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Semplice o complesso?

Cominciamo a esaminare l’evidenza per capire qual è la spiegazione migliore


dell’universo. È veramente l’universo quello casuale e incidentale
dell’evoluzione, o quello complesso, specifico e intelligente di un disegnatore?
Charles Darwin (1809-1882) cambiò il mondo nel 1859 quando scrisse il suo
famoso libro: “Sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale o la
preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita”. Egli propose che le
variazioni accadono in modo casuale in una specie, e la capacità di
sopravvivere dipende dalla capacità della specie di adeguarsi all’ambiente. In
effetti Darwin credeva che questo processo della selezione naturale (piccoli
cambiamenti dovuti alle necessità imposte dall’ambiente durante lunghi periodi
di tempo) fosse in grado di spiegare la lenta evoluzione di tutti gli essere
biologici nel mondo, dalle cellule più semplici fino agli organismi più complessi
che oggi si vedono.
Quest’idea si basava su un certo presupposto. Darwin presupponeva che la
cellula semplice esistesse. Guardava attraverso il microscopio primitivo d’allora
e osservava che questo piccolo organismo poteva evolversi da un
raggruppamento di amminoacidi.

Il grande presupposto

Darwin partì da un grande presupposto, e tutto quello che propose dopo


dipendeva dall’idea che una tale entità così semplice e poco complicata potesse
veramente esistere. Darwin sosteneva l’idea che le cose più piccole fossero le
cose più semplici. Dava per scontato questa semplicità mentre sviluppava le sue
teorie della selezione naturale che dopo sarebbero diventate le basi della
visione evolutiva del mondo d’oggi. Darwin credeva che fosse esistito un brodo
primordiale in cui si trovavano tutti gli ingredienti necessari alla vita. Questo
brodo fu stimolato in modo da far avvenire dei piccoli cambiamenti negli
elementi basilari della materia e questi cambiamenti portarono a una
complessità sempre più elevata. Dopo molto tempo, il risultato di questo
processo fu la nascita di organismi composti di una singola cellula semplice che
poi diventarono la vita che si vede oggi.

Ma negli anni dopo Darwin, la nostra capacità di guardare la cellula da più vicino
è aumentata notevolmente. Ora sappiamo che non esiste la cellula semplice di
Darwin. In realtà, quando esaminiamo le cellule, scopriamo che esse sono
altamente complesse, e il loro “mondo” è molto piccolo. I microscopi moderni
rivelano che un singolo ditale pieno di liquido coltivato può contenere oltre
quattro miliardi di batteri composti di una singola cellula. Ciascuno di questi
batteri è come una piccola macchina, stracolmo di informazioni e di una
complessità che Darwin non avrebbe potuto mai immaginare. Adesso sappiamo
che la cellula più semplice consiste di amminoacidi (gli elementi basilari della
vita) che poi vengono assemblati in proteine. Queste proteine poi funzionano
come la base di tutta la materia nella cellula. Tutto inizia con la formazione di
questi acidi e di queste proteine. Se si trattasse di un semplice processo di
trasformazione e costruzione, Darwin potrebbe avere ragione. Ma se non è così
semplice, la teoria di Darwin fallisce.

