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II Canto

Sacripante, disarcionato da Boiardo (per non fare un torto al proprio padrone), e


Rinaldo iniziano lo scontro, dopo esserci offesi a vicenda. Angelica vista la forza di
Rinaldo e temendo di divenire presto o tardi sua prigioniera, approfitta della
situazione e fugge a cavallo nel fitto bosco. Fugge ed incontra un eremita, il quale,
con un incantesimo, evoca uno spirito, con le sembianze di un valletto, che
interrompe il duello tra i due contendenti comunicando loro che la bella Angelica è
intanto fuggita a Parigi con Orlando. Rinaldo monta subito Boiardo, lascia a piedi
Sacripante, e si precipita a Parigi. Il cavallo era in precedenza sfuggito al suo padrone
per andare all’inseguimento di Angelica e si era lasciato quindi inseguire senza
lasciarsi prendere per condurlo da lei. Ora, credendo egli stesso alle parole del
valletto, si lascia nuovamente montare per fare in modo che Rinaldo possa
raggiungere nel minor tempo possibile la bella Angelica, oggetto dei suoi desideri. Re
Carlo, sconfitto in battaglia, si era ritirato a Parigi con i propri soldati e si apprestava
ai preparativi necessari per sostenere l’imminente assedio. Carlo Magno dà però
l’ordine a Rinaldo di partire immediatamente per l’Inghilterra per chiedere soccorsi.
Rinaldo, dovendo abbandonare contro la propria volontà le ricerche di Angelica,
decide di partire nonostante il mare agitato per accelerare almeno i tempi
dell’operazione. Il Vento sentendosi sfidato da quei marinai dà però inizio ad una
forte tempesta che terrà impegnato ben oltre il cavaliere. Bradamante, sorella di
Rinaldo ed innamorata del cavaliere saraceno Ruggiero, disarcionato Sacripante,
continua il suo viaggio per boschi alla ricerca del proprio amante. Giunge infine ad
un torrente dove incontra un cavaliere disperato ed in lacrime che le racconta di
essere triste poiché, mentre tentava di raggiungere il campo di battaglia, un cavaliere
in groppa ad un cavallo alato, l’ippogrifo, era sceso dal cielo ed aveva rapito la sua
amante. Lui era andato al suo inseguimento abbandonando il proprio esercito. Giunto
ai piedi di una roccia aveva visto un castello luminoso dimora del mago Atlante,
irraggiungibile se non a piedi. Erano quindi giunti sul posto anche re Gradasso e
Ruggiero, intenzionati a misurarsi con il mago. Con diversi e ripetuti attacchi dal
cielo il mago percuote i due cavalieri. Giunta la sera Atlante libera il proprio scudo
dal velo che lo ricopriva e la luce da esso sprigionato acceca e fa cadere a terra
svenuti Ruggiero e re Gradasso, che vengono quindi subito fatti prigionieri. Questo
cavaliere disperato è Pinabello, discendente dei Maganza, ma Bradamante rimane per
il momento ancora all’oscuro della sua identità. Bradamante, spinta per l’amore per
Ruggiero, chiede a Pinabello di essere condotta al castello. Al momento della
partenza giunge però il messaggero, partito da Marsiglia, per chiedere il suo soccorso
nella battaglia contro gli spagnoli. Bradamante decide di andare a liberare prima il
proprio amante e di rimandare quindi i propri impegni. Pinabello apprende dalle
parole del messaggero che la sua compagna di viaggio discende dal casato dei
Chiaromonte, acerrimo nemico dei Maganza, e progetta quindi o di tradire o di
abbandonare la giovane alla prima possibilità. Così preso dal pensiero del tradimento,
Pinabello smarrisce però la strada ed i due si trovano infine in un bosco. Pinabello,
vista una caverna, dicendo di aver visto al suo interno una ragazza prigioniera, incita
Bradamante a calarsi al suo interno per guardare. Il discendente dei Maganza
abbandona però poi il ramo che la sostiene e la fa precipitare sul fondo della caverna.
Bradamanate, salvata dal ramo, non muore ma rimane priva di sensi per molto tempo.
III Canto
Pinabello, credendo che Bradamante fosse ormai morta, si allontana dalla caverna
con il cavallo di lei. Bradamante invece si riprende, ed ancora stordita, entra
attraverso una apertura nella roccia in una caverna molto ampia, simile ad una chiesa
e con al centro un’altare.
Entra nella stessa caverna anche un’altra donna, chiama Bradamante per nome, le
dice di trovarsi nella tomba del mago Merlino e che le era stata annunciata la sua
venuta dallo stesso mago, la cui voce può essere ancora ascoltata in quella caverna.
La maga Melissa conduce la donna verso il sepolcro e subito lo spirito vivo del mago
si rivolge a lei profetizzando il suo matrimonio con Ruggiero, nonostante gli
interventi del mago Atlante, e quindi la gloria a cui saranno destinati tutti i loro
discendenti. Melissa conduce quindi Bradamante nella caverna allestita a Chiesa, la
pone in un cerchio ed evoca degli spiriti per assumere le sembianza della suoi illustri
eredi, dei quali intende tessere le lodi delle loro future azioni. Il primo di cui parla è
Ruggierino, loro primo figlio, per arrivare fino al Cardinale Ippolito, che rispetto agli
altri, parole della maga, darà a tutta la loro stirpe più lustro di quanto lo splendore che
il sole dà al mondo è maggiore rispetto a quello dato dalla luna e da qualunque altra
stella. La maga Melissa interrompe quindi l’incantesimo e gli spiriti svaniscono.
Bradamante aveva però notato due spiriti che camminavano mesti e venivano quasi
evitati dagli altri. Si tratta di Ferrante e Giulio d’Este che congiurarono contro
Alfonso I ed Ippolito e furono per questo condannati. La maga Melissa preferisce non
fare alcun riferimento a loro, per non amareggiarla inutilmente e non macchiare le
così tante dolci cose di cui può gioire. Melissa promette a Bradamante di condurla
fuori dal bosco e di indirizzarla poi verso il castello di Atlante, dove Ruggiero è
tenuto prigioniero. Durante il viaggio la maga sollecita Bradamante a correre in
soccorso del suo amato e la mette in guardia contro il suo cavallo alato, contro
l’inespugnabile fortezza, ma soprattutto contro lo scudo incantato, capace di
abbagliare le persone fino a farle svenire. Le dice che il barone Brunello ha ricevuto
dal suo re Agramante un anello magico, in grado di annullare ogni incantesimo, ed il
compito di andare a salvare Ruggiero. Ma perchè l’amato non venga a trovarsi poi in
debito e riconoscente verso il re Agramante, ma lo sia invece verso Bradamante, la
maga indirizza la donna verso un ostello al quale arriverà anche il barone Brunello.
Parlando di incantesimi e di quanto vorrebbe avere avere tra le mani Atlante, dovrà
convincere Brunello a portarla con sé ed una volta arrivata al castello dovrà ucciderlo
senza pietà, prima che lui possa infilarsi in bocca l’anello e scomparire. Le due donne
si separano, Bradamante si incammina, raggiunge l’albergo e conosce Brunello. I due
stavano un giorno conversando insieme, quando un rumore forte giunge alle loro
orecchie.
IV Canto
Un rumore forte giunge alle orecchie di Bradamante e Brunello. I due guardano in
cielo e vedono passare il mago Atlante in groppa al suo cavallo alato, che si dirige
verso i monti, come spesso faceva, portando al suo castello delle belle donne rapite
nei paesi vicini.
Bradamante si dichiara subito pronta a partire per combattere il mago e chiede
all’oste chi la possa condurre al suo castello. Il barone Brunello cade nella trappola, si
offre subito come guida e il mattino dopo partono insieme. Giungono quindi ai piedi
di quell’alto dirupo, sui monti Pirenei, in cima al quale sorge la fortezza di Atlante.
Bradamante capisce che è il momento di uccidere la propria guida per impossessarsi
dell’anello. Per non commettere un atto vile, non segue però le raccomandazioni di
Melissa: non uccide quell’uomo disarmato ma lo immobilizza legandolo ad un
albero, riuscendo così ad impossessarsi dell’anello senza spargere sangue. Giunta
sotto la torre, suona il proprio corno e chiama alla battaglia il mago.
Atlante non si fa attendere ed esce in groppa all’ippogrifo, con al fianco lo scudo
magico coperto da un telo ed armato del suo libro di magia, con il quale era solito
sferrare i suoi colpi senza neanche avvicinarsi al nemico.
Gli incantesimi vengono però annullati dall’anello e Bradamante sferra colpi a vuoto
solamente per finzione e per ingannare l’avversario. Il mago, stanco del gioco,
effettua infine il suo ultimo incantesimo liberando il proprio scudo dal velo che lo
copriva. Bradamante chiude gli occhi e finge di svenire. Quando il mago, sceso da
cavallo senza scudo e senza il libro magico, si avvicina a lei per legarla, la donna si
alza di scatto, prende alla sprovvista Atlante e lo immobilizza a terra. Visto da vicino
l’avversario a rendendosi conto che era solo un povero vecchio, Bradamante si blocca
e non riesce ad ucciderlo. Gli domanda chi sia e perché si comporti in quel modo
crudele. Atlante rivela il proprio nome e confessa che la sua unica intenzione è quella
di salvare Ruggiero, da lui cresciuto, dalla morte che le stelle gli avevano
pronosticato.
Le persone rapite avevano quindi la semplice funzione di fare compagnia al giovane
in quella prigione dorata. Il mago cerca di scendere a patti con la donna, chiedendo
addirittura di essere ucciso, ma questa si dimostra ferma nel volere liberare il proprio
amato, lega il mago e si avvia con lui verso il castello scalando la montagna.
Giunti in cima Atlante spezza l’incantesimo, si libera da Bradamante e scompare
insieme al castello. Tutti i suoi prigionieri, tra i quali re Gradasso, Sacripante e
Ruggiero, vengono così a trovarsi liberi all’aria aperta.
Bradamante e Ruggiero possono finalmente incontrarsi. Scendono poi tutti insieme a
valle e rivedono l’ippogrifo di Atlante con al fianco lo scudo incantato.
Cercano tutti di prendere il cavallo alato ma questo, dopo essere sfuggito più volte,
alla fine va incontro a Ruggiero, Il cavaliere gli sale in groppa credendo di poterlo
condurre, ma il cavallo, per volontà del mago Atlante, sempre intenzionato a voler
dall’Europa il suo protetto, prende il volo e scappa lontano con Ruggiero.
Bradamante non può fare altro che vedere ancora una volta scomparire il proprio
amante. La donna si allontana con Frontin, il cavallo di Ruggiero, intenzionata a
restituirlo al legittimo proprietario. Nel frattempo Rinaldo, dopo aver a lungo
viaggiato per mare in balia della tempesta, giunge in Scozia. Con il suo cavallo
Baiardo raggiunge un monastero e chiede se ci siano imprese da compiere in quel
territorio che possano dare fama ad un cavaliere. Gli viene risposto che la migliore
impresa che può compiere consiste nell’andare in aiuto di Ginevra, figlia del re di
Scozia, minacciata dal barone Lurcanio. Costui la accusa di averla vista insieme ad
un amante (era stata in particolare vista in compagnia di quest’uomo sul balcone della
propria stanza) e per questo motivo, secondo le leggi della Scozia, la donna rischia la
condanna al rogo se nessun cavaliere sarà disposto a combattere per lei, sostenendo la
sua innocenza. Il re prometteva in sposa la figlia a chi fosse corso in suo aiuto.
Rinaldo si indigna per quella legge che mette a morte una donna per il solo motivo di
unirsi ad un uomo che non sia suo marito. Legge considerata iniqua per il fatto che
colpisce solo le donne e non anche gli uomini, che, parola di Ruggiero, vengono in
genere lodati per simili atti d’amore. Decide quindi di combattere per la salvezza di
Ginevra ed il giorno dopo lascia il monastero insieme ad uno scudiero. Abbandonata
la strada maestra per abbreviare il viaggio, i due sentono il pianto di una donna.
Corrono in suo aiuto e la vedono, bellissima, nelle mani di due malviventi
intenzionati a darle la morte.
Alla vista di Rinaldo i due si mettono subito in fuga ed il cavaliere riesce così a
salvarla.
V Canto
La ragazza si chiama Dalinda ed era una cameriera di Ginevra, figlia del re di Scozia.
La ragazza racconta di essersi innamorata del duca d’Albania, Polinesso, e di avere
passato in sua compagnia notti di passione nella camera della sua padrona,
approfittando dell’assenza di lei, dopo aver fatto salire l’uomo dal balcone tramite
una corda. Il duca le aveva però confessato un giorno di avere un interesse anche per
Ginevra e le aveva quindi chiesto di aiutarlo nei suoi intenti. Il suo scopo è quello di
prendere in sposa la figlia del re, per godere i benefici di quel così vantaggioso
matrimonio, pur mantenendo Dalinda come propria unica amante.
Spinta dall’amore verso il duca, la cameriera fa tutto quanto è possibile per rendere
Ginevra amica di Polinesso, ma riesce ad ottenere però solo l’effetto contrario: più
cerca di farglielo amare e più lei lo odia. La donna è infatti già innamorata di un altro
uomo, Ariodante, cavaliere tanto valoroso e già nelle grazie del re. L’insuccesso dei
propri propositi, fa sì che Polinesso cambi l’amore verso Ginevra in un profondo
odio. Il duca d’Albania vuole quindi ora solo mettere discordia tra i due amanti e
vuole diffamare la donna. Fingendo di volere soddisfare una propria fantasia con il
solo scopo di scordare Ginevra, convince Dalinda a travestirsi sempre da lei in
occasione di ogni loro successivo incontro d’amore. Polinesso chiede quindi ad
Ariodante di non intralciare la sua storia d’amore. Il cavaliere si meraviglia della
richiesta e per dimostrare quanto lei sia innamorato solo di lui, gli racconta le
promesse da lei ricevute, sia scritte che a parole, di sposarlo appena possibile.
Polinesso sostiene a quel punto di aver ricevuto da lei ben altri trattamenti: di avere
già vissuto con lei momenti di passione carnale, e di aver ricevuto anche la
confessione di quanto sia invece di poco conto l’amore ricevuto da Ariodante. Questo
promette di abbandonare ogni intento amoroso se Polinesso riesce a dimostrargli
quanto dichiara. Il duca consiglia al rivale di appostarsi fuori della stanza di Ginevra
e quella sera, come richiesto a Dalinda, si fa accogliere dalla cameriera nelle vesti
della figlia del re. Ariodante, temendo che il duca volesse solo tendergli un agguato,
va all’appuntamento con il fratello Lurcanio, pur tenendolo lontano dal possibile
spiacevole spettacolo. Il fratello però lo segue ugualmente. Arriva Polinesso, Dalinda
si mostra sul balcone, gli lancia la corda e lo fa salire. I due si abbracciano, si
accarezzano e si baciano ben visti dai due fratelli, che, senza dubitare oltre, cadono
appieno nella trappola del duca. Ariodante, afflitto da ciò che vede, decide di togliersi
la vita, ma il fratello lo ferma appena in tempo e gli consiglia di muovere la sua ira
contro di lei, unica a meritare la morte.
Il cavaliere finge di abbandonare il gesto ma il giorno dopo però si allontana dal
castello. Dopo alcuni giorni arriva un viandante, annuncia la morte di Ariodante,
gettatosi in mare da uno dirupo, e comunicare a Ginevra le sue ultime parole: quel
suo gesto era la conseguenza di ciò che aveva dovuto vedere. Lurcanio, spinto dall’ira
e dal dolore, accusa apertamente Ginevra di essere stata la causa di quella morte e
racconta quindi al re ciò che aveva visto quella notte: l’incontro amoroso di lei con un
uomo a lui sconosciuto. Si dichiara quindi infine disposto a sostenere con le armi la
propria accusa. In Scozia la legge condanna  al rogo una donna accusata di essersi
unita con un uomo che non è suo marito, se entro un mese nessun cavaliere prende le
sue difese contro l’accusatore. Ginevra è quindi in pericolo di morte. Il re, confidando
nell’innocenza della figlia, ha promesso di dare in moglie Ginevra a chiunque vorrà e
riuscirà a prendere le sue difese. Nessuno si è però ancora fatto vivo, tanto è il terrore
che ognuno ha di Lurcanio. Inizia anche ad indagare tra le cameriere per sapere se la
foglia sia o meno colpevole. Dalinda, sapendo di essere in pericolo, scappa è corre ad
informare Polinesso. Il duca d’Albania fingendo di volerla mettere al sicuro, decide
però di farla uccidere, così da eliminare ogni testimone del suo inganno.
L’arrivo di Rinaldo ha però messo in fuga i due assassini e l’ha salvata da morte
certa. Rinaldo, che aveva già prima deciso di prendere le difese della donna, ora è
ancora più convinto e corre ancora più velocemente verso la città.
Giunto sul posto scopre che era da poco iniziato il combattimento tra Lurcanio ed un
cavaliere sconosciuto, e nascosto dal suo elmo, che aveva deciso di combattere per
l’innocenza di Ginevra. Rinaldo giunge sul campo di battaglia, convince il re a
fermare l’aspro combattimento e rende quindi evidente a tutti ciò che era realmente
accaduto.
Per sostenere la propria accusa, sfida a duello Polinesso e lo sconfigge. Il duca
d’Albania sul punto di morte confessa il proprio inganno. Il re chiede infine al
cavaliere misterioro di mostrare la sua identità, per essere premiato per il proprio
valore mostrato e per le proprie buone intenzioni.
VI Canto
Il cavaliere misterioso si toglie infine l’elmo e mostra la propria identità: si tratta di
Ariodante, che sul punto di morte, si era pentito all’ultimo del proprio gesto e si era
quindi messo in salvo a nuoto. Giunto in un ostello, aveva appreso della disperazione
di Ginevra alla notizia della sua morte e delle pubbliche accuse del fratello. Spinto
dal proprio amore per la donna e risentito per il gesto crudele del fratello, aveva così
deciso di prendere lui le difese di Ginevra. Il re concede la mano della figlia al
cavaliere, dando in regalo agli sposi il ducato di Albania, appena liberatosi. Dalinda
ottiene la grazia e “sazia del mondo” si farà monaca. L’ippogrifo e Ruggiero lasciano
l’Europa, passano le colonne d’Ercole ed atterrano infine su un’isola meravigliosa,
senza pari al mondo.
Ruggiero scende da cavallo alato e lo lega ad un mirto, così che non possa alzarsi in
cielo. Mentre il cavaliere, liberatosi dalle armi, si sta rinfrescando, l’ippogrifo viene
spaventato da una ombra e per scappare sradica il mirto.
La pianta inizia improvvisamente a parlare e chiede di essere liberata dal cavallo, così
da non dover subire un’altra pena oltre a quella che le è stata già inflitta.
Ruggiero corre a liberarla e le chiede subito chi essa sia. Si tratta del bel Astolfo,
paladino francese, cugino di Orlando e Rinaldo e futuro erede al trono d’Inghilterra.
Liberato da Orlando dalla prigione di Monodante, aveva un giorno raggiunto la
spiaggia sede del castello di Alcina, sorella di Morgana.
La maga era in quel momento impegnata a pescare; senza reti e senza ami, grazie ad
un incantesimo, faceva venire a sé tutti i pesci che desiderava, tra i quali anche una
balena, tanto grande che Astolfo, Rinaldo e gli altri credono sia un’isola. Vista la
bellezza di Astolfo, Alcina dedice di farlo prigioniero. Con la scusa di volergli
mostrare una sirena su un’altra spiaggia, lo fa salire con sé sulla balena e lo rapisce.
Rinaldo si tuffa in mare e cerca di raggiungerlo a nuoto, ma il vento del sud alzatosi
in quel momento glielo impedisce. Navigando sul dorso della balena, Alcina ed
Astolfo raggiungono infine l’isola meravigliosa. Questa in realtà era stata lasciata in
eredità a sua sorella Logistilla, unica delle tre sorelle ad essere figlia legittima del
loro padre (Alcina e Morgana sono in realtà nate da incesto).
Logistilla è tanto virtuosa quanto le altre due sono ingiuste e crudeli e per questo
viene odiata. Morgana ed Alcina si sono infatti alleate per sottrarre alla terza ogni
avere; Logistilla possiede ora solo una piccola parte dell’isola, e solo perché è un
territorio irraggiungibile. Alcina ardeva d’amore per Astolfo ed il cavaliere
ricambiava il sentimento, essendo lei molto bella e tanto premurosa nei suoi riguardi.
Completamante perso nei piaceri, il paladino si dimentica di ogni altra cosa. Anche
lei sembra non avere altro al mondo, Astolfo diviene il suo unico amante. Un giorno
però rivolge improvvisamente il proprio cuore altrove, caccia Astolfo e lui scopre che
nella sua stessa situazione ci sono altri mille amanti, trasformati infine in alberi,
animali, fonte.. per evitare che vadano in giro per il mondo a raccontare le abitudini
della maga. Astolfo avverte quindi Ruggiero del pericolo che potrebbe correre.
Ruggiero conosceva già Astolfo di nome, in quanto cugino di Bradamante. Per
l’amore che nutre nei confronti di lei, decide pertanto di aiutarlo. Astolfo gli indica la
via per raggiungere il regno di Logistilla senza passare da quello di Alcina. Lo
avverte però che la maga malvagia ha messo a guardia del sentiero un gruppo di suoi
guerrieri dall’aspetto mostruoso. Ruggiero riprende il cavallo alato, senza salirgli in
groppa per paura di dover ancora volare contro la propria volonta, e si mette in
cammino.
Raggiunge poco dopo la fortezza di Alcina e si dirige poi verso il monte in cima al
quale si trovava il regno di Logistilla. Il suo cammino viene però interrotto dai
guerrieri dei quali gli aveva parlato Astolfo: esseri metà animale e metà uomo, metà
uomo e metà donna, a cavallo di animali di ogni genere e con ogni tipo di arma in
pugno. Ruggiero sguaina la spada e si lancia tra di loro, ma sono troppi, è accerchiato
e fa molta fatica ad avere la meglio.
Escono intanto dalle mura dorate della città di Alcina due bellissime donne in groppa
a due unicorni. Le donne lo invitano ad entrare nella fortezza e lui non può fare altro
che acconsentire. All’interno della fortezza è tutta un festa amorosa, tanto che si può
ritenere essere il posto dove sia nato Amore. A Ruggiero viene dato un cavallo sul
quale poter salire, mentre l’ippogrifo viene consegnato ad un giovane che lo segue a
piedi. Le due donne chiedono aiuto al cavaliere per sconfiggere il gigante Erifile, che
sta a guardia di un ponte ed impedisce il suo attraversamento. Ruggiero dice loro di
essere completamente al loro servizio, qualunque sia il loro desiderio.
VII Canto
Ruggiero e le due donne giungono al ponte controllato da Erifile, donna di
gigantesche dimensioni in groppa ad un enorme lupo. Il cavaliere la sfida e la
disarciona.
Al momento di ucciderla viene però fermato dalle due donne, che gli dicono di
accontentarsi della vittoria che ha già ottenuto. Proseguendo il loro viaggio arrivano
infine in una spaziosa prateria, dove sorge un bellissimo castello. Ad aspettare
Ruggiero c’è Alcina e tutta la sua corte; il cavaliere viene accolto con grandi feste,
reverenze ed onori. Tutti gli abitanti del castello sono giovani e bellissimi. La maga
supera comunque tutti in bellezza. Ogni sua parte del corpo era come un laccio teso
per catturare gli amanti; anche Ruggiero non può non caderne in trappola e non dà
quindi ascolto agli avvertimenti di Astolfo. Lo reputa anzi un bugiardo e pensa che la
punzione sia stata adeguata alle sue colpe: probabilmente, pensa, non era stato degno
di tanta bellezza.
Alcina con una incantesimo libera il cuore del paladino da ogni altro interesse e lo
occupa completamante, tanto che Ruggiero si dimentica immediatamente di
Bradamante, degli impegni verso re Carlo e del proprio onore. Già dalla prima sera,
terminata la festa, Alcina fa visita di notte a Ruggiero ed i due vengono travolti dalla
passione amorosa. Ogni giorno nel palazzo vengono allestiti ricchi banchetti,
concerti, spettacoli, giochi e danze. Non manca nessuna forma di piacere in quella
corte. Bradamante, disperata per aver nuovamente perso il proprio amante, vaga alla
ricerca di Ruggiero aiutandosi anche con l’anello magico. Decide quindi di tornare
alla tomba di Merlino, passando per il territorio dei Maganza, per avere notizie di lui.
La maga Melissa ha intanto utilizzato i propri poteri per seguire ogni vicenda della
donna e del suo amante Ruggiero, tanta era la cura che aveva di loro, sapendo che la
loro unione avrebbe dovuto generare una stirpe di uomini tanto valorosi.
Come Melissa ama tanto Ruggiero da volere che il cavaliere mostri tutto il proprio
valore e non venga meno al proprio onore, Atlante ama tanto Ruggiero da volerlo
isolare dal mondo per farlo vivere il più possibile. L’ha per questo motivo condotto
alla corte di Alcina, così da potergli fornire tutti i piaceri necessari a fargli
dimenticare ogni altra cosa terrena. Aveva quindi con un incantesimo stretto il cuore
della maga nell’amore per il cavaliere, con un laccio così forte che mai avrebbe poi
potuto volgerlo altrove. Melissa raggiunge Bradamanate e le dà notiza di Ruggiero.
Si fa consegnare dalla donna l’anello magico e le promette quindi di partire quella
stessa sera in suo soccorso e di essere di ritorno quanto prima insieme al cavaliere.
Raggiunge infatti l’isola in groppa ad un demonio a cui aveva fatto assumere le
sembianze di cavallo, si trasforma nel mago Atlante ed aspetta il momento opportuno
per avvicinare Ruggiero. Trova il paladino totalmente mutato in abitudini; ha
abbandonato ogni arma ed è completamante vestito, acconciato ed adornato come
fosse una donna. Ruggiero era stato cresciuto dal mago Atlante, ne subisce pertanto
l’autorità.
Melissa, nelle sembianze del mago, lo rimprovera aspramente per avere dimenticato
tutti i suoi insegnamenti, che avrebbero dovuto portarlo a compiere gloriose imprese
e non portarlo a trascorrere una vita molle nell’ozio. Gli ricorda anche l’impegno che
ha nei confronti dei suoi discendenti, soprattutto nei confronti di Ippolito e del
fratello Alfonso d’Este; dei quali era solito raccontargli ogni nobile impresa, vedendo
che il giovane Ruggiero ne gioiva. Consegna quindi l’anello magico al cavaliere,
muto e pieno di vergogna, e lo invita ad andare da Alcina per vedere in quale inganno
sia caduto. Il paladino si infila l’anello al dito, gli incantesimi di Alcina svaniscono
(tra i quali l’amore) e Melissa assume nuovamente le proprie reali sembianze. La
maga racconta quindi al giovane di essere stata mandata lì da Bradamante, disperata
per averlo perso. Con l’anello magico al dito, Alcina appare finalmente a Ruggiero
nel suo aspetto reale: è una orribile vecchia. Come suggerito da Melissa, il cavaliere
non fa trasparire il proprio disgusto ed il proprio odio e mette in atto il piano di fuga
consigliato dalla maga. Fingendo di voler solo vedere se con le proprie armi indosso
può risultare ancora più bello agli occhi di Alcina, si rimette l’armatura, prende la
propria spada Balisarda e lo scudo incantato di Atlante. Va quindi nella stalla, monta
su Rabican, il velocissimo cavallo appartenuto ad Astolfo, e scappa dal castello.
Non prende l’ippogrifo per non fare sospettare le proprie intenzioni ed in quanto
l’animale non è governabile. Melissa promette però di portare in seguito il cavallo in
un luogo dove possa essere ammaestrato con calma. Ruggiero assale all’improvviso i
guardiani e si lancia poi al galoppo in direzione del regno di Logistilla.
VIII Canto
Ruggiero fugge attraverso il bosco. Un servo della fata, disarmato, su un povero
ronzino, con un falcone da caccia ed un cane al seguito, cerca di opporsi alla sua
corsa dimostrando di essere altrettanto veloce. Il paladino, per non dover mettere
mano alla spada, utilizza lo scudo di Atlante e si libera dall’impiccio. Nel frattempo
Alcina raccoglie tutta la sua gente intorno a sé, ne manda un parte alla ricerca di
Ruggiero lungo il sentiero che lui stava percorrendo e l’altra parte la fa invece
imbarcare.
Lei, totalmente presa dal desiderio di rivedere Ruggiero, si unisce a questi ultimi e
lascia così la propria città incustodita. Melissa riesce quindi ad annullare con comodo
tutti gli incantesimi della maga Alcina e tutti gli amanti trasformati in piante, animali,
fonti.. ritornano alla loro forma originaria e con Ruggiero si mettono in salvo nel
regno di Logistilla, per tornare poi ai rispettivi paesi di origine.
Come da preghiere di Ruggiero, libera anche il paladino Astolfo, gli riconsegna tutte
le armi che gli erano state sottratte, tra le quali la lancia d’oro che disarciona ogni
cavaliere che riesca a toccare, gli fa montare l’ippogrifo e lo fa volare in salvo.
Infine si reca anch’essa da Logistilla, mentre Ruggiero è ancora impegnato nel suo
faticoso viaggio.
Rinaldo intanto chiede ed ottiene dal re di Scozia il supporto armato per sostenere re
Carlo assediato a Parigi. Naviga fino a Londra e chiede ed ottiene supporto anche dal
principe del Galles (il re Ottone d’Inghilterra era insieme a re Carlo sotto assedio a
Parigi). L’eremita, aiutata Angelica, colpito dalla bellezza di lei, cerca di trattenere la
donna ma questa riparte subito dopo. L’eremita evoca allora un demone e gli fa
prendere possesso del cavallo di Angelica, quindi si mette a seguirla da lontano.
Giunta sulle rive dell’oceano Atlantico, il demone spinge il cavallo in mare aperto
verso nord, senza che Angelica possa fare nulla per fermarlo. Quando è ormai sera
l’animale e la donna raggiungono una spiaggia deserta e spaventosa.
Angelica accusa la Fortuna di accanirsi contro di lei, di averle tolto ogni avere, ogni
persona cara ed infine l’onore (essendo divenuta una vagabonda è infatti ora facile
pensare che, benché non abbia commesso alcun peccato, sia una donna di facili
costumi), tenendola in vita per il solo gusto di tormentarla ancora. L’eremita, giunto
sul posto qualche giorno prima grazie ad un altro demonio, compare
improvvisamente e lei, non conoscendolo bene, trova conforto nella sua presenza. Lui
si mostra subito troppo affettuoso e lei lo respinge. A questo punto l’eremita spruzza
una pozione magica negli occhi della donna e la fa cadere addormentata. Tenterà di
abusare di Angelica, ma a causa dell’età finirà solo per addormentarsi al fianco di lei.
Nel mare del nord, oltre l’Irlanda, si trova l’isola di Ebuda.
In un tempo passato, un re che governava l’isola aveva avuto una figlia tanto bella da
fare innamorare di sé il dio marino Proteo, che trovandola un giorno da sola, l’aveva
quindi posseduta ed ingravidata. Il re, uomo severo e crudele, non perdonò il gesto
alla figlia e la decapitò subito, facendo quindi morire anche il nipote prima che
potesse nascere. Il dio Proteo, che accudisce tutti gli animali marini di Nettuno, dio
del mare, colmo d’ira infrange le regole della natura e manda sulla terra ferma tutte le
creature marine, a seminare distruzione ed a tenere d’assedio gli abitanti dell’isola.
Un’oracolo consiglia allora alla gente del posto di offrire al dio una donna di pari
bellezza. Se Proteo accetterà il dono, tutto potrà terminare, altrimenti sarà necessario
presentarne un’altra. Da allora ogni giorno una bella donna viene portata sulla
spiaggia e finisce mangiata da un’orca, unica delle creature marine ad essere rimasta
presso l’isola.
Gli abitanti di Ebuda hanno così cominciato a rapire le donne delle vicine isole, per
salvare le proprie mogli.
Passa in quel momento davanti alla spiaggia una barca proveniente dall’isola di
Ebuda, Angelica viene fatta prigioniera e messa insieme alle altre donne destinate al
sacrificio. La bellezza della donna muove a pietà la gente del posto e il suo sacrificio
viene ritardato il più possibile. Arriva però inevitabilmente il suo momento e, nuda,
viene offerta in catene all’orca. Intanto re Agramante tiene d’assedio a Parigi
l’esercito di re Carlo, e solo l’intervento divino (un temporale) evita la sconfitta dei
cristiani.
Orlando viene tormentato la notte dal pensiero di Angelica, della quale non aveva
avuto più notizie dopo la sconfitta di Bordeaux. Il suo cuore si riaccende d’amore e si
accusa di non aver fatto niente per evitare che la donna gli venisse tolta per essere
affidata al duca Namo. Si accusa di non esser riuscito a difenderla.
Anche nei brevi momenti di sonno, sogna di perdere l’amata in seguito ad un forte
temporale. La sente invocare il suo aiuto, ma poi una voce misteriosa gli dice di non
sperare di poterla ancora rivedere e lo fa svegliare tra le lacrime.
Temendo che Angelica sia in pericolo, appena sveglio si mette l’armatura, prende le
sue armi, monta su Brigliadoro ed a mezzanotte parte alla ricerca di Angelica.
Per poter avere accesso ad ogni sentiero, non prende le proprie insegne ma indossa
solo un ornamento nero sottratto ad un avversario saraceno, più adeguato al suo stato
d’animo. Il giorno dopo re Carlo si accorge della partenza del proprio nipote, proprio
quando il suo aiuto era per lui più necessario. Il re non riesce a trattenere la collera, lo
accusa e lo minaccia di farlo pentire di un tale gesto. Brandimarte, compagno molto
amato da Orlando, va il giorno dopo all’inseguimento di Orlando, senza dire nulla
alla propria compagna Firodiligi, in quanto pensava di riuscire a tornare poco dopo.
La donna non rivedrà però il proprio amante per quasi un mese e deciderà in seguito
di partire alla sua ricerca.
IX Canto
Spinto dall’amore per Angelica, con addosso ornamenti saraceni, Orlando abbandona
l’accampamento cristiano e lascia quindi la guerra in difesa della Santa Chiesa.
Sfruttando il proprio travestimento, per tre giorni interi il paladino cerca tracce della
donna amata in tutto l’accampamento avversario. Estende poi la ricerca di villaggio
in villaggio in tutta la Francia.
Arrivato un giorno sulla riva del fiume Quesnon, per attraversarlo chiede aiuto ad una
ragazza al comando di una imbarcazione. La donna in cambio del favore chiede però
ad Orlando di unirsi all’esercito che sta allestendo il re d’Irlanda, per muovere guerra
agli abitanti dell’isola di Abuda, e porre quindi fine ai loro saccheggi ed al rapimento
delle donne più belle, che vengono ogni giorno sacrificate da quel popolo ad una
orca.
