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MASSIMO BONAFIN

RISO E PARODIA MEDIEVALE : APPROSSIMAZIONI ANTROPOLOGICHE

1. Un punto controverso nella discussione sulla parodia è costituito dalle sue relazioni con la comicità e il riso, sia
intesi come componenti della sua struttura semiotica e pragmatica sia come categorie estetico-antropologiche a cui essa
va ricondotta.1 In generale, una svalutazione estetica del comico perdura grosso modo per tutta l'età moderna e
condiziona il giudizio sulla parodia, oscurandone la funzione critica 2 ovvero inducendo a rescindere ogni rapporto con
la comicità proprio per valorizzarne la funzione metaletteraria. 3 Anche i formalisti russi non sfuggono al pregiudizio
modernista quando interpretano questa modalità letteraria soltanto come un procedimento di straniamento, che mette a
nudo tecniche sorpassate;4 tanto per Šklovskij quanto per Tynjanov «la sostanza della parodia è nella meccanizzazione
di un determinato procedimento» (Tynjanov 1921, p. 150) e «la comicità è il colore che solitamente accompagna la
parodia, ma non è affatto il colore della parodicità. La parodicità dell'opera si cancella, mentre il colore rimane. Tutta la
parodia è nel gioco dialettico con il "procedimento"» (ivi, p. 171). Questa dichiarazione può venir intesa, però, anche
nel senso che la parodicità, il rapporto con l'altro testo, il modello, dipende dall'attualità di questo, 5 mentre la coloritura
comica fa appello a meccanismi culturali meno transeunti. Diversa appare la posizione di Tomaševskij, che tra «le opere
volte a rendere palese un procedimento altrui» identifica la parodia in quanto accompagnata da un'interpretazione
comica e caratterizzata dalla tendenza a «mettere in ridicolo le scuole letterarie avversarie, a demolirne il sistema
creativo, a "smascherarle"» (Tomaševskij 1925, p. 345).6
La separazione della comicità dalla parodia viene spesso motivata con l’esigenza di non limitare questa modalità
di scrittura all'esercizio della presa in giro, della derisione farsesca di opere grandi e venerate, per assegnarle invece un
ruolo piú sofisticato e propulsivo nell'evoluzione dei generi e nella riflessione metaletteraria. Per distinguerla dal
comico, si fa allora riferimento a concetti come l'abbassamento, la degradazione, la trivializzazione: 7 la ridicolizzazione
dell'oggetto parodiato, la sua 'esposizione al riso' è sentita come qualcosa di esteticamente volgare, perché ci si rifiuta di
riconoscere alla comicità un valore cognitivo. È vero che la parodia si rivolge di preferenza a testi che si arrogano uno
statuto superiore o ai quali la comunità socio-culturale annette prestigio: anche Freud descriveva la caricatura, la
parodia e il travestimento (Travestie) come «processi di Herabsetzung»,8 perché colpiscono «persone e oggetti che
rivendicano autorità e rispetto, che sono in un certo qual senso "elevati"». Nondimeno la critica ha da tempo descritto

1Riprendo qui le linee di un discorso svolto piú ampiamente nel mio libro: cf. Bonafin 2001.
2Benedetto Croce, ad esempio, contestava il presunto fondamento critico della parodia proprio in ragione del ridicolo che essa
suscita, infatti «la critica non può mai essere sostituita dal ridere o far ridere, perché critica è solo a patto di fornire determinazione
logica al discernimento del bello e del brutto, che è del gusto» (Croce 1945, p. 183); né il riso - aggiungeva il filosofo - potrebbe
essere invocato come pertinente alla parodia perché può essere suscitato dai motivi piú futili e diversi.
3Ottime osservazioni su questa vicenda critica nel libro di Rose 1993.
4«For all their interest in parody as a device for laying bare other devices, the Russian formalists themselves were largely to
remain victims of the denigration of parody as a comic form, and to fail to acknowledge adequately the difference between parody
and other forms which lay in its use of comic devices and the importance of those comic devices themselves» (Rose 1993, p. 117).
5«Per questo le opere parodistiche sono in genere indirizzate verso opere della letteratura contemporanea, o verso l'atteggiamento
contemporaneo nei confronti di fenomeni del passato; è poco possibile un rapporto parodistico con fenomeni semidimenticati»,
secondo lo stesso Tynjanov 1929, p. 34.
6Concetto ulteriormente ribadito nella sua teoria della letteratura: «se la messa a nudo di un procedimento letterario altrui nel
realizzarsi assume valore comico, abbiamo la parodia» (Tomaševskij 1928, p. 207).
7«La trivializzazione burlesca non è che un processo di familiarizzazione fra i tanti», scrive Genette 1982, p. 68, che vede nel
travestimento parodico (si pensi al Virgile travesti di Scarron) un avvicinamento verso il basso, un'attualizzazione per un pubblico
piccolo-borghese, di un testo altrimenti nobile e lontano.
8«La caricatura, com'è noto, produce la degradazione dando risalto, nell'espressione generale dell'oggetto elevato, a un solo
aspetto comico per se stesso, il quale è destinato a passare inosservato finché è percepibile solo nel quadro generale. [...] Parodia e
contraffazione ottengono per altra via la degradazione di ciò che è elevato, distruggendo la coerenza tra il carattere che conosciamo
di una persona e le sue parole e azioni, sostituendo gli alti personaggi o i loro modi di atteggiarsi con altri inferiori» (Freud 1905, p.
222-23).