Gli amminoacidi e le proteine

Darwin dev’essere in grado di spiegare come gli amminoacidi che galleggiavano


nel brodo primordiale potevano assemblarsi per formare le proteine necessarie
per costruire una cellula. Queste proteine consistono in un montaggio
complesso di amminoacidi, messi insieme in modo molto specifico e in un ordine
molto preciso, come un puzzle. Ogni proteina si forma in maniera diversa.
Mentre ci sono migliaia di proteine che si trovano nella natura, tutte quante si
compongono solo di venti amminoacidi. Ogni proteina è un montaggio unico di
alcuni o di tutti i amminoacidi, uniti in un modo preciso per creare la forma
specifica di quella proteina particolare. Adesso, sappiamo che gli amminoacidi
devono essere messi insieme non in modo casuale ma intelligentemente,
proprio come le lettere dell’alfabeto per formare una frase comprensibile. Ci
sono almeno 30.000 diversi tipi di proteine che sono costruiti dagli stessi venti
amminoacidi, proprio come si possono fare migliaia di parole diverse con solo le
ventisei lettere dell’alfabeto. Se metto insieme delle lettere a caso usando la mia
tastiera, ciò che risulta è incomprensibile: asdnvsd, oicjfvarjgkanf, còlvaso,
difjao, wrnòka, vsdk, àasò, dfkùaskdfl, aknsd, ifjo. Mentre invece, quando si
leggono le parole e le frasi di quest’articolo, è evidente che sono state scritte da
qualcuno, cioè da uno scrittore intelligente. Ovunque troviamo frasi scritte in
maniera comprensibile, sappiamo che sono state formate da una mente
intelligente. Nello stesso modo, gli amminoacidi corrispondono alle diverse
lettere dell’alfabeto. Per formare proteine che funzionano e che sono in grado di
costruire le cellule, gli amminoacidi devono essere “scritti” in “parole” e in “frasi”
comprensibili. Altrimenti, le proteine non funzionerebbero. Ma se quando
leggiamo una frase comprensibile e intelligente, la nostra conclusione ovvia e
inevitabile è che qualcuno l’ha scritta, com’è possibile non arrivare alla
conclusione che un disegnatore intelligente ha “scritto” le informazioni contenute
dalle proteine quando esse dimostrano lo stesso livello di disegno intelligente?
Infatti, la quantità d’informazioni nel DNA di una sola cellula è uguale alle
informazioni che si trovano in migliaia di enciclopedie. Pensereste mai che le
frasi e le informazioni scritte in mille enciclopedie si siano scritte da sole, o che
siano il risultato di processi casuali? Sarebbe una follia. Sarebbe possibile solo
se si chiudessero gli occhi all’evidenza.

A questo punto, qualcuno potrebbe tirar fuori l’esempio delle scimmie, secondo il
quale esiste la possibilità che un gruppo di scimmie, messo davanti alle tastiere
di alcuni computer, e dato abbastanza tempo, possa scrivere un sonetto
shakespeariano. Secondo quest’esempio, se si permettesse un periodo
abbastanza lungo, prima o poi queste scimmie scriverebbero un’opera di
Shakespeare. Nello stesso modo, dato un periodo abbastanza lungo, gli
amminoacidi prima o poi erano destinati a formare delle proteine “comprensibili,”
capaci di funzionare e di costruire cellule vive. Facciamo riferimento al libro di
Antony Flew, in cui racconta come lo scienziato Gerry Schroedere fece un
esperimento del genere:

“Fu piazzato un computer all’interno di una gabbia con sei scimmie. Dopo un
mese di accanimento su di esso (utilizzato anche come bagno!), le scimmie
produssero cinquanta pagine battute – ma non una sola parola. Schroeder notò
che valeva anche la parola più breve composta da una lettera, considerandola
parola solo se preceduta e seguita da uno spazio. Ponendo che la tastiera è
composta da trenta caratteri (le ventisei lettere più altri simboli), allora la
probabilità di ottenere una parola di una lettera è 30 per 30 per 30, che fa
27.000. Quindi, la possibilità di conseguire una parola di una lettera è una su
27.000. Applicò quindi le probabilità all’analogia del sonetto. ‘Qual è la
possibilità di realizzare un sonetto shakespeariano?’, si chiese. Continuò:

Tutti i sonetti hanno la stessa lunghezza. Hanno, per definizione, quattordici


versi. Scelsi quello di cui conoscevo il verso iniziale, ‘Shall I compare thee to a
summer’s day?’ e contai il numero di lettere; in quel sonetto ce ne sono 488.
Qual è la probabilità di battere in continuazione e ottenere 488 lettere nell’esatta
sequenza di ‘Shall I compare thee to a summer’s day?’? La conclusione è 26
moltiplicato per se stesso 488 volte, ossia 26 alla 488esima potenza. O, in altre
parole, in base 10, 10 alla 690esima. Ora, il numero di particelle nell’universo –
non parlo di granelli di sabbia, ma di protoni, elettroni e neutroni – è 10
all‘80esima. 10 all‘80esima è 1 con 80 zeri dopo di esso. 10 alla 690esima è 1
seguito da 690 zeri. Non ci sono abbastanza particelle nell’universo per scrivere
i tentativi; si andrebbe fuori di un fattore pari a 10 elevato alla 600. Se si prende
l’intero universo e lo si converte in chip di computer – dimentichiamo le scimmie
– ognuno dei quali pesa un milionesimo di grammo ed è in grado di produrre
488 tentativi, per esempio, un milione di volte al secondo, se si trasforma
l’universo intero in questi microchip e se questi producessero lettere a caso un
milione di volte al secondo, il numero di tentativi che si otterrebbe dall’inizio dei
tempi sarebbe di 10 alla 90esima. Si andrebbe ancora fuori di un fattore pari a
10 elevato alla 600esima. Non si realizzerà mai un sonetto per caso. L’universo
dovrebbe essere più grande di 10 alla 600esima volte. Tuttavia, il mondo pensa
proprio che le scimmie lo possano fare.” (p. 89-91)

Flew conclude il discorso dicendo: “Se il teorema non funziona per un solo
sonetto, allora, di certo, è semplicemente assurdo suggerire che la più elaborata
impresa dell’origine della vita possa essere stata realizzata per caso.”

