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Un libro di Dilan 2022

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Un ringraziamento speciale
a* ragazz* di From Disco To Disco e a tutta la community,
in particolare a Massimiliano Trevisan, Andrea Comparin,
Daniele Didoni, Alessandro de Re, Martino Zanovello, Luigi
Guadagnino e Carlo Buffarini.

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Indice:
1. Introduzione
2. Le origini 2.1 La ricerca del piacere
2.2 Prima di From
2.3 Mainstreamizzazione ed ipermercati

3. La comunità
3.1 La realtà di From
3.2 Post-clubbing era
3.3 La cura dei piaceri elettronici
3.4 Il paradosso del cyberspazio e il potere del simposio

4. Le cronache di From
Disco To Disco4.1 Le montagne russe dell’entrata
4.2. Bar, zona fumatori e aree chill-out: spazi di socialità
4.3. Le ambivalenze sul dancefloor
4.4. Il bagno e il rituale di intossicazione volontaria

5. Piccole
conversazioni
6. Conclusioni su
clubbing e FDTD
6.1 Conoscersi, accetarsi ed evolvere

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LIFE IS ABOUT HAVING
FUN IN THE STREETS
VICENZA E L’AMORE NEL CREARE AMBIENTI CHE FANNO COMUNITÀ

Introduzione
Il progetto di tesi nasce principalmente da un bisogno di rappresentare l’e-
sperienza di una scena culturale e musicale forte, viva e attiva nella città di Vi-
cenza. Con “Life is about having fun in the streets” si mostra la scena così per
com’è: naturale, piccola e contemporanea. Un interesse e uno studio del pia-
cere attraverso l’esperienza diretta con la realtà che è alla base della ricerca.
Il lavoro parte da un’analisi genealogica del fenomeno della musica elettronica
per arrivare a presentare poi la contemporaneità degli eventi musicali tenuti nella
città di Vicenza dal gruppo From Disco To Disco. La rappresenta attraverso foto-
grafie, storie ed esperienze di chi oggi è all’interno di questo movimento un pun-
to fermo in quanto tiene viva e attiva questa realtà, organizzatori e frequentatori.
Ad oggi la cultura del club è “globale diasporica, sfaccettata e ibrida” (Huq 2006,
p.91). Sarebbe difficile associare questo gruppo ad una categoria particolare di
subcultura o altro ma forse ciò che si avvicina di più a descriverne la sua identità
è proprio la parola “movimento”. Un viaggio che raccoglie principalmente la sce-
na vicentina ma con qualche aggiunta, delle esperienze del sottoscritto, in am-
bienti simili. In questa raccolta di storie e immagini visuali si esplora il fenomeno
del clubbing tramite una grammatica diversa, un caso che tende a impiegare i
corpi e i piaceri con l’obiettivo anche implicito di prospettarsi sotto un profilo di
resistenza. Per gran parte degli argomenti che tratterò mi avvalerò di un testo
intitolato “Notti tossiche” di Enrico Petrilli*, per sostenere la parte iniziale genea-
logica e le dinamiche interne dell’esperienza in se del clubber.

* Enrico Petrilli è assegnatario di ricerca all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dove sta svolgendo uno
studio sulla securitizzazione della notte. Ha svolto attività di ricerca, tutoraggio e formazione nelle Università
degli Studi di Torino, di Milano-Bicocca e nel Piemonte Orientale e pressi l’Istituto di ricerca Eclettica di Torino.
Ha scritto di clubbing, droghe piaceri e rinascimento escrementale sulle riviste “Zero”, “Primo” e “Not”, mentre
è in corso di pubblicazione Sociologia del male e altri scritti, una raccolta di saggi di Edwin M. Lemert di cui è
curatore insieme a Cirus Rinaldi (Biografia all’interno di Notti tossiche).

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Attraverso questo progetto si vuole trasmettere allo spettatore, anche se in picco-
la parte, l’esperienza di partecipare ad un evento clubbing, inteso come “andare
in festa”, in particolare un evento From Disco To Disco e di cosa significa far parte
di una comunità di questo tipo. Per questo voi che leggete siete spettatori e non
semplici lettori. L’immersione all’interno del lavoro regala ciò che fisicamente non
si è esperito, o riporta al ricordo, attraverso tecniche multimediali dell’immagine.
Si invita dunque a scaricare l’applicazione ARTIVIVE, attraverso la quale si potran-
no rendere interattive alcune delle fotografie presenti all’interno di questo libro.

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2.1 La ricerca del piacere

Nel corso della storia il piacere è stato oggetto di marginalità e pregiudizio, in


particolare pratiche, contesti e soggettività relative ai piaceri stupefacenti sono
state strumentalizzate per tutto il corso della modernità per attuare processi di
regolazione sociale utili alla marginalizzazione e discriminazione di gruppi mino-
ritari — quella che Bencroft (2009, p.185) chiama “l’organizzazione sociale del
dispiacere” (Petrilli, 2020, p.26). Con la “scoperta” delle Americhe gli europei
cominciano a conoscere nuove risorse naturali, come lo zucchero, tabacco, caf-
fè, cacao e tè, capaci di provocare eccitazione e influenzare le abitudini di chi
ne fa uso. Questo porta a delle conseguenze interessanti ma non così singolari.
Queste nuove sostanze iniziano a diventare un’ulteriore forma di regolazione so-
ciale focalizzata sull’uso del corpo e sulla buona condotta del soggetto […]. Una
nuova forma di controllo prodotta socialmente non attraverso i comuni processi
di ammonimento e sorveglianza pubblica e interpersonale, bensì con l’introie-
zione nei soggetti di sentimenti di vergogna e imbarazzo (Petrilli, 2020, p.31).
Col passare dei secoli alcune sostanze entrano a far parte di una quotidianità
controllata relegata nella sfera familiare, l’uso ad esempio del tè diventa una
specie di cerimonia da svolgere a casa con la figura della donna che rappresenta
i valori domestici della gerarchizzazione dove la donna ha il compito di orche-
strare il rito della preparazione e consumazione del tè. In opposizione le caffet-
terie raccolgono gli uomini che vengono affiancati alla mascolinità del caffè, un
luogo dove le donne e gli uomini meno abbienti non sono ammessi in quanto
non considerati all’altezza dei modi educati e le conversazioni intellettualmente
alte delle caffetterie. Questa fa parte, come la chiama Petrilli, della “prima ri-
voluzione psicoattiva”, a essa consegue la seconda rivoluzione psicoattiva. Se
nel ‘500 abbiamo visto l’arrivo di nuove risorse naturali, nel ‘700 abbiamo vi-
sto come queste abbiano trasformato le dinamiche sociali, nell’ 800 assistiamo
ad un incredibile avvenimento. La seconda rivoluzione psicoattiva non è quin-
di frutto del bio-imperialismo, ma di un altro motore nascosto della modernità:
l’industria farmaceutica e le relative innovazioni bio-tecnologiche (Petrilli, 2020,
p.35). L’introduzione di nuove sostanze, provenienti questa volta dal mondo del-
la medicina, porta con se dei radicali cambiamenti di tipo sociale ed individuale.
Nel campo della medicina porta “gioie e pene”, conseguenze drastiche a lungo
andare invece sulle classi più povere con i cocainomani delle miniere andine di
argento, passando dagli immigrati cinesi negli Stati Uniti che abusano di oppio
nel tentativo disperato di sanare il debito contratto con i propri connazionali
per muoversi oltreoceano (Courtwright, 2002; Berridge, 2013). Il risultato è che
nuovamente abbiamo la prova, citando de Sutter, di come “ogni capitalismo è,
necessariamente, un narcocapitalismo”. In questo periodo storico però iniziano
a profilarsi alcuni personaggi che cominciano a fare uso di queste sostanze in
maniera differente. Il passaggio dal Romanticismo al Decadentismo determina
come quest’uso e abuso diventi più cosciente e ricercato. Scrittori e artisti, che
iniziano a sperimentare con questi piaceri , sanciscono un valore fondamentale
nella storia contemporanea, Marcus Boon (2002) nella sua analisi sul rapporto
tra letteratura e droga evidenzia come esso dipenda dalla ricerca di una sogget-

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tività trascendentale, ossia la volontà di superare i limiti che la modernità e, in
particolare, l’Illuminismo ha imposto al soggetto (Petrilli, 2020, p.38). Se da una
parte abbiamo un uso terapeutico e innovativo in campo medico, dall’altra parte
gli artisti dimostrano un uso nuovo e differente più di natura ricreativa, portando
così alla luce un’altra possibilità di rapportarsi alle droghe che con il tempo si
espanderà anche ad altri gruppi sociali.
Nel 1957 nasce l’Internazionale Situazionista, un movimento artistico e politico
che univa arte d’avanguardia, poesia sperimentale e critica radicale per rendere
la vita un’opportunità giocosa, in cui le attività principali sono la soddisfazione dei
desideri, la realizzazione dei piaceri e la creazione delle situazioni (Plant, 1992,
p.2). Si comincia ad instaurare una dinamica nella quale il soggetto e l’ambiente
hanno un legame forte. La città smette di essere uno spazio per il consumo o da
attraversare per muoversi da una meta all’altra, per diventare nuovamente il tea-
tro del gioco e dell’avventura (Plant, 1992). Due testi sono risultati fondamentali
per questo gruppo: “La società dello spettacolo” di Debord e “Trattato di saper
vivere ad uso delle giovani generazioni” di Vaneigem. Entrambi teorici marxisti,
studiano gli aspetti della stessa società ma con due approcci differenti. Il primo
si distingue in quanto vede poche possibilità per una rivoluzione, mentre il se-
condo vede uno spiraglio nella liberazione del soggetto dall’alienazione della vita
quotidiana. Per Debord le nuove tecnologie di comunicazione hanno segnato un
accumulo di capitale che ha dato il via ad una nuova fase dl capitalismo dove
il protagonista è lo spettacolo. Non è un insieme di immagini, ma un rapporto
sociale fra individui mediato dalle immagini (Debord, 2008, p.53). Debord de-
scrive una società costruita sullo spettacolo e non sui bisogni e questo porta ad
una successiva mercificazione della vita e delle relazioni interpersonali. Rende
l’uomo uno spettatore passivo della vita. Vaneigem parte dalle considerazioni di
Debord ma offre una soluzione per liberarsi. Per Vaneigem (1973, p.221) bisogna
imparare a rallentare il tempo, a vivere la passione permanente dell’esperienza
immediata, perché è solo nel presente che per lui l’uomo riesce a ritrovare i pro-
pri desideri, è nell’immediato che il soggetto riesce a trovarsi in una posizione di
rivelazione nella quale realizza la propria alienazione e riesce a trovare delle vie
di liberazione. Qui entra in gioco la sfera collettiva. Vaneigem spiega come attra-
verso quella che lui chiama soggettività radicale, uno stato inter-soggettivo che
supera i limiti dell’individuo- il soggetto si libera dal sé e riesce a connettersi con
la collettività. Un modo di partire da sé e di irradiarsi non verso gli altri quanto
verso ciò che si scopre di sé in loro (Vaneigem, 1973, p.3) è lo sguardo che viene
dal cercarsi ovunque negli altri (ivi, p.233) e ciò porta l’individuo all’autocoscien-
za della propria esistenza e lo libera dalla mercificazione del capitalismo.
Alla fine degli anni 60 poi assistiamo ad un’ulteriore rivoluzione che è quella ses-
suale, attraverso la quale supera delle dinamiche di controllo sociale attraverso
la repressione del godimento. Vaneigem parla di un’educazione sociale fonda-
ta “sulla paura di godere”. Tuttavia Vaneigem va oltre quella che lui definisce
come “orgasmo congelato nel corpo finalmente ridotto alla pura putrescenza
della merce”. La sua teoria sul piacere si estende aprendosi anche al di fuori
della sessualità:

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[…] piaceri dell’ozio, della tenacia, dell’incontro, della solitudine, della musica, della
creazione, piacere di parlare, di tacere, di ridere, di cacare, di sognare, di abbracciare,
di piangere, di pisciare, di gridare, di accarezzare, di eiaculare, di saltare, di rotolare,
di gustare, di annusare, di toccare, di congiungersi e di separarsi, non piaceri della
sopravvivenza (ivi, p.141)

Petrilli qui si aggancia a Marcuse, filosofo che diventò particolarmente importan-


te per tutti gli studenti e manifestanti sessantottini. In particolare emerge il suo
concetto di “repressione addizionale”, e cioè i diversi livelli di controlli e inibizioni
esercitate nelle differenti società caratterizzate ognuna dalle proprie ideologie e
culture radicate. La repressione addizionale specifica delle società capitalistiche
è battezzata dal filosofo “principio di prestazione”, perché il lavoro è diventato il
baricentro della vita sociale. Le sue conseguenze principali sono una costante
concorrenza su base economica tra cittadini e una valutazione del livello di vita
in termini di automobili, apparecchi televisivi, aeroplani e trattori (Marcuse, 1974,
p.178) (Petrilli, 2020, p.59).
Nella seconda metà del ‘900 la società moderna, che passa da industriale a
consumista, vede la nascita di gruppi e movimenti, specie LGBT, femministe,
queer, artisti. Questi iniziano a rivendicare la propria esistenza attraverso forme
di protesta che si basano proprio sulla ricerca del piacere andando contro ciò
che precedentemente, nell’epoca moderna antecedente, aveva caratterizzato
la società descritta da Bancroft come “organizzazione sociale del dispiacere”
(Bancroft, 2009, p.195), in quanto costruita su modelli di autocensura. Michel
Foucault qui è fondamentale in quanto intellettuale che ha esplorato la sfera del-
le potenzialità insurrezionali del piacere (Shepard, 2012, p.77) e inoltre secondo
David Halperin (1995) Foucault è per gli attivisti AIDS quello che Marcuse ha
rappresentato per gli studenti sessantottini — grazie alla sua capacità di ridare
impulso alla dimensione micropolitica della vita quotidiana (Fraser, 1989). Fou-
cault (1976; 1988) spiega come i concetti di potere-sapere siano profondamente
legati: ogni sapere dipende da una forma di potere che lo muove e, viceversa,
ogni forma di potere è basata su un sapere che lo legittima (Petrilli, 2020, p.81).
Ciò che poi caratterizza in particolare il concetto di potere di Foucault è l’idea
secondo cui il potere è regolato non solo da una tendenza alla proibizione ma
soprattutto da una “forza generativa”, come la chiama Petrilli.