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molte parodie in cui il bersaglio della comicità, spesso extratestuale, non coincide con i modelli (pre)testuali messi a
profitto.9 Tynjanov, per esempio, aveva proposto di distinguere fra parodicità (parodičnost') e parodisticità
(parodijnost'), ovvero forma parodica, come utilizzazione di un testo/codice esistente per produrre un'opera nuova, che
comporta dunque un uso strumentale del modello parodiato (p. es. a fini di satira politica), e funzione parodistica, che
implica l'orientamento verso/contro un'opera determinata, la transcodificazione da un sistema in un altro. 10 Ormai,
comunque, non è piú ammissibile considerare la comicità e il riso soltanto come elementi negativi, privi di spessore
intellettuale, mentre si tratta di strumenti della comunicazione umana che coinvolgono aspetti sociali, antropologici e,
soprattutto, conoscitivi.
Il comico della parodia non concerne dunque soltanto il testo preso di mira, o a modello, che subisce in ogni caso
una rifunzionalizzazione, bensí concerne anche il destinatario, che viene sollecitato a porsi in modo nuovo di fronte al
parodiato e, prima ancora, a collaborare al compimento del messaggio, provando un godimento estetico. 11 L'effetto
comico scaturisce infatti dalla voluta non corrispondenza semantica fra parodiato e parodiante, ovvero fra le attese
collegate all'originale dal lettore e la loro delusione/deviazione indotta dalle modificazioni operate dal parodista. 12 Nella
comunicazione posta in essere dalla parodia occorre pertanto distinguere una dimensione retorica, il ricorso ai
procedimenti del linguaggio comico nella strutturazione del testo, e una pragmatica, la reazione che questi provocano
nel ricevente, senza trascurare la variabilità storica e culturale della comicità: il passare del tempo modifica la
percezione del ridicolo, tanto quanto la scala sociale del gusto e l'istruzione. Anche i formalisti russi, quando si tratta di
specificare il funzionamento della parodia, ritrovano una serie di procedure linguistiche e di strategie comunicative
peculiari della comicità: «la meccanizzazione del procedimento verbale può essere realizzata e con una sua ripetizione
che non coincida col piano compositivo, e con l'inversione delle parti [...] e con lo spostamento del significato mediante
un gioco di parole [...] e unendolo a procedimenti che lo contraddicono» (Tynjanov 1921, p. 150, corsivo mio). La
ripetizione, ovvero du mécanique plaqué sur le vivant, per dirla con Bergson (1900), l'inversione o lo scambio delle
parti (dritto/rovescio, alto/basso, maschile/femminile, giovane/anziano etc.), i giochi di parole (dall'equivoco al doppio
senso, dalla semantica dell'eufemismo all'ironia), la decontestualizzazione o l'uso di un contesto incongruo e imprevisto,
sono tutte tecniche del comico, verbale o situazionale che sia. 13 Con ciò è riaffermata l'intersezione della parodia con la
sfera semiotica della comicità e del riso, che non solo non può essere avvertita come limitativa e derogatoria, ma anzi
contribuisce alla sua caratterizzazione.

2. Una teoria sociale del riso, sviluppata da un antropologo italiano che utilizza in modo complementare
paradigmi biologici e culturali, può forse essere applicata alla parodia letteraria e contribuire all’analisi del suo rapporto
con la comicità.14 Poiché l'esperienza mostra che si ride con qualcuno di qualcun altro, è possibile riconoscere in ciò uno
specifico microsistema sociale, articolato su tre ruoli, fra i quali avviene uno scambio di messaggi. Nel ruolo
dell’oggetto di riso, qualcuno, o qualcosa, emette, volontariamente o involontariamente, un messaggio che contiene uno