A parte l’impossibilità che le proteine si formino a caso, c’è anche da


considerare il discorso del tempo necessario. Il fatto è che non c’è stato tempo
sufficiente nella storia dell’universo per produrre neanche una sola proteina.
Alcuni scienziati hanno calcolato che su un pianeta coperto dal brodo
primordiale pieno di serie complete di tutti i venti tipi di amminoacidi, il tempo
necessario per formare una sola proteina funzionante sarebbe più o meno
uguale al numero approssimativo degli anni dell’universo, cioè quindici miliardi di
anni, moltiplicato per 10 alla 60esima potenza. Effettivamente, questo ci fa
capire che non c’è stato abbastanza tempo in tutta la storia dell’universo per
permettere la formazione di una sola proteina a caso. Quindi, non è tanto
semplice quanto Darwin credesse. Egli basava le sue teorie sul presupposto che
gli elementi più piccoli avessero una quantità minore di componenti e di
processi. Oggi siamo più in grado di capire il mondo microscopico, e per questo
siamo consapevoli dell’immensa complessità di quest’universo in miniatura. Fin
dall’inizio, le teorie di Darwin erano sbagliate.

Casuale o specifico?

Per quanto riguarda la questione della semplicità o della complessità, l’evidenza


ci porta chiaramente ad affermare che l’universo è molto complesso. Ora
vogliamo considerare un altro elemento necessario per difendere l’evoluzione. Il
caso può essere una spiegazione adeguata della complessità che si osserva?
O è questa complessità una prova di un agente intelligente che l’ha ordinata e
organizzata? Se il caso fallisce come spiegazione della formazione di proteine
semplici, non sarà certamente capace di spiegare la formazione delle cellule.
Consideriamo per esempio l’ameba, l’organismo composto di una singola
cellula. L’ameba è fatta da circa 2000 proteine. La probabilità che un tale
organismo si formi per caso è 1 su 10 alla 40.000esima potenza. Per aiutarci a
capire questa probabilità, possiamo considerare il seguente esempio: la
probabilità di afferrare un determinato atomo specifico tra tutti gli atomi che
esistono nell’universo è solo 1 su 10 alla 80esima potenza. Figuriamoci allora la
probabilità che si formi una sola ameba per caso: 1 su 10 alla 40.000esima! È
effettivamente impossibile. Quando Sir Fred Hoyle si rese conto di questo fatto,
disse che queste probabilità sono “sufficienti per seppellire Darwin e tutta la
teoria dell’evoluzione. Non c’era nessun brodo primordiale, né su questo pianeta
né su un altro, e se l’origine della vita non era dovuta al caso, dev’essere stata il
prodotto d’intelligenza con intenzione.” (Nature, Vol. 294, 12 novembre 1981)

L’impossibile diventa ancora più impossibile quando si nota come gli scienziati
hanno scoperto che esiste una grande varietà di cellule, e che i diversi tipi
svolgono dei ruoli molto specifici. Esistono come membri di una comunità o
come soci di un’organizzazione, e ognuna di esse compie un’azione specifica
per il beneficio dell’organismo di cui fanno parte. Quando si osservano
attentamente queste cellule, si vede com’esse hanno la capacità di muoversi in
modi specifici e di eseguire diverse funzioni. Infatti, più si esaminano la natura
delle cellule e i loro ruoli all’interno dell’organismo, più si nota come
assomigliano a delle macchine, costruite con precisione e intenzione per fare
diversi compiti essenziali.