Orlando accetta subito, sia perché è contrario ad ogni ingiustizia, sia perché si
convince subito ch e anche Angelica sia stata fatta da loro prigioniera, visto che in
nessuno luogo della Francia era riuscito a trovarla. Decide quindi di raggiungere nel
minor tempo possibile quell’isola e già il giorno seguente si imbarca.
Orlando è ormai giunto sulle coste dell’Inghilterra quando il vento cambia direzione e
lo riporta subito indietro fino ad Anversa. Qui, Orlando sbarca e viene subito accolto
da un vecchio che invita il paladino a dare il proprio aiuto ad una donna in difficoltà.
Orlando accetta subito e si lascia condurre al castello di lei.
La donna, di nome Olimpia, vestita a lutto e piena di dolore, racconta al conte
Orlando la propria storia. Figlia del conte d’Olanda, si era innamorata del duca
Bireno, che era poi dovuto andare in Spagna per prendere parte alla guerra contro gli
arabi. Il re di Frisia, Cimosco, aveva deciso di fare sposare il proprio figlio Arbante
con Olimpia, e ne chiede quindi la mano al conte d’Olanda. La donna, per non venire
meno all’amore ed alla parola data a Bireno, risponde però di preferire la morte, ed il
re di Frisia, in tutta risposta, invade l’Olanda ed uccide in guerra tutti i familiari di
Olimpia.
Cimosco possiede infatti un’arma avveniristica, un archibugio (un’arma da fuoco), e
non esiste avversario che possa competere con lui.
Olimpia rimane imprigionata nel proprio castello.
Cimosco fa sapere che avrebbe posto fine alla guerra se lei si fosse concessa in sposa
ad Arbante. Olimpia rifiuta ancora ed i suoi sudditi, per non rischiare anche la loro
vita, consegnano lei ed il suo castello nelle mani di Cimosco. Olimpia decide ci
uccidersi, ma prima, per vendicarsi, finge di addolcirsi nei confronti di Arbante e lo
sposa. Durante la prima notte di nozze, la donna lo uccide, aiutata da un suo fedele
servitore, e scappa poi per mare con quel poco che le era rimasto.
Durante il matrimonio però Cimosco, saputo della notizia che Bireno stava
giungendo per mare, si era assentato per muovergli guerra. Il re di Frisia aveva
sconfitto l’avversario e l’aveva fatto prigioniero.
Visto il figlio morto, Cimosco uccide ogni persona che fosse vicina ad Olimpia. A
Bireno pone invece una condizione crudele: gli dà un anno di tempo per portargli la
donna tanto odiata, pena la morte. Olimpia tenta ogni stratagemma per liberare
l’uomo amato ma senza successo alcuno. L’anno sta ormai per scadere e lei è infine
disposta a consegnarsi nelle mani di Cimosco. Per essere sicura che questo sia di
parola, chiede ad Orlando di stare al suo fianco durante lo scambio e di intervenire
quindi prontamente se qualcosa dovesse andare storto. Orlando promette subito di
dare il proprio supporto ed anzi di fare di più di quanto lei gli chieda. Orlando ed
Olimpia partono per mare quello stesso giorno e giungono in Olanda. Scende solo il
paladino, la donna dovrà aspettare di aver notizia della morte di Cimosco. Giunge a
Dordrecht e trova alla porta della città una folta schiera di cavalieri; hanno avuto
notizia che sta arrivando via mare il cugino di Bireno, con al seguito un esercito.
Il paladino sfida il re di Frisia: in caso di sconfitta del cavaliere gli verrà consegnata
l’assassina del suo figlio Arbante, in caso di sconfitta del re dovrà essere invece
liberato il prigioniero. Il re è però intenzionato a fare prigioniero anche Orlando ed
incarica un gruppo di uomini di tendergli una imboscata.
Il re ed i suoi cavalieri circondano il conte Orlando, ed è talmente convinto che
l’impresa sia semplice che non prende neanche con sé l’archibugio. Orlando si butta
sugli avversari e fa una strage. Cimosco chiede a gran voce che gli venga portata
l’arma ma nessuno lo ascolta; chi può tornare alla città non ha nessuna intenzione di
uscirci ancora. Anche il re tenta di mettersi in salvo inseguito dal paladino (rallentato
nell’inseguimento poiché non aveva con sé Brigliadoro). Finalmente riesce ad avere
la sua arma da fuoco e spara, ma forse a causa della paura che gli faceva tremare le
mani, sbaglia mira e colpisce ed uccide solo il cavallo del duca Orlando. Questo si
lancia subito a piedi contro il re di Fresia e lo uccide. Giunge in quel momento anche
il cugino di Bireno e muove anch’esso guerra contro i seguaci di Cimosco. Bireno
viene liberato e può nuovamente abbracciare Olimpia. Lei viene riportata dal suo
popolo nel castello del padre e tutti le giurano nuova fedeltà. Olimpia concede sé
stessa ed il proprio regno all’uomo amato, ma Bireno vuol tornare con lei in patria,
lascia il regno d’Olanda al cugino ed è intenzionato ad impossessarsi della Frisia,
avvantaggiato anche dal fatto che tra i prigionieri c’è la figlia di Cimosco, che vuole
dare in moglie ad un suo fratello. Orlando si imbarca nuovamente per raggiungere
Abuda, porta con sé l’archibugio ed appena è in mare aperto lo getta nelle profondità
dell’oceano.
X Canto
Appena vide piangere la figlie del re di Frisia per la morte del proprio padre, Bireno
subito se ne innamora e la ragazza, appena quattordicenne, prende subito il posto di
Olimpia nel suo cuore. Quest’ultima gli risulta invece all’improvviso insopportabile,
ma lui non lo dà a vedere ed anzi si comporta come  se gli interessasse solo la sua
felicità.
Nessuno si accorge del cambiamento: le carezze che lui fa alla sua nuova amata
vengono interpretate come un gesto di pietà e bontà, e per questo viene lodato.
Partono per nave alla volta della patria di Bireno, l’isola Zeeland, ma dopo tre giorni
di tempesta raggiungono un’isola sconosciuta. Bireno ed Olimpia si accampano sulla
spiaggia e lui, approfittando del sonno profondo di lei, torna di corsa sulla nave e
riparte, abbandonandola. Olimpia si risveglia così sola; non può fare altro che
guardare la nave che si allontana sempre più e inveisce contro il crudele Bireno.
Si accorge di non avere nessuna via di scampo; se anche arrivasse una nave a metterla
in salvo, non sa dove poter andare, dal momento che aveva consegnato il suo regno,
l’Olanda, nelle mani di Bireno e non le rimaneva più alcuna ricchezza, avendo speso
tutto per toglierlo di prigione. Ruggiero, sotto il cocente sole di mezzogiorno,
continua il suo viaggio verso il regno di Logistilla; è stanco, assetato e le armi che ha
indosso sono infuocate. All’ombra di una torre riconosce tre donne della corte di
Alcina intente a banchettare. Le donne gli offrono da bere e gli chiedono di
abbandonare il suo viaggio per unirsi a loro, ma lui rifiuta l’invito, temendo che
Alcina stia ormai per raggiungerlo.
Una delle donne si infuria e lo minaccia ed insulta in ogni modo, lui però non
risponde a quelle provocazioni così vili. Il cavaliere giunge infine allo stretto che
separa le terre di Logistilla dal regno di Alcina. Trova ad aspettarlo un vecchio su una
imbarcazione pronta a salpare e subito partono per raggiungere l’altra riva.
Sopraggiunge la flotta di Alcina con a bordo la stessa maga. Il vecchio prende subito
lo scudo magico di Atlante, lo scopre ed così abbaglia gli avversari, facendoli cadere
svenuti. Nel frattempo si accorge dei nemici anche un soldato di Logistilla, dà
l’allarme ed iniziano a piovere dardi sugli avversari. Viene  allestita anche la flotta ed
in un attimo è subito battaglia.
La maga Alcina è costretta infine a fuggire a bordo dell’unica nave che le rimane.
Passerà i successivi giorni a piangere la perdita dell’amante ed a disperarsi perché, in
quanto fata, non può morire. Ruggiero raggiunge la bellissima roccaforte di
Logistilla; le gemme che la adornano hanno in particolare il poter di specchiare
l’anima degli uomini, facendo vedere ad ognuno le proprie virtù ed i propri vizi. Il
cavaliere viene accolto con grandi onori. Ritrova Astolfo nel castello e
successivamente arriveranno anche tutti gli altri precedenti amanti della maga Alcina,
liberati ora da Melissa.
Logistilla insegna a Ruggiero a comandare l’ippogrifo ed appena il cavaliere è
pronto, lo fa tornare in Aquitania, a Dordona, dove si trova l’amata Bradamante. Il
cavaliere non ripercorre la via dell’andata (dalla Spagna fino alle coste dell’India
sorvolando l’oceano) ma prosegue ad occidente, compiendo così il giro del mondo.
Spinto dal desiderio di visitare il mondo, arriverà solo dopo mesi in Inghilterra ed
atterrerà quindi una mattina a Londra.
Ruggiero vede riunito un immenso esercito di cavalieri provenienti dall’Irlanda, dalla
Scozia, dall’Inghilterra e da ogni isola vicina, con in testa Rinaldo. Si stratta del
rinforzo chiesto da re Carlo, che si sta dirigendo in parata al porto per imbarcarsi per
la Francia. Un cavaliere indica a Ruggiero ogni singola componente dell’esercito e tra
i vari personaggi si sofferma su Leonetto, nipote del re Ottone d’Inghilterra, e
Zerbino, figlio del re di Scozia. Ruggiero riprende quindi il volo e si dirige poi verso
Irlanda. Durante il suo viaggio, volando a bassa quota, scorge su una isola, Ebuda, la
bella Angelica incatenata nuda ad uno scoglio. Il cavaliere crede di vedere una statua,
ma poi si accorge delle lacrime che ne rigano il volto. Si avvicina alla donna e le
chiede chi sia stato ad incatenarla. Mentre Angelica sta per iniziare a raccontare le
proprie vicende, emerge dal mare la mostruosa orca. Ruggiero la colpisce con la
propria lancia ma la pelle del mostro è più dura di un sasso. Si innalza poi in volo ed
inseguito dall’orca, tenta di colpirla con maggiore efficacia. Ogni tentativo è inutile
ed infine Ruggiero, messo al dito di Angelica l’anello magico che aveva ricevuto da
Melissa, scopre lo scudo e fa svenire il mostro che rimane quindi rovesciato in mare.
Il cavaliere libera Angelica, la fa salire sul cavallo alato e vola con lei in cielo.
Atterranno su una vicina spiaggia della Bretagna e Ruggiero, preso dalla passione
(era ormai anche lui vittima della bellezza di Angelica ed in aggiunta la donna era
completamente nuda), inizia a togliersi l’armatura.
XI Canto
Ruggiero è completamente preso dalla passione per Angelica e si strappa l’armatura
per poterla sfogare. La donna, imbarazzata per essere completamente nuda,
guardandosi il corpo si accorge di avere al dito l’anello, che in precedenza le era
appartenuto ed del quale aveva fatto grande uso in passato, fino a quando Brunello
non glielo rubò. Angelica si mette l’anello in bocca e scompare alla vista del
cavaliere.
Ruggiero cerca invano di ritrovare la donna, ma lei è ormai lontana ed è quindi giunta
in una grotta dova trova cibo, vestiti, che seppur rozzi non riescono però a non farla
comparire bella e nobile, ed una cavalla con cui poter proseguire il proprio viaggio
verso casa.
Il cavaliere intanto, accortosi di aver infine perduto anche l’Ippogrifo che, liberatosi
dal morso, volava ora libero in cielo, riprende le proprie armi e si incammina a piedi.
Giunto in un bosco, sente un gran rumore d’armi ed assiste alla battaglia tra un
gigante ed un valoroso cavaliere. Questo ultimo viene tramortito da un colpo alla
tesa; il gigante gli rimuove l’elmo per tagliargli la testa e Ruggiero si accorge a quel
punto che si tratta dell’amata Bradamante. Prima che possa intervenire in difesa della
donna, il gigante se l’è messa in spalla e inizia a scappare inseguito dal cavaliere.
Nonostante il debole vento, Orlando giunge all’isola di Ebuda prima del re Oberto
d’Irlanda. Lasciata la nave al largo, raggiunge l’isola con una scialuppa portando con
sé solo la spada, la più grossa ancora della nave ed una robusta fune.
Avvicinatosi ormai alla riva, sente il pianto di una donna, che, nuda, era stata
incatenata ad uno scoglio. Si avvicina a lei con la scialuppa, quando improvvisamente
compare il mostro marino che, vista l’imbarcazione del paladino, spalanca la bocca
per inghiottirla. Orlando approfitta dell’occasione per piantare in bocca all’orca
l’enorme ancora così da impedirle di richiederla. Si immerge quindi anche lui nel
mostro e dal dentro inizia a trafiggerla con la propria spada. Il cavaliere abbandona
infine la gola dell’animale impugnando la robusta fune che aveva legato all’ancora,
nuota fino alla riva ed inizia a tirare a sé l’orca con tutta la sua smisurata forza. Il
mostro marino, sentendosi in trappola, cerca di divincolarsi, con però il solo risultato
di ferirsi ulteriormente.
Proteo, sentito il frastuono di quel combattimento, esce dal mare ed assiste alla scena.
Preso dalla paura non potrà fare altro che fuggire al largo; lo stesso farà Nettuno e
tutti gli altri Dei marini. Il paladino tira infine l’orca ormai morta sulla spiaggia. Gli
abitanti di Ebuda invece di mostrare gratitudine, si arrabbiano e sono intenzionati a
sacrificare Orlando al Dio Proteo buttandolo in mare, così da evitare una sua nuova
ira. Il paladino, sguaina la spada e senza troppo infierire si apre giusto la strada verso
la donna.
Nel frattempo arriva l’esercito mandato dall’Irlanda, fa strage del nemico, saccheggia
e distrugge tutto ciò che incontra. La donna incatenata nuda è Olimpia. Orlando
ascolta la sua storia e la libera. Arriva sulla spiaggia anche re Oberto, che vuole
accertarsi con i propri occhi di quanto gli era stato riferito del combattimento tra il
cavaliere e l’orca. Orlando ed Oberto si conoscevano da tempo e si abbracciano
contenti, poi il paladino racconta al re il tradimento subito da Olimpia per opera di
Bireno.
Le lacrime della donna, la sua storia e soprattutto il suo bellissimo corpo nudo,
accendo all’istante d’amore il re d’Irlanda, che subito si propone di portarla in Olanda
e di fare di tutto per ridarle il suo regno e per punire adeguatamente il crudele Bireno.
Orlando è contento della situazione, può evitare di andare lui stesso a vendicarla e
può quindi continuare nel suo intento: ritrovare Angelica. Nessuno è però rimasto
vivo sull’isola ed il paladino non riesce ad avere quindi alcuna notizia di lei.
Il re Oberto, insieme ai re d’Inghilterra e di Scozia, toglierà a Bireno l’Olanda, la
Frisia, l’isola Zeeland ed infine anche la vita. Sposò infine Olimpia e da contessa la
fece regina. Orlando, ritornato al porto di partenza, riprende il proprio cavallo
Brigliadoro e continua il viaggio alla ricerca dell’amata. La primavera seguente,
mentre è in viaggio, sente le urla di una donna in pericolo, sguaina la propria spada e
corre in suo aiuto.
XII Canto
Mentre Orlando è in viaggio alla ricerca di Angelica, sente le urla di una donna in
pericolo, sguaina la propria spada e corre in suo aiuto.
Il paladino vede passare al galoppo un cavaliere misterioso con in braccio una donna,
contro la sua volontà, che ad Orlando sembra Angelica. Il duca si lancia al suo
inseguimento con Brigliadoro e raggiunge infine, uscito dal bosco, un vasto prato con
al centro un bellissimo castello, all’interno delle cui mura è entrato il misterioso
cavaliere. Orlando smonta da cavallo, entra nelle stanze del castello e controlla ogni
piano senza riuscire a trovare né il cavaliere né l’amata. Incontra nel castello Ferrù,
Bradimarte, re Gradasso, re Sacripante ed altri cavalieri, ognuno accusa il padrone del
palazzo di avergli rubato qualcosa di prezioso e si muove invano alla sua ricerca.
Non riuscendo a trovare quello che cercava, Orlando esce nel prato circostante ma
subito vede Angelica ad una finestra e sente le donna chiedergli aiuto. Torna nel
castello e continua la ricerca; la voce di lei proviene sempre da un luogo diverso,
sempre da tutt’altra parte rispetto a quella dove si trova lui.
Nell’inseguimento del gigante che aveva rapito Bradamante, anche Ruggiero giunge
al castello nel quale era entrato poco prima Orlando. Inizia anche lui le ricerche
dell’amata in ogni stanza del castello, anche lui senza successo, anche lui decide di
uscire per continuare la ricerca altrove ma anche lui subito viene richiamato indietro
dalle grida di aiuto della persona cercata.
Sono tutti vittima del nuovo incantesimo di Atlante, che dopo il castello d’acciaio e
dopo l’isola della maga Alcina, cerca ora di tenere impegnato il proprio protetto in
questo nuovo castello finché non venga vanificato l’influsso negativo degli astri che
avevano predetto la sua morte. Il mago aveva deciso di condurre in quel posto anche
tutti i valorosi cavalieri che avrebbero potuto uccidere Ruggiero.
Angelica intanto, decisa a ritornare in India, è alla ricerca di Orlando o di Sacripante
così da poter avere adeguata guida per il proprio viaggio. Con l’anello magico in
bocca, quindi invisibile a tutti, giunge infine anche lei al castello di Atlante e vi entra.
Incontra Sacripante ed Orlando e vede come vengono ingannati dall’incantesimo con
finte immagini di lei. Tra i due cavalieri decide di prendere Sacripante come sua
guida, per il semplice motivo che ritiene di poterlo più facilmente liquidare quando
non ne avrà più bisogno. Si toglie quindi l’anello di bocca e lo infila al dito: annulla
l’incantesimo di Atlante ed appare alla vista del paladino. In quel momento
sopraggiungono però anche Orlando e Ferraù (anche questo alla ricerca di lei).
Angelica, vista la situazione, fugge dai tre amanti che prontamente riprendono i
propri cavalli e la inseguono. Lei si infila nuovamente l’anello in bocca e torna ad
essere invisibile.
I tre cavalieri, stupiti (e derisi per questo) per aver visto scomparire Angelica,
iniziano a litigare. Ferrù dichiara apertamente di non portare nessun elmo perché
interessato soltanto, come promesso ad Argalia, a quello del paladino Orlando, senza
averlo riconosciuto costui nel cavaliere che ha di fronte. Il cavaliere spagnolo,
spavaldo, sostiene anche di avere già incontrato molte volte il conte e di averlo ogni
volta messo alle strette, ma non di aver voluto allora prendergli le armi.
Acceso d’ira, Orlando rivela la propria identità, si toglie l’elmo e si lancia nel
combattimento con lo spagnolo. Il duello è crudele, ma entrambi sono stati resi
invulnerabili da un incantesimo. Ferrù può essere ferito solo all’ombelico ed Orlando
solo sotto le piante dei piedi, tutto il resto dei loro corpi è più duro del diamante e
portavano quindi l’armatura solo per ornamento. Angelica è l’unica testimone del
combattimento perché Sacripante, approfittando della situazione, è ripartito a cavallo
alla ricerca di lei. Angelica, per fare dispetto ad entrambi i rivali e curiosa della loro
reazione, ruba l’elmo di Orlando con l’intenzione di tenerlo per poco e restituirlo
appena possibile. Orlando e Ferrù si rendono conto della sparizione dell’elmo,
accusano Sacripante di quel gesto e subito corrono al suo inseguimento. Seguendo
tracce diverse, Orlando rifà il percorso di Sacripante e Ferraù invece quello di
Angelica. Angelica nel frattempo si era fermata ad una fonte per riposarsi ed aveva
lasciato incustodito l’elmo. Quando vede giungere Ferraù, riprende subito la fuga e
rimette l’anello in bocca per scomparire alla vista del cavaliere. Il pagano vede la
donna sparire, la cerca inutilmente ed infine torna alla fonte, dove può prendere
l’elmo tanto desiderato e infilarselo in testa. Torna quindi all’accampamento
spagnolo presso Parigi. Angelica è triste per aver sottratto l’elmo al conte,
consegnandolo infine involontariamente allo spagnolo Ferraù. Non è questo ciò che
Orlando meritava per quanto aveva fatto per lei, e si lamenta quindi con sé stessa.
Precedendo il suo viaggio verso l’oriente, incontrerà infine un giovane ferito
mortalmente al petto. Recuperato un altro elmo senza cimiera, Orlando procede nella
propria ricerca di Angelica. Giunge nei pressi di Parigi nel periodo in cui re
Agramante è impegnato a cingere d’assedio la città per fare cedere infine il proprio
nemico. A tale scopo aveva riunito un enorme gruppo di soldati e si apprestava in
quel momento a riorganizzarlo. Alzirdo, re di Tlemsen, capitano di una delle schiere
di soldati, vedendo passare un cavaliere dall’aspetto tanto fiero e valoroso, volle
subito metterlo alla prova e si lancia a cavallo contro il conte; finisce morto con il
cuore trafitto. Gli altri soldati, avendo assistito alla scena, circondano l’avversario
misterioso ed iniziano a colpirlo in ogni modo. Orlando estrae la propria spada,
Durindana, e fa una strage di saraceni. Si mettono subito in fuga fino a che non vede
che sul campo di battaglia non è rimasta nessuna persona viva. Proseguendo il
proprio viaggio, una notte il conte Orlando trova una grotta con l’ingresso principale
bloccato ma dalla quale, attraverso una apertura, vede uscire una luce intensa.
Pensando subito che al suo interno si trovi prigioniera Angelica, Orlando vi entra e
trova così al suo interno una giovane e bellissima ragazza, con gli ogni bagnati dalle
lacrime, in compagnia di una vecchia. Orlando gli domanda chi sia la persona tanto
crudele che le tiene imprigionate in quella caverna.
XIII Canto
La bellissima ragazza trovata da Orlando nella caverna racconta al paladino le proprie
disavventure.
Si chiama Isabella, è saracena ed è figlia del re di Galizia (Maricoldo, ucciso in realtà
per mano di Orlando, ma lei non lo sa). Il padre aveva organizzato una giostra ed
erano giunti cavalieri da ogni parte del mondo per sfidarsi, tra i quali Zerbino, figlio
del re di Scozia, del quale lei si innamorò subito. Zerbino ricambiava il sentimento e
sapendo di non poterla avere in moglie dal padre di lei, a causa della loro diversa
fede, organizzò il suo rapimento. Non potendo compiere l’opera di persona, poiché
impegnato nella guerra in Frisia a fianco del padre, mandò per mare il suo fedele
amico Odorico.
Durante il viaggio che l’avrebbe portata da Zerbino la nave incontrò però una
tempesta. Odorico e Isabella si salvarono salendo su una scialuppa, insieme ad
Almonio e Corebo, ed abbandonarono la nave. Raggiunta una spiaggia deserta,
Odorico manda Almonio, fedele compagno di Zerbino, a prendere alcuni cavalli e
confida a Corebo, suo fedele compagno, di essere acceso d’amore per la ragazza e
che ha intenzione di possederla. Corebo vuol fermare l’amico, i due combattono e
Corebo rimane ucciso.
Rimasti ormai soli, Oberdo, non riuscendo con le buone maniere, inizia ad usare la
forza per possedere la donna. Arriva fortunatamente sul posto un gruppo di persone e
lui è costretto a fuggire. Isabella non ottiene però altro aiuto da loro, viene anzi
imprigionata in quella caverna con l’intenzione di riuscire poi a venderla.
Terminato il racconto, entrano in quel momento nella caverna venti persone armate,
Orlando gli lancia contro una immensa tavola e ne mette fuori gioco buona parte.
Lega poi con una fune quelli che hanno ancora vita e li appende come cibo per i corvi
ad un albero fuori dalla grotta. La vecchia fugge di corsa ed incontra infine un
guerriero sulla riva di un fiume.
Orlando si allontana con Isabella ed i due proseguiranno insieme il viaggio finché
non incontreranno un cavaliere che stava per essere portato in prigione. Bradamante,
tornata a Marsiglia per difendere la città dalle continue scorribande dei saraceni, non
aveva più avuto notizie del suo amato Ruggiero dal giorno in cui aveva consegnato
alla maga Melissa l’anello magico. Quando Melissa le fa finalmente visita e
Bradamante la vede arrivare sola, la donna teme per la vita del cavaliere. La maga le
racconta però della trappola che il mago Atlante ha ancora una volta teso al cavaliere,
e le chiede di partire subito per andare a salvarlo. Le dice di andare nei pressi di quel
castello incantato, di aspettare che il mago nelle sembianze di Ruggiero, per
ingannare anche lei, le si avvicini e le ordina quindi di ucciderlo senza esitazione per
porre fine ad ogni suo incantesimo.
Il viaggio insieme è una nuova occasione per parlare del valore della stirpe d’Este,
che da lei e da Ruggiero avrà origine. Se nella tomba di Merlino la maga aveva
presentato alla donna i suoi discendenti maschi, ora Bradamante vuole conoscere
anche la sorte delle discendenti femmina. Melissa, tra le numerose discendenti degne
d’onore, colonne portanti di grandi famiglie nobili, parla subito di Isabella d’Este,
figlia di Ercole I e moglie di Francesco II Gonzaga marchese di Mantova. Parla poi
anche di Beatrice d’Este, sorella di Isabella e moglie di Ludovico Sforza, e di altre
discendenti illustri, tra le quali anche Eleonora d’Aragona, madre di Ippolito, Alfonso
ed Isabella. Giunte infine nei pressi del castello incantato, Bradamante si separa dalla
maga e prosegue oltre da sola. Appena vede però Ruggiero combattere contro due
giganti, si dimentica degli avvertimenti della maga ed anzi pensa che Melissa abbia in
odio il cavaliere e lo voglia morto. Il mago Atlante, con le sembianze di Ruggiero, le
chiede aiuto e subito parte al galoppo inseguito dai due aggressori. Bradamante
insegue l’amato ed non esita ad entrare nel castello, cadendo anch’essa in trappola.
Re Agramante nel frattempo raccoglie il proprio esercito per tirare le file in vista
delle prossime azioni.
XIV Canto
Re Agramante e re Marsilio raccolgono l’esercito per riorganizzarlo.
Se i cristiani hanno perduto tutta la campagna, sono accerchiati e tenuti d’assedio a
Parigi, i saraceni hanno perduto buona parte del proprio esercito e soprattutto dei
propri comandanti. Le loro vittorie sono state ottenute a caro prezzo; la gioia della
vittoria è sempre stata accompagnata dal rammarico per le perdite subite. Si può dire
altrettanto della grande vittoria ottenuta dai Francesi nella battaglia di Ravenna, nella
quale si fece tanto onore Alfonso d’Este.
Fatto passare tutto l’esercito schiera per schiera, provenienti da ogni parte del mondo
ed arruolate anche in Francia, vengono quindi assegnate nuove guide, nuovi capi, ai
reparti che ne erano rimasti sprovvisti. Non avendo capitani in numero sufficiente, ne
vengono eletti di nuovi al momento.
Tra i comandanti di reparto c’è anche Brunello, scuro in volto e con il capo chino per
aver perduto la stima di re Agramante, dopo aver perso l’anello magico e rischiato
per questo l’impiccagione. Una schiera dell’esercito è guidata invece da Rodomonte,
il più forte e coraggioso cavaliere saraceno ed anche il più acerrimo nemico della
fede cristiana.
Mancano infine all’appello le schiere di Norizia e Tlemsen, ad Agramante viene così
raccontata la strage compiuta dal cavaliere misterioso (Orlando), che aveva segnato
anche la morte delle loro guide. Mandricardo, figlio di re Agricane ucciso da
Orlando, valorosissimo e crudele cavaliere saraceno, proprietario dell’armatura che
mille anni prima era appartenuta ad Ettore, sentita la storia, si propone subito, senza
farne parola, di inseguire le tracce di quel cavaliere per confrontarsi con lui. Parte
immediatamente per la campagna e trova molti testimoni e molte prove delle
incredibili imprese del cavaliere, di Orlando. Guarda con invidia i cadaveri che
incontra sulla propria strada, invidia per essere giunto tardi ad un così bel massacro.
Il Tartaro Mandricardo incontra un giorno sulla riva di un fiume un gruppo di soldati;
proteggono Doralice, figlia del re di Granata e sposa di Rodomonte. Il crudele
cavaliere vuole mettere alla prova quel gruppo di soldati, chiede di poter vedere la
ragazza e li assale.
Mandricardo combatte con una lancia. Aveva infatti trovato solo l’armatura di Ettore,
la spada Durindana era stata già presa da Orlando, ed il guerriero Tartaro è
intenzionato a non usare nessuna spada finché non riuscirà ad impossessarsi di quella
del paladino.
Anche con la sola lancia spezzata, il saraceno fa una strage. Alcuni soldati cercano
infine di scappare, ma Mandricardo non sopporta l’idea di lasciare superstiti: li
insegue e completa la sua opera. Vista la bellezza di Doralice in lacrime,
Mandircardo se ne innamora e come premio per la propria vittoria diviene quindi
prigioniero d’amore. Prende sul proprio cavallo la donna, saluta benevolmente i
servitori di Doralice, dicendo di prendersi ora lui cura di lei, e continua il suo viaggio.
Ora è però meno interessato a ritrovare il cavaliere misterioso e rallenta quindi
notevolmente la ricerca.
Il saraceno mente alla donna dicendo di averla sempre amata e di essere arrivato in
Europa solo per poterla rivedere. Lei prende sempre più coraggio dalle parole di lui
ed inizia anche a mostrarsi cortese e disponibile nei suoi confronti. La sera stessa si
fermano ad un villaggio e sfogano la passione. Ripartiti il giorno dopo, incontrano poi
due cavalieri ed una donna che riposano all’ombra sulla riva di un fiume.
Tornando a Parigi, re Agramante viene a sapere che i rinforzi richiesti da Re Carlo
sono ormai giunti in Francia. Viene pertanto deciso di fare tutto il possibile per
espugnare la città prima che giunga l’aiuto, e viene preparato tutto il necessario per
l’assalto.
All’interno della città di Parigi i cristiani chiedono con preghiere aiuto a Dio.
Dio incarica l’arcangelo Michele di portare Silenzio all’esercito arrivato
dall’Inghilterra, per farlo giungere all’improvviso alla città di Parigi, e Discordia
nell’accampamento saraceno, così da creare in esso liti accese e ridurne la forza.
L’arcangelo si reca presso chiese e monasteri credendo di trovare Silenzio insieme ad
altre buone qualità, trova invece Discordia, che aveva pensato di trovare nell’inferno,
insieme ad altre cattive qualità. Michele affida a Discordia il compito assegnatole e
chiede quindi a lei informazioni su Silenzio. Gli viene risposto di provare a chiedere a
Frode, per lungo tempo compagna di Silenzio in rapine ed omicidi. Gli viene risposto
di andare a casa del Sonno, là troverà per certo Silenzio.
L’arcangelo lo trova e lo porta infine presso l’esercito guidato da Rinaldo che, grazie
a quell’aiuto, raggiunge in un solo giorno Parigi senza essere visto o sentito dagli
avversari pagani. Viene dato il segnale ed inizia l’assalto. All’interno della città si
opera per opporsi con ogni mezzo al nemico. Rodomonte passa però lo sbarramento,
fa strage di cristiani e libera una delle torri di difesa della città, creando quindi una
via facile di accesso per i propri compagni che conquistano così la prima cerchia di
mura.
I saraceni spinti da Rodomonte si calano dalla prima cerchia di mura per passare il
fossato e cercare di scalare anche le mure interne di difesa. Il valoroso cavaliere salta
invece direttamente da una torre all’altra e riprende a fare strage.
I cristiani intanto danno fuoco al letto di rami secchi che avevano posto tra mura e
mura, facendo morire bruciati tutti i pagani che si erano avventurati oltre la prima
cerchia.
XV Canto
Mentre Rodomonte, giunto alle mure interne di Parigi, vede morire più di undicimila
soldati, Re Agramante muove parte dell’esercito per assaltare una porta che crede
sguarnita. Troverà invece in sua difesa un grosso numero di cristiani con a capo lo
stesso re Carlo (che aveva previsto i punti dai quali l’avversario avrebbe attaccato). Il
duca Astolfo, salvato da Melissa e giunto nel regno di Logistilla, riesce infine a
partire per mare per fare ritorno in patria. Per proteggerlo durante il viaggio, la maga
lo fa accompagnare da una forte scorta armata (guidata da Andronica e Sofrosina), gli
consegna anche un libro contro gli incantesimi e gli dona infine un corno magico, il
cui orrendo suono è in grado di mettere in fuga qualunque avversario.
Prendendo spunto da un pensiero comune a quel tempo, secondo il quale, vedendo
quanto fosse grande l’Africa, dall’oceano Atlantico non era possibile raggiungere
l’oceano Indiano, Astolfo domanda ad Andronica se qualche nave abbia mai
compiuto quel viaggio. Lei risponde che in futuro sempre più esploratori
circumnavigheranno l’Africa fino a raggiungere l’India. Altri faranno ancora di più,
scoprendo nuovi mondi.
Dio vorrà rivelare quella via solo quando sarà giunto il tempo di Carlo V, con
l’intenzione di porre tutto il mondo sotto il controllo di questo giusto imperatore. Per
questo la Provvidenza Divina gli metterà anche a disposizione valorosi capitani, tra i
quali Andrea Doria, che svolgerà con onore il compito di liberare i mari dai pirati e
gli aprirà la porta per arrivare alla corona di imperatore.
Giunti allo stretto di Bahrein, Astolfo approda e prosegue il proprio viaggio sulla
terra. Cavalcando lungo il Nilo sul suo cavallo Rabicano (tanto leggero nella corsa
che quasi sfiorava il terreo, non si nutriva di fieno ma solo d’aria pura) incontra un
vecchio eremita su di una imbarcazione, che gli consiglia, se ha cara la vita, di
continuare il viaggio sull’altra riva del fiume, così da non incontrare il gigante
Caligorante che è solito catturare le persone con una rete nascosta sotto la sabbia,
divorarle ed adornare con le loro pelli la propria dimora. Astolfo, tenendo più al
proprio onore che alla propria vita, prosegue invece oltre alla ricerca del gigante.
Il gigante, visto arrivare Astolfo, pensa di prendere il cavaliere alle spalle, per farlo
spaventare, scappare e quindi cadere in trappola. Il duca però ferma subito il cavallo e
suona il corno magico. Questa volta è il gigante a scappare terrorizzato ed a cadere
nella rete. Il duca Astolfo sguaina la spada per vendicare le molte vittime di
Caligorante, il proprio onore lo ferma però dall’uccidere il gigante, immobilizzato e
quindi non in grado di difendersi. Il cavaliere incatena quindi Caligorante, lo libera
dalla rete divina e se lo porta dietro come trofeo da mostrare nei paesi dove passa.
Passando dal Cairo, Astolfo viene a sapere che alla foce del Nilo vive un ladrone, di
nome Orrilo, impossibile da uccidere, e vuole quindi andare a vedere con i propri se
quanto si dice sia vero. Arrivato sul posto, il duca assiste al combattimento tra quella
persona incantata ed i due figli del cognato di Orlando, Grifone e Aquilante.
Qualunque ferita o mutilazione venga inflitta al ladrone, lui si ricompone e riprende
normalmente il combattimento. Se gli viene scagliato in mare un braccio, si tuffa e
quando esce dall’acqua è nuovamente intero. Assistevano alla scena anche due
donne, le due fate che avevano nutrito i due, quando erano giovani, dopo averli
salvati da un grifone e da un’aquila che li avevano sottratti alla loro madre, ed ora
avevano spinto i due uomini a confrontarsi in duello con Orrilo.
Giunta la notte, il combattimento viene sospeso e rimandato al giorno successivo.
Astolfo, che conosce già Grifone e Aquilante, si unisce alla loro mensa.
Il duca legge nel libro contro gli incantesimi che l’unico modo per rendere Orrilo
vulnerabile è di strappargli di testa un capello fatato. Convinto dell’imminente
trionfo, Astolfo si prende quindi su di sé l’incarico di uccidere il ladrone.
Il giorno dopo, durante il combattimento, il duca decapita l’avversario e subito si
impossessa della sua testa e parte di corsa a cavallo, così da evitare che Orrilo si
ricomponga. Approfittando del vantaggio preso sul ladrone, subito corso
all’inseguimento, grazie al proprio cavallo Rabicano, Astolfo rade completamente la
testa di Orrilo. Subito la testa perde vita, così come ogni altra parte del corpo del
ladrone. Il paladino mostra subito la sua opera ai due uomini ed alle due donne, ma
Grifone e Aquilante non gioiscono per l’invidia, le due fate perché vedono ora vicino
il triste destino che attende i due fratelli in Francia, e che avevano cercato di evitare
tenendoli occupati con Orrilo. I due giovani si uniscono infatti subito a lui per
combattere contro i saraceni. I tre, con il gigante al seguito, prendono quindi la via ad
oriente per poter visitare la Terra Santa. Incontrano lì un loro amico, Sansonetto,
intento a costruire un muro a protezione del monte Calvario ed una fortezza per
fronteggiare il califfo. Il duca gli fa omaggio del gigante (per sollevare i carichi
pesanti e procedere spediti nelle opere) e della rete utilizzata per catturarlo.
Giunge un cavaliere e comunica a Grifone che Orrilige, la donna da lui amata (tanto
bella quanto crudele), ha abbandonato Constantinopoli, dove lui l’aveva lasciata, per
seguire un suo nuovo amante. Il ragazzo pensa quindi di raggiungere l’amata per
riprendersela.
XVI Canto
Grifone, innamorato di Orrilige, donna crudele ed infedele, si allontana di notte dalla
Terra Santa, senza dire nulla al fratello, con l’intenzione di sottrarre la donna amata al
suo nuovo amante. La incontra a Damasco in compagnia di un cavaliere, altrettanto
ingiusto, che con lei si sta dirigendo alla città per partecipare ad una giostra
organizzata dal re di Damasco. Orrilige convince però Grifone di essere giunta lì in
compagnia di suo fratello, con il desiderio di poter incontrare lui; si dice quindi
contenta di quell’incontro. Grifone, vittima d’amore, entra in città in compagnia della
donna e del nuovo amante di lei. Re Agramante assalta la porta della città di Parigi
che credeva sguarnita, trova invece un folto esercito guidato dalla stesso re Carlo.
Inizia lo scontro tra le due fazioni e saranno molti i soldati saraceni che rimarranno
morti sul campo.
Rodomonte intanto, giunto nella cerchia interna di mura della città di Parigi, fa strage
del popolo inerme che, riconosciuto il feroce cavaliere, cerca invano di sfuggirgli. Il
pagano è spietato, uccide senza alcuna pietà vecchi e bambini, donne e uomini, ricchi
e poveri; dà infine fuoco a tutte le abitazioni e le percuote così da farle crollare.
Rinaldo, giunto infine a Parigi con i rinforzi inglesi, li incita a difendere la città,
dicendo loro che potranno così salvare due principi, tra i quali lo stesso re Ottone
d’Inghilterra, e anche molti altri re, marchesi.. così che il loro onore verrà
riconosciuto non solo dai parigini, ma da tutti i popoli cristiani. Se Parigi cadrà, dice
loro, entro poco tempo anche le loro stesse isole saranno in pericolo; quella battaglia
serve anche per la loro stessa salvezza.
Suona la carica e le schiere saracene vengono assalite all’improvviso.
Rinaldo lancia Baiardo al galoppo e si butta nel combattimento uccidendo tutti i
cavalieri che incontra. Allo stesso tempo Zerbino guida al combattimento gli scozzesi
e non uccide meno nemici di Rinaldo. Il rumore della guerra è assordante. Il cielo
viene oscurato dalla polvere sollevata dagli eserciti, dall’alito dei soldati e dal vapore
rilasciato dal loro sudore. La terra si tinge di rosso ed è coperta di cadaveri. L’esercito
pagano subisce grosse perdite, molti scappano, ed iniza così a perdere terreno.
Vedendo il proprio esercito in fuga ed ormai ridotto alla metà, Ferraù si lancia al
galoppo e raggiunge la prima linea del combattimento.
Re Agramante abbandona l’assedio alla porta, manda parte dell’esercito a difendere
l’accampamento contro gli Irlandesi e guida la propria colonna, più della metà di
tutto l’esercito, contro gli scozzesi. Questi cavalieri, visto il numero immenso di
soldati che li assale, scappano lasciando indietro Zerbino, rimasto a piedi poiché gli
era stato ucciso il cavallo.
Rinaldo blocca la fuga degli scozzesi, giunge in soccorso di Zerbino e conquista con
le armi spazio sufficiente per consentirgli di salire su un nuovo destriero. Zerbino si
lancia subito al combattimento contro la schiera di re Agramante.
Rinaldo lancia al galoppo Baiardo contro re Agramante stesso, lo colpisce e lo butta a
terra insieme al cavallo.
Intanto, all’interno delle mura di Parigi, uno scudiero informa re Carlo della
distruzione e della strage che sta compiendo un solo uomo nell’altra parte della città.
Lo scudiero pensa che Rodomonte sia il demonio e crede quindi che Dio abbia
abbandonato il proprio popolo. Re Carlo si accorge delle fiamme che avvolgono parte
della città e dei pianti e delle grida che da lì giungono; raccoglie intorno a sé i più
valorosi cavalieri e si dirige contro il nemico saraceno.
XVII Canto
Re Carlo va alla ricerca del saraceno che ha provocato tanta distruzione e seminato
così tanti cadaveri nella città di Parigi. Si vergogna per il comportamento tenuto dai
parigini e li rimprovera quindi per non aver fatto nulla a difesa della città.
La maggior parte del popolo si è barricata nel palazzo reale e dalle sue mura esterne
butta pezzi di tetto, di colonne.. su Rodomonte, che a colpi di spada, preso possesso
della piazza antistante, sta per aprirsi un passaggio nel portone principale.
Re carlo, insieme ai paladini ed ai cavalieri al suo seguito, tra i quali re Ottone, si
lancia contro il saraceno.
Tornando a parlare di Grifone, il cavaliere entra nella bellissima e ricchissima città di
Damasco in compagnia della donna e del nuovo amante di lei.
Un cavaliere li ferma lungo la via e li accoglie nel proprio palazzo. Racconta loro
l’origine della giostra organizzata da re Norandino ed invita entrambi i cavalieri a
parteciparvi.
Norandino era stato per lungo tempo innamorato di Lucina, figlia del re di Cipro.
Dopo averla finalmente sposata, al ritorno in patria la loro nave era stata colta da una
tempesta, e dopo tre giorni in mare erano infine giunti su una spiaggia. Mentre il re è
intento nella caccia per procurare del cibo, il resto dell’equipaggio viene assalito da
un orco. Il mostro è cieco (ha due protuberanze d’osso al posto degli occhi) ma
compensa la mancanza con un infallibile fiuto. Si mettono tutti a scappare ma l’orco è
talmente veloce che solo pochi riescono a salvarsi raggiungendo a nuoto
l’imbarcazione. Il mostro cattura gli altri, ne mangia vivi due, porta i rimanenti nella
propria tana e li rinchiude in una caverna, dove prima si trovava il suo gregge. L’orco
va quindi a fare pascolare gli animali.
Tornato dalla caccia, il re si accorge di quanto successo. Quelli che si sono salvati
sulla nave gli raccontano l’accaduto e lui decide subito di andare a caccia dell’orco
per riprendersi l’amata Lucina. Raggiunta la tana del mostro, la moglie dell’orco gli
dice che non deve temere per la vita di Lucina. Il mostro è solito mangiare solo
uomini, le donne vengono invece rinchiuse in quella grotta in cui si trova lei stessa
insieme a tante altre. Solo se abbandonerà la grotta Lucina potrà avere a rischio la
propria vita.
Consiglia a Norandino di andarsene (la sua presenza non potrà scappare all’infallibile
fiuto del mostro), ma visto che il suo desiderio di ritrovare l’amata è tanto grande da
non farlo muovere da lì, alla fine la donna decide di aiutarlo.
Unge tutto il corpo del re con del grasso animale, in modo da coprire completamente
il suo odore naturale e farlo quindi puzzare come un caprone, e gli mette addosso una
delle pelli che teneva nella caverna. Così travestito, Norandino si mischia al gregge
riportato alla tana dal mostro e riesce quindi a rivedere Lucina.
Norandino spiega agli altri come poter scappare: vengono uccisi alcuni caproni, tutti
si ungono quindi il corpo con il grasso animale ricavato dai cadaveri e si mettono
addosso le pellicce (così che se il mostro li tocca per accertarsi della loro natura,
sente il pelo dell’animale).
Il mattino dopo l’orco apre la grotta ed insieme al gregge escono anche Norandino e
tutti gli altri. Solo Lucina non riesce a passare, il mostro riconosce infatti che non si
tratta di un vero caprone e la ricaccia nella grotta. Tutti gli altri seguono l’orco nel
suo cammino e, approfittando del suo momento di sonno, riescono poi a scappare.
Norandino è però ancora intenzionato a liberare la sua amata e rimane quindi nel
gregge.
La sera l’orco, ritornato alla grotta, si accorge della fuga di tutti i sui prigionieri e
punisce Lucina incatenandola nuda sulla cima dello scoglio. Il re non può fare altro
che vederla soffrire, giorno dopo giorno.
Giungono infine per caso a quello scoglio Mandricardo e re Gradasso, liberano la
donna e la consegnano al padre di lei. Saputo della liberazione della donna,
Norandino scappa, torna in patria e ritrova quindi Lucina.
La festa, allestita una volta ogni quattro mesi, è quindi in memoria della salvezza
ottenuta dopo quattro mesi passati nella grotta dell’orco.
Il giorno dopo Grifone, Orrilige e Martano, nuovo amante di lei, si recano al torneo.
Sarà vincitore chi riuscirà a sconfiggere tutti e otto i cavalieri scelti dal Norandino tra
i più valorosi e più fedeli suoi servitori. Il premio per il vincitore è un’armatura
(appartenenti a Marfisa, ma Norandino non lo sa) che il re ha ricevuto il giorno prima
in dono da un mercante. Martano entra nell’arena per sfidare gli otto cavalieri, ma,
visto morire accidentalmente il cavaliere che lo precede, alla fine fugge deriso da tutti
gli spettatori. Grifone è acceso di vergogna e d’ira per il comportamento del
compagno, sa che il popolo si aspetta da lui lo stesso atteggiamento codardo e sa che
ogni suo minimo errore verrà deriso. Grifone si lancia al combattimento è sconfigge
subito, uno dopo l’altro, i primi sette cavalieri. Con l’ultimo, il più forte, il
combattimento dura poco di più. Grifone è decisamente superiore, la sua armatura
incantata non viene neanche graffiata dai colpi dell’altro, la cui armatura è invece
ormai a pezzi. Norandino fa separare i contendenti e pone termine al torneo; è
Grifone il vincitore.
Più arrabbiato per il comportamento del compagno che felice per la propria vittoria,
Grifone torna irato da Martano e Orrilige. Lei però lo convince a scusare il vile
cavaliere ed a partire con loro silenziosamente e segretamente per consentire a
Martano un viaggio sicuro, fuori dalla vista degli abitanti di Damasco.
Grifone cade però in un profondo sonno. Martano ruba cavallo, armi ed armatura al
cavaliere per travestirsi da lui e ricevere premio ed onori dal re (il re non aveva
ancora saputo il nome né visto il volto del vincitore). Orrilige e Martano vengono
così condotti nel palazzo reale.
Grifone si risveglia la sera e si accorge dell’inganno subito. Si rende quindi
finalmente conto che Martano non è il fratello ma l’amante di Orrilige e decide di
vendicarsi.
Prende le armi, l’armatura ed il cavallo lasciati dal vile cavaliere e si mette subito in
viaggio per abbandonare la città. Dall’alto di un castello il re riconosce però il
cavaliere tanto deriso il giorno prima e confessa a Martano di lasciarlo andare libero
da ogni punizione solo in quanto suo compagno. Il vile cavaliere risponde però di non
conoscere chi esso sia, di essersi lui stesso trattenuto dal punirlo per rispetto nella
giornata di festa, e che quindi il re farebbe a lui cosa più grata se decidesse di punirlo
invece che lasciarlo andare libero.
Secondo gli ordini di Norandino, Grifone viene quindi fatto prigioniero ed esposto il
giorno dopo alla pubblica umiliazione, su di un carro trainato da buoi che trascina le
armi e l’armatura che aveva indosso. Lasciato finalmente libero all’ingresso della
città, Grifone però indossa subito l’armatura e riprende le armi di Martano, pronto a
vendicarsi dell’umiliazione e combattere nuovamente per il proprio onore.
XVIII Canto
Riavuta la libertà e riprese le armi, acceso d’ira per il disonore subito, Grifone fa una
strage di abitanti di Damasco.
Tornando a Parigi, re Carlo si lancia contro Rodomonte insieme al suo seguito di
paladini e cavalieri. Incitato dal loro re, anche il popolo di Parigi si lancia contro il
nemico saraceno che, in poco tempo, viene così completamente accerchiato e colpito
da ogni parte. La corazza del pagano, costruita con scaglie di drago, resiste a qualsiasi
colpo e Rodomonte non subisce alcuna fatica. Accortosi però di avere ormai il fiatone
e visto che, pur uccidendone a manciate, altri nuovi avversari continuano ad
accalcarsi intorno a lui, Rodomonte decide infine di abbandonare l’impresa, si apre
una via a colpi di spada tra la folla e lascia infine la città buttandosi nel fiume.
Uscito dal fiume, dispiaciuto per non aver distrutto e bruciato tutta la città, sta per
tornare indietro quando incontra chi la sua ira è in grado di spegnere.
Ricevuto dall’arcangelo Michele il compito di fare litigare e combattere tra di loro i
migliori cavalieri saraceni, Discordia lascia il monastero insieme a Superbia. Sul loro
cammino incontrano Gelosia ed un messaggero incaricato da Doralice, poco prima di
essere fatta prigioniera da Mandricardo, di informare il proprio padre dell’accaduto.
Approfittando dell’occasione, Discordia si avvia a Parigi ed incontra così Rodomonte
nel momento in cui il cavaliere esce dal fiume. Saputa la storia dal messaggero, il
feroce saraceno decide subito di partire alla ricerca della donna amata. Essendo privo
di cavallo decide però prima di impossessarsi di quello del primo cavaliere che
incontra.
Discordia capisce subito che ha una nuova occasione per svolgere il proprio compito.
Allontanato Rodomonte dalla città e spento l’incendio di Parigi, Re Carlo esce dalle
mura insieme alla sua schiere di soldati ed a tutto il popolo parigino armato.
Viene assalita la retroguardia dell’esercito saraceno, che si trova così tra due fuochi,
essendo l’altro fronte battuto dal Lucarnio, Zerbino e soprattutto Rinaldo.
Inizia la ritirata delle schiere pagane. Tenta di opporsi Ferraù incitando i compagni
alla battaglia e fa altrettanto Dardinello. Quest’ultimo uccide quindi Lucarnio e prima
che il paladino Ariodante possa vendicare la morte del fratello, arriva sul posto
Rinaldo al quale spetterà l’onore di uccidere il saraceno.
A Damasco re Norandino, vista la gente in fuga e sentito il frastuono provocato da
Grifone, manda il proprio esercito alla porta della città. Grifone, uccisa ormai tutta la
gente indifesa che gli stava intorno, fa ora una strage anche di soldati.
Norandino, visto il valore di quel cavaliere che su consiglio di Orrilige e Martano
aveva esposto alla pubblica umiliazione, si accorge dell’errore commesso e chiede
quindi scusa a Grifone e placa così l’ira del cristiano (sfinito dal combattimento ed
anche ferito in più punti). Il cavaliere viene quindi accolto nel palazzo reale.
Astolfo e Aquilante, alla ricerca di Grifone, vengono infine anche loro a sapere che
Orrilige, la donna da lui amata, ha abbandonato Constantinopoli, dove lui l’aveva
lasciata, per seguire il suo nuovo amante Martano. Aquilante parte subito per
l’Antiochia, quindi per Damasco e sulla sua via incontra infine Martano con le armi,
l’armatura ed il cavallo dal fratello Grifone. Aquilante temendo per la vita del
fratello, minaccia i due di morte se non gli raccontano subito l’accaduto. Martano
credendo di ridurre le proprie colpe, dice di essere il fratello della donna e di aver
sottratto con l’astuzia armi, armatura e cavallo a Grifone solo con l’intenzione di
salvarla da lui e dalla vita disonesta che stava conducendo. Il cavaliere cristiano sa
però che i due sono amanti e non fratelli, capisce che l’uomo mente, lega entrambi e
li trascina quindi con sé fino a Damasco. Nella città tutti hanno saputo da Grifone il
vero corso degli avvenimenti e subito riconoscono Martano e lo insultano.
I due malvagi vengono rinchiusi in prigione: a Martano viene assegnata come
punizione la pubblica fustigazione, la punizione per Orrilige verrà invece decisa da
Lucina al suo ritorno. Re Norandino per ripagare ulteriormente Grifone del torto
subito fa bandire un’altra giostra in suo onore, ed i preparativi sono tanto solenni che
la notizia del torneo si sparge ovunque, fino in Palestina.
Sansonetto e Zerbino, saputo del torneo, partono a cavallo per raggiungere Damasco.
Incontrano durante il viaggio Marfisa, una donna tanto valorosa in combattimento da
aver fatto faticare gli stessi Orlando e Rinaldo. Marfisa girava sempre armata alla
ricerca di nuovi cavalieri con cui scontrarsi; visti Aquilante e Sansonetto, lancia
quindi subito il proprio cavallo al galoppo contro di loro. Riconosciuto infine l’amico
Astolfo e saputo da lui lo scopo del loro viaggio, si unisce a loro per mostrare il
proprio valore partecipando alla giostra organizzata da re Norandino. Il premio è
costituito da un destriero e da altre armi (convinto della vittoria di Grifone,
Norandino voleva donargli il completo da cavaliere) che vengono messe in bella
mostra insieme all’armatura già vinta da Grifone. Marfisa riconosce nell’armatura
esposta quella che aveva lasciato una volta sul bordo della strada per poter inseguire
più facilmente Brunello, e che le era stata quindi rubata. La donna si impossessa
subito di ciò che era stato suo ed inizia una feroce battaglia. Marfisa si apre con la
spada un via di fuga tra l’ira dei cittadini. Sansonetto e Astolfo corrono a combattere
al suo fianco senza sapere perché. Aquilante e Grifone si lanciano nella mischia ma
vengono disarcionati dal duca Astolfo.
Un volta che i cavalieri si sono riconsociuti, Marfisa spiega loro, e poi anche al re
Norandino, la ragione del suo gesto. Tornata quindi la pace e terminata la giostra
(vinta da Sansonetto, gli altri quattro cavalieri non vi partecipano), tutti e cinque i
cavalieri partono infine via mare per la Francia. La loro nave verrà però sorpresa da
una tempesta poco dopo aver lasciato l’isola di Cipro.
Rinaldo lancia il proprio cavallo Baiardo contro Dardinello, vedendo che aveva le
stesse insegne di Orlando (che ne aveva ucciso il padre), vedendolo circondato da
molti cristiani morti e ritenendolo quindi un valoroso cavaliere. Tutti i soldati
saraceni rimangono impietriti dalla paura vedendo con quanta ferocia il paladino, la
cui spada era molto temuta, si scagli contro Dardinello, che rimane uccise poco dopo.
Alla vista del saraceno morto, tutti i soldati pagani perdono il valore che la sua
presenza ed i suoi incitamenti avevano infuso in loro; scappano terrorizzati in ogni
direzione. Quel giorno viene fatta strage dell’esercito saraceno e solo la ritirata lo
salva dal suo completo annientamento. Re Agramante ed altri capitani sono costretti
ad andare a riprendere in ogni luogo i soldati in fuga che, terrorizzati, arrivano anche
a buttarsi nella Senna per poi morire affogati. Alla fine si salverà, anche grazie
all’arrivo della notte, solo un terzo di tutto l’esercito.
L’esercito cristiano, guidato da Re Carlo, si accampa all’esterno dell’insediamento
avversario. Re Agramante organizza invece dall’interno le difese per poter sostenere
il prossimo assedio.
Tra i molti arabi che piangono amici o parenti morti quel giorno, ci sono Cloridano e
Medoro, senza pari per bellezza in tutto l’esercito pagano, che piangono la morte
dell’amato Dardinello ed il fatto che il suo cadavere rimanga senza sepoltura.
Medoro decide infine di avventurarsi tra l’accampamento cristiano e di andare a
seppellire il loro signore. Cloridano lo segue.
I due giungono nell’accampamento avversario quando ogni soldato è ormai
addormentato, ubriaco dopo i festeggiamenti della sera prima, e ne uccidono più che
possono. Vanno poi sul campo di battaglia in cerca del corpo del loro signore, ma i
cadaveri sono tantissimi e sarebbe stato impossibile trovare quello di Dardinello se
non fosse venuta in loro aiuto la luce della luna. I due si caricano sulle spalle il peso
per trasportarlo in un luogo dove poterlo seppellire.
Giunto ormai il mattino, Zerbino, che sta tornando in quel momento
all’accampamento dopo aver dato per tutta la notte la caccia ai nemici, si accorge
però della loro presenza e corre verso di loro con tutti i cavalieri al suo seguito.
Cloridano, pensando che Medoro faccia altrettanto, lascia il carico e corre a mettersi
in salvo in un vicino bosco. L’amico non abbandona però il corpo di Dardinello.
XIX Canto
Cloridano, abbandonato il carico, riesce a scappare velocemente attraverso il bosco
ed a porsi anche in salvo. Appena si accorge della mancanza di Medoro decide però
subito di tornare indietro. Medoro, rallentato dal peso del corpo esangue di
Dardinello, è invece stato raggiunto da Zerbino ed dagli altri cavalieri cristiani, che lo
circondano e lo minacciano. Cloridano, rimanendo nascosto, scocca due frecce dal
suo arco ed uccide altrettanti cavalieri. Zerbino minaccia quindi Medoro di pagare lui
le conseguenze di quel gesto, ma visto il bel viso del ragazzo prova pietà per lui e non
riesce ad ucciderlo. Medoro, prega il paladino di consentirgli di seppellire il proprio
padrone, ed è anche riuscito a convincerlo ma un altro cavaliere interviene però in
quel momento e lo trapassa con la propria lancia facendolo cadere come morto.
Visto il caro amico a terra, Cloridano esce dal proprio nascondiglio e viene subito
ucciso. Infine Zerbino, sdegnato per il gesto del suo cavaliere e per non essere
riuscito a punirlo, torna con il suo seguito all’accampamento cristiano.
Angelica, vestita di panni umili ma con il solito aspetto regale, giunge per caso là
dove si trova Medoro. L’orgoglio della ragazza è cresciuto oltre ogni misura, va
ormai in giro da sola e non ritiene che ci sia nessuno all’altezza della sua compagnia.
Amore, non potendo più tollerare questo suo comportamento, aspettò Angelica vicino
al giovane, la colpì con una sua freccia e la fece quindi prigioniera d’amore per
Medoro.
Angelica cura la ferita di Medoro con delle erbe medicinali. Convince quindi un
pastore, incontrato lì vicino, ad aiutare insieme a lei il giovane, dando loro ospitalità.
Prima di essere portato via di lì Medoro chiede però ed ottiene che venga data
sepoltura a Dardinello ed a Cloridano.
Quanto più la ferita del giovane guarisce, tanto più si allarga la ferita aperta nel cuore
di Angelica da Amore. I due sfogano infine le loro passioni e Medoro ottiene da
Angelica ciò che nessun altro cavaliere era mai riuscito ad avere, nonostante le
incredibili imprese che per lei aveva compiuto e l’incredibile valore che le aveva
mostrato. Nella casa del pastore, per rendere quindi leggittima la loro unione, i due
amanti si sposano. Passano poi più di un mese ad amoreggiare in ogni luogo e in ogni
luogo lasciano la loro firma intrecciata in mille modi. Angelica decide infine di
ripartire con Medoro per fare ritorno in India e paga l’ospitalità del pastore
donandogli il bracciale prezioso che aveva ricevuto da Orlando come pegno del suo
amore.
In viaggio verso Barcellona in cerca di una nave per l’India, per poco non subiranno
danni da un uomo completamente folle incontrato su una spiaggia.
Dopo giorni passati a fronteggiare il mare in tempesta, la nave, ormai completamente
distrutta, che ospita Sansonetto, Astolfo, Marfisa, Grifone ed Aquilante, giunge infine
sulle coste della città di Alessandretta. Il capitano racconta al duca Astolfo che in
quella città vivono femmine crudeli ed omicide, che uccidono o fanno prigioniero
ogni uomo che giunga presso la loro terra e non riesca a superare una prova di valore:
sconfiggere in combattimento dieci uomini e soddisfare a letto, la notte stessa,
altrettante donne. Se l’uomo riesce nell’impresa, allora salva la propria vita (non la
propria libertà poiché dovrà comunque sposare dieci donne) e dona la libertà al
proprio seguito; altrimenti viene messo a morte e tutto il suo seguito viene fatto
prigioniero. Gli uomini liberati potranno comunque rimanere, sempre però con
l’obbligo di sposare dieci loro donne.
Tutti i marinai preferiscono la morte in mare piuttosto che perdere la propria libertà, i
cinque cavalieri vogliono invece essere condotti a terra. A decidere la contesa arriva
un nave partita dalla città di Alessandrina, che fa prigioniera la loro imbarcazione
(impossibilitata a muoversi) e la conduce al porto.
Ad attenderli sulla terra ferma ci sono già più di seimila donne con gli archi in mano.
La donna loro guida, Orontea, espone le condizioni per riavere la libertà e rimanere in
vita, credendo comunque che tutto l’equipaggio si accontenti però infine della sola
vita, accettando volentieri per questo la schiavitù. I cavalieri dicono invece di voler
accettare la sfida e vengono quindi condotti a terra. Nella città vedono donne andare
in giro armate come cavalieri e uomini con vestiti femminili ed intenti a compiere
lavori tipici femminili; altri, in catene, arano invece la terra o controllano le mandrie.
I cinque cavalieri estraggono a sorte la persona che dovrà sostenere entrambe le
prove. Marfisa non viene ritenuta adeguata per sostenere la seconda, per sua volontà
(vuole porre fine una volte per tutte a quell’usanza) viene comunque inserita nel
sorteggio ed infine incaricata del compito. La donna viene quindi condotta nell’arena
dove vengono fatti entrare i dieci cavalieri suoi avversari. Nove cavalieri si avventano
subito su Marfisa, il decimo invece rimane in disparte, per non mancare di rispetto
alle regole cavalleresche. Questo cavaliere monta un cavallo completamente nero se
non per due macchie bianche, ed è anche lui vestito allo stesso modo modo così da
esprimere il proprio stato d’animo. Marfisa infila tre avversari in un solo colpo
servendosi della sua grossa lancia ed utilizzando la spada fa poi strage degli altri sei.
L’ultimo cavaliere, giunto il momento in cui il combattimento si può svolgere alla
pari, dice a Marfisa, non sapendo che si tratti di una donna, di concedergli la notte per
riposare, visto la fatica che aveva dovuto sostenere per scontrarsi
contemporaneamente contro nove avversari. Lei rifiuta ed inizia quindi il loro
combattimento.
Il primo scontro con le lance è tanto forte che entrambi vengono sbalzati da cavallo
ed entrambi rimangono sorpresi per quel fatto per loro nuovo. Anche il
combattimento con le spade è poi molto duro, tanto che Marfisa è contenta di non
aver dovuto affrontare il cavaliere insieme agli altri nove, ed il cavaliere è contento
che l’avversario non abbia voluto riposare prima di affrontarlo. Giunge però infine la
notte ed il combattimento viene sospeso. Il cavaliere misterioso invita Marfisa ed i
suoi compagni nella propria dimora, dicendo che non potranno essere più sicuri in
nessun altro luogo, dal momento che ha ucciso nove uomini e le rispettive novanta
moglie vorranno vendicarsi. Giunge infine nella dimora di lui, entrambi i cavalieri si
tolgono le armi: il cavaliere misterioso rimane stupito vedendo che l’avversario sia
una donna, Marfisa rimane stupita dal fatto che il misterioso cavaliere sia solo un
ragazzo di appena diciotto anni.
XX Canto
Il ragazzo racconta loro di essere Guidon Selvaggio, di essere della stessa stirpe di
Orlando e di essere arrivato in quella città, a causa di una tempesta, nel tentativo di
raggiungere la Francia; uccisi i dieci cavalieri e soddisfatte le dieci donne, era stato
quindi nominato re della città. Dal suo racconto si deduce in particolare che è fratello
di Rinaldo e quindi cugino del duca Astolfo. Il ragazzo racconta quindi loro la storia
di Alessandretta.
Quando dopo dieci anni di assedio e dopo altrettanti anni in mare, i Greci lasciarono
Troia per tornare in patria, trovarono le loro case piene dei figli avuti dalle loro donne
con nuovi giovani amanti. Non volendo mantenere figli non loro, i mariti mandarono
i giovani a cercarsi fortuna altrove. Uno di questi, Falanto, viene assoldato dai
Cretesi, insieme agli altri giovani al suo seguito (con i quali faceva scorribande per
mare), per stare a guardia di Dictea. Le donne della città subito si innamorarono dei
giovani greci, che diventarono loro amanti. Terminato l’incarico, Falanto e gli altri
giovani vollero ripartire e le donne loro amanti, non essendo riuscite a trattenerli con
le preghiere, decisero infine di partire con loro dopo aver sottratto dalle loro case ogni
ricchezza. Giunsero così sulla spiaggia dove sorge ora Alessandretta. I giovani greci
decisero però di abbandonare poco dopo le donne, le derubarono dei loro averi e
ripartirono per la Puglia, dove fondarono Taranto. Le donne fondarono invece lì la
città di Alessandretta e, per vendicarsi del torto subito dagli uomini, decisero di
assaltare ogni nave costretta a raggiungere il loro porto e di uccidere tutto
l’equipaggio. Successivamente, essendosi accorte che un tale stile di vita avrebbe
portato allo loro estinzione, selezionarono un gruppo ristretto di uomini come loro
sposi. Per limitare il numero di uomini, istituirono anche una legge che limitava ad
uno il numero di figli maschi che ogni donna poteva tenere, gli altri avrebbero dovuto
essere uccisi o barattati possibilmente con altre donne.
Passando gli anni, le crudeli regole di quella società iniziarono man mano ad essere
meno dure verso gli stranieri: l’assalto alle navi e la strage immediata venne sostituita
dalla prigionia e dal sacrificio di un uomo ogni giorno, fino ad arrivare a quella legge
che anche i cinque cavalieri sono ora costretti a rispettare. Guidone confessa infine di
preferire ormai la morte a quella prigionia, che gli impediva di mostrare al mondo il
proprio valore al pari di tutti gli altri membri della sua stirpe.
Astolfo si presenta al giovane e gli dice di essere suo cugino. L’incontro non suscita
però la felicità che avrebbe dovuto, perché la regola crudele che devono rispettare
non porterà alla fine a nessun vincitore: se muore lui e Marfisa non supera la seconda
prova, diventano tutti schiavi; muore Marfisa e lui vince, diventano tutti schiavi.
Marfisa propone al giovane di combattere fianco a fianco per fare un strage e
distruggere la città. Il giovane propone invece di inviare la sua più fedele moglie,
Aleria, a fare allestire una nave per la loro fuga e di fuggire quindi tutti insieme di
nascosto, utilizzando le armi solo per superare eventuali intoppi. La donna accetta
infine tale soluzione per non mettere a rischio la sicurezza dei compagni con un
proprio gesto violento.
La nave viene allestita ed il mattino seguente i sei cavalieri partono dalla dimora di
Guidon per raggiungere il porto, approfittando del fatto che tutte le donne della città
si erano già riunite intorno all’arena per vedere la fine del combattimento.
Per raggiungere la nave devo però passare dalla piazza principale e appena le donne
capiscono l’intenzione del loro re, subito si muovono per fermarne la fuga. Astolfo
decide quindi di suonare il suo corno magico mettendo così in fuga le avversarie
terrorizzate. La stessa compagnia di Astolfo, tanto valorosa e coraggiosa, non può
fare altro che fuggire pallida e terrorizzata. Raggiungono fortunatamente il porto e
salgono in fretta sulla nave, che subito prende il largo.
Quando Astolfo arriva sulla spiaggia la nave è già partita, non potrà pertanto fare
altro che proseguire il viaggio per terra. Gli altri cinque cavalieri giungono invece per
mare a Marsiglia. Aquilante, Grifone, Sansonetto e Guidon proseguiranno insieme il
loro viaggio, trovando infine dimora nel castello di Pinabello di Maganza, che li farà
suoi prigionieri approfittando del loro sonno.
Marfisa proseguirà invece da sola il proprio viaggio (dicendo che solo gli animali
timorosi procedono in gruppo) ed incontrerà sul suo cammino, presso un torrente, un
donna anziana, Gabrina, quella scappata dalla caverna dove Orlando era arrivato ed
aveva liberato Isabella. Marfisa prende la vecchia con sé ed incontra poi Pinabello a
cavallo insieme alla sua amata, credele alla pari del conte. Questa, vedendo Gabrina,
non riesce a trattenersi dal deriderla. Marfisa sfida Pinabello, lo sconfigge, fa
indossare alla vecchia tutti i vestiti e gli ornamenti appartenenti alla donna amata dal
cavaliere e prende infine anche il cavallo di lei.
Procedendo oltre, le due donne incontrano poi anche Zerbino, che aveva fino a quel
momento inseguito invano il cavaliere colpevole di avere ferito a morte Medoro.
Anche il paladino non si può trattenere dal deridere Gabrina, la cui bruttezza veniva
ulteriormente esaltata da tutti gli ornamenti che ora portava.
I due cavalieri si sfidano: chi perde dovrà per sempre tenere la vecchia con sé.
Zerbino viene disarcionato e vince Gabrina, che subito gli dice che a batterlo è stata
una donna. Zerbino rimonta a cavallo e riparte in compagnia della vecchia.
Il paladino si lamenta della sua triste sorte, che gli ha fatto perdere Isabella (crede sia
morta in mare) per fargli trovare infine una vecchia. Gabrina, benché Zerbino non si
sia presentato e non nomini Isabella, capisce subito che il suo nuovo compagno è quel
cavaliere del quale aveva tanto sentito parlare dalla ragazza. Rinfaccia però al
cavaliere di essere stata da lui derisa e per questo gli dice di non volergli raccontare
niente di quello che sa di Isabella; dice solo, mentendo, che è capitata nelle mani di
venti uomini che hanno violato il suo corpo. Zerbino dopo aver pregato ed anche
minacciato invano la vecchia per sapere il luogo dove Isabella di trova, non può fare
altro che ripartire in sua compagnia e condurla, come promesso a Marfisa, ovunque
lei voglia.
Incontreranno alla fine un cavaliere.
XXI Canto
Rispettoso della parola data, Zerbino conduce la vecchia in ogni luogo dove lei
desideri andare, sebbene la detesti e sia ormai reso folle dall’ira per la propria cattiva
sorte.
Incontrano sulla loro via il cavaliere Ermonide d’Olanda, al quale la donna aveva con
l’inganno ucciso il padre ed anche l’unico fratello, che subito sfida Zerbino spinto
dalla volontà di vendicarsi uccidendo Gabrina. Nello scontro il cavaliere olandese
viene trafitto ad una spalla dalla lancia di Zerbino e cade a terra. Ermonide racconta
quindi la propria storia, spiegando perché avesse tanto in odio quella vecchia.
Il fratello, di nome Filandro, partito per combattere per l’imperatore bizantino, era
stato accolto nel palazzo da un barone di nome Argeo, la cui moglie era appunto
Gabrina. La donna iniziò a desiderare il fratello di Ermonide, ottenendo però in
risposta solo rifiuti.
Rimasti soli nel palazzo, i continui tentativi della donna spinsero il giovane, debole
per una ferita riportata in guerra, ad abbandonare il palazzo. Gabrina raccontò però al
proprio marito di essere stata posseduta con la forza dal fratello di Ermonide,
scappato poi per paura che ciò si venisse a sapere. Argeo le crede, corre a vendicarsi,
ferisce e fa quindi prigioniero Filandro.
La donna continuò ad infastidire il ragazzo anche nella prigione, promettendogli la
libertà in cambio di ciò che gli aveva sempre chiesto. Filandro le risponde sempre con
un rifiuto, dicendo di preferire quell’ingiusta punizione piuttosto che venire meno alla
fedeltà, che in cielo gli farà avere un premio ben diverso.
Un giorno, dopo che per sette mesi Gabrina non aveva più fatto visita al fratello di
Ermonide, Argeo d’accordo con la moglie fa finta di partire per Gerusalemme così da
poter sorprendere intorno al proprio castello il barone Morando, tanto odiato da
Argeo ed amante di Gabrina. L’astuta donna corre da Filandro chiedendogli di
intervenire per salvare il suo onore e quello del marito, proteggendola da Morando
che, dice lei, si presenterà nella corte per possederla. Così agendo Filandro potrà
realmente dimostrare la propria fedeltà verso Argeo. Come chiesto da Gabrina,
Filandro aspetta, nascosto nella camera di lei, che giunga Morando così da poterlo
uccidere. A completamento dell’inganno la donna porta però nella stanza il marito
che trova così la morte per mano del giovane. Gabrina, svelato l’inganno a Filandro,
gli chiede ancora di soddisfare il proprio desiderio, minacciandolo di raccontare
altrimenti a tutti il suo atto infedele.
Filandro, affinché non venga sparso altro sangue, è alla fine costretto a sottomettersi
al volere di lei, per fare poi ritorno in Olanda insieme alla donna.
Tornato in patria, l’odio verso la donna e l’infinita tristezza per ciò che aveva fatto, lo
fecero ammalare gravemente. Gabrina, trasformato l’amore in odio, si mise d’accordo
con un medico per avvelenare il giovane. Nel momento di somministrare il veleno,
viene però meno all’accordo con il medico e fa bere anche a lui la medicina
avvelenata. L’uomo prima di morire riesce però a raccontare ai presenti l’inganno
organizzato da Garbina e la donna viene subito incarcerata.
Ermonide d’Olanda non riesce purtroppo a proseguire il suo racconto perché la ferita
gli toglie infine le forze. Zerbino si scusa per il danno arrecato, confessando di aver
dovuto combattere in difesa della donna solo per non venir meno ad una parola data. I
due, ognuno acceso d’odio per l’altro, ripartono infine a cavallo e verso sera
sentiranno i rumori di una battaglia.
XXII Canto
Zerbino sente i rumori di una battaglia e subito, seguito da Gabrina, si reca sul luogo
da dove giungono quei rumori e trova un cavaliere morto.
Tornando a parlare di Astolfo, il paladino raggiunge infine la propria patria. Saputo
che re Ottone si trovava a Parigi da parecchi mesi e che la maggior parte dei baroni
l’avevano quindi seguito in Francia, il cavaliere riparte però subito.
Giunto durante il suo viaggio ad una fonte, gli viene rubato il cavallo Rabicano.
Astolfo corre all’inseguimento del ladro, raggiunge infine il castello di Atlante e vi
entra seguendo il furfante. Dopo aver speso invano la giornata a ritrovare il proprio
destriero, accortosi di essere prigioniero di un luogo incantato, Astolfo fa ricorso al
libro contro gli incantesimi donatogli da Logistilla: per rendere vana la magia è
necessario liberare uno spirito rinchiuso sotto la soglia del castello. Atlante, accortosi
del tentativo del cavaliere di rimuovere la pietra e liberare lo spirito, con un ulteriore
incantesimo fa apparire Astolfo agli occhi degli altri suoi prigionieri nella forma (da
gigante, da cavaliere malvagio..) con la quale il mago stesso era apparso loro nel
bosco. Tutti i cavalieri prigionieri del castello di Atlante si avvicinano minacciosi al
duca, che però si difende prontamente soffiando nel corno magico. Tutti fuggono
terrorizzati dalla prigione incantata, compresi i cavalli e compreso anche lo stesso
mago Atante.
Astolfo riesce a fermare la fuga di Rabicano, rientrandone in possesso, e procede
quindi indisturbato a rimuovere la pietra e ad annullare l’incantesimo del castello di
Atlante. Ritrova nel palazzo anche l’Ippogrifo (legato con una catena d’oro, non era
stato in grado di fuggire), ritornato dal mago dopo essere scappato a Ruggiero. Il
duca è intenzionato ad impossessarsi del cavallo, gli mette pertanto briglie e sella, ma
non vuole abbandonare il proprio cavallo Rabicano. Decide quindi di trovare
qualcuno che sia disposto a seguirlo per terra portando con sé Rabicano, così da
condurlo in una città e poterlo dare in dono ad un suo amico. Rimane sul posto
aspettando che passi qualcuno ed vede infine arrivare un cavaliere.
Finalmente liberi, Bradamante e Ruggiero possono ora abbracciarsi e baciarsi. Lei
invita il cavaliere a battezzarsi ed a chiederla in sposa al padre, così da poter
finalmente dare compimento al loro desiderio amoroso. Ruggiero risponde di essere
disposto a qualunque cosa per lei, e così i due amanti si dirigono insieme verso la
badia di Vallombrosa dove poter fare battezzare il pagano. Incontrano sulla loro via
una donna dal volto triste. Il cavaliere pagano le chiede subito la ragione delle sue
lacrime e gli viene risposto che hanno origine dalla pietà per un ragazzo che sarebbe
stato ucciso quel giorno. Il giovane, innamorato della figlia del re spagnolo Marsilio,
era solito fare visita all’amata ogni notte travestendosi da donna. Il re, saputo del
fatto, aveva fatto imprigionare i due giovani in due celle separate e condannato lui ad
essere arso vivo.
Bradamante sembra essere molto scossa da quella notizia e chiede quindi di essere
condotta all’interno delle mure, così da poter salvare la vita del ragazzo. La donna
dice però loro che non potranno prendere la via più breve, che assicurerà loro il
tempo necessario per intervenire in difesa del ragazzo, perché su quella via si trova il
castello di Pinabello che ha da poco istituito una legge, fatta rispettare da quattro
valorosi cavalieri, che reca danno ad ogni donna e ad ogni cavaliere che passi di lì:
toglie a lei i vestiti ed a lui le armi, ad entrambi toglie i cavalli. La legge era stata
istituita per soddisfare la voglia di vendetta della donna amata da Pinabello, dopo che
a seguito di un duello perso da lui stesso e provocato dal suo avere deriso una vecchia
che si accompagnava ad un cavaliere, le erano stati tolti i vestiti ed il cavallo.
Pinabello aveva quindi catturato quattro cavalieri, Aquilante, Grifone, Sansonetto e
Guidon Selvaggio, ed in cambio della libertà aver fatto loro promettere di fare
rispettare quella ingiusta legge per un anno ed un mese. Ruggiero convince
comunque la donna a condurli lungo la via più breve, anche perché se dovessero
seguire l’altra più tortuosa non riuscirebbero ad arrivare in ogni caso in tempo per
salvare il giovane.
Giunti alle porte del castello di Pinabello, subito gli viene incontro un vecchio che gli
spiega l’usanza e chiede loro di togliersi subito armi, vestiti e cavalli, per poter così
almeno salvare la vita. Ruggiero si rifiuta di doverlo fare solo a causa di semplici
minacce, dice di aver fretta e chiede di poter subito confrontarsi con i quattro valorosi
cavalieri.
Esce dal castello Sansonetto e subito viene sfidato in combattimento da Ruggiero. Il
colpo che i cavalieri portano l’uno allo scudo dell’altro è molto duro, ma mentre lo
scudo magico di Ruggero (quello in grado di abbagliare e per questo coperto da un
telo) è impenetrabile ai colpi inflitti, l’altro viene spezzato e Sasonetto viene ferito e
disarcionato.
Pinabello si avvicina in quel momento a Bradamante per chiedere chi fosse il
valoroso cavaliere suo compagno. Il vile uomo è in sella al cavallo del quale si era
impossessato dopo aver gettato la donna nella tomba di Merlino, è quindi facile per
lei riconoscere il conte. Bradamante minaccia Pinabello di volergli dare il premio per
il suo comportamento e sguaina così la spada. Lui fugge nella foresta ma è subito
inseguito da lei.
Intanto, sconfitto Sansonetto, dal castello escono gli altri tre cavalieri che, secondo le
regole e con loro profonda vergogna, combatteranno ora contemporaneamente contro
Ruggiero. Durante lo scontro tra il pagano e Grifone, il cristiano viene disarcionato e
con la propria lancia strappa il velo che ricopre lo scudo magico. Il colpo di
Aquilante completa l’opera e viene così liberato il grande splendore in grado di fare
cadere tutti svenuti, e così succede anche in quel caso. Accortosi dell’accaduto,
Ruggiero ricopre lo scudo con un altro velo, prende con sé la donna, ora tramortita,
che li aveva guidati lì e riparte lungo la via. Crede infatti che Bradamante abbia
approfittato della confusione per procedere oltre ed arrivare in tempo per salvare la
vita del ragazzo.
Tanto il pagano si vergogna di aver ottenuto la vittoria non grazie al proprio valore,
che trovato sulla propria strada un pozzo, subito corre a gettarvi dentro lo scudo.
Bradamante nel frattempo aveva raggiunto ed ucciso il conte Pinabello. La donna non
riuscì però a ritrovare la strada per ritornare là dove aveva lasciato l’amante; vagherà
pertanto a lungo nel bosco.
XXIII Canto
Ucciso Pinabello, Bradamante si accorse di non sapere più tornare al luogo in cui
aveva lasciato Ruggiero. Dovette dormire in un bosco, tra sospiri e lacrime,
accusandosi di essersi lasciata prendere dall’ira, di non essere stata al fianco
dell’amato e di non essersi nemmeno guardata intorno durante l’inseguimento, tanto
ardeva dal desiderio di vendicarsi.
Vagando per il bosco, il giorno dopo la donna raggiunge il palazzo nel quale era stata
tenuta prigioniera, per incantesimo, insieme ad altri cavalieri, ed incontra quindi il
suo cugino Astolfo.
Il paladino è ben contento di incontrare Bradamante, la miglior persona alla quale
avrebbe mai potuto affidare Rabicano. Astolfo consegna quindi alla donna il proprio
destriero, l’armatura, così da potersi muovere leggero nell’aria a cavallo
dell’ippogrifo, e la lancia incantata, chiedendole il piacere di portarle a Montalbano e
di conservarle fino al suo ritorno. Il cavaliere prende infine la sua via nel cielo.
Aiutata da un campagnolo, la donna riprende quindi il proprio viaggio con
l’intenzione di recarsi prima alla badia di Vallombrosa, per ritrovare l’amato, e solo
dopo fare ritorno a Montalbano, dove aveva la madre ed alcuni suoi fratelli ad
aspettarla.
Vagando per il bosco, si ritrova però subito a Montalbano. Teme di essere
riconosciuta e di trovarsi quindi costretta a rimanere contro la propria volontà, per
tale motivo riparte lungo la via a lei nota che porta alla badia. Non fa però in tempo
ad allontanarsi che incontra il fratello Alardo. Si incammina con lui verso
Montalbano e riabbraccia così la madre Beatrice ed anche gli altri suoi fratelli.
Non potendo più andarci di persona, Bradamante invia Ippalca, figlia della sua balia,
a Vallombrosa per informare Ruggiero degli avvenimenti e chiedergli quindi di
procedere nel battesimo per poi raggiungerla a Montalbano. Affida a lei anche
Frontino, il cavallo di Ruggiero, che aveva portato a Montalbano dopo che l’amato
era stato rapito dall’ippogrifo.
Ippalca incontra sulla propria via Rodomonte, il quale, partito alla ricerca di Doralice
a piedi, si era promesso di entrare in possesso del cavallo del primo cavaliere che gli
fosse capitato di incontrare. Da quel momento non aveva incontrato altri cavalli se
non quello condotto dalla messaggera di Bradamante. Al guerriero Pagano dispiace di
doverlo sottrarre ad una donna, saputo però che si tratta del destriero di Ruggiero, che
la donna dice essere, seguendo le istruzioni ricevute da Bradamante per spaventare
ogni malintenzionato, il più valoroso cavaliere, il crudele saraceno non esita oltre,
sale in groppa al destriero e si rimette in viaggio. Rodomonte chiede ad Ippalca di
fare il suo nome a Ruggiero e di dirgli che se lo rivuole indietro potrà trovarlo
facilmente seguendo le chiare tracce del suo passaggio.
Sentito il rumore di una battaglia, subito Zerbino, seguito da Gabrina, corre sul posto
e trova così il cadavere di Pinabello poco dopo la partenza di Bradamante. Mentre il
cavaliere cerca invano di trovare il colpevole dell’omicidio, la vecchia sottrae al
morto tutto ciò che di valore riesce a nascondersi addosso, tra cui un cintura.
I due, ripartiti, giungono presso al palazzo del padre di Pinabello. Zerbino finge di
non sapere nulla del corpo per paura di essere accusato dell’omocidio. Il padre di
Pinabello, il conte Anselmo, aveva però promesso un ricco premio a chi riuscisse a
indicargli l’assassino, e la vecchia Gabrina subito approfitta dell’occasione per
indicare in Zerbino l’omicida e, per essere meglio creduta, mostra anche al conte la
cintura sottratta al cadavere. Zerbino viene subito fatto prigioniero e condannato ad
essere squartato là dove Pinabello era stato ucciso. Giunge per fortuna sul posto il
paladino Orlando in compagnia della bella Isabella. Il cavaliere, lasciata la compagna
su di un monte, si avvicina al condannato a morte chiedendo spiegazioni. Zerbino gli
racconta la sua storia e convince così bene Orlando della propria innocenza (aiutato
anche dal fatto che Orlando conosce bene la crudeltà dei Maganzanesi) che subito il
paladino decide di aiutarlo. Orlando si lancia in combattimento e fa una strage
uccidendo senza pietà tutti quelli che riesce a raggiungere.
Zerbino, riavuta la libertà ed indossate nuovamente le proprie armi (quindi non
riconoscibile a causa dell’elmo), si accorge della presenza dell’amata Isabella e arde
pertanto d’amore. Vorrebbe riabbracciarle ma teme che il paladino, verso cui è
debitore della propria vita, sia il nuovo amante di lei, e perciò si trattiene.
Giunti presso una fonte, Zerbino si toglie infine l’elmo e viene riconosciuto da
Isabella, che corre ad abbracciarlo. Un rumore giunto dal bosco pone fine ai
ringraziamenti dei due amanti verso Orlando ed i tre vedono arrivare a cavallo
Mandricardo e Doralice.
Il crudele pagano era alla ricerca di quel cristiano che aveva fatto una strage di
guerrieri saraceni presso Parigi, per potersi confrontare con lui; riconosciutolo quindi
nel cavaliere che si trova in quel momento di fronte, sfida subito il conte a duello.
Orlando si stupisce di vedere l’avversario privo di spada e Mandricardo gli dice di
essersi promesso di non portare con sé nessuna spada finché non riuscirà a togliere la
spada Durindana al conte Orlando. Infine dice di volersi vendicare anche
dell’uccisione del proprio padre, Agricane, per mano del paladino. Orlando dichiara
la propria identità, appende ad un albero la propria spada e si prepara al duello. La
lance vengono subito ridotte in pezzi nei primi scontri e gli sfidanti, non avendo altre
armi, non possono fare altro che cercare di avere la meglio con i pugni e nel
combattimento corpo a corpo. Il cavallo di Mandricardo rimane senza le briglie, tolte
da Orlando, e parte subito al galoppo, accecato dalla paura, portandosi dietro il
proprio padrone. Terminerà la propria corsa cadendo in un fosso. Doralice, corsa
dietro alla propria guida, offre al guerriero le briglie del proprio cavallo. Mandricardo
si impossessa invece di quelle del cavallo guidato da Gabrina, giunta lì per caso.
Orlando, non vedendo ricomparire l’avversario, decide di andare alla ricerca di
Mandricardo e si separa così dai due amanti, chiedendo però prima loro, dovessero
mai incontrare il guerriero pagano, di dire lui che potrà trovare il paladino in quei
boschi per altri tre giorni, prima che faccia poi ritorno a Parigi.
Dopo aver girato invano per due giorni, il conte Orlando giunge infine nei luoghi
dove Angelica e Medoro sfogarono la loro passione amorosa. Vede i loro nomi incisi
su ogni albero ed ogni pietra. Il paladino cerca di convincersi prima che si tratti di
un’altra Angelica, ma conosce purtroppo bene la grafia della donna amata, poi che
Medoro fosse il soprannome che lei gli aveva dato, ma in una grotta trova una poesia
scritta dal giovane in onore della passione vissuta insieme ad Angelica, e non può
infine fare altro che scontrarsi con la dura realtà. Inizia a crescere la pazzia in
Orlando.
Pensa anche che le scritte siano opera di qualche malintenzionato, che voglia
disonorare e screditare la sua amata, oppure che siano state fatte con l’intenzione di
ferirlo ingiustamente. Quella sera si trova però a dormire nella casa dello stesso
pastore che aveva accolto Angelica e Medoro e li aveva infine sposati. Gli viene
raccontato ogni dettaglio della storia d’amore dei due giovani e gli viene anche
mostrato il bracciale, donato da Orlando come pegno d’amore, con il quale Angelica
aveva ripagato il pastore dei favori ricevuti. Questa storia è la scure che tolse
definitivamente il capo dal collo del paladino. Fugge nella notte da quella casa dove
la sua amata aveva sfogato la sua passione amorosa per Medoro. Raggiunge il bosco,
grida il suo dolore, versa lacrime per giorni e si sente morire. Giunto nuovamente nei
luoghi dove ovunque erano incisi i nomi dei due amanti, l’Orlando furioso sguaina la
propria spada e distrugge tutto ciò che abbia quelle scritte. Ormai sfinito si sdraia sul
prato e rimane così, immobile, per tre interi giorni. Orlando si spoglia poi
dell’armatura, di ogni arma e di ogni veste, rimanendo completamente nudo. Il
paladino ha perso ora completamente il senno: è la pazzia di Orlando. Il conte furioso
distrugge tutto ciò che incontra sulla propria strada utilizzando la propria immensa
forza.
XXIV Canto
Udito il gran frastuono provocato dal paladino, alcuni pastori si recano sul posto.
Vista la pazzia di Orlando cercano subito di fuggire, ma il conte li rincorre e fa una
strage di uomini, per poi fare altrettanto con i loro animali.
I contadini cercano anche di difendersi come possono, ma non riescono neanche a
ferirlo, essendo lui invulnerabile per incantesimo. Quando oramai nessuno osa più
stargli intorno, l’Orlando furioso prosegue oltre nel suo vagare. Girerà tutta la
Francia, saccheggiando paesi ed uccidendo uomini ed animali senza distinzione, fino
a giungere un giorno presso un ponte.
Tornando a parlare di Zerbino e di Isabella, i due amanti, dopo essersi separati da
Orlando, incontrano sulla loro via Odorico, colui che aveva tentato di possedere con
la forza Isabella, condotto a cavallo come prigioniero da Almonio, il cavaliere che si
era opposto a Odorico ed era stato da lui ferito, e Corebo, il cavaliere allontanato con
una scusa da Odorico. Almonio racconta al suo signore gli avvenimenti successivi al
rapimento di Isabella. Tornato alla spiaggia con i cavalli richiesti, Almonio aveva
ritrovato solo il compagno ferito ed era stato quindi informato su quanto successo.
Una volta guarito Corebo, i due si erano messi alla ricerca del cavaliere infedele e
l’avevano trovato presso il re Alfonso d’Aragona. Almone sfida in duello Odorico, lo
sconfigge e su concessione del re lo incatena con l’intenzione di consegnarlo appunto
a Zerbino.
Odorico conferma le parole di accusa, dicendo però di aver combattuto oltre ogni
limite per non cedere in tentazione, ma l’avversario era stato tanto superiore che alla
fine era stato costretto a cedere. Zerbino ricorda la grande amicizia che li aveva
sempre uniti e decide quindi di graziarlo, sapendo che è stato vittima d’amore.
Giunge in quel momento tra loro anche il cavallo con in groppa Gabrina, al quale
Mandricardo aveva tolto il freno, che viene subito riconosciuta. Per punizione
Zerbino fa promettere a Odorico di tenersi per compagna la donna per un anno intero,
di condurla ovunque lei voglia andare e di proteggerla da qualunque cavaliere.
Odorico non manterrà la promessa, impiccherà infatti la vecchia ad un albero quello
stesso giorno, per poi subire lo stesso trattamento per mano di Almonio.
Zerbino manda infine Almonio e Corebo a dare sue notizie alla schiera scozzese e
prosegue quindi insieme ad Isabella lunga la via percorsa da Orlando, spinti entrambi
dal desiderio di conoscere la sorte del loro salvatore. Arrivano sul luogo dove la
pazzia d’Orlando aveva manifestato i primi sintomi; ritrovano la sua armatura, il
cavallo Brigliadoro e la sua spada Durindana. Un pastore racconta loro della furia del
cavaliere che aveva sparso in ogni luogo gli oggetti che vedono. Isabella e Zerbino
raccolgono ogni pezzo e lasciano il tutto su di un pino.
Giunge in quel posto anche Fiordiligi mentre è alla ricerca dell’amato Brandimarte,
partito esso stesso alla ricerca di Orlando e poi ritornato a Parigi (ma lei non lo sa).
La donna riconosce le armi del paladino e viene a conoscenza della sua sorte.
Giunge poi anche Mandricardo e senza esitare si impossessa della spada Durindana.
Zerbino non accetta quel comportamento e subito si lancia contro il guerriero pagano.
Il duello è impari: Zerbino si muove velocemente per schivare i colpi dell’avversario
e piazzare i propri, ma non può nulla contro l’armatura che in precedenza era
appartenuta ad Ettore; i pochi colpi piazzati da Mandricardo vanno sempre a segno e
Zerbino si ritrova in breve ferito, privo dello scudo e con l’armatura lacerata.
Devono intervenire le donne, Isabella e Doralice, per calmare l’ira degli uomini e
separarli. Fiordiligi si dispera vedendo allontanarsi in cattive mani la spada
dell’amico Orlando. Vuole ora ancora di più ritrovare Brandimarte: per amore, ma
anche perché sa che lui sarebbe in grado di riprendere Durindana. Prosegue oltre il
suo viaggio ed un giorno, mentre sta per oltrepassare un ponte, incontra il povero
paladino.
Zerbino, calmata l’ira, sente la vita che si spegne non solo a causa delle ferite ricevute
e del sangue che continua a perdere, ma anche per il dolore per non essere riuscito a
recuperare la spada e per le lacrime che velano gli occhi di Isabella. Lei si dispiace
per non essere in grado di salvarlo, lui si dispiace perché la lascia senza guida in un
posto non sicuro. Lei dichiara di voler morire per seguirlo nella morte, lui la convince
a non compiere quel gesto e muore subito dopo tra le sue braccia. Giunge sul luogo
un eremita ed evita il suicidio di Isabella, raccontandole passi del vecchio e del nuovo
testamento che parlavano di donne in situazioni simili alla sua. Alla ricerca di un
buon luogo dove seppellire Zerbino, l’eremita conduce la donna in un monastero di
monache in Provenza. Incontreranno però sulla loro via un cavaliere che li offenderà
ingiustamente.
Tornando a raccontare di Mandircardo, il guerriero, terminata la battaglia, raggiunge
una fonte e subito vede arrivare, guidato dal nano mandato da Doralice, Rodomonte,
pronto a sfidarlo per vendicarsi della perdita della sua promessa sposa.
Inizia un feroce combattimento tra i due cavalieri pagani; i colpi inferti dall’una e
dall’altra parte sono durissimi. Le armature incantate li proteggono da ogni ferita, ma
i colpi ricevuti alla testa sono tanto forti da lasciarli a volte storditi.
Il cavallo di Mandricardo prende alla testa, indietreggiando, un colpo diretto al suo
padrone e cade morto. Rodomonte viene disarcionato ed il combattimento torna così
alla pari. Giunge infine un messaggero mandato da re Agramante per richiamare nelle
file dell’esercito tutti i comandanti ed i cavalieri lontani da Parigi. L’accampamento
pagano è sotto assedio ed è urgente il loro aiuto. Su richiesta della donna i due
guerrieri sospendono il combattimento, rimandandolo al giorno in cui
l’accampamento saraceno sarà stato liberato dall’assedio, così da decidere chi dei due
potrà avere Doralice. Mandricardo è però rimasto senza cavallo, senonché alla stessa
fonte arriva anche Brigliadoro.
XXV Canto
Abbandonato il combattimento come richiesto da Doralice, Rodomonte e
Mandricardo si avviano insieme alla donna ed al nano verso Parigi, per soccorrere il
loro re. Incontreranno presso un ruscello quattro cavalieri ed una donna. Nel
frattempo anche Ruggiero, poco dopo aver gettato nel pozzo lo scudo incantato, viene
raggiunto dal messaggero inviato da re Agramante e riceve quindi la richiesta di
soccorso. Decide però di proseguire oltre, per riuscire a salvare il giovane innamorato
della figlia del re Marsilio, e condannato ad essere arso vivo, ma soprattutto per poter
ritrovare l’amata Bradamante. Giunto all’interno della piazza dove si sta svolgendo la
condanna a morte e visto in faccia il giovane, Ruggiero crede si tratti di Bradamante,
tanta è la somiglianza tra il condannato e la sua donna, caduta prigioniera nel
tentativo di compiere l’impresa da sola. Il pagano sguaina la propria spada Balisarda,
costruita da Falerina per uccidere Orlando, e fa una strage di chiunque gli capiti a
tiro. La donna che l’ha condotto lì, nel frattempo libera il giovane ed i tre escono al
galoppo dal castello.
Ruggiero è ancora dubbioso circa l’identità della persona che ha salvato, solo la voce
grave del giovane ed il fatto che dice di non conoscerlo lo fanno dubitare che si tratti
effettivamente della sua amata. Alla fine il ragazzo si presenta: è Ricciardetto, fratello
di Rinaldo e di Bradamante e totalmente identico alla sorella. Ricciardetto racconta
che un giorno la sorella, ferita alla testa durante un combattimento contro soldati
saraceni, si era dovuta tagliare i capelli per curarsi la ferita. Giunta ad una fonte si era
poi sdraiata sull’erba ed era stata così vista da Fiordispina, figlia del re Marsilio, che
subito, credendo fosse un cavaliere, si innamorò di lei. Fiordispina confessò poi il suo
amore alla donna e la baciò anche. Bradamante, imbarazzata, chiarì allora subito la
propria identità per mostrare l’errore compiuto dalla figlia del re Marsilio.
Nonostante la confessione, Firodispina continuò però ad ardere d’amore per
Bradamante, disperandosi ed addolorandosi di non poter sfogare la propria passione
amorosa e per il proprio folle sentimento, a quel tempo senza precedenti. La sera
Fiordispina aveva invitato nel proprio castello Bradamante e l’aveva anche vestita da
donna, così da cercare di spegnere la propria passione, nata avendola scambiata per
un uomo a causa dell’armatura che portava. Si coricarono anche nello stesso letto ma
mentre Bradamante dormiva, il desiderio dell’altra cresceva sempre di più, pianse,
sognò che la compagna cambiasse sesso e pregò anche che ciò avvenisse. La mattina
la sorella di Ricciardetto ricevette in dono dall’altra donna un cavallo ed una
sopravveste e ritornò infine a Montalbano.
Bradamante aveva raccontato subito tutta la storia ai fratelli ed alla madre. In
Ricciardetto, già in precedenza innamorato della ragazza, si riaccese subito il fuoco
della passione ed il giovane decise così di vestirsi come la sorella per fare visita a
Fiordispina. Nel castello di lei gli venne tolta l’armatura, venne vestito da donna,
pettinato, invitato al banchetto ed infine a dormire nello stesso letto della giovane.
Ricciardetto disse, con la voce camuffata e fingendosi quindi ancora Bradamante, di
essere dovuto partire in precedenza per non nuocere con la propria presenza al cuore
della giovane. Per giustificare il proprio essere uomo, il ragazzo si inventò una storia.
Disse che durante il viaggio di ritorno aveva salvato dalle grinfie di un fauno e una
ninfa, che subito, in cambio del favore, gli aveva detto di poter esaudire un suo
qualunque desiderio. Il giovane aveva allora chiesto di poter sanare la ferita d’amore
di Firodispina ed era stato infine trasformato da donna in un uomo.
Passata l’incredulità della donna per quel racconto, subito i due sfogarono la loro
passione amorosa e continuarono a farlo per più di un mese, fino a quando il re non
venne a sapere la verità e lo condannò così a morte.
Ruggiero e Ricciardetto si recano nel castello di Aldighieri, cugino del ragazzo, che
subito gli comunica che i suoi fratelli, fatti prigionieri da Ferraù, stavano ora per
essere venduti al loro nemico Bertolagi, della stirpe dei Maganza. Lo scambio si
doveva svolgere il giorno seguente. Ruggiero, vedendo la loro tristezza causata
dall’impossibilità di intervenire, si prende carico dell’impresa.
Il cavaliere pagano non riesce a dormire quella notte, è tormentato da un dubbio:
andare a soccorrere il proprio re senza aver salutato Bradamante o andare a
Vallombrosa, dove crede di poter ritrovare l’amata, e perdere così il proprio onore per
aver abbandonato Agramante nel momento del bisogno? Decide infine di informare
con una lettera Bradamante degli avvenimenti e di ripartire per Parigi per togliere
dall’assedio il proprio re, rimandando così il battesimo ed il loro matrimonio. Si
impegna quindi, se l’assedio non viene tolto entro trenta giorni, di cercare entro quel
termine un buon espediente per allontanarsi comunque dalla battaglia. Il giorno dopo
i tre si recano al luogo dove avrebbe dovuto avvenire lo scambio ed incontrano un
cavaliere che ha come insegna una fenice.
XXVI Canto
Ruggiero, Ricciardetto ed Aldigieri, giunti al luogo dove avrebbe dovuto avvenire la
vendita di Malagigi e Viviano, incontrano un cavaliere che ha come insegna una
fenice. Si tratta di Marfisa. La donna chiede ai tre se qualcuno voglia sfidarla in
duello, ma poi, saputa l’impresa che i tre stanno per compiere, decide di unirsi a loro
nella battaglia.
Arriva la schiera saracena con i due prigionieri al seguito e subito dopo la schiera dei
Maganza con il carico d’oro e di oggetti preziosi necessari al pagamento.
Appena Ricciardetto e Aldigieri vedono Bertolagi, subito si lanciano sul nemico e lo
trapassano entrambi con la lancia. Ruggiero e Marfisa li seguono e fanno una strage,
senza distinguere una schiera dall’altra; si osservano tra loro e nessuno dei due vuole
essere inferiore all’altro per valore. Sia i Maganza che i saraceni gridano al
tradimento ed iniziano anche a combattere tra loro. Alla fine riescono a rimanere in
vita solo quelli che si sono allontanati velocemente a cavallo. Terminata la battaglia, i
due prigionieri vengono liberati e Marfisa si toglie l’elmo così che tutti possono ora
vedere che si tratta di una donna.
Viene allestito un banchetto presso una delle quattro fonti di Merlino presenti in
Francia, dove il mago aveva fatto rappresentare, con delle statue, avvenimenti che
ancora dovevano accedere. Presso la fonte, raggiunta in quella occasione, era
rappresentata una bestia mostruosa (l’avarizia), che dopo aver fatto strage in ogni
luogo della terra, viene ferita da un cavaliere con una corona d’alloro (Francesco I di
Francia), tre giovani (Massimiliano d’Austria, Carlo V ed Enrico VII d’Inghilterra)
ed un leone (Leone X), ed infine uccisa con l’aiuto delle nobili genti, anche se poche,
giunte per combatterla. I cavalieri vorrebbero conoscere meglio la storia ed i
personaggi rappresentati e Malagigi racconta quindi loro gli avvenimenti.
L’orribile bestia (l’avarizia) era uscita dall’inferno al tempo in cui cominciarono ad
essere delimitati i possedimenti terrieri. All’inizio aveva arrecato danno solo alla
bassa plebe, con il passare degli anni aveva però accresciuto il proprio potere e la
propria crudeltà, ed aveva così iniziato a compiere stragi in ogni luogo. Il cavaliere, i
tre giovani ed il leone, ascoltate le grida di aiuto del mondo, si erano infine scontrati
con il mostro e l’avevano ucciso. Malagigi racconta poi in particolare le imprese
compiute da Francesco I di Francia e passa successivamente in rassegna gli altri
nobili personaggi giunti per combattere contro la bestia.
Stavano tutti rilassati presso la fonte, quando giunge presso loro Ippalca, la donna
incaricata da Bradamante di raggiungere ed informare Ruggiero degli avvenimenti,
ma alla quale poi Rodomonte aveva sottratto Frontino, il cavallo dello stesso
Ruggiero. La donna riconosce Ricciardetto e subito gli racconta gli avvenimenti,
mascherando però il vero motivo della sua missione. Appena sente la storia, Ruggiero
salta in piedi e chiede ed ottiene di essere condotto da Ippalca presso il saraceno che
le aveva rubato il cavallo. Una volta soli, Ippalca racconta al cavaliere di Bradamante
e di Rodomonte. Quest’ultimo sta però nel frattempo andando a Parigi lungo un’altra
via e Ruggiero non riesce così ad incontrarlo. Alla fonte Marfisa è stata convinta
dagli altri uomini ad indossare i pregiati vestiti ed i gioielli che sarebbero dovuti
servire come contropartita per la cessione di Malagigi e Viviano. Giungono alla fonte
anche Mandricardo, Rodomonte, Doralice ed il loro seguito. Mandricardo, vista la
bellezza di Marfisa, decide subito di offrirla a Rodomonte in cambio di Doralice, e
sfida quindi i cavalieri presenti. Viviano, Malagigi, Aldighieri e Ricciardetto vengono
sconfitti uno dopo l’altro dal forte pagano che, non vedendo intorno altri sfidanti,
crede infine di aver ora il diritto di fare sua la donna. Marfisa in risposta si rimette
l’armatura, monta a cavallo e lo sfida in duello. Le lancie vanno in mille pezzi al
primo scontro e subito gli sfidanti impugnano le spade. Le armature di Mandricardo e
Marfisa sono però entrambe invulnerabili per incantesimo e nessun colpo riesce
pertanto a scalfirle.
Rodomonte interviene infine per sospendere la contesa ricordando a Mandricardo
l’impegno preso verso re Agramante; invita quindi anche Marfisa a partecipare
all’impresa (posticipando il duello appena interrotto) e lei subito accetta.
Dopo aver cercato invano Rodomonte, Ruggiero consegna ad Ippalca la lettera scritta
per Bradamante, manda la donna a Montalbano dalla amata e fa quindi ritorno verso
la fonte seguendo le tracce lasciate dal saraceno. Ritrovato Rodomonte, in sella a
Frontino, Ruggiero sfida subito a duello il pagano che però si rifiuta di combattere
sempre a causa dell’impegno preso verso re Agramante. Ruggiero si mostra disposto
a rimandare il combattimento, ma solo a patto di riavere subito il proprio destriero.
Mentre i due cavalieri sono impegnati a litigare, arriva Mandricardo, subito si infuria
vedendo che Ruggiero porta sullo scudo la stessa sua insegna, l’aquila troiana, e sfida
quindi a duello il cavaliere. Entrambi impugnano la spada e sono pronti a combattere,
Rodomonte e Marfisa si intromettono però subito e cercano di calmare gli animi.
Mandircardo è però ormai acceso d’ira e minaccia contemporaneamente Rodomonte
e Ruggiero. Anche Rodomonte inizia a rispondere alle provocazione ed alla fine
rimane solo Marfisa a tentare di calmare la situazione.
Ruggiero colpisce Rodomonte, Mandircardo colpisce Ruggiero alla testa e lo stesso
fa poco dopo anche Rodomonte, facendogli perdere la spada Balisarda e le redini del
cavallo, che subito scappa, con in sella il cavaliere, inseguito tra Rodomonte. Mentre
Marfisa colpisce Mandricardo, Viviano consegna la sua spada a Ruggiero, che subito
si lancia nuovamente contro Rodomonte. Inizia un feroce combattimento tra
Rodomonte e Ruggiero ed anche tra Marfisa e Mandricardo. Dopo aver stordito
Rodomonte con i duri colpi portati a segno, Ruggiero interviene in aiuto di Marfisa,
caduta da cavallo. Superbia e Discordia tornano a questo punto al monastero dal
quale erano partite, convinte di aver pienamento assolto al loro compito.
Nel frattempo Rodomonte si riprende e indirizza la propria ira contro Ricciardetto.
Malagigi interviene però appena in tempo facendo sì che un demone prenda possesso
del cavallo di Doralice, facendolo scappare con in sella la donna urlante. Rodomonte
corre subito in soccorso della donna amata; Mandricardo fa altrettanto e subito
abbandona il combattimento. Marfisa e Ruggiero, non avendo cavalli adeguati per
inseguire Frontino (cavalcato da Rodomonte) e Brigliadoro (cavalcato da
Mandricardo), non possono fare altro che recarsi all’accampamento pagano presso
Parigi con l’intenzione di incontrare nuovamente là i loro avversari.
XXVII Canto
Il demone invocato da Malagigi per salvare Ricciardetto, spinge al galoppo il cavallo
di Doralice verso Parigi, guidando così verso la battaglia Mandricardo e Rodomonte.
Se da un lato arrivano cavalieri valorosissimi a dare forza all’esercito saraceno
(arrivano anche re Gradasso e Sacripante, liberati dal castello di Atlante), dall’altro
Re Carlo è invece ora privo dei suoi più valorosi paladini: Orlando e Rinaldo. Il
primo è divenuto folle e vaga nudo per la Francia, l’altro, subito dopo aver liberato
Parigi dall’assedio, aveva ripreso la ricerca di Orlando ed Angelica, e continuava a
spostarsi tra Parigi e le città di Anglante e Brava, dove pensava potessero trovarsi. Re
Gradasso, Sacripante, Rodomonte e Mandricardo, per aprirsi una via verso
l’accampamento di re Agramante, assaltano la retroguardia cristiana all’improvviso,
mettendone in fuga una buona parte ma uccidendone e ferendone la maggioranza.
Da un altro lato Marfisa e Ruggiero fanno uguale strage. Tutti i soldati saraceni
trovano nuovo vigore alla vista dei loro più valorosi compagni ed inizia così una
nuova sanguinosa battaglia. Re Carlo non può fare altro, aiutato da Brandimarte
(liberato anche lui dal castello di Atlante), che rifugiarsi nuovamente tra le mura di
Parigi. L’arcangelo Michele, sentite le grida di disperazione provenienti da Parigi e
visto che la situazione è completamente opposta a quella voluta, torna nel monastero
e prima maltratta la Discordia a calci e pugni, poi la conduce velocemente a Parigi
minacciandola di ben più gravi punizioni se non porta a compimento la propria
missione. Discordia riaccende subito d’ira i cuori di Marfisa, Rodomonte,
Mandricardo e Ruggiero. I quattro cavalieri abbandonano l’assedio e si recano da re
Agramante per esporre le loro contese e chiedere il suo parere. Il re pagano, visto che
è inutile ogni tentativo di calmare la situazione, suggerisce infine di estrarre a sorte la
priorità dei duelli e fa infine allestire un campo di battaglia. Il primo duello, al quale è
pronto ad assistere tutto l’accampamento saraceno, dovrebbe avvenire tra Rodomonte
e Mandricardo, ma tra questo ultimo e re Gradasso scoppia una lite furibonda, alla
quale partecipa anche Ruggiero. Gradasso, vedendo che Mandricardo porta con sé la
spada di Orlando e saputo come ne era venuto in possesso, rinfaccia all’altro di avere
usurpato Durindana ingiustamente. Dice di essere lui il legittimo proprietario della
spada e sfida quindi a duello il guerriero pagano. Ruggiero si intromette per fare
rispettare le priorità già assegnate ai duelli. La situazione viene ricondotta alla calma
solo grazie all’intervento di re Agramante e re Marsilio.
Scoppia però contemporaneamente una violenta lite anche tra Rodomonte e
Sacripante. Quest’ultimo riconosce in Frontino il proprio cavallo Frontalatte, che gli
era stato tanto tempo prima sottratto da un furfante (per poi essere consegnato a
Ruggiero, ma lui questo non lo sa). Il combattimento tra i due viene interrotto da
Ferraù e poi anche da re Agramante, accorso dopo aver avuto notizie della nuova
contesa ed aver quindi lasciato re Marsilio a tenere a bada Ruggiero, Mandricardo e
re Gradasso.
Giunge sul posto anche Marfisa e, sentita la storia di Sacripante su come gli era stato
tolto il cavallo e che molti indicano in Brunello l’autore di quel furto, capisce che è
stato lo stesso Brunello a rubarle la spada quello stesso giorno in cui era stato rubato
Frontalatte. La donna decide così di vendicarsi all’istante; fa prigioniero il ladrone, lo
conduce da re Agramante e chiede di poterlo impiccare con le proprie mani. Marfisa
porta infine con sé il prigioniero presso una piccola torre, dove ha intenzione di
trattenerlo per tre giorni prima di procedere all’impiccagione.
Re Agramante si indigna per quel gesto di Marfisa, nonostante avesse pensato lui
stesso di uccidere Brunello dopo che gli aveva perso l’anello incantato. Il re vorrebbe
sfidarla ma viene fermato da re Sorbino e decide quindi infine di lasciar fare alla
donna, per potersi dedicare alle altre più gravi liti. Per porre fine alla lite tra
Rodomonte e Mandricardo, causata dalla bella Doralice, decide che sia infine la
donna a scegliere il proprio amante. Rodomonte, che aveva in passato sostenuto
numerose prove di valore in onore di Doralice, è sicuro della vittoria, rimane quindi
molto sorpreso quando la donna dice invece di preferire il suo rivale. Rodomonte si
rifiuta di dover sottostare alla decisione di una donna, impugna nuovamente la spada
e sfida Mandricardo. Viene però fatto tacere da re Agramante ed infine non gli resta
altro da fare che abbandonare le schiere dell’esercito insieme ad un piccolo seguito.
Ruggiero vorrebbe inseguire Rodomonte per andare a riprendersi il cavallo, il
secondo duello estratto lo vede però impegnato contro Mandricardo e deve pertanto
rimanere.
Sacripante invece corre all’inseguimento di Rodomonte per cercare di riavere quel
cavallo, il suo Frontalatte, ora chiamato Frontino. Durante il viaggio, dopo aver
soccorso una donna caduta nella Senna, perderà però il proprio cavallo e, una volta
ritrovato l’animale, non riuscirà più a metterlo sulla via che poteva portarlo in breve
dall’avversario. Ritroverà Rodomonte solo dopo molto tempo.
Rodomonte si allontana dall’accampamento saraceno maledicendo Doralice, tutto le
donne in genere ed anche il re Agramante. Il suo viaggio verso l’Africa lo fa arrivare
al fiume Saone, là dove l’esercito saraceno aveva il proprio porto per rifornirsi di
ogni bene necessario. Rodomonte decide di alloggiare in un ostello e la sera l’oste,
rispondendo ad una domanda del cavaliere riguardo alla fedeltà delle donne, si
propone di raccontare una storia che gli era stata riferita da un viaggiatore per
convincerlo di quanto siano rare le donne fedeli.
XXVIII Canto
L’oste che ospita Rodomonte racconta una storia che gli era stata riferita da un
viaggiatore per convincerlo di quanto siano rare le donne fedeli. Astolfo, re dei
Longobardi, era in gioventù molto bello. La sua bellezza veniva sempre molto lodata
dagli altri, ma ancor di più era lo stesso Astolfo a lodarsi ed a credere di non poter
avere eguali. Un giorno il cavaliere romano Fausto disse al re che l’unico che poteva
competere con lui in bellezza, se non addirittura batterlo, era suo fratello Giocondo.
Astolfo, incredulo, convinse il cavaliere a fare di tutto per condurre Giocondo presso
la sua corte, così da poterlo conoscere. La più grande difficoltà che Fausto disse al re
di dover superare, era lo smisurato amore tra il fratello e la sua moglie, che li faceva
stare sempre insieme. Il cavaliere riuscì a convincere la moglie di Giocondo a fare
andare il marito a Pavia dal re Longobardo. Le notti ed i giorni prima della partenza
la donna si mostrò disperata, diceva di non riuscire a vivere senza di lui neanche per
un giorno, e non riusciva più a mangiare né a dormire. Il giorno prima di salutarsi la
donna regalò anche al marito un sua collanina, pregandolo di portarla sempre con sé
come suo ricordo. Iniziato da poco il viaggio verso Pavia, Giocondo si rese però
conto di aver dimenticato sotto il cuscino il dono della moglie e decise quindi di
ritornare a Roma a riprenderlo. Trovò così la moglie a letto addormentata tra le
braccia di un loro garzone. Inizialmente il giovane pensò di ucciderli entrambi, ma
poi, tanto era l’amore per la donna, non poté fare altro che riprendere la collanina in
silenzio, senza svegliarli, e ripartire. Da quel momento Giocondo non riuscì più a
dormire, né a mangiare ed iniziò anche ad ammalarsi, tanto che la sua bellezza,
quando giunsero finalmente a Pavia, era ormai svanita. Il re Astolfo fece di tutto per
fare riprendere il giovane, ma senza successo. Un giorno però, guardando attraverso
un fessura nel muro della sua stanza, Giocondo vide la moglie del re sottomessa ai
piaceri di un orribile nano, e assistette allo spettacolo per tutti i giorni successivi.
Iniziò infine a vedere sotto un altro punto di vista il proprio male (l’infedeltà era
propria delle donne, non era quindi il solo a subirla ed almeno la sua donna non era
andata a letto con un mostro), ricominciò a mangiare, a dormire e si riprese indietro
tutta la propria bellezza.
Il re volle sapere le ragioni di quella sua improvvisa guarigione e Giocondo, dopo
avergli fatto giurare di rinunciare a qualsiasi vendetta, gliele mostrò attraverso la
fessura presente nella sua stanza. Dopo un primo momento d’ira, Astolfo chiese
consiglio al giovane su come comportarsi ora. Giocondo propose di andare in giro per
il mondo a fare alle mogli di altri ciò che il nano ed il garzone avevano fatto alle loro,
così da testare la fedeltà delle donne e vedere se ci fossero altri uomini a fargli
compagnia. Astolfo e Giocondo si misero quindi in viaggio poche ore dopo.
Dopo un pò di tempo passato da una donna all’altra, i due decisero infine di trovarne
una sola, fissa, che possa piacere ad entrambi, pensando di soddisfare così anche la
natura infedele della donna. La ragazza scelta fu Fiammetta, figlia di un albergatore
di Valenza. Nell’albergo in cui si fermarono però subito dopo esser partiti da
Valenza, Fiammetta incontrò un ragazzo, Greco, da sempre innamorato di lei e che la
pregò di soddisfare la sua passione amorosa. Vedendolo tanto soffrire, lei accettò e lo
invitò la notte nella sua camera, dove dormiva in un unico letto insieme ad Astolfo e
Giocondo. Il ragazzo le fece visita e sfogò quindi con lei la sua passione amorosa per
tutta la notte.
Il giorno dopo, avendo capito che qualcuno si era divertito tutta la notte con
Fiammetta, Astolfo e Giocondo, pensando l’uno che fosse stato l’altro, cominciarono
a prendersi in giro, ma il continuo negare dall’una e dall’altra parte ed il conseguente
credere che l’uno e l’altro mentisse, li fece alla  fine litigare. Venne chiesto a
Fiammetta di esporre la verità e lei subito fece il nome di Greco. I due uomini,
passato il primo momento di incredulità, cominciarono poi a ridere fino a sentire
male al petto e capirono quindi di aver avuto l’ultima e la più convincente prova
dell’infedeltà femminile.
Dopo aver dato in sposa Fiammetta a Greco, tornarono infine dalle loro mogli con il
cuore più leggero. Terminata la storia, l’oste riceve l’approvazione di Rodomonte ma
anche i rimproveri di un vecchio. L’uomo sostiene che quella cattiveria era il frutto di
una esperienza negativa vissuta in prima persone. L’ira aveva fatto divenire una
malattia la colpa di una sola donna, quando invece, nella realtà, sono gli uomini a
cadere più facilmente in tentazione. Rodomonte non vuole però sentire queste verità e
zittisce subito il vecchio con minacce. Il cavaliere saraceno passa una notte agitata. Il
giorno dopo parte per mare, per poi decidere di proseguire nuovamente a cavallo,
visto che anche su una nave il suo animo continuava ad essere tormentato.
Giunge infine presso un villaggio abbandonato dai suoi abitanti a causa della
minaccia saracena, e prende alloggio in una chiesetta. Abbandonata l’idea di ritornare
ad Algieri, Rodomonte decide quindi di rimanere a vivere lì. Passano un giorno da
quello stesso villaggio Isabella ed il monaco che l’aveva salvata dal suicidio, diretti al
monastero di Provenza, e con al seguito il corpo morto di Zerbino. La donna è ancora
disperata per la perdita del proprio amato, ma nonostante ciò è ancora dotata di una
bellezza sufficiente ad attirare l’attenzione del saraceno, che subito abbandona le
preoccupazioni e decide di concentrare tutto il suo amore su di lei.
Saputa la storia della donna e la sua decisione di chiudersi nel monastero (aveva fatto
voto di castità), Rodomonte cerca di persuadere Isabella ad abbandonare il proposito,
dicendo che la sua scelta equivaleva a sotterrare un tesoro. Il monaco cerca di venire
in aiuto alla donna, ma finisce con l’accendere d’ira il guerriero e viene subito
aggredito.
XXIX Canto
Acceso d’ira per i continui interventi dell’eremita, Rodomonte afferra il vecchio per
la gola, lo fa roteare in aria e lo scaglia infine verso il mare con tutta la sua forza.
Ritorna poi a rivolgersi con voce languida alla donna. Isabella, avendo capito che la
passione amorosa del guerriero sta ormai per raggiungere il suo culmine e che ogni
tentativo di resistere alla violenza sarebbe inutile (vista la differenza in valore),
promette a Rodomonte di preparargli un liquore in grado di renderlo invulnerabile in
cambio del rispetto del suo voto di castità. Il saraceno assicura il rispetto della
condizione, ma in realtà non è veramente intenzionato a farlo. Sotto il controllo di
Rodomonte, Isabella raccoglie e fa bollire quella stessa sera le erbe scelte. Terminata
la preparazione, la donna, per dimostrare al cavaliere di non aver fatto promesse vane
e di non volerlo avvelenare, propone al saraceno (ubriaco per il vino bevuto) di essere
lei in prima persona a provare il liquore. Isabella si bagna tutto il corpo con l’estratto
di erbe ed espone il proprio collo alla spada di Rodomonte: muore decapitata,
pronunciando in ultimo il nome di Zerbino. Visto il gesto di fede della donna, in sua
memoria, Dio, dall’alto dei cieli, decise di donare sempre le migliori virtù a tutte le
donne di nome Isabella. Rodomonte rimane sconvolto per aver ucciso la donna amata
e decide di trasformare la chiesetta del villaggio in un monumento funebre in onore di
Isabella e Zerbino. Fa costruire anche un ponte senza protezioni e promette di
adornare il sepolcro con le armi di tutti i cavalieri che oseranno attraversarlo.
Essendo stato il ponte posto su una via molto frequentata nei viaggi verso la Spagna o
l’Italia, molti sono i cavalieri che si scontrano con Rodomonte; ai saraceni vengono
tolte semplicemente le armi, i cristiani vengono invece fatti prigionieri per essere poi
spediti in Africa.
Il sepolcro non era ancora stato terminato quando giunge sul posto l’Orlando furioso
e, completamente nudo e disarmato, si mette a correre sul ponte sotto lo sguardo
incredulo di Fiordiligi, alla ricerca di Brandimarte e giunta per caso al villaggio nello
stesso momento. Rodomonte minaccia il paladino prima da lontano, poi parte
all’attacco con l’intenzione di buttarlo giù dal ponte. Il combattimento corpo a corpo
tra i due valorosi cavalieri termina quando entrambi finiscono nel fiume. Orlando,
completamente nudo, raggiunge subito la riva a nuoto e riprende la propria folle
corsa; Rodomonte è invece rallentato nei movimenti dalle proprie armi e tocca quindi
terra molto dopo il cristiano.
Durante il suo vagare senza meta, saranno molte le pazzie compiute dal conte
Orlando. Proseguendo verso la Spagna, assale sui monti Pirenei due boscaioli, fa
volare in cielo con un calcio il loro asino e divide a metà il corpo di uno dei due,
allargandone il più possibile le gambe. Giunto in riva al mare di Spagna, decide poi di
farsi un tana nella sabbia per ripararsi dal caldo. Giungono su quella spiaggia anche
Angelica e Medoro. La donna non riconosce il paladino, la follia l’ha completamente
trasformato, ed appena vede quel pazzo nascosto nella sabbia, subito scappa verso
Medoro. Neanche Orlando riconosce la donna, ma il suo viso lo attrae e si mette
quindi subito a rincorrerla. Medoro cerca invano di ferirlo con la propria spada ma il
paladino gli uccide il cavallo con un solo pugno e prosegue nell’inseguimento.
Angelica, ormai prossima ad essere raggiunta dal furioso paladino, si infila infine in
bocca l’anello magico e, caduta da cavallo, scompare alla sua vista. Orlando insegue
la cavalla di angelica e se ne impossessa. Se ne serve per il suo folle viaggio senza
farla mai fermare, né per riposarsi né per bere o mangiare. La cavalla si sloga anche
una spalla ma lui non l’abbandona: lo porta sulle proprie spalle per un pò di strada ed
infine la trascina dietro di sè, senza nemmeno accorgersi della sua morte.
XXX Canto
Orlando abbandonerà infine la cavalla morta e si impadronirà di volta in volta di altri
cavalli uccidendone i padroni. Saccheggerà e distruggerà quasi completamente
Malaga. A Gibilterra cercherà anche di attraversare il mare, per raggiungere l’Africa,
in sella al proprio ultimo cavallo e, morto l’animale, si salverà per miracolo
raggiungendo a nuoto Ceuta. Giunse infine nei pressi di un immenso accampamento
di guerrieri. Tornando invece all’accampamento saraceno nei pressi di Parigi, re
Agramante e re Marsilio cercano invano di mettere pace tra Mandricardo, fresco
vincitore di Doralice, re Gradasso e Ruggiero, così da evitare ogni ulteriore lite.
Infine si decide di estrarre a sorte lo sfidante di Mandricardo e di assegnare a
quell’unico combattimento sia la sorte della spada Durindana, voluta da re Gradasso,
ma posseduta da Mandricardo, che lo stemma con l’aquila bianca, posseduta e
contesa da Ruggiero e Mandricardo. La sorte decide che lo sfidante sia Ruggiero.
Consapevole del fatto che quel duello non può che danneggiare l’esercito pagano, re
Agramante cerca di convincere i due guerrieri a rimandare l’incontro almeno dopo la
sconfitta di re Carlo. Ogni tentativo è però ancora una volta inutile.
La stessa Doralice cerca per tutta la notte di convincere il proprio amante ad
abbandonare la contesa per amore di lei. Sarebbe anche riuscita nell’intento, ma
giunge infine il giorno e dal campo di battaglia arriva a loro il rumore del corno di
Ruggiero. Mandircardo si veste in tutta fretta ed inizia così lo scontro tra i due
valorosi cavalieri.
Le lance vanno in frantumi al primo scontro. Prese in pugno le spade i due
cominciano a percuotersi violentemente. Mandricardo ferisce Ruggiero ed il
pubblico, tutto schierato dalla parte di questo ultimo, teme il peggio. Il cavaliere si
riprende però subito e colpisce in testa Mandricardo con tanto forza da lasciarlo
stordito. All’assalto successivo Ruggiero ferisce ad entrambi i fianchi Mandricardo,
la cui armatura incantata, appartenuta in precedenza ad Ettore, perde ogni potere
contro la spada Balisarda. Mantricardo, acceso d’ira, lancia lo scudo a terra ed afferra
con entrambe le mani la spada per colpire Ruggiero e lo ferisce così ad una gamba. Il
cavaliere reagisce sferrando un colpo di punta là dove l’avversario aveva prima lo
scudo, raggiunge il suo cuore e lo uccide. Mandricardo poco prima di morire colpisce
al capo Ruggiero che cade per primo a terra. Sembra Mandricardo il vincitore, ma è
Ruggiero il solo a rialzarsi e tutti corrono a festeggiare il vincitore. Re Agramante fa
curare Ruggiero nella proprie tende. Gli fa dono dell’armatura e del cavallo
(Brigliadoro, in realtà di Orlando) appartenuto a Mandricardo. La spada Durindana
(di Orlando) viene invece consegnata, come deciso inizialmente, a re Gradasso.
Tornando da Bradamante, la donna ricevette da Ippalca, tornata a Montalbano,
notizie di Ruggiero ed anche la lettera scritta dall’amato. Bradamante è disperata.
Nonostante la promessa del cavaliere di partire da Parigi al massimo entro venti
giorni, teme di non riuscire più ad incontrarlo; si dispiace anche che lui abbia
preferito andare in aiuto dei suoi nemici (il padre di Agramante aveva ucciso il padre
di Ruggiero) piuttosto che raggiungerla. Anche grazie al conforto di Ippalca, la donna
rimane comunque a Montalbano ad aspettare il ritorno dell’amato. Il cavaliere,
costretto a letto per le ferite ricevute, non riuscirà però a rispettare il patto, a tornare
da lei entro venti giorni. Bradamante non vede tornare il proprio amato, viene a
sapere da Ricciardetto delle imprese da lui compiute e del fatto che si era diretto a
Parigi insieme a Marfisa, donna tanto bella e valorosa, ed inizia a temere anche per
l’amore di lui. Rinaldo (cugino di Bradamante e Ricciardetto) giunge un giorno a
Montalbano, durante il suo ennesimo viaggio alla ricerca di Angelica, per incontrare
Viviano e Malagigi dopo aver saputo della loro liberazione. Il paladino si allontana
quindi per dirigersi a Parigi; Ricciardetto, Malagigi, Viviano ed altri suoi parenti lo
seguono, non Bradamante, che decide di rimanere ancora in attesa dell’amante e
finge pertanto una malattia.
XXXI Canto
Mentre è in viaggio verso Parigi con la sua gente al seguito (settecento
complessivamente), Rinaldo incontra un cavaliere misterioso, accompagnato da una
donna, che subito sfida e sconfigge Ricciardetto. Seguono la stessa sorte anche
Alardo e Guicciardo, e Rinaldo si candida quindi subito come prossimo avversario
del cavaliere, così da poter riprendere il prima possibile il cammino intrapreso. Nello
scontro i due cavalli si urtano tanto violentemente che quello del cavaliere misterioso
rimane morto a terra. Il cavaliere sfida poi Rinaldo a proseguire il combattimento con
la spada. Il paladino chiede al suo seguito di proseguire il viaggio, consegna il suo
cavallo Baiardo ad un valletto, unico rimasto, ed inizia così tra i due sfidanti un
avvincente combattimento. Dopo un’ora e mezza di terribili colpi dall’una e dall’altra
parte, entrambi i cavalieri temono per l’esito dello scontro e desidererebbero, se non
ci fosse il loro onore in gioco, interrompere il combattimento. Giunge la notte e,
ormai sfiniti, nessuno dei due riesce più a tenere in mano la spada e viene così deciso
di rimandare la contesa al giorno successivo. Rinaldo conduce con sé il rivale al suo
padiglione, dove lo aspetta il suo seguito, per offrirgli ristoro. Il cavaliere misterioso
è Guidon Selvaggio ed i due cavalieri, fratelli, finiscono quindi per abbracciarsi
amorevolmente. Il valoroso ragazzo si unisce agli altri della sua stirpe e tutti insieme
riprendono il giorno dopo il viaggio verso Parigi. Il gruppo di cavalieri incontra a
poca distanza da Parigi anche Grifone, Aquilante e Sansonetto, impegnati in una
discussione con una donna, Fiordiligi, triste e molto bella. I due fratelli, nonostante le
precedenti contese, salutano amichevolmente Rinaldo e si uniscono, insieme a
Sansonetto, al gruppo di cavalieri. La donna, riconosciuto Rinaldo, gli racconta della
pazzia del cugino Orlando, del fatto che gli era stata rubata la spada Durindana ed il
destriero Brigliadoro, del fatto che correva nudo per il mondo, dello scontro che
aveva avuto con Rodomonte ed infine del fatto che era ora re Gradasso ad essere in
possesso della sua terribile spada. Rinaldo rimane scosso dal racconto della donna e
decide di fare tutto il possibile per fare rinsavire il cugino, non prima però di avere
liberato re Carlo dall’assedio. Viene deciso di muovere battaglia nella notte ed il
gruppo di cavalieri si ripara quindi in un bosco. Giunto il momento dell’assalto, al
grido di “Rinaldo e Montalbano” i cavalieri cristiani fanno una strage
nell’accampamento dell’esercito pagano. Re Carlo aveva saputo delle intenzioni del
paladino e fa trovare pronti i suoi soldati e paladini, tra i quali Brandimarte, che
veduta Firodiligi, corre subito ad abbracciarla.
La donna gli racconta subito quanto aveva visto e saputo riguardo ad Orlando, e
Brandimarte, che ama il conte come fosse suo fratello o suo figlio, subito si mette in
viaggio con l’amata alla ricerca del cavaliere furioso. Giungono al ponte di
Rodomonte ed il pagano chiede subito al cavaliere cristiano di togliersi le armi
minacciandolo di doverlo altrimenti fare con la forza. Brandimarte non risponde alla
provocazione e lancia subito il suo cavallo Batoldo contro l’avversario. Lo scontro tra
i due sfidanti avviene sul ponte ed è talmente duro che entrambi finiscono nel fiume
sottostante. Rodomonte, abituato a quella situazione, sa che via prendere ed esce
subito sulla riva, Brandimarte finisce invece sottosopra con il proprio cavallo ed è
trasportato dalla corrente. Le preghiere di Fiordiligi convincono Rodomonte a
soccorrere il cristiano per salvargli la vita, a costo delle sue armi e della perdita della
libertà.
Fiordiligi si allontana quindi alla ricerca di un valoroso cavaliere al quale chiedere
aiuto per liberare l’amato. Incontrerà infine un cavaliere riccamente adornato.
Tornando a Parigi, re Agramante, svegliato da un suo cavaliere, accetta il consiglio di
re Marsilio e di Sobrino e scappa dall’accampamento per raggiungere la città  di
Arles insieme a ventimila suoi soldati ed a Ruggiero, trasportato ancora malfermo su
di un cavallo e poi su una nave. Il numero di pagani uccisi da Rinaldo e dagli altri
cristiani è immenso. Anche Malagigi contribuisce alla vittoria, molti sono gli
avversari messi in fuga dagli spiriti che evoca con la sua magia. Centomila saraceni
complessivamente cercarono di sfuggire al massacro di quella notte, ma molti di loro
troveranno comunque la morte. Solo re Gradasso rimane sul campo di battaglia, tanto
è il suo desiderio di conquistare anche Baiardo, il cavallo di Rinaldo, avendo già
Durindana, la spada di Orlando. Il pagano ed il cristiano si erano già dati
appuntamento in passato per sostenere quel duello, un incantesimo di Malagigi aveva
però allontanato Rinaldo ed il paladino era stato poi sempre ritenuto un codardo da re
Gradasso. Il saraceno raggiunge ora il paladino e subito gli rinfaccia di non essersi in
precedenza presentato. Rinaldo spiega la sua storia e chiama anche Malagigi a
testimoniare, poi entrambi i guerrieri fissano un nuovo appuntamento per il giorno
successivo presso una fontana.
La mattina dopo entrambi i cavalieri si presentano per sostenere il combattimento.
XXXII Canto
Re Agramante giunge nella città di Arles e subito riorganizza l’esercito facendo
arruolare nuovi guerrieri in Europa ed in Africa. Tenta anche di convincere
Rodomonte a ri-schierarsi dalla sua parte ma con esito negativo. Marfisa invece,
sentita la notizia della strage di quella notte ed abbandonata l’intenzione di uccidere
Brunello (nessuno era venuto da lei per cercare di salvarlo e la donna quindi, non
aveva più voluto sporcarsi le mani con del sangue tanto vile), corre subito in soccorso
dell’esercito saraceno portandosi dietro il prigioniero. Su richiesta di Agramante,
Brunello verrà comunque impiccato dal boia, senza che Ruggiero, costretto a letto
dalle ferite subite, possa fare nulla per salvarlo. Nel frattempo Bradamante, a
Montalbano, aspetta invano l’arrivo di Ruggiero. I venti giorni, dati dal cavaliere
come termine per la sua partenza da Parigi, passano lentissimi. La donna passa ogni
notte insonne ed ogni giorno di guardia alla città, nella speranza che l’amato stia per
arrivare.
Infine, oltre alla gelosia causata da Marfisa, Bradamante inizia ad essere anche
tormentata dal pensiero che Ruggiero non la ami più e che Melissa e Merlino si siano
presi gioco di lei con le loro previsioni di un futuro felice. Nonostante questi
tormenti, Bradamante ha ancora speranza che le promesse di Ruggiero siano vere.
Giunge però presso il suo castello un cavaliere scappato dall’accampamento
saraceno, dove era stato a lungo come prigioniero, e le racconta, oltre alle vicende
reali di Ruggiero, del fatto che, ferito da Mandircardo, era impossibilitato a muoversi.
Le dicerie avevano iniziato a circolare per l’esercito pagano: Marfisa e Ruggiero si
amavano, erano ormai inseparabili ed il loro matrimonio si sarebbe dovuto svolgere a
breve.
Anche l’ultima goccia di speranza svanisce nel cuore di Bradamante, che ritiene
ormai Ruggiero un infedele e vuole ora solo morire. Decide però infine di partire e di
unirsi nuovamente all’esercito cristiano, per vendicarsi di Marfisa e trovare la morte
per mano dello stesso Ruggiero. Bradamante indossa una veste del colore delle foglie
recise e con ricamati sopra dei cipressi spezzati, così da manifestare il proprio
desiderio di morte. Prende quindi il cavallo Rabicano e la lancia incantata di Astolfo,
che disarciona chiunque tocchi, e si avvia verso il campo saraceno presso Parigi
senza sapere che era ormai passato nelle mani dei cristiani.
Incontra durante il suo viaggio un donna che monta un cavallo con attaccato
all’arcione uno scudo, tre cavalieri al suo fianco ed al seguito una lunga schiera di
donne e scudieri. Bradamante viene a sapere che si tratta di una messaggera della
bellissima regina d’Islanda, mandata da re Carlo per fargli dono di quello scudo, da
destinare al più valoroso dei cavalieri cristiani. I tre cavalieri al suo fianco, i re di
Svezia, di Norvegia e dell’isola di Gotland, avevano già fatto prova del loro valore
con il desiderio di avere in sposa la regina, ma lei, volendo come marito solo l’uomo
più valoroso al mondo, aveva deciso di metterli un’ultima volta alla prova: sarà suo
sposo solo chi riporterà in Islanda lo scudo che Carlo Magno consegnerà al cavaliere
più valoroso che conosca.
Bradamante è presa dal suo tormento per Ruggiero, non guida il cavallo, ma si lascia
al contrario guidare da lui. Giunta ormai la notte, la donna chiede ad un pastore un
consiglio su dove poter alloggiare e le viene indicato, come luogo più vicino, il
castello di Tristano. Chi viene ospitato in quella dimora deve necessariamente
proteggere la propria stanza contro ogni altro cavaliere che si presenti dopo di lui per
averla; così se un cavaliere trova la stanza già occupata, per averla dovrà
necessariamente conquistarla con la lancia. Nel caso delle donne, è invece la loro
bellezza a decidere a chi spetti la stanza. Bradamante giunge al castello, dice di voler
una stanza e sfida così i tre cavalieri che la occupano in quel momento. Sono i tre re
al seguito della messaggera mandata dalla regina di Islanda per consegnare lo scudo a
re Carlo. Bradamante si lancia al combattimento e li disarciona uno dopo l’altro, entra
poi nel castello, dopo aver giurato di difendere la stanza contro ogni altro cavaliere, e
viene invitata dalla messaggera della regina d’Islanda vicino al fuoco. Bradamante si
toglie infine l’elmo è mostra a tutti la sua femminilità, chiede quindi all’oste quale sia
l’origine di quella regola che ha dovuto e deve ancora rispettare. Al tempo in cui il re
di Francia era stato Fieramonte, quel castello era stato abitato dal figlio del re,
Clodione, dalla sua bellissima amata e da dieci valorosi cavalieri. Giunse un giorno in
quel posto Tristano, in compagnia di una donna, e chiese di poter essere ospitato.
Clodione, geloso per la sua bellissima amante, rispose però con un rifiuto. Il valoroso
cavaliere, indispettito, decise quindi di sfidare il figlio del re ed i suoi dieci cavalieri
per ottenere con la forza ciò che non aveva potuto ottenere con le preghiere, e mise
anche come condizione che in caso di vittoria avrebbe potuto lui solo stare in quella
dimora. Tristano sconfisse tutti i rivali e prese possesso del castello. Clodione pregò il
cavaliere di ridargli la sua bellissima compagna, ma Tristano, per vendicarsi dei torti
subiti, rispose che un donna tanto bella meritava di stare con il cavaliere più valoroso
e gli offrì invece in cambio la sua compagna di minore bellezza. Il giorno dopo
Tristano, consapevole che era stato l’amore la causa di tutto, lasciò subito il castello e
riconsegnò anche la bellissima donna al suo amato. Anche Clodiano lasciò quel
castello e ci mise a guardia un cavaliere con il compito di fare rispettare quella regola
a chiunque chiedesse ospitalità. Viene servita la cena nel castello, ma il padrone del
castello, deciso a fare rispettare la regola fino in fondo, comunica alla messaggera
della regina d’Islanda che deve lasciare la dimora, in quanto meno bella di
Bradamante, altra ospite. Bradamante interviene però in difesa della donna dicendo di
essersi meritata la stanza come cavaliere, non come donna, e di non dover quindi
competere con l’altra per bellezza. La minaccia finale di sfidare chiunque sia
contrario alla sua opinione, fa stare quieto il padrone del castello e la messaggera può
quindi rimanere.
La cena può finalmente avere luogo e, una volta terminata, gli ospiti rimangono nel
salone ad ammirare i dipinti che ne rivestono le mura.
XXXIII Canto
Terminata la cena nel castello di Tristano, Bradamante rimane nel grande salone ad
ammirare i dipinti che ne rivestono le mura. Le pitture era state fatte realizzare con un
incantesimo da Merlino per rappresentare scene future, per rappresentare in
particolare le guerre che in futuro verranno sostenute dai francesi. Il padrone del
castello racconta che il re francese Fieramonte, passato il Reno ed occupata la Gallia,
fu anche intenzionato a conquistare tutta l’Italia, visto il declino dell’impero romano,
e per fare ciò chiese a re Artù di allearsi con lui. Artù, consultatosi con Merlino,
capace di prevedere il futuro, fece però conoscere a Fieramonte il pericolo a cui
andava incontro nel voler compiere quell’impresa. Merlino annunciò anche tutte le
sconfitte e le sciagure alle quali sarebbero andati incontro i futuri re di Francia una
volta oltrepassate le Alpi per muovere guerra in Italia. Re Fieramonte non solo
abbandonò l’impresa, ma fece anche fare quei dipinti così da avvertire i suoi
successori del pericolo previsto da Merlino e mostrare loro gli onori derivanti al
contrario dall’aver preso le difese dell’Italia. Il signore del castello mostra quindi in
dettaglio i singoli avvenimenti rappresentati. Bradamante va infine a coricarsi e,
addormentata, riceve in sogno la visita di Ruggiero che le rinnova la propria
promessa d’amore. La donna si risveglia in lacrime, crede che sia vero solo ciò che la
tormenta da sveglia; vorrebbe perciò dormire in eterno, fosse anche grazie alla morte.
Rimessasi in viaggio, incontra ancora la messaggera, di nome Ullania, insieme al suo
seguito ed ai tre cavalieri sconfitti in duello la sera prima. Questi tre, per vendicarsi
dell’umiliazione e della notte passata al freddo ed a stomaco vuoto, sfidano
nuovamente Bradamante e finisco nuovamente a terra. Ullania, infierisce sui tre re
dicendo loro che a sconfiggerli è stata una donna e che quindi potevano anche
scordarsi di sfidare Orlando, Rinaldo o altri cavalieri di Francia. I tre, per purificarsi
dall’umiliazione, si spogliano quindi delle armi ed abbandonano i propri cavalli,
decidendo di rimanere così per un anno intero, per poi cercare di riconquistare armi e
cavalli combattendo. Bradamante riprende infine il proprio viaggio verso Parigi e,
giunta alla città, ritrova Rinaldo e re Carlo, e viene a sapere da loro della sconfitta
subita da re Agramante. Torniamo a parlare della sfida tra re Gradasso e Rinaldo per
il possesso della spada Durindana e di Baiardo. I due cavalieri, giunti presso la fonte,
impugnano subito la spada e danno inizio ad un feroce combattimento. Il pagano
sferra colpi pesanti ma Rinaldo è veloce a schivare la spada Durindana; il cristiano
porta invece a segno molti colpi, ma non può nulla la sua spada contro la corazza
diamantata ed incantata di re Gradasso. Devono entrambi abbandonare il duello
quando vedono che il cavallo Baiardo è stato assalito da un mostro alato
(probabilmente frutto di un nuovo incantesimo di Malagigi per cercare di
interrompere il duello, ma la verità non si saprà mai). Il cavallo riesce a mettersi in
salvo in un bosco e quindi in una grotta. I due guerrieri decidono di rimandare la loro
sfida per riuscire a recuperare il destriero oggetto del loro contendere, con il patto che
chi lo trova lo debba riportare alla fonte e rimettere quindi di nuovo in premio.
Gradasso sale in groppa al proprio destriero e corre all’inseguimento di Baiardo.
Rinaldo prosegue invece a piedi e, non riuscendo a trovare la giusta via, torna poi
presso la fonte ed infine, non vedendo tornare neanche il rivale, all’accampamento
cristiano. Re Gradasso riesce invece a ritrovare il cavallo Baiardo, non è però
intenzionato a rispettare il patto fatto con lo sfidante cristiano, raggiunge pertanto re
Agramante ad Arles e da qui si imbarca per raggiungere l’India. Tornando ora a
parlare delle avventure di Astolfo: il cavaliere, in sella all’ippogrifo, dopo aver
esplorato in lungo ed in largo la Francia a la Spagna, ed essere poi passato in Africa,
raggiunge infine l’Etiopia, sulla sponda cristiana del Nilo. Astolfo fa visita al re
d’Etiopia Senapo e lo trova tormentato dalle arpie. I mostri alati giungevano a
saccheggiare il suo palazzo ogni volta che veniva allestito un banchetto. Le arpie
erano state mandate da Dio per punirlo per aver voluto, quando era giovane, muovere
il proprio esercito verso la sorgente del Nilo, verso i monti della Luna, sede del
paradiso terrestre, per assoggettare i suoi abitanti. Il re d’Etiopia venne in
quell’occasione anche reso cieco da Dio.
Come termine per la punizione, venne predetta a Senapo la venuta dal cielo di un
cavaliere in sella ad una cavallo alato, Astolfo viene quindi ora accolto come un
salvatore.
Su indicazione del cavaliere cristiano, viene allestito un bacchetto per fare da esca
alle sette arpie e, appena queste giungono, Astolfo tenta di ferirle con la spada senza
però riuscire nel suo intento. Viene fatto preparare un secondo banchetto, viene
chiesto a tutti gli abitanti del castello di tapparsi le orecchie, Astolfo monta in sella
all’ippogrifo e, questa volta, non appena vede arrivare i mostri dà subito fiato al suo
corno incantato facendoli scappare terrorizzati. Le arpie, inseguite dal cavaliere, che
non smette di suonare il corno, raggiungono il monte della Luna e si infilano subito
nella grotta che porta fino agli abissi dell’Inferno.
XXXIV Canto
Giunto ai piedi dei monti della Luna, all’ingresso della caverna che conduce
all’Inferno, dove si erano rifugiate le arpie, Astolfo decide di avventurarsi per i gironi
infernali ed entra quindi nell’apertura. Il fumo nero e sgradevole che ne riempie
l’aria, diviene però via via più denso man mano che si procede verso il basso, finché
il cavaliere è costretto a fermarsi. Astolfo incontro un’anima che gli racconta la
propria storia. Il suo nome è Lidia, figlia del re di Lidia, ed è condannata a stare in
quel fumo per non essersi dimostrata riconoscente verso il suo amante. L’anima
dannata racconta la sua storia. In vita era stata tanto bella quanto altezzosa ed aveva
fatto innamorare di se Alceste, il cavaliere più valoroso del suo tempo. Il ragazzo si
mise per amore al servizio del re di Lidia, e con le proprie imprese gli consentì
innumerevoli conquiste.
Alceste chiese un giorno la mano di Lidia, ma il re, intenzionato ad ottenere un ben
più vantaggioso matrimonio (Alceste aveva solo il valore dalla sua parte e non
ricchezze), gli rispose con un rifiuto. Il cavaliere, acceso d’ira per l’ingratitudine,
lasciò la corte per offrire le proprie armi al re di Armenia, acerrimo nemico del padre
della ragazza, convincendolo quindi a muovere guerra alla Lidia. Nel giro di un anno
al re di Lidia rimase il possesso del suo solo castello e decise così di mandare la figlia
a trattare la resa con Alceste. La ragazza, accortasi del potere che aveva nei confronti
del cavaliere (si presentò pallido e tremante come se fosse lui lo sconfitto), riuscì
invece ad ottenere molto di più. Lo fece subito sentire in colpa per i danni causati al
padre quando, gli disse, avrebbe potuto più facilmente ottenere lo stesso risultato
(averla in sposa) con modi più gentili. Gli disse infatti che prima di allora non
avrebbe trovato alcun ostacolo in lei, ma dopo quello che era successo, non voleva
ora più amarlo, preferiva piuttosto la morte. Alceste si lanciò ai piedi della ragazza
chiedendo perdono, lei glielo promise a patto di fare riconquistare al padre tutto ciò
che gli era stato sottratto in quella guerra.
Tornato dal re di Armenia, il cavaliere lo pregò di ridare al re di Lidia il suo regno.
La risposta negativa accese subito d’ira il giovane che uccise sul posto il re di
Armenia ed in meno di un mese ridiede il regno al padre della amata a proprie spese,
e conquistò anche buona parte delle terre confinanti. La ragazza ed il re decisero poi
di fare morire Alceste e, Lidia con la scusa di voler avere prova del suo valore,
cominciò ad assegnargli imprese pericolosissime. Il cavaliere riuscì però sempre
vincitore e la ragazza decise infine di seguire un’altra via: approfittando della sua
totale ubbidienza, gli fece perdere ogni amico, e dichiarandogli poi apertamente il
proprio odio nei suoi confronti, lo allontanò infine dalla corte. La sofferenza per quel
trattamento fece ammalare e quindi morire Alceste. Gli occhi di Lidia vengono ora
fatti lacrimare da quel fumo denso, per punirla dell’ingratitudine mostrata verso chi
l’amava. Terminato il racconto di Lidia, Astolfo tenta di proseguire oltre per
incontrare altre anime; il denso fumo diviene però insopportabile ed il cavaliere è
costretto a tornare all’aperto.
Chiusa con massi e tronchi l’apertura della caverna, così da impedire alle arpie di
uscire nuovamente, e dopo essersi lavato con l’acqua di una fonte, il cavaliere sale in
sella all’ippogrifo ed inizia l’ascesa del monte. Raggiunta la cima della montagna,
Astolfo rimane incantato dalla bellezza del paesaggio, il paradiso terrestre, che non
ha eguali sulla terra. In mezzo ad una splendida pianura sorge un ricco, bellissimo e
luminosissimo palazzo, dal cui vestibolo esce un vecchio, che accoglie Astolfo
dicendogli che è per volontà di Dio che ha potuto raggiungere quel posto; gli anticipa
quindi che lo scopo di quel suo viaggio è mostrargli come essere d’aiuto a re Carlo e
quindi alla Santa Chiesa. Il vecchio è san Giovanni, il discepolo di Cristo, salito al
cielo con il proprio corpo quando era ancora in vita. Il mattino dopo san Giovanni
racconta ad Astolfo gli avvenimenti accaduti in Francia, soprattutto per quanto
riguarda il paladino Orlando. Il conte aveva infatti ricevuto il dono
dell’invulnerabilità da Dio per stare in difesa dei cristiani, ma, reso cieco e violento
per amore di una donna pagana, aveva mancato al proprio compito, e, per punizione,
era stato poi privato della ragione da Dio. Per volontà divina, la follia di Orlando
deve avere termine dopo tre mesi; ad Astolfo spetta il compito di fare rinsavire il
cavaliere utilizzando la medicina che dovranno prelevare sulla Luna. Non appena la
luna compare in cielo, il cavaliere e l’evangelista si sistemano su di un carro trainato
da quattro cavalli rosso fuoco ed iniziano così il loro viaggio. Giunti sulla Luna, san
Giovanni conduce Astolfo in una valle dove viene raccolto tutto ciò che sulla terra è
stato smarrito: non solo regni e ricchezze, ma anche fama, preghiere e promesse fatte
a Dio, lacrime e sospiri degli amanti…
Astolfo vede infine un monte costituito da ampolle contenenti il senno, in forma di
liquido, perso sulla terra. Le ampolle hanno volume diverso tra loro ed ognuna riporta
il nome del suo proprietario. L’ampolla contenente il senno di Orlando è la più
grande di tutte ed è quindi facile da individuare. Astolfo ritrova anche quella
contenente il proprio di senno e quelle contenenti il senno di persone insospettabili.
Il cavaliere si porta al naso la sua ampolla e torna così nuovamente in possesso di ciò
che aveva smarrito. Vivrà a lungo come un uomo saggio, prima di perdere ancora una
volta il proprio senno.
Dopo che il cavaliere ha prelevato l’ampolla del conte Orlando, l’evangelista
Giovanni lo conduce in un palazzo pieno di batuffoli di lino, seta, cotone… In una
stanza vede una donna intenta ad ottenere da ogni batuffolo un filo che poi avvolge su
di un aspo per formare una matassa. Un’altra donna separa le matasse brutte da quelle
belle.
Sono le parche ed hanno il compito di tessere la vita di ogni mortale. Tanto più lungo
è il filo e tanto più lunga sarà la vita degli uomini. I filati più belli verranno utilizzati
per tessere l’ornamento del paradiso, quelli più brutti per fare i legacci dei dannati
nell’inferno. Un vecchio, il Tempo, porta via senza riposo le piastrine che
accompagnano le matasse con incisi i nomi delle persone loro proprietarie.
XXXV Canto
Astolfo, osservando il lavoro delle parche, vede un batuffolo che luccica più dell’oro
e spicca per bellezza tra tutti gli altri presenti. L’evangelista Giovanni gli dice che
appartiene ad un uomo che non avrà eguali in terra per valore, il cardinale Ippolito
d’Este. Usciti all’aperto, il cavaliere e l’evangelista vedono nuovamente il vecchio, il
Tempo, intento a scaricare le piastrine nel fiume Lete, il fiume dell’oblio, della
dimenticanza, che scorre vicino al palazzo. Molte piastrine vanno subito a fondo in
quelle acque torbide, poche vengono momentaneamente prese nel becco da degli
uccellacci (le persone che vivono alle spalle di altri) per poi finire inevitabilmente
ancora nel fiume; pochissime vengono invece salvate da due bianchi cigni (gli
scrittori) che le portano a riva, dove una ninfa le preleva per poi affiggerle ad una
colonna del tempio dell’Immortalità. L’evangelista Giovanni sottolinea quindi quanto
sia importante sostenere i poeti e gli scrittori ed averli in amicizia, se si vuole che il
proprio nome rimanga in modo positivo nella storia.
Tornando a parlare delle vicende di Bradamante: la donna, dopo aver buttato a terra i
tre re e ripreso il proprio viaggio verso Parigi, viene a sapere che re Agramante si
trova ad Arles. Pensando di ritrovare in quella città anche Ruggiero, prende quindi
subito la strada verso la Provenza. Incontra poi Fiordiligi, afflitta per la sorte capitata
all’amato Brandimarte, caduto prigioniero di Rodomonte. Fiordiligi chiede a
Bradamante di farsi carico dell’impresa, di liberare il suo fedele amante, ed ottiene
subito il consenso del cavaliere. Non appena la guerriera giunge al fiume,
Rodomonte, informato dalla guardia dell’arrivo di un cavaliere, si arma subito e si
avvia per togliere le armi al nuovo venuto. Bradamante gli dice di voler vendicare la
morte di Isabella e chiede, come patto, che in caso di sua vittoria siano le armi del
saraceno le uniche offerte al mausoleo, tutte le altre dovranno essere tolte e tutti i
prigionieri dovranno essere liberati. Rodomonte accetta il patto, pur avendo già
spedito in Africa i suoi prigionieri, e chiede però in caso di vittoria non le armi della
donna, come era abitudine, ma il suo amore.
I due cavalieri si lanciano poi al combattimento, la lancia d’oro di Bradamante
(capace, per incantesimo, di disarcionare chiunque toccasse) manda a terra
l’avversario pagano. Rodomonte si alza subito e senza dire nulla, tanta era la sorpresa
per essere stato sconfitto da una donna, si toglie armi ed armatura, incarica uno
scudiero di fare liberare i prigionieri, e si allontana. Troverà rifugio in una caverna.
Bradamante appende le armi del saraceno al mausoleo, toglie le altri che portano
nomi di cavalieri cristiani e le mette al sicuro nella torre. Vi sono anche le armi di
Sacripante, arrivato al ponte per riprendersi il cavaliere Frontalatte (ora Frontino), ma
ripartito senza avere più neanche indosso l’armatura. Non tornerà più al campo di re
Agramante, andrà invece in India seguendo le tracce dell’amata Angelica. Fiordiligi
dice a Bradamante di voler andare alla città di Arles per cercare compagnia ed una
nave che la portino in Africa, dove spera di ritrovare Brandimarte. Bradamante si
offre di accompagnarla per parte del viaggio e le chiede in cambio di portare a
Ruggiero il cavallo che ha sottratto a Rodomonte (Frontino), e di dire al cavaliere
pagano di armarsi e prepararsi a sfidare il cavaliere che glielo ha mandato, e che ha
intenzione di dimostrare con le armi la sua infedeltà. Giunte ad Arles, Fiordiligi
svolge il compito assegnatole dalla compagna e prosegue poi subito oltre, senza
aspettare risposta. Ruggiero è confuso da quel gesto di cortesia ma anche di sfida;
non riesce a capire chi possa ritenerlo un infedele, crede si tratti di Rodomonte, non
certo di Bradamante. La notizia che ci sia un cavaliere alle porte della città che vuole
sfidare Ruggiero, fa subito il giro dell’accampamento. Esce un primo avversario,
Bradamante lo disarciona, ne recupera il cavallo e gli chiede di tornare da Agramante
per chiedergli di mandare fuori un cavaliere di più alto valore. Esce un secondo
avversario e fa la stessa fine. Tutti iniziano a credere, e temere, che il misterioso
cavaliere sia Rinaldo o Brandimarte, non Orlando, avendo saputo le sue avventure, e
certamente non Bradamante. Il terzo cavaliere ad uscire è Ferraù, che rimane subito
colpito dalla bellezza dell’avversario. L’esito del combattimento non cambia: è
ancora una volta l’avversario di Bradamante a cadere dalla sella.
Ruggiero, saputo da Ferraù che il cavaliere misterioso chiede di lui, subito si prepara
al combattimento.
XXXVI Canto
Ruggiero, saputo che il cavaliere misterioso (Bradamante) chiede di lui, subito si
prepara al combattimento. Ferraù dice però di aver riconosciuto Ricciardetto, fratello
di Rinaldo, nel guerriero che l’ha sconfitto e, sapendo che il ragazzo non ha una
simile forza, conclude quindi che si tratta necessariamente di Bradamante. Ruggiero
non sa a questo punto cosa fare e ritarda la propria uscita. Marfisa, desiderosa di
conquistare quella vittoria, approfitta dell’incertezza dell’uomo per uscire dalle mure
e sfidare a duello il cavaliere. Bradamante capisce che non si tratta di Ruggiero,
chiede il nome all’avversario, e saputo che si tratta di Marfisa, la donna che le ha
rubato l’amante, si accende subito d’ira ed è intenzionata ad ucciderla. Marfisa viene
buttata a terra, subito si rialza, impugna la spada e si lancia contro l’avversario per
vendicarsi dell’umiliazione subita. La donna pagana cerca di ferire il cavallo di
Bradamante, ma questa è veloce a schivare i colpi ed a ributtare nuovamente a terra la
rivale, toccandola appena con la propria lancia incantata. L’esercito saraceno esce
dalle mura di Arles. L’esercito cristiano abbandona l’accampamento per sostenere da
vicino il proprio cavaliere. Si accendono le prime liti tra le due fazioni ed inizia così
una nuova battaglia.
Bradamante riconosce Ruggiero grazie al suo scudo azzurro con al centro un’aquila
d’argento. La donna inveisce contro il pagano, dicendogli chiaramente di volerlo
uccidere. Ruggiero capisce che la causa di tutto è il suo non avere mantenuto i patti.
Vorrebbe parlarle per spiegare le proprie ragioni, ma Bradamante ha ormai già
lanciato al galoppo il suo destriero contro di lui. Il pagano si stringe nell’armatura e
tiene la lancia di lato per non ferirla. Lei all’ultimo non riesce a colpirlo e decide
quindi di sfogare la propria ira contro gli altri avversari saraceni. Tale sarà la sua
furia che la nuova sconfitta dell’esercito di Agramante può essere completamente
attribuita a lei.
Ruggiero riesce infine ad avvicinarsi all’amata ed a convincerla a lasciarlo parlare. Si
allontanano quindi entrambi dal campo di battaglia e raggiungono un sepolcro di
marmo eretto in mezzo ad un bosco. Marfisa, riuscita nel frattempo a risalire a
cavallo e visto Ruggiero partire al galoppo all’inseguimento di Bradamante, subito si
inoltra nel bosco e giunge anch’essa al sepolcro. Bradamante si lancia contra la
donna, che crede essere la causa del suo male, e la disarciona toccandola una volta
ancora con la sua lancia incantata. Inizia un feroce combattimento con la spada, poi,
man mano che le avversarie si avvicinano, con i pugnali ed infine con pugni e calci.
Ruggiero tenta con le preghiere di separare le due guerriere senza ottenere ascolto,
passa infine alle maniere forti e fa così indirizzare contro di sé l’ira di Marfisa.
Bradamante rimane da parte a godersi la scena, tale da rimuovere ogni suo precedente
dubbio riguardo alla loro relazione. Nel duello con la spada Ruggiero cerca di colpire
l’avversaria di piatto per non ferirla (la sua spada incantata era in grado di annullare
l’invulnerabilità della corazza della donna). Marfisa gli infligge un duro colpo che gli
fa perdere la sensibilità ad un braccio. L’uomo perde completamente la pazienza ed
affonda un duro colpo di punta che, per fortuna, colpisce solo un cipresso e fa tramare
tutto il bosco.
Una voce proveniente dal sepolcro fa interrompere il duello tra Marfisa e Ruggiero.
Si tratta del mago Atlante, morto per il dolore provocato dal non essere riuscito a
proteggere Ruggiero dal suo destino (le stelle gli avevano predetto che sarebbe stato
ucciso a tradimento dai cristiani). Il mago comunica a Ruggiero e Marfisa che sono
fratelli gemelli. Almonte e Troiano, padre di re Agramante, avevano ucciso il loro
padre Ruggiero II ed abbandonato in mare la loro madre Galaciella. La fortuna aveva
però messo in salvo la donna, che li aveva così dati alla luce ed era morta subito
dopo.
Atlante aveva dato sepoltura a Galaciella ed aveva allevato i due bambini, facendoli
allattare da una leonessa. Un giorno un gruppo di arabi aveva rapido la bambina, ed a
lui era rimasto solo Ruggiero. Detto questo, lo spirito del mago svanisce per
raggiungere il regno degli inferi. Ruggiero e Marfisa si scoprono fratelli,
abbandonano il combattimento e si abbracciano fraternamente. Ruggiero confessa
quindi alla sorella l’amore che prova per Bradamante, le due donne si abbracciano
affettuosamente ed abbandonano così anche loro ogni ostilità. Marfisa vuole sapere
qualcosa di più riguardo alla loro madre ed al loro padre, Ruggiero le racconta la loro
storia.
Astianatte, figlio di Ettore, raggiunse la Sicilia e diede così inizio ad una nuova stirpe
Troiana. Molti re romani furono suoi discendenti, tra i quali re Carlo Magno. Discese
da quella stirpe Troiana anche il loro padre Ruggiero II, che dovette scontrarsi contro
re Agolante, giunto alle porte di Reggio con i figli Almonte, Troiano e Galaciella.
Quest’ultima si innamorò di Ruggiero II, si convertì al cristianesimo e sposò l’amato.
Anche Beltramo, fratello di Ruggiero II, era innamorato della stessa donna ed aprì le
porte di Reggio ai nemici, credendo di poterla così fare sua. Agolante ed il suo
esercito fecero però una strage ed abbandonarono infine in mare Galaciella.
Marfisa rimase in silenzio durante tutto il racconto, godendo per le sue nobili origini.
Quando sente però che suo padre era stato ucciso dal padre di re Agramante, non può
fare a meno di rimproverare il fratello per non averne vendicato la morte; non solo
non aveva ucciso re Agramante ma aveva anche combattuto per lui. Marfisa dichiara
la sua cristianità e promette di uccidere il re pagano. Dice infine di non voler più
vedere il fratello in mezzo a cavalieri saraceni se non con l’intenzione di ucciderli.
Bradamante gioisce ed approfitta del vantaggio per convincere definitivamente
Ruggiero ad abbandonare re Agramante ad unirsi al seguito di re Carlo. Il cavaliere
non può però fare altro che promettere di approfittare della prima buona occasione
per lasciare l’esercito saraceno, senza compromettere il proprio onore.
Marfisa convince Bradamante a lasciarlo tornare da Agramante, promettendo di fare
quanto le è possibile per fornire al fratello l’occasione.
Ruggiero sta per ripartire in sella al proprio destriero, quando il suono di un pianto
richiama la loro attenzione.
XXXVII Canto
Ruggiero sta per ripartire in sella al proprio destriero, quando il suono di un pianto
richiama l’attenzione sua e delle due donne, Marfisa e Bradamante.
I tre cavalieri si recano là dove proviene quel lamento ed incontrano così tre donne,
alle quali era stata tagliata la gonna fino all’ombelico, e che quindi stanno sedute a
terra per nascondere le loro nudità. Bradamante riconosce subito Ullania e due delle
donne al suo seguito. La donna le racconta che era stata così umiliata dagli abitanti di
un castello vicino, e dice anche di non sapere ormai più nulla dei tre re e dello scudo
d’oro che avrebbe dovuto consegnare a re Carlo. Senza aspettare di ricevere la
richiesta d’aiuto, i tre cavalieri donano le loro sopravesti alle tre donne, ognuno se ne
prende una in sella, e si avviano quindi verso il castello indicato da Ullania.
La sera, Ruggiero, Marfisa, Bradamante e le tre donne al seguito alloggiano in un
villaggio posto presso una collina e completamente abitato da donne. Ruggiero
domanda ad una di loro il perché di quella situazione e gli viene quindi data la
spiegazione.
Il loro signore, Marganorre, di statura e di forza fuori dal normale, aveva in odio il
sesso femminile e le aveva perciò esiliate da ormai due anni al confine dei suoi
possedimenti. Ai loro mariti, loro figli, loro fratelli o padri era stato anche impedito di
andarle a trovare. Chiunque capitasse al suo castello veniva inoltre sempre
gravemente punito ed umiliato, molte volte anche ucciso. La donna prosegue oltre
raccontando anche i fatti che hanno portato all’istituzione di quella crudele usanza.
Marganorre aveva sempre tenuto nascosto il proprio animo crudele finché erano stati
in vita i suoi due figli, Cilandro e Tanacro, molto cortesi ed ospitali verso chiunque
passasse per quella terra. Un giorno però capitò nel loro castello un cavaliere
accompagnato da una bellissima dama. Cilandro si innamorò a tal punto della donna
da scordare ogni regola di cortesia, tentò di entrarne in possesso ponendo un agguato
all’ospite e venne così da lui ucciso. La presenza di Tanarco riuscì comunque a tenere
ancora a bada la crudeltà di Marganorre. Le regole di buona ospitalità continuarono
quindi ad essere ancora rispettate in quelle terre.
Lo stesso anno giunse però da loro anche un barone, di nome Olindro, accompagnato
dalla sua bellissima sposa, di nome Drusilla. Tanacro cadde nello stesso errore del
fratello, se ne innamorò e cercò di impossessarsene con la forza. Per non rischiare di
fare la stessa fine di Cilandro, tese però l’agguato al barone in compagnia di altri
venti uomini armati. Olindro venne ucciso. Drusilla cercò di uccidersi lanciandosi da
una rupe, ma non riuscì nel suo intento. Venne quindi fatta prigioniera da Tanacro e
condotta al castello di Marganorre.
Il ragazzo si prese cura della donna, aveva intenzione di farla guarire per poi sposarla.
Fece di tutto per ottenere il suo perdono, ma tanto più si affaticò nel tentativo di farla
innamorare di sé, tanto più lei lo odiò e rimase ferma nel suo voler dargli la morte.
Drusilla capì di poter riuscire a vendicare la morte del marito solo con l’inganno,
decise quindi infine di fingere amore verso il giovane e di volere anch’essa il
matrimonio. Come condizione chiese però che la cerimonia si svolgesse secondo le
usanze del suo paese, da lei inventate per l’occasione. Il matrimonio si sarebbe
dovuto celebrare nel luogo dove si trovava il marito defunto. Un sacerdote avrebbe
dovuto celebrare una messa a suffragio del morto, terminata la quale entrambi gli
sposi avrebbe dovuto bere del liquore da uno stesso calice. Tanacro accettò la
condizione e Drusilla fece quindi preparare la bevanda avvelenata ad una vecchia del
suo seguito, finita anch’essa prigioniera.
Giunto finalmente il giorno del matrimonio, al termine della cerimonia in memoria di
Olindro, il sacerdote pose il calice nelle mani della donna, che bevve un sorso del
liquore avvelenato e fece bere il resto a Tanacro. Il ragazzo aprì le braccia per
accogliere la donna, lei lo allontanò piena d’ira, gli confessò di averlo avvelenato, lo
maledisse e chiese infine perdono al marito per non essere riuscita a dare peggiore
punizione al suo assassino. Morì subito dopo, non prima di aver visto morire
Tanacro.
Marganorre, rimasto con il corpo privo di vita del figlio tra le braccia, non riuscì più a
tenere nascosta la propria crudeltà. Il tiranno si accanì con tutte le sue forze sul
cadavere di Drusilla, straziandolo in ogni modo. Rivolse poi la propria furia contro le
donne presenti e con la propria spada ne fece una strage.
Convinto dagli amici a non uccidere tutte le donne del paese, le fece però allontanare,
tenendole in pratica prigioniere in un villaggio al confine delle sue terre. Gli uomini
che tentarono di raggiungere il villaggio furono gravemente puniti, ed a volte anche
uccisi.
Marganorre fece anche approvare una legge crudele. Le donne che capitavano in
quella valle senza scorta armata al seguito, dovevano essere fustigate e quindi
umiliate con il taglio della gonna. Le donne accompagnate da cavalieri armati
dovevano essere invece uccise e la loro scorta privata delle armi e fatta prigioniera.
Infine, gli unici uomini ad essere liberati, prima di riavere la libertà, dovevano giurare
il proprio odio verso il sesso femminile.
Il mattino seguente Bradamante, Marfisa e Ruggiero si preparano per raggiungere il
castello e mettere fine a quella legge crudele. Giunge presso il villaggio un gruppo
armato che sta portando a Marganorre la vecchia che aveva preparato il veleno per
Drusilla, ed era poi riuscita a scappare. I tre cavalieri riescono a liberare la donna e la
portano quindi con loro presso il castello del tiranno.
Giunti nel borgo dove regna il crudele Marganorre, i tre cavalieri vengono subito
circondati. Marfisa si lancia contro il tiranno, lo lascia tramortito dopo averlo colpito
alla testa con un pugno, lo lega e lo lascia quindi in custodia alla vecchia serva di
Drusilla. Dopo un breve combattimento, Marfisa minaccia di dar fuoco alle case se
gli abitanti non si mostrano pentiti delle loro azioni. Nessuno esita più a manifestare
la propria ribellione contro le regole di Marganorre ed ognuno vuole ora vendicarsi
dei torti subiti. Il tiranno viene quasi linciato dalla folla, il suo castello saccheggiato
di ogni avere. A Ullania viene restituito lo scudo d’oro ed i tre re al suo seguito
vengono liberati dalla prigione. Sulla colonna che Marganorre aveva fatto erigere con
incisa la sua crudele legge, viene appesa l’armatura del tiranno e viene scritta una
nuova legge dettata da Marfisa. Saranno le donne a comandare nel villaggio, ogni
terra e lo stesso castello sarà di loro proprietà. Inoltre, a nessuno straniero dovrà
essere data ospitalità se non giura prima di essere per sempre amico delle donne e
nemico dei loro nemici.
Marganorre viene consegnato ad Ullania e verrà poi buttato da una torre.
Bradamante, Marfisa e Ruggiero ripartono insieme per poi separarsi ad un bivio:
l’uomo prosegue il suo viaggio verso Arles, le donne verso l’accampamento cristiano.
XXXVIII Canto
Ruggiero prende la via per la città di Arles. Bradamante e Marfisa raggiungono
insieme l’accampamento cristiano e ricevono un’accoglienza festosa. Re Carlo le
accoglie personalmente e, per la prima volta in tutta la sua vita, Marfisa si
inginocchia, tanto è il rispetto, tanta la reverenza che nutre nei confronti di Carlo
Magno.
Marfisa confessa al re cristiano di essere giunta in Francia solo per muovergli guerra,
spinta dall’invidia, dal non volere accettare che un re di religione opposta alla sua
potesse avere tanto potere. Racconta di essere figlia di Ruggiero II (e quindi parente
dello stesso re Carlo), ucciso a causa del tradimento dello zio. Morta anche la madre
(a causa degli zii di Agramante), era stata allevata dal mago Atlante fino all’età di
sette anni. Un gruppo di arabi l’aveva però rapita ed era stata poi venduta come
schiava ad un re persiano, da lei ucciso. Ad appena diciotto anni aveva già
conquistato numerosi regni. Decise quindi, spinta dall’invidia, di raggiungere
l’Europa per combattere contro l’esercito di Carlo Magno. L’aver conosciuto le
proprie origini le aveva ora spento il furore verso i cristiani, ed acceso un profondo
odio verso re Agramante. Marfisa dice anche di voler essere parente e serva di re
Carlo, così come in passato lo era stato suo padre. Dice infine di volersi convertire al
cristianesimo e di voler poi tornare nelle proprie terre, una volta morto re Agramante,
per convertire al cristianesimo anche i suoi sudditi e combattere contro i pagani.
Re Carlo accetta di avere Marfisa non solo come parente ma anche come figlia. Il
giorno dopo viene allestita una ricca cerimonia e la donna viene battezzata, con il re
che le fa da padrino.
Tornando a parlare di Astolfo, il cavaliere, presa con sé l’ampolla contenente il senno
di Orlando, riceve dall’evangelista Giovanni anche un’erba in grado di ridare la vista
a Senapo, re d’Etiopia, e le indicazioni per riuscire ad attraversare senza danni il
deserto ed assalire Biserta, capitale del regno di Agramante, con il supporto degli
uomini di Senapo stesso.
Il paladino raggiunge quindi in sella all’ippogrifo l’Etiopia, ridona la vista al re e fa
organizzare l’esercito per muovere guerra contro i pagani. La notte prima della
partenza Astolfo raggiunge la caverna dalla quale ha origine il vento australe, che
genera le tempeste di sabbia nel deserto, e pone al suo imbocco un otre vuoto. Il
giorno dopo il vento si sveglia, come è solito fare, esce furioso dalla caverna e rimane
così intrappolato.
Il cavaliere conduce l’esercito di Etiopia attraverso il deserto senza alcun problema.
Giunti presso un colle, Astolfo mette i guerrieri più fidati alla sua base e ne raggiunge
in volo la cima. Seguendo le indicazioni ricevute in paradiso, invoca l’evangelista
Giovanni ed inizia a buttare dalla cima del colle dei sassi che, per miracolo, si
trasformano in cavalli durante la caduta. Ogni fante diviene un cavaliere e l’esercito
inizia a fare scorrerie per tutta l’Africa. I re messi da Agramante a guardia del suo
regno, tra i quali Branzardo, si muovono contro i cristiani, prima però mandano una
nave in Francia per informare il loro signore degli avvenimenti.
In Francia, ricevuto il messaggio dall’Africa, Agramante chiama a consiglio i re ed i
principi pagani. Il re dice di aver sbagliato a lasciare incustodite le proprie terre, ma
di non aver mai comunque ritenuto possibile che il popolo di Etiopia, così distante e
separato da loro da un deserto tanto pericoloso, potesse giungere nelle sue terre ad
arrecare loro danno. Chiede quindi consiglio a re Marsilio su come comportarsi.
Il re di Spagna consiglia ad Agramante di non dare troppo peso alla notizia ricevuta.
Dice che probabilmente era stata ingigantita eccessivamente per giustificare una
sconfitta di ben minore entità, soprattutto considerando che il fatto appariva in sé
troppo inverosimile. Marsilio consiglia infine al re pagano di mandare in Africa solo
poche sue navi, basterà la vista della sua bandiera per mettere in fuga gli oppressori, e
di non abbandonare quindi l’impresa in Francia, così da non subire un grosso danno e
perdere il proprio onore. Il re spagnolo spinge quindi affinché Agramante non
abbandoni l’Europa, ma ci rimanga per sconfiggere Carlo Magno. Re Sobrino capisce
che le parole di Marsilio sono dettate più che altro dall’interesse personale, e prende
quindi subito parola. Ricorda al re saraceno di avergli in passato consigliato di stare
in pace, era stato allora chiamato codardo, ma ora si trova ancora al suo fianco. Altri,
come Rodomonte, avevano spinto per muovere guerra ai cristiani, ed ora si tengono
lontani dall’azione. Sobrino esorta Agramante a tornare in Africa. Non basta
l’assenza di Orlando a fare sperare in una loro vittoria, dal momento che molti di loro
sono comunque stati uccisi anche in assenza del paladino, ed ora quella guerra rischia
di portarli all’estinzione. I più valorosi guerrieri saraceni non ci sono più e non è
previsto l’arrivo di altri rinforzi, mentre re Carlo ne ha adesso dalla sua parte molti di
più. L’esercito rimasto serve per proteggere la loro patria, chiede quindi a re
Agramante di cambiare i suoi piani e di fare pace con re Carlo. Se però pensa che sia
un disonore l’essere il primo a chiedere la pace e voglia proseguire nella battaglia,
almeno faccia in modo di uscirne vincitore: proponga a re Carlo di decidere la sorte
di tutta la guerra con il combattimento di soli due cavalieri. Propone di mettere il
destino di tutti i pagani nelle mani di Ruggiero.
Re Agramante viene convinto dalle parole di Sobrino e quello stesso giorno vengono
mandati dei messaggeri da re Carlo, che subito accetta il patto sapendo di poter
confidare nel valore di Rinaldo. Il paladino è onorato di essere stato scelto per
l’impresa. Anche Ruggiero è onorato, ma allo stesso tempo si duole profondamente
sapendo che lo sfidante è il fratello della sua amata.
Bradamante è disperata, capisce che qualunque possa essere l’esito di quel duello, lei
non potrà che averne un danno. La maga Melissa ascolta le sue lacrime e le promette
di darle tutto il suo aiuto per fare interrompere quel duello.
I cavalieri dovranno combattere a piedi ed armati solo di un ascia e di un pugnale.
Rinaldo conosce il potere della spada Balisarda di Ruggiero, che annulla qualunque
incantesimo, e preferisce pertanto non averne a che fare.
Il giorno fissato per il combattimento entrambi gli eserciti escono dai loro
accampamenti e si schierano l’uno di fronte all’altro. Vengono eretti due altari e su di
essi prima re Carlo e poi Agramante promettono sulle proprie scritture sacre di
rispettare il patto: chi perde dovrà pagare un tributo in oro ogni anno al vincitore e
non dovrà mai più muovergli guerra. Entrambi i cavalieri giurano quindi di
abbandonare la loro schiera e di servire l’esercito avversario, se qualcuno dei loro
dovesse intervenire nel combattimento. Inizia quindi il combattimento. Ruggiero,
indeciso sul da farsi, è più impegnato a difendersi che ad attaccare.
XXXIX Canto
Ruggiero sa che se uccide Rinaldo perderà per sempre la sua amata Bradamante, ha
l’animo tormentato e combatte più in difesa che in attacco. Rinaldo non ha invece
preoccupazioni e cerca con ogni affondo di conquistare la vittoria.
L’incontro inizia a sembrare impari ai pagani, che iniziano quindi a temere il peggio.
La maga Melissa, assunte le sembianze di Rodomonte, si avvicina ad Agramante e
chiede al re di intervenire per interrompere quel combattimento (che avrebbe arrecato
solo danno), di rompere il patto e passare quindi all’azione con tutto l’esercito.
Agramante, credendo di avere al fianco il feroce guerriero, presa fiducia, si spinge
subito in avanti. Entrambi gli eserciti si lanciano subito al combattimento ed i due
sfidanti abbandonano il duello, si mettono da parte in attesa di sapere chi abbia
violato il patto, e giurano infine di essere nemici di quella fazione.
Bradamante e Marfisa non resistono oltre e si lanciano in mezzo ai nemici facendo
una strage. L’esercito pagano viene messo subito in fuga. Agramante cerca invano
Rodomonte, re Marsilio e re Sobrino, ma il primo non era reale e gli altri due si sono
prontamente ritirati nella città di Arles, timorosi per l’imminente castigo divino
(Agramante era venuto meno ad un giuramento sul testo sacro).
Tornando in Africa da Astolfo, contro il paladino e l’esercito di Etiopia si muove un
esercito di africani guidato da re Branzardo, messo da Agramante a guardia del suo
regno. Vengono arruolati in Africa bambini, vecchi e anche donne. Tutti i migliori
cavalieri erano stati infatti inviati in Francia in precedenza.
Lo scontro è impari, molti fuggono subito alla sola vista dell’esercito di Etiopia, gli
altri vengono sterminati. Re Branzardo, rifugiatosi nella città di Biserta, capisce di
non poter organizzare da solo le difese della città. Facendo uno scambio di prigionieri
consegna ad Astolfo il paladino Dudone, catturato da Rodomonte, e riottiene così
indietro il re Bucifaro.
Astolfo getta in mare dei rami e, grazie ad un altro miracolo, vengono generate delle
navi. Il paladino inglese rimane a gestire l’assedio di Biserta e fa imbarcare Dudone
verso le coste della Francia, per liberarle dall’occupazione saracena, come gli aveva
chiesto san Giovanni. La flotta non è ancora partita che giunge in porto la nave carica
dei cavalieri sconfitti da Rodomonte e fatti poi suoi prigionieri, tra i quali Sansonetto
e Brandimarte. L’esercito guidato da Dudone e da Astolfo libera tutti i cristiani senza
alcuna difficoltà e viene poi allestito un sontuoso banchetto.
I festeggiamenti vengono interrotti da un gran frastuono. Tutti i paladini si armano,
corrono sul posto e vedono che i loro soldati sono stati aggrediti e uccisi da un uomo
feroce, completamente nudo ed armato di un semplice bastone. Giunge in quel
momento anche Fiordiligi, che subito getta le braccia al collo del suo amato
Brandimarte, per ritrovare il quale era giunta fino in Africa. A Marsilia aveva infatti
incontrato Bardino, cavaliere del padre di Brandimarte ed egli stesso alla ricerca del
paladino, si era imbarcata con lui ed aveva così abbandonato l’Europa.
Firodiligi riconosce il furioso guerriero nudo, è il conte Orlando. Anche Astolfo
riconosce il pazzo, ne comunica l’identità agli altri paladini e tutti rimangono
commossi fino alle lacrime per la sua sorte. Tutti i paladini si gettano sul conte, ma la
sua forza è immensa ed è solo per fortuna che non ne uccide alcuni. I cavalieri
riescono comunque, con gran fatica, a legare Orlando con una fune ed a
immobilizzarlo a terra.
Seguendo le istruzioni di Astolfo, il conte viene immerso per sette volte in mare
affinché si purifichi. Gli viene poi chiusa la bocca con delle erbe, così che possa
respirare solo dal naso, ed infine gli viene avvicinata al viso l’ampolla contenete il
suo senno. Non appena il paladino Orlando ne respira il contenuto, subito riacquista
tutto il proprio intelletto, rinsavisce e rimane meravigliato per la situazione in cui si
trova.
Dopo essersi guardato in giro in silenzio, senza sapere cosa dire, il paladino apre
infine la bocca e dice solo “slegatemi”. Il conte viene fatto vestire e viene consolato
per lo sbaglio compiuto in passato. L’uomo è tornato saggio e si è liberato dalle
catene d’amore.
Bardino comunica a Brandimarte la morte di suo padre Monodante e chiede al
paladino di ritornare in patria. Il cavaliere decide però di continuare a combattere al
fianco di re Carlo e di rimandare quindi il suo ritorno. Il giorno seguente Dudone si
imbarca verso la Francia. Orlando rimane invece al fianco di Astolfo per dare il suo
aiuto nell’assedio di Biserta. La città verrà presa dai cristiani al primo scontro ed i
pagani verranno messi in fuga.
Tornando in Francia, re Sobrino, re Marsiglio e molto soldati saraceni abbandonano il
campo di battaglia e si rifugiano subito sulle navi, tanto temono per la loro vita
stando sulla terra ferma. Agramante è abbandonato al pericolo, continua a combattere
finché riesce, poi volta le spalle e corre al galoppo verso Arles. Bradamante e Marfisa
lo inseguono a tutta velocità, ma non riesco a raggiungerlo, il re si rifugia nella città e
si imbarca infine con gli altri. Agramante chiude le porte di Arles dietro di sé e fa
tagliare i ponti sul Rodano. Tutti gli altri guerrieri saraceni ancora presenti non
possono pertanto più trovare una via di scampo e vengono quindi sterminati.
Re Marsilio si fa condurre in Spagna ed inizia i preparativi per sostenere la
successiva guerra (sa che i cristiani avrebbero fatto pagare alla Spagna le
conseguenze di quegli anni d’assedio), che sarà la sua rovina.
Agramante fa ritorno in Africa con la sua flotta. Tutti l’hanno ormai in odio, ma non
lo danno a vedere. Gli viene suggerito di evitare Biserta, che si è saputo essere nelle
mani dell’esercito Etiope, di approdare in un porto sicuro e di correre quindi in
soccorso dei suoi.
Il destino vuole però che la sua flotta incontri quella comandata da Dudone.
Agramante non avrebbe mai creduto di poter essere assalito per mare, non mette
pertanto nessuna vedetta a controllare l’orizzonte. L’assalto avviene così di notte,
all’improvviso, ed è una strage di pagani.
XL Canto
La battaglia navale avviene di notte, ma sembra comunque giorno, tanti sono i roghi
che avvolgono le navi saracene. Resosi conto della situazione, Agramante fugge su di
una barca insieme a Sobrino portandosi dietro il cavallo Brigliadoro (ricevuto da
Ruggiero dopo che Mandricaro era stato ucciso).
Tornando a Biserta, l’esercito cristiano è in assetto da guerra ed è pronto a dare inizio
alla battaglia. A Sansonetto viene dato il comando di una flotta di navi, create per
miracolo insieme a quelle consegnate a Dudone. Non si è fatto ancora il giorno
quando dal mare e dalla terra inizia l’assalto alle mura della città. A Senapo viene
dato l’incarico di tenere le mura sotto una pioggia di dardi, così che nessun nemico
osi affacciarsi ed i fanti ed i cavalieri possano avanzare senza subire danni.
Mentre Sansonetto attacca la città dal mare, Brandimarte conduce la sua parte di
esercito sotto le mura. Viene accostata una scala, il paladino sale per primo ed incita
gli altri a seguirlo. Non appena raggiunge la passatoia la scala va però in mille pezzi e
Brandimarte si trova così solo all’interno delle mura nemiche. Il cavaliere, nonostante
le preghiere dei compagni, non torna indietro, si lancia nella città e fa strage di tutti
quelli che incontra. La notizia che Brandimarte è in pericolo giunge in poco tempo
alle orecchie degli altri paladini, che subito si affrettano a porre le scale per entrare in
città ed andare in aiuto del cavaliere. Vengono anche aperte delle brecce nelle mura
utilizzando gli arieti ed in un solo istante tutto l’esercito cristiano si riversa nella città
pagana, che viene così saccheggiata e data in pasto alle fiamme.
Bucifaro viene ucciso da Oliviero. Branzardo si toglie invece la vita da solo. Asfolfo
uccide infine Folvo, ultimo dei tre re lasciati da Agramante a difesa del suo regno.
Il re Agramante, dalla barca con la quale è scampato all’assalto di Dudone, riesce a
vedere la città di Biserta avvolta dalle fiamme e vorrebbe uccidersi. Re Sobrino riesce
a trattenerlo dicendogli che morendo toglierà al popolo pagano anche l’ultima
speranza rimasta di libertà. Gli consiglia di trovare rifugio in Egitto e lo consola
dicendogli infine che non faticherà a trovare nuovi alleati per riconquistare l’Africa.
In realtà Sobrino teme per il futuro, sapendo che può portare solo danni il chiedere
soccorso a gente straniera per riuscire a tornare in possesso di un regno.
La nave con a bordo il re pagano viene colta da una violenta tempesta mentre si sta
dirigendo ad oriente ed è quindi costretta ad approdare su di un isola posta tra
l’Africa e la Sicilia. Trovano sull’isola re Gradasso, riparatosi anch’egli lì dalla
tempesta con la sua nave. Gradasso cerca di convincere Agramante a non andare in
Egitto, suggerisce quindi un altro piano d’azione: lui in persona sfiderà in duello e
sconfiggerà Orlando, mentre le sue genti ed il popolo Etiope di fede non cristiana
muoveranno guerra alla parte cristiana dell’Etiopia. Agramante accetta il consiglio,
ma vuole però essere lui a sfidare Orlando. Anche re Sobrino non vuole essere
escluso ed alla fine si decide di richiedere un duello tre contro tre. La sede del
combattimento sarà l’isola di Lampedusa.
Un messaggero viene mandato subito a Biserta per lanciare la sfida al conte Orlando.
Il paladino è più che contento di accettare, avendo saputo che re Gradasso è in
possesso della sua spada Durindana e che Agramante ha invece il suo cavallo
Brigliadoro ed il suo famoso corno. Oliviero e Brandimarte sono i due cavalieri scelti
per combattere al suo fianco.Nessuno dei tre è in possesso delle proprie armi
(Orlando se ne era spogliato, quelle degli altri due erano state vinte da Rodomonte),
cercano quindi di trovare quanto c’è di meglio in Africa, ma è rimasto ben poco, dal
momento che Agramante aveva fatto portare tutto in Francia. Mentre i tre paladini
ragionano sul prossimo duello camminando lungo la spiaggia, una nave priva di
equipaggio raggiunge la costa di Biserta.
Tornando a Parigi, Rinaldo e Ruggiero erano rimasti fuori dal combattimento in
attesa di conoscere chi fosse stato per primo a rompere il giuramento. Entrambi
cercano di ottenere notizie dagli uomini che si trovano intorno, ed infine vengono a
sapere che è stato re Agramante a muoversi per primo. Nonostante avesse giurato di
prestare servizio per la fazione cristiana nel caso il combattimento fosse stato
interrotto dalla fazione pagana, nonostante l’amore per Bradamante e nonostante il
patto fatto con Rinaldo, a Ruggiero sembra comunque ingiusto abbandonare il re in
quel momento di difficoltà ed è quindi indeciso su cosa fare. Dopo un giorno ed una
notta di tormenti, decide infine di seguire in Africa il suo re e torna pertanto ad Arles
per cercare un passaggio. Vista la situazione (non c’è neanche un saraceno vivo e
tutta la flotta è già partita), si muove poi verso Marsiglia ed incontra Dudone, i
guerrieri etiopi al suo seguito ed i pagani loro prigionieri. Ruggiero non riesce a
sopportare la vista dei re pagani in lacrime, si lancia quindi subito contro quelli che li
custodiscono. Dudone sente i rumori del combattimento ed accorre per sfidare
Ruggiero.
I due prima si presentano e poi iniziano il duello. Ruggiero viene così a sapere che il
suo sfidante, paladino di Francia, è cugino della sua Bradamante. Per non dare
dispiacere alla donna amata, cerca di colpirlo solo con il piatto della spada,
facendogli risuonare l’armatura ad ogni colpo come fosse un sonaglio.
XLI Canto
Ruggiero combatte contro Dudone, ma continua a colpirlo di piatto per non ferirlo,
avendo saputo che lo sfidante è cugino di Bradamante.
Il paladino si accorge della situazione, è ormai sfinito, riesce a stento a difendersi, ma
non riceve alcun colpo mortale. Per non essere da meno in fatto di cortesia, chiede a
Ruggiero di fare pace. Quest’ultimo accetta, ma a condizione che vengano liberati i re
prigionieri e gli sia concesso di raggiungere l’Africa. Dudone non si oppone e lascia
fare. Ruggiero parte per mare su una delle navi di Dudone. Il vento è inizialmente
favorevole ma, non appena la terra ferma scompare alla vista dei naviganti, sale poi
improvvisamente di intensità ed inizia a spirare da ogni direzione, facendo ruotare più
volte la nave. Ha inizio una terribile tempesta e l’imbarcazione viene battuta da
enormi onde. Sembra ormai inevitabile che la nave vada a schiantarsi contro uno
scoglio e tutti i pagani si lanciano sulla scialuppa di salvataggio. La barca è troppo
piccola per accoglierli tutti, va subito a fondo e molti muoiono affogati.
Ruggiero si mette a nuotare per raggiungere lo scoglio e salvarsi. La nave nel
frattempo, senza nessuno a bordo, cambia improvvisamente rotta ed in tutta
tranquillità riprende il proprio viaggio per mare. Giunge a Biserta e viene infine
ritrovata da Orlando.
Il conte, Oliviero e Brandimarte salgono sull’imbarcazione è trovano così la spada, il
cavallo e l’armatura lasciate da Ruggiero per riuscire a salvarsi a nuoto. Orlando
prende per sè la spada Balisarda, ne conosce i poteri e l’aveva anche in precedenza
posseduta prima che Brunello gliela rubasse. Brandimarte fa suo il destriero Frontino,
ed Oliviero si prende infine l’armatura incantata.
I tre paladini si fanno preparare una sopraveste da indossare in occasione del duello.
Orlando vuole che venga ricamata la torre di Babele colpita da un fulmine
(l’intenzione di punire i pagani), Oliviero un cane con un guinzaglio abbandonato sul
dorso (pronto ad attaccare) mentre Brandimarte la vuole semplicemente nera, essendo
in lutto per la morte del padre. Fiordiligi si incarica di ricamare la veste del suo
amato. La donna è triste ed ha, per la prima volta in vita sua, paura di perderlo.
Sansonetto ed Astolfo rimangono a Biserta, i tre cavalieri prendono invece il largo e
raggiungono l’isola di Lampedusa, sede stabilita per il duello.
Brandimarte, che in precedenza era stato amico di Agramante, cerca di convincere il
re pagano ad abbandonare l’impresa. Gli promette, con il consenso del conte Orlando,
il controllo di un vasto regno in Africa se accetta di convertirsi al cristianesimo. Il
paladino gli porta prima ad esempio la sua stessa storia, essendosi egli stesso
convertito in precedenza al cristianesimo, per poi cercare di fare capire al re saraceno
che una loro vittoria non basterà a fargli riconquistare le terre perse, tanti erano i
valorosi cavalieri che re Carlo aveva a disposizione. Agramante a quella proposta
risponde irato, dicendo che il suo destino e quello del suo regno è solamente nelle
mani di Dio. Non vuole rinnegare le proprie origini per il solo fatto di temere la
morte, e ricaccia quindi in malo modo il paladino nel padiglione cristiano. All’alba
del giorno dopo sono già tutti pronti per combattere.
Tornando ad occuparci di Ruggiero: il cavaliere si affatica a nuoto per cercare di
raggiungere lo scoglio e mettersi così in salvo. Il giovane teme di essere vittima della
punizione divina per non essersi battezzato quando avrebbe dovuto. Gli ritornano in
mente anche tutte le altre promesse mancate, si dice pentito e giura la sua fede
cristiana. Promette di non combatere mai più a favore del popolo pagano, di fare gli
onori di re Carlo e di sposare infine la sua amata Bradamante. Il cavaliere sente
crescere per miracolo le proprie forza, raggiunge a nuoto lo scoglio ed è così l’unico
a salvarsi dalle acque. Teme però ora di morire di stenti in quel luogo. Si incammina
per esplorare l’isoletta ed incontra così un eremita, che prima lo accoglie
rimproverandolo per il comportamento tenuto, per aver giurato la propria fedeltà a
Dio solo quando si era sentito vittima della sua punizione (Dio gli aveva annunciato
in sogno l’arrivo del cavaliere e gli aveva anche mostrato tutta la sua vita passata ed
anche quella futura), poi lo conforta dicendogli che comunque a nessuno viene mai
negato il cielo quando lo chiede. L’eremita conduce Ruggiero alla sua cella, scavata
nella roccia, gli insegna quindi le basi della religione cristiana ed il giorno dopo lo
battezza. Dio aveva mostrato al religioso ogni aspetto della vita futura di Ruggiero e
della sua nobile discendenza.
Sette anni dopo il battesimo verrà ucciso a tradimento dai meganzanesi per vendicare
le morti di Pinabello e Bertolagi. Sarà seppellito sul luogo del delitto e per questo la
notizia della sua morte arriverà tardi (Ruggiero apparirà in sogno alla sua donna).
Solo molto tempo dopo sarà vendicata la sua morte da Marfisa e Bradamante.
Sua moglie darà alla luce nei pressi del castello d’Este il loro figlio, anche lui di
nome Ruggiero. Il giovane verrà nominato marchese da Carlo Magno ed assumerà
anche il controllo dell’Italia. Il saggio eremita non fa però cenno a Ruggiero di questi
avvenimenti.
Sull’isola di Lampedusa intanto è iniziato il duello tra i tre pagani ed i tre cristiani.
Le lance vanno subito in mille pezzi ed il frastuono generato dallo scontro giunge
fino in Francia. Il cavallo di Orlando viene buttato a terra da re Gradasso. Il conte
subito si rialza ed impugna la spada Balisarda. Oliviero combatte contro Agramante,
Brandimarte contro Sobrino. Anche Sobrino finisce a terra e Brandimarte ed Orlando
si scambiano gli avversari, così da sostenere combattimenti alla pari.
Il re Sobrino si stringe nell’armatura e cerca di proteggersi con lo scudo dalla spada
Balisarda. Non può però nulla contro i colpi del conte, il primo gli spezza lo scudo e
lo ferisce ad una spalla, il secondo lo prende di piatto all’elmo e lo fa stramazzare al
suolo privo di sensi. Orlando crede che l’avversario sia morto e decide quindi di
tornare da Gradasso, sapendo che il pagano, in possesso di Durindana, supera per
armi il suo caro amico Brandimarte. Mentre si ta avvicinando vede però passare il
cavallo di Sobrino, se ne impossessa e subito lo indirizza contro Gradasso. Il conte
abbassa sul pagano la sua spada (che rende vano ogni incantesimo), gli trapassa
scudo ed armatura e lo ferisce. Gradasso rimane meravigliato, è la prima volta che
sanguina per un colpo subito in battaglia. Per la prima volta in vita sua non può fare
affidamento sull’armatura incantata e deve pensare a difendersi dai colpi avversari.
Re Sobrino si riprende e si rialza, vede Agramante in affanno e senza fare rumore
decide di assalire Oliviero alle spalle. Il pagano ferisce il destriero del cristiano, lo fa
cadere a terra insieme al suo padrone (che rimane impossibilitato a rialzarsi) ed inizia
poi ad infierire su Oliviero, incontrando però l’opposizione della sua armatura
incantata, in precedenza appartenuta ad Ettore. Brandimarte interviene, ferisce
Sobrino alla testa e poi si lancia contro Agramante.
Gradasso ha ormai tolto ad Orlando quasi tutta l’armatura ma non è però ancora
riuscito a ferirlo, dal momento che il conte è invulnerabile per incantesimo.
Numerose sono invece le ferite riportate dal pagano. Re Gradasso, acceso d’ira per la
differenza di risultato tra i colpi suoi e quelli dell’avversario, impugna con entrambe
le mani la spada e la scaglia in testa al conte con tutta la sua forza. Orlando rimane
tramortito per il gran colpo, lascia la briglia e viene portato via dal suo cavallo
rimasto senza controllo.
Il guerriero pagano vede che Agramante è in pericolo sotto i colpi di Brandimarte (il
cristiano l’ha ferito e disarmato), non insegue pertanto Orlando, ma decide di correre
in aiuto del suo re.
Re Gradasso corre in difesa di re Agramante, raggiunge Brandimarte alle spalle e lo
uccide sferrandogli un duro colpo alla testa. Il conte Orlando si riprende dallo
stordimento, vede giacere morto a terra il fedele compagno e brucia d’ira.
XLII Canto
Orlando arde d’ira nel vedere che il caro amico Brandimarte giace a terra ucciso da re
Gradasso, e si lancia quindi subito contro gli avversari.
Il conte taglia di netto la testa ad Agramante. Re Gradasso assiste alla scena e per la
prima volta in vita sua trema di paura. Il pagano è ormai rassegnato a morire e non
cerca neanche di difendersi dal colpo mortale che gli viene sferrato dal conte
cristiano.
Orlando non gioisce per la vittoria ottenuta, scende subito da cavallo e corre
dall’amico Brandimarte. Il cavaliere muore subito dopo, non prima però di aver
chiesto perdono a Dio per i propri peccati ed avere raccomandato al conte la sua
Fiordiligi. L’ultima parola pronunciata dal paladino è appunto il nome della donna
amata.
Re Sobrino è disteso al suolo senza forze ed ormai quasi dissanguato. Il conte aiuta
Oliviero a liberarsi dal peso del cavallo ed a rialzarsi, fa poi prelevare anche Sobrino
e lo fa curare. Orlando vede infine arrivare dal mare un’imbarcazione leggera.
Tornando in Francia, Bradamante vede il suo Ruggiero allontanarsi da lei ancora una
volta e riprende così a disperarsi e a maledirlo. La donna si sfoga con Marfisa, sorella
del cavaliere, che la consola dicendogli che non crede che Ruggiero possa
commettere un simile errore, e se anche lo dovesse fare, ci penserà lei a vendicarla.
Tutti i paladini si godono la meritata pace, ora che i saraceni sono stati fatti scappare,
tranne Rinaldo, che è ancora tormentato dall’amore per la bella Angelica. Il cavaliere
la cerca ovunque ed infine decide di affidarsi ai poteri magici di Malagigi per sapere
dove essa si trovi. Malagigi rimane molto sorpreso dalla richiesta del cavaliere, visto
che in passato, quando era stato prigioniero di Angelica, a nulla erano valse le sue
preghiere perché Rinaldo ricambiasse l’amore della donna, condizione per la sua
liberazione. Malagigi mette da parte ogni rancore, invoca gli spiriti e viene così a
sapere dell’origine del profondo amore di Ruggiero verso Angelica (lui aveva bevuto
dalla fontana che trasforma l’odio in amore, lei da quella che produce l’effetto
contrario), del matrimonio tra la donna e Medoro e del loro viaggio verso l’India.
Malagigi informa Rinaldo dei fatti e cerca di convincerlo a non amare più la donna,
ormai quasi di sicuro giunta in patria insieme al suo Medoro. Il paladino soffre e si
tormenta al pensiero che un’altro uomo abbia colto la verginità della sua amata.
Spinto dal furore della gelosia, Rinaldo chiede a re Carlo il permesso di partire,
dicendo, come scusa, che deve assolutamente riprendersi il cavallo Baiardo, prima
che re Gradasso possa vantarsi di averglielo sottratto con le armi. Carlo Magno
acconsente ed il paladino lascia così la Francia senza nessuno al seguito.
Rinaldo si tormenta durante il viaggio per non aver posseduto la donna quando
avrebbe potuto, e per il fatto che un semplice fante abbia potuto far mettere da parte
ad Angelica l’amore ed il merito di ogni precedente amante. Mentre il paladino sta
procedendo all’interno della Selva Nera, il cielo diviene improvvisamente nuvoloso e
da una caverna esce un mostro dalle sembianze femminili (la Gelosia), con in viso
numerosi occhi privi di palpebre, numerose orecchie ai lati della testa, serpenti come
capelli e come coda un serpente più grande. Per la prima volta nella sua vita Rinaldo
ha paura. Il cavaliere cerca comunque di simulare il solito coraggio, stringe la spada e
cerca di difendersi dai colpi del mostro, senza però riuscirci. Il grosso serpente lo
colpisce al petto ed la viso. Il paladino cristiano si mette infine in fuga, ma il mostro è
veloce a muoversi e sale anch’egli in groppa al suo cavallo. Per togliersi da dietro la
schiena quell’orribile mostro, Rinaldo prende i sentieri più pericolosi ed avrebbe
anche potuto riceverne danno se non fosse giunto in suo aiuto un cavaliere (lo
Sdegno), che ha per elmo un giogo rotto, fiamme su scudo e vesti e come arma una
mazza che è avvolta da un eterno fuoco. Il cavaliere colpisce di lato il mostro, che
avvolge da dietro il paladino con il suo grosso serpente, lo fa cadere a terra e lo
ricaccia infine nella sua caverna.
Rinaldo ringrazia il suo salvatore, ne chiede il nome, ma il cavaliere rimanda la
risposta.
I due giungono presso una gelida fonte, quella che spegna la passione amorosa (dalla
quale aveva bevuto Angelica, trasformando così il suo amore per Rinaldo in profondo
odio), ed il cavaliere misterioso propone a Rinaldo di rimanere lì a riposare.
Il paladino accetta, subito si disseta bevendo alla fonte ed in uno stesso momento si
libera della sete e del folle amore per Angelica. Il cavaliere confessa ora al paladino
di essere lo Sdegno e subito scompare. Rinaldo prosegue comunque il suo viaggio
verso l’India, questa volta veramente con l’intenzione di recuperare Baiardo.
Giunto a Basilea viene a sapere che Orlando si sta preparando per combattere contro
Gradasso e Agramante. Rinaldo vuole combattere al fianco del cugino, cambia meta e
si dirige verso l’Italia. Giunto sulla riva del Po il paladino incontra un cavaliere che
gli chiede se è sposato e, ricevuta una risposta positiva, lo invita quindi nel suo
palazzo per mostrargli, dice, qualcosa che chi ha moglie deve assolutamente vedere.
Il palazzo è immenso e ricchissimo, al centro del suo cortile c’è una immensa fontana
protetta da una volta sostenuta da otto statue di donna, ognuna diversa dall’altra, ma
tutte ugualmente belle. Ogni donna poggia su due statue di cavalieri, ognuna delle
quali porta un testo in cui vengono tessute le lodi della donna sostenuta.
Rinaldo legge tra vari nomi quelli di Lucrezia Borgia e di Isabella d’Este. L’ultima
statua raffigura sicuramente Alessandra Benucci, ma nessun nome è in realtà inciso
sulla fontana. Non ha nome nemmeno l’unica figura che la sostiene, ma si tratta per
certo dello stesso Ariosto. Rinaldo ed il cavaliere banchettano in cortile. Termina la
cena, il padrone del palazzo si fa portare una coppa d’oro, tempestata di gemme e
piena di vino, la porge al paladino e gli dice che bevendo da quella potrà scoprire se
la sua donna gli è fedele o meno: se il vino gli finirà sul petto allora la sua donna lo
tradisce, se non cade neanche una goccia allora la sua donna gli è fedele.
Rinaldo è sul punto di tentare la prova, ma poi riflette su quanto sia pericolosa la
verità.
XLIII Canto
Rinaldo afferra la brocca che gli può fare sapere se la sua donna gli è fedele o meno,
ma dopo aver riflettuto su quanto possa essere pericolosa la verità, rifiuta l’offerta,
dicendo che è folle cercare una cosa che non si vuole trovare, soprattutto quando si
sta bene con ciò che si crede. Il signore del palazzo scoppia in pianto, maledice chi
l’aveva convinto a tentare la prova, mettendo così in dubbio la fedeltà della sua
moglie, ed inizia poi a raccontare la sua storia.
Se la fortuna non l’aveva fatto nascere ricco, la natura gli aveva fatto dono di una
singolare bellezza. Nella sua stessa città aveva vissuto un uomo molto saggio che
passò da solo tutta la vita, ad eccezione degli ultimi anni, durante i quali convinse con
del denaro una donna a concedersi a lui, rinunciando alla propria verginità. Da lei
ebbe quindi una figlia. L’uomo, non volendo che la figlia fosse simile alla madre,
fece costruire a dei demoni per incantesimo quel ricco palazzo in un luogo solitario e
lì si trasferì con la bambina. Fece quindi anche ritrarre in tutto il palazzo donne, del
passato e del futuro, che fossero da esempio alla ragazza per essersi opposte ad un
amore peccaminoso.
Quando la figlia, molto bella, saggia e dolce, raggiunse l’età per sposarsi, il signore
del castello, allora ragazzo, venne ritenuto essere l’unico degno di diventarne lo
sposo.
Erano al quinto anno di matrimonio quando una nobile donna della vicina città, che
conosceva la magia, si accese di passione per il cavaliere. Il signore amava però a tal
punto la sua donna, e tanto si fidava della sua fedeltà, che non cedette mai alle
richieste della maga, di nome Melissa. La maga iniziò però a fare cedere la fiducia
dell’uomo nella sua donna. Gli disse che la sua fedeltà era conseguenza forzata del
fatto che non poteva incontrare nessun altro uomo. Gli propose quindi di lasciarla
sola nel castello, così da poter conoscere la sua vera natura. Melissa consegnò quindi
al cavaliere quella brocca, dicendogli che sarebbe servita a mostrargli l’esito della
prova.
Dal momento che l’uomo trovò difficile allontanarsi dall’amata per più di poche ore,
la maga propose di fargli assumere le sembianze di un giovane e bel cavaliere,
governante di una vicina città, Ferrara, che, innamorato di sua moglie, più volte si era
fatto avanti con proposte amorose ed altrettante volte era stato cacciato indietro. Il
cavaliere del palazzo fece come la maga gli propose e poté così vedere la moglie
cedere alle lusinghe di un altro uomo. Riprese le sembianze originali, il marito accusò
la donna di essere disposta a tradirlo. Lei inizialmente si vergognò per la situazione,
poi si arrabbiò per il gesto del marito ed infine si accese di odio per lui. Raggiunse
quella stessa note il cavaliere di Ferrara ed ancora oggi è là con lui.
Melissa era stata inizialmente contenta dell’esito della vicenda, visto però che l’odio
nei suoi confronti cresceva nel cuore dell’uomo da lei amato, alla fine non poté fare
altro che allontanarsi dalla città. L’uomo soffre per il suo gesto e trova come unica
consolazione il fatto che tutti i cavalieri ai quali aveva offerto la brocca non era
riusciti a bere una sola goccia di quel vino.
Rinaldo non dorme presso il palazzo ma, su offerta del cavaliere, per guadagnare
strada nella notte, si corica su di una barca posta nel fiume Po e spinta dai remi di sei
servitori. Il mattino dopo il paladino passa presso la città di Ferrara, riporta alla mente
i discorsi fatti dal cugino Malagigi, che, utilizzando le sue arti magiche, aveva
previsto la ricchezza e la fama futura di quella città, e rimane così sorpreso del netto
cambiamento che attende quel luogo paludoso.
Il cavaliere cristiano ripensa poi ancora alle vicende del signore del palazzo in cui era
stato ospite la sera prima. All’inizio è quasi pentito di non essersi sottoposto alla
prova, ma poi è contento della scelta fatta. Il gioco è troppo pericoloso: troppo bassa
la vincita in confronto alla pesante perdita a cui si poteva andare incontro.
Capiti i pensieri del paladino, uno degli uomini dell’imbarcazione dice che quel
signore avrebbe dovuto fare tesoro di quanto era già accaduto in precedenza nella
vicina Mantova. Il marinaio racconta quindi a Rinaldo la storia di Adonio.
Tanto tempo prima a Mantova era vissuto un avvocato di nome Anselmo, molto
geloso della sua bella moglie. Della stessa donna era però innamorato anche un
nobile cavaliere di nome Adonio, che per conquistarla dilapidò nel giro di due anni
tutto il suo patrimonio.
Finito ormai in miseria l’uomo abbandonò quindi la città. Mentre si allontanava
incontrò un contadino intento a dare la caccia ad un serpente con l’intenzione di
ucciderlo. Adonio intervenne, essendo la serpe il simbolo della sua stirpe (nata dai
denti del drago Cadmo), e riuscì anche a fare desistere l’uomo dal dare noia
all’animale.
Anselmo era stato nel frattempo scelto per stare, per un certo periodo di tempo,
presso il santo Papa come ambasciatore. Prima della partenza l’avvocato aveva
cercato in ogni modo di convincere la moglie, di nome Argia, a rimanergli fedele.
Lei, piangendo la sua partenza, aveva giurato di preferire la morte piuttosto che
essergli infedele.
Anselmo, pur credendo alla disperazione della donna, interrogò comunque un suo
amico, capace di prevedere il futuro attraverso le stelle, per sapere come si sarebbe
comportata la moglie durante la sua assenza. Gli astri del cielo dissero chiaramente
che Argia avrebbe rotto il patto di fedeltà subito dopo la sua partenza, per denaro. Per
cercare di rimediare alla profezia l’uomo consegnò alla moglie tutti i suoi averi,
dandole il loro pieno potere, a patto che al suo ritorno si faccia trovare ancora casta.
Anselmo mandò anche Argia a vivere in campagna, sicuro che la povertà dei
contadini e degli allevatori non potesse minacciarne la fedeltà.
Adonio, irriconoscibile per la lunga barba e per gli umili vestiti, spinto dal desiderio
di rivedere la donna, tornò nel frattempo a Mantova e, nel luogo dove era intervenuto
in aiuto del serpente, incontrò quindi una donzella. La ragazza disse di essere la fata
Manto, fondatrice di Mantova, nata anche lei dai denti del drago Cadmo. Essendo
fata, Manto è immortale, ma ogni sette giorni si trasforma in un serpente e come tale
rischia ogni volta di subire le percosse degli uomini. La ragazza ringraziò quindi il
cavaliere di averla salvata sette anni prima da un contadino (era lei la serpe) e per
ricompensarlo gli donò tre volte tanto il suo patrimonio iniziale, lo indirizzò verso la
villa dove si trovava Argia e gli diede il suo aiuto per fare sua l’amata.
Trasformato lui in un pellegrino e lei stessa in un cane che ubbidisce ed esegue ogni
ordine del padrone, i due andarono a fare il loro spettacolo nelle proprietà
dell’avvocato Anselmo e lasciarono tutti a bocca aperta. Argia fece chiedere il prezzo
di quel bellissimo cane. Adonio fece vedere che il cane poteva far comparire,
scuotendosi, qualunque oggetto prezioso; disse perciò che non poteva essere
comprato con denaro e propose infine di volerglielo offrire in cambio di una notte
passata insieme.
La donna ,dopo un primo momento di resistenza, accettò infine la proposta, avendo
anche saputo che quell’uomo era il cavaliere Adonio. La fata Manto accese anche il
cuore di Argia d’amore per Adonio ed i due divennero inseparabili.
Anselmo, tornò dopo una anno a Mantova e, prima dall’amico, attraverso la lettura
degli astri, e poi dalla domestica, un giorno che questa aveva bisticciato con Argia,
venne a sapere del tradimento della moglie. Il giudice decise di uccidersi, ma non
prima di aver fatto uccidere la donna. L’avvocato comandò allora ad un suo fedele
servitore di tendere un agguato ad Argia. Mentre però il servo, dicendo le ragioni del
suo gesto, stava per avventarsi sulla donna, lei sparì alla sua vista grazie ad un
incantesimo della fata e riuscì così a scappare. Anselmo, temendo che la donna
potesse trovare protezione presso un uomo potente, e che la notizia venisse così a
sapersi, iniziò a fare ricerche in tutta la Lombardia per ritrovarla. Si fece infine
condurre dal suo fedele servitore là dove Argia era stata vista l’ultima volta, credendo
di trovarla nascosta in un bosco. Ritrovò invece un enorme, ricchissimo e bellissimo
palazzo, realizzato per Argia con un incantesimo dalla fata Manto. Anselmo incontrò
fuori dal palazzo un uomo etiope bruttissimo e sporco e gli chiese chi fosse il padrone
di quella costruzione. L’uomo gli rispose di esserne lui il proprietario ed invitò anche
l’avvocato ad entrarvi per accertarsene.
Entrati nel palazzo, l’etiope fece ad Anselmo la stessa proposta che Adonio aveva
fatto ad Argia, proponendo in cambio tutto il palazzo. Dopo i primi rifiuto l’avvocato
accettò di offrirsi per una notte all’uomo ed a quel punto comparve la moglie, che gli
rinfacciò di aver accettato una condizione ben peggiore di quella che aveva accettato
lei, e per la quale lui aveva anche tentato di punirla con la morte. Argia propose
infine al marito di considerare pari le loro colpe. L’uomo accettò e tornarono
entrambi a vivere d’amore e d’accordo. Così finisce la storia del marinaio.
L’imbarcazione su cui si trova Rinaldo giunge a Ravenna ed il cavaliere prosegue il
suo viaggio a cavallo. Giunto a Roma si imbarca per Trapani ed infine per 
Lampedusa, scelta da re Gradasso, Agramante e Sorbino come luogo dello scontro
con i tre cavalieri cristiani. Il paladino cristiano giunge all’isola quando Orlando ha
già ucciso Gradasso ed Agramante.
I due pagani morti vengono portati a Biserta per essere seppelliti. Astolfo e
Sansonetto vengono così a sapere della vittoria del conte, ma non riescono a gioire,
essendo venuti a conoscenza anche della morte di Brandimarte. Fiordiligi aveva
previsto in sogno la morte dell’amato, quando ne riceve notizia certa cade a terra
svenuta per poi disperarsi e volersi uccidere. Rimpiange di non aver seguito
Brandimarte in quella impresa, per non averlo potuto avvertire dell’arrivo di re
Gradasso, per non avergli potuto fare da scudo con il proprio corpo e per non aver
potuto abbracciarlo un’ultima volta. Orlando raggiunge nel frattempo la Sicilia,
insieme ad Oliviero, per dare degna sepoltura a Brandimarte. Il pomposo funerale si
svolge la sera dopo. Orlando si lamenta per non poter stare più al fianco dell’amico,
ne esalta le qualità e conclude dicendo che i cavalieri ancora in vita non possono che
invidiargli la gloriosa morte. Il conte dà infine indicazioni perché venga costruito un
sepolcro monumentale. Dopo che il conte è partito sarà Fiordiligi stessa a condurre i
lavori. La donna deciderà di fare costruire una cella nella tomba dell’amato, in cui
poter passare il resto della propria vita. A nulla serviranno i tentativi del paladino
Orlando per convincerla ad uscire. Fiordiligi morirà non molto tempo dopo. Orlando,
Oliviero,  peggiorato in salute, e Rinaldo lasciano la Sicilia e, prima di tornare in
Francia, su consiglio del comandante della nave, si fermano presso uno scoglio
abitato da un eremita (lo stesso che aveva battezzato Ruggiero) capace di compiere
azioni miracolose. Il religioso, che era già stato avvisato da Dio della loro venuta,
prega il Salvatore, dà la sua benedizione ad Oliviero e lo fa così guarire all’istante.
Re Sobrino, visto il miracolo, subito si dichiara pronto a convertirsi al cristianesimo.
Il pagano viene tenuto a battesimo dall’eremita ed anche lui guarisce subito.
Durante il sontuoso banchetto allestito per festeggiare le due guarigioni e la
conversione di Sobrino, Ruggiero viene riconosciuto da tutti i cavalieri presenti e
quindi festeggiato per la sua fresca conversione religiosa.
Tra tutti, è Rinaldo il cavaliere che lo festeggia ed onora con maggiore affetto.
XLIV Canto
Sullo scoglio dell’eremita tutti i cavalieri dimenticano ogni vecchio rancore e si
comportano come se fossero fratelli. Rinaldo mostra un affetto particolare per
Ruggiero, perché ne rispetta il valore e lo vede molto cortese, ma soprattutto perché
si sente fortemente in debito con il cavaliere, avendo saputo che aveva salvato prima
Ricciardetto e poi Malagigi e Viviano. L’eremita approfitta dell’occasione per
convincere apertamente il paladino a non opporsi al matrimonio di Ruggiero con la
sorella Bradamante, e lasciare così che le due nobili stirpi si uniscano per dare origine
alla loro illustre discendenza. In realtà in quegli stessi giorni Amone, padre di
Bradamante, con il consenso di Carlo Magno, aveva promesso a Costantino,
imperatore dell’Impero Romano d’Oriente, di dare in sposa la figlia al suo successore
Leone. La decisione ultima era stata comunque rimandata al giorno del ritorno di
Rinaldo. Ruggiero riceve indietro da Orlando la spada Balisarda, l’armatura in
precedenza appartenuta ad Ettore, ed il cavallo Frontino. Tutti i cavalieri ritornano
infine sull’imbarcazione e riprendono il loro viaggio verso la Francia. Sbarcheranno
infine a Marsiglia. Ritornando in Africa da Astolfo, il paladino, sapute le vicende di
Lampedusa e vedendo che ormai l’Africa non poteva più nuocere alla Francia, fa
ritornare il popolo etiope alla sua terra di origine. Prima di partire per la Francia in
sella all’ippogrifo, il cavaliere ringrazia Senapo per il supporto e gli consegna l’otre
in cui aveva imprigionato il violento vento australe, chiedendogli quindi di liberarlo
non appena avesse superato il deserto. Anche Dudone aveva in precedenza riportato
in Etiopia la parte di esercito che gli era stata assegnata. Navi e cavalli, creati per
incantesimo, ritornato quindi infine alla loro forma originale: rami e sassi.
Giunto in Provenza Astolfo, come da richiesta dell’evangelista Giovanni, lascia
libero l’ippogrifo. Anche il suo corno magico non ha ormai più alcun potere, essendo
rimasto il suo terribile suono sulla luna tra le cose perse. Astolfo giunge infine a
Marsilia il giorno stesso in cui ci giungono via mare anche gli altri.
Tutti i cavalieri proseguono insieme il viaggio verso Parigi e vengono quindi accolti
festosamente da Carlo Magno e da tutta la sua corte. Parigi è in festa ed i paladini
vengono salutati come liberatori dell’impero.
Rinaldo informa il padre Amonio di aver promesso Bradamante in sposa a Ruggiero.
Il padre e la madre del cavaliere lo rimproverano però per aver agito in autonomia e
si oppongono alla sua volontà, avendo ormai deciso che la donna diverrà sposa di
Leone, sicuramente più ricco e potente di Ruggiero. Viene chiesto a Bradamante di
esporre la sua volontà, lei non osa però proferire parola e rimane in silenzio.
Quando si trova finalmente da sola, la donna si dispera, non sapendo come
comportarsi: rispettare il volere dei genitori andando contro ai propri desideri o
seguire il proprio cuore mettendo da parte l’ubbidienza dovuta al padre ed alla
madre?
Bradamante sa di non poter andare contro all’Amore e sa inoltre di avere dalla sua
parte Rinaldo ed Orlando, si convince quindi infine ad opporsi alla volontà dei
genitori.
Anche Ruggiero è tormentato dai suoi pensieri, avendo saputo che Amone e la
moglie, Beatrice, volevano fare sposare la sua amata con il figlio dell’imperatore
Costantino. Il cavaliere è dotato di ogni valore, ma non possiede tante ricchezze
quante vengono richieste dai genitori di Bradamante. Il cavaliere vorrebbe aver
almeno un anno di tempo per sottrarre l’impero a Costantino ed al figlio Leone, così
da potersi ripresentare con la corona necessaria per ottenere in moglie l’amata
Bradamante. Se questo non gli venisse concesso ed la sua donna andasse in sposa
all’avversario, si dichiara subito pronto a vendicarsi di Constantino e Leone. Teme
infine che l’amata venga meno alle promesse fatte e sia dosposta a sposare il futuro
imperatore. Bradamante viene a sapere delle preoccupazioni che affliggono il
cavaliere e manda una sua fedele cameriera a dirgli che il suo amore per lui è e
rimarrà per sempre forte. gli dice quindi che nessuna corona né ricchezza potrà mai
modellare il suo cuore sull’immagine di un altro uomo.
Ripreso il proprio originale coraggio, Bradamante si presenta da re Carlo e gli chiede,
come riconoscimento per i servizi svolti, che le prometta di non lasciarla sposare a
nessun uomo che non mostri di esserle superiore in armi.
Il patto non viene fatto in segreto e la notizia non tarda a giungere alle orecchie dei
genitori di Bradamante. Avendo capito che la figlia punta a sposare Ruggiero, Amone
e Beatrice allontanano la donna da Parigi e la portano quindi nella loro fortezza di
Roccaforte, con l’intenzione di mandarla poi in Oriente.
Ruggiero, vedendo che la sua amata gli è stata sottratta e temendo che possa infine
andare in sposa a Leone, indossa le armi per muovere guerra all’imperatore, ucciderlo
ed impossessarsi del suo regno. Si mette in viaggio e giunge infine in Bulgaria.
Vicino a Belgrado trova l’esercito di Costantito e Leone intento a combattere contro
quello bulgaro, con l’obiettivo di riconquistare la capitale. L’esercito imperiale è
nettamente superiore a quello avversario per numero e mezzi, ed in poco tempo i
soldati bulgari vengono messi in fuga. Ruggiero interviene allora in difesa degli
sconfitti, ferma la loro fuga e si lancia subito all’attacco. Il cavaliere fa una strage e
l’esito della battaglia viene totalmente capovolto, sono ora i bulgari ad inseguire gli
avversari in fuga.
Leone vede gli avvenimenti da un colle e non può fare a meno di apprezzare il valore
di quel cavaliere misterioso. Non si cura dei suoi che vengono uccisi ed anzi si
preoccupa che l’uomo possa essere ferito. Il figlio dell’imperatore chiama infine la
ritirata.
Il popolo bulgaro ha perso in battaglia il proprio re ed ora chiedono tutti a Ruggiero
di diventare il nuovo sovrano. Il guerriero rifiuta la proposta dicendo di non poter
rimanere, essendo il suo solo scopo quello di dare la caccia a Costantino e Leone per
ucciderli. Il cavaliere si rimette subito in sella e corre al galoppo dietro al nemico, che
però si è già messo in salvo. Non trovando dimora alcuna dove riposare, Ruggiero
prosegue il suo viaggio per tutta la notte. Il giorno dopo il guerriero capita in una città
governata da Ungiardo, caro amico dell’imperatore Costantino, e va a riposare nello
stesso albergo in cui alloggia un cavaliere rumeno scappato a fatica alla sua spada il
giorno prima. Il cavaliere riconosce il valoroso guerriero e subito corre ad informare
della sua presenza Ungiardo.
XLV Canto
Un cavaliere rumeno riconosce nelle insegne di Ruggiero (un unicorno e non la solita
aquila) quelle del cavaliere misterioso che aveva messo in fuga l’esercito imperiale il
giorno prima, ed avvisa quindi subito della sua presenza Ungiardo, fedelissimo di
Costantino. Il cavaliere viene così fatto prigioniero durante la notte.
L’imperatore Costantino viene a sapere della cattura ed esulta per la vittoria contro i
bulgari, sapendo che senza l’aiuto del cavaliere nulla potranno ora contro il suo
esercito. Anche il figlio Leone si rallegra per l’avvenimento, non tanto perché
Belgrado può ora essere riconquistata facilmente, quanto perché spera di farsi amico
il valoroso guerriero. La crudele Teodora invece, sorella dell’imperatore, esulta per
l’avvenimento in quanto vede la possibilità di vendicare la morte del figlio, ucciso dal
guerriero subito all’inizio della battaglia del giorno prima. Dopo numerose preghiere,
la donna ottiene da Costantino il possesso del prigioniero. Ruggiero viene così
incatenato in una torre in attesa che la sua crudele carceriera decida come farlo
morire. Nel frattempo in Francia re Carlo, tramite un bando pubblico, annuncia a tutti
la decisione, come richiesto da Bradamante, di non lasciare maritare la donna a
nessun cavaliere che non sia in grado di mostrarsi superiore a lei in duello. Amone e
Beatrice non possono non rispettare la volontà del loro re e fanno così nuovamente
ritorno a Parigi. Bradamante scopre che il suo amato ha abbandonato la corte di Carlo
Magno e teme quindi che si sia allontanato con l’intenzione di dimenticarla, magari
trovando un’altra donna da amare. Il più delle volte la donna però si rimprovera per
non aver avuto fiducia in Ruggiero e si pente di essere stata gelosia, ed anche di aver
sospettato di lui. Bradamante invoca il ritorno dell’amato cavaliere, sapendo che
basterà la sua sola vista per spegnere in lei ogni timore e dare nuova forza alla sua
speranza. Leone viene a sapere che il cavaliere misterioso è tenuto prigioniero dalla
crudele zia Teodora e, mosso dal profondo amore che nutre per il suo sovrumano
valore, decide quindi di fare tutto il possibile per salvargli la vita. Il giovane, insieme
ad un suo fedele compagno, si fa condurre in segreto dal custode della torre nella
prigione del cavaliere, ed appena dentro uccide l’uomo. Viene quindi aperta la cella
in cui è tenuto il prigioniero ed il figlio dell’imperatore vi entra. Leone abbraccia
Ruggiero, gli dice che l’ammirazione che nutre per la sua grande virtù l’ha spinto a
mettere a rischio la propria vita per poter salvare la sua, e quindi lo libera. Il cavaliere
da parte sua ringrazia Leone e si dice disposto a restituirgli il favore in qualunque
condizione. Ruggiero viene messo in salvo nella dimora del figlio dell’imperatore. Il
giorno dopo, visto il fatto, vengono fatte molte ipotesi riguardo alla sparizione del
prigioniero, nessuno osa però neanche ipotizzare che sia stata organizzata da Leone.
Giunge intanto anche in Bulgaria la notizia del bando emesso da re Carlo. Leone,
conoscendo i propri limiti, capisce di non poter ottenere la donna, decide così di
chiedere al cavaliere misterioso di partecipare al torneo al suo posto, sotto mentite
spoglie. Il cavaliere non può che accettare l’incarico, tanto si sente in debito con il
giovane. Ruggiero è disperato, sa che andrà incontro alla sua morte: per l’angoscia di
vedere la sua amata tra le braccia di un altro uomo o altrimenti per propria mano. Non
può però rifiutare l’incarico e nemmeno pensare di non condurlo a termine con una
vittoria. Leone restituisce il destriero e le armi a Ruggiero e si incammina quindi
verso Parigi insieme al cavaliere e ad un piccolo seguito. Il giovane fa allestire il
proprio accampamento al di fuori della città e subito annuncia al re la sua intenzione
di combattere per ottenere in moglie Bradamante. Il duello viene fissato per il giorno
seguente. Ruggiero, per non essere riconosciuto, si presenta al combattimento
completamente nascosto dall’armatura, senza il proprio cavallo Frontino e con una
spada al fianco che non è la sua Balisarda. Il cavaliere toglie perfino tutto il filo alla
spada così da renderla completamente inoffensiva. Ruggiero si mette infine indosso
la sopraveste di Leone e decora anche il proprio scudo con le sue insegne, così da
essere scambiato per il figlio dell’imperatore. Dall’altro lato Bradamante si presente
con tutt’altri intenti, affila la propria spada e vuole solo poterla affondare nella carne
del suo avversario. Viene dato il via al combattimento e Bradamante subito assale
l’avversario, credendolo Leone e non certo Ruggiero. La donna tempesta di colpi il
cavaliere ma non può nulla contro la sua armatura invulnerabile, appartenuta in
precedenza ad Ettore. Ruggiero pensa invece solo a difendersi, cercando di ferirla il
meno possibile. La giornata sta ormai per volgere al termine e Bradamante perde ogni
speranza di riuscire a sconfiggere il cavaliere avversario, così da poterne rifiutare la
proposta di matrimonio. Svanisce la speranza ed aumenta allo stesso tempo l’ira e la
forza dei colpi portati a segno, ma giunge infine la sera ed il combattimento viene
interrotto. Leone ha ottenuto Bradamante in sposa. Ruggiero non si toglie l’elmo e
torna subito all’accampamento del figlio di Costantino. Leone lo abbraccia e bacia e
gli promette eterna riconoscenza. Il cavaliere soffre però d’amore e non riesce a
trattenersi troppo; riprende subito le proprie armi, sale in sella al suo Frontino e si
lascia condurre dal cavallo ovunque questo lo voglia.
Ruggiero passa tutta la notte piangendo e vede la morte come unica cura per il suo
dolore. Il cavaliere capisce di essere unica causa del proprio male e per questo sa che
per vendicarsi deve prendersela solo contro sé stesso. Ma soprattutto non vuole
lasciare senza vendetta l’amata Bradamante, alla quale ha arrecato un eguale danno.
La mattina seguente Ruggiero giunge in un luogo selvaggio ed isolato, e lo reputa
adatto come luogo per la sua morte segreta. Il cavaliere ringrazia Frontino, lo lascia
libero e si inoltra poi a piedi nel fitto bosco con l’intenzione di lasciarsi morire.
Tornando a Parigi, Bradamante sa di non potersi opporre al matrimonio con Leone, si
dispera ed è decisa anche lei a togliersi la vita, se ogni altro tentativo di liberarsi dal
vincolo dovesse fallire. La donna si stupisce del fatto che il suo amato Ruggiero non
sia stato informato del bando e non sia quindi subito corso a Parigi per sfidarla. Teme
così che l’amato sia stato fatto prigioniero, magari dallo stesso Leone con l’obiettivo
di eliminare ogni possibile rivale. Il mattino dopo Marfisa si presenta di fronte a
Carlo dicendo di non poter tollerare che a suo fratello Ruggiero venga tolta la sposa,
e dichiara quindi di essere pronta a sostenere con la spada la sua causa. La donna si
dice anche disposta a impugnare la spada contro Bradamante, dovesse questa negare
di essersi già promessa al cavaliere. Il re fa subito chiamare Bradamante e lei non
nega né conferma le parole di Marfisa, facendo quindi facilmente intendere che la
promessa fosse vera. Orlando e Rinaldo si felicitano per la muta confessione della
donna, perché sanno che ogni impegno preso con Leone non ha più alcun valore.
Amone vuole però sapere se la promessa era stata fatto prima o dopo che il cavaliere
pagano aveva ricevuto il battesimo, nel primo caso, dice, non ha in pratica alcun
valore.
Inizia una contesa verbale che in breve tempo impegna tutta la Francia. Marfisa
propone infine di lasciare che la questione venga decisa dal duello tra Leone e
Ruggiero. Il figlio dell’imperatore accetta subito la proposta, credendo che il suo
valoroso cavaliere non avrebbe avuto alcuna difficoltà a sconfiggere anche quel
Ruggiero. Leone non sa però che il suo cavaliere e Ruggiero sono la stessa persona, e
nemmeno che l’uomo si è allontanato molto da Parigi ed non è quindi reperibile.
Il giovane manda a cercare il cavaliere in ogni luogo ed infine parte egli stesso con
l’intenzione di ritrovarlo.
XLVI Canto
La maga Melissa, che ha sempre a cuore la sorte di Ruggiero e Bradamante e per
questo si tiene sempre informata delle loro avventure, vede che il cavaliere si è
inoltrato all’interno di un fitto bosco ed è deciso a morire di fame. Decide quindi di
intervenire subito in suo aiuto. La donna va incontro a Leone, partito alla ricerca del
cavaliere misterioso, e lo convince a seguirla per portare aiuto al miglior cavaliere di
tutti i tempi, prima che sia troppo tardi e muoia.
La maga ed il giovane ritrovano in poco tempo Ruggiero. L’uomo è stremato dal
digiuno, continua a piangere e a dolersi per la sua sorte. Leone gli si avvicina e
convince il cavaliere a esporgli la ragione del suo dolore, dicendogli che c’è una
soluzione per ogni problema e che farà di tutto per aiutarlo. Il cavaliere rivela così al
figlio dell’imperatore di essere Ruggiero, gli racconta quindi la sua storia e conclude
chiedendogli di essere contento per la sua morte, dal momento che è l’unico modo in
cui la promessa di matrimonio tra lui e Bradamante può essere annullata.
Ascoltata la confessione dell’amico, Leone rimane come impietrito. Il futuro
imperatore non vuole essere da meno di Ruggiero per cortesia, tanto vuole bene al
cavaliere, gli comunica quindi subito che la sua identità non può cambiare il
sentimento che prova per lui e dichiara infine la propria intenzione a rinunciare a
Bradamante in suo favore. Leone rimprovera anche molto Ruggiero di aver preferito
la morte al suo aiuto.
L’insistenza del giovane piega infine la volontà di Ruggiero, che abbandona così ogni
proposito suicida.
Melissa ristora il cavaliere con cibo e vino. Leone recupera il destriero Frontino ed
aiuta Ruggiero a risalire in sella. Si mettono infine tutti insieme in viaggio per tornare
a Parigi. A Parigi Ruggiero troverà ad aspettarlo una ambasciata bulgara, giunta in
Francia per incoronarlo re e consegnargli il dominio dei loro territori.
Ruggiero, nascondendo la propria identità, si presenta al cospetto di Carlo Magno con
le stesse insegne e la stessa sopraveste che aveva tenuto durante il combattimento
contro Bradamante. Leone lo presenta quindi al re come colui che ha pieno diritto,
stando a quanto dichiarava il bando, di ricevere per moglie la donna. Il giovane
dichiara infine che quel cavaliere misterioso è disposto a sostenere con la spada ogni
suo diritto acquisito. Marfisa, in assenza del fratello, si prende carico dell’impresa e,
mossa dall’ira, è anche pronta a passare subito dalle parole ai fatti. Leone non esita
però oltre e toglie l’elmo al cavaliere misterioso, rivelandone così l’identità.
Riconosciuto Ruggiero, tutti corrono subito ad abbracciarlo.
Leone racconta le vicende del cavaliere, infine si rivolge ad Amone e non solo riesce
a fargli cambiare opinione, ma anche a fargli chiedere perdono a Ruggiero,
pregandolo di accettarlo come padre e suocero. Saputa la notizia, Bradamante rischia
quasi di morire per l’improvvisa gioia.
Gli ambasciatori bulgari si gettano ai piedi di Ruggiero, lo pregano di diventare il
loro nuovo re e quindi di correre subito in loro aiuto contro l’imperatore Costantino.
Il cavaliere accetta la corona; Leone, dal canto suo, si dichiara amico del popolo
bulgaro e garantisce anche che nessuna guerra verrà più mossa contro loro dal suo
esercito.
Le nozze vengono organizzate dallo stesso re Carlo e sono maestose. Giungono
signori ed ambasciate da ogni parte del mondo per festeggiare gli sposi.
La maga Melissa si occupa di allestire la stanza matrimoniale e, sfruttando i suoi
poteri magici, si impossessa del padiglione dell’imperatore Costantino,
togliendoglielo di fatto da sopra la testa, e lo fa quindi trasportare a Parigi da alcuni
demoni.
Cassandra, capace di prevedere il futuro, aveva ricamato quel padiglione duemila
anni prima e l’aveva dato poi in dono al fratello Ettore. Cassandra aveva ritratto sul
tessuto tutta la vita del cardinale Ippolito d’Este, discendente del fratello Ettore.
Guardano tutti con ammirazione le immagini ritratte sul padiglione, sebbene nessuno
le comprenda, a parte Bradamante, istruita da Melissa nella tomba di Merlino, e
Ruggiero, istruito dal mago Atlante in giovane età.
L’ultimo giorno dei festeggiamenti, nel momento del banchetto, dalla campagna si
vede arrivare a cavallo un cavaliere vestito completamente di nero. Si tratta di
Rodomonte. Il feroce guerriero, dopo che Bradamante gli aveva tolto le armi, aveva
vissuto come un eremita per un anno, un mese ed un giorno, e terminata la sua
punizione, subito si era poi riarmato ed avviato verso Parigi.
Rodomonte sfida Ruggiero a duello, dicendogli di voler dimostrare con le armi, di
fronte a tutti, la sua infedeltà verso Agramante. Il cavaliere cristiano accetta subito la
sfida dicendo di essere disposto a combattere contro chiunque lo chiami traditore.
Ruggiero indossa la corazza di Ettore e si mette al fianco la sua famosa spada
Balisarda. La battaglia ha inizio.
Al primo scontro le lance vanno in mille pezzi ed i cavalli finiscono a terra. I
cavalieri fanno rialzare i destrieri, impugnano le spade e subito tornano a combattere.
Il guerriero pagano non ha indosso la sua corazza realizzata con scaglie invulnerabili
di drago, avendola lasciata appesa al monumento funebre in onore di Zerbino ed
Isabella. In ogni caso, nessuna armatura incantata avrebbe potuto resistere alla spada
Balisarda e Ruggiero riesce così in poco tempo a ferire in più punti l’avversario.
Rodomonte si accende d’ira, lancia lo scudo, impugna la propria spada con entrambe
le mani e la scaglia con tutta la sua forza sulla testa dell’avversario. Ruggiero rimane
stordito dal colpo ed il pagano ne approfitta per portare a segno anche un secondo ed
un terzo colpo. Le spada di Rodomonte va infine in mille pezzi.
Il guerriero pagano rimane disarmato ma non per questo si ferma, afferra per il collo
il cristiano e lo butta a terra. Ruggiero subito si rialza e torna a ferire l’avversario con
la spada per poi farlo cadere da cavallo. Rodomonte riesce infine a scagliarsi
sull’avversario, ma è indebolito dalle ferite e Ruggiero è troppo abile nel
combattimento corpo a corpo. Il valoroso cavaliere cristiano riesce infine a
immobilizzare a terra l’avversario, tenendogli un pugnale puntato contro gli occhi.
Ruggiero chiede all’avversario di arrendersi. Il pagano, che teme di più il disonore
della morte, non smette però di dibattersi, finché riesce a liberare un braccio e ad
afferrare il proprio pugnale con l’intenzione di ferire il cristiano. Ruggiero non esita
oltre ed uccide Rodomonte.

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