci miliardi di anni).
Come sappiamo, la comunità scientifica ha adottato il modello del-
la singolarità iniziale, ma recentemente Ahmed Farag Ali e Saurya Das,
sviluppando un’idea proposta negli anni Cinquanta dal fisico americano
David Bohm, hanno avanzato la proposta di una teoria in base alla quale
non sono previsti né un inizio, né una fine dell’universo.

L’ETERNO RITORNO Leibniz dice che nulla può esistere senza una
DEL CREATO ragione, anche se noi non la conosciamo), ma in
Una delle teorie oggi allo realtà, portata alle sue conseguenze, essa permette
studio dei fisici è quella anche di “spiegare” perché il nostro mondo è così
dell’universo ciclico, che e non altrimenti: evidentemente, deve essere il
prevede il succedersi di migliore dei mondi possibili. Una conclusione che,
eventi singolari come il espressa in questi termini, oggi pochi sarebbero
Big Bang, da cui ha avuto disposti a sottoscrivere, ma che potrebbe risultare
origine il nostro cosmo. più accettabile se presentata nella sua forma
“rovesciata”, cioè dicendo che il nostro universo
è il “meno peggio” di quelli possibili, dove Dio
(la causa nascosta, secondo Leibniz) ha inserito la
minor quantità di male. Esso, infatti, non potrebbe
essere perfetto, altrimenti coinciderebbe con Dio,
che è l’essere perfetto per definizione.
Sia che si abbia una visione religiosa del mondo,
sia che ci si affidi rigorosamente alla scienza,
dobbiamo comunque scegliere tra due possibilità:
o l’universo è stato creato, quindi ha avuto un
inizio e avrà una fine; oppure è sempre esistito
e sempre esisterà. Per risolvere la questione,
Aristotele si affidava alla logica: dal momento che
«dal nulla non può nascere nulla», non è possibile
pensare a un “niente” che preceda la materia,
così come è inconcepibile passare dalla materia al
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Com’è nato l'universo?
«Invocare Dio come la risposta nulla. Eppure, lo stesso Aristotele ammette che la
domanda più profonda che un uomo possa porsi è
alla domanda sull’origine proprio quella sull’origine dell’universo.
La visione cristiana e, più in generale,
“creazionista” presuppone invece una creazione ex
delle leggi dell’universo nihilo (dal nulla): un’ipotesi che contraddice uno
dei fondamenti della fisica classica, enunciato dallo

equivale a sostituire
scienziato francese Antoine Lavoisier (1743-1794),
secondo il quale «nulla si crea e nulla si distrugge,
ma tutto si trasforma». Una legge che sembra

a un mistero un altro mistero.»


trovare rigorosa conferma in ogni ambito del
mondo fisico, facendocela quindi accettare come


vera, ma che dobbiamo contraddire se vogliamo
STEPHEN HAWKING contemplare l’idea di un universo creato, appunto,
dal nulla. Per chi accetta l’intervento divino si
tratta di un ostacolo superabile tramite un atto di
fede, assumendo che Dio è al di sopra delle leggi
naturali e quindi può, con un atto di volontà, creare
la materia, definendo le leggi che ne regoleranno
il comportamento da quel momento in poi: Per
chi invece non accetta la premessa teologica, il
problema appare decisamente più complesso.

Le origini del tutto


È la scienza, questa volta, a venirci in parziale
soccorso, attraverso il modello della “singolarità
iniziale”: il celebre Big Bang, secondo il quale
l’attuale universo avrebbe avuto origine a
partire da uno stato in cui densità, temperatura
e curvatura tendono all’infinito. Ebbene, tale
singolarità rappresenterebbe il momento iniziale
dell’espansione cosmologica, a partire dal quale
possiamo applicare le nostre osservazioni e le
leggi della fisica da esse derivate. Tutto ciò che è
accaduto prima (se qualcosa è accaduto e se ha
senso parlare di un “prima”…) sfugge all’indagine
scientifica e potrebbe contemplare uno scenario
in cui la legge di Lavoisier non è valida. Come già
detto, gli eventi precedenti al Big Bang non sono
indagabili scientificamente, e a tutt’oggi esistono
diverse congetture in proposito: secondo una delle
più recenti, potremmo trovarci in un universo
ciclico, dove le singolarità si succedono e ciascuna
rappresenta l’inizio di un nuovo ciclo o “eone”, come
lo ha battezzato il fisico di Oxford Roger Penrose.
In questo caso, il nostro sarebbe solo uno di
una serie teoricamente infinita di universi, nato da
uno dei teoricamente infiniti Big Bang e destinato
prima o poi a contrarsi, per dare luogo, a sua
volta, a un nuovo Big Bang, a un nuovo inizio.
Se anche una simile ipotesi venisse verificata,
non per questo dovremmo smettere di porci
domande: sull’origine della materia che continua
ad addensarsi, diffondersi e poi nuovamente
addensarsi durante la successione dei cicli; sulla
possibile esistenza di un “primo universo”;
oppure, infine, sulla sua causa generatrice. A
proposito di questo tema grandioso e affascinante,
dunque, bisogna concludere che né la filosofia né
la scienza hanno ancora detto l’ultima parola.
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Qual è il mio posto nella natura?

Qual è
il mio posto
natura ?
nella

Q
Grazie alle loro uando pensiamo alla natura,
la nostra mente corre subito ai
capacità intellettuali, problemi che oggi minacciano
la sua conservazione, che la
gli esseri umani scienza è quasi unanime nell’attribuire in
parte alle attività umane. Diventa dunque
hanno la possibilità sempre più importante cercare di capire
qual è la maniera corretta di rapportarsi con
di dominare il mondo, l’ambiente, non solo come specie, ma anche
come individui. Per questo, oltre a renderci
ma anche la responsabilità conto dell’impatto dei nostri comportamenti
sul mondo, dovremmo soprattutto cercare
della sua gestione di capire qual è il nostro posto nel mondo
naturale. Ed è stata proprio questa la prima
preoccupazione dei filosofi greci.

L’uomo fa parte del tutto


Gli antichi consideravano l’uomo un
animale molto particolare: non esitavano
a individuare una continuità fisica con il
regno degli animali, ma al tempo stesso
interpretavano le sue capacità razionali una
caratteristica distintiva tale da porlo anche
su un altro piano. Occorre prima di tutto
precisare che per i Greci la natura (physis)
comprendeva tutto quello che è soggetto
a nascita, crescita e morte. La natura,
quindi, coincideva con l’insieme degli
esseri viventi, vcome ci viene confermata da
Aristotele (384-322 a.C.), il quale definiva ”
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Qual è il mio posto nella natura?
la natura come «principio di movimento e UN RAPPORTO livello non fa che realizzare le potenzialità di
di cambiamento». Questa prospettiva può COMPLICATO sviluppo contenute in quello precedente: così,
sembrarci limitata, perché non tiene conto La relazione tra uomo cibandosi di vegetali, l’erbivoro trasforma la
dell’oggetto di altre scienze naturali come per e natura ha subito una potenza contenuta in questi in atto, cosi come
esempio la geologia (le rocce non si adattano drammatica evoluzione la sua potenza diventerà atto nel momento in
alla definizione aristotelica di natura), ma negli ultimi due secoli, con cui verrà mangiato da un carnivoro. Data la sua
risulta anche oggi funzionale quando si tratta l’avvento della Rivoluzione posizione apicale, l’uomo rappresenta dunque
di stabilire una relazione tra l’essere umano e industriale. In Occidente, la realizzazione ultima della potenzialità del
gli altri esseri viventi, che in fondo è l’approccio le nuove generazioni mondo naturale. A tale posizione corrisponde
dal quale scaturiscono le riflessioni più mostrano grande una natura particolare, diversa da quella degli
importanti e significative sulla realtà esterna sensibilità per i problemi altri animali, che a sua volta sottintende una
(appunto, la natura), è quella interiore. Da dell’ambiente, ma scarsa funzione esclusiva, ossia la capacità di pensare
questo punto di vista, risulta ancora più utile esperienza diretta del e di poter gestire il proprio comportamento
l’approccio dei sofisti, che distinguevano come mondo naturale, talvolta secondo ragione. Del resto, la dottrina
non naturale ciò che deriva dalle convenzioni conosciuto soltanto dell’anima tripartita del maestro di Aristotele,
stabilite dagli uomini. Da qui, possiamo attraverso i prodotti Platone, permetteva di collegare questa tesi
desumere l’esistenza di uno “stato di natura” del supermercato. all’interno di una visione che collegava il
opposto a quello umano, due ordini diversi Nelle pagine precedenti, mondo naturale, al quale l’uomo partecipa con i
che si incontrano proprio nell’essere umano, il il Peccato originale di livelli inferiori dell’anima (quello concupiscente
quale, secondo l’ordine aristotelico del mondo, Pieter Paul Rubens (1617). e quello irascibile) a quello ideale, raggiungibile
si ritrova al vertice di una gerarchia dove ogni soltanto dalla terza parte, ossia l’intelletto.

Vegetariani per scelta


(filosofica)
L a scelta di rinunciare alla carne per
motivi etici non è affatto una tenden-
za moderna: fin dall’inizio della storia
del pensiero, infatti, troviamo illustri
precedenti: a partire da Pitagora, il qua-
le riteneva che cibarsi di carne renda gli
uomini più inclini all’uccisione dei pro-
pri simili. È il poeta Ovidio (43 a.C. - 17
d.C.) a raccontarcelo nelle Metamorfo-
si, in cui dichiara di trovare delittuoso
«cacciare visceri dentro i nostri visceri,
ingrassare il nostro corpo ingordo sti-
pandovi dentro un altro corpo, vivere
della morte di un altro essere vivente».
Albert Einstein (1879-1955) mette inve-
ce in evidenza soprattutto gli aspetti
positivi della dieta vegetariana, affer-
mando che essa avrebbe «un’influenza
decisamente benefica sull’umanità
intera», anche solo considerando gli
effetti fisici sul temperamento umano.
Del resto, anche Ippocrate (460-377
a.C.), il padre della medicina, si nutri-
va esclusivamente di vegetali.

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« Le forze della natura agiscono
L’idea dell’uomo come vertice della creazione
si adatta perfettamente alla visione religiosa con
la quale siamo abituati a confrontarci: se infatti secondo un’armonia segreta
che l’uomo ha il compito
abbiamo una minima familiarità con la Bibbia,
conosciamo bene il racconto della Genesi e
l’interpretazione che ne è stata data e dunque

di scoprire per il suo stesso bene


non possiamo stupirci se nel corso dei secoli il
pensiero occidentale, forgiato in gran parte su una
tradizione religiosa cristiana, non ha mai messo in

e per la gloria di Dio.»


dubbio tale prospettiva, semmai esaltandola.

Come relazionarsi con la natura


Se siamo i padroni della natura, però, siamo GREGOR MENDEL
di fronte a una scelta: possiamo considerarla
nostra serva e sfruttarla nella maniera a noi L’ANIMALE ci troviamo nelle condizioni di disporne
più congeniale, oppure cercare di comportarci CHE OSSERVA come meglio crediamo. A questo punto,
come “sovrani illuminati”, cercando di stabilire L’uomo è l’unico essere sorge un problema: qualunque cosa vogliamo
un’armonia con il mondo naturale. capace di osservare e farne, in qualunque modo vogliamo porci
Se accettiamo come dato di fatto la nostra comprendere la natura. nei suoi confronti, dobbiamo conoscerne il
posizione di superiorità nei confronti del Sotto, Schopenhauer visto funzionamento, sia per poterne sfruttare i
resto del mondo naturale, ne consegue che da Jules Lunteschütz. meccanismi a nostro vantaggio, sia per poterli ”

Il filosofo e il suo cane


U no dei massimi pensatori del XIX seco-
lo, Arthur Schopenhauer (qui ritratto
nel 1859, un anno prima della morte), ave-
va un grande amore: il suo barboncino
Atma (un nome che in sanscrito signifi-
ca “anima del mondo”). Il suo sentimento
di affetto nei confronti dell’animale era
tale da fargli contemplare un’eccezione
all’idea della realtà come avvolta da un
velo (il “velo di Maya”) che
impedirebbe all’uomo di
vederla e quindi cono-
scerla chiaramente.
Dichiarò infat ti:
«Ciò che mi ren-
de così gradita
la com pag nia
del mio cane è
la sua natura tra-
sparente. Il mio
cane è trasparen-
te come un vetro».
Quando Atma
morì, Schopenhauer
si recò subito a Franco-
forte per comprare un altro
barboncino, spiegando: «Se non
ci fossero i cani, io non vorrei vivere».
Del resto, è proprio a questo burbe-
ro pensatore, teorico del pessimismo,
che si deve una delle più celebri dichia-
razioni d’amore per questi animali: «Chi
non ha mai posseduto un cane, non può
sapere che cosa significhi essere amato».

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mantenere intatti e armonizzare con essi la
nostra esistenza. In questo caso, possiamo
seguire l’interpretazione meccanicistica della
natura che si è affermata soprattutto a partire
dal XVI secolo, sotto la spinta iniziale di
scienziati come Galileo Galilei (1564-1642) e
Isaac Newton (1642-1727).
In particolare, lo sviluppo di correnti di
pensiero come il materialismo di Thomas
Hobbes (1588-1679) e l’empirismo di John
Locke (1632-1704) e David Hume (1711-
1776) portarono a un approccio più concreto
e analitico dello studio della realtà e, di
conseguenza, anche dell’uomo. Così, per
esempio, Hobbes non solo concorda con

« La Natura
dev' essere lo Spirito
visibile, lo Spirito
è Natura invisibile.»
FRIEDRICH SCHELLING

Cartesio nella convinzione che il mondo


materiale possa essere spiegato solo in termini
di movimento, ma pensa addirittura di potere
definire un’etica “naturalistica”, secondo la
quale i moti dell’anima sarebbero causati
dall’interazione fisica tra corpi esterni su nostro
organismo: a seconda che tale contatto favorisca
o meno il movimento del corpo animato,
avremo le diverse reazioni (desiderio o ripulsa,
amore oppure odio, speranza o paura…).
Per Hobbes, insomma, tutto partecipa dei
meccanismi che regolano il funzionamento del
mondo, anche l’uomo e la sua morale. Una tale AL SERVIZIO in termini di opportunità, negando a tutto
visione rende l’uomo molto più vicino al resto DELL’UOMO il resto ogni tipo di rispetto il quale, sempre
del regno naturale, mettendo in secondo piano Kant considerava la secondo Kant, si deve riferire sempre alle
l’idea di una gerarchia verticale. natura un contenitore persone, mai alle cose inanimate. La posizione
La reazione a questa visione e il ripristino di materiale che l’uomo di Kant ricorda quella tenuta oltre un secolo
della posizione di superiorità dell’uomo nei ha il diritto di usare per prima da Ruggero Bacone (1561-1626), il quale
confronti della natura giunge da Immanuel raggiungere i propri scopi, aveva già indicato l’uomo come il padrone
Kant (1724-1804) quando, nella Critica conformemente a quanto della natura e l’unico essere razionale, quindi
della ragion pura, afferma esplicitamente che detto nella Bibbia: dopo il solo a essere soggetto di diritto. l che non
«nell’intera creazione si può utilizzare come il Diluvio (sopra, l’ingresso significa che gli altri enti, come per esempio gli
semplice mezzo tutto ciò che si vuole e di nell’arca in un dipinto animali, non possano godere di alcuni diritti
cui si dispone». Questa rinnovata visione di Bruegel il Vecchio), e qualche tipo di riconoscimento e di tutela,
strumentale della natura nasce dal fatto che tutti gli animali provano come già all’inizio del XIX secolo auspicava
per Kant solo l’essere umano è uno scopo in se timore e soggezione l’inglese Jeremy Bentham; deve però essere
stesso, perché è l’unica creatura razionale. Si nei confronti dell’uomo, sempre l’uomo a riconoscere e disciplinare
tratta di un’affermazione che può facilmente si sentono in suo potere tali iniziative. Una posizione che oggi molti
portare a considerare il mondo naturale e, più e ne diventano il cibo. troverebbero sbagliata, ma che forse potrebbe
in generale, di tutto ciò che non è umano, solo essere rivolta come provocazione nei confronti
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Qual è il mio posto nella natura?

«In tutte le cose della natura di certi eccessi che hanno portato a fenomeni
estremi, come il cosiddetto antropomorfismo

esiste qualcosa di meraviglioso.»


degli animali da compagnia.
In ogni caso, non tutti i filosofi del XVIII
secolo avevano una visione esclusivamente
SOCRATE meccanicistica e utilitaristica del mondo fisico,
e chi ritiene che la natura e l’uomo condividano
più della dimensione naturale scoprirà di avere
una valida sponda nel pensiero del filosofo
idealista tedesco Friedrich Schelling (1775-
1854), il quale infatti vede la natura come
l’incontro a livello organico dello spirito e della
materia: per lui la natura non è semplicemente
un insieme di relazioni causa-effetto, ma
possiede (appunto) anche un carattere
spirituale, che la rende nel suo complesso un
essere vivente a pieno titolo. Molto più tardi,
nel 1979, sarà il chimico britannico James
Lovelock (1919) a riprendere questa visione
“olistica”, con la sua fortunata “ipotesi Gaia”.

Che cosa fare per salvare il mondo


Secondo l'ipotesi Gaia, le varie componenti
della Terra si trovano nelle condizioni di
rendere possibile la vita in virtù della loro
stabilità, che a sua volta è assicurata proprio
dalla presenza e dalle attività metaboliche degli
organismi viventi, che mantengono costanti i
parametri fondamentali come la temperatura,
la composizione atmosferica, il pH e la
concentrazione salina delle acque… In questa
visione, insomma, la Terra agirebbe come un
unico organismo vivente, la cui evoluzione
procederebbe di concerto con quella delle
sue componenti organiche. Nonostante le sue
capacità omeostatiche (quelle che garantiscono
il mantenimento dei parametri all’interno
dei valori compatibili con l’esistenza), Gaia,
cioè la Terra, è sottoposta a uno stress sempre
crescente, dovuto proprio alle attività umane.
Al di là dell’acceso dibattito che riguarda
la portata di tali attività, la gran parte degli
scienziati sono concordi nel ritenere che il
Anche le piante hanno un’anima? cosiddetto fattore antropico stia giocando un

I l primo a postulare l’esistenza di


un livello dell’anima che si esten-
desse anche al mondo delle piante
nima delle piante, del 1848, Fechner
definisce assurda l’idea che Madre
Natura abbia creato un’enorme
ruolo decisivo nell’alterazione degli equilibri
omeostatici, con conseguenze sempre più
gravi e potenzialmente disastrose. al di là delle
fu Aristotele, che infatti definì tale varietà di forme fisiche per poi forni- legislazioni e degli interventi attivi che occorre
livello, il più bas so rinvenibile, re di un’anima solo una parte di esse, mettere in atto per frenare tale deriva, forse è
“vegetativo”. In seguito, anche altri escludendo l’intero regno vegeta- ancora la filosofia a poterci fornire la chiave
filosofi accennarono alla possibili- le. «Le piante non si pongono in un generale per correggere, prima ancora che i
tà che gli esseri vegetali potessero piano inferiore rispetto agli anima- nostri comportamenti, la nostra prospettiva.
essere dotati di una qualche forma li come esseri inanimati» conclude, È sempre Bacone a dire che «per comandare
di coscienza e consapevolezza. «bensì si rapportano a essi come alla natura, occorre ubbidirle», ed è proprio
Fu però lo psicologo tedesco una specie diversa di esseri animati».  obbedendo alle leggi di natura che, secondo
Gustav Theodor Fechner, a metà Dagli anni Sessanta del XX secolo il filosofo polacco contemporaneo Zygmunt
del XIX secolo, ad affrontare l’ar- si sono moltiplicati gli studi sul tema, Bauman, potremo continuare a ottenere «in
gomento in maniera più articolata. alcuni dei quali sembrano conferma- modo regolare e invariabile effetti positivi per il
Nella sua pubblicazione Nanna, o l’a- re, in parte, le intuizioni di Fechner. nostro benessere, impedendo e prevenendo quelli
che invece sono dannosi o non desiderabili».
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?
Che cos’è
il tempo

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Pochi concetti
appaiono semplici
e insieme complicati
come quello di tempo:
ogni volta che crediamo
di averne risolto
uno dei misteri,
la sua natura si fa
ancora più sfuggente

T
utti noi, fin da piccoli, sappiamo che
cos’è il tempo, ma davvero pochi
sono capaci di darne una semplice
definizione. Questo apparente paradosso
è perfettamente riassunto dalla celeberrima frase
di sant’Agostino: «Che cos’è il tempo? Se non me
lo chiedono, lo so, se invece me lo chiedono, non
so rispondere». Il problema non è solo quello di
trovare le parole giuste per descriverlo, quanto
quello di individuare una definizione da cui
partire. Potremmo accontentarci di collegare il
concetto di tempo all’unità di misura con cui
lo esprimiamo, e quindi definirlo come “ciò
che si misura in secondi, minuti od ore”, ma
questa sarebbe solo una descrizione quantitativa,
che non può soddisfarci: il tempo filosofico è
qualcosa di più profondo e “personale”, si tratta
della dimensione in cui la nostra vita procede
dall’inizio alla fine, quella in cui tutto ciò
che ci riguarda è accaduto, accade e accadrà.
Meglio allora considerarlo come il manifestarsi,
all’interno del nostro piano di esistenza, di singoli
eventi collegati tra loro da una relazione di tipo
“successivo”, nella quale un evento avviene prima,
durante o dopo un altro. Al pari della distanza
fisica, quindi, il tempo di cui parliamo non esiste
al di fuori di un universo concreto, popolato da
eventi che a loro volta riguardano enti concreti,
materiali, anche gli esseri viventi. È proprio
dal rapporto tra la dimensione “fisica” e quella
“ideale” che nascono le grandi domande sul
tempo: che cos’è il tempo? Ha avuto un inizio?
Avrà una fine? La sua direzione è univoca, oppure
ammette deviazioni o, addirittura, inversioni?

L o strano rapporto con la realtà


Il tempo viene spesso definito la quarta
dimensione della nostra realtà la quale,
aggiunta a quelle che descrivono la collocazione ”
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Che cos’è il tempo?
nello spazio (altezza, lunghezza e profondità)
permette di descrivere la nostra posizione in
Il paradosso del presente maniera completa. Eppure, è impossibile non

R agionando sul tempo, sant’A-


gostino giunge a conclusioni
sorprendenti, arrivando ad affer-
in due, e ognuno dei nuovi inter-
valli sarà lungo la metà di quello
iniziale. Il punto in cui avviene tale
attribuirgli un significato del tutto speciale:
dopotutto, come ha osservato uno dei più
grandi astronomi del XX secolo, l’inglese
mare che, invece che di passato, divisione rappresenta il presente, Arthur Eddington (1882-1944), quando
presente e futuro, bisognerebbe l’insieme dei punti che lo precede pensiamo a noi e alla nostra vita, ci vediamo
parlare di presente del passato, il passato, e i punti che lo seguono estesi nel tempo, non nello spazio; pensiamo
presente del presente e presente il futuro. Ma questi due nuovi seg- a ciò che siamo stati, che siamo e che saremo,
del futuro. Per giungere a tale sor- menti possono essere a loro volta ma non alla nostra altezza o al nostro peso.
prendente conclusione, il padre divisi in altri due, e così via: solo Proprio questa idea di “divenire” caratterizza
della Chiesa propone una dimo- se arrivassimo a trovare un pun- la nostra esistenza, perché l’unica certezza che
strazione di tipo matematico. to finale, non divisibile, potremmo abbiamo è che siamo nati, oggi siamo vivi e un
Partendo dalla premessa che, dunque affermare di avere trova- giorno moriremo. Tutto scorre (“panta rei”),
dal momento che possiamo misu- to il presente. Ma poiché questo afferma l’Eraclito al quale Platone dà voce
rare i suoi intervalli, il tempo deve non accade, il presente può essere nel suo Cratilo, indicando così l’ineluttabilità
esistere, allora possiamo dividere descritto come un intervallo che si della trasformazione. Per spiegare il concetto,
a loro volta ognuno può sempre dividere tra una parte il filosofo presocratico efesino ricorre a una
di questi intervalli di passato e una di futuro. metafora semplice ma molto chiara: dice infatti
che è impossibile bagnarsi due volte nello stesso
fiume, perché, nel tempo che intercorrerà tra
un bagno e l’altro, la corrente avrà fatto in
modo che l’acqua in quello stesso punto non sia
più la stessa. Tutto è in movimento, conclude,
tutto è in continua trasformazione.
Anche Platone afferma che il tempo dà la
misura del movimento del mondo materiale,
che contempla un “prima” e un “dopo” ma, a
differenza dei suoi predecessori, non si ferma
qui: per il fondatore dell’Accademia, infatti,
questo tipo di tempo non è che «l’immagine
mobile dell’eternità». Quest’ultima consiste
in un eterno presente, che è la dimensione
ideale, in cui si trova la sostanza eterna. La
distinzione che egli opera è quindi tra tempo ed
eternità, ed è la stessa che ci ritroviamo a fare
spesso quando ipotizziamo o crediamo in una
dimensione superiore a quella terrena.

Passato e futuro
L’impianto filosofico di Platone ci porta a
pensare al tempo come alla manifestazione
dell’imperfezione della realtà concreta:
essendo la dimensione nella quale avviene il
cambiamento della materia, si può manifestare
solo in presenza di essa, mentre ciò che è
perfetto, in quanto tale, non cambia, non si
C’È SEMPRE muove. Questo però vuol dire che al di fuori
UN ALTRO ATTIMO del nostro mondo concreto il tempo non esiste:
Nell’affrontare il problema non c’era prima del mondo, non ci sarà dopo.
del tempo, sant’Agostino Quella avanzata da Platone è una concezione
(qui, in un’illustrazione del tempo lineare, dove ogni evento può essere
rinascimentale) utilizza immaginato come posto in una linea retta,
un approccio logico inserito tra uno precedente e uno successivo.
e dimostra come, in realtà, Il pensiero dell’assenza di tempo è per noi
il presente non esista, piuttosto difficile da accettare, al pari di
se non come limite quello del “nulla”. Per certi versi, anzi, è più
tra passato e futuro. facile aderire a una visione ciclica del tempo,
che consiste in un avvicendarsi di epoche e di
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«Secondo la teoria della relatività
non esiste un unico tempo assoluto,
mondi che non prevede una singolarità iniziale
e una finale: nessun inizio, nessuna fine.
In realtà, proprio la spaventosa idea di una

ma ognuno di noi ha una propria


dimensione ultraterrena vuota e atemporale
potrebbe, paradossalmente, offrirci un motivo
per non temere il nostro inevitabile distacco dal
personale misura del tempo,
mondo: basta accogliere l’approccio “soggettivo”
di Epicuro, che ci invita a ragionare su che cosa
significa il tempo per noi, singoli individui.
Quando pensiamo al passato remoto, le
epoche precedenti al nostro concepimento, ci la quale dipende da dove si trova
preoccupiamo forse di quello che è accaduto?
Ovviamente no, non eravamo presenti, dunque
non abbiamo nulla da temere a riguardo; lo e da come si sta muovendo.»
stesso dovremmo fare per quello che accadrà
STEPHEN HAWKING
nel tempo successivo alla nostra morte, quando
noi non ci saremo. Ciò che è al di fuori del della morte collegando inscindibilmente il
tempo della nostra vita, sostiene Epicuro, non ci tempo alla realtà. Tuttavia essa ha un limite,
riguarda, perché per noi non esiste. rappresentato dal fatto che a venir presa in
Si tratta di una visione a suo modo considerazione è soltanto, in realtà, la nostra
consolante, perché ci aiuta a superare la paura dimensione individuale: il tempo di cui parla ”

LA DIMENSIONE
RELATIVA
Partendo dal concetto di
tempo relativo, i grandi
fisici contemporanei,
come Stephen Hawking,
hanno elaborato modelli
cosmologici nei quali
il tempo riveste
un ruolo centrale.

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Epicuro è quello della nostra vita, non il
concetto di tempo in assoluto.
La visione classica, dunque, ci conferma
quello che istintivamente sappiamo: il tempo
è sicuramente all’interno della realtà e, anche
se non lo vediamo, “si muove”. Rimane ancora
da capire se può esserci qualcosa oltre il tempo,
oppure è tutto compreso in esso. L’interrogativo
è complesso, poiché chiama in causa sia l’idea
di infinito, che quella di Dio.
Se il tempo è la dimensione della nostra realtà
concreta, allora esso deve partecipare dei suoi
stessi limiti di finitezza e della sua continua
trasformazione; l’eternità, al contrario,
appartiene a un altro piano, estraneo al nostro,
che invece è perfetto, immobile. Per mettere in
relazione il tempo e l’eternità, i primi pensatori
cristiani fanno ricorso all’anima: Plotino e
sant’Agostino sono tra questi, e il secondo
non esita a considerare il tempo come una
“estensione dell’anima” (distensio animi). In
quest’ottica, Agostino parte dal presupposto
che solo il presente, inteso come il momento
attuale, “è”. Allora, come possiamo concepire
il passato e il futuro? Solamente pensandoli
entrambi come diversi tipi di presente.
Questa posizione potrebbe sembrare a prima
vista insostenibile ma, a ben pensarci, passato
e futuro possono davvero essere pensati come
tali solamente nel momento attuale, perché è
rispetto a quell’istante essi possono definirsi,
appunto, passato e futuro. Il ragionamento di
Agostino diventa ancora più chiaro se pensiamo
al passato come “memoria” e al futuro come
“attesa”: in effetti, solo adesso, in questo esatto
momento, possiamo ricordare qualcosa che è
accaduto prima (passato) oppure metterci in
attesa di qualcosa che deve ancora accadere
(futuro). Per quanto riguarda il presente, poi,
esso è “visione”, perché costituisce l’unico
momento che può ricadere sotto l’analisi
dei sensi. In definitiva, dunque, possiamo
parlare di tre tipi di presente, che solo l’anima
dell’uomo può distinguere e ordinare.
«Il futuro e il passato non esistono.
R elativo o assoluto?
La definizione agostiniana di tempo in È inesatto dire che i tempi sono tre:
funzione dell’anima può risultare soddisfacente
da un punto di vista esistenziale e fornisce
un sostegno brillante all’idea, descritta in passato, presente e futuro.
maniera molto chiara da Boezio, di un Dio
“atemporale”, al di fuori del tempo, per il quale
passato, presente e futuro sono tutti racchiusi
Forse sarebbe esatto dire che i tempi
sono tre: presente del passato, presente
in uno stesso istante. Solo il nostro corpo
fisico, dunque, sarebbe legato al movimento
e al cambiamento e vivrebbe confinato in
una dimensione incompleta nella quale i tre
momenti del tempo sono separati. del presente, presente del futuro.»
Questa risposta, però, esclude dalla
discussione il tempo squisitamente fisico, quello SANT’AGOSTINO

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Che cos’è il tempo?

Il legame con la memoria


S e consideriamo il tempo in ambi-
to scientifico, questo deve essere
limitato al concetto di successione di
Per questo, Henri Bergson pro-
pone di distinguere i due ambiti:
quello scientifico, riferito al mondo
una serie di eventi. Se però prendiamo degli oggetti, dove il tempo è “succes-
in considerazione il problema solo dal sione”; e quello della coscienza, dove
punto di vista della nostra soggettivi- il tempo viene vissuto come “dura-
tà, un limite del genere ci impedisce ta”. In quest’ultimo i singoli momenti,
di trovare una risposta soddisfacente. che nella realtà, appunto, si succedo-
D’altro canto, la proposta kantiana di no uno dopo l’altro e sono distanziati
considerare il tempo come una “veri- da intervalli misurati (spazializzazione),
tà a priori” offre il fianco alle critiche diventano indistinguibili l’uno dall’altro
dei sostenitori di un approccio di tipo e accumulandosi in un fluire ininterrot-
meccanicistico-scientifico. to vanno a formare la memoria.

che riguarda le misurazioni degli intervalli concezione scientifico-naturalistica promossa, COME NOI
tra le manifestazioni dei fenomeni naturali, il a partire dal Cinquecento, da pensatori LO CONTIAMO
ritmo degli eventi, i movimenti relativi degli come Galileo Galilei e Isaac Newton, i quali La differenza sostanziale
enti fisici. Per affrontare questo aspetto, occorre avevano ben chiara la differenza tra tempo tra il tempo che viviamo
adottare un approccio più scientifico. assoluto e tempo relativo. «Il tempo assoluto, e quello che misuriamo
Il tempo di cui abbiamo parlato finora è vero, matematico» scrive Newton, «scorre quando osserviamo
soprattutto quello metafisico, slegato cioè dagli uniformemente, e viene anche chiamato durata; i fenomeni esterni
eventi che riguardano la materia; si tratta di quello relativo, apparente e volgare, è una consiste nel fatto che
un tempo “relativo”, che ha a che fare con la misura… sensibile ed esterna della durata di essi sembrano procedere
nostra interiorità e che non ha bisogno (e non un moto, che comunemente viene impiegata a velocità diverse. Ma
può) essere misurato. Come abbiamo già detto, al posto del vero tempo: sono tempi relativi soprattutto, afferma il
però, il tempo può anche essere “assoluto”, una l’ora, il giorno, l’anno». Questa distinzione si francese Bergson (nella
grandezza che indica la durata dell’intervallo basa su quella che viene definita una visione foto sopra), questi tempi
di tempo tra il manifestarsi di due fenomeni, meccanicistica e materialistica del mondo: diversi appartengono
misurabile con strumenti di calcolo ed non che i grandi scienziati del Rinascimento a due ambiti distinti:
esprimibile in forma numerica. Questa proposta non fossero credenti, anzi, ma nella loro quello della coscienza
di definizione ha senso all’interno della indagine dei fenomeni fisici tralasciavano gli e quello della scienza. ”

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Il tempo
è un fantasma
L a corrente empirista ingle-
se del XVII secolo ha posto
l’accento sulla percezione
mentale che possiamo avere
del tempo, piuttosto che sulla
natura del tempo come con-
cetto a sé stante.
In effetti, secondo Hobbes,
ciò che noi percepiamo non
è l’oggetto in sé, bensì il suo
movimento, che viene perce-
pito dai nostri organi di senso,
a par tire dai quali la nostra
mente elabora i concetti che
poi utilizzerà per descrivere la
realtà. Così, mentre lo spazio
diventa “il fantasma (l’impres-
sione) di una cosa esistente”,
il tempo è “il fantasma del
movimento”, perché è nel
movimento che immaginiamo
una successione di “prima” e
“dopo”. Per Hobbes, insom-
ma, il tempo non è altro che
un’immagine mentale, costru-
ita a partire dall’impressione
lasciata dal movimento.

Alice: « Per quanto tempo è “per sempre”?»


Bianconiglio: « A volte, solo un secondo.»
LEWIS CARROLL

elementi metafisici e si concentravano sui Leibniz, il quale sosteneva che il tempo non è UN PRIMA
fenomeni osservabili. L’introduzione del tempo reale, assoluto, ma è un’apparenza sensoriale, E UN DOPO
assoluto e la sua distinzione da quello relativo un fenomeno nel vero senso del termine (che Per cercare di “vedere”
è un passaggio fondamentale nella storia deriva infatti dal greco fainein, che vuol dire il tempo, possiamo
della scienza e del pensiero umano, perché “apparire”), definito dal cosiddetto “ordine immaginare una
permette di inserire il tempo all’interno delle dei successivi”, la sequenza cioè in cui noi sequenza di avvenimenti
formule matematiche che descrivono il mondo osservatori percepiamo il succedersi degli eventi. legati tra loro da una
così come noi lo conosciamo e di isolare ed Kant va addirittura oltre, e, in pieno relazione di “prima”
evidenziare il ruolo dell’osservatore. L’idea del Settecento, reintroduce l’idea di un tempo e “dopo”, come scatti
tempo assoluto, però, può venire considerata metafisico, negando l’idea di un tempo assoluto, fotografici in successione.
fin troppo “materiale”: molti percepiscono la ma non la sua oggettività. Per Kant, il tempo,
dimensione temporale come più complessa, inteso come “ordine di successione temporale”,
fino a farne il ponte tra il mondo fisico e quello deve essere definito come “ordine di causalità”,
ideale o metafisico. Tra i critici dell’idea di un cioè un succedersi di causa ed affetto: a un
tempo oggettivo, indipendente dal soggetto, c’è dato evento, cioè, seguono i suoi effetti.
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Che cos’è il tempo?

Se il tempo
torna indietro
P e nsando al tempo, siamo soli-
ti immaginare una linea continua
che, a partire da un “punto zero” (il
momento della creazione o la singolari-
tà iniziale, a seconda dell’ipotesi scelta),
procede ineluttabilmente in una sola
direzione. Pur accettando l’idea di un
tempo ciclico, quindi circolare, non vie-
ne contemplata la possibilità di invertire
l’ordine degli eventi, procedendo cioè
da quelli presenti a quelli passati.
Eppure, benché a livello puramen-
te teorico, la scienza lascia aperta una
speranza alla possibilità di viaggia-
re nel tempo. Per concepire un’idea
simile bisogna considerare che il tem-
po viene considerato oggi come una
delle quattro dimensioni del conti-
nuum spaziotemporale, non lineare
ma curvo. Corpi celesti dotati di massa
adeguatamente grande sono in grado
di piegare ulteriormente il tempo, fino
a rallentarlo. Secondo quanto afferma-
to dal fisico Ben Tippet e dall’astrofisico
David Tsang, è possibile ipotizzare un
modello di macchina del tempo che,
sfruttando tale curvatura, possa arri-
vare a descrivere un circolo e quindi
tornare indietro nello spazio-tempo.

Questo approccio parte da un presupposto


apparentemente antitetico a quello newtoniano:
«Il tempo è ciò che impedisce che le cose
accadano tutte in una volta.»
per il filosofo tedesco, la realtà empirica non ha
significato assoluto, a essere oggettiva è invece
la rappresentazione che viene fatta dal soggetto,
cioè da noi stessi. Il problema della realtà è che JOHN ARCHIBALD WHEELER
questa ci perviene in forma impura, inquinata
dalle influenze dei diversi fenomeni. A essere che ci permettono di descrivere la realtà, se UN SOGNO DAVVERO
pure sono soltanto le cosiddette intuizioni accettiamo l’assunto kantiano possiamo usarle IMPOSSIBILE?
sensibili, quelle cioè che derivano dalla per costruire la nostra realtà oggettiva. Il viaggio nel tempo
mediazione della nostra sensibilità che riesce A smorzare le nostre speranze arriva però è una chimera che l’uomo
a intuire le forme “pure a priori”. Le uniche Einstein, che, parlando delle regole che continua a inseguire,
due intuizioni sensibili individuate da Kant utilizziamo per capire il mondo, le equipara a sebbene la fisica offra
sono quelle dello spazio e, appunto, del tempo. quelle di un gioco. «Mentre le regole sono di poche speranze di
Secondo questa visione, sia il tempo, sia lo per se stesse arbitrarie, il gioco è reso possibile trasformarla in realtà.
spazio sono necessari e universali, e permettono proprio dalla loro rigida applicazione», scrive in Lo conferma il fatto che
di estrapolare la realtà dall’osservazione dei Pensieri, idee, opinioni, per poi aggiungere: «[Le il primo vero romanzo di
fenomeni, spesso contradditori. L’idea di Kant regole] però non saranno mai fissate una volta fantascienza era dedicato
poggia dunque sull’assunto della possibilità per tutte: resteranno tali solo in riferimento proprio a questo tema:
di avere delle conoscenze vere e conoscibili a a un particolare campo di applicazione». La macchina del tempo,
priori, appunto quelle dello spazio e del tempo, L’illusione di un tempo assoluto, dunque, di George Wells (1895).
e poiché queste sono in effetti le dimensioni sembra proprio destinata a rimanere tale.
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Dio esiste?
Per molti di noi
Dio è la risposta a tutte
le domande dell’uomo.
Paradossalmente, però,
è anche il soggetto
del quesito più difficile
a cui rispondere

I
nterrogarsi sull’esistenza di Dio richiede
capacità di astrazione e coraggio straordinarie,
perché mette in gioco non solo il significato
della propria vita, ma anche quello della
morte. Qualunque risposta diamo al quesito
“Dio esiste?”, essa porta con sé altre domande
che pretendono risposte dalle quali, a loro volta,
dipendono molti dei nostri comportamenti e delle
nostre opinioni. Si potrebbe pensare che credere
o meno sia solo questione di fede, ma come
esseri pensanti non possiamo evitare di chiamare
in causa l’intelletto e la razionalità per cercare
conferme o smentite al mistero dell’esistenza
della divinità. La religione, intesa come somma
di credenze, riti e precetti derivati dal fatto
di accettare o meno una certa visione di Dio,
viene dopo; prima, occorre accettare o rifiutare
la premessa fondamentale: che Dio, appunto,
è. Proprio per questo molti tra i più importanti
filosofi hanno messo al centro delle loro
riflessioni la possibilità dell’esistenza di un essere al
di sopra di tutto, la sua natura, il suo rapporto con
il mondo e la sua relazione con l’essere umano in
generale e con il singolo individuo in particolare.

Chi o che cosa è?


Oggi, quando ci riferiamo a Dio, non
pensiamo naturalmente a una divinità inserita
all’interno di un pantheon, come quello degli ”

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Pensieri divini
N ella sua Metafisica, Aristotele si
chiede a che cosa si rivolga l’in-
telligenza divina: in poche parole,
a che cosa possa mai pensare Dio.
Se crediamo in una divinità
rivelata, come quella del cristia-
nesimo, la immaginiamo intenta
a seguire le vicende del mondo
terreno, quando non addirittura
a intervenire attivamente in esse.
Dio, dunque, penserebbe a ogni
cosa che accade nella realtà. Una
risposta del genere sarebbe stata
inaccettabile per il grande filosofo
greco, così come per tutti quelli
che considerano Dio come il prin-
cipio assoluto. Se infatti pensasse
alle nostre vicende, dovrebbe
avere un pensiero composto,
ma allora muterebbe, passando
da una parte all’altra dell’ogget-
to del suo pensiero. Nemmeno
può pensare a nulla, perché allo-
ra sarebbe come chi dorme, né
può pensare a qualcosa che sia
altro da sé, perché, per definizio-
ne, niente è altro da Dio. Dunque,
possiamo concludere, Dio non
può pensare a nulla che sia infe-
riore a se stesso: ciò significa che
può pensare solo a se stesso,
per l’eternità. Dio è dunque nòe-
sis noéseos, pensiero di pensiero.

« Dio non è che una risposta grossolana, uno sgarbo


nei confronti di noi pensatori. Non è altro
che un rozzo divieto: voi non dovete pensare!»
FRIEDRICH NIETZSCHE

LA PRIMA antichi greci e romani: immaginare degli esseri leggi che la governano, oggi come allora occorre
DELLE RISPOSTE eterni, potentissimi ma comunque limitati nel riferirsi a un principio ancora più alto, al di sopra
Oggi l’idea filosofica loro agire e nel loro sentire, poteva spiegare i di ogni imperfezione e incompletezza.
di Dio è estremamente singoli fenomeni naturali che allora parevano È il percorso proposto per primo dalla filosofia
complessa e raffinata, soprannaturali. Già ai tempi dei primi filosofi di Platone, che parte proprio dall’analisi della
ma nei tempi antichi le divinità potevano apparire tutt’al più degli realtà per giungere a contemplare l’esistenza di
rappresentava intermediari tra la realtà concreta e la dimensione un mondo ideale, perfetto. Il mondo attuale
la risposta a tutto ultra-terrena, qualcosa di equivalente a certe non sarebbe quindi altro che “immagine mobile
quanto sfuggisse convinzioni superstiziose alle quali ancora oggi dell’eternità”. Per Platone, la realtà è stata
alla comprensione sottostiamo, anche se in forma edulcorata e generata dall’incontro tra il mondo delle idee
immediata. spesso addirittura inconscia. Per trovare una (il principio paterno) e la materia (principio
giustificazione all’esistenza della materia e alle materno). È a questo punto che si innesta la ”

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Dio esiste?

Come arrivare a Dio


attraverso la ragione
S an Tommaso d’Aquino (qui ritratto da
Francesco de Mura mentre riceve la visio-
ne dell’Ostia sacra) era convinto che l’uomo
potesse conoscere Dio sia attraverso la fede
sia utilizzando il ragionamento. Così, nella
Summa Theologiae, propone le sue “cinque
vie”, prove razionali che dovrebbero convin-
cerci dell’esistenza del Creatore.

* Mutamento: se qualcosa cambia nel


tempo, è perché esiste una causa che
provoca tale cambiamento, un “motore”
che deve essere attivo (“in atto”), altrimen-
ti non potrebbe causare nessun effetto. E se
è in atto, o lo è eternamente, oppure esiste
un altro motore che lo ha attivato. Questo
ragionamento si può ripetere più volte, ma
alla fine dobbiamo accettare l’esistenza di un
primo “motore immobile” da cui si origina
tutto il movimento, e questo motore è Dio.

* Causa efficiente: noi sappiamo che una


realtà esiste a causa di un’altra realtà.
Con un ragionamento molto simile a quello
utilizzato per spiegare la via del mutamen-
to, possiamo quindi arrivare a definire Dio
come la prima “causa efficiente”.

* Contingenza: le cose possono essere


o non essere (contingenti). Se tutte le
cose fossero contingenti, allora ci dovreb-
be essere stato un tempo in cui tutte le
cose “non erano”, e la realtà era vuota, ma
ciò non è possibile, perché nulla comincia
a esistere se non a causa di qualcosa che è.
Dunque, deve esistere un essere “di per sé
necessario” che sia causa di tutte gli altri
enti, un essere che chiamiamo Dio.

* Gradi di perfezione: in natura possiamo


distinguere le cose a seconda del loro gra-
do di perfezione. Possiamo quindi desumere
l’esistenza di un livello massimo di perfezio-
ne, in relazione al quale stabilire tutti gli altri:
questo livello massimo appartiene a Dio.

* Finalismo: ogni oggetto naturale si muo-


ve secondo un ordine e un fine che porta
sempre o quasi sempre allo stesso sta-
to, alla perfezione. Gli oggetti inanimati,
essendo tali, non possono tendere volon-
tariamente a un fine, ma occorre un essere
intelligente che imponga loro il movimen-
to, e solo un ente con le caratteristiche che
attribuiamo a Dio può farlo.

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figura del Demiurgo, il “divino artigiano”,
colui che ordina la materia secondo il modello
delle idee. Descritta nel Timeo, questa figura
non è quella di un creatore, piuttosto quella di
un plasmatore: sia il modello che il materiale
(cioè, le idee e la materia) sono già presenti
e a lui non rimane che usare il secondo per
creare un’immagine del primo. Platone
dunque non utilizza l’idea del demiurgo per
spiegare l’esistenza del mondo, ma solo le sue
forme e le sue leggi. In questo senso, oggi non
soddisferebbe i requisiti che attribuiamo a Dio,
perché non può essere il principio primo: non
è da lui, infatti, che discendono il mondo delle
idee e quello della materia. Platone fa però anche
riferimento a un Principio primo supremo, il
Bene, che insieme al mondo delle idee e alla
figura del Demiurgo descrive gli attributi divini:
infatti, il Primo principio è unico, perfetto e
indivisibile; da parte sua, il mondo delle idee
include tutte le forme possibili che il Demiurgo
utilizza come modello per plasmare la materia.
Presi collettivamente, quindi, questi tre
elementi compongono effettivamente un ritratto
compatibile con l’idea di Dio che corrisponda
alla definizione che abbiamo dato inizialmente.
I tre attributi sono stati poi mutuati nel III
secolo d.C. dal neoplatonico Plotino nelle sue tre
“ipostasi”, le tre dimensioni della realtà emanate
dalla sostanza divina: l’Uno (il Bene), il Logos
(l’Intelletto, equiparabile al mondo platonico
delle idee) e l’Anima del mondo, che dà forma
all’universo. Se questa visione di Dio ci appare
completa e soddisfacente, allora la prospettiva
cristiana dovrebbe apparirci ugualmente
accettabile, dal momento che è questa triade che
viene evocata nella Santa Trinità, dove al Logos
si sostituisce la figura di Gesù.
Questo significa, in qualche misura, che
se accettiamo il Dio cristiano, per molti versi
stiamo aderendo alla definizione neoplatonica di Dio esiste (firmato: sant’Anselmo)
Dio. Si tratta di un approccio molto “idealista”,
che può lasciare poco convinto chi preferisce
impostare i propri ragionamenti a partire dalla
A nche gli uomini dotati di grande
fede hanno spesso bisogno di
un motivo razionale che li confermi
superiore a ciò che non esiste.Ma
per definizione Dio è «ciò di cui
non si può pensare nulla di mag-
realtà concreta. In questi casi, Aristotele offre una nelle loro convinzioni. Ecco perché giore»: dunque, se abbiamo l’idea
potente alternativa. Nella sua Metafisica, infatti, sant’Anselmo ha cercato di dimo- di Dio dobbiamo per forza ammet-
il discepolo di Platone sviluppa ulteriormente strare l’esistenza di Dio attraverso terne anche l’esistenza.
l’osservazione del suo maestro secondo il quale un ragionamento logico, anzi, due: Il ragionamento a posteriori, a
il movimento (inteso nel suo senso più generale uno “a priori” e uno “a posteriori”. differenza del precedente, parte
di trasformazione) è l’elemento caratteristico del Il ragionamento a priori, conosciu- dall’osservazione del mondo reale,
mondo fisico; dal momento che il movimento to anche come “prova ontologica”, in cui possiamo constatare l’esi-
deve avere una causa, per evitare di andare parte dalla definizione di Dio come stenza di vari gradi di bene. Questa
all’indietro all’infinito occorre immaginare una «ciò di cui non si può pensare nulla considerazione, secondo Ansel-
causa prima, un motore immobile a partire dal di maggiore». Ma se Dio non esi- mo, ci porta necessariamente ad
quale deriva il moto che poi si trasmette a tutti gli stesse e avessimo solo l’idea di Dio, ammettere l’esistenza di un som-
enti del mondo. Per dirla in termini aristotelici, l’idea cioè di «ciò di cui non si può mo bene, più grande degli altri,
nel divenire si passa dall’atto potenziale alla pensare nulla di maggiore», questa altrimenti non potremmo stabilire i
realizzazione di tale potenza, vale a dire all’atto in risulterebbe superiore a Dio stesso, diversi gradi di bene. Questo som-
sé (in greco enèrgheia, energia); tale trasformazione poiché qualunque cosa esistente è mo bene, dunque, è Dio.
prevede la presenza di un atto precedente, derivato
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Dio esiste?
a sua volta da una potenza originaria, e così via,
Un universo senza creatore fino ad arrivare a un ente che, semplicemente, è in
atto, senza potenza: appunto, il motore immobile,

A v olte, il ragionamento può


portare molto più lontano di
quanto si possa immaginare, e
la sua intuizione, potenzialmente,
rischia di scardinare l’idea di un Dio
necessario all’esistenza dell’universo.
causa di tutto il movimento del creato e quindi
della sua forma e del suo funzionamento. In una
parola, Dio, che allora può essere definito come
con esiti non sempre apprezzabi- In effetti, quando parliamo dell’u- “causa finale” di tutto da cui «dipendono sia il
li. È quanto è capitato al filosofo niverso possiamo ipotizzare che sia cielo, sia la natura». Poiché è il principio primo,
Guglielmo di Ockham, l’inventore eterno o che si sia generato da sé. Dio deve essere il meglio di quello che possiamo
del celebre “rasoio di Ockham”, uno Oppure che non sia eterno, ma che sperimentare; dal momento che il meglio che
strumento logico impiegato per eli- sia stato generato da una divinità

« Non possiamo
minare tutte le ipotesi che non siano che invece è eterna o che si è gene-
strettamente necessarie alla spiega- rata da sé. Se applichiamo a queste
zione di un fenomeno. considerazioni il rasoio di Ockham,

immaginare Dio,
Ockham era un frate francescano dobbiamo convenire che la seconda
inglese vissuto nel XIV secolo, dun- ipotesi arriva alle stesse conclusioni,
que certamente cristiano, eppure ma con un passaggio in più.

possiamo solo
comprenderlo.»
BARUCH SPINOZA

possiamo avere è il piacere che deriva dal pensiero,


ne consegue che Dio è pensiero. L’approccio
aristotelico sottintende anche la possibilità da
parte dell’uomo di “capire” Dio attraverso la
razionalità. È questa l’opinione di molti dei grandi
filosofi medievali, che in effetti si rifanno ai due
grandi greci per sviluppare le loro prospettive
sull’esistenza e la natura di Dio.

Per conoscere l’ente supremo


Sia che accettiamo l’approccio platonico
a Dio, sia che facciamo nostra la visione
aristotelica, stiamo pensando a Dio come a
un’entità onnipotente, perfetta e completa.
Finora, il Dio di cui abbiamo parlando può
essere considerato una congettura, un’ipotesi,
un’intuizione: possiamo accettarla o rifiutarla,
considerandola nel primo caso un postulato a
partire dal quale costruire una “teologia”, nel
secondo un’invenzione della mente, un mito che
ha valore solo in quanto metafora; altrimenti,
possiamo cercare di trovare conferme ed evidenze
della sua esistenza e della sua natura utilizzando
le nostre facoltà razionali. In poche parole,
possiamo cercare di conoscere Dio. È a questo
fine che mirano le riflessioni di sant’Agostino.
«Che cosa desideri conoscere?» chiede a se stesso
nei Soliloqui. «Desidero conoscere Dio e l’uomo»
si risponde. Se l’uomo è fatto a immagine e
somiglianza di Dio, ragiona Agostino, allora
studiando l’uomo possiamo arrivare a Dio
e, viceversa, meditando sulla natura di Dio
possiamo conoscere noi stessi. Possiamo arrivare
a Dio quando accettiamo che esistono delle verità
che appaiono di per se stesse vere e che possono ”
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Dio esiste?
essere contenute in un’unica verità immutabile;
oppure, quando capiamo che noi desideriamo
il bene e Dio è il Bene assoluto. In entrambi
i casi, però, si tratta di percorsi soprattutto
contemplativi, che non collegano l’idea di Dio
alla nostra realtà immediatamente concreta.
Agostino lo sa, e infatti ci propone una terza via,
quella che dal nostro mondo, mutabile, arriva alla
dimensione divina, immutabile. È la stessa percorsa
dai filosofi “pagani”, che parte dal corpo (che è
appunto in continuo mutamento) e giunge a Dio,
che è invece eternità, passando attraverso l’anima.
Il bisogno di arrivare in qualche modo a

« Che esista un essere


chiamato “Dio” è solo
una vecchia diceria.
Una diceria immortale,
che non riusciamo
in nessun modo MONDO REALE

a mettere a tacere.»
E MONDO IDEALE
La consapevolezza
dell’imperfezione
ROBERT SPAEMANN del nostro mondo
ha spinto Platone a
“vedere” Dio anche quando accettiamo per fede teorizzare l’esistenza di
la sua esistenza deriva, secondo alcuni pensatori, un mondo superiore,
dal fatto che in realtà noi non pensiamo a Dio perfetto, derivato dal
come a un’idea, ma come a un ente individuale. “principio primo”, di
In effetti, ragionano, se ci accontentassimo cui possiamo avere
dell’idea di Dio come un principio astratto, non esperienza solo
potremmo sperimentare nulla di Dio. D’altro indirettamente. Come
canto, considerandolo un ente individuale, uomini incatenati
possiamo sperare di conoscerlo: come dice in una grotta che
san Tommaso nella sua Summa Theologica, possono intuire il
«la nostra conoscenza trae origine dal senso». mondo reale soltanto
Questo non significa che possiamo arrivare a attraverso le ombre
conoscerlo del tutto: il suo volto ci è precluso che esso proietta
dai nostri limiti, che ci impediscono di svelarlo. sulle pareti della
Possiamo però arrivare a capire la sua relazione grotta stessa, anche la
con le creature e con il mondo, essendo egli la conoscenza che l’uomo
causa di tutto. Questo atteggiamento ha spinto ha delle cose è è altro
molti filosofi del Medioevo a intraprendere che l’ombra della
una ricerca razionale sugli attributi divini, verità. Si tratta del
arrivando al punto di immaginare la possibilità mito della caverna, qui
di dimostrarne l’esistenza, come nel caso dello illustrato in un dipinto
stesso san Tommaso e Anselmo d’Aosta. si tratta di scuola fiamminga.
di un atteggiamento induttivo, che a partire
dall’osservazione dei fenomeni di questo mondo ”
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ci permette di arrivare, passando di causa in
« La natura ha delle perfezioni
per dimostrare di essere l’immagine
causa (via causalitatis), a una descrizione di
Dio. Molto più tardi, alla fine del XVIII secolo,
Immanuel Kant svilupperà questa tendenza

di Dio e ha dei difetti per mostrare


fino a pervenire a una forma di “razionalismo
religioso”, che potrebbe risultare più attuale e
vicino alla sensibilità di chi non può o non vuole
affidarsi a una fede “acritica”.
In una delle premesse della fede razionale che ne è solo un’immagine.»
delineata nell’opera opportunamente intitolata
La religione entro i limiti della sola ragione, BLAISE PASCAL
Kant rifiuta il dogmatismo religioso e affronta
il problema della conoscibilità di Dio su LA FEDE Dal momento che non possiamo ovviamente
un piano esclusivamente intellettuale. Per DI PASCAL avere esperienza sensoriale di Dio, allora Dio
prima cosa, scarta a priori ogni possibilità di Secondo Pascal (sotto, non può essere oggetto di indagine, ma deve
conoscere Dio in senso scientifico (un tipo di in un’incisione), la fede essere considerato una verità trascendente, una
conoscenza che Kant chiamerebbe “teoretica”): in Dio è guidata dalla verità cioè che risulta necessaria alla nostra
infatti, una conoscenza a posteriori, cioè di tipo ragione, ed esiste ragione ma la cui realtà è indipendente dalla
induttivo, presuppone la presenza di un concetto un “Dio nascosto” nostra percezione. Il Dio di Kant, insomma,
supportato da una serie di esperienze sensoriali, che l’uomo deve non può essere conosciuto in natura, né la sua
altrimenti il concetto è vuoto, senza contenuto. continuare a cercare. esistenza (o non esistenza) dimostrata attraverso

Scommettiamo
che esiste?
S e alla fine di ogni nostro ragio-
namento non riusciamo ancora
a deciderci per l’esistenza o la
non-esistenza di Dio, possiamo
sempre accettare il suggerimen-
to che nel Seicento Blaise Pascal
ha dato ai perplessi: scommet-
tiamo sul fatto che Dio esista, e
comportiamoci di conseguenza.
L’idea non è particolarmente ori-
ginale (era già stata utilizzata in
precedenza), ma il ragionamento
del filosofo francese è struttura-
to in modo logico e convincente.
Ipotizziamo che Dio esista dav-
vero e che credervi conduca alla
salvezza, ma sia effettivamente
inconoscibile: abbiamo quindi
due sole possibilità, crederci o
non crederci. Se crediamo ed
esiste davvero, saremo salvati; se
crediamo e non esiste, alla fine
non avremo perso né guadagna-
to nulla, perché dopo la morte
non c’è, appunto, nulla. Anche se
non crediamo e non esiste, non
avremo perso, né vinto. Se però
non crediamo e Dio invece esi-
ste, avremo perso tutto.

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Dio esiste?
prove concrete. Osservando l’ordine del creato, IL TRAGUARDO la fede l’ultimo stadio del cammino esistenziale
possiamo tutt’al più arrivare a derivare la DELLA FEDE delineato dal filosofo danese Søren Kierkegaard
necessità dell’esistenza di un Autore del tutto, Per Kierkegaard (la sua (1813-1855), che inizia dalla contemplazione
ma non possiamo certo spingerci oltre. statua campeggia nei estetica per giungere fino allo stadio religioso,
Al di là del fatto che sia conoscibile o giardini della Biblioteca passando attraverso la fase dell’impegno etico.
meno, ammettendo che Dio esista dovremmo Reale di Copenaghen), L’ultima tappa di questo percorso è la totale
preoccuparci soprattutto di come la Sua esistenza credere in Dio è il risultato accettazione dell’esistenza di Dio e la costruzione
può influenzare la nostra vita. Da un punto di di un percorso che prende di un rapporto personale Dio/Uomo, che prevede
vista intellettuale (escludendo quindi gli aspetti le mosse dall’ambito il nostro totale abbandono, come forma più elevata
teologici e dottrinali delle varie confessioni estetico e razionale e di relazione con l’essere divino. All’interno di tale
religiose), dobbiamo prima di tutto stabilire se Dio termina con la necessaria rapporto, la modalità comunicativa privilegiata è
è interessato ai nostri destini oppure no e, in ogni resa all’idea dell’esistenza la preghiera, che diventa il sistema di mediazione
caso, se è possibile parlare di una relazione uomo- di un ente supremo, tra l’io di chi prega e il destinatario della preghiera
Dio; il problema, allora, sarà quello di stabilire le origine di tutte le cose. stessa. Secondo Kierkegaard, infatti, il fine ultimo
modalità e il tenore di tale relazione. di pregare non è ottenere qualcosa, ma fare in
modo che l’anima si unisca con Dio e
Il rapporto dell’uomo con Dio ne avverta la presenza. Sembra, in
Se immaginiamo un Dio trascendente, un’entità fondo, la chiusura di un cerchio:
al di fuori del mondo, possiamo accettare la visione indagando il problema di Dio,
degli epicurei, i quali ammettevano che gli dei la ragione arriva a postulare
esistessero, ma li concepivano disinteressati al la necessità della fede! Una
destino e al comportamento degli uomini. Dunque, conclusione che i limiti
se Dio, pur essendo il principio di tutto, è estraneo attuali della scienza
alla realtà fisica, allora non possiamo costruire con sembrano confermare:
lui nessun tipo di relazione, e non dobbiamo né ci sono barriere fisiche
temerlo, né sperare in un suo intervento. Adottando e matematiche che non
questa prospettiva, da un punto di vista pratico ci permettono di varcare
o etico le nostre posizioni saranno simili a quelle la soglia del momento in
di chi si dichiara agnostico e non si sbilancia cui il mondo materiale, e
sull’eventuale esistenza di Dio. Se invece portiamo con lui il tempo, ha avuto
alle estreme conseguenze l’idea di un Dio infinito, origine, barriere che la nostra
come fa per esempio l’ebreo olandese del Seicento mente sembra condividere e
Baruch Spinoza, allora dobbiamo ammettere che solo la fede (o la fantasia,
che tutto, esseri umani, animali, piante e oggetti secondo alcuni) può
inanimati, fa parte di Dio. Ma allora, perché Dio scavalcare, senza offrire
dovrebbe amare noi più del resto? Non sarebbe alcuna garanzia
forse più “ragionevole” pensare a una divinità di verità.
impersonale, non certo antropomorfa, indifferente
alle nostre vicende e alle nostre preghiere? Aderire
a una tale immagine divina esclude la possibilità
di una relazione personale con Dio: non
possiamo non amarlo da un punto di
vista intellettuale, poiché rimane il
principio e la fine di tutto, ma la
sua esistenza non modifica in
alcun modo la nostra. Prima di
lui, anche il filosofo (e uomo
di fede) inglese Guglielmo
di Ockham era giunto
alla conclusione che
Dio è inconoscibile
e l’unico modo per
raggiungerlo è
attraverso la fede.
Ed è proprio

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Fede
 E ragione
I
tempi in cui viviamo sono sicuramente tra i
Oggi la scienza sembra offrire più entusiasmanti e dinamici dal punto di vista
scientifico, ma via via che la scienza allarga i
una spiegazione per (quasi) tutto, propri confini, spiega i fenomeni naturali con
maggiore precisione e disegna teorie sempre più
ma la fede in un ente supremo complesse, sembra togliere spazio e importanza
alla fede: qualcuno è arrivato a pensare che se
ha ancora molto da dire agli uomini molto di quello che sembrava inspiegabile (e
doveva appunto essere accettato con un atto di
che pensano: un duello intellettuale fede) è diventato comprensibile, allora forse è solo
una questione di tempo, e la mente umana riuscirà
rimasto inalterato nei secoli a fare luce su tutti i misteri che ancora resistono.
Ma è davvero così? Tale speranza, secondo molti,
è destinata a dimostrarsi vana: ci sono limiti
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Fede e ragione sono nemiche?

SONO NEMICHE?
oggettivi e intrinsechi alla conoscenza umana,
sostengono, che le impediranno di dare le risposte
La riflessione sul rapporto tra fede e scienza,
quindi, non riguarda solo gli uomini di chiesa e gli
SEMPRE (O QUASI)
AVVERSARIE
definitive alle domande ultime sull’universo, il suo scienziati, ma tutti quelli che si interrogano tanto Fede e ragione hanno
inizio, la sua fine e il suo significato (sempre che sulla realtà delle cose quanto sul suo significato. sempre trovato molte
un significato ci sia…). Altri, invece, ritengono che occasioni di scontro, anche
alla fine la scienza non farà altro che confermare Differenze fondamentali feroce. Sopra, il papa
le verità di fede, razionalizzando e argomentando Secondo alcuni, la contrapposizione tra fede incorona l’imperatore: le
quello che l’uomo già conosce in modo innato. e scienza si potrebbe tradurre, in termini più azioni del pontefice, in
Altri ancora pensano che scienza e fede operino pratici, in un dilemma evidente: “credere o ogni tempo, sono state
in due campi d’azione del tutto separati e che non ragionare?” Si tratta però di una semplificazione dettate dalla mediazione
possono e non devono interferire una con l’altra. eccessiva, che rischia di rendere impossibile fra le esigenze della fede
C’è, infine, chi ritiene che i due ambiti siano confrontare due approcci che, se davvero si e quelle della politica.
invece complementari, e che la loro unione possa rivelassero così distanti, non potrebbero mai
condurre l’uomo alla conoscenza completa. confrontarsi, neppure in forma dialettica. È ”

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UNA SFIDA senz’altro vero che oggi sembra esistere una su enti astratti come le idee platoniche, la sua
TECNOLOGICA contrapposizione netta tra l’approccio di chi si attenzione si rivolgeva ai fenomeni fisici, senza
La sperimentazione affida a una fede religiosa e quello di chi invece che però questo gli impedisse di elaborare
scientifica sta ritiene veritiero solo ciò che è scientificamente una teoria cosmologica al centro della quale si
confermando alcune dimostrato; tuttavia, molti grandi pensatori troverebbe un “motore immobile” responsabile
delle teorie più ardite contemporanei hanno sviluppato una linea del movimento di tutti gli astri. Questa teoria,
concepite dai fisici per di pensiero razionale e scientifico senza per non a caso descritta nella Metafisica, il volume
spiegare quelli che, fino questo rinunciare a credere in Dio o comunque che tratta degli argomenti oltre lo studio della
a ieri, parevano misteri in un’entità creatrice. Possiamo definire natura, porta Aristotele a ragionare su questo
insondabili. Sotto, il quest’ultimo un atteggiamento “aristotelico”, principio primo e a identificarlo con la divinità.
Nobel per la fisica Peter dal momento che è proprio grazie ad Aristotele Nel tempo, la differenza tra i due approcci
Higgs mentre si trova che la cultura occidentale ha cominciato a si è fatta sempre più marcata e a partire dal
al Cms, un grande integrare l’indagine razionale all’interno di una Cinquecento, con la definizione del metodo
rilevatore di particelle visione generale del mondo che fino ad allora sperimentale galileiano, è diventato più facile
sorto a Cessy, in Francia. si appoggiava sul mito e sulla fede in divinità distinguerle, valutarne le diverse competenze e
creatrici o in un principio unico dal quale tutto discutere sugli eventuali punti di contatto.
deriva. Il discepolo di Platone, infatti, dedicò
gran parte della sua vita a studiare e cercare A pprocci diversi per ambiti diversi
di spiegare la realtà concreta nel modo in cui La scienza, secondo Galileo, prende le mosse
questa si presentava, cercando di dare conto dall’osservazione di un particolare fenomeno,
dei suoi meccanismi. Invece di concentrarsi procede con la definizione di un’ipotesi che

Che cos’è davvero


″scientifico″
C ome racconta egli stesso nel
suo Congetture e confutazio-
ni, nel 1919 Karl Raimund Popper
(nato austriaco nel 1902 e morto
inglese nel 1994) era alla ricerca di
un modo per distinguere le teorie
fisiche, come quella newtonia-
na e quella della relatività, dalle
dottrine politiche, storiche e psi-
cologiche, che all’epoca venivano
considerate teorie scientifiche vere
e proprie. Il risultato di tale sforzo
fu l’enunciato del cosiddetto prin-
cipio di falsificabilità, secondo il
quale una teoria può dirsi valida
solo se è possibile falsificarla attra-
verso la sperimentazione.
Stimolato dalle riflessioni di
Einstein, espresse in una confe-
renza alla quale aveva assistito,
Popper giunse alla «conclusione
che il vero atteggiamento scienti-
fico è quello critico che non cerca
verifiche, ma piuttosto dei con-
trolli cruciali in grado di confutare
la teoria presa in considerazione».
Secondo questo approccio, dun-
que, il marxismo, la psicologia e
(evidentemente) la teologia non
possono considerarsi scienze.

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Fede e ragione sono nemiche?

«C’è una differenza sostanziale


lo spieghi e prevede lo svolgimento di serie di
esperimenti che verifichino la fondatezza di
quest’ultima la quale, qualora venga confermata,

tra la religione, che è fondata


viene infine espressa come legge. Il fulcro del metodo
(che non per niente si chiama “sperimentale”)
risiede appunto nella possibilità di mettere alla prova

sull’autorità, e la scienza,
l’ipotesi attraverso delle esperienze riproducibili.
Proprio la necessità della sperimentazione rende
evidentemente impossibile l’applicazione del metodo
che invece è basata scientifico alle questioni che attengono alla sfera
metafisica. Se dunque consideriamo scientifico ciò
che è provabile sperimentalmente, allora dobbiamo
sull’osservazione ammettere che l’oggetto della scienza è diverso da
quello della fede, la quale infatti riguarda il nostro
rapporto con enti sopra-naturali che quindi, per
e sul ragionamento. E la scienza definizione, sfuggono ai nostri sensi e non sono
perciò sperimentabili. Uno scienziato, dunque, se

vincerà perché funziona.» 


è del tutto fedele alla metodologia che distingue
il suo campo d’azione, non dovrebbe mettere le
questioni teologiche, etiche e morali al centro delle
STEPHEN HAWKING sue ricerche. Ancora meno, dovrebbe farlo alla
luce dello sviluppo della filosofia della scienza del
XX secolo, quando Karl Popper (1902-1994) ha
introdotto il “principio di falsificabilità”, secondo
LA RICERCA
DEL COMPROMESSO
Il disegno intelligente il quale una teoria può dirsi scientifica solo quando
La teoria del “disegno
intelligente” avanzata
da Philip Johnson
N el tentativo di integrare la tesi creazionista
con le evidenze ormai schiaccianti di quella
evolutiva, alcuni scienziati (una ridotta mino-
può essere confutabile, mentre un principio di fede,
per definizione, non lo è mai. La scienza, dunque,
sembra avere auto-limitato il proprio campo d’azione
(nella foto) cerca di offrire ranza, in verità) hanno sviluppato l’ipotesi del in funzione di alcuni limiti fisici ritenuti al momento
una sintesi accettabile “disegno intelligente”, secondo cui l’evoluzio- invalicabili che le precludono di discutere, per
tra creazionismo ne è effettivamente un meccanismo naturale, il esempio, di ciò che esisteva nei momenti compresi
e meccanicismo. quale però non sarebbe il semplice risultato del- in quella che viene chiamata l’era di Planck, cioè
le forze descritte dalla teoria darwiniana, bensì l’intervallo di tempo compreso tra l’“istante zero”
uno degli strumenti utilizzati da un’intelligen- della storia universale e i 10-43 secondi successivi.
za superiore, responsabile dell’intero Possiamo chiederci se esiste un analogo confine
progetto alla base della vita. per la fede, ma in questo caso la risposta, a rigor di
A esplicitare tale ipotesi, nel 1991, logica, non può che essere negativa: se l’esperienza
è stato un docente di diritto, Phi- sensoriale è limitata al mondo concreto, nulla ci
lip Johnson, ma tra gli aderenti vieta invece di invocare un principio metafisico per
si annoverano anche alcuni descrivere la realtà, a patto che spieghi i fenomeni
scienziati, come il geologo in maniera coerente e che tale spiegazione abbia
e filosofo Philip Meyer e il un “valore predittivo”, sia in grado cioè, di fronte
biochimico Michael Behe. al manifestarsi di una causa, di anticiparne gli
Quest’ultimo sostiene la tesi effetti oppure, viceversa, una volta osservato un
della “complessità irriducibi- fenomeno riuscire a risalire a ciò che l’ha causato.
le”, secondo la quale alcuni Quest’ultima osservazione mette però gli uomini
sistemi biologici risultereb- di fede di fronte a un potenziale problema: come
bero talmente complessi da comportarsi quando una teoria scientifica si rivela
non poter essere spiega- in grado di spiegare un fenomeno in maniera
ti soltanto con il processo corretta ma che sembra confutare le premesse o le
evolutivo e le fluttuazio- conclusioni derivate da una verità di fede?
ni statistiche previste dai
modelli che lo sostengono. Una convivenza difficile
A causa del differente oggetto della loro
indagine, se cerchiamo di fare convivere in
armonia tra una visione religiosa dell’universo e la
ricerca razionale delle leggi di natura, dobbiamo
necessariamente accettare la precedenza della
prima sulla seconda: se infatti crediamo che tutto
derivi da un ente superiore e onnipotente, allora ”
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Fede + scienza
= scientismo
P er decine di secoli la fede è stata accusata
di essersi arrogata il diritto di definire qua-
le fosse la verità sia sulle questioni di fede che
su quelle relative al mondo naturale, a essa
non pertinenti. Oggi, al contrario, è la scien-
za a rischiare di commettere lo stesso errore,
trasformandosi in un’ideologia: quella che il
filosofo della scienza John Duprè ha ribattez-
zato con il termine “scientismo”.
Secondo la definizione di Duprè, lo scien-
tismo consiste nella tendenza ad «applicare
un’idea scientifica di successo ben oltre il suo
dominio originario, e in genere con sempre
minor successo man mano che la sua applica-
zione viene estesa al di fuori del suo campo
d’origine», come scrive nel suo Natura umana.
Perché la scienza non basta.

le modalità di esistenza del mondo discenderanno sulle evidenze fisiche, nel senso che queste
direttamente dalla volontà di questa divinità ultime erano studiate e interpretate in modo
e la nostra indagine razionale potrà svelarne i da armonizzarsi con le concezioni metafisiche
meccanismi, i quali non potranno che confermare che si sarebbero affermate nel corso del
quanto derivato dalla riflessione e dalla tempo. Questo rapporto di subalternità inizia
contemplazione dell’ente superiore, sia che lo si con Sant’Agostino e si fa particolarmente
chiami motore immobile, sia che lo si pensi come pronunciato nel corso del Medioevo, in
Bene o ci si rivolga a lui come Dio. particolar modo con i grandi maestri della
In effetti, a partire dal V secolo a.C. e Scolastica. San Tommaso, per esempio, non usa
almeno fino alla fine del Settecento, le verità mezzi termini, quando afferma: «È impossibile
di fede hanno avuto quasi sempre la priorità che quello che Dio ci fa conoscere attraverso
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Fede e ragione sono nemiche?
È lo stesso tipo di compromesso che ha
permesso ai pensatori e agli studiosi medievali e
rinascimentali di esprimere le loro idee e divulgare
le loro scoperte senza incorrere negli strali della
Chiesa, in verità non sempre con pieno successo,
come insegna il celebre caso di Galileo Galilei
(1564-1642), sospettato di eresia, processato,
condannato dal Sant’Uffizio e costretto all’abiura
delle sue concezioni astronomiche.
L’alternativa, se non vogliamo rinunciare né a
credere, né a indagare le leggi della natura, è quella
di considerare l’ambito della fede e quello della
scienza separati e indipendenti tra loro: al primo
pertengono le riflessioni su tutto quello che non è
fisicamente sperimentabile, al secondo lo studio dei
fenomeni naturali così come essi si manifestano.

R isposte medievali
A giudicare da quanto capita spesso di leggere o
di sentire, sembrerebbe che l’autonomia dell’ambito
scientifico da quello religioso sia una conquista
recente. In realtà la distinzione tra fede e scienza
comincia molti secoli fa: il primo a dichiarare
apertamente che si trattava di una separazione
necessaria è stato Alberto Magno, che già nel XII
« Dall’osservazione
secolo scriveva: «Qualsiasi cosa sostenga la nostra
religione, noi ora la mettiamo totalmente da parte,
accettando esclusivamente le verità suscettibili
scientifica giunge di dimostrazione per mezzo del ragionamento
scientifico». Prima di lui, Pietro Abelardo (1079-
1142) aveva in qualche modo già rivoluzionato la
un messaggio concezione del rapporto tra fede e ragione allora
vigente e che era stata riassunta da Agostino sette

estremamente chiaro:
secoli prima nella sua celebre esortazione “intellige
ut credas, crede ut intelligas” (devi capire per
credere, e devi credere per capire): per Abelardo,

l’universo è stato
infatti, vale piuttosto la convinzione che per credere
davvero bisogna prima avere capito.
A mettere in evidenza in maniera chiara e

prodotto da un essere
inequivocabile la differenza implicita tra fede
e scienza arriva nel XIII secolo Duns Scoto, il
quale ci spiega che la teologia non è una scienza:
intelligente.»
sia i suoi principi, sia le sue conclusioni sono
rivelate, dunque non in esse c’è nulla da indagare.
Naturalmente, la “scienza” a cui si riferisce Scoto
ANTONY HEWISH è quella aristotelica, ma le sue conclusioni sono
condivise da molti ancora oggi. Ancora più netto
il giudizio di Guglielmo d’Ockham (1285-1347),
che, due secoli più tardi, nella sua Logica dichiara:
la fede risulti contrario a ciò che è posto in noi SCIENZIATI «gli articoli di fede non sono né principi di
per natura: in questo caso, infatti l’uno o l’altro CHE CREDONO dimostrazione né conclusioni e non sono neppure
dovrebbe necessariamente essere falso, e poiché L’astronomo britannico probabili, dal momento che possono apparire falsi
entrambi sono dati da Dio… è impossibile che Antony Hewish (di cui a tutti, o alla maggior parte oppure ai sapienti, cioè
ciò che riguarda la filosofia risulti contrario a ciò sopra riportiamo un a quelli che si affidano alla ragione naturale». Un
che appartiene alla fede». Anche ai giorni nostri, pensiero) è uno dei padri giudizio che proviene da un francescano, quindi
se crediamo in un Dio creatore e accettiamo della radioastronomia, un credente sincero, ma soprattutto da uno dei più
per fede alcune “verità”, non possiamo certo con cui possiamo grandi logici della storia del pensiero umano.
pensare che lo studio della natura possa indagare aree di cosmo Cinquecento anni dopo, Immanuel Kant (1724-
portare a delle conclusioni diverse da quelle remotissime. 1804) si spingerà fino a dire che la fede non ha
previste dalla dottrina alla quale aderiamo. nulla a che vedere con il sapere, quindi con la ”

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« La scienza senza la religione è zoppa.
La religione senza la scienza è cieca.»
ALBERT EINSTEIN

TUTTI IN POSA, conoscenza del mondo fisico, ma è legata alla del mondo a Dio». Secondo Hegel, insomma,
CREDENTI E ATEI morale, precludendo così la possibilità di giungere conoscenza assoluta e sapere empirico (pensiero e
La famosissima Scuola alla fede in Dio attraverso il ragionamento e la realtà) non sono separabili, quindi Dio deve essere
di Atene di Raffaello speculazione intellettuale. Una posizione con la cercato e trovato all’interno del reale.
(sopra, un particolare) quale molti “credenti razionali” non si trovano Ma oggi i rapporti tra fede e scienza appaiono
celebra un gran numero d’accordo, preferendo la replica successiva di spesso rovesciati e la seconda, invece che utilizzata
di filosofi dell’antichità, Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) che per sostenere e confermare gli assunti della prima,
fra cui alcuni scettici nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche scrive: viene spesso chiamata a supportare posizioni
circa l’esistenza di «Poiché l’uomo è pensante, né il buon senso né la ateiste, contraddicendo in pieno l’affermazione
Dio, come Epicuro. filosofia si faranno mai convincere a non elevarsi hegeliana. Secondo i sostenitori del movimento
da e per mezzo della contemplazione empirica cosiddetto del “Secondo Ateismo”, che vede
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Fede e ragione sono nemiche?

Un “cervellone”
su quattro è ateo
A nche se potrebbe venirci spontaneo pen-
sare che la maggioranza della comunità
scientifica odierna sia atea o quantomeno agno-
stica, una ricerca condotta dalla Rice University
di Houston, pubblicata nel 2015, sembra rivela-
re una situazione decisamente diversa.
Stando infatti alle risposte dei quasi 1.500 fisici
e biologi intervistati in otto Paesi (Italia, Francia,
Hong Kong, India, Taiwan, Turchia, Gran Breta-
gna e Stati Uniti), più della metà degli scienziati
professa una qualche forma di
religiosità. Naturalmente,
le percentuali cambiano
anche sensibilmen-
te in relazione al
diverso ambiente
culturale da cui
gli inter vista-
ti provengono.
Così, tra i meno
laici si distin-
guono i turchi
(85%), gli India-
ni ( 79 %) e i
taiwanesi (74%),
seguiti dagli ita-
liani, quarti.
Ancora più inte-
ressante è un altro dato
che emerge dalla ricerca:
quello riguardante gli atei con-
vinti, che spesso risultano molto più numerosi
tra la popolazione che all’interno della comunità
scientifica. A Hong Kong, per esempio, a fron-
te di una percentuale generale di ateismo del
56%, solo il 26% degli scienziati ha affermato di
non credere in nessun tipo di entità superiore.
Infine, sembrerebbe che l’idea di un contra-
sto tra fede e scienza preoccupi molto di più i
non addetti ai lavori: solo il 29% degli scienziati
statunitensi e il 32% di quelli britannici conside-
ra infatti conflittuale il rapporto tra i due ambiti.

tra i suoi membri pensatori contemporanei si spingono ad affermare che, alla luce dei suoi L’ESEMPIO
come il genetista Richard Dawkins e lo attuali sviluppi, essa in realtà rafforzi l’ipotesi DI PADRE MENDEL
scrittore Christopher Hitchens, alla luce delle dell’esistenza di un principio metafisico superiore. Nel tondo, il ritratto
scoperte della scienza moderna, l’idea di Dio Tra questi ultimi figura lo stesso Albert di Gregor Mendel
appare sempre più improbabile e quindi la fede Einstein, che una volta ebbe a dire: «Chiunque (1822-1884), monaco
perderebbe il proprio oggetto e, di conseguenza, si occupi seriamente di scienza, si convince che agostiniano ma anche
la propria ragion d’essere. Una conclusione a sua nelle leggi della natura si manifesta una specie matematico e precursore
volta criticata da altri filosofi e scienziati, per i di spirito enormemente superiore a quello della genetica moderna,
quali le nuove evidenze sembrano dare ragione a umano. In questo senso, la ricerca scientifica che seppe sempre
Kant quando afferma che la scienza non conferma porta a un sentimento religioso speciale, del coniugare fede e ragione.
e non nega l’esistenza di Dio, mentre altri ancora tutto diverso dalla religiosità degli ingenui».
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Che cosa sono
il pensiero,
l'anima
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e la coscienza?
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F
La nominiamo spesso, in da piccoli, sappiamo inconsciamente che
la nostra identità non si limita alla carne, alle
come se la conoscessimo ossa e agli organi che lo compongono, ma
che c’è qualcosa in più che ci rende quello
alla perfezione, ma in realtà che siamo. È una parte immateriale, che gli antichi
hanno paragonato a un soffio di vento (ànemos, in
non sappiamo nemmeno greco, anima, in latino). È lo spirito vitale, il centro
della nostra vita interiore. Ma è possibile definirla in
se esista e dove si trovi. maniera più precisa? Scoprire che cosa sia davvero
l’anima, la sua natura e i suoi limiti? Filosofi di tutti
Eppure l’anima racchiude i tempi hanno provato a dare una risposta.

(forse) la nostra vera essenza Dove nasce il concetto


Se identifichiamo l’anima con la nostra coscienza,
la consapevolezza della nostra personalità, intesa
come la somma dei pensieri, dei sentimenti e della
volontà che ci guida nelle nostre scelte e nelle
nostre azioni, allora parliamo della psychè platonica.
Platone individua il concetto di anima individuale,
immortale e distinta dal corpo, destinata, alla morte,
a separarsi da quest’ultimo. Ma da dove proviene
l’anima? Il filosofo greco si riallaccia all’idea di
un’“anima del mondo”, una forza estesa a tutto
l’universo che informa e fa muovere la materia, e la
descrive appunto come immortale, preesistente al
corpo e destinata a sopravvivergli. Questa anima
mundi viene infusa dal Demiurgo, l’artigiano
divino, ed è l’unica in grado di contemplare il
mondo delle idee. In realtà, a essere immortale e
a detenere le facoltà più elevate dell’essere umano
è solo una delle tre parti in cui Platone divide
l’anima, l’intelletto, ovvero la porzione razionale;
le altre due, quella concupiscente e quella irascibile,
presiedono rispettivamente al desiderio e alla
volontà. La prospettiva platonica, che professa
l’immortalità dell’anima e la sua origine divina,
risulta accettabile a chiunque professi uno dei
grandi monoteismi. E infatti questa idea, mediata
dal neoplatonismo di Plotino (III secolo a.C.) e dal
pensiero di sant’Agostino (354-430), è in buona
parte sovrapponibile a quella cristiana, seppure
limitatamente alla parte intellettuale. In realtà,
a differenza di Platone, Agostino non crede che
l’anima pre-esista rispetto al corpo, così come non
accetta nemmeno l’ipotesi di Origene (185-254),
per il quale tutte le anime sono state create all’inizio
del tempo. All’inizio, anzi, sembra propendere verso
la dottrina del “traducianesimo”, secondo la quale
l’anima viene trasmessa all’individuo dai genitori
e non sarebbe quindi creata direttamente da Dio.
Alla fine, però, propenderà per l’idea dell’anima
individuale creata singolarmente.
L’alternativa al concetto di anima come parte
immortale e divina dell’uomo è quella proposta da
una visione materialistica della realtà, all’interno
L’ARTE PRIMA della quale non vi è alcuna relazione con un
DELLA PSICANALISI eventuale mondo superiore, ideale o divino. I
Nell’immagine, primi a pensarla così furono gli epicurei (III
l’Incubo dipinto da secolo a.C.), i quali ritenevano l’anima composta
Johann Füssli nel 1781. da atomi, esattamente come il resto del corpo. ”

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L’unica differenza è la qualità delle particelle che LA VISIONE
la compongono, più leggere e veloci delle altre: il DI JUNG
pensiero nascerebbe dallo scontro tra questi atomi La psicologia di Carl

« Solamente
e quelli del corpo, che così si muoverebbero a loro Gustav Jung (sotto)
volta generando il pensiero. L’origine dell’anima riserva un ruolo
sarebbe dunque il risultato di una interazione tra importante all’anima,

il viandante
entità materiali, ossia un evento spiegabile in termini intesa sia come
fisici. Questa risposta è simile a quella di chi pensa l’elemento interiore
che il termine “anima” indichi soltanto il prodotto dell’essere umano, sia
della nostra attività cerebrale, che può essere
influenzato dall’esperienza, da fattori fisiologici
come la parte femminile
dell’inconscio. che ha peregrinato
e dall’educazione: una spiegazione scientifico-
psicologica che liquida la componente metafisica e
appare l’unica possibile per i non credenti. nel suo infinito
A nima e pensiero
La difficoltà principale che sorge quando mondo interiore
potrà avvicinarsi
parliamo di anima è quella di distinguerla
nettamente dal pensiero, inteso come prodotto dei
processi mentali che derivano dall’attività cerebrale.

all ’ Anima,
È Cartesio (1596-1650) ad accendere il dibattito,
proponendoci una risposta semplice ma molto
profonda, con la sua celebre frase «cogito, ergo sum»:

scoprendo infine
penso, dunque sono. Se tutto ciò di cui possiamo
essere sicuri è il fatto che esistiamo e che pensiamo
allora la nostra essenza, la nostra anima, è quella
di una “soggettività pensante” (res cogitans), mentre
il fatto di possedere un corpo, quindi di occupare che è Lei ciò che
uno spazio (di essere, cioè, anche res extensa) non
ci definisce in maniera decisiva. Spinoza (1632-
1677) va anche oltre, proponendo l’idea di ha cercato per anni,
corpo e anima come due modalità
in cui la Sostanza unica (Dio)
si manifesta, quella estesa e
perché Lei è dietro
e all’interno
quella del pensiero: infatti,
sostiene il pensatore ebreo-
olandese, più che di anima

di ogni cosa.»
dovremmo parlare di
mente, e se accettiamo che
la nostra anima coincida
con il nostro pensiero, CARL GUSTAV JUNG
la stiamo rapportando
alla nostra esperienza
individuale, e non
possiamo più considerarla
un principio spirituale e cartesiano dell’io autocosciente per spiegare, almeno
trascendente. Procedendo su in parte, il comportamento umano, identificando
questa strada, arriviamo poi la mente con il meccanismo fisico-chimico del
alla posizione di Herbert funzionamento del cervello. Il pensatore austriaco
Feigl (1902-1988), ritiene così di poter escludere l’ipotesi dell’esistenza
che riprende il dell’anima secondo un semplice principio di
concetto economia: se posso spiegare le funzioni e gli
stati della mente, semplicemente attraverso i
meccanismi cerebrali, perché mai dovrei
aggiungere un elemento metafisico, che
non farebbe altro che complicare tale
spiegazione, senza nulla risolvere?
Tuttavia, quando oggi parliamo
dell’inconscio, forse ci stiamo
riferendo a qualcosa di
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Che cosa sono il pensiero, l'anima e la coscienza?

Prima della nascita


l’anima è nel feto?
S e accettiamo l’idea di un’anima sepa-
rata dal corpo, in quale momento le
due parti si uniscono? All’atto del conce-
pimento, oppure successivamente? La
domanda ha un senso cruciale se con-
sideriamo il tema dell’aborto, perché
se accettiamo la prima ipotesi dob-
biamo ammettere che la decisione di
interrompere la gravidanza significa
interrompere una vita; se invece propen-
diamo per la seconda, allora dobbiamo
sapere esattamente quando il feto diven-
ta un essere umano senziente e dotato di
un’identità spirituale. È un problema cer-
tamente molto sentito e dibattuto oggi,
ma già affrontato secoli fa.
È stato Tommaso d’Aquino a offri-
re una risposta che per lungo tempo
ha determinato l’opinione della Chiesa.
Invocando l’idea platonica dell’esistenza
di un’anima “inferiore” (quella formata
dalle due componenti, l’irascibile e la
concupiscente) e di una razionale (l’in-
telletto), Tommaso ritiene che all’inizio
il feto sia provvisto del primo tipo di ani-
ma e solo quando il corpo è fisicamente
formato e preparato riceve la seconda,
quella sensitiva, che si può identificare
con lo spirito. Ecco perché, nella Sum-
ma Theologica, il filosofo dichiara che
gli embrioni sprovvisti di anima sensiti-
va non parteciperanno alla resurrezione.
Oggi, invece, negli ambienti cristiani
prevale spesso l’opinione che l’anima
sia già presente all’inizio della vita orga-
nica, che per alcuni risale addirittura al
momento della fecondazione.

equiparabile, sia pure non più in termini metafisici. MENTE dei commentatori arabi (Averroè e Avicenna su
Infatti il teologo Paul O’Callaghan fa notare che E PENSIERO tutti), legherà indissolubilmente l’anima al corpo:
psicanalisi e psicoterapia in fondo possono essere È nel rapporto tra la l’una non può fare a meno dell’altro per costituire
considerate le versioni “laiche” dei processi di mente (intesa come l’intero essere umano, ed è sulla base di questo
conversione e guarigione spirituale. l’insieme delle attività che i pensatori cristiani concepiscono la necessità
psichiche) e il suo della resurrezione dei corpi. Successivamente, san
I l r apporto con il corpo prodotto, il pensiero, Tommaso ristabilirà una supremazia dell’anima
Qualunque cosa sia l’anima, non possiamo che si concretano le attribuendole una precedenza metafisica, grazie
evitare di chiederci in quale rapporto essa sia potenzialità uniche del alla quale essa è da considerarsi incorruttibile.
con il corpo. Nel IV secolo a.C., Aristotele nostro cervello. Un empirista fatica ad accettare sia la visione
parlava di “ilomorfismo”, indicando con tale platonica, sia quella aristotelico-tomista, ma
termine il fatto che tutti gli enti materiali sono può ritrovarsi maggiormente in quella di David
composti da materia e forma, conferita al corpo Hume (1711-1776), il quale considera il “sé” come
proprio dall’anima. Questo approccio, giunto il prodotto delle percezioni che ci portano non
ai pensatori medievali attraverso la mediazione solo a conoscere, ma anche a “percepire di stare ”

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Un derivato
dall’evoluzione?
O ggi la teoria evolutiva (ipotizzata da Darwin,
sotto raffigurato in una caricatura) pone un
altro problema a chi crede nell’esistenza dell’a-
nima: se accettiamo l’idea di un processo di
evoluzione biologica detto “ominizzazione”, che a
partire dai primi ominidi ha portato all’attuale esse-
re umano, allora anche l’anima dovrebbe essersi
evoluta da un livello animale. Per superare questa
difficoltà, alcuni filosofi cristiani hanno accettato la
cosiddetta “ipotesi trasformista” insita nella teoria
evolutiva, affermando però che l’anima verreb-
be creata direttamente da Dio. Questa proposta
risolve il problema dal punto di vista teologico, ma
obbliga a separare in maniera netta e irreversibile
l’ambito scientifico da quello religioso.
Il gesuita Karl Rahner (1904-1984) suggerisce
un’alternativa: possiamo pensare che Dio sia la
causa primaria dell’origine della vita, mentre il
suo sviluppo (causa secondaria) dipenderebbe
dall’evoluzione che si verifica nel corso della gene-
razione. In questo modo, Dio e gli esseri a partire
dai quali si sono sviluppati gli ominidi sono causa
della formazione degli esseri umani propriamente
detti: in particolare, il primo sarebbe la causa del
processo che permette ai secondi di elevarsi al di
sopra dei loro limiti, in virtù di un’azione potenzian-
te che porta allo sviluppo della spiritualità umana.
È la cosiddetta “ipotesi emergentista”: grazie alla
spinta divina, il risultato del processo evolutivo, fisi-
co, supera i limiti previsti dalla natura iniziale per
consentire l’accesso alla dimensione spirituale.

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Che cosa sono il pensiero, l'anima e la coscienza?
conoscendo”, dunque alla conoscenza del sé che
Cartesio identificava con l’anima. Hume non si
spinge a negare l’esistenza dell’anima, per indicare la
quale usa comunque il termine mind, mente, ma
ammette che non è in grado di dimostrarla. Ci
penserà William James (1842-1910), identificando
quello che chiamiamo anima con la somma
di una serie di fenomeni psichici e aprendo
la strada a teorie ancora più radicali, come il
“comportamentismo”, secondo il quale l’essere

« C ’è uno spettacolo
più grandioso del mare,
ed è il cielo; c’è uno
spettacolo più grandioso
del cielo, ed è l’interno
di un’anima.»
VICTOR HUGO

umano è una sorta di macchina guidata da leggi e


informazioni scientificamente deducibili, senza che
vi sia alcun bisogno di ricorrere a una componente
complessa come la mente o l’anima.
Non tutti accettano una tale visione
“riduzionista”, e il cosiddetto problema “mente-
corpo” (mind-body) è ancora oggi oggetto di
grandi discussioni: che la si chiami anima, io,
mente, in quale relazione questo ente si trova con il
cervello, cioè l’insieme delle strutture anatomiche,
delle reazioni chimiche e dei processi che vi si
Quando viene la morte svolgono all’interno? Abbiamo già accennato a

P er i cristiani, e più generale per chi ne attribuisce l’origine al


divino, l’anima non è destinata a scomparire nel nulla dopo la
morte, come invece risulta naturale concludere per chi è orienta-
Feigl e al suo approccio “riduzionista”, ma bisogna
citare anche la ripresa della visione dualista, nella
quale si opera una distinzione tra il mondo fisico
to a una concezione materialistica dell’anima stessa. Se invece si e quello dei processi mentali che portano alla
considera l’anima come una forma di “energia”, secondo una visio- definizione di una coscienza individuale. A questi
ne panteista in cui l’ente metafisico è impersonale, allora il nostro due “mondi”, Karl Popper (1902-1994) ne aggiunge
spirito si ricongiungerà alla sua fonte, perdendo però ogni conno- un terzo, quello popolato dai risultati prodotti
tato di unicità, quindi anche la propria identità. dall’attività del cervello (arte, teorie scientifiche,
Per chi crede nella resurrezione dei corpi esiste però un ulteriore opere letterarie, costrutti sociali e politici…) e che
problema: poiché al momento della morte l’anima si è distaccata si può identificare con la mente. Quest’ultimo
dal corpo, essa è destinata ad attendere il momento in cui tornerà mondo è il prodotto dell’attività del secondo (il
nel proprio corpo risorto per proseguire la sua esistenza infinita? E cervello), ma è quello che influenza direttamente
se sì, quale sarà la sua collocazione, nel frattempo? Secondo il Cate- il primo (la realtà fisica): la mente, dunque, non
chismo cattolico, l’anima viene accolta nella dimensione divina e può identificarsi con la sede dei processi che lo
giudicata fin dal momento della sua separazione dal corpo (Giudizio determinano, il cervello. In un certo senso, alla fine
particolare), che invece dovrà attendere il giorno del Giudizio finale. del percorso, siamo tornati all’idea platonica di un
principio immateriale che governa la materia.
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Che cosa
ci aspetta
la morte ?
dopo
T
La fine della vita: un appuntamento utte le grandi domande della filosofia
riguardano la vita, tranne una: che cosa
che tutti, prima o poi, sono chiamati c’è dopo la morte? Eppure, è la risposta
data a quest’ultimo quesito a determinare
a rispettare. Un tema difficile in maniera decisiva tutte le altre, perché è proprio
dall’idea che abbiamo di quello che segue la fine
e delicato da affrontare della nostra esistenza terrena che deriva il modo in
cui decidiamo di trascorrerla. Ma la nostra mente
quando l’evento è ancora lontano può concepire qualcosa che, per definizione, va oltre
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Che cosa ci aspetta dopo la morte?

la dimensione della vita stessa? Ci attende davvero e quindi delle funzioni vitali. Si tratta di un UNA FINE
qualcosa oltre il momento in cui cessiamo di vivere? fenomeno naturale che riguarda tutti gli esseri ESEMPLARE
È solo la fede, o anche la ragione che può aiutarci a viventi, anche se tecnicamente si potrebbe La morte di Socrate,
vedere oltre il velo che ci separa dal mistero? obiettare che i microrganismi che si riproducono narrata da Platone (qui,
per divisione cellulare di fatto non muoiono, ma si illustrata da Jacques-
Pensare a lasciare il mondo moltiplicano all’infinito, oppure che certe piante Louis David), è l’esempio
Detto in termini biologicamente brutali, la millenarie sarebbero potenzialmente immortali di come il saggio può
morte è lo stato che negli esseri viventi segue alla e che muoiono solo a causa di eventi accidentali, affrontare la fine della vita
cessazione definitiva delle attività metaboliche come una malattia o un disastro naturale. In ogni ” con coraggio e serenità.

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caso, per tutti gli altri organismi dotati di attività proposito dell’aldilà. Al riguardo (come del resto “HUMANA
metabolica, la fine della vita è un evento certo, accade quasi sempre, quando si trattano temi del FRAGILITAS”
che può avvenire in modi differenti, ma il cui genere) la prima, grande dicotomia di pensiero Fino al Seicento era
esito è inevitabilmente sempre lo stesso. riguarda la scelta tra un approccio materialistico comune ritrarre i grandi
Dunque, anche noi siamo destinati a e uno metafisico. Nel primo caso, aderiamo a una pensatori con in mano
sperimentare quel fatidico momento, ed essendo visione in cui l’unica dimensione esistente è quella un teschio, simbolo della
questa l’unica, vera certezza della nostra esistenza, del reale, e null’altro esiste al di fuori di essa; nel caducità umana (humana
è naturale che le nostre riflessioni e le nostre secondo, invece, ammettiamo l’esistenza di una (o fragilitas). Sotto, Epicuro
conclusioni su quest’argomento influenzino in più) realtà ulteriori, anche se per noi intangibili. dipinto da un artista
modo decisivo la nostra vita, sotto tutti i punti di La spiegazione materialistica è quella che ci olandese. Nel tondo,
vista. È vero però anche il contrario, cioè il fatto appare più immediata e comprensibile da un Ruggero Bacone.
che sono le nostre convinzioni a determinare il punto di vista razionale, e prende le mosse da
nostro rapporto con la morte e le nostre idee a un approccio “meccanicistico” della vita, come

«Tutto quello che so è che devo morire, ma ciò che ignoro


di più è proprio questa stessa, inevitabile morte.»
BLAISE PASCAL

La filosofia in difesa
dell’eutanasia
Q uando si parla di “dolce morte”, o di “morte
assistita”, subito scendono in campo medi-
ci, scienziati e autorità religiose. Eppure, anche i
filosofi hanno qualcosa da dire in proposito,
e alcuni dei più grandi pensatori ci hanno
lasciato importanti riflessioni sull’at-
to di porre violentemente termine a
una vita di sofferenze e senza più
ragionevoli speranze. Anzi, fu pro-
prio uno di loro, l’inglese Ruggero
Bacone (1561-1626), a coniare il ter-
mine “eutanasia”.
Scienziato e uomo di fede, Baco-
ne riteneva che fra i compiti della
medicina non ci fossero solo lo stu-
dio e la cura delle malattie, ma anche
il potere di mitigare il dolore. Scriveva
infatti nel suo Della dignità e del progres-
so delle scienze: «Questa mitigazione del
dolore non serve soltanto quando può aiutare ad
arrivare alla fase della convalescenza; serve anche
quando venga a mancare ogni speranza di guari-
gione, per dare al paziente una morte più serena
e placida». È possibile che il filosofo si riferisse
alla somministrazione delle cure palliative, piut-
tosto che alla morte indotta (“eutanasia attiva”),
ma è stato comunque il suo intervento a genera-
re il dibattito che ancora oggi continua a scuotere
le nostre coscienze. Prima di lui, già Tommaso
Moro (1478-1535) aveva immaginato una società
utopica in cui gli oppressi da sofferenze incura-
bili fossero esortati a porre fine alla propria vita.

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Che cosa ci aspetta dopo la morte?
quello di Democrito e degli altri atomisti (V-IV IL DIRITTO ospita cessa la propria esistenza. La maggior
secolo a.C.). Secondo questi, l’intera realtà è ALL’ULTIMA SCELTA parte dei filosofi antichi, a partire da Pitagora
composta da atomi che si legano tra loro per dare Henri Bergson (sotto), e Platone, ritenevano l’immortalità dell’anima
forma ai vari enti fisici, uomo compreso, e la filosofo spiritualista, un assunto imprescindibile, che infatti è alla
morte corrisponderebbe dunque alla dissoluzione analizzò il tema della base del loro intero impianto filosofico: lo stesso
di tali legami; anche l’anima dell’uomo sarebbe morte sia sotto il profilo che poi, debitamente ampliato e circostanziato
composta da atomi, seppure estremamente piccoli della fede, sia sotto dalle riflessioni di altri pensatori dell’antichità,
e lisci, perciò è destinata a dissolversi e nemmeno quello della ragione. primo tra tutti Plotino (III secolo d.C.), è sfociato
per essa vi sarebbe nessuna continuazione nella filosofia cristiana. Se abbracciamo tale
oltre i limiti fisici. La morte, dunque, deve prospettiva, allora la morte
necessariamente essere la fine di tutto. diventa un passaggio, il
cancello attraverso
L’estremo atto il quale l’anima
Se invece partiamo dal presupposto che può fuggire dalla
la nostra anima (intesa come l’insieme dei “prigione” del
pensieri, dei sentimenti e della volontà) non corpo. E poi? Se
condivide la natura degli enti corporei ma propendiamo
è invece dotata di attributi sovra-naturali e per una visione
che dunque è immortale, ci troviamo nelle materialistica
condizioni di dovere spiegare quale sia il della vita, quello
suo destino una volta che il corpo che la che ci attende ”

Il momento giusto
per andarsene
L a morte è una necessità per tut-
ti gli esseri umani, ma spesso
sembra arrivare troppo presto o
troppo tardi, recidendo vite appena
germogliate o, al contrario, presen-
tandosi dopo lunghe sofferenze,
stenti e dolori. Ma allora, esiste un
momento giusto per morire?
Nietzsche è convinto di sì, e in Così
parlò Zarathustra, di fronte ai “predi-
catori della lenta morte”, esorta noi
uomini a morire mentre arde anco-
ra il nostro spirito e la nostra virtù.
Altrimenti, ci ammonisce, «il mori-
re vi sarà riuscito male». Secondo
Bergson (1859-1941), invece, l’uomo
non dovrebbe mai arrivare a trova-
re il modo per stabilire l’ora della
propria morte: una tale conoscen-
za lo getterebbe infatti in uno stato
di depressione tale da privarlo di
ogni volontà di agire e del desi-
derio di sopravvivenza.

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« Chi ha imparato a morire
non ci può preoccupare: come Epicuro (342-270
a.C.) ha spiegato molto chiaramente: «quando
ci siamo noi, non c’è la morte; quando c’è la

ha disimparato a servire.
morte non ci siamo noi. La morte, dunque, non
è nulla né per i vivi, né per i morti». Il problema,
semmai, sta nel riuscire a concepire la nostra

Il saper morire ci affranca


non-esistenza; ma questo è soltanto un limite del
pensiero umano, non una prova dell’impossibilità
dell’assenza di una dimensione ultraterrena.
Per chi invece considera l’anima immortale, si
aprono diverse possibilità. Il Socrate protagonista da ogni soggezione
dell’Apologia platonica propone una chiara
alternativa all’idea del nulla eterno: «Se davvero
la morte è essere incoscienti, come nel sonno… e da ogni costrizione.» 
è un meraviglioso guadagno… Se invece è un
migrare, ed è vero quel che si dici, che possiamo MICHEL DE MONTAIGNE
incontrare tutti i morti, quale bene è più grande
che quello di giungere all’Ade e liberarsi dei
sedicenti giudici di qui per trovare laggiù i veri
giudici? E chi non pagherebbe qualsiasi prezzo
per stare in compagnia di Orfeo, Museo, Esiodo,
Omero?». Per Socrate/Platone, insomma, l’anima
non solo è immortale, ma mantiene anche la
propria identità. È un pensiero consolante,
ma solo per chi può affrontare serenamente il
giudizio dei “giudici”, che anticipa l’idea del
Giudizio Universale che, secondo la dottrina
cristiana, seguirà alla resurrezione dei corpi.
C’è poi una terza possibilità, la reincarnazione.
Quella della “metempsicosi” (letteralmente, il
trasferimento dell’anima) non è solamente una
credenza propria di diverse dottrine religiose, Il sogno di sconfiggere
ma un assunto della filosofia greca, in effetti
derivata dalla mistica orfica e già presente negli
la grande mietitrice
insegnamenti dei pitagorici, nel pensiero di
Empedocle e soprattutto di Platone. Secondo
quest’ultimo, la nostra anima immortale sarebbe
U no degli assunti fondamentali di qualunque
sistema di pensiero umano è l’ineluttabilità
della morte. Ma se così non fosse? Se la nostra
imprigionata nel corpo, dal quale cercherebbe mente cosciente potesse sopravvivere al corpo?
di fuggire per raggiungere la sua dimensione Queste domande non sono più ipotetiche,
originaria, l’iperuranio; anche una volta che la diventando attuali quando il gruppo di scien-
morte sopraggiunge e la libera dalla sua gabbia ziati guidato dal neuroscienziato Randal Koene
fisica, però, il suo viaggio fallisce, e deve trovare e finanziato dal miliardario russo Dmitry Itskov ha
rifugio in un altro corpo, per ricominciare il presentato un progetto che dovrebbe permet-
percorso che, attraverso la ricerca della saggezza tere di inserire il cervello umano in un impianto
e la contemplazione della perfezione, lo porterà, cibernetico che lo nutrirà e lo sosterrà ener-
passando di corpo in corpo e ricordando, geticamente, mentre delle protesi neuronali
attraverso la reminiscenza, le Idee contemplate assicureranno la sua efficienza continua.
prima di entrare nel corpo, ad accedere La relazione con gli altri individui avverrà
finalmente alla dimensione che le compete. attraverso proiezioni olografiche, oppure, come
propone il professor José Luis Cordeiro della
Un’eccellente ragione di vita Singularity University (istituto tra i cui fondatori
Una volta che abbiamo accettato l’idea della si annoverano Google e la Nasa), mediante una
morte come evento ineluttabile, siamo chiamati macchina formata da un esoscheletro metal-
a decidere come tale consapevolezza condizionerà lico, organi artificiali e un aspetto umano. Il
la nostra vita. In altre parole: dobbiamo gruppo di ricerca ha anche annunciato l’anno
pensare alla morte per vivere meglio, oppure in cui questa forma di immortalità (relativa, visto
è meglio ignorare l’argomento e continuare che la durata illimitata di questi sistemi non è
nella nostra esistenza quotidiana come se non stata ancora assicurata) verrà raggiunta: il 2045.
fosse destinata a interrompersi? Certamente,
Epicuro ci suggerirebbe caldamente di scegliere
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Che cosa ci aspetta dopo la morte?
la seconda alternativa, mentre (altrettanto
certamente) Platone, Plotino, i neoplatonici e
tutti i filosofi cristiani ci spingerebbero a tenere
sempre a mente che il nostro viaggio terreno è
destinato a concludersi e che, in qualche modo,
la nostra anima sarà chiamata a renderne conto.
Quest’ultima esortazione può avere sicuramente
un effetto se crediamo in un destino ultraterreno
dell’anima nel quale essa continuerà ad avere
coscienza di sé, ma ha ben poca presa su chi,
pur non escludendo l’esistenza di una realtà
superiore, non crede nell’esistenza di una
relazione tra il destino ultimo della propria parte
immortale e la condotta mantenuta in vita.
In quest’ultimo caso, forse gioverebbe
concentrarci esclusivamente sul semplice e
incontrovertibile concetto di morte intesa come
fine della vita così come l’abbiamo conosciuta. Vale
allora la pena di prendere in dovuta considerazione
il monito di Heidegger (1889-1976) che in Essere
e tempo scrive: «La morte è concepita come
qualcosa di indeterminato, che un giorno o l’altro
finirà per accadere ma che, per il momento, non
è ancora presente e perciò non ci minaccia».
Questo atteggiamento, per Heidegger, può

« Possiamo metterci
al riparo da ogni cosa,
ma per la morte,
noi tutti abitiamo
una città senza mura.»
EPICURO

essere interpretato come un tentativo di fuggire


all’angoscia che deriverebbe dalla consapevolezza
IL SOGNO che la morte è la “possibilità suprema”, l’esito certo
DELL’ANDROIDE dell’esistenza. Ed è proprio tale angoscia l’unica
Alla ricerca dell’immortalità, cosa che ci costringe ad affrontare la nostra vita di
l’uomo sta sviluppando esseri in divenire e mortali, che è poi l’unica “esistenza
sistemi cibernetici autentica”. Questo “vivere per la morte” è però
in grado di implementare positivo, perché rende autentiche le nostre scelte.
o addirittura sostituire Un’idea piuttosto simile è stata formulata
la mente e il corpo umani. all’inizio dell’Ottocento da Arthur
In alto, il ritratto Schopenhauer, che vede nell’idea della morte la
del pensatore francese spinta necessaria alla riflessione filosofica e alle
Michel de Montaigne spiegazioni metafisiche del mondo. «Se la nostra
(1533-1592), secondo vita fosse senza fine e senza dolore», conclude
il quale la morte è la il pensatore tedesco, «probabilmente a nessuno
conquista della libertà. verrebbe in mente di domandarsi perché il
mondo esiste e perché sia fatto proprio così».
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«Gli uomini hanno cominciato a filosofare,
ora come in origine, a causa della meraviglia:
mentre da principio restavano meravigliati
di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito,
progredendo a poco a poco, giunsero a porsi
problemi sempre maggiori: per esempio
quelli concernenti i fenomeni della luna
e quelli del sole e degli astri, o i problemi
riguardanti la generazione dell’intero
universo. Chi prova un senso di dubbio
e di meraviglia riconosce di non sapere;
per questo, anche colui che ama il mito è,
in un certo qual modo, filosofo.
Il mito, infatti, è costituito da un insieme
di cose che destano meraviglia. Cosicché,
se gli uomini hanno filosofato per liberarsi
dall'ignoranza, è evidente che ricercarono
il conoscere solo al fine di sapere e non
per conseguire qualche utilità pratica.»
aristotele

Amministrazione: Erika Colombo (responsabile), Irene Citino, Sara Palestra Distributore per l’Italia e per l’estero: Press-Di Distribuzione stampa e mul-
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LE GRANDI
DOMANDE DELLA

Lessing La storia del pensiero


«Se Dio mi offrisse con la
umano spiegata in modo Platone
mano destra la verità e con la «L’amore è il desiderio
sinistra il modo di scoprirla,
sceglierei la sinistra.»
nuovo, originale di possedere il Bene
per sempre.»
e semplice

Seneca
«Tutti vogliono vivere felici, Comte
Socrate Plotino ma quando si tratta di capire «Vivere per gli altri non è
«C’è un solo bene, il sapere, «Il Bello è la prima cosa può rendere felice la vita, soltanto la legge del dovere,
e c’è un solo male, l’ignoranza.» manifestazione di Dio.» sono avvolti dall’oscurità.» ma anche quella della felicità.»

Epicuro
Schelling Wheeler Spinoza «Possiamo metterci al riparo
«La Natura dev’essere «Il tempo è ciò che impedisce «Non possiamo immaginare da ogni cosa, ma per la morte,
lo Spirito visibile, lo Spirito che le cose accadano tutte Dio, possiamo soltanto tutti noi abitiamo una città
è Natura invisibile.» in una volta.» comprenderlo.» senza mura.»

CONOSCERE LA STORIA DOSSIER N. 4 - BIMESTRALE - 9,90 €

Pascal
«La natura ha delle perfezioni
P.I. 04-10-2017 OTTOBRE/NOVEMBRE
Einstein
per dimostrare che è immagine «La scienza senza la religione
di Dio e dei difetti per mostrare è zoppa. La religione senza
che ne è solo un’immagine.» la scienza è cieca.»

I QUESITI SEMPLICI MA PROFONDI CHE HANNO TURBATO L’UOMO FIN DALLE ORIGINI
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