Il batterio sbalorditivo

Per illustrare quest’osservazione, consideriamo il flagello batterico. I batteri


hanno la capacità di muoversi velocemente e di cambiare direzione. Visti sotto
un microscopio, sono molto attivi. Ma come lo fanno? Che cosa gli permette di
muoversi in quel modo? In effetti, i batteri sono dotati di una “coda,” ovvero un
flagello che usano per circolare nel loro ambiente. Il flagello ruota a una velocità
fino a 1000 rotazioni al minuto, proprio come l’elica di una nave o un aereo.
Questi flagelli permettono ai batteri di cambiare direzione, di accelerare e di
rallentare.
Con i microscopi moderni, siamo in grado di esaminare il flagello batterico da
vicino. Abbiamo scoperto che il flagello è, in realtà, un piccolo motore, simile ai
motori progettati e fabbricati da umani. Sotto il microscopio, si può vedere un
montaggio specifico di componenti specializzati che svolgono diverse funzioni
necessarie per far muovere il batterio. Questi componenti sono montati in un
modo preciso e specifico, e le loro funzioni sono tutte indispensabili per il
movimento del batterio. Il flagello, infatti, si compone di quaranta parti individuali.
Se manca solo una di queste parti, il flagello non funziona. Per far funzionare il
flagello, tutte le parti devono essere presenti, devono essere messe insieme in
maniera precisa e devono funzionare. Altrimenti, il batterio non riesce a
muoversi.

Le regole della selezione naturale

Ma la domanda a questo punto è, ovviamente, che cosa spiega la creazione di


questo meccanismo del batterio? Se ricorriamo all’evoluzione e la selezione
naturale come spiegazione, incontriamo parecchie difficoltà. L’evoluzione spiega
le origini degli organismi biologici attraverso la selezione naturale che opera su
piccoli cambiamenti che accadono dopo tanto tempo. Quindi, secondo questo
ragionamento, si sviluppa un pezzo, poi dopo tanto tempo ne appare un altro, e
così via fino alla creazione del flagello come lo vediamo oggi. Il problema è,
però, che la selezione naturale eliminerebbe la possibilità del flagello batterico,
perché secondo Darwin, gli organismi tengono solo gli elementi che sono utili. I
pezzi inutili vengono scartati e non vengono tramandati alle generazioni
successive.
Siccome i quaranta elementi che compongono il flagello batterico sono inutili da
soli, non è possibile che si siano sviluppati gradualmente. Ricordiamoci, il
flagello funziona solo se tutti e quaranta gli elementi sono presenti, solo se tutti
sono montati correttamente e solo se tutti funzionano. Se questi elementi si
fossero sviluppati uno, due, o anche tre alla volta, sarebbero stati eliminati
perché sarebbero stati inutili da soli. È anche importante notare che ben trenta
di questi elementi sono unici al flagello batterico e non esistono da nessun’altra
parte del batterio. Questo vuol dire che è impossibile che per un certo periodo
questi trenta elementi abbiano avuto una certa funzione e poi siano diventati
parte del flagello. Esistono solo nel flagello e non hanno nessun’altra funzione
all’interno del batterio.
Proprio come un motore automobilistico va costruito in modo specifico e preciso
secondo un piano prestabilito, il flagello batterico dev’essere “fabbricato” in un
ordine specifico secondo un piano prestabilito. Come in un motore, bisogna
montare alcuni pezzi prima di altri, esiste anche un ordine preciso per il
montaggio del flagello. Se la coda si sviluppa senza che gli altri quaranta
elementi appaiano nello stesso momento, il flagello non può funzionare e il
batterio rimane fermo. Se la spiegazione della selezione naturale fosse giusta, il
batterio che s’osserva oggi non esisterebbe perché il flagello sarebbe stato
scartato come una parte inutile. Se Darwin aveva ragione, nessuna
“fabbricazione” degli elementi può avvenire dopo tanto tempo se ogni pezzo
individuale non reca benefici all’organismo. In questo esempio, vediamo che tutti
e quaranta pezzi devono apparire nello stesso momento ed essere montati
correttamente per essere utili al batterio.
La complessità irriducibile