9Cf. fra gli altri, Donà 1985, p. 164, e Hutcheon 1985, p. 84.
10Cf. Tynjanov 1929, p. 30 e la puntualizzazione di Maria Di Salvo ivi, p. 46.
11«The laughter thus caused is purely aesthetic, i.e. removed from a personal consideration of the author except as he reveals
himself through a distortion of his subject matter and style» (Riewald 1966, p. 131).
12«It makes no difference here whether incongruity has been perceived by the parodist to exist already in the original or whether
only through the deliberate exaggeration and distortion of his original can he demonstrate it. In either case the comic effect of parody
depends on its manipulation of incongruity sometimes to the extent of making it its principle of composition» (Shlonsky 1966, p.
799), ma cf. anche Rose 1979, p. 23, e 1993, p. 31-33.
13Fra i molti lavori in proposito segnalo quello di un linguista: cf. Banfi 1995.
14Mi riferisco, com'è subito chiaro, al libro di Ceccarelli 1988, la cui importanza sembra sfuggita agli studiosi di estetica e
letteratura: ne conosco, finora, una sola applicazione, relativa al Decameron (cf. Savelli 1995).

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stimolo in grado di suscitare il riso; il ruolo di chi ride va considerato in modo plurale, giacché fra coloro che ridono si
stabilisce una comunicazione e un particolare rapporto che prima non esisteva: «nel momento in cui due (o piú)
individui iniziano a ridere di uno stesso oggetto di riso, si stabilisce fra loro un contatto immediato; tutte le barriere di
estraneità cadono subitamente e i due (o piú) individui si sentono collegati in un legame sociale». 15 Si può quindi
affermare che fra i co-ridenti viene scambiato un messaggio di tipo antiaggressivo, antigerarchico e socialmente
coesivo, mentre un messaggio di natura opposta al primo è contemporaneamente rivolto verso/contro l'oggetto di riso,
che viene pertanto a trovarsi in una posizione di inferiorità, in una relazione asimmetrica e gerarchica. 16 Ma che cosa
suscita il riso? Che cosa innesca tutto il processo? Se questa relazione triadica viene creata da uno stimolo ( r) emesso
dall'oggetto di riso, che può essere prodotto senza un intento comunicativo e un destinatario preciso, 17 mentre i
messaggi che corrono fra i co-ridenti e fra questi e l’oggetto sembrano appartenere a un sistema comunicativo
determinato, il problema consiste appunto nel capire se esista un denominatore comune della fenomenologia del risibile,
una struttura invariante di tutti gli stimoli r.
Ora, atteso che la relazione triadica evidenzia un'asimmetria strutturale fra i due poli (co-ridenti vs oggetto di
riso), essa – e quindi anche ciò che la innesca – deve appartenere alla sfera delle interazioni sociali gerarchiche: si può
pertanto postulare che il fattore essenziale dello stimolo r consista in una «inadeguatezza nei confronti di una pretesa
posizione di alto rango» (Ceccarelli 1988. p. 118), ovvero nella manifestazione improvvisa di un’incapacità a
conseguire o mantenere una posizione di prestigio, in altre parole nel passaggio da una situazione di dominanza a una di
subordinazione. Il meccanismo scatenante del riso risulta in qualche modo connesso alla risposta comportamentale
suscitata dall’estraneo, da ciò/chi è diverso da noi: l’etologia insegna che l’estraneo è sempre percepito come
minaccioso – per questo si cerca di tenerlo a distanza – a prescindere dalle esperienze reali negative pregresse, ma in
dipendenza da un programma genetico che si attiva di fronte a tutto ciò che non è (ancora) conosciuto. Quest’ultima
caratteristica (il nuovo, l’insolito, l’imprevisto, l’irregolare, il deforme etc.) appartiene anche a una vasta classe di
‘risibili’: lo stimolo dell’estraneo e quello del riso, fin qui, si sovrappongono; ma se l’incongruità, la stranezza, l’insolito
non sono in grado di confermare per altra via il loro carattere minaccioso, se risultano tutto sommato innocui, se
l’allarme che in un primo momento suscitano si rivela subito dopo fasullo, pretenzioso, infondato, allora la risposta sarà
il riso.
Può sembrare impossibile ridurre tutti gli stimoli capaci di far ridere a un fattore comune cosí semplice –
l’infondatezza di una pretesa di rango o prestigio – ma il concetto etologico di 'meccanismo scatenante innato' 18 fornisce
un valido strumento per decifrare la dialettica fra variabilità e invarianza negli stimoli del riso e il fatto che la stessa
risposta comportamentale sia attivata anche in una situazione artificiale. Infatti, è proprio di questi meccanismi reagire a
configurazioni stimolatorie eterogenee, purché in esse figuri un determinato 'stimolo-chiave', che opera come unico
vincolo in mezzo ad altri fattori in variazione libera; in secondo luogo, purché sia sempre riconoscibile univocamente lo
'stimolo-chiave', è anche proprio di questi meccanismi di reagire a configurazioni prodotte ad arte ('zimbelli'). 19 In
questo caso, cioè se lo stimolo è uno zimbello, deve esservi sorpresa, novità, perché la ripetizione attenua la risposta: il

15Traggo questa citazione da Ceccarelli 2002.