Se non fosse altro che repressivo, se non facesse mai nient’altro che dire no, credete
veramente che si arriverebbe ad obbedirgli? Quel che fa sì che il potere regga, che lo
si accetti, ebbene, è semplicemente che non pesa solo come una potenza che dice
no, ma che nei fatti attraversa i corpi, produce delle cose, induce del piacere, forma
del sapere, produce discorsi; bisogna considerarlo come una rete produttiva che
passa attraverso tutto il corpo sociale, molto più che come un’istanza negativa che
avrebbe per funzione di reprimere (Foucault, 1977, p.13)

Infine un altro punto che ricorda Petrilli, dell’analitica del potere di Foucault, è là
dove c’è potere c’è resistenza (Foucault, 1988, p.84). Il filosofo francese dunque
parla di un cruciale passaggio che definisce un cambio di potere: da una sovra-
nità monarchica, regolata dal potere del monarca di decidere la vita e la morte

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delle persone, ad un regime disciplinare. Questo tipo di regime è basato su del-
le nuove tecnologie del potere della vita, la cosiddetta biopolitica, che sono la
anatomo-politica del corpo umano (Foucault, 1988, p.123) dove vige la dinamica
dell’auto-controllo e la biopolitica della popolazione (ivi) che regola il corpo in
rapporto a tutte quelle dinamiche biologiche come la salute, arrivando a control-
lare così totalmente la vita e i corpi delle persone su ogni gradino della società,
dall’individuo singolo alla popolazione intera. Le prigioni sono l’emblema della
disciplina, ma questo nuovo meccanismo può essere ritrovato anche nell’eserci-
to, nelle fabbriche, negli ospedali e nelle scuole. Istituzioni disciplinari fortemen-
te differenti, ma accomunate dalla presenza di tecniche di individualizzazione
del potere (Foucault, 1998, p.162) che hanno l’obiettivo: primo, di produrre corpi
docili attraverso la sorveglianza costante delle persone; secondo, di normalizza-
re i comportamenti attraverso un’interiorizzazione della regolazione sociale; ter-
zo, di rendere i soggetti più produttivi possibile (McWhorter, 1999, Daloja, 2004)
(Petrilli, 2020, p.86). Con la rivoluzione sessuale e l’avvento della pornografia
si creano delle dinamiche che affiancano sapere-potere-piacere, con le quali si
attuano processi, come raccontare i desideri e i piaceri, che portano a creare
un rapporto ambiguo ma stretto tra chi controlla e chi è controllato. Da un lato il
piacere di esercitare un potere che interroga, sorveglia, fa la posta, spia, fruga,
palpa, porta alla luce; e dall’altro lato, piacere che si accende per dover sfuggire
a questo potere, sottrarvisi, ingannarlo o travisarlo (Foucault, 1988, pp.44-45).
“Il piacere non è antitetico al potere, ma inestricabile da esso” dice Tim Dean in
relazione alle considerazioni di Foucault (2012, p.477), mostrandoci come ogni
forma di piacere è strettamente legata a delle forme di potere.

Non credete che accettando il sesso, si rifiuti il potere; si segue al contrario il filo
del dispositivo generale di sessualità. Bisogna liberarsi dall’istanza del sesso se si
vuole far valere contro gli appigli del potere, con un rovesciamento tattico dei vari
meccanismi della sessualità, i corpi, i piaceri, i saperi, nella loro molteplicità e nella
loro possibilità di resistenza. Contro il dispositivo di sessualità, il punto d’appoggio
del contrattacco non deve essere il sesso-desiderio, ma i corpi ed i piaceri (Foucault,
1988, p.140)

Se dal lato del potere si attuano dunque delle forme di normalizzazione delle
persone, attraverso l’opacità dei piaceri (Tim Dean, 2012, p.480) col fine di ren-
derle il più produttive ed efficienti possibili, Foucault ci induce d’altra parte ad
usare i nostri corpi come forma di liberazione, resistenza per diventate infinita-
mente più sensibili al piacere (Foucault, 1989, p.137). Il piacere è, infatti, l’unica
risorsa per rifiutare la normalizzazione (non solo sessuale) che limita le nostre
scelte e, all’opposto, celebrare la libera e aperta giocosità delle possibilità uma-
ne (McWhorter, 1999, p.181). Consumo di sostanze stupefacenti, sesso sado-
maso e scrittura sono tre esempi di pratiche edoniche che attraverso la coltiva-
zione del piacere permettono di andare oltre il disciplinamento del sé (ivi, p.183)
(Petrilli, 2020, p.94). Il pensatore francese parla di quelle che lui chiama “spirali
perpetue del potere e del piacere” e in particolare alla capacità del piacere di ge-
nerare altro piacere. Dobbiamo studiare le droghe. Dobbiamo provare le droghe.
Dobbiamo fabbricare delle buone droghe — capaci di produrre un piacere molto

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intenso (Foucault, 1998, p.298). Non si tratta di un invito a far uso di queste so-
stanze bensì di un apertura all’idea che esse possano portarsi ad esperire nuove
sensazioni, emozioni e piaceri. La creazione reale di nuove possibilità di piacere,
che prima non erano state immaginate (ivi, p. 297). Successivamente ci invita
alla riflessione secondo cui certe pratiche edoniche possano sovvertire il regime
disciplinare, resistendo a tutti quei processi di normalizzazione dei quali parlavo
precedentemente. La pratica del sadomaso ad esempio porta l’attenzione non
più sulla parte genitale, grazie all’uso di “certe parti bizzarre” (ivi, p.298), questo
rovescia l’austera monarchia del sesso (ivi, p.113). Attraverso la “deruralizzazio-
ne del piacere” resiste al dispositivo della sessualità e alla sua standardizzazione
storica fondata su penetrazione ed orgasmo (Petrilli, 2020, p.94). Lo stesso pro-
cesso accade per quanto riguarda le droghe, una società che esige la sobrietà
degli individui perché altrimenti considerati inutili perché non produttivi. In que-
sto senso Foucault fa un ulteriore considerazione illuminante nel momento in cui
dichiara falsa l’idea che il piacere fisico provenga sempre dal piacere sessuale e
l’idea che il piacere sessuale sia la base di tutti i piacere possibili (1988, corsivo
dell’autore). A questa definizione nitidamente patriarcale del piacere (Beckman,
2013, p.3) deve sostituirsi un anarchismo sessuale, in cui il piacere è demora-
lizzato, senza un organo e una traiettoria prestabilita (Petrilli, 2020, p.95). Le
sperimentazioni psicoattive sono, ancora una volta, un esempio in questo senso
(ivi). Le droghe provocano uno sconvolgimento nella mappa del piacere perché
ti permettono di far esplodere e diffondere [il piacere] in tutto il corpo; il corpo di-
venta lo spazio complessivo di un piacere generalizzato (Voeltzel, 1978, p.120).
Nel femminismo estatico* come nella dissidenza queer e nella microfisica del
potere di Foucault, il corpo è uno spazio di resistenza, nonostante sia prodotto
e modellato dalle tecnologie del potere (Petrilli, 2020, p.100). Ancora una volta
è lecito ricordare che l’orizzonte non è più quello della rivoluzione e dell’eman-
cipazione, siccome non c’è un soggetto o un desiderio da liberare, ma le nostre
stesse soggettività sono il campo di battaglia (ivi).

* Il collettivo Tiqqun conia questo termine per aprire a dei processi che si distaccano dalla rappresentazione
della donna come vittima del patriarcato (miserabilissimo), e dai diversi modelli di femminilità creati dall’uomo:
la donna sottomessa, l’isterica, la madre infanticida, la seduttrice, la puttana (Fointaine, 2015).

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“Enough Foucault,
let’s disco”

by Albert Camus.
Tyler Adam Smith (2013) 100 Day Project*
* Tyler Adam Smith crea una raccolta bibliografica su tumblr nel 2013 e lo descrive così: “ci sono libri che per
un motivo o per l’altro non esistono, ma di sicuro dovrebbero”.

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2.2 Prima di From

Uno studio sui piaceri elettronici non si può limitare ad indagare le esperienze
dei clubber, ma si troverà ad inserire il piacere in un più ampio ambito macroso-
ciologico (Petrilli, 2020, p.104). Pertanto percorrerò velocemente una genealogia
che ci porterà, partendo dai gruppi di artisti e letterati dell’800, fino alla scena
attuale, rappresentata in questo libro, da From Disco To Disco e qualche altra
realtà.
Alla fine del ‘700 con la Rivoluzione francese inizia a diffondersi un interesse
per la danza, vengono aperte un po’ alla volta diverse sale da ballo viste come
luogo di aggregazione e divertimento. Lentamente si mette in moto un processo
di democratizzazione e proletarizzazione dei luoghi dove ballare, con le sale da
ballo come nuovo polo di aggregazione per gli strati popolari della società (An-
tonelli e De Luca, 2006). In Italia questo cambiamento lo vediamo soprattutto da
un punto di vista di genere. Se dapprima si frequentavano luoghi come osterie
che erano aperte in maggioranza solo a uomini, ora con le balere nasce un luo-
go consentito ad entrambi i sessi. Un avvenimento del genere accade anche
in Gran Bretagna con le dance hall. Questi tipi di fenomeni sociali, che hanno
luogo nell’epoca dell’industrializzazione e dunque il lavoro stancante ed alienan-
te dell’operaio sono protagoniste, non sono poi diversi dalle dinamiche sociali
alle quali siamo abituati noi: la trance del liscio non è tanto distante dall’ecstasy
dell’ultima house ( Carlo Antonelli, Fabio De Luca, 2006, p.13). L’unica differenza
ancora è che nella prima situazione i frequentatori non sono ancora i giovani. La
terza trama nella storia della socialità danzante, radicalmente diversa a quella
dell’Italia degli anni ’50, è quella della nightlife trasgressiva che inizia con le gang
licenziose dei giovani nobili libertini dell’Inghilterra del Settecento (Gelder, 2007),
prosegue con i primi prototipi di nightclub aperti a Parigi all’inizio del Novecento
(Petrilli, 2020, p.107), passa alla Berlino degli anni ’20 con la sua scena cabaret e
i primi locali frequentati specificatamente da un pubblico LGBT (Shepard, 2009),
fino ad arrivare nel secondo dopoguerra a Parigi dove aprono le “cave esisten-
zialiste” come il Chez Castel (Martin e Moroni, 2007).
Le prime sale da ballo borghesi, le balere delle classi operaie e contadine come
i nightclub più sregolati sono tre diversi archetipi dei locali da ballo moderni (Pe-
trilli, 2020, p.108). Oltre a condividere alcuni minimi comuni denominatori come
la musica, la socialità, il divertimento e il ballo, possono essere considerate,
ognuna a suo modo, come predecessori delle discoteche (ivi). Questo termine
inizia ad essere impiegato nella prima metà del Novecento, prima, a Marsiglia
per indicare specifici caffè del magazzino (Brewster e Broughton, 2012, p.59) in
cui i marinai lasciavano in custodia la propria preziosa collezione di dischi e, poi,
durante l’occupazione nazista di Parigi, per indicare le cantine sulla Rive Gauche
della Senna dove ascoltare e ballare il jazz, vietato dalle autorità tedesche per-
ché ritenuto musica degenerata, pericolosa e decadente (Petrilli, ivi). La disco-
teca è, quindi il luogo dove tenere protetta e archiviare musica amata e proibita
(Bottà, 2010). Bottà vede in essa delle pratiche di resistenza politica e culturale.
Una svolta radicale avviene a fine anni ’60 e inizio anni ’70 a New York, grazie a
piccole realtà private che stravolgono l’idea del divertimento notturno che c’era

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fino a pochi anni prima, l’ambiente che crearono diventerà poi la base di ciò che
oggi è per noi la socialità danzante (Petrilli, 2020). Party pariahs, è il nome dato
da Tim Lawrence a questo gruppo di persone differenti sessualmente ed etni-
camente ma che si ritrovano unite ad esperienzare una vita notturna nuova fatta
di balli e uso di sostanze stupefacenti. Una figura chiave che entra in gioco, e
cambia le sorti della serata, è l’introduzione del dj. Non più musica dal vivo ma
musica mediata. Il dj non è un musicista mancato come vorrebbe il senso comu-
ne, a cui è riservato il compito (ritenuto semplice) di far ballare il pubblico met-
tendo una canzone dopo l’altra, ma un artista alle prese con una vera e propria
performance creativa: parte da tracce registrate su un supporto come il vinile,
le manipola e le connette le une alle altre creando un lungo tappeto musicale ed
emotivo che diventa la colonna sonora del party (Brewster e Broughton, 2012).
Nicholas Bourriaud la descrive come una dinamica di post-produzione. Dagli inizi
degli anni ’80 difatti vediamo come gli artisti cominciano a lavorare partendo da
forme esistenti, dando così spazio a creazioni che vengono riconfigurate ed inte-
grate in nuovi contesti. Nascono figure dunque come i programmatori e appunto
i dj. Guy Debord nel 1956 pubblica il saggio Mode d’Emploi du détournement:
la tradizione letteraria e artistica dell’umanità dovrebbero essere utilizzate ai fini
della propaganda partigiana. […] Ogni elemento, non importa la provenienza,
può servire a creare nuove combinazioni. […] Tutto può servire. Non c’è bisogno
di dire che può non soltanto correggere un’opera o integrare frammenti diversi di
vecchie opere in una nuova; si può anche alterare il senso di questi frammenti e
modificare a piacimento ciò che gli imbecilli si ostinano a definire citazioni (Guy
Debord, 1956). Ogni dj lavora sulla base di principi ereditati dalla storia delle
avanguardie artistiche: détournement, readymades reciproci o assistiti, demate-
rializzazione dell’attività (Borriaud, 2000, p.35). Il musicista giapponese Ken Ishii
commenta questo fenomeno dicendo che: la storia della musica techno somiglia
a quella di Internet. Ora chiunque può comporre musica all’infinito, musiche che
si frantumano in generi diversi secondo le varie personalità. Il mondo intero verrà
riempito di musiche diverse, personali, che sempre di più ispirano altre musiche.
Sono sicuro che nuove musiche stanno nascendo ora, incessantemente (Guil-
laume Bara, 1999). Riconosciamo, dunque, lo stile di un dj dalla sua capacità
di abitare una rete aperta (la storia del sound), e nella logica organizzativa del-
le connessioni tra campioni musicali che lui o lei fanno suonare (Borriaud, ivi).
Sembrerebbe che queste strategie di riattivazione e deejaying delle forme visive
rappresentino una reazione rispetto alla sovrapproduzione o inflazione delle im-
magini (Borriaud, 2000, p.42-43). Il mondo è saturo di oggetti, diceva Douglas
Huebler già negli anni Sessanta, confermando di non volerne produrre di nuo-
vi (ivi). Se la proliferazione caotica della produzione portò gli artisti concettuali
alla dematerializzazione dell’opera, nel caso degli artisti della post-produzioni li
spinge a mixare e combinare i prodotti (ivi). La sovrapproduzione non è più vista
come un problema, ma come ecosistema culturale (ivi).
Un colosso impossibile da non nominare qui è Francis Grasso, un personaggio
ritenuto rivoluzionario in quanto ha sancito il passaggio da un dj “selezionatore”
(tipo radio), al dj come creatore di un un’unica interrotta sorgente sonora (Pe-
trilli,2020, p.110). È l’inizio di quella che Kai Fikentcscher (2000, p.43) descrive