Quest’argomentazione è stata proposta in maniera straordinaria da Michael


Behe nel suo libro “La Scatola Nera di Darwin”. In questo libro, Behe cita Darwin
e spiega:
“Darwin era consapevole del fardello che pesava sulla sua teoria dell’evoluzione
graduale per selezione naturale: ‘Se si potesse dimostrare l’esistenza di un
qualsiasi organo complesso che non abbia potuto essere formato attraverso
modificazioni numerose successive, lievi, la mia teoria dovrebbe assolutamente
cadere.’ Possiamo affermare con relativa certezza che la maggior parte dello
scetticismo scientifico sul darwinismo, nel secondo scorso, si è incentrato su
questo requisito…Che genere di sistema biologico non potrebbe essersi formato
attraverso ‘modificazioni numerose, successive, lievi’? Tanto per cominciare, un
sistema che sia irriducibilmente complesso. Per irriducibilmente complesso
intendo un singolo sistema, composto da diverse e ben assortite parti
interagenti, che contribuiscono alla funzione basilare, laddove la rimozione di
una qualunque delle parti causi l’effettiva cessazione del funzionamento del
sistema. Un sistema irriducibilmente complesso non può essere prodotto
direttamente…attraverso piccole, successive modificazioni di un sistema
precedente, perché qualunque precursore di un sistema irriducibilmente
complesso che manchi di una parte è, per definizione, non funzionale. Un
sistema biologico irriducibilmente complesso…sarebbe una potente sfida
all’evoluzione darwiniana. Dal momento che la selezione naturale può solo
selezionare sistemi che siano già operanti, infatti, se un sistema biologico non
potesse essere prodotto gradualmente, dovrebbe necessariamente nascere
come unità integrata, tutto in una sola volta.” (Behe, La Scatola Nera di Darwin,
2007 Alfa & Omega, p. 72-73)
L’irriducibile complessità della proteina

Ora, consideriamo di nuovo la proteina per vedere com’è costruita dagli


amminoacidi. Questi amminoacidi devono mettersi insieme in un modo
specifico. Una volta assemblati giustamente, cominciano ad assumere la forma
di proteine. Ma a questo punto ci viene da chiedere: come sanno gli
amminoacidi come mettersi insieme proprio nel modo corretto? C’è tra di loro
forse un’attrazione naturale che agisce come un magnete? No, non succede
così. Quando gli scienziati scoprirono il DNA, trovarono un potente segreto nella
cellula. Scoprirono che gli amminoacidi si raggruppano secondo le informazioni
e le istruzioni contenute nel DNA che esiste insieme con gli acidi e le proteine. Il
DNA dirige il montaggio degli amminoacidi e ne fornisce il piano. Il DNA è
costituito da un insieme d’informazioni molto grande e complesso che è
altamente ordinato. Nel DNA esistono più informazioni di quante si trovino nella
biblioteca più grande del mondo. Se le proteine presentano un grande problema
all’evoluzione darwiniana, il DNA ne rappresenta uno ancora più grande.

Il dilemma del DNA è questo. Le proteine non possono formarsi senza le


informazioni e le istruzioni contenute nel DNA. Ma il DNA, come abbiamo già
notato, è altamente complesso e ordinato. Da dove vengono questa complessità
e quest’ordine? Qual è la spiegazione dell’immensa quantità d’informazioni?
Nella nostra esperienza, sappiamo che tutte le volte che incontriamo
informazioni, esse sono il prodotto d’intelligenza. Se guardo lo schermo del
computer e vedo una riga di lettere che sono state scritte in modo
incomprensibile e un libro che è caduto sulla tastiera, suppongo che quando il
libro è caduto, abbia schiacciato i tasti e così abbia “scritto” quelle lettere che
vedo. In questo caso, non ci vuole l’intelligenza. Ma se prendo il libro, l’apro e lo
leggo, trovo una serie di frasi scritte in maniera ordinata e comprensibile. Trovo
informazioni. Non penserei mai che quelle informazioni contenute nel libro siano
il risultato del caso. Deduco subito, e giustamente, che qualcuno con intelligenza
ha scritto quelle frasi.
Nello stesso modo, vediamo che il DNA è pieno di informazioni specifiche che
dirigono la costruzione dell’organismo. Il DNA svolge un ruolo indispensabile
nella fabbricazione delle proteine. La complessità irriducibile della proteina non è
solo un semplice collocamento di certi amminoacidi. La complessità irriducibile
della proteina include la molecola più complessa nell’universo: il DNA. Se il DNA
non fosse apparso nello stesso momento degli amminoacidi, non ci sarebbe
stato nessun modo per montarli giustamente per formare le proteine. Proprio
come nel flagello batterico, tutte le parti devono essere presenti, devono essere
collocate giustamente e devono funzionare per formare l’organismo. Se manca
una delle parti, tutto il meccanismo non funziona ed è perciò inutile, destinato ad
essere buttato via dalla selezione naturale. Così, vediamo ancora una volta che
l’evoluzione darwiniana che si basa sulla selezione naturale non è capace di
spiegare le origini della complessità irriducibile.

Casuale o intelligente?