16Cf. Ceccarelli 1988, pp. 88-91: s'intende che, in questa sede, non può essere resa giustizia alla complessità e ai fondamenti
biologico-sociali dell'argomentazione dello studioso.
17Tranne che «nell'arte comica in generale» (Ceccarelli 1988, p. 117): precisazione che fa al caso della parodia, come si vedrà.
18Cioè «nella capacità non appresa o apprendibile (ma l'apprendimento può renderla piú selettiva) di riconoscere una
configurazione specifica di stimoli, con il conseguente, anche se non necessariamente automatico, innesco di una determinata
risposta comportamentale» (Ceccarelli 1988, p. 120).
19Insomma, in presenza di un meccanismo scatenante innato, «lo stimolo chiave funziona altrettanto bene sia che esso si presenti

nella sua forma naturale sia in forme del tutto artificiali» (Ceccarelli 1988, p. 138).

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ruolo dell'apprendimento, infatti, affina e rende piú selettivi i meccanismi scatenanti innati, in modo da non innescare
reazioni quando non è effettivamente necessario. Cosí si può anche spiegare l'influenza della cultura sullo stimolo r, sul
suo riconoscimento, e sulla conseguente risposta, che possono essere variamente modulati dal soggetto percipiente.
L'analisi della struttura socio-comunicativa della relazione triadica, dei messaggi emessi dai co-ridenti e
dall’oggetto di riso, dello stimolo r, ha rivelato che il riso appartiene alla sfera dei comportamenti gerarchici (cf.
Ceccarelli 1988, p. 143): importante però è che «l'inadeguatezza al rango si manifesta nel momento in cui viene
affermata la pretesa ad esso» (ivi, p. 144); sotto il rispetto comunicativo, ciò equivale a un brusco passaggio
dall'emissione di messaggi di dominanza e/o di minaccia (in sigla: Md/Mm), congrui col rango che viene rivendicato,
all'emissione di messaggi di sottomissione (in sigla: Ms), appena la situazione è cambiata in senso sfavorevole. 20 Lo
stimolo-chiave del riso sta dunque in questo improvviso cambiamento o trasformazione di messaggi: nel linguaggio
chiuso e limitato della gerarchia, il repentino viraggio dall'espressione del dominio a quella della subordinazione suscita
il riso, secondo la formula «Pi (Md/Mm) → Ms» (ivi, p. 145), dove il simbolo Pi designa la 'pretesa illegittima' alla
posizione di alto rango, che orienta la corretta interpretazione e la conseguente risposta al rovesciamento semantico dei
messaggi. Il modello euristico qui riassunto prevede che il risibile, ciò che suscita il riso, lo stimolo r, prodotto
dall'oggetto di riso (nella relazione triadica), debba sempre contenere, per essere efficace, uno 'stimolo-chiave', che si
può anche formalizzare; tuttavia l'interpretazione dei messaggi è sempre funzione delle competenze (della cultura) del
ricevente e, in primis, della sua disponibilità a giudicare illegittima o infondata la pretesa di rango dell'oggetto di riso:
piú semplicemente, lo stimolo-chiave deve essere riconosciuto come tale. Il fatto poi che sia in gioco un meccanismo
scatenante innato comporta la validità di quanto osservato non solo per le situazioni naturali, cioè con una effettiva
interazione fra esseri umani reali, ma altresí in condizioni artificiali, come rappresentazioni linguistiche, motti di spirito,
testi teatrali etc., perché «tutto il comico verbale, che utilizza il linguaggio, ha valore di zimbello» (ivi, p. 150). 21