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come una nuova forma di arte vernacolare americana: l’arte del mix. I party pa-
riahs di David Mancuso e la genialità di Fancis Grasso sanciscono una nuova
era che però si apre davvero questa volta grazie ad altri due personaggi, Larry
Levane e Frankie Knuckles, che con la sperimentazione musicale agli inizi degli
anni ’80 creano la garage e la house. Con loro nasce ufficialmente la musica
elettronica da ballo (Petrilli, ivi). Un’ulteriore scena importante però è quella di
Detroit, caratterizzata dalla comunità afroamericana che si fa spazio con una
vita notturna molto simile alle party pariahs di New York. La techno, colonna
sonora delle notti dei giovani afroamericani tra i ruderi delle fabbriche di Detroit
(Brewster e Broughton, 2012). È evidente dunque come la musica elettronica ai
suoi inizi si fa spazio tra quelle che sono comunità marginali, descritti da Collin
(2009, p7) club di neri e gay che non sono altro che laboratori sociali, dove la
musica, droghe e sesso si sono intrecciati per creare innovazioni stilistiche che
lentamente sono filtrate verso la società bianca ed etero.
Con l’innovazione tecnologica cambia dunque la musica ma cambiano anche
i luoghi dove si consuma la musica. L’evoluzione dei sound system porta ad
un fascino ulteriore nei confronti di tutti quei luoghi prima marginali come le in-
dustrie, i capannoni, gli hangar. La marginalità dunque non colpisce soltanto le
sfere sociali ma anche gli ambienti frequentati da esse. Avviene una rivalutazione
e riconfigurazione di questi luoghi che porta i party in ambienti capaci di acco-
gliere un numero più elevato di persone.
Assieme a queste evoluzioni assistiamo ad un ulteriore passaggio: dalla mu-
sica suonata alla musica mixata e dunque cambiano anche i modi di esperirla,
cambiano i balli. La danza elettronica è fatta di movimenti più liberi. Sotto que-
sto profilo, la musica elettronica raccoglie gli insegnamenti del rock ’n roll che,
ispirandosi a sua volta alla cultura afroamericana, ha sviluppato uno stile di ballo
fondato sull’improvvisazione (Novack, 2010), ma li porta all’estremo permetten-
do ai clubber una totale libertà di espressione (Lawrence, 2011).
L’ultimo tassello innovativo riguarda le droghe. Nulla di sconosciuto prima del-
la musica elettronica: la frenesia anfetamina dei party Northern soul al Twisted
Wheel di Manchester, ascendenza psichedelica dei locali hippy come l’UFO di
Londra, l’eccitazione erotica di bagni e discoteche gay come il Sanctuary e il
Continental Baths di New York (Brewster e Broughton, 2012). Nel mondo della
musica elettronica la più amata party drug è sicuramente l’ecstasy o MDMA (Pe-
trilli, 2020, p.112). Nonostante il suo successo nelle discoteche dal dancefloor
più edonista e selvaggio, rimane una sostanza secondaria nel pantheon psico-
attivo occidentale fino alla fine degli anni ’80, quando diventa il simbolo della
Second Summer of Love e della rave culture (Collin, 2009). È importante secon-
do Lawrence (2011, p.233) capire bene le dinamiche che hanno caratterizzato
i party degli anni ’70, in quanto non solo univano donne e uomini nello stesso
ambiente ma aggregavano donne e uomini di diverse culture, etnie, orientamenti
sessuali ed estrazione sociale. Questa rappresenta secondo l’autore la spinta
politica della cultura danzereccia dei primi anni ’70, accogliente fin dagli inizi,
nel tentativo di creare una comunità democratica e interculturale. Così le disco-
teche, nell’essere uno spazio intermedio tra il lavoro e la casa, aperto indistin-
tamente a uomini e donne, in quegli anni si configuravano come un attacco dal

14
basso all’ideologia domestica moderna, nella sua rigida distinzione tra pubblico
e privato, con le donne relegate alle cure domestiche (Petrilli, 2020, p.113).
Diventa fondamentale come le forme di resistenza politica attuata dalla socia-
lità danzante è caratterizzata da un una politica del gesto distinta da Tiqqun
(2001, p.206) dalla politica della parola, dove il corpo di chi è escluso diventa
il veicolo con il quale attuare le strategie di resistenza politica. Fiona Auckland
(2002, p.3) riprende questo concetto per parlare dei club queer* e di come essi
siano appunto definiti dal “medium del movimento”: I clubber non esprimono
verbalmente le proprie istanze (micro)politiche, ma attraverso la creazione di uno
spazio momentaneo di creatività e divertimento, incorporano le proprie attitudini
e modellano un mondo basato sui principi di solidarietà, individualità, piacere e
movimento (Petrilli, ivi).

* Scena di party queer nata intorno agli anni ’80 che si distacca da identità e ruoli di genere tradizionali (ete-
ronormatività) e modelli come i gruppi LGBT (omonormatività), offrendo un’apertura alternativa. Il legame tra
sapere universitario e club culture non deve stupire, negli ultimi anni sono numerosi gli artisti che hanno incor-
porato nella propria musica discorsi provenienti dal dibattito accademico: il post-umanesimo queer di Arca, il
transumassimo degli Amnesia Scanner, il post colonialismo di Elisia Crampton, la diaspora nera del collettivo
NON. (Petrilli, 2020, nota a piè di p.113).

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“Is it just me, or has everyone making
electronic music now also got a degree
in poststructuralism?”

Vessel on Twitter

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2.3. Mainstreamizzazione ed ipermercati

Tra i diversi cambiamenti che la socialità danzante ha subito uno di questi,


sicuramente non trascurabile, è la commercializzazione di essa. Con il tempo
gli eventi di musica elettronica hanno visto processi di mainstreamizzazione.
Delle dinamiche lontane da quelle delle quali parlavo prima, caratterizzate da
un’attitudine di resistenza politico-culturale. A partire dagli anni ’90 inizia nel
mondo anglosassone un processo che ne cambia radicalmente le sostanze, gli
ascolti e gli spazi (Petrilli, 2020, p.114-115). Il processo di commercializzazione
inizia, come accennato, in Inghilterra, un dato non sorprendente se si considera
come questa nazione abbia rappresentato l’avamposto della cultura elettronica
europea (ivi). Dalla seconda metà degli anni ’80 Manchester, ridenominata an-
che Madchester*, rappresenta un caposaldo della club culture in Europa grazie
alla scena creata dagli eventi al The Haçienda, locale dal nome e dalla visione
ispirata all’Internazionale situazionista. Ci sono poi locali come il Future, Shoom
e Spectrum di Londra. Queste discoteche sono state vere e proprie incubatrici
dei principali elementi della rave culture, un terremoto culturale che da lì a poco
avrebbe sconvolto l’Inghilterra: tolleranza e anti-elitarismo, un dress code como-
do e colorato, musica acid house ripetitiva, ipnotica e psichedelica, ecstasy e
empatia anche tra sconosciuti, euforia pacchiana e frenesia collettiva (Reynolds,
2010, pp. 76.81), un’atmosfera erotica più che sensuale (Bancroft, 2009) (Petrilli,
ivi). Elementi pressoché assenti nei pub e nelle discoteche inglesi fino ad allora
che diventano un vero e proprio tratto generazionale durante la cosiddetta Se-
cond Summer of Love del 1988 — vent’anni dopo la leggendaria estate hippy
del 1967 a San Francisco — in cui raver della prima ora, hooligan e figli della
classe media si trovarono tutti sottocassa a ballare musica elettronica (Petrilli,
ivi). A quest’estate leggendaria, ne segue una altrettanto importante nel 1989**,
quando risulta ormai evidente come l’acid house sia diventata un fenomeno di
massa: le feste coinvolgono folle oceaniche (si arriva ad eventi da undicimila
persone) e non sono più organizzate da promoter improvvisati, ma da veri e pro-
pri imprenditori (Reynolds, 2010; Critcher, 2010).

* Scena musicale di Manchester a cavallo tra gli anni ’80 e anni ’90 caratterizzata da artisti con sonorità indie
rock alternativo, suoni acidi, funky e ripetitività. Alcune band rappresentative di questi anni sono gli Stone
Roses e gli Happy Mondays. La frenesia e l’eccitazione generale che si respirava unita alle droghe di questo
periodo, durante gli eventi del locale The Haçienda, hanno portato a ribattezzare la città di Manchester come
la “pazza” Manchester, ovvero Madchester. È identificativo anche il dresscode che si è creato in questo perio-
do tanto da diventare il sinonimo stesso di Madchester: il baggy (largo).

** Summer of Squatting del 1990 a Berlino che portò all’occupazione di molte abitazioni nel territorio prece-
dentemente appartenente alla Repubblica Democratica Tedesca. Rapp, nell’intervista per Resident Advisor,
racconta come questo segna un momento importantissimo per la scena clubbing berlinese in quanto porta
con se l’importanza di cercare nelle città nuovi luoghi in cui organizzare eventi e di considerare il potenziale
ludico dello spazio (Petrilli,2020, p.115 nota a piè di pagina). Non a caso per le nuove discoteche sorte nella
parte est della città furono scelti nomi che richiamassero la funzione originale degli spazi in cui si erano inse-
diate: Tresor (banca), E-Werk (stazione elettrica), e Friseur (parrucchiere) (ivi).

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“Suddenly everything came together: the
music, the dancing, the drugs, the venue,
the city. I was proved right, Manchester
was like Reinaissance Florence. Mike
Pickering was right. You don’t need bands
in the club. Shaun Ryder was right, New
Order were right. All came together.
Everyone came to the Hacienda, it was
our Cathedral. […] And tonight something
equally as epoch-making is taking place.
See? They’re applauding.. the DJ. Not the
music, not the musician, not the creator..
but the medium. This is it. The birth of
rave culture. The beatification of the beat.
The dance age. This is the moment when
even the white man starts dancing.
Welcome to Madchester.”

24 Hour Party People, Michael Winterbottom, 2002

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Per Reynolds (2010) la rave culture è la risposta giovanile all’atomizzazione
sociale e all’etica del lavoro tatcheriana, una posizione confermata da Fiona Me-
asham (2004, p.338), secondo cui i rave di fine anni ’80 sono connotati da un
egualitarismo utopico anti-commerciale e da un edonismo apolitico escapista
(Petrilli,2020, p.116). L’etica raver, sempre secondo Measham è poi caratterizza-
ta da: una creazione e un apprezzamento non egoistici della musica condivisa
da DJ, promoter e clubber; una passione evangelica per il potenziale empato-
geno dell’e(c)stasi; e un desiderio egualitario di ballare, socializzare e divertirsi
per giovani donne e uomini provenienti da tutto lo spettro sociale. Chiaramente
questo porta a conseguenze anche di tipo legale. Se l’epidemia del gin del Set-
tecento è il primo allarme droga della storia moderna (Warner, 2001, p.375), due
secoli dopo la risposta sociale ad ecstasy e rave assume lo stesso connotato di
un moral panic aggressivo lanciato su binari mediatici e legislativi (Petrilli, 2020,
p.116). Mai prima d’ora, durante gli anni del panico morale postbellico su teddy
boy, mods, hippy e punk, un governo aveva considerato la musica dei giovani
così sovversiva da doverla vietare (Collin, 2009, p.240).
Kevin Brain (2000) ricerca invece dei processi che riguardano la commercializ-
zazione della club culture e in particolare ciò che riguarda l’uso delle sostanze
stupefacenti in rapporto alle operazioni in risposta dell’industria dell’alcol. All’au-
mentare dell’uso di ecstasy e sostanze simili ne consegue una diminuzione, da
parte dei giovani, dell’alcol in questi anni. Un mutamento nelle preferenze psico-
attive tra i giovani che in letteratura è indicato come una delle cause principali al
cambiamento dei modelli di mascolinità, con la diminuzione dei comportamenti
aggressivi e dei casi di violenza (Pini, 2001; Measham, 2004).

“Quei ragazzi di periferia avevano provato


l’ecstasy ed era come se fosse la prima volta che
si rilassavano. Come se fossero appena usciti
da una scatola in cui erano stati rinchiusi fino ad
allora e cominciassero solo in quel momento a
familiarizzare con l’idea che “sì, sono un ragazzo,
ma posso abbracciare il mio amico.”

Mark Moor per Reynolds, 2020, p.81

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Per parlare del clubbing nel 21esimo secolo c’è bisogno di delineare ciò che è
la società di oggi e per questo passo dai discorsi sulla biopolitica di Foucault,
precedentemente citati, alle nuove teorie rinnovate di Paul B.Preciado in “Te-
sto tossico. Sesso, droghe e biopolitiche nell’Era farmacopornografica”. L’intel-
lettuale e attivista trans-femminista rinnova la teoria foucaultiana sul biopotere
analizzando l’intreccio tra tecnocapitalismo avanzato, sistema dei media globali
e biotecnocapitalismo avanzato, sistema dei media globali e biotecnologie (Pe-
trilli, 2020, p.121). Foucault ci parlava di un regime disciplinare ma a questo ora
aggiungiamo il regime farmacopornografico di Preciado. Al primo, caratterizzato
dall’anatomo-politica del corpo umano e la biopolitica della popolazione (Fou-
cault, 1988, p.123), aggiungiamo il secondo nelle quali i protagonisti sono il
farmacopotere e il pornopotere, che portano a dei processi di normalizzazione
e assoggettamento tramite farmaci, sostanze stupefacenti, pornografia e altro.
Il filosofo spagnolo elabora il concetto di potentia gaudendi, o forza orgasmica,
per spiegare l’attuale assetto e funzionamento del mondo del lavoro e della pro-
duzione sociale (Petrilli, 2020, p.122-123). La potentia gaudendi è definita come
la potenza (attuale o virtuale) di eccitazione (totale) di un corpo (Preciado, 2015,
p.38), la forza lavoro o forza produttiva del regime farmacopornografico. Precia-
do (2015, p.252) parla di una pornificazione del lavoro: la pornografia con la sua
spettacolarizzazione della sessualità e l’informatizzazione dei corpi è diventata il
paradigma e modello di riferimento di ogni settore dell’industria culturale poiché
letteratura, cinema, videogiochi vogliono tutti produrre il medesimo ciclo di ecci-
tazione-capitale-frustrazione-eccitazione-capitale (ivi, p.238) dell’industria por-
nografica (Petrilli, ivi). Conia dunque il termine plusvalore pornografico (Preciado,
2015, p.235) al quale si affianca anche il plusvalore sessuale e tossicologico (ivi).
In questo modo l’industria farmaceutica e l’industria culturale integrano due mo-
tori occulti del capitalismo (ivi) rimanendone però intaccate. L’industria musicale
come settore dell’industria culturale descritta da Preciado (2015, p.235) è riusci-
ta ad incanalare il plusvalore pornografico della musica elettronica attraverso un’
ibridizzazione con il rock e normalizzandone l’ascolto in radio, film e nei grandi
eventi; mentre l’industria degli alcolici come (se fosse un) settore dell’industria
farmaceutica è riuscita ad incanalare il plusvalore sessuale e tossicologico (ivi)
del traffico illegale di stupefacenti attraverso la produzione di nuove bevande e
una ridefinizione degli spazi di consumo (Petrilli, 2020, p.124-125).
Achim Szepanski —fondatore della Mille Plateaux — intervistato da Simon Rey-
nolds (2010, p.497) commenta la progressiva commercializzazione della club
culture come una prigione del piacere, rendendo così questa attività, che prima
era una forma di libertà e gioco, una galera. [Fatta di] esperienze ben norma-
te, estasi a comando, musica prevedibile (Reynolds, 2017, p.39). Maria Teresa
Torti (1997, p.13) conia un termine molto azzeccato al fenomeno, chiamando le
discoteche contemporanee degli ipermercati delle offerte. La società odierna è
caratterizzata da un’attitudine che si basa su un legame stretto e quasi insor-
montabile ai processi di apprendimento situati, che portano così anche i piaceri
e i desideri ad essere normalizzati in quanto prima di essere consumati bisogna
conoscerli. Sassatelli (2001, p.98) parla di edonismo addomesticato, per eviden-
ziare la retorica normativa insita nel capitalismo contemporaneo, perché solo