Adesso, esaminiamo l’ultimo pezzo del puzzle. È evidente che il nostro mondo
non è un semplice o casuale raggruppamento di parti evolute, ma è invece un
ambiente molto complesso e specificamente ordinato. A questo punto bisogna
chiedere: quale opzione ha più senso, l’idea che la complessità e l’ordine
dell’universo sono prodotti casuali e incidentali, o la tesi che tutto ciò è il risultato
di una mente intelligente?

Nella nostra vita, siamo in grado di riconoscere oggetti che sono progettati e
prodotti da esseri umani. Anche senza sapere chi l’ha fatto, siamo capaci di
distinguere tra gli elementi naturali che sono il risultato di processi naturali e gli
oggetti che sono stati ideati e fatti da persone. Negli scavi di siti storici, gli
archeologi sanno riconoscere oggetti che sono i prodotti di una civiltà antica. Se
trovano qualche artefatto come una statua di una dea, un vaso o una tavoletta
con scrittura in geroglifico, sanno subito di aver trovato un manufatto umano e
non un prodotto di processi naturali. Anche se la provenienza dell’artefatto
rimane sconosciuto, è innegabile che è stato fatto da qualcuno che aveva
intelligenza e intenzione.

Ma come facciamo a riconoscere un manufatto come prodotto del disegno


intelligente? Diverse persone hanno considerato questa domanda e hanno
provato a dare una risposta. Esiste infatti un semplice esame che si può
applicare a qualsiasi cosa per determinare se è il risultato di processi naturali o
d’intelligenza.

1. È più probabile che improbabile che l’oggetto si sia formato per caso?
2. È la struttura dell’oggetto specifica? È possibile individuare un disegno nella
struttura dell’oggetto che assomiglia ad altri oggetti il cui disegno intelligente è
evidente e certo?
Due esempi
Consideriamo un esempio di questo. Immaginiamoci di essere al mare e di
camminare sulla spiaggia. Ad un certo punto notiamo che la sabbia è sistemata
in maniera bellissima. Le onde del mare hanno creato una varietà di disegni e
ondulazioni sulla superficie della spiaggia. Possiamo ammirare la bellezza della
sabbia, ma non pensiamo che qualcuno l’abbia sistemata in quel modo. Ma
adesso supponiamo che, sulla stessa spiaggia, vediamo un grande cuore
disegnato nella sabbia con le parole: “Maria, ti amo tanto!” In questo caso, non
crederemmo per niente che sia capitato secondo i meccanismi naturali delle
onde e della marea. L’unica spiegazione sensata di quel disegno e di quelle
parole sarebbe una persona intelligente che li ha disegnati sulla spiaggia.
Perché? Prima di tutto, sappiamo che non c’è praticamente nessuna probabilità
che la scrittura nella sabbia possa essere creata da forze naturali. In secondo
luogo, riconosciamo una somiglianza ad altri disegni che sono certamente
prodotti umani. Sappiamo che quando vediamo delle parole e frasi, esse sono
state scritte da qualcuno. Quindi, concludiamo giustamente che il disegno e le
parole sono i risultati di una mente intelligente.
Guardiamo un altro esempio ancora. Questa volta, applica tu i criteri menzionati
sopra alle seguenti foto, oppure usa semplicemente il buonsenso. Nelle due
foto, qual è l’oggetto formato da processi naturali e qual è quello che è il
prodotto d’intelligenza?

Se noi facessimo una scampagnata in montagna e vedessimo una bellissima


scena naturale come quella nella prima foto, potremmo ammirarne la bellezza,
ma sapremmo subito che formazioni di roccia di questo tipo succedono
naturalmente nel mondo. Ma se ci capitasse di vedere un’altra formazione di
roccia come quella nella seconda foto, nessuno di noi penserebbe che si sia
formata da sola. Concluderemmo che sia stata fatta da qualcuno, o da un
gruppo di persone intelligenti. Sappiamo che la probabilità che le forze del vento
e dell’acqua formino i visi di quei quattro presidenti americani famosi nella roccia
sia praticamente zero. La nostra intuizione giustamente ci direbbe che quei visi
possono essere solo i prodotti di un disegno intelligente.

L’ultimo sguardo
Alla fine, dobbiamo semplicemente guardare il nostro mondo e chiedere: È
semplice o complesso? È casuale o specifico? È disordinato o ordinato? È
assurdo o intelligente? Può essere dunque il risultato di forze naturali casuali? O
è più razionale spiegare l’esistenza del disegno e dell’ordine del mondo solo con
un Progettista Intelligente, potente e creativo? L’evidenza è chiara.

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