3. Questa teoria (bio)sociale del riso, che riconosce in esso l’universalità di un programma genetico, 22 lascia
aperto il campo ad ogni utilizzazione culturale del riso, in cui, senza esaurirne l’interpretazione, si possa però ritrovare
all’opera, sotto varie forme, lo stimolo-chiave su descritto. Nel caso della parodia, p.es., mi pare del tutto evidente che
essa funzioni come uno zimbello, un costrutto artificiale volto a comunicare un messaggio che reca in sé lo stimolo-
chiave del riso; il parodista mette in scena anzitutto la pretesa del testo parodiato ad un rango elevato (estetico,
letterario, ideologico, morale), che egli giudica illegittima, esagerata, comunque contestabile, quand'anche si tratti di
una posizione gerarchica e di prestigio già riconosciuta, in tutto o in parte, dal sistema culturale di riferimento. Questa
rivendicazione di rango si traduce, sul piano del discorso letterario, in forme e contenuti specifici, in temi, motivi e
stilemi, in elementi di scrittura e in proprietà di genere, che, a diversi livelli di intensità, connotano il testo parodiato ed
equivalgono, in senso semiotico, ai messaggi di dominanza/minaccia, poiché, tra l'altro, concorrono a identificarne ed
evidenziarne la collocazione nel sistema letterario. La parodia applica a questi elementi connotativi del testo contro cui
si indirizza una brusca trasformazione, un viraggio, che, attraverso alterazioni stilistiche, de- /ri- contestualizzazioni,
incongruenze e quant'altro, li fa cadere dal piedistallo, ne riduce e mitiga le pretese, ne contraddice la seriosità, in ultima
analisi li costringe a mutarsi in segni/messaggi di sottomissione: questa operazione, che ha beninteso vari gradienti di
intensità, attualizza lo stimolo-chiave del riso e innesca la relativa risposta comportamentale. Nell’operazione parodica
la pretesa di rango del parodiato viene smontata dal parodiante che la fa apparire infondata. Come il rapido

20Anche questa classificazione dei messaggi deriva dal campo etologico: cf. Ceccarelli (1988, pp. 95-97).
21Come si è ricordato, «uno zimbello è una configurazione stimolatoria schematica, costruita artificialmente e spesso del tutto
diversa dalle configurazioni naturali, che presenta però in modo non ambiguo lo stimolo chiave» (ivi, p. 121).
22 Si veda al proposito tutto il capitolo quarto di Ceccarelli 1988.

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avvicendamento, talora la contestualità, dei segnali di dominanza e di sottomissione, cioè la trasformazione dei segnali
del testo bersagliato ovvero la loro dislocazione in un contesto alieno e contrapposto, è una delle proprietà del testo
parodico che la teoria critica ha sempre ammesso, cosí l'intenzione di negare o di demolire la posizione di prestigio che
il parodiato si arroga non appartiene solo al parodista, ma, per realizzarsi, e innescare il riso, deve essere riconosciuta
dal ricevente, cioè non solo decodificata ma, soprattutto, condivisa a livello ideologico. L'omologia funzionale che si
riscontra, anche se in maniera schematica, fra il meccanismo della parodia e quello del riso, giusta la teoria sopra
esposta, è un'ulteriore conferma di quanto sia arbitrario isolare la parodia dalla comicità. 23

4. Fra gli usi culturali del riso, suscettibili di essere interpretati con l’ausilio di questo modello antropologico, ne
voglio prendere in considerazione un paio che rivestono un certo interesse per lo studio della cultura medievale. Un
contesto a cui si trova frequentemente associato il riso e che il comico letterario, e carnevalesco, sfrutta in molte forme è
rappresentato dall’osceno, inteso come l’insieme degli atti e delle manifestazioni linguistiche che si riferiscono in modo
diretto alla sessualità (e alla scatologia), senza tener conto della censura estetica e sociale che la società applica a questo
dominio dell’esperienza umana. Nessuno negherà che i fatti sessuali siano tanto oggetto di forti e differenziati
investimenti simbolici quanto una componente privilegiata e particolarmente efficace della comicità: quello che conta
però è la maniera di riferirsi ad essi; se, cioè, sono coinvolti in messaggi che contengono lo stimolo del riso, oppure
no.24 È nota, p.es., la consuetudine del risus paschalis, radicata nel costume ecclesiastico tardo-medievale e moderno
soprattutto nei paesi di lingua tedesca, assai apprezzata dal popolo e accolta anche da qualche vescovo, di suscitare il
riso dei fedeli durante la messa pasquale mediante scherzi e buffonate (mimiche e verbali) con esplicite allusioni alla
sfera sessuale.25 Che le ragioni di ciò non fossero solo quelle di attirare i cristiani in chiesa almeno a Pasqua, o di destare
la loro attenzione durante l’ufficio liturgico, o di procurare comunque un divertimento in sintonia con la fine della
Quaresima pare evidente: il modello mitico-rituale cosí riattivato ha radici remote e la sua persistenza nella liturgia
potrebbe anche suggerire una diffusa percezione popolare dell’intima solidarietà fra piacere fisico, riso e gioia
spirituale.
Non c’è solo la continuità di tradizioni parafolkloriche di festeggiamenti, con canti, balli, schiamazzi, parodie,
risa, consumazione di cibi e bevande, e indecenze varie, che si svolgevano all’interno dei luoghi sacri, in occasione di
cerimonie religiose, e con la partecipazione di ecclesiastici, 26 a offrire un contesto coerente col risus paschalis, ma c’è
anche uno specifico modello mitico-rituale che presenta oscenità e riso in rapporto a una situazione culturalmente
comparabile a quella della Pasqua cristiana: una crisi divina risolta con un ritorno alla vita, mediato dal riso. Nell’Inno
omerico a Demetra (circa VI secolo a.C.) si racconta come la dea, afflitta per il ratto di Persefone ad opera di Ade, si
recasse ad Eleusi nel palazzo reale, restando in silenzio, in piedi finché la serva Iambe le mise davanti uno sgabello:
«allora Demetra sedette e fece scendere il velo sul viso. Restò lí muta per lungo tempo, immersa in profonda tristezza,
senza dire una parola o fare un gesto. Senza sorridere, senza prendere cibo o bevanda, sedeva pensando con dolore alla
figlia, finché l’arguta Iambe riuscí con burle e scherzi a strappare dapprima un sorriso alla sacra Signora e poi a farla
ridere e a far tornare la serenità nella sua anima.» 27 La dea in lutto, che non sorride, è scossa dai motteggi di Iambe, che
23 Altrove (cf. Bonafin 2003) ho cercato di verificare il funzionamento dello stimolo-chiave del riso nel poemetto parodistico
antico francese sul Voyage de Charlemagne (XII secolo).
24 «Per lo scatologico la situazione è più semplice, e in genere le funzioni escrementizie hanno in sé qualcosa di degradante, in
special modo se rivelate pubblicamente, sia pure con variazioni di intensità diverse a seconda del modello culturale.» (Ceccarelli
1988, p. 164)
25 Una descrizione, basata su testi già noti, e un’interpretazione in chiave di legittimazione religiosa del sesso in Jacobelli 1990.
26 Su parodia e cultura medievale mi permetto di rinviare alla sintesi contenuta nel capitolo quarto del mio libro: cf. Bonafin
2001.
27 Utilizzo la fedele parafrasi di Kerényi 1989, I, p. 218.

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nelle versioni posteriori hanno i caratteri del discorso osceno e del turpiloquio rituale: il riso di Demetra segna l’uscita
dalla condizione precedente.28 Nella versione orfico-alessandrina del mito (circa II secolo d.C.) la dea è ospite di Baubo,
una contadina di Eleusi, che le offre il ciceone (una bevanda d’orzo e menta), ma ella rifiuta di berlo per non rompere il
digiuno del lutto; allora Baubo, sentendosi offesa, si solleva la veste e mostra provocatoriamente i suoi genitali alla dea,
che si mette a ridere e accetta anche di bere. 29 L’interpretazione antropologico-culturale di questi testi s’impernia sul
valore da attribuire al gesto di denudamento (anasyrma) e al riso: non si tratta infatti di evidenze isolate, perché racconti
in qualche modo analoghi si incontrano in Egitto (circa 1160 a.C.) e in Giappone (circa 720 d.C.), ma altresí perché
possono essere contestualizzati sia in un ambito di violazione rituale del tabu (esibizioni ed enunciazioni oscene) sia in
rapporto a un uso rituale del riso, come segnale/fattore di rinascita in cerimonie di iniziazione. 30 Che tanto l’esplicito
richiamo al sesso, quanto la funzione del riso possano essere decifrati come evocazioni di una ‘potenza’ della vita in
grado di risolvere una situazione di crisi, oggettivata nel lutto della divinità, ma anche correlata a culti agrari di fertilità,
è senz’altro plausibile e può benissimo spiegare i significati reconditi del risus paschalis;31 tuttavia è proponibile anche
una spiegazione dei racconti di Iambe e Baubo come attualizzazioni dello stimolo r. 32 Le parole che Iambe indirizza a
Demetra – e che sono state messe in rapporto anche con ingiurie rituali (i gefirismi) – possono equivalere a messaggi di
minaccia, tanto piú se includono un’evocazione della potenza legata al sesso, che tuttavia si ‘sgonfiano’ subito, patendo
una brusca degradazione, perché provengono da un soggetto di rango inferiore alla dea (un’ancella), la cui presunzione
di intimorire si rivela quindi infondata e suscita il riso di Demetra; identica struttura ha il racconto di Baubo, in cui è
addirittura indicato che la donna produce l’esibizione della sua vulva quasi per risentimento nei confronti del rifiuto di
accettare il ciceone da parte della divinità e quindi con un’esplicita valenza di minaccia: ma anche qui il messaggio
contiene, involontariamente, lo stimolo del riso, il viraggio che tradisce l’inadeguatezza della pretesa, perché il
dislivello gerarchico fra le due protagoniste è incolmabile.33

5. «La principale azione carnevalesca è probabilmente la burlesca incoronazione e successiva scoronazione del
re del carnevale. Questa cerimonia si incontra sotto qualche forma in tutte le feste di tipo carnevalesco: […] Alla base
dell’atto rituale della incoronazione e scoronazione del re è il nucleo stesso del senso carnevalesco del mondo, il pathos
delle sostituzioni e dei mutamenti, della morte e del rinnovamento. […] Chi viene incoronato è l’antipode di un vero re,
uno schiavo o un buffone, e ciò sembra quasi rivelare il mondo alla rovescia del carnevale. Nel rito dell’incoronazione
tutti i momenti del cerimoniale stesso, i simboli del potere, che vengono consegnati e attribuiti all’incoronato,
l’abbigliamento, di cui egli viene rivestito, diventano ambivalenti, acquistano una sfumatura di gaia relatività, diventano
quasi teatrali […]. Attraverso l’incoronazione fin dall’inizio s’intravede la scoronazione. […] allo scoronato si tolgono
le vesti regali, si leva lo scettro, si strappano gli altri simboli del potere, lo si schernisce e lo si batte.» (Bachtin 1968,
pp. 162-63) Se Bachtin ha ragione di vedere nel rito di incoronazione/scoronazione del re del carnevale la quintessenza
di una cultura comica popolare che nel Medioevo è convissuta con la cultura seria dominante, allora non si può non
riconoscervi un’ulteriore utilizzazione del programma genetico del riso; l’avvicendamento dei segni della

28 Cf. Di Nola 1984, p. 26.


29 Per un’analisi dettagliata che tiene conto delle differenti versioni cf. Di Nola 1984, pp. 29ss..
30 Cf. ancora Di Nola 1984, pp. 51ss., ma anche Propp 1975.
31 E può gettare luce anche su gesti analoghi (‘risurrezioni’ causate da denudamenti), magari parodici, che affiorano in testi
medievali come Aucassin et Nicolette (cf. Liborio 1991) , Audigier (cf. Lazzerini 2003), Unguentarius (cf. Jakobson 1958); ma di ciò
in altra sede.
32 Anche Di Nola 1984, p. 90 ammette che «l’ipotesi piú facilmente applicabile ai casi in questione è quella che il riso esprima
qui, a livello fisiologico, un processo interiore di degradazione delle cause del fattore ansiogeno e angosciante derivante dalla crisi».
33 Si conferma anche che lo stimolo del riso incorpora il meccanismo dell’estraneo (v. sopra): la minaccia dell’estranea
Iambe/Baubo non può essere corroborata da alcunché e si rivela pretenziosa e ridicola.

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detronizzazione a quelli dell’incoronamento corrisponde al viraggio dei messaggi di dominanza in quelli di


sottomissione, nello stimolo-chiave emesso dall’oggetto di riso, che in questa circostanza sottolinea piú che mai
l’inadeguatezza al rango (lo schiavo-re, l’umile in trono). Che tutto questo avvenga in modo preordinato, rituale, in una
messinscena, conferma il ruolo determinante degli ‘zimbelli’, delle simulazioni, nell’attivare il meccanismo scatenante
innato del riso. E l’effetto socializzante, antigerarchico del riso carnevalesco corrisponde bene alla relazione che si
stabilisce fra i co-ridenti, che, anche senza una conoscenza preliminare, superano l’estraneità o i confini che li separano,
vivono un’intensificazione del riso (un abbassamento della soglia di innesco), nel momento in cui riconoscono di avere
in comune l’oggetto della loro risata. Ma, di là dalle indubbie referenze etno-culturali (rituali di inversione di status
etc.)34, ci si può chiedere quale modello di scena di incoronazione burlesca la cultura medievale potesse avere
immediatamente presente nella propria memoria.
«Allora i soldati del governatore condussero Gesú nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte.
Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una
canna nella destra; poi, mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: “Salve, re dei Giudei!”. E sputandogli
addosso gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo cosí schernito, lo spogliarono del
mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.» (Matteo, 27, 29-31) 35 È dubbio che un
cristiano riconosca a prima vista in questa messinscena lo stimolo del riso, ma è certo che esso vi sia e funzioni almeno
per i soldati romani. Il rito di incoronazione/scoronazione non potrebbe presentare in modo piú rapido il
capovolgimento dei segni della dominanza in quelli della sottomissione, che manifestano l’illegittimità della pretesa
superiorità di Gesú; dapprima gli vengono conferite le insegne del rango reale, il mantello scarlatto, un semplice
mantello militare ma di colore rosso allusivo della porpora che per i romani è distintivo di autorità e potere, 36 la corona,
ma fatta intrecciando ramoscelli spinosi, l’umile canna al posto dello scettro, con cui viene poco dopo percosso sul
capo; i soldati si genuflettono passandogli davanti, ma nel salutarlo re dei Giudei risuona forte il tono derisorio; 37 quindi
gli tolgono rapidamente le medesime insegne regali e lo rivestono dei suoi umili panni per condurlo alla crocifissione. 38
Il contesto del rito farsesco di incoronazione/scoronazione non può che rinviare nella tradizione romana alle feste dei
Saturnali e all’elezione di un saturnalicius princeps; s’intende che una lettura teologica del passo evangelico, a cui non
mi sento autorizzato, potrebbe condurre a risultati diversi. 39 Tuttavia, che la cultura medievale, e il sottoinsieme
costituito dalla cultura carnevalesca, avessero interiorizzato in profondità questa ‘scena archetipica’ appare
indiscutibile; piuttosto, verrebbe da ipotizzare che l’abbiano interiorizzata in modo diverso. La cultura ufficiale della
Chiesa, forse incapace non solo di riconoscere, ma nemmeno di percepire in essa la teatralità e la rappresentazione dello
stimolo-chiave del riso, ne ha enfatizzato la dimensione tragica, irrigidendosi nello scandalo per il trattamento
34 Ne ho trattato nel capitolo terzo del mio libro: cf. Bonafin 2001.
35 «Tunc milites praesidis suscipientes Iesum in praetorium, congregaverunt ad eum universam cohortem, et exuentes eum,
chlamydem coccineam circumdederunt ei, et plectentes coronam de spinis, posuerunt super caput eius, et arundinem in dextera eius.
Et genu flexo ante eum, illudebant ei, dicentes: Ave rex Iudaeorum. Et expuentes in eum, acceperunt arundinem, et percutiebant
caput eius. Et postquam illuserunt ei, exuerunt eum chlamyde, et induerunt eum vestimentis eius, et duxerunt eum ut crucifigerent.»
La traduzione italiana citata è tratta dalla Bibbia di Gerusalemme.
36 Nei sinottici infatti si trova purpura (Mc 15, 17) e veste purpurea (Io, 19, 2); cosí anche nel vangelo apocrifo di Pietro (III, 7),
che leggo nella traduzione di Marcello Craveri 1990, p. 292.
37 Nell’apocrifo di Pietro non manca una farsesca intronizzazione: «lo fecero sedere sul seggio del tribunale, dicendo: Giudica
con equità, re d’Israele!» (III, 7; ibidem).
38 Le osservazioni di Bachtin citate in apertura di questo paragrafo forniscono (inconsapevolmente?) il miglior commento
letterario di questa scena della Passione di Gesú.
39 «Per l’evangelista, l’immagine del figlio dell’uomo considerato dalle forze di questo mondo come un re da burletta si
capovolge nell’altra immagine di un “re dei giudei”, anzi di un “re del mondo” che schernisce i vari simboli della regalità di questo
mondo.[…] perciò questa scena burlesca, in un momento cosí tragico, significa anche che la chiesa rinnegherà il suo fondatore ogni
volta che per lei i simboli della regalità di questo mondo non siano oggetto di scherno, ma vengano presi seriamente in
considerazione, come fanno questo mondo e i suoi padroni.» (González-Ruiz 1973, p. 243).

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MASSIMO BONAFIN

irriverente inflitto a Nostro Signore. Si è impedita in tal modo la consapevolezza dell’intima ambivalenza della scena,
che in una prospettiva religiosa irride ai sovrani terreni, ai loro simboli, alla loro pretesa di durata. La cultura comica
popolare l’ha invece a tal punto metabolizzata da disseminarla come asse strutturale in tutte le proprie espressioni,
conferendo piú in generale al riso tanto una legittimazione quanto una sorta di implicita sacralità; 40 il riso carnevalesco
riesce allora a trasporre dialetticamente i saturnali pagani in una dimensione cristiana che tuttavia percorre carsica,
marginale e conculcata il Medioevo fino ad affiorare poi a tratti, mai egemonica, nell’età moderna.

MASSIMO BONAFIN – UNIVERSITÀ DI MACERATA


(Convegno HOMO RISIBILIS, Siena, 2002)

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40 Trovo considerazioni affini sparse nel volume di Berger 1999 che propone una socio-teologia del comico.

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MASSIMO BONAFIN

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