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quando un piacere è familiarizzato, allora può essere consumato (Petrilli, 2020,
130-131).
Ne risponde ora però una tendenza di resistenza e sovversione, come il caso del
gruppo ACT UP, primo caso di attivismo anti-farmacopornografico (Preciado,
2015, p.296), che lotta contro il controllo da parte dello Stato e delle case farma-
ceutiche in merito all’uso che si fa con i propri corpi e sui propri corpi, in parti-
colare una lotta contro l’AIDS sviluppando dei modelli di pro-pleasure. Una de-
mocratizzazione delle bio-tecnologie che non ha l’obiettivo di avanzare richieste
politiche (il riconoscimento identitario o la concessione di diritti), ma di accettare
il carattere radicalmente tecno-costruito, irriducibilmente molteplice, plastico e
mutevole dei corpi e dei piaceri (Preciado, 2015, p.267). Delle forme di riappro-
priazione dei corpi, Preciado la chiama “principio di autocavia”. Per questi terro-
risti farmacopornografici il corpo diventa un laboratorio politico, uno spazio per
sperimentare con se stessi grazie alla pirateria di ormoni, testi, saperi, pratiche,
codici, piaceri, flussi (ivi, p.340) per attuare processi di (contro)oggettivazione
che manomettano i movimenti ciclici di soddisfazione-frustrazione e la riduzione
della potentia gaudendi a forza lavoro (Petrilli, 2020, p.133-134). Preciado (ivi,
p.340) la descrive come una prigione intima tuttavia il corpo rimane comunque
ancora l’unico spazio di resistenza possibile al farmaco-e pornopotere, come già
ci hanno insegnato la dissidenza di femministe e queer, la microfisica del potere
di Foucault e il femminismo estatico di Tiqqun (Petrilli, ivi).

“Parli di sesso, di droghe di musica techno, non


è molto chiaro cosa abbia a che vedere tutto ciò
con questo convegno di universitari. In sostanza
hai un’idea: dopo gli anni sessanta la maggior
rivoluzione l’hanno fatta i gay ascoltando musica,
drogandosi e scopando.”

Paul B. Preciado (2015)

21
22
3.1 La realtà di From

Attiva dal 2008 nella città vicentina, FDTD è stata la chiave che ha portato in
primo piano una scena che dapprima rimaneva nelle retrovie dell’underground.
L’unione di tante esperienze e realtà nel corso degli anni, che sono arrivate a
convergersi in From disco, hanno dato vita a ciò che conosciamo oggi di questo
movimento: un gruppo che crea comunità attraverso la musica, lontano dalle ca-
tegorizzazioni musicali e sociali. Le figure che oggi tengono in piedi questo mon-
do arrivano da diversi ambienti: chi dal clubbing, chi dalla techno, chi dall’alter-
native, oggi però tutto questo è diventato un marasma che fa di sé il suo punto
di forza proprio la grande varietà che ne ha all’interno. La multidisciplinarietà e
la molteplicità delle esperienze delle persone all’interno di questo gruppo sono
ciò che oggi fanno di From Disco To Disco una delle realtà più interessanti nella
città di Vicenza.
Hans Ulrich Obrist in conversazione con Thomas Demand, Peter Seville, Hedi
Slimane e Cristina Bechtler in “Art, Fashion and Work for Hire” porta in tavola la
questione della multidisciplinarietà descrivendola come shock of difference e fa-
cendo gli esempi di Hedi Slimane che si muove dalla moda al mondo museale e
di gallerie d’arte o di Thomas Demand che si addentra nel design o l’architettura.
Demand racconta di come i suoi progetti incompleti siano quelli di addentrarsi in
ambiti differenti come l’architettura e il design, proprio con lo scopo di liberarsi
dalla convenzione di presentare il proprio lavoro da fotografo come “questa è
un’immagine, questa un’altra ecc”. La gente chiede continuamente in cosa ci
identifichiamo: un fotografo, uno scultore un architetto ecc. L’unico momento
nel quale ci si ritrova a classificarsi, dice Demand, è proprio quando le persone lo
chiedono. Questo è un punto cruciale: il problema delle etichette e di chi siamo
e cosa facciamo, e qui Saville ci dice “non ce lo chiediamo mai a noi stessi”. È
proprio qui il problema, sono domande che arrivano sempre dagli altri e l’unico
motivo per il quale ci si pensa è perché gli altri ti mettono nella posizione di farlo.
Hedi Slimane ha sempre avuto un problema con le definizioni e soprattutto il
fatto che ad un certo punto, per necessità, tu debba decidere cosa fare della tua
via è tragico. Lo studio della storia dell’arte dice che ha aiutato alla maturazio-
ne del pensiero secondo il quale ci sono differenti modi di approcciarsi ad una
rappresentazione o un idea o un significato. Un’altra grande tragedia è il fatto
di diventare “professionali”, un “pro”. Per Slimane l’amatoriale è sempre stato
molto interessante e difatti il fattore più bello degli amatoriali è che hanno un
vero e crudo desiderio per ciò fanno. Si tratta di divertimento e godersi l’azione,
è in un certo senso edonistico e scarso di impegno. C’è una sorta di prostituzio-
ne nel momento in cui hai una commissione e ciò che rende invece divertente
il lavoro è proprio quella parte più superficiale, Slimane la chiama mythology of
vanity. Per Saville vale lo stesso nel graphic design nel quale si tratta sempre di
un lavorare per altri arrivando ad alienarsi per quanto riguarda tutta una serie di
sperimentazioni personali che si vorrebbero fare. Demand porta in campo l’idea
che c’è bisogno di stare per un po’ di tempo in un determinato campo prima di
capire esattamente come funziona e Slimane prosegue dicendo che si impara
proprio improvvisando. Non c’è poi bisogno di incastrarsi in quell’ambito per

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tutta la vita, l’importante è proprio sperimentare per il piacere di farlo che sia un
successo o un fallimento.
Da quello che si può evincere finora è che c’è un grosso problema riguardante
il linguaggio che usiamo, termini che sono al giorno d’oggi datati ma che conti-
nuano a venire usati. Usiamo un linguaggio di un’altro secolo, lo usiamo come
etichette, il che non è più appropriato oggigiorno. Secondo la Bechtler siamo in
una sorta di nuovo Rinascimento dove differenti soggetti sperimentano in diversi
campi. I generi insomma si dissolvono sempre più e si può dire che c’è una nuo-
va curiosità nella creatività. Secondo Saville questo sta proprio nella capacità di
avere occhio nella sfera creativa che ti porta ad ampliare con diversi medium.
Ciò che è importante tuttavia è proprio la capacità di sperimentare da soli, es-
sere coscienti che non basta avere successo in un campo per riuscire anche
in altri, bisogna essere disposti ad imparare. Avere un certo criterio di cosa sia
giusto e cosa sia sbagliato ti porta alla consapevolezza di come applicarlo anche
in diversi campi. Un altro dei grossi problemi terminologici è la parola ‘arte’ e ‘ar-
tista’: come li definisci? C’è un forte bisogno di avere un carattere significativo,
di senso. Ma il problema secondo Saville, anche in questo caso, si tratta di le-
garsi a delle logiche di criterio di senso che non sono del tutto sbagliate ma che
comunque sono determinate da certe persone o dall’evoluzione che ha avuto il
significato nel corso del tempo. Le arti però esistono e si aprono ad un quantità
vastissima di differenti tipi di persone che trovano diversi significati per lo stes-
so lavoro artistico. C’è poi da dire che il pubblico si sta allargando e allo stesso
tempo c’è ibridazione dei diversi campi creativi. Quando si arriva a parlare in
termini creativi c’è poi da considerare come ci sia stata una trasformazione nelle
nuove generazioni, le quali non trovano più grossi problemi nel rivisitare creazio-
ni del passato. Tutto questo approccio è un qualcosa di profondamente legato
alla pratica e le modalità di From Disco To Disco, dove chi ne fa parte svolge e
lavora in differenti ambiti senza legarsi esclusivamente ad un solo ruolo o me-
dium. Certamente ci sono figure più improntate e che hanno la responsabilità di
gestire un determinato ramo di tutta l’organizzazione di un evento, questo però
non esclude che la stessa figura possa influire e lavorare in squadra modifican-
do anche la realizzazione negli altri rami. I grafici non sono solo grafici, i djs non
sono solo djs, i curatori non sono solo curatori ecc. Tutti si occupano di tutto
arrivando a creare una sorta di comunità e famiglia lavorativa super produttiva e
contemporanea.

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Ho conversato e passato molto tempo con i ragazzi di FDTD e siamo tutti d’ac-
cordo sull’idea che parlare di clubbing oggigiorno, e in particolare attraverso
FDTD, non è semplice. La scena clubbing, come qualsiasi altro mondo legato
alle subculture, ha un livello di profondità vastissimo e andare a legarsi a queste
terminologie (musicalmente) spesso potrebbe portare a nulla. La filosofia che
attraversa questo gruppo, si può legare al clubbing solo sotto la dimensione
dell’esperienza vista come piacere dell’ “andare in festa”, un po’ come effettiva-
mente ho trattato questo fenomeno fino ad ora, distaccandomi dalle caratteristi-
che musicali che differenziano vari ambienti di musica elettronica. C’è un lavoro
concreto sulla ricerca e il concetto che trova dietro ogni suo evento, arrivando
a ripensare anche ciò che siamo soliti intendere per club, party e quant’altro.
“Il club È MORTO” dichiarava nella stagione F/W 19-20, proponendo così un
nuovo modo di vedere gli eventi. Ironicamente fu una stagione di party con un
format provocatorio che effettivamente poi ha anticipato una nuova era, quella
del post-covid.

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foto, video e grafiche dall’archivio FDTD di Alessandro de Re

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foto, video e grafiche dall’archivio FDTD di Alessandro de Re
foto, video e grafiche dall’archivio FDTD di Alessandro de Re

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foto, video e grafiche dall’archivio FDTD di Alessandro de Re
foto, video e grafiche dall’archivio FDTD di Alessandro de Re

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foto, video e grafiche dall’archivio FDTD di Alessandro de Re
“Primo grande evento in orario aperitivo.”
Buffa Doc

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foto, video e grafiche dall’archivio FDTD di Alessandro de Re

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In una nota sul mio telefono dopo una serata del 3 Giugno scrivo:

“Il clubbing torna nelle zone rurali come per l’amok, quelle
industriali come per il club è morto e quelle cittadine dei
parchi o semplicemente nelle case come lo è stato per
i party pariahs di Mancuso. Oggi il clubbing è tornato a
vivere in ambienti per nulla nuovi, anzi.. sono i suoi luoghi
di appartenenza.”

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3.2 Post-clubbing era

Prima abbiamo visto come l’evoluzione tecnologica dei sound system abbia
portato i party in luoghi nuovi che prima erano considerati, marginali. Anche
nel campo della curatela delle arti performative assistiamo alle stesse tendenze
intorno agli anni ’90. Tengo molto a sottolineare come i processi che riguarda-
no l’arte performativa sono strettamente legati a ciò che accade nel mondo del
clubbing. Un altro aspetto piuttosto interessante che emerge dunque ancora
dalla conversazione in “Art Fashion and work for hire” è lo spazio d’azione, lo
spazio dell’arte. Sono ancora rilevanti oggi una galleria, un museo, un club?
“The hyper around site-specific works, mainly from the mid 1990s on, brou-
ght a special focus on space by leaving theaters and occupying supposedly
non-artistic spaces, seeking something authentic or to contradict the seemingly
authentic. This move into the city (and very ofter to the outskirts of the city, to
empty industrial areas, half-ruined factories, and vast storage places) is closely
linked to the desire for the real behind all strands of so-called documentary the-
atre, which only a few years later became so extremely popular. But it also fits
into the logic of gentrification, at least symbolically occupying spaces that were
reserved for others” (Florian Malzacher, 2020, p.33). Malzacher qui esplora certi
cambiamenti e processi che hanno investito la curatela delle arti performative
che si sono viste spostare, negli anni 90, da luoghi soliti come il teatro a zone
più industriali e grezze. Un processo avvenuto soprattutto con l’entusiasmo ge-
nerale di quegli anni per i lavori site-specific. Oltre a rappresentare un bisogno,
dell’arte, di distaccarsi da luoghi abituali usuali che tendevano a relegarla solo a
quei determinati spazi, diventa anche un modo per l’arte di riconfigurarsi e porsi
in un ruolo determinante nel cambiamento di come percepiamo le diverse zone
di una città. Lo spazio di azione dell’arte non ha più limiti e la sua esistenza in
luoghi come le gallerie, i musei, teatri o per l’appunto club non è più fondamen-
tale. From Disco To Disco si pone in mezzo a due realtà grazie alla sua versatilità
e i diversi tipi di eventi che offre. Da un lato abbiamo tutta una dimensione legata
alla club culture per quanto riguarda party che hanno luogo tendenzialmente
in discoteche o locali simili, dall’altra parte c’è una vicinanza all’attitudine un
po’ più libera legata alla rave culture. Due realtà differenti che fanno parte dello
stesso movimento. La riconfigurazione degli spazi abbandonati e marginali nel
secondo caso è fondamentale, c’è dunque in questo tipo di eventi di From Disco
una ricerca di luoghi non solitamente adibiti a party. Nel primo caso invece, con
la scelta della discoteca come luogo, ci si trova a vivere l’esperienza clubbing
nel letterale senso della parola: andare in discoteca. La differenza qui in FDTD si
pone nel modo in cui si presenta al pubblico, che sia l’evento “libero” nella zona
industriale vicentina o l’evento clubbing in discoteca, ciò che rende unica l’espe-
rienza FDTD è proprio quest’attitudine che si pone tra due realtà che sono figlie
entrambe della stessa storia legata alla musica elettronica. Questo si può limpi-
damente vedere nei casi legati ai party industriali ma si può chiaramente notare
anche quando From Disco entra nel club, partendo innanzitutto dalla scelta del
club. Essendo una realtà nata e cresciuta nelle retrovie dell’underground, FDTD
non può aver luogo in ipermercati della discoteca. È importante dunque per la

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sua identità non piegarsi mai anche in momenti in cui facilmente si può perdere
la propria essenza, ad esempio quando si entra a far parte del giro delle disco-
teche odierne dove la “gabbia del piacere” è praticamente ovunque. Definirei
per questo motivo FDTD una delle diverse realtà che ora stanno nascendo con
la stessa attitudine versatile e aperta. Questa la definirei la post-clubbing era.
Un’era che si distacca dagli ormai tradizionali format di party, caratterizzati da
binarismi di genere all’entrata (es. le ragazze pagano un tot, i ragazzi pagano
un tot), dresscode e altro. Queste sono peculiarità tipiche di un organizzazione
basata su metodi antiquati e appartenenti a tutta quella cerchia di commercializ-
zazione della discoteca. Nel filone della post-clubbing era si ritrova quella ricer-
ca del piacere libera dalla categorizzazione sessuale, etnica, religiosa o di stile.
Qui tutti possono entrare e divertirsi insieme, con la sola “regola” del rispetto
reciproco. La ricerca continua di nuovi luoghi sta proprio nella voglia di stabilire
nuove istanze, situazioni e contatti. Ricontestualizzare ogni volta la performance
obbliga a ricrearle diversamente in ogni luogo (Piersandra Di Matteo, 2021, p.1).

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In una nota sul mio telefono dopo una serata del 16 Marzo scrivo:

“Ho suonato all’ [nome club] stasera. Esperienza terrificante. Ho assistito a


tutte quelle dinamiche tecniche e sociali che caratterizzano un ipermercato
della discoteca: la selezione, la gente, la musica, lo spazio. Ho suonato poco
e forse è stato meglio così, non ho nemmeno spinto troppo e già mi sentivo
completamente fuori luogo a mettere quel tipo di musica. La presenza di alcuni
amici ha reso la serata migliore, perché altrimenti avrei preso e me ne sarei
tornato subito a casa dopo aver suonato. Le dinamiche alle quali ho assistito
sono molteplici ma tutte a testimoniare la pochezza del posto. In primo luogo
sono stato pagato con delle semplici drink card durante la serata, che dico per
un posto il cui principale interesse è fatturare di sicuro i soldi non ti mancano. I
grandiosi divanetti della socialità sono diventati cubi per ragazzini e ragazzine
di 17 anni, questo a dimostrare la mal disposizione dello spazio. La zona
chillout/fumatori non è altro che uno luogo recluso da delle transenne, vigilato
costantemente dai buttafuori, dove la gente non si parla davvero ma si lancia
solo occhiatacce, simbolo di un’inesistente solidarietà e vicinanza collettiva
anche tra sconosciuti. I bagni non hanno bisogno di grandi descrizioni per
capirne la grande differenza rispetto all’underground: differenza di genere,
occhiatacce, nessun tipo di socialità tra sconosciuti, zero solidarietà e vicinanza
per chi si sente male e ovviamente nessuno che si droga. La dancefloor è anche
peggiore iniziando dalla postazione alta e imponente, rispetto al pubblico, del dj
a rendere la disposizione spaziale scomoda e letteralmente una galera. Al piano
di sopra un’altra stanza, molto ridicolmente creata apposta per farla sembrare
una sorta di boiler room cool dove solo chi la conosce, ci va e ci rimane è figo,
mentre quelli che stanno di sotto sono sfigati. È inutile dire che ovviamente
chi stava qui dentro non era minimamente diverso da chi stava di sotto. Ad
un certo punto due ragazzi mi vengono addosso, mi fanno brutto, gli chiedo
che problemi hanno e loro mi fanno segno di andarmene e io rispondo con un
‘sono tra gli artisti che suonano e mi vieni a fare problemi?’ E loro rispondono
ancora invitandomi ad andarmene ‘che è meglio’. Io mi allontano ma poco dopo
gli stessi spingono un mio amico facendolo cadere a terra, il motivo? Li aveva
guardati mentre facevano brutto a me. Quello è stato l’apice, da lì volevamo
solo andarcene e poco dopo è quello che abbiamo fatto. In serata mi ero fatto
amico i buttafuori e andandomene ho realizzato che il loro l’occhio vigile e la
sorveglianza in sé non servono a niente se un posto di per sé è una galera, in cui
i prigionieri si sono auto carcerati per poi potersi scannare a vicenda. Che loro
ci provano a controllare, di mantenerlo un luogo atto al divertimento ma sembra
che la gente non sia lì per questo. C’era per i ragazzi come un bisogno ossessivo
di dimostrare la propria virilità, con il risultato però che sembravano solo dei
bimbi viziati e incapaci di divertirsi.”

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3.3 La cura dei piaceri elettronici

Ecco perché è fondamentale non solo parlare della cura che questi ragazzi
hanno nell’ideazione, creazione e compimento di questi eventi ma come questo
porti allo stabilirsi di una vera e propria comunità. Le persone che partecipano
alla danza sono importanti quanto chi cura questi eventi. La comunità è ciò che
di più importante c’è per From Disco. L’idea di creare un ambiente confortevole,
rilassante e liberatorio dove tutti (dj, organizzatori, scenografi, clubbers) fanno
parte della stessa famiglia. Lo spirito di condivisione ed entusiasmo generale,
quando è in arrivo un imminente evento From Disco, è incredibile. Ciò che mette
insieme queste dinamiche di forte condivisone e ambiente di comunità sono le
pratiche di curatela dei party, dicevo anche prima, che sono molto legate alle
pratiche di curatela delle arti performative.
Negli ultimi decenni la curatela nel campo delle arti performative si è imposta a
livello internazionale come un elemento importante per l’affermazione di nuovi
paradigmi nella programmazione di spettacoli e nelle pratiche di pensiero, fuo-
ri dallo schema classico della spazialità e temporalità (Piersandra Di Matteo,
2021, p.1). Focalizzandosi sulla relazione del qui e ora la curatela delle live arts
ha contribuito a generare inediti contesti di interazione, nuove forme di spet-
tatorialità, rapporti critici con le istituzioni, dinamiche di relazione con la vita
urbana, contesti pedagogici votati a ripensare le forme canoniche del sapere
e delle sue modalità di trasmissione (ivi). Si attiva, attraverso il rapporto stretto
tra luogo, curatori e spettatori di cui parlavo in precedenza, una relazione che
sovverte lo svolgimento classico di un evento. La diffusione di pratiche e formati
caratterizzati dal ‘sociale’, progetti volti alla partecipazione attiva con l’intento
di rovesciare il rapporto tradizionale tra opera d’arte, artista e pubblico (ivi). Ciò
che emerge è che la curatela nello specifico campo del teatro e delle arti perfor-
mative va considerata primariamente nella sua natura di ‘pratica’. Il suo campo
d’azione si muove in direzione di connessioni tra mondi, persone, spazi, contesti
e risorse; coopera con altre professionalità (ivi, p.9-12). Secondo Beatrice Von
Bismarck c’è un bisogno di intendere la curatela come una vera e propria pra-
tica performativa che si focalizza sul qui ed ora portando alla creazione di una
serie di relazioni continue che creano delle “costellazioni”. Non si tratta difatti di
performance e spettacoli da collocare uno accanto all’altro ma va riconosciuto
come una pratica che è in grado di costruire un ‘ambiente’ (ivi). Le parole di Elke
Van Camphenout al riguardo sono illuminanti: “La curatela non si limita a mettere
insieme opere d’arte, a creare diverse risonanze ed echi, a ripensare un’opera
attraverso l’altra, a pensare differenze e ripetizioni, ma si dedica anche a produr-
re aperture e mancanze, permettendo che vulnerabilità e ‘momenti vuoti’ siano
pienamente parte dell’esperienza” (ivi).
Nel caso di From Disco, l’idea in se di creare un ambiente inclusivo porta con se
anche l’immagine e delle dinamiche molto familiari fatte per l’appunto dai suoi
momenti più attivi e vivi a momenti vuoti di semplice relax e condivisione della
serata. Questo tipo di curatela valorizza lo spazio come arena agonistica dove
differenze e discordanze possono manifestarsi e confrontarsi, accogliendo le
potenzialità dell’imprevisto (ivi). Malzacher concepisce la curatela stessa come

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‘performativa’, riconosce a questa pratica la possibilità di trasformare, di costi-
tuire o modificare la realtà (ivi). Una dimensione performativa della curatela, che
si fonda sul formarsi di una comunità istantanea, e crea realtà temporanee che
mettono in connessione mondi diversi (ivi). Sono intese come pratiche artistiche
di riappropriazione, resistenza e reinvenzione della vita quotidiana, capaci di sol-
lecitare la sfera sociale e il senso di collettività (ivi, p.18-19). La continua relazio-
ne tra i clubbers e i curatori, inizialmente, sta proprio in mano a quest’ultimi e se
sono capaci, come From Disco, di creare questo spazio di unione la risposta dei
clubbers creerà l’ambiente di cui parliamo. L’artista col curatore opera come at-
tivatore di un processo la cui realizzazione finale è affidata all’azione in-comune
dei partecipanti (ivi). Si arriva alla creazione di uno spazio in cui artisti, curatori
e partecipanti convivono insieme e chiunque può ritrovarsi a subire attivamente
o passivamente i cambiamenti nello spazio che come conseguenza portano alla
produzione di nuove situazioni.

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“It seems that when curation performs in the
specific horizon of the live arts — acting here
and now, through bodies — it is not intended
exclusively as an ‘affirmative gesture’ that
chooses and presents work of arts within a
predefined programme: it is also capable of
including a ‘negative way’, that removes an
excess of certainty to open up to a spectrum of
possible experiences — not predictable — for
spectator or participants, and for the artists and
institutions involved.”

Piersandra Di Matteo, 2020, p.24

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3.4 Il paradosso del cyberspazio e il potere del simposio

Nell’ultimo secolo la concentrazione è andata via via ad abbassarsi, causa di


una forte influenza tecnologica. Questo ha portato anche ad un grande cambia-
mento a come viviamo i diversi momenti della giornata e dunque chiaramente
anche i clubbers sono cambiati. Oggi ci sono moltissimi locali che attuano si-
stemi di sorveglianza e controllo impedendo ai clubbers di immortalare ciò che
si può esperire all’interno dei club. Molti lo fanno per preservarne l’identità mi-
steriosa ed esclusiva del luogo, dove non tutti possono entrare. Molti altri però
si nascondono dietro l’idea del “vivere il momento”, di un “Close your eyes”,
così da non deconcentrarti col tuo smartphone. Tuttavia a mio parere è solo
l’ennesima strategia del controllo attuata da una società che ti vuole sorvegliare
ma non vuole essere sorvegliata, di un’epoca capitalistica che pretende di avere
dei cittadini attivi, lucidi e produttivi. Non c’è dubbio che la tecnologia digitale
stia riorganizzando le nostre menti e le nostre relazioni sociali –, la distrazione è
spesso presentata come una debolezza di carattere che può essere contenuta
attraverso la forza di volontà e la consapevolezza; l’attenzione, al contrario, con-
nota capacità e autodeterminazione (Claire Bishop, 2017, p.11-12). Il requisito
per essere sia attenti che distratti è tuttavia inappagabile: il soggetto ideale del
capitalismo neoliberale non è di fatto umano, ma un computer capace di essere
multitasking e di performare numerose procedure simultaneamente (ivi). I pub-
blici sono orientati verso la performance ma non esclusivamente, partecipiamo
collettivamente ma ci allontaniamo dai performer per conversare nello spazio
virtuale (ivi). L’attenzione esiste nel continuum di altri stati non necessariamente
legati all’ottica, includendo la trance, sogno lucido, ipnosi. Stati interni che un
tempo erano essenziali per la creatività ma che ora sono svalutati come impro-
duttivi (ivi). Agli attori non umani come la droga, l’alcool, la musica, lo spazio
ecc si aggiunge il cyberspazio. Lo smartphone espone ciò che prima rimaneva
nascosto: la misura in cui il pubblico è sempre stato distratto. Il sogno di una
piena concentrazione e di una visione focalizzata, in quanto tentativo di recupe-
rare l’unità percettiva e l’integrità soggettiva, è una fantasia novecentesca nata
come conseguenza della routinizzazione della percezione da parte della moder-
nità industriale (ivi). La distrazione è solo un’attenzione al posto “sbagliato” (ivi).
Perfino nel museo post-digitale non c’è una chiara distinzione tra attenzione
giusta e sbagliata (ivi).
Tanti, dunque, sono i fattori che influenzano l’esperienza del clubber, tra questi
sono elementi che portano ad uno stato alterato della persona. Identificativo del
nostro periodo è appunto tutto il mondo virtuale, ma un qualcosa di più tradi-
zionale sono senz’altro l’alcool e le droghe. David Gubbay in conversazione con
Piersandra Di Matteo per Performing Resistance. Dialogues on Arts, Migrations,
Inclusive Cities, Summer School internazionale promossa tra le azioni di Atlas of
Transitions Biennale 2020 ci parla della sua esperienza di pratiche performative
che di base pongono l’accento sulla riconfigurazione di momenti della giornata
come la notte, in opposizione alle routine capitalistiche, e sull’idea dell’alterazio-
ne dello stato mentale dell’individuo con lo scopo di superare quelle che sono le
conoscenze tradizionali inculcateci culturalmente, parlando di una conoscenza

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invisibilizzata, saperi volutamente annullati e occultati, contrapposta ad una co-
noscenza disciplinata:

Piersandra Di Matteo: Progetti come Autoscuola delle Notte (2016) e Beyond the
Codes (2017) sono stati concepiti come occasioni per fare spazio ad ambiti del sapere
marginalizzati se non esclusi. Eccesso, euforia, esperienza del limite e relativi stati di
alterazione, semi-veglia, mancanza di controllo sono considerate condizioni antitetiche
all’acquisizione razionale della conoscenza...
Daniel Gubbay: Sì con il progetto Aleppo ho cercato di riflettere non solo sul
contenuto di ciò che veniva trasmesso da una programmazione ma su quali fossero
le condizioni per pensare ed esperire insieme. Nel convalidare un’idea di condivisione
della conoscenza l’Illuminismo si è legata alla semantica della luce escludendo così
una vasta gamma di stati legati alla notte e l’oscurità. L’autoscuola della notte era una
scuola temporanea notturna, in cui diversi incontri e discussioni si succedevano a
partire da mezzanotte in un percorso in diversi bar di Santarcangelo di Romagna. La
scuola aveva come oggetto di studio la notte, il suo essere uno spazio non produttivo;
era anche un tentativo di riappropriazione nelle forme di capitalismo 24//7. Faceva
della notte l’oggetto e la metodologia del proprio sapere.
Beyond the Codes invece partiva dall’eccesso, dagli stati di trascendenza. Il
programma aveva la forma di un banchetto notturno, una celebrazione dell’etimologia
stessa di ‘simposio’, e una drammaturgia costruita attraverso letture di discorsi teorici,
conversazioni, interventi musicali e una serie di cocktail presentati durante la serata, le
cui origini risalgono alla storia del colonialismo delle isole caraibiche. L’alcool era uno
degli strumenti di trasmissione della storia: il progetto stesso rivendicava l’importanza
storica della trascendenza, dello stato alterato e dell’eccesso come strumenti di
sapere.

Assumere un atteggiamento di vicinanza nei confronti della community di FDTD


senza limitarli esageratamente nei comportamenti, bensì consentirgli attraverso
la creazione di un ‘ambiente’ la libertà dei comportamenti, garantisce un rappor-
to relazionale con i clubbers ancora una volta molto intimo. Rendendoli partecipi
di ciò che si sta costruendo assieme, ovvero uno spazio di piaceri. Questo di-
mostra come la curatela e la sua natura di ‘prendersi cura’ è presente anche in
questo tipo di eventi culturali.

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La gente e l’unione di corpi
danzanti e liberi.

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“Il soggetto dell’immagine è la gente non la discoteca.”
Massimo Vitali in conversazione con Giovanna Calvenzi,
Disco to Disco, 2007, p.13

“Talking about music is like dancing about architecture”


Unknown

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Le dinamiche sociali che coinvolgono l’esperienza clubbing chiaramente coin-
volgono anche FDTD, ecco perché in questo capitolo percorreremo all’interno
dell’esperienza di un suo evento. Per fare ciò, verremo accompagnati in questo
viaggio dalle parole di diverse persone, clubber e non, frequentatori di FDTD e
non, cercando di riportare il più fedelmente possibile le loro parole, le loro sen-
sazioni ed emozioni. Ispirato dalla ricerca etnografica sui piaceri nei club, con in-
terviste tra Berlino e Milano, di Enrico Petrilli, riporterò le parole di varie persone,
non descrivendone dettagliatamente le esperienze appositamente per lasciare
aperta qualsiasi interpretazione ed immaginario prodotto dai clubbers. Dunque
ciò che leggerete non sarà chiaramente una visione totale, finale e assoluta dei
frequentatori di club e in particolare di From Disco. Pertanto, potendo rendere
a parole solo parzialmente la complessità dei piaceri dei clubber e non volendo
neanche limitarne la forza generatrice attraverso tentativi classificatori, il primo
obiettivo del capitolo è presentare le principali esperienze sensuali e simboliche
dei clubber per mettere in scena il loro vissuto e delineare — ma non determi-
nare — le potenzialità edeniche del clubbing (Petrilli, 2020, p.137). Per orga-
nizzare e presentare le esperienze dei clubber è adottata una matrice spaziale,
suddividendo il capitolo in quelli che sono emersi come i quattro ambienti delle
discoteche più rilevanti sotto il profilo edonico, vale a dire l’entrata, gli spazi di
socialità, il dancefloor e il bagno (ivi). I titoli di ognuno dei paragrafi dedicati alla
suddivisione spaziale del club manterranno i titoli dati da Petrilli nella sua ricerca.
Il rapporto tra corpo e spazio è, come abbiamo visto nel capitolo dedicato alla
curatela, fondamentale in quanto l’azione degli individui all’interno dello spazio
è capace di trasformare le dinamiche dell’ambiente portando a creare nuove
istanze e situazioni inaspettate.

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In una nota sul mio telefono dopo una serata il 25 Giugno scrivo:

“Ho conversato con tantissime persone, le ho intervistate, ci ho scherzato,


si sono confidate e aperte. Sto capendo una cosa più vado avanti in questa
ricerca: il clubbing è cambiato e le persone sono state tremendamente colpite
dall’influenza negativa del commerciale. Oggi il club non è più solo in discoteca
ma è fuori e dentro i locali, fuori e dentro le case. Un po’ alla volta è tornato ad
essere dov’era nato. Un po’ come la natura si riappropria dei suoi spazi rubati
dall’essere umano, anche il clubbing oggi si riprende le dinamiche sociali e
spaziali nelle quali è nato. La gente però fa molta fatica a dichiararsi clubber,
c’è quasi un astio verso questa parola, fa paura o disgusto. Questo perché ci
siamo fatti abbindolare dall’idea comune che il clubber è colui che frequenta la
discoteca, e che la discoteca nell’immaginario comune è solo un locale notturno
iper commerciale. Non è cosi. Non era così quando è nato e non lo è stato mai.
La nascita degli ipermercati delle discoteche è stata solo una deviazione che
forse non morirà mai, tuttavia il clubbing vero allo stesso modo vivrà sempre. Se
la commercialità si è appropriata dei locali, l’esperienza clubbing ha continuato
a vivere reagendo a questo fenomeno uscendo dalla limitazione spaziale,
cercando la libertà della sua essenza fuori dai soliti contesti. Oggi fare clubbing
è letteralmente andare in festa, ed è clubber chiunque ci vada regolarmente,
rimanendo nelle retrovie dell’underground. Il club nasce dall’emarginazione,
ecco perché noi che siamo fuori dalla commercializzazione delle discoteche
possiamo considerarci clubber. Io e la gente con la quale ho parlato ci ritroviamo
volontariamente ad auto-emarginalizzarci da quei contesti. Quelli sono posti
in cui non vige nessuna delle regole umane di rispetto reciproco che invece
caratterizzano i clubber. Sembra che la gente lì ci vada per due principali motivi:
rimorchiare e fare casino, il divertimento non è contemplato. Ecco perché il
clubbing è altro, ecco perché il clubbing è voluto uscire e staccarsi da quei
contesti ridicoli e patetici. Il club e il clubbing oggi non sono più chiusi dentro
4 mura di un locale ma sono ovunque, ovunque ci sia l’opportunità di creare un
evento di musica elettronica e goderne insieme i piaceri elettronici della libertà di
giocare e danzare insieme.”

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4.1 Le montagne russe dell’entrata

Più andremo avanti nell’esplorare gli spazi e le pratiche che costellano un even-
to di musica elettronica, più sarà chiaro come questo sia un contesto in cui sono
generate e sono vissute forti sensazioni, emozioni, energie e relazioni. (Petrilli,
2020, p.138-139). Il processo di produzione collettiva di questo sovraccarico
fisico ed emotivo inizia molto prima della festa, durante tutta la settimana fino
ad arrivare all’entrata in discoteca (ivi). Petrilli descrive questi momenti come
delle “montagne russe”, in quanto i clubber passano da momenti di carica ed
eccitazione, come la preparazione e il pre-party, a momenti molto controllati
come la coda in entrata. Sovvertendo la rappresentazione sociale secondo cui
il weekend esiste in funzione dei giorni feriali, per molti clubber è la settimana
ad essere strutturata in funzione della notte/giornata di musica elettronica che li
attende nel weekend.

“Generalmente faccio festa durante la settimana per prepararmi alla festa


definitiva che è quella del sabato.”
Carlo

“L’unico motivo per il quale aspetto il weekend è perché svagarmi il weekend


non mi fa sentire in colpa del fatto che mi svago anche durante la settimana, e
quindi sono semplicemente più leggera.”
Ortensia

“Se la festa è sabato tutto il pre sabato sono in ansia perché so che sabato devo
uscire, devo fare le 4. Però dopo magari arrivo e mezzo mi diverto.. non so tipo
un’ansia benevola in un certo senso.”
Filippo

“Durante la settimana mi faccio i cazzi miei, non penso alla festa ma c’è un
po di excitement però di solito non sono fighe le feste quando c’è un sacco di
excitement, sono di solito quelle che poi un’ora prima ti dicono ‘c’è un house
party’ e tu dici ‘yea’ e vai.”
Gloria

“Quando aspetto il party cerco altri party, cerco altre feste, non mi faccio piani
per prepararmi. Ogni sera la sfrutto per divertirmi il più possibile. Se c’è una
festa figa bella sennò mi diverto comunque.”
Philip

“Io non ti direi che mi preparo, però sto tipo costantemente in ansia per il party
che deve venire, penso costantemente all’outfit e a procurarmi la droga.”
Carlotta

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Preparazione e riscaldamento

“Festa cool ho l’outfit pronto una settimana prima. La giornata in cui mi preparo
ci metto 2 ore. Mi trucco, mi vesto, mi faccio le foto da troia, guardo chi viene
che in caso.. you know. Prendo da bere e faccio un po’ di riscaldamento.”
Gloria

C’è per prima tutta una fase che riguarda la cura della persona tramite la prepa-
razione alla serata. Durante il party il corpo sarà messo a dura prova e dunque è
necessario per moltissimi clubber prepararsi senza affaticarsi troppo senza però
trascurare la cura del proprio corpo e aspetto appunto.

“Ho messo un cappello e non l’ho tolto mai, proprio perché non avevo lavato i
capelli, qualcosa del genere. Un orecchino e mi sono truccata, avevo qualcosa
di bianco” (Teresa, M14FOE*). Questa citazione è stata scelta perché rappre-
senta bene un’attitudine piuttosto diffusa tra i clubber intervistati che sembra
segnalare un radicale cambiamento rispetto alla club culture degli anni ’90: la
creatività e l’espressione attraverso uno stile personale sembrano aver perso
valore per i clubber, il vestiario non è più il presupposto essenziale da cui in-
cominciare quel processo di trasformazione estetica messo in scena una volta
entrati nel club (Jackson, 2004) (Petrilli, 2020, p.141-151).
Nella fase di preparazione si controllerà di avere tutto il necessario per affrontare
la serata, una tra queste sono sicuramente le droghe per chi ne fa uso: “Impac-
chettare le droghe” significa decidere quali e quante sostanze portare con sé,
dividere le dosi per facilitare l’assunzione e imbustarle per nasconderle con più
facilità durante la selezione all’ingresso (ivi), una pratica che solitamente viene
fatta in gruppo.

* Petrilli ha svolto 32 interviste tra Milano e Berlino. Ogni clubber intervistato ha un nome fittizio e un codice:
B o M, per Berlino o Milano, M o F per sesso in cui si identifica, maschio o femmina (nessuno ha dichiarato
di essere non-binary), Y o O per l’eta, Y tra 25 e 30, O più di 30, E o O, per eterosessuali o i soggetti non
eterosessuali.

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“Dipende quanto sono presa bene quel giorno e se ci ho
già pensato prima e ho un’idea. Tendenzialmente tanto,
anche da dove sto andando. Se so che è una cosa che ho
già visto magari sono più tranquilla. Mi condiziona tanto
farlo da sola o farlo con gli altri. A volte farlo con gli altri
è meglio perché ti tranquillizzi, ti dici ‘no ma amo sei stra
figa’. A volte me pija ammale perché vedo le altre persone
che sono molto più fighe di me e quindi là ancora peggio.
L’importante poi è bere alla fine.”
Natalia

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“Se non me ne frega un cazzo penso che vengo diretta
dal lavoro, mi cambio qualcosa vengo anche sfasciata
tanto per sfasciarmi anche di più. Se invece è una serata
importante anche due ore.”
Gessica

“Di solito so già cosa mettermi quindi molto poco, mi


vesto.. di recente mi è capitato di sentire musica per
gasarmi e bastano cinque minuti e sono pronto.”
Filippo

“Potrei metterci mezz’ora come 3 ore e mezza. Se voglio


esagerare ci metto un tot a truccarmi ma di solito non
ho difficoltà in quello. Il problema viene dopo, quando mi
devo vestire.. ci metto una quantità enorme di tempo. Devo
cercare di dare la vibe della persona che mi sento quel
giorno e di solito non è rispecchiata dai miei vestiti e quindi
sto lì a cambiarmi 800 volte.”
Ortensia

“Io onestamente ritiro i soldi all’atm, compro un pacchetto


di cicche, compro un tot di alcol al supermercato, mi tengo
i soldi per la droga, mi vesto come mi pare e vado.”
Philip

“Ci metto ore e ore diciamo che è sempre un momento


molto ansiolitico. Consiste nel prepararsi praticamente
tutto l’armadio fino a che non trovo l’outfit giusto che
deve emanare la vibe perfetta per la serata, ovviamente
ogni serata ha il suo outfit. Poi anche il trucco che
richiede una certa quantità di tempo, poi compro l’alcol al
supermercato, la droga, le cicche.”
Carlotta

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“Telefono, sigarette, documento e 10 euro nel caso vada tutto a puttane.”
Sean

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“La maggior parte delle volte bevo una quantità di numero di bottiglia
di (nome vino) amabile e mi fa pensare meglio a cosa mettermi, però
solitamente metto i soliti vestiti. Sere in cui ci metto 5 minuti e altre in cui
pacco la serata perché non so come vestirmi.”
Carlo

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“Barretta proteica. Perché una volta sono svenuta in un bagno, non è stato
bello. Quando ero stesa per terra è entrata una tipa e mi ha dato una barretta
proteica, che poi in realtà era stra schifosa tipo miele e peanut butter.. una
merda..è stata la cosa più buona che abbia mai mangiato, era buonissima ti
giuro. Poi da quella volta ho sempre barrette proteica, anche perché poi se ci
sono i buttafuori non te le prendono. Infatti l’ultima volta che sono andata avevo
3 barrette e il buttafuori fa ‘ehh mamma mia dopo vai in palestra?’”
Gloria

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“Eh tabacco, chiavi, portafoglio, e possibilmente una
bottiglia d’acqua perchè soffro molto il caldo quindi devo
essere idratato.”
Filippo

“Soldi, tabacco, chiavi, burro cacao e qualcosina se ci si


vuole divertire.”
Lara

“Beh le cicche no perché le posso scroccare.. le chiavi di


casa raga. Puoi uscire senza telefono, senza soldi, senza
cicche però.. le chiavi..”
Gessica

“Alcol così non si spende troppo, rossetto, soldi ma in


realtà non sono fondamentali, sigarette, l’accendino no.”
Ortensia

“1 amici, 2 amici fighi così puoi far colpo sugli altri, 3 alcol
e sigarette.”
Carlo

“Le cicche, l’alcol, portafoglio, telefono, chiavette.”


Philip

“Cicche alcol droga sempre, lipgloss, eye-liner che se si


rovina l’eyeliner bisogna sistemarlo.”
Carlotta

“Gomme da masticare, un ventaglio perché se fa caldo si


suda, sigarette, appiccio, soldi, una fiaschetta se voglio
fare un po’ il freak se ho già qualcosa a casa da portare, la
weed, cartina e filtri, anzi meglio se la canna l’ho già girata
a casa prima.”
Mirco C.

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Le gomme da masticare non servono solo per rinfrescare l’alito, ma sono fon-
damentali quando si smascella per colpa dell’MDMA, mentre lo specchietto non
serve solo per guardarsi, ma è una superficie liscia e solida su cui pippare (ivi).
C’è chi poi non può fare a meno di portarsi dietro tutta una serie di farmaci ed
integratori per qualsiasi evenienza ma soprattutto per i post-festa. Un esempio
frequente sono gli ansiolitici come l’alprazolam (xanax) che servono “per farsi
scendere la botta” quando la festa è finita e “per rendersi meno spigoloso” il
down. Ci sono poi i più professionisti che si portano snack, spazzolino, denti-
fricio e quant’altro. “Starai lì dentro per ore e ore, anche un giorno, quindi devi
portarti l’acqua, il cibo, gli snack, i vestiti giusti e anche dei cambi, lo spazzolino
da denti. Tutte queste cose sono il segno che prendi la festa seriamente secon-
do me” (Damian, B11MOE).

“Tendenzialmente il cellulare e il portafoglio, ma non è neanche fondamentale


posso dirti. Cioè posso fare anche a meno in qualsiasi caso. La felpetta se è
inverno, anzi forse sempre però dipende. Perché se sto a Roma la lascio nel
motorino o la macchina, se sto a Venezia… Il cellulare e portafogli comunque ma
mi è capitato di uscire e non portarmeli anche.. Le chiavi di casa!”
Natalia

Una volta lavati, vestiti e organizzato l’armamentario da portare con se per “an-
dare in guerra”, inizia lo stadio finale di questo processo di avvicinamento al
club: il warm up (ivi). Oltre alla socialità, c’è anche un secondo elemento fonda-
mentale da sottolineare di questa fase, alla tranquillità e alla calma della prepara-
zione, si passa all’eccitazione di gruppo, al caricarsi a vicenda con i propri amici
e all’essere “gasati” (Ale, M16MOE) (ivi).

“L’ideale sarebbe fare l’aperitivo lungo così arrivi carico, nel senso arrivi in
mood. Perché se arrivi diretto da casa probabilmente è tardi, hai già sonno e ti ci
vogliono boh.. quattro gin tonic per pompare.”
Gessica

Il pre-party diventa così un modo per aumentare l’eccitazione generale e nell’at-


tesa tra un drink e l’altro qualcuno si concede anche a qualche droga. La dif-
ferenza dalle droghe che vengono assunte poi nel corso del party è abissale in
quanto parliamo ora solamente di droghe leggere come la marijuana. Diventa
ancora una volta un modo per rilassare il corpo e prendersene cura in attesa
dell’imminente sforzo fisico che dovrà affrontare nel corso della festa.

“Di solito mangio leggero e bevo qualche drink.. roba del genere. Magari un paio,
non tanti. Prima di arrivare alla festa boh magari mi fumo una mezza canna,
qualcosa..quando sono pronto vado dentro. Preparo l’organismo diciamo”
Michael

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“[Il preparty] credo abbia un 45% di importanza, dipende a volte
anche 65. Perché ti mette di buon umore ubriacarti, perché di solito
nel pre ci sono i tuoi amici, persone con le quali sei a tuo agio e
quindi ti svaghi di più ed entri alla festa più sciolto. Se non lo fai è
come tipo buttarsi in acqua, che è fredda, e hai appena preso il sole
e sei caldissima e sei un po’ incasinata. Se salto il pre però devo
arrivare molto tardi tipo a metà serata e così ho lo stesso livello di
gasitudine.”
Ortensia

“[Il preparty] è bello farlo con gli amici in compagnia. Tuttavia se si


vuole far serata e raggiungere gli altri un po’ più tardi è fattibile, fare
uno skip di pre e raggiungere gli altri.”
Carlo

“Di solito ci si becca a casa e la realizzazione che devo fare festa è


sempre più vera e inizio ad essere preoccupato però dopo costretto
a uscire mi piglia bene dai.”
Filippo

“Bere qualcosa con gli amici prima di arrivare nel luogo, secondo
me [il pre-party] è una delle parti più importanti delle serata perché
da lì o ti carichi o ti scende e non vuoi più uscire.”
Lara

“Il warm up per me è fondamentale in quanto la festa inizia nel pre


party. Sia nella parte in cui ci si aiuta a rifinire le ultime cose, quello
che serve per la festa, attrezzature e quello che manca. Sia proprio
nel trovarsi, vestirsi e prepararsi, sia andare tipo alle Erbe [enoteca
di Massimiliano Trevisan], iniziare a bersi qualcosa insieme, in modo
tale che quando si arriva alla festa, con la musica, si è concentrati
su quello ed è diverso perché si è gasati e si ha voglia di sentire
la musica. È la prima scintilla fondamentale. Infatti ci tengo molto
anche, ogni volta che c’è una festa di From Disco, che sia ben
organizzato piuttosto di arrivare tutto all’ultimo e non godersi il
momento.”
Leonardo

“È importante per arrivare già carichi e caldi. Trovarsi assieme,


bere, magari anche al pomeriggio e bere assieme. Gli darei un 7 di
importanza da 1 a 10.”
Mirco C.

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“L’importante è beccarsi con gli altri.. cioè non ci sta andare da solo al
locale.. presammale. E quindi devi beccarti prima con gli altri. Cioè per me
è tutta la cosa, ti prepari così di qua e di là e bevi tendenzialmente. Bevi,
ti prepari, ascolti la musica.. Di solito un po’ sul trash, indipendentemente
dalla musica che ti stai andando ad ascoltare ti senti un po’ la musica
dimmerda. E poi sì andare insieme, se si mangia insieme ancora meglio
però in realtà anche no che magari ti stanchi. L’importante è che arrivi che
sei ubriaco, in sostanza.”
Natalia

“Bere tanto, ascoltare musica nel frattempo, gasarsi con gli amici per
la strada, aspettare l’autobus, bere in autobus, fare un po’ il cretino
insomma. E se stacco da lavoro uguale, vado al baretto accanto, mi faccio
uno shot, una birra da asporto, corro magari in stazione dove devo andare
e sono fresco.”
Philip

“Il momento pre festa è sempre un momento simpatico, ma anche


momento di climax, ascensione, tipo ascolti la musica che deve essere
quella giusta per l’attesa per il party.”
Carlotta

“Principalmente non devi essere da solo, ti devi beccare con gli altri. Non
devono andare per forza alla stessa festa ma ci sta un po’ di hype con
altra gente. Di solito noi prendiamo da bere, in Inghilterra hanno queste
lattine con i drink già mescolati tipo il gin and tonic. Di solito ti bevi
queste, in metropolitana perché comunque ci metti mezz’ora quaranta
minuti ad andare dove devi andare, e dunque di solito il warm up si fa in
metropolitana e poi finisci le ultime can, le ultime lattine davanti alla porta
ed entri.. così sei carico a molla!”
Gloria

“Nel pre-party, realizzi se vuoi andare alla festa o no. L’energia con
le persone con le quali ti sei organizzata per andare, le tue energie in
primis cioè quali sono le tue volontà per la serata.. tipo ‘voglio uscire,
voglio bere’ oppure ‘in questo momento preferirei stare a casa’ quindi
stai aspettando una valida motivazione per uscire quando non sei
profondamente convinto. Per me il warm up dipende tantissimo dalle
circostanze che hai attorno, le persone attorno a te o te stesso, devono
convincerti a partecipare alla festa a cui stai andando. E secondo me è un
bel momento di comunicazione tra le persone perché capisci qual è la tua
chiamiamola tribù: le persone con le quali vuoi condividere il momento, la
serata o quell’uscita fuori a far festa insieme.”
Maria

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Il paradosso della selezione all’ingresso

“[In entrata] ovvio che ci sia un tipo in particolare per ogni club però non è vero
perché in realtà si mischia pure abbastanza. Per esempio nella realtà di Venezia,
che è una realtà piccola, un po’ le cose si mischiano sempre. Poi ovvio che ci sia
una prevalenza di un certo tipo. Cioè la serata tipo ‘Iuav performativo’ ci becchi
pure il boro veneziano. Comunque [in entrata] si beve e si fuma, ma manco ci si
droga. Cioè l’entrata tendenzialmente non è che ti droghi, ti droghi dopo magari
in caso. Più che altro hai paura che poi ti passa, che ti sale e non stai dentro. Ma
un po’ perché te la devi fa salì, nel senso balli un attimo e poi vai al cesso oppure
può essere anche che vai subito al cesso. Però lo fai dentro alla fine. Bere bevi
fuori, perché tendenzialmente ti porti le bocce giustamente che paghi poco e
quindi prima di entrare te le finisci.”
Natalia

La porta del club è il fulcro di questo movimento centripeto di sensazioni, energie


e affetti che prepara e conduce verso l’evento (ivi). Più ci si avvicina, più aumenta
la stimolazione proveniente dall’ambiente circostante. Negli eventi dispersi nelle
aree industriali della città ritrovare tutto ad un tratto macchine e bici parcheg-
giate da l’impressione di ritorno alla civiltà, in un mondo popolato da tuoi simili,
dopo esserti mosso in un territorio alieno fatto di capannoni (ivi). All’ingresso tro-
veremo le persone che faranno parte di tutte le dinamiche e i processi sociali che
avranno luogo durante la serata, e in questo senso all’entrata noteremo anche
delle strategie di controllo e potere attuate dagli organizzatori o dal locale in sé
portando a determinare e selezionare il tipo di socialità e ambiente che ci sarà
poi all’interno del locale. Tuttavia sono delle dinamiche che ormai in Italia non
coinvolgono in maniera assoluta gli eventi, soprattutto party come FDTD che
rimangono un po’ più nell’underground. Oggi queste dinamiche di tecnologia
del potere coinvolgono maggiormente gli ipermercati della discoteca e tutta una
serie di eventi legati ancora a format di party antiquati. Sean e Lara ad esempio
hanno avuto molteplici esperienze di esclusione da questo tipo di eventi e locali
basati su un modo di selezionare estremamente dettato da un razzismo cultu-
ralmente radicato.

“Spesso quando siamo noi tra fratelli neri, ci dobbiamo vestire meglio di
quei bianchi perché rischiamo che non ci fanno entrare e spesso capita che
veniamo lasciati fuori. Anche se sono bianco vengo lasciato fuori, perché sono
accompagnato da neri, perché sono dei bastardi razzisti.”
Sean

“Io per la selezione ho anche visto episodi di razzismo e di selezioni cattive e


ingiuste. Sono tutti che non vedono l’ora di entrare, agitati, che spingono.”
Lara

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Tuttavia la selezione rimane un fattore importante che determina drasticamente
l’andamento di una serata, per qualsiasi tipo di evento, dal più underground al
più commerciale. Delle tecnologie del potere che riguardano non solo il look ma
anche l’attitudine. La selezione sceglie “le persone che contribuiscano a miglio-
rare la situazione e non a peggiorarla , se non stai andando a divertirti, [ma] stai
andando a fare lo stronzo violento”(Angela, M10FYO), e come aggiunge Daniela
(M15FOE), “lo vedi quando una persona è presa bene, vestita bene, carina, può
dare qualcosa o quando non può dare niente alla situazione. Quindi sì o no”.
Nella scena underground diventa un vero e proprio modo per mantenere una
propria identità e unicità di esperienza che, nel caso di intrusione di soggetti non
adatti all’evento, rischierebbe di rovinare tutto un ambiente.
Oltre la door policy, che riserva alla direzione la decisione di selezione in entrata,
entra in atto un meccanismo di auto-regolamentazione del comportamento e
dell’aspetto da parte dei clubber perché davanti ai buttafuori “devi farcela, devi
essere tranquillo e starci dentro, se no col cazzo che ti fanno entrare”. Oltre l’au-
to-sorveglianza c’è l’occhio vigile anche del gruppo col quale sei, perché l’atteg-
giamento di uno può sconvolgere il destino di tutti. È l’effetto della sorveglianza
scoccia del panopticon: una forma di controllo interiorizzato attuato attraverso
l’organizzazione dello spazio e i dispositivi di sorveglianza che produce una for-
ma specifica di soggetto, modellata in base e assoggettata alla volontà degli
organizzatori della festa (ivi).

“Se tu entravi dentro non dovevi rompere i coglioni. Se vedi che arriva uno con la
faccia da Gino che potrebbe scandalizzarsi se vede due uomini che limonano e
uno che pippa una riga di coca, poi crea un problema. Tu facevi entrare gente a)
possibilmente fica, b) con la faccia possibilmente sgasata e c) che sia mediamente
interessante dal punto di vista del look. [La selezione all’ingresso] aveva un suo
senso per permettere a chi veniva selezionato di accedere a una zona libera, era un
paradosso. Escludeva tanta gente per permettere a pochi di avere una piccola bolla”.
Marco, M13MOO

La selezione all’ingresso è concepita come un meccanismo funzionale a riunire


clubber che nella loro diversità sono pronti a divertirsi e a godersi tutto quello
che questa specifica situazione ha da offrirgli, nel rispetto del prossimo, del suo
spazio e delle sue scelte (ivi). Dunque quanto detto non deve veicolare l’idea
dell’ingresso come spazio di sola espiazione e totale regolamentazione (ivi). In-
nanzitutto, la coda può essere anche un momento di estrema socialità (ivi). I
clubber non descrivono questi frangenti come particolarmente piacevoli, ma dai
loro racconti è evidente come questo sia un momento di forte carica emotiva e
di grande trepidazione (ivi). C’è come dice Micheal una “smania di entrare ovvia-
mente. Porta alla felicità di chi entra e chi si incazza perché non entra”.

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“Ti guardi intorno per capire se c’è la gente plasmata un po’ come
te o se sarà una serata piena di sfigati. Perché poi se conosci già
l’evento sai già che vai perché c’è una certa tipologia di persone
però quando un club è grande non lo sai.. quindi magari ti guardi
intorno. Poi secondo me dipende molto se arrivi da solo o con la
gang. Perché se arrivi con la gang ti senti mega strong, se arrivi da
solo ti senti un po’ calimero. Dici ‘boh sono nel posto giusto? Me la
posso cavare anche da solo o anche no?’ Poi alla fine sì, basta avere
un mood.”
Gessica

“Prima di entrare sei in ansia, come se avessi così tanta emozione..


sei in ansia perché non sai mai davvero cosa ti aspetta. Più o meno
ce l’hai l’idea, quindi scialla, però un po’ l’ansia di ‘che succede
come andrà sarà bello?’ un po’ ce l’hai perché comunque non sai
mai davvero com’è davvero.”
Natalia

“Solitamente se sono in fila mi aspetto molta più adrenalina nel


momento in cui entro, ma in realtà ce l’ho tutta prima di entrare e
appena entro è tutta scesa.”
Ortensia

“Mentre si sta in fila si aspetta, si scherza, si sparla degli altri, e poi


si entra insomma e inizia il disagio.”
Filippo

“Sicuro incontro 4/5 persone che conosco, anche di più, faccio due
saluti ‘bella bella, come stai’ cazzi vari, intanto faccio la fila, entri e
poi stessa storia, ti fai altre due cicche prima di entrare realmente in
festa e boh ti stimoli con i coetanei e poi una volta che fai il biglietto
per entrare sei sciallo non hai più ansia quindi ti godi altri 5-6-7
minuti là e poi entri nel club.”
Philip

“Momento all’entrata momento d’attesa, l’ansia di entrare, come


aspettarsi di levarsi un peso, e poi tipo qua no, ma a Berlino non
sai se entrerai o no, poi è un momento dove conosci un sacco di
persone nuove, parlare, bere.”
Carlotta

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Finalmente dentro: la camera di decompressione

“[…] è stato come la prima volta che metti maschera e boccaglio e vai sotto’ acqua.
Entri proprio in un mondo nuovo dove i colori, le forme e il modo in cui arrivano
le vibrazioni della musica e delle altre persone è diverso. È un mondo sottoterra,
sottomarino.. underground, dove le regole fisiche e il modo in cui arriva la musica
sono diverse”
Ele, B16FYE

Una volta che si riesce a superare la selezione e si ha pagato, si inizia a prendere


confidenza con l’ambiente. Una volta dentro, non iniziano subito a divertirsi, non
partecipano immediatamente al flusso di euforia che si muove tutto attorno e ha
già impossessato il resto del pubblico, ma devono imparare a nuotare “sott’ac-
qua” per riprendere l’immagine balneare di Ele (Petrilli, 2020, p.152-158). Ognu-
no prova a trovare la giusta vibrazione e confidenza a suo modo.

“In realtà sono dinamiche che conosco [From Disco], quindi forse è proprio per
questo che vengo. Perché so che comunque mi sento nel mio ambiente sia per
il luogo sia per le persone, per la musica soprattutto perché se non ti piace la
musica ti fai una serata di merda probabilmente. C’è una fase in cui devi anche
un attimo scioglierti, poi dipende anche che persona sei.. se sei uno timido boh
magari neanche viene qua.”
Gessica

Per alcuni diventa un modo non solo per studiare chi c’è intorno, gli spazi ecc
ma anche per concentrarsi su se stessi e mettersi in relazione all’ambiente a cui
ci si sta affacciando:

“Quella [serata] era stata un insieme di cose che non mi era piaciuta da subito. Sono
entrata, la musica era una merda… non era bella. Non ho fatto in tempo a dire ‘no,
cazzo, che serata di merda’, uscendo [nel giardino del locale] ho visto subito che
l’ambiente era positivissimo, quindi è stato un meccanismo che poi va perfetto,
nonostante abbia dovuto cambiare guarnizione.”
Regina, M12FYO

“Entro e cerco di prendere confidenza con lo spazio che ho attorno. A me piace


ballare tanto, mi piace muovere, mi piace andare in giro, mi piace fare le cose
quindi capisco un attimo dove sono, cosa faccio ecc.. Lo spazio mi trasmette
solo se ci sono i requisiti validi per fare una bella ballata”
Michael

“Differenza principale è che prima di entrare sono molto meno distratta, guardo
intorno ma nel mio cerchio molto stretto e nel momento in cui entro non riesco
a concentrarmi su altro oltre a guardarmi intorno su chi c’è chi non c’è, come
si comportano le persone, sono molto più tranquilla prima di entrare rispetto
a dopo. Devo analizzare la situazione, capire come muovermi, capire che
atteggiamento avere e bla bla bla.”
Ortensia

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I comportamenti una volta dentro sono più sciolti, la socialità più naturale e tutto
meno auto-controllato e auto-sorvegliato. La socialità inizia a prendere piega
proprio per rilassarsi e addentrarsi con calma all’interno di questo ambiente,
ecco perché questo diventa un elemento fondamentale per l’esperienza in se
all’interno del club una volta entrati. Si parla, si conversa, e ci si comincia ad
aggirare interagendo con chi è già dentro proprio col fine di smollarsi per poi
lasciarsi andare, questo è dato proprio da una forte differenza rispetto all’entra-
ta. Prima di tutto c’è la possibilità di godere di uno spazio personale più ampio
rispetto alla situazione di vicinanza e chiusura dello stare in coda, si smette di
essere “appiccicati gli uni agli altri” e si ritorna ad una distanza prossemica nor-
male, “finalmente si respira” (ivi). Poi, ci si muove tra quelle aree del locale ben
distinte dal dancefloor, come la zona del bar, la chillout o gli spazi esterni (ivi).
Sono location dove ambientarsi e distaccarsi dalla vita la fuori, in cui si riesce
paradossalmente ad eccitarsi e rilassarsi allo stesso tempo, guardandosi un po’
attorno (ivi),

“Intanto mi faccio il giro dello spazio. Letteralmente alla fine vado a vedere in
giro. Soprattutto se è uno spazio nuovo in realtà, te lo vai a fare il giro prima
proprio di metterti a ballare. Poi di solito tendenzialmente entro, mi faccio un
giretto, vado a pisciare, entro a ballare. In realtà a me fa poca differenza la
musica, nel senso che se inizialmente sto presa bene e sono ubriaca alla fine
mi prendo abbene. E un po’ anche perché comunque mi stanco poco dopo,
indifferentemente dal tipo di musica mi stanco abbastanza presto. La gente
è importante, ma pure lo spazio è stra importante. Se proprio non è gente di
merda tipo l’altro giorno all’ [nome club], alla fine sticazzi. Parli, ti metti lì.. è
bello quando vai dentro e sai che conosci qualcuno, che beccherai qualcuno
che conosci. Ci sta ma allo stesso tempo è una merda perchè sai che devi fare
chiacchiere di convenienza che alla fine non ti fanno ballare. Però se c’è troppa
gente mi fa proprio girare il cazzo, cioè io proprio non riesco.”
Natalia

“E mi piace quando trovo nei posti che ci entro e non c’è un’aggressione da parte del
contesto. […] a me piace quando tu la sera vai a ballare e ti ritrovi in un clima ospitare,
io l’inospitale me lo trovo attorno tutti i giorni, non voglio quella roba lì, voglio una roba
più avvolgente”
Ilaria, M08F00

“Quando sono entrato so che devo rimanere lì quindi me la faccio andar bene
in un certo senso, cerco sempre la chill area dove mi piazzo a fumare le prime
cicche. Se capita può essere che non entro manco dentro e rimango tutta la sera
lì, però quando entro è per un tempo non breve ma prolungato.”
Filippo

“A me personalmente piace un sacco la parte in cui entro, proprio che sorpasso


la porta e sento la musica e la gente che balla e parla, insomma quella cosa lì mi
piace un sacco mi fa gasare un sacco.”
Lara

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“Com’è l’atmosfera della festa influisce su come ti senti. Tipo se vai un po’
tardi e sono tipo tutti hype e tu sei indietro non mi piace perché mi sento
tipo che devo recuperare e mettermi in mezzo. Gli altri magari stanno
avendo le loro conversazioni, sono già step avanti, però se si è allo stesso
livello tipo inizio, warm up c’è un po’ di adrenalina e dici ‘dove inizio?’
E boh io inizio a parlare con gente random. La prima cosa che faccio
comunque è fumarmi una sigaretta, così entro nell’atmosfera giusta.”
Gloria

“Vado a sentire la musica, se mi gasa bella sto sotto cassa, sennò faccio
avanti e indietro tra dentro e fuori, però comunque sia sempre molte
chiacchiere, però meglio appunto apprezzare l’artista che suona, farsi due
idee di quello che è il concept della serata. Poi di allestimento me ne frega
il giusto, se l’allestimento è figo tanto meglio, però se tipo ti droghi e cazzi
vari a sto punto non guardo molto ad altro, penso alla musica a spaccarmi
e a vedere come suona il personaggio. Differenza da prima di entrare, che
magari quando sei dentro apprezzi la musica e ti gasa tanto la situa, non
parli più con nessuno balli e basta, questo come penso sia onestamente
per tutti, se ti piace un attimo l’ambiente entri in un altro stato mentale e
cerchi un attimo di fare un percorso introspettivo basato sul ritmo.”
Philip

“Boh per me il momento in cui entri è sempre un momento stra topico,


cruciale. C’è tutta la settimana di attesa di preparativo poi boh c’è
sto momento, c’hai ancora l’ansia del pre, c’è come un’ascensione,
c’è come la scalinata per entrare in paradiso, la scali, la scali, poi nel
momento in cui entri c’è la musica che proprio ti entra nel corpo ti
avvolge completamente e lì è l’ascensione, che come entrare in un’altra
dimensione, respiri è un sollievo e sì questo appunto come entrare in
un’altra dimensione per me. Arrivo entro ed è come camminare sulle
nuvole, mi sento stra cool, una stra figa, entro, cat walk. A me sembra
di essere ripresa, il momento in cui entro mi sembra di essere in un film,
sono io la protagonista e tutti gli altri sono, tipo sai com’è la scena in cui
appunto tutti gli altri sono di sottofondo e tu sei tipo nella spot light.”
Carlotta

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Al regime di sguardi dei buttafuori, se ne aggiunge un altro, altrettanto importan-
te nel determinare il grado di aggressività di un locale: le occhiate scambiare tra
clubber (ivi). Quando tutti ti fissano con uno sguardo indagatore, non ti senti ac-
cettato e percepisci un forte senso di esclusione, parafrasando Ilaria (M08F00),
ci si sente un ospite indesiderato (ivi), Un processo che avviene in egual misura
nei club mainstream come in quelli più underground, come mette in luce Sal-
danha (2005, p.713) nel suo studio sulle discriminazione etniche sui dancefloor
a Goa, in il tourist gare degli ospiti occidentali produce un monitoraggio colletti-
vo costante che categorizza e produce soggettività in base a contrapposizione
dicotomiche come bianco/nero, uomo/donna, cool/sfigato. Dinamiche che col-
piscono chiaramente anche From Disco in quanto frequentato ovviamente da
persone umane, che non riescono chiaramente a distaccarsi da un giudizio an-
che solo mentale del posto come chiaramente delle persone venute all’evento.
Non dobbiamo infondo dimenticarci che chi anima queste feste sono le persone,
e dunque risulta fondamentale che chi viene a questi eventi sia una persona
propensa a divertirsi in gruppo nel rispetto dell’altro. Gli sguardi iniziali dunque
risultano un modo per monitorare gli altri partecipanti e capire se possa essere
un ambiente che per il resto della serata ti giudicherà, ti escluderà e sarà ostile
oppure se sarà un ambiente che ti accoglierà e ti inviterà a divertirti con esso di-
ventando parte integrante dell’esperienza. Gli sguardi che ricevi diventano quasi
una sorta di autodifesa da parte degli altri partecipanti e dell’organizzazione in
se atta a capire se tu che sei appena entrato sei entrato con l’intento di rovinare
il divertimento agli altri o far parte del divertimento di tutti.
Le attività compiute in questa fase iniziale di decompressione sono descritte
dai clubber come piacevoli, in particolare l’esplorazione del locale e il people
watching sono definite come una delle principali pratiche edoniche di un even-
to insieme a quelle più classiche come ballare, socializzare, ascoltare la musi-
ca e assumere sostanze stupefacenti (Petrilli, ivi). Le architetture del luogo qui
diventano fondamentali in quanto ciò che le definisce è “una sorta insieme di
cose che creano un ambiente” (Giorgy, M03MYO) come le luci, l’arredamento
e le decorazioni, il buio, la ripartizione tra le zone dove scatenarsi e altre dove
rilassarsi, la creazione di “un angolo di non scoperto, che sembra inesplorato”
(Teresa, M14FOE) (ivi). Diversamente da quanto emerso fino a questo punto, la
vista smette di essere solo uno strumento di controllo e diventa fondamenta-
le per immergersi e gustarsi l’ambiente circostante (ivi). Sarebbe però limitante
racchiudere tutto all’interno di un paradigma scopico che descrive questi piaceri
come determinati esclusivamente dalla vista (ivi). È un piacere multisensoriale,
nato da un’esperienza che coinvolge non solo la vista, ma tutto il corpo dei club-
ber, stimolato in molteplici direzioni dall’atmosfera circostante (ivi).

“Subito mi son sentito molto parte, preso.. non come ad una festa che interessa
far solo numeri e soldi. Mentre qua [From Disco] no ed è la cosa più bella,
proprio coinvolto in ogni tipo di mansione. Dopo Weekender poi ho visto proprio
una cura nei dettagli come per Halloween o qualsiasi altra festa che abbiamo
fatto.”
Leonardo

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foto, video e grafiche dall’archivio FDTD di Alessandro de Re
foto, video e grafiche dall’archivio FDTD di Alessandro de Re

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4.2. Bar, zona fumatori e aree chill-out: spazi di socialità

Proseguiamo il nostro viaggio in tutte quelle zone che vengono viste come se-
condarie e di meno importanza: aree fumatori, chill-out, bancone del bar, scalet-
te ecc. Ambienti in cui si staziona per passare e perdere un po’ il tempo, per caz-
zeggiare chiacchierando con i propri amici o con qualcuno appena conosciuto,
per stare un po’ tranquilli perché la musica non dice niente o perché al momento
si è ballato a sufficienza, per aspettare qualcosa o qualcuno (ivi). La socialità che
anima queste chill zone come gli altri ambienti delle discoteche è un argomen-
to marginale all’interno dei club studies, rispetto al trittico droghe-musica-ballo
(ivi). Non ne comprendo bene il motivo in quanto come abbiamo visto finora ciò
che anima maggiormente le feste sono le persone, l’incontro tra esse e l’infini-
tà di dinamiche che scaturiscono da questi incontri e sguardi. A tal proposito
Maxime (B05MYO) definisce il clubbing “un lubrificante sociale” perché facilita
l’incontro e le relazioni grazie all’atmosfera allegra e spensierata del party, la
voglia di divertirsi dei clubber e il potere inebriante ed empatico delle sostanze
psicotrope (ivi). In queste serate si può finalmente evadere dalla mondanità della
vita adulta, incontrare i propri amici e rivedere chi incontri invece solo a queste
serate, i club friends, o conoscere persone totalmente sconosciute. Una posi-
zione ritenuta sempre più vera con il progredire della vita adulta, quando lavoro,
famiglia e impegni personali prendono sempre maggiore spazio nella vita del
singolo e i clubber lamentano di aver sempre meno tempo e risorse per poter
godere di momenti così aperti di socialità (ivi).

“La zona chill per me in discoteca è sempre stata una zona


divertente. Le scene che si vedono in quel tipo di situazioni ogni
tanto sono al limite del ridicolo. Chiaramente tra cazzate che
possono essere anche solo battute ma dipende dai posti in cui sei,
perché molto spesso a Vicenza la discoteca è un posto in cui tutta la
gente si vede sempre, cioè le persone son sempre le stesse. Quindi
vedi scene, litigate che sarebbero potute avvenire al di fuori, avere
atto in momenti come quelli della zona chill. Non so il motivo, ma
penso sia perché è il momento in cui puoi essere visto dalle persone
che ti interessa da cui essere visto e farsi ascoltare in modo diverso.
Una volta mi ricordo ero fuori, nella zona chill con amici, per via di
un’antipatia da parte ci alcuni ragazzi nei confronti di un mio amico,
ho visto letteralmente arrivare un pