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Alessandro Mongili

TECNOLOGIA E SOCIETÀ

INTRODUZIONE

La sociologia studia la tecnologia da oltre trent’anni, concentrandosi sul modo in cui questa
viene fatta e usata, non solo sugli effetti che induce sulla società. Gli studi sociali sulla
tecnologia si concentrano sulle sue forme di esistenza, cioè osservando una pluralità di
attori, discorsi, informazioni e la cooperazione sociale che li caratterizza.

Approcci tradizionali
● la tecnologia sorge da logiche che prescindono dal contesto sociale: il suo sviluppo
parte da una idea geniale e si possono studiare solo la sua diffusione o rigetto
● modello lineare della tecnica: si sviluppa attraverso un processo per stadi, inerziale,
dalle fasi di ricerca alla diffusione commerciale dei prodotti.
● separazione netta fra uomo e macchina (discutibile) e fra scienza e tecnica
● La tecnologia è intesa come un’applicazione dei fatti scientifici (discutibile)
● Le nuove tecnologie sono interpretate come artefatti statici, che si diffondono in
ambienti dinamici: le modifiche degli artefatti dovute all’incontro con chi li usa sono
solo adattamenti ingegneristici

Si dovrebbe parlare piuttosto di tecno-scienza: le negoziazioni sociali producono un limite


interpretabile fra scienza e tecnica, parte di un’unica istituzione sociale che contiene imprese
simili, distinte solo per convenzione. La scienza si affida ad apparati sperimentali, ovvero
artefatti tecnici; specularmente, la tecnologia è costruita sulla base di conoscenze
scientifiche. Inoltre, le realizzazioni della tecnologia vengono valutate in base alla loro
efficacia e possesso, caratteristiche che occorre spiegare (non proprietà intrinseche delle
macchine).

Consumo degli oggetti tecnologici


Per Touraine il consumo è conflitto: resistenza dei movimenti sociali all’induzione di nuovi
bisogni tecnologici da parte dell’industria.
Per Bourdieu gli oggetti assumono significato in quanto in relazione con un “insieme di
posizioni sociali” (logica della distinzione sociale). Gli attori sociali fanno parte di un gioco
con ruoli prestabiliti, che condizionano l’adozione o meno degli oggetti tecnici.
In entrambi i casi si dà per scontata la distinzione fra tecnologia e società.
Globalizzazione: i dispositivi sono fenomeni determinati che impattano la società, esterna
allo sviluppo tecnologico.
Sociologia della tecnica
Le idee tradizionali rimandano ad un divario fra contenuto tecnico e contesto sociale; la
sociologia della tecnica spiega invece contesto e contenuto come fenomeni parte di uno
stesso processo. Include quindi nel campo di indagine ogni aspetto di questo ibrido per non
perdere di vista la componente tecnica delle relazioni sociali e analizzando i processi sociali
contenuti nella tecnologia per comprendere appieno quest’ultima.
Le tecnoscienze hanno sempre un carattere situato, specifico e risultano analizzabili proprio
grazie a questo carattere non universale e alla compresenza di attori di natura eterogenea
(anche non umani), composizione in cui le mansioni in questo insieme di partecipanti si
associano e sostituiscono. Come gli oggetti non possono esistere al di fuori della società,
nessuna società può funzionare senza poggiare su materiali e tecnologia; ogni mediazione
fra persone, cose, persone e cose si compie attraverso strumenti tecnici che comprendono
in sé questo insieme eterogeneo di attori (almeno simbolicamente).

Azione con strumenti


Il significato attribuito alla tecnologia varia nel corso del suo uso. Secondo la sociologia della
tecnica non ci sono attori con un ruolo privilegiato nei processi socio-tecnici: tutti gli attori,
incluso l’artefatto tecnologico, sono conseguenze e non antecedenti del processo stesso.
L’attività tecnologica esiste solo a causa della convergenza di questi attori eterogenei, non è
isolata, puramente tecnica.
L’azione con strumenti è l’attività che caratterizza i rapporti sociali, configurando sistemi in
cui uomini e tecnologie convergono o divergono. Anche le società premoderne non erano
selvagge: producevano tecnologie in modo analogo alla società odierna, solo senza creare
catene di associazioni articolate come quelle attuali. Il punto forte di queste lunghe catene
sono gli artefatti, gli oggetti creati in laboratori e imprese, che si articolano in ogni contesto
locale entrando a far parte della routine di ognuno di questi: questa articolazione è
caratterizzata da negoziazioni di vario tipo (anche violente) e comporta una costante
ridiscussione dei ruoli di ciascun attore.

Approccio SCOT (Social Construction of Technology)


Vede l’evoluzione tecnologica come costruita e in rapporto non gerarchico con la scienza; dà
inoltre un carattere prioritario agli interessi sociali, fattore fondamentale per la formazione ed
evoluzione tecnologica. Lo sviluppo tecnologico è quindi un processo sociale.
In ogni gruppo sociale gli artefatti tecnici vengono interpretati in modo diverso, venendo
integrati nella scienza già presente; ogni interpretazione è condivisa all’interno di un gruppo,
sia questo una categoria professionale, un gruppo di utilizzatori, di finanziatori o di qualsiasi
altro tipo.

Approccio ANT (Actor-Network Theory, Teoria Attore-Rete), Latour


Si critica l’asimmetria dell’approccio SCOT, che dà per scontata la dimensione sociale
interpretando le dinamiche sociali come forze causali stabili ed esterne al processo
socio-tecnico. Infatti, Latour ritiene che anche le istituzioni sociali sono conseguenze di
eventi e strategie eterogenee all’interno delle istituzioni stesse. Considera anche in modo
distinto gli oggetti tecnici, veri e propri attori non-umani in quanto diffondendosi in luoghi
anche distanti sono inseriti all’interno dei processi sociali e associano attori appartenenti a
mondi diversi.
L’attenzione si pone quindi non sulle condizioni e fattori dei mutamenti tecnici, ma sul
processo stesso, sul concetto di “attore-rete”, ovvero sui legami fra le diverse entità, le
associazioni fra scienza, tecnica e società: ogni attore delega ad altri mansioni e doveri
attraverso negoziazioni di cui non si può prevedere il risultato. Gli attori sono entità instabili,
che ridefiniscono mutuamente i propri ruoli; il mutamento tecnico è anche mutamento
sociale e i progetti tecnici possono avere successo solo se le varie entità coinvolte si
“piegano” ai ruoli revisti.
CAPITOLO 1
TECNOLOGIE COME ARTICOLAZIONI

Il processo sociotecnico come “traduzione”


Le esperienze socio-tecniche si situano nei contesti locali della vita quotidiana e al tempo
stesso li uniscono attraverso il riferimento ad un oggetto. La tecnologia è quindi sia un
fenomeno ubiquo sia reticolare, diffuso; le reti tecniche congiungono locale e globale
insinuando in set locali diversi pratiche, strumenti, documenti che riguardano sia oggetti
tecnici sia elementi culturali.
Oggetti, informazioni e classificazioni vengono trasportate da un contesto all’altro attraverso
una serie di trasformazioni e adattamenti: per articolare la rete tecnica occorre modificare di
continuo il tipo e qualità di legami fra i diversi attori della catena di associazioni. Da Latour,
queste modifiche costitutive del processo socio-tecnico si definiscono traduzione.

Interessi
Il dispositivo tecnico muore o scompare se nell’incontrare nuovi gruppi non traduce le loro
esigenze in interessi compatibili con la sua diffusione, traducendo quindi anche queste
esigenze. Gli interessi dei gruppi sociali devono essere interpretati da chi costruisce i
dispositivi: non sono semplici condizioni che determinano i processi, anzi prodotti dei
processi stessi in quanto vengono da questi interpretati, ricostruiti e talvolta creati. Il
dispositivo deve poi modificare la propria parte non-umana per rispondere a questi interessi
dei gruppi presenti nella propria rete, perciò la traduzione si svolge in ogni contesto del
reticolo, in ogni nodo.

Progetto
Ogni dispositivo, per poter essere usato da un nuovo gruppo, deve essere modificato;
tuttavia deve mantenere degli aspetti comuni in ogni contesto, rimanendo “fedele
all’originale”, creando dei punti fermi del processo di traduzione.
Si parla quindi di progetto iniziale: una sceneggiatura preliminare che prevede dei fini, una
determinata morfologia sociale e una psicologia che colleghi l’oggetto a sentimenti e
passioni (Latour): ogni progetto tecnico contiene un progetto sociale. Questo progetto, come
ogni punto della rete, non ha un ruolo stabile: la traduzione continua ad essere un processo
collettivo, in cui gli oggetti tecnici sono composti da tutti gli attori coinvolti nella rete.

Arruolamento
Se l’interessamento ha un esito positivo si parla di arruolamento di una entità all’interno del
reticolo: un insieme di ruoli, di mansioni è assegnato ad una entità e questa lo accetta,
definendo in modo preciso i ruoli all’interno di un dispositivo tecnico.
esempio: gestione dei rifiuti

Negoziazione
Anche nel caso di un effettivo arruolamento, ad esempio per la complessità di alcuni ruoli,
possono verificarsi conflitti e riconfigurazioni dei ruoli stessi. In queste negoziazioni entrano
in gioco sia il ruolo delle varie entità sia le identità degli attori coinvolti e i loro valori: in
questo lavoro di riconfigurazione dei ruoli sociali occorre passare attraverso la condivisione
e negoziazione di definizioni e classificazioni. Questa negoziazione avviene spesso tramite
intermediari (data l’ampiezza dei reticoli), portavoce dei vari gruppi e identità: i portavoce
degli umani sono i loro leader, quelli delle macchine sono esperti dotati di saperi riconosciuti.

Mobilitazione
Nel processo socio-tecnico tutte le entità vengono trasposte e rappresentate in ogni set del
dispositivo, cioè mobilitate. La mobilitazione è un arruolamento che si trasforma in sostegno
attivo, facendo circolare le entità in ogni set attraverso un processo continuo di traduzione, di
azione coordinata in ogni nodo della rete.
Tutto questo avviene attraverso la costante modifica del dispositivo stesso, delegando
compiti che prevedono una continua ri-progettazione e ri-trasformazione in oggetti
tecnologici. La difficoltà nel creare reti di controllo può essere affrontata creando figure
esperte o delegando altre funzioni ad un oggetto tecnico: diventa quindi difficile distinguere
le componenti della rete se non attraverso il ruolo che ricoprono all’interno del dispositivo.

Dialogo e significato
Come evidenzia Lotman, il meccanismo elementare della traduzione è il dialogo: uno
scambio con interruzioni (non un processo continuo come inteso nel “trasferimento delle
tecnologie” dei modelli lineari) di negoziazioni intorno a classificazioni e standardizzazioni.
Queste classificazioni possono formarsi solo in un lavoro collettivo: è impossibile coordinare
un’attività umana senza riferirsi a terminologie comuni, significati condivisi, riadattati
all’interno delle varie culture, e l’articolazione stessa del significato è una pratica situata e
distribuita in uno specifico contesto.

La cultura secondo Clifford Geertz


I sistemi culturali sono sistemi interconnessi di segni interconnessi. Questi segni ricavano il
proprio significato non da sistemi di regole astratte ma dal loro uso: La costruzione di
significati condivisi è legata ad una interpretazione particolare dell’uso e dell’oggetto.
I testi di una cultura (discorsi, standard tecnici etc) attraverso l’uso del linguaggio riordinano
comportamenti, credenze, e oggetti in una struttura di significati e li interpreta assegnando
loro delle qualità, costruendo quindi socialmente i modi in cui si fa esperienza degli oggetti
stessi. In modo simile, nella sociologia delle tecnoscienze la dimensione culturale si riferisce
ai testi e informazioni tenute assieme dall’azione degli attori che le condividono, a partire dai
significati degli oggetti che nascono dal loro uso, uso di carattere situato.

Michail Bachtin
In ogni discorso agiscono le intenzioni dell’autore, le sue strategie sociali, il repertorio
culturale dei significati e il pubblico a cui è diretto. I significati appartengono quindi alla sfera
sociale e non possono essere analizzati come fenomeni linguistici ma solo come ibridi:
l’informazione non si può isolare dal contesto sociale, geografico e storico, non è scambiata
in modo neutro attraverso la comunicazione. L’informazione è discorsiva, scambio fra
parlante e destinatario che ricoprono tali ruoli in quella interazione specifica.
Questa interazione è l’unico aspetto della realtà a cui un osservatore ha accesso:
nell’analizzare un progetto tecnico, anche conoscendo già gli attori in esso coinvolti e ogni
altro possibile fattore non è possibile prevedere l’esito del processo stesso, poichè si
costituisce nell’interazione coinvolgendo ogni attore e ogni sua identità.
Non esiste un enunciato che non sia dialogico; questo aspetto ha enorme importanza nella
contemporaneità, favorendo l’espansione dei “reticoli lunghi”.

Gestire ibridi in mondi sociali diversi


Muovendosi all’interno dei reticoli, gli attori non danno importanza alle separazioni date per
scontate dalla sociologia tradizionale (come quella fra scienza pura e scienza applicata, o fra
scienza e tecnologia).

Articolazioni
La potenza delle tecnoscienze sta nella capacità di delegare, distribuire e allineare
moltissimi elementi diversi attraverso lo sviluppo di una cultura fatta di classificazioni e
standardizzazioni. Parte di questo lavoro di articolazione è l’adattamento continuo ad
anomalie inaspettate, svolto facendo circolare oggetti tecnici, classificando,
standardizzando, distribuendo compiti e ripartendo il lavoro collettivo (aspetti che in ogni
luogo possono essere facilmente integrati oppure rappresentare anomalie ed emergenze),
rideterminando i contesti stessi.
Dato il carattere eterogeneo dei dispositivi e la loro composizione in reticoli, sono necessari
modelli di progettazione e gestione che permettano all’articolazione di superare la tensione
fra i significati locali specifici e la necessità di coerenza generale del reticolo. Questo può
avvenire attraverso la standardizzazione e lo sviluppo di oggetti liminari.

Le organizzazioni liminari sono entità artificiali messe in atto dal ceto politico nell’illusione di
poter gestire lo sviluppo tecnologico, ma non riescono ad imporre le misure volute e
finiscono per essere attori aggiuntivi senza uno status privilegiato. Hanno più importanza gli
standard di dati al tempo stesso flessibili e stabili, i protocolli per la condivisione di dati, i
metadati, le classificazioni e informazioni standardizzate (cioè strutture tecniche
possibilmente uguali per tutti). Questi strumenti fanno da collante per i dispositivi tecnologici,
al tempo stesso coerenti e ma appartenenti a mondi sociali diversi.

Questi processi caratterizzano la gestione delle traduzioni multiple, mentre nei discorsi si
creano due poli ontologicamente distinti, ovvero “umani” e “macchine”. Il problema in questo
è che le catene di associazioni distribuiscono ruoli e mansioni indifferentemente ad attori
umani e non-umani: il rischio è che, per questa visione dicotomica, gli intermediari
istituzionali fra i due ambiti assumano un’importanza eccessiva e che si oscuri il carattere
ibrido e processuale del fenomeno sociotecnico.
All’esistenza degli ibridi si accompagna una costante attività di creazione e mantenimento di
un discorso sull’essenza delle cose, che purifica e legittima le esistenze ibride per renderle
accettabili all’interno dei discorsi di senso comune. La tecnologia è un costrutto sociale
instabile, in quanto basato su pratiche ibride, e questa purificazione può avere conseguenze
negative. Nel lavoro, anche contraddittorio, delle traduzioni multiple si costruiscono ibridi e
allo stesso tempo si rappresentano essenze: si definiscono le ontologie, ma si legittima
anche l’essenza ibrida dei dispositivi sviluppati intorno ad una struttura di standard e
classificazioni frutto delle negoziazioni tra attori eterogenei.
Molteplicità e convergenza
Il concetto di “mondo sociale” viene sviluppato dall’interazionismo simbolico per descrivere
l’agire in comunità tipico delle società contemporanee: i mondi sociali (Becker) sono insiemi
di persone che cooperano per un fine. Non sono comunità totalizzanti, ma forme di routine
diversificate per i gruppi di appartenenti: i diversi membri accedono a porzioni di regole in
base a ciò che è necessario per i loro compiti, parte del lavoro collettivo. Ognuno di questi
mondi è definito dalle attività di routine dei suoi membri, non da una struttura od
organizzazione, ed è relazionato agli altri mondi sociali, da cui cerca di distinguersi.
I mondi sociali non sono i terminali di strutture globali, né sono passivi nell’articolazione degli
artefatti: generano informazioni e strumenti anche con forme di adattamento.

Nella sociologia della tecnica sono importanti le finalità dell'azione socio-tecnica: alle attività
è attribuito lo scopo di “stabilire o mantenere una tecnologia particolare o un insieme di
soluzioni tecnologiche, e con esse un insieme di relazioni sociali, scientifiche, economiche e
organizzative” (Bijker). I mondi sociali servirebbero quindi a stabilizzare le relazioni della vita
sociale. Molti studiosi, più che al lavoro collettivo, sono interessati alla finalità che riguarda
forme di ordine sociale e il ruolo di attori “principali” al loro interno.
Dal punto di vista metodologico, gli approcci SCOT e ANT vengono criticati per aver
descritto e analizzato i fenomeni socio tecnici assumendo un punto di vista dominante
(gruppi sociali rilevanti, “costruttori” di sistemi). L’alternativa a questa analisi finalistica, che
dà per scontato il primato di un punto di vista sull’altro, è l’analisi ecologica: analizzare i
fenomeni considerando i punti di vista di tutti gli attori coinvolti, senza assegnare primati;
adottare un approccio sincronico, più concentrato sui processi collettivi che sui loro esiti.

L’approccio ecologico si discosta da molti studi sulle tecnoscienze, focalizzati sui problemi di
successo o fallimento. Riflette piuttosto sui mondi sociali come formazioni che non
determinano l’azione individuale, i cui gradi di appartenenza possono variare e che non
producono identità monolitiche: si ha un legame fra le appartenenze multiple, la possibilità
delle reti socio tecniche e il pluralismo del sé (già intuito da Latour). Ogni attore può essere
un semplice e marginale utilizzatore di un dispositivo tecnico oppure avere un’identità per
esso centrale; allo stesso modo, ogni oggetto tecnico può essere centrale o marginale in
ogni mondo sociale che attraversa.
La molteplicità è una regola nelle reti sociotecniche, costituite da attori eterogenei, ruoli
residuali, oggetti liminari che collaborano fra loro; persone, informazioni e cose compongono
un insieme che non può essere analizzato in modo parziale in quanto collaborano ad uno
stesso processo. Oggi qualsiasi importante progetto tecnoscientifico dipende dalla gestione
di collaboratori e gruppi di lavoro anche distanti fra loro. Il lavoro cooperativo, collaborativo,
collettivo fra i diversi attori della rete è quindi più importante da analizzare di un percorso
finalistico.
L’approccio ecologico propone di ricostruire le vicende tecniche considerando ogni punto
della rete come collegato agli altri; in questa rete sociotecnica, vi è un sistema di relazioni fra
nodi diversi e ognuno di questi è un punto di passaggio obbligato, a prescindere dalla sua
identità e precedenti posizioni. Ogni punto è centrale per tutto il sistema. Questa visione:
● corrisponde maggiormente al carattere delle attività tecniche
● svaluta il ruolo della finalizzazione
● contrasta le visioni dell’utilizzatore delle tecnologie come giudice del loro esito (gli
utilizzatori sono, come chiunque altro, punti di un reticolo)
Le interazioni fra persone e cose creano rappresentazioni, che vengono poi interpretate; lo
stesso scambio esistente fra persone e cose è possibile grazie a un sistema informativo
condiviso, poiché ogni informazione, per poter essere scambiata, deve essere parte di un
modello informativo condiviso, dove vengono classificate e standardizzate. Il lavoro di
classificazione e standardizzazione è quindi centrale nei sistemi informativi e nelle
tecnologie dell’informazione. Gli appartenenti ai vari gruppi sociali possono cooperare solo
se possiedono e condividono uno stesso sistema di classificazione (o standardizzazione),
che come ogni altra risorsa appartiene anche al gruppo o ambiente sociale stesso.

Gli artefatti informativi innervano i mondi sociali e i mondi sociali intersecano i sistemi
informativi; il processo ricorsivo in cui sistemi informativi e mondi sociali si intersecano ed
evolvono viene chiamato convergenza. Per convergenza si intende una stratificazione di
soluzioni, convenzioni e standard che alcune persone ritengono ovvie, mentre per altre sono
estranee. Ponendo l’accento sulla convergenza invece che sulla stabilizzazione:
● si può analizzare ogni associazione sociotecnica a prescindere dal suo esito,
includendo quindi i moltissimi fenomeni sociotecnici senza risultati stabili
● nel fenomeno del lavoro collettivo non è tanto necessario raggiungere un consenso,
quanto attribuire significati convergenti o concilianti agli artefatti

Esempio: i database e la loro interoperabilità


“Il mondo che viene esplorato scientificamente diventa sempre più strettamente legato al
mondo che può essere rappresentato nelle teorie di qualcuno e nel suo database: e un tale
mondo è sempre più facilmente riconosciuto come il vero mondo” (Bowker)

Attori e oggetti compositi


Cose e persone sono marginali perché appartenenti a mondi sociali diversi, nei quali gli
artefatti mediano l’azione: norme, istituzioni, gruppi sociali vengono quindi ridefiniti in modo
diverso ogni processo, la loro essenza è variabile. “Umani e non umani prendono forma
ridistribuendo le competenze e le performance della moltitudine di attori che tengono
attaccati e che li tengono attaccati” e questo rende possibile la tecnologia.

In ambito ANT, questa visione è limitata da


● la stabilizzazione come esito del processo sociotecnico: tutte le entità reclutate
accettano il ruolo loro assegnato e sono quindi identificabili in base ad esso
● l’importanza attribuita al progettista, con la capacità di associare al proprio progetto
attori provenienti da mondi diversi

L’approccio ecologico critica in particolare l’idea di stabilizzazione, a cui oppone le


naturalizzazioni multiple così come oppone le appartenenze plurime all’identità. La
stabilizzazione rappresenta sì una finalità dei processi sociotecnici, ma è un evento raro
rispetto agli esiti multipli e alle naturalizzazioni plurime.
Negli approcci SCOT e ANT il processo sociotecnico si conclude con la definizione di un
ruolo per ogni attore, mentre secondo l’approccio ecologico non si possono trovare identità
coerenti, unitarie e perfettamente corrispondenti alle aspettative di ruolo prodotte
dall’evoluzione dei processi sociotecnici. Le identità unitarie non possono avere rilevanza:
solo le identità plurime possono essere integrate nei processi non totalizzanti, come quelli
sociotecnici. In questi processi l’attore (con le proprie competenze, capacità) può rinegoziare
i propri elementi costitutivi perché non ha di contorni fissi: l’attore è malleabile e proprio
quando cambia “stato”, quando assume nuove proprietà si ha innovazione.
Gli oggetti, a differenza degli umani, non presentano problemi di appartenenza e coscienza:
cambiano solo procedendo verso la propria realizzazione e naturalizzazione (anche se
precaria). Per questo è più facile delegare mansioni alle macchie, che assumono funzioni
difficilmente accettabili dagli umani per vari motivi. Sono quindi il mezzo migliore per
mantenere assieme una rete sociotecnica.

Gli oggetti tecnici hanno un contenuto politico, legato alla traduzione della loro esistenza in
deleghe e azioni: sono elementi attivi che organizzano le relazioni fra gli uomini e fra loro e
l’ambiente, sono insomma degli intermediari che possono determinare quali attori sono
ammessi o esclusi da certe attività. Possono anche contenere prescrizioni legate all’etica e
alla morale (esempio: cintura di sicurezza).
Il ruolo politico è ancora maggiore nelle infrastrutture informative che rendono possibile
l’attività tecnoscientifica (classificazioni, standardizzazioni, database), perché incorporando
sistemi di classificazione includono ed escludono varie entità all’interno delle loro classi.
CAPITOLO 2
TECNOLOGIA E SIGNIFICATI

Quasi tutti gli studiosi concordano sul fatto che l’oggetto tecnico e il suo significato si
costituiscono a vicenda in un legame non gerarchico ma ricorsivo.

Problemi di significato
Gli oggetti vengono considerati come tecnologici o meno a seconda del punto di vista e delle
finalità degli attori che attuano questa classificazione, non è possibile individuare in modo
netto, indiscutibile una distinzione fra ciò che è tecnologico e ciò che non lo è (es. attribuire
cause di un guasto all’uomo o alla macchina). La tecnologia assume un significato,
distinguendosi da altre categorie di oggetti, sulla base dell’uso: è un termine indessicale,
cioè legato al contesto in cui viene usato.

Questa pluralità di significati e discorsi è normale in ogni esperienza sociale e interpretativa,


e viene bilanciata da tentativi di sviluppare dei “linguaggi unitari” che limitano il pluralismo di
interpretazioni.
Secondo Bijker questi tentativi hanno un ruolo centrale nel funzionamento dei processi
sociotecnici (es. bicicletta e artefatti simili: per gruppi di utilizzatori diversi corrispondono
artefatti diversi, non esiste un solo criterio per giudicarne l’efficacia, sicurezza, attrattività
etc). In questa fase di “flessibilità interpretativa” coesistono diverse interpretazioni degli
oggetti, portando a conflitti, controversie e negoziazioni che producono accordi, abbandoni e
spostamenti su altri oggetti: ogni vicenda tecnologica può avere esiti diversi in base alle
interpretazioni che influenzano il suo sviluppo.
Tutte le regole, convenzioni, interpretazioni date per scontate sono prima state negoziate:
ogni istituzione sociale attraversa quindi questa fase di flessibilità interpretativa, poiché ogni
ordine sociale è un ordine negoziato.

Istruzioni per l’uso


Considerare i problemi di significato che si generano nell’uso è importante per
● evidenziare l’esclusione strutturale, in alcune visioni, di chi appartiene alla categoria
di “profano”
● dare una rappresentazione realistica del processo sociotecnico
● capire le trasformazioni materiali e interpretative degli oggetti, di perché mutano e
perchè si riconfigurano in continuazione
Ogni progetto tecnico prevede l’uso dell’artefatto, una delle ragioni principali per la sua
esistenza: ogni oggetto tecnico contiene disposizioni d’uso dirette verso un fruitore ipotetico.
Questo uso ipotetico, previsto, immaginato accompagna l’oggetto tecnico anche prima della
sua distribuzione sul mercato.
Alla progettazione di un artefatto si accompagna quindi la progettazione di un suo contesto
d’uso, che Madeleine Akrich chiama copione o sceneggiatura. Questo copione definisce il
rapporto fra un dispositivo materiale e il suo uso, prevede due attori principali nella messa in
scena: l’oggetto e il suo utilizzatore. L’utente previsto e l’utente reale possono però differire.
Devianza e rivolta
Ogni progettazione si trova di fronte degli utenti da educare all’uso di un nuovo oggetto, che
spesso non risponde in modo adeguato al programma d’azione (si surriscalda, ha
malfunzionamenti…). L’insieme di questi comportamenti “sovversivi” rispetto al programma
vengono chiamati da Latour “antiprogramma”.
L’antiprogramma spinge i progettisti a tornare sull’oggetto per modificarlo, tenendo in
considerazione le obiezioni che questo ha incontrato: si possono modificare l’oggetto tecnico
oppure i modi d’uso prescritti (cambiando ad esempio la delega delle varie funzioni), tramite
negoziazioni fra il progettista, gli utilizzatori, l’oggetto e il copione. L’insuccesso infatti non è
dovuto a resistenze o arretratezza degli utenti, ma all’incapacità del programma di azione di
integrare questo antiprogramma e le sue richieste, ad una mancata ibridazione con i mondi
con cui è entrato in contatto. La devianza, intesa come trasgressione alla convenzionalità
tecnica, non è quindi una qualità dei devianti ma “il prodotto di un processo che implica le
reazioni di altre persone ad un determinato comportamento” (Becker).

Le deleghe per l’uso dei diversi elementi di un oggetto e il comportamento degli utenti
possono variare nel tempo. Ad esempio, l’uso dei computer nel tempo si è diffuso a gruppi di
utilizzatori con una cultura tecnologica minima; si è quindi delegato alla progettazione la
creazione di un’interfaccia fra macchine e utenti, lasciando il più possibile all’hardware e
software i compiti tecnici previsti dal copione. Si arriva oggi persino a tailoring e
customizzazione, adattando l’artefatto all’utilizzatore.
In altri casi, al rapporto fra progettisti e utilizzatori si può aggiungere anche una cultura
professionale oppure una socializzazione di genere (esempio: maneggiare macchinari con
destrezza, capacità legata all’idea di virilità).

I processi tecnici non si somigliano quasi mai fra loro, e possono avere un ruolo decisivo sia
il management del progetto sia la resistenza delle macchine, la comunicazione e altri aspetti.
Occorre quindi adottare un approccio ecologico, che non privilegi un attore specifico a priori.
Può inoltre sembrare che la flessibilità interpretativa debba portare alla stabilizzazione
dell’oggetto intorno ad un solo significato, ma i processi sociali non hanno come finalità un
equilibrio fra le parti né mirano a risolvere contraddizioni.

Tecnorama
Per “cultura tecnica", Bijker intende un “insieme condiviso di problemi considerati critici,
obiettivi, strategie di problem solving, procedure di verifica, teorie di riferimento, criteri
progettuali e saperi tecnici”. In ogni discorso, anche all’interno di una comunità caratterizzata
da una cultura tecnica precisa, entrano però in gioco anche l’intenzionalità degli attori, il
pubblico a cui ci si dirige, i criteri di giudizio che vengono assunti come riferimento e non
solo il repertorio di significati a disposizione.
Il ruolo del quadro tecnologico va quindi rivisto: nel processo tecnologico intervengono
problemi legati ai giochi di potere, all’inefficienza burocratica, disaccordi e conflitti che
aumentano l’incertezza. Oltre a ciò, anche le standardizzazioni e codificazioni delle
informazioni seguono principi diversi all’interno della varie organizzazioni.
Secondo Akrich, un progettista fa diverse ipotesi sugli elementi del mondo in cui andrà ad
inserirsi un certo oggetto: le prescrizioni di uso di tale oggetto collocano quindi il suo
ipotetico utilizzatore all’interno di un contesto che contribuiscono a disegnare (il contesto
viene rimodellato dai progettisti attraverso le azioni assegnate a uomini e macchine).
Queste aspettative devono essere tradotte in comportamenti e oggetti materiali, definendo
una continua negoziazione che porta al cambiamento degli oggetti tecnici e alla definizione
dei mondi sociali e delle identità. Chi vuole innovare deve quindi modificare sia l’oggetto sia
il contesto in cui si inserisce.
Il rapporto fra un oggetto tecnico e il contesto non è passivo: corrisponde ad una
contestualizzazione attiva, da cui anche il contesto può uscire modificato.
CAPITOLO 3
IL CONTESTO DELLE TRADUZIONI

Più che una precondizione dei processi, la contestualizzazione ne è un esito: i processi


tecnici incorporano, producono e ricreano strutturazioni più generali, che fanno quindi parte
del processo stesso. Non esiste un ambiente “esterno” ai processi analizzati, se non come
insieme di istituzioni e processi che non hanno nulla a che fare con il processo stesso e che
non rientrano quindi nella sua analisi.

Il quadro tecnologico
Quali sono e che ruolo hanno i vincoli strutturali, i fattori che condizionano lo sviluppo
tecnologico? Secondo Bijker, il principale condizionamento dello sviluppo tecnologico sono
le culture tecniche: gli obiettivi condivisi, i problemi considerati cruciali, le euristiche da
seguire per risolverli, le teorie di riferimento etc, oltre a ciò che ci si propone di rimpiazzare
con l’oggetto, gli artefatti di riferimento per il suo successo e i saperi taciti condivisi.
Nessun quadro tecnologico determina da solo l’evoluzione tecnica, ma forma gruppi sociali,
offre loro un lessico e solo all’interno di questi processi sociali si configura un artefatto. Il
quadro tecnologico porta gli attori a problematizzare ogni artefatto secondo un punto di vista
preciso, anche a seconda del grado di inclusione al suo interno (livello di adozione del
quadro tecnologico stesso).

In una rete sociotecnica può dominare un solo quadro tecnologico, può coesisterne più di
uno o ancora essere assente un quadro preciso. Inoltre, il quadro tecnologico può non
definire le interazioni di una comunità di pratica (gruppo sociale rilevante all’interno della rete
sociotecnica), poiché è fondamentale anche l’adesione ad una tradizione di pratiche
articolata localmente.
Non esiste un rapporto definito tra strutture e azione, ma piuttosto fra processi ed esiti; fra
strutture, attori, pratiche che vengono create insieme e si sostengono le une con le altre.

Ricreare il contesto
Il contenuto delle culture tecniche è stato solo di recente incluso nelle analisi delle scienze
sociali. Molti studiosi sostengono che nelle società contemporanee non si può parlare di
distinzione fra cultura e natura, fra mondo sociale e tecnica: è più appropriato parlare di
natura/cultura e di associazioni sociotecniche per descrivere gli ibridi chiamati tecnoscienze.
La scienza moderna stessa è un insieme diffuso di pratiche locali più che una universale.

Lo studio dei fenomeni tecnologici ha portato gli studiosi a focalizzarsi sugli ibridi, formulare
analisi e descrizioni che evidenziano la creazione contestuale degli oggetti e dei loro
contesti: ogni dispositivo tecnico ingloba al proprio interno elementi che prima gli erano
estranei - o si contestualizza o muore. Computer e cellulari, pur possedendo analogie e
convergenze tecniche, si sono contestualizzati in modi diversi dimostrando la diversità e
l’imprevedibilità dei processi sociotecnici.

Seguendo i processi sociotecnici possiamo notare solo la produzione simultanea di un


oggetto e del suo contesto (cioè di un intero dispositivo sociotecnico), per questo la
distinzione fra società e tecnica è arbitraria.
Nel processo di contestualizzazione si ridefiniscono anche i saperi sociali, che vengono
anche usati per legittimare il processo stesso (discorsi sulla società, interpretazioni degli
interessi degli attori, saperi specializzati come quello giuridico, economico etc). La creazione
di infrastrutture informative è fondamentale, poiché conduce alla formazione di questi saperi
condivisi, ma anche difficile, perché tali infrastrutture devono essere articolate localmente e
sempre in modi diversi.

Il successo di un artefatto si può spiegare proprio in relazione alla sua messa in contesto,
che obbliga a modificarlo e a ricreare la società in alcuni suoi elementi, situati all’interno del
dispositivo tecnico.
I rapporti fra ogni elemento del dispositivo (tecnici e non) si sovrappongono senza seguire
delle finalità chiaramente individuabili, sono reversibili e hanno vari livelli di stabilità: la
contestualizzazione non si muove in modo univoco verso il successo o il fallimento, ma un
fenomeno che si accompagna alla decontestualizzazione.

Ancore e ponti temporanei: gli oggetti liminari


Gli oggetti tecnici circolano in mondi sociali diversi, creando legami non solo con gli usi ma
anche con la condivisione di saperi e la creazione di relazioni. L’oggetto tecnico è sia un
elemento di raccordo sia uno strumento di potere: impone le normatività e i saperi che
accompagnano la sua esistenza.
Negli approcci ANT e SCOT, lo status di un oggetto è comunque connesso alla sua stabilità,
considerato una “scatola nera” che gli attori non modificano né nella sua materialità, né negli
usi né nelle identità che questo conferisce agli attori coinvolti.

Star supera la visione evolutiva e finalistica (che considera gli oggetti tecnici in base alla loro
stabilizzazione) definendo gli artefatti come oggetti liminari, dei punti di passaggio obbligati
che permettono alle reti sociotecniche di esistere in quanto luoghi di attività cooperativa.
Secondo Star,
“Gli oggetti liminari sono oggetti sia abbastanza plastici da adattarsi ai bisogni locali e alle costrizioni
imposte dalle diverse parti che li impiegano, sia abbastanza robusti da mantenere un’identità comune
attraverso i luoghi. Sono debolmente strutturati nell’uso comune, e diventano strutturati in modo solido
nell’uso che se ne fa nei singoli luoghi. Questi oggetti possono essere astratti e concreti. Essi hanno
significati diversi nei mondi sociali differenti, ma la loro struttura è abbastanza comune a più di un solo
mondo, tanto da renderli riconoscibili come strumenti di traduzione”.
Star non sottolinea una funzione stabilizzatrice degli oggetti ma il fatto che nei vari mondi
sociali assumono diversi significati. L’oggetto assume forme stabili in ogni mondo sociale,
ma queste forme non saranno identiche fra loro: il tipo di naturalizzazione è multiplo e non
coerente. Di conseguenza è difficile applicare un progetto tecnico senza sviluppare una
base relazionale per il suo sviluppo, che deve avvenire attraverso negoziazioni locali e
aggiustamenti imprevedibili.
L’identità molteplice degli oggetti liminari, robusta e plastica, permette loro di entrare in
mondi diversi ed essere naturalizzati diversamente nei vari luoghi pur restando riconoscibili
grazie ad una parte “robusta” che nella pluralità di contesti non si dissolve. L’oggetto
liminare è tale perché contiene informazioni standardizzate e classificazioni che limitano le
interpretazioni locali.

Gli oggetti tecnici sono oggetti liminari, esistono ai margini dei mondi sociali e li collegano. Il
loro modo di esistenza sono le traduzioni multiple - sono riconoscibili in modo stabile da tutti,
ma mantengono una certa plasticità e sono naturalizzati in modo diverso in ogni comunità di
pratiche. Queste naturalizzazioni multiple sono gestite attraverso la creazione di repertori
standardizzati di informazioni, che rimangono integre mentre l’oggetto circola.
L’esistenza degli oggetti liminari a naturalizzazione multipla è possibile solo in una
particolare ambientazione tecnica o ecologica, che in questa ottica è più importante delle
loro storie evolutive (con al centro progetto, attore principale e finalità tecnica). Al loro
interno, gli artefatti includono prescrizioni e definizioni di ruolo che si oppongono al
programma di azione e vengono definite attraverso negoziazioni.
Secondo l’approccio ecologico, non è la finalità a permetterci di interpretare l’agire collettivo,
ma le convenzioni (come classificazioni e standard) che forniscono le basi su cui gli attori
possono sviluppare un lavoro cooperativo. Sono quindi gli indici standardizzati a permettere
questa cooperazione, non il successo di un artefatto o un ordine sociale da raggiungere.

Classificazioni e standard
Classificazioni e standard sono un nucleo di saperi comuni che permettono di mantenere
coerenza nelle traduzioni multiple: gli attori limitano la loro cooperazione ad entità specifiche
ben definite. In questo modo non si limitano solo i partecipanti (attraverso i loro portavoce)
ma si semplificano anche gli elementi tecnici.

Negli approcci ANT e SCOT si fa riferire lo sviluppo dei processi sociotecnici a


stabilizzazione, chiusura, trasformazione in scatole nere, come se queste finalità fossero
retroattive in ogni negoziazione e fornissero spiegazioni adeguate ai processi.
In realtà, il lavoro di classificazione e standardizzazione è l’attività che permette agli oggetti
liminari di essere costruiti e circolare. Queste pratiche sono intrise di burocrazia,
caratterizzate da un continuo lavoro di archiviazione e conservazione dei dati. Classificare i
dati significa produrre classi che interpretino in modo univoco l’essenza dei dati e ne
favoriscano l’integrazione: produrre classi permette ai dati di circolare fra culture locali ma
significa anche creare standard detti anche metadati. La formazione di metadati è legata alla
scienza moderna: la raccolta e organizzazione di dati sono uno strumento di gestione per
ogni impresa tecnoscientifica.

I database sono negoziabili e nella loro costruzione non è possibile una totale neutralità,
perciò avvengono ripetuti fallimenti nella formazione di database integrati e in una sperata
interoperabilità che non viene mai raggiunta. Lotman individua come unica possibilità di
esistenza delle traduzioni in contesti diversi lo scambio di porzioni discrete, con interruzioni
fra loro: nega il carattere continuo e processuale di ogni realtà concreta nel momento in cui
viene trasposta.
Bowker e Star sostengono che “ogni standard e ogni categoria valorizzano qualche punto di
vista e ne passano sotto silenzio altri. Si tratta di una cosa di per sé non negativa, ma alla
quale non si può sfuggire. Esiste dunque una scelta etica da compiere”, che non è negativa
ma pericolosa. La discretizzazione si fonda sul lavoro di classificazione e di creazione di
elementi standardizzati determinati dal tipo di classificazione adoperata; ogni classificazione
opera una metamorfosi, incorpora oggetti materiali, naturali, sociali all’interno di discorsi
culturali e li deve rinominare secondo regole di conformità al contesto di arrivo.

Esistono, secondo Bowker, due modalità classificatorie principali:


● Particolarità: classificare gli oggetti sulla base del loro legame con un’origine,
rappresentando la diversità in un’unica rappresentazione classificatoria. specie ed
eventi singoli sono tendenzialmente insignificanti.
● Implosione: si attribuisce un valore ad ogni oggetto classificato, in base alla presenza
di quote del principio di classificazione al suo interno. Si fanno “precipitare” più
registri su una sola unità di valutazione, un principio astratto che prevale su ogni
qualità dell’oggetto. Scompare così ogni contesto e storia, appiattendo gli oggetti sul
presente.
Entrambe queste modalità eliminano registri, contesti, eventi: le qualità degli oggetti sono
riferite solo ai principi classificatori, gli oggetti sono definiti secondo la loro essenza e non la
loro storia o ecologia.

Ogni sistema classificatorio decide cosa rappresentare, e al tempo stesso cosa non
rappresentare, cosa dimenticare e come dimenticarlo. Ad esempio, i sistemi di
classificazione tecnoscientifici eliminano aspetti affettivi, religiosi, ed estetici dell’esistenza
includendo solo aspetti calcolabili e lineari.
La realtà naturale, materiale, sociale e tecnica subisce una metamorfosi (da esterno a
riconoscibile) una volta che viene filtrata e purificata dai sistemi di classificazione. Questo
processo di metamorfosi è fondamentale nelle catene di associazioni delle tecnoscienze e in
ogni forma della conoscenza umana, ma è un processo che porta alla perdita di conoscenza
delle parti escluse dalle classificazioni, che provoca sofferenza e induce gli individui a
costruire identità personali insoddisfacenti e oppressive.
Questo è evidente in relazione alla costruzione dell’identità in presenza di malattie croniche:
il corpo, medicalizzato, subisce un sapere classificatorio che “localizza” la malattia sul corpo
o su sue parti creando uno spazio della malattia che diventa anche uno spazio di identità,
poiché è il corpo del paziente ed egli, in quanto malato, è costretto a vivere questa
dimensione corporea riducendo o eliminando la dimensione biografica della propria identità.

Gli oggetti liminari possono essere compresi solo all’interno dell’infrastruttura normativa che
accompagna la loro esistenza, che è multipla in quanto legata a traduzioni e naturalizzazioni
plurime. Queste infrastrutture sono composte da standard e dati ordinati secondo principi di
classificazione invisibili, dati per scontati e al tempo stesso costruiti localmente.
Questo processo è conoscitivo ma anche performativo: agisce nei mondi sociali come un
attore non-umano. Seleziona entità e le trasforma in elementi discreti, perdendo complessità
ed elementi considerati estranei, producendo esclusione in quanto si insinua nei processi di
socializzazione e nello sviluppo di appartenenze e di identità personali.
Infrastrutture normative
L’oggetto liminare abita mondi sociali diversi: è plastico nell’adattarsi alle realtà locali, ma
abbastanza forte da mantenere un’identità comune; ha significati localmente diversificati ma
resta riconoscibile; è uno strumento che incorpora accordi fra i mondi sociali in cui circola,
favorisce cooperazione e collaborazione.
Questo ibrido tecnico sarebbe incompleto senza il proprio nucleo di classificazioni e
standard, essenziali per queste collaborazioni. È un ibrido materiale (oggetto liminare) e al
tempo stesso astratto (infrastruttura informativa).

Gli artefatti informativi (database e altre raccolte ordinate di dati) collegano contesti
eterogenei attraverso alcuni caratteri ideal-tipici.
Le classificazioni (sistemi che suddividono gli oggetti in classi secondo alcuni principi)
● Hanno un unico principio ordinatore in ogni sistema di classificazione
● Hanno categorie esclusive le une rispetto alle altre
● Si sovrappongono al mondo che vogliono descrivere (sono complete)
Gli standard (dimensione operativa delle classificazioni, insiemi di regole condivise)
● Possono essere usati in diverse comunità di pratica, tempi e luoghi
● Possono essere sottoposti a norme legali
La distinzione fra classificazioni e standard è formale: ogni classificazione può essere
standardizzata e ogni standard retroagisce imponendo forme di classificazione.
Le infrastrutture informative (connessione fra classificazioni, standard, organizzazioni etc)
● Sono costituite da molti elementi stratificati ma usati in modo integrato e diretti ad
utilizzatori diversi fra loro (storicità)
○ Sono composte da molti strati di standard, classificazioni, accordi tecnici,
modi d’uso (modularità) e perciò difficilmente possono essere modificate per
intero, perché ogni cambiamento deve essere integrato con gli altri strati
○ Si appoggiano su basi infrastrutturali precedenti, ereditando forze e limiti
● Contengono routine di tipo organizzativo e tecnologico su vasta scala e a loro volta
sono incorporate in altre strutture tecnologiche o sociali
● Sono un insieme di compromessi negoziati storicamente ma una volta naturalizzate
(istituzionalizzazione) diventano invisibili, date per scontate, sfondo delle interazioni
correnti

La strutturazione dei dati in classificazioni e standard è centrale in ogni processo


sociotecnico. Riguarda soprattutto i metadati e le informazioni che trasmettono
(denominazioni, esclusione strutturale di oggetti, procedure di denominazione, raccolta, uso
dei dati, utilizzatori attesi). Però queste infrastrutture non si sovrappongono all’esistenza:
lasciano fuori elementi non classificati o standardizzati, che però hanno importanza anche
nell’esperienza sociotecnica.

Le strutture informative costituiscono quindi il telaio delle comunità di pratica, dei mondi
sociali, degli oggetti tecnici, che a loro volta le costituiscono, convergendo gli uni con le altre.
L’approccio ecologico si distingue per assumere questa molteplicità come livello primario di
analisi dei processi sociotecnici (assegnato invece dagli approcci ANT e SCOT alle strategie
di un attore o alla stabilizzazione degli artefatti).
Conoscenze tacite
Le infrastrutture informative descrivono un sapere che non coincide con la realtà che
vogliono rappresentare. Esistono conoscenze tacite, che corrispondono cioè a saperi
informali, che restano inespresse in quanto difficilmente verbalizzabili. Queste conoscenze
sono oscurate da sistemi classificatori e standard, ma sono essenziali per il successo delle
realizzazioni tecniche in quanto importanti nella socializzazione dei neofiti a mestieri e
tecniche, ai nuovi membri di una comunità di pratica.
A differenza dei saperi espliciti, le conoscenze tacite non possono essere codificate: sono
abilità umane, corporali che non possono essere comprese in repertori, manuali e quindi
circolare fra mondi sociali diversi. I saperi taciti variano nelle diverse situazioni locali e si
diffondono difficilmente.

Questi saperi si trasmettono da persona a persona e, non potendo essere descritti in termini
discreti, è difficile trasferirli agli oggetti tecnici, limitando la delega agli artefatti. Se si
interrompe la catena umana in cui vengono trasmessi è facile perdere questi saperi: in
assenza di interazioni faccia a faccia le conoscenze tacite non possono essere copiate, ma
solo ricreate, divergendo dai saperi originali.
CAPITOLO 4
UNA TECNICA ONNIPOTENTE?

Chiusura e stabilizzazione
Gli approcci ANT e SCOT danno risalto ad una fase dei processi sociotecnici in cui l’oggetto
tecnico non è più al centro di conflitti e negoziazioni, diventando invece un punto stabile per
le interazioni. Questa è la fase di naturalizzazione degli artefatti, che Bijker differenzia nei
processi paralleli di chiusura e stabilizzazione.
La chiusura è la fine della coesistenza di diverse interpretazioni, facenti capo a gruppi sociali
rilevanti, e la formazione di un consenso generale; la stabilizzazione è il rafforzamento del
nesso fra l’evoluzione della forma materiale dell’artefatto e le sue interpretazioni, nesso che
rafforza l’unità della rete sociotecnica in ogni sua componente.

Le traiettorie di sviluppo degli artefatti vengono ancorate alla cooperazione degli attori
coinvolti, prima conflittuale (flessibilità interpretativa) e poi consensuale (chiusura). Gli
studiosi SCOT individuano momenti anche plurimi di chiusura e stabilizzazione nelle storie
evolutive degli oggetti tecnici, piuttosto che un modello evolutivo per stadi.
Il consenso sul significato di un artefatto (interpretazione condivisa della sua efficacia e
utilità e dei processi produttivi) ha un effetto e un ruolo politico: consolida la preminenza del
gruppo che ha imposto la propria interpretazione, diventando gruppo centrale di una rete. La
chiusura si estende quindi dall’artefatto al suo contesto.

Nella visione ANT ci si concentra meno sull’interpretazione: il processo di innovazione


termina quando il dispositivo tecnico non è più discusso nel suo assetto e nelle sue
conseguenze, le ipotesi tecniche e sociali che hanno accompagnato la progettazione
vengono naturalizzate e trasformate in descrizioni considerate veritiere.
Un artefatto si diffonde nello spazio e dura solo grazie all’azione collettiva di una rete di
attori, producendo come esito la trasformazione dell’artefatto, della struttura interpretativa e
dell’insieme di relazioni sociali consesso, in una scatola nera immutabile: la sua apertura è
impedita dalla sua naturalizzazione, secondo l’immagine del blackboxing.

Secondo Latour, più occorre tenere assieme elementi eterogenei e più si ricorre ad
automatismi e artefatti che assorbano ruoli complessi; le macchine diventano sempre più
complesse a loro volta. Se non hanno la capacità di ibridarsi, gli artefatti falliscono o
regrediscono allo stato di progetto.
Gli artefatti stabilizzati sono irriducibili per gli attori e poco malleabili anche per gli esperti: ii
progetti si trasformano in macchine date per scontate, intese come strumento naturale per
l’agire. Sono quindi scatole nere che oltre a componenti tecniche contengono relazioni
sociali, prescrizioni morali, accordi tra attori, deleghe di mansioni: rendono stabile questo
insieme di elementi facendolo agire come un dispositivo unitario in tempi e luoghi diversi.
Imporre l’artefatto progettato come un punto di passaggio obbligato di un'intera catena di
associazione ne assicura il successo, rappresentando la chiave di stabilizzazione e
chiusura.
Stabilizzazione e chiusura sono ormai un topos dell’interpretazione del fenomeno tecnico,
anche se su questi concetti ci sono molti dubbi. Il timore è che si producano visioni
naturalistiche dello sviluppo tecnologico e che si dia senso ai processi in base ai loro esiti,
con discorsi finalistici dalla scarsa utilità sociologica. Molte ricerche mostrano la rilevanza del
carattere sociologico dei processi, più che della finalizzazione: il problema dei processi non
è il successo o insuccesso dei prodotti, quanto il riuscire a lavorare in un reticolo eterogeneo
e a conservare integro il nocciolo informativo mentre questo circola.
Il lavoro cooperativo che coinvolge gli artefatti è il fulcro dei processi. La compresenza di
diverse immagini dell’oggetto, del suo uso e rilevanza può coesistere con la sua
circolazione; l’importante non è che si crei una comunità intorno all’artefatto, ma che
l’infrastruttura informativa (dati e standard) resti integra in ogni comunità di pratica. Se gli
attori vogliono cooperare attraverso mondi sociali diversi, devono conciliare questi diversi
significati degli oggetti riducendo le differenze di interpretazione e lavorando sul dispositivo
tecnico che li unisce, tramite negoziazioni, richieste e controrichieste. Questa partecipazione
degli individui a diversi mondi sociali in cui i dispositivi sono naturalizzati diversamente può
richiedere la frammentazione del proprio sè.
Si può quindi parlare di naturalizzazione multipla, di processi differenziati di chiusura e
stabilizzazione e di legami labili fra identità, appartenenze e traduzioni multiple. La trama di
attori, persone, cose e processi è troppo complessa per essere bloccata per sempre in
forme stabilizzate.

Malleabilità e inerzia
Intendere i dispositivi come scatole nere irriducibili significa vederle come insiemi coesi, con
mansioni delegate a umani e macchine in modo stabile il cui controllo è assicurato da attori
strategici. Una volta che il dispositivo tecnico è stabilizzato agisce come una struttura
regolare: rendere nuovamente malleabile un artefatto vuol dire disfare questa intera rete
sociotecnica, per riaprire la scatola nera.
L’analisi dei database dimostra però che questi non riescono a saldarsi in sistemi
standardizzati e ubiqui, a causa del carattere disordinato delle tecnoscienze: si creano solo
ordini locali di insiemi di dati. Creare un dispositivo tecnico è insomma un processo
complesso, impossibile da gestire razionalmente conducendolo ad un fine unico, e
l’irriducibilità tecnologica si riferisce solo ad alcuni momenti di questo processo disordinato e
controverso.
La crescita e durata del sistema si riferisce sia alle sue componenti tecniche sia a quelle
organizzative, economiche e sociali: i sistemi tecnologici vivono nel lavoro di articolazione e
traduzione nei diversi mondi sociali, nella trasformazione di interessi, ruoli e dell’oggetto
tecnico stesso. La resistenza del sistema tecnoscientifico è dovuta alla sua incorporazione
nei comportamenti degli attori sociali, alla sua naturalizzazione; quello che sembra inerzia è
in realtà un insieme incessante di attività eterogenee.

L’espansione della tecnologia è legata al fatto che il successo alimenta il successo, grazie
alla diffusione di abilità di uso di una certa tecnologia, alla loro naturalizzazione, alle
economie di produzione, ai legami con altre tecnologie etc. I dispositivi alimentano il proprio
successo attraverso l’immaginario che generano e il meccanismo della profezia che si
autoavvera: le aspettative per il successo futuro sono parte dell’affermarsi di una tecnologia,
in quanto determinano le attese nei suoi confronti da parte di attori rilevanti guidando quindi
le loro decisioni e investimenti.

Negoziare i confini
Dato che ogni fattore esterno influisce sulla storia di un artefatto, questi fattori dovrebbero
essere arruolati all’interno della relativa catena di associazioni.; di fronte ad intese e accordi,
al lavoro di cooperazione, i confini fra ciò che è tecnico e sociale si sfumano.
Resta importante capire dove, come e quando vengono posti i confini di ciò che in un certo
momento si definisce come tecnica piuttosto che scienza o società. Questi confini
permetteranno di circoscrivere i corrispondenti mondi sociali e costruire collegamenti tra il
dibattito specialistico e l’immagine pubblica. Questa definizione è una definizione che
agisce: è performativa, e perciò rappresenta un atto politico.

Attraverso gli usi che sviluppa e i ruoli che impone agli attori che si relazionano con esso,
l’oggetto tecnico stesso funge da confine fra i diversi mondi e tra la tecnica e altre attività.
PER RIASSUMERE

Cap. 1- Tecnologie come articolazioni


● I processi sociotecnici agiscono come traduzioni di artefatti, interessi, gruppi e
conoscenze fra set locali collegati in un’associazione sino a formare un dispositivo
tecnico. Nelle traduzioni il dispositivo si articola in set diversi, contando su punti di
passaggio obbligati che lo rendono più stabile.
● I ruoli delle entità coinvolte non sono definiti a priori, ma si determinano come
conseguenza delle traduzioni. Il loro carattere ibrido è contrastato da interpretazioni
che tendono a differenziare le parti solo-tecniche dalle altre, e che assegnano ad
ogni entità qualità viste come connaturate.
● Tali entità si articolano in mondi sociali diversi, ed è difficile scorgere un punto nodale
e un fine generale. Sono policentriche e gli attori rilevanti sono molteplici. Si tratta di
un’azione collettiva e di un lavoro cooperativo sviluppati da una pluralità di attori.
● Il dispositivo tradotto si adatta in modo differenziato in ogni contesto locale: le sue
naturalizzazioni sono multiple ma convergenti con gli altri set locali sulla base della
condivisione dell’oggetto e dei saperi che ne permettono la manipolazione. Fra questi
saperi sono centrali le classificazioni e gli standard.
● Il mutamento tecnologico è possibile poiché gli artefatti e gli attori umani non sono
fenomeni unitari, ma corrispondono a insiemi di competenze e di performance
assemblabili secondo diverse configurazioni.

Cap. 2 - Tecnologia e significati


● L’oggetto tecnico e i suoi significati sono costitutivi uno dell’altro. I significati sono
indessicali, cioè legati ai contesti d’uso.
● Nell’evoluzione degli oggetti è importante la loro flessibilità interpretativa, che fa capo
ai diversi gruppi sociali rilevanti per ogni singolo processo sociotecnico.
● Gli utilizzatori hanno un ruolo importante nell'evoluzione tecnologica perché sono in
grado di contrastare le mansioni assegnate dai progettisti e di costringerli a
modificare i loro programmi d’uso. Il risultato di queste mediazioni fra progettisti e
utilizzatori è chiamato copione (o sceneggiatura) tecnico.
● Sia il contesto d’uso sia le culture tecniche, nel corso dei processi sociotecnici,
subiscono torsioni e possono essere riconfigurati.
Cap. 3 - Il contesto delle traduzioni
● Le culture tecniche e i quadri tecnologici forniscono il contesto culturale principale ai
processi sociotecnici. Non sono però condivisi allo stesso modo da tutti.
● Perché l’innovazione abbia successo, non basta modificare gli artefatti, ma anche
ricreare il contesto. Questo avviene attraendo nel dispositivo tecnico entità estranee
di qualsiasi origine, e conferendo loro un ruolo e mansioni. In questo senso, non
esiste un ambiente esterno, ma un insieme di elementi eterogenei arruolati all’interno
del dispositivo.
● Fra le entità e i mondi sociali tradotti all’interno del dispositivo, gli oggetti tecnici
fungono da raccordo, da oggetti liminari: abbastanza plastici da adattarsi ad
articolazioni diverse, ma in grado di contenere un nocciolo duro informativo che
rimane inalterato nelle traduzioni. In ogni set locale, essi si inseriscono in un
ambiente particolare, che costituisce la loro ecologia.
● Il nocciolo duro è costituito da insiemi di classificazioni e standard condivisi e dati per
scontati. Questi insiemi hanno una funzione conoscitiva e determinano esclusioni, in
quanto sono costruiti sulla base di interpretazioni tassonomiche della realtà che
vengono applicate in ogni situazione.
● Oltre alle conoscenze formalizzate, sono importanti anche i saperi taciti. Difficilmente
traducibili e spesso impliciti, condizionano la realizzazione dei progetti e limitano
l’appartenenza e la partecipazione ai processi.

Cap. 4 - Una tecnica onnipotente?


● I dispositivi tecnici raramente raggiungono una fase di stabilità, corrispondente alla
loro naturalizzazione negli usi e nelle interpretazioni. Chiamata stabilizzazione o
scatola nera, questa fase corrisponde alla stabilità dell’artefatto ma anche di ogni
relazione sociale e di ogni fatto scientifico compreso nel dispositivo tecnico.
● Ogni dispositivo tecnico è dunque irriducibile (se stabile) ma anche malleabile (in tutti
gli altri stati di esistenza). Ciò è dovuto proprio al fatto che è costituito da entità
multiple sulla base di accordi contingenti e locali. Molti studiosi contestano il fatto che
la stabilizzazione si estenda ad ogni elemento o entità che converga sul processo
sociotecnico, soprattutto perché si tratta di un fatto raro, mentre la normalità delle
tecnoscienze è caratterizzata da un continuo mutare dei dispositivi.
● È difficile indicare un confine che racchiuda nettamente gli elementi solo-tecnici dagli
altri elementi del dispositivo tecnico. Tuttavia, si assiste spesso, nel corso dei
processi sociotecnici, ad attività che tendono a stabilire - almeno nei discorsi - questi
confini come definiti. Anche se si tratta di un lavoro con esiti precari, quella dei
confini è una definizione che agisce, che ha conseguenze importanti nello sviluppo
successivo dei dispositivi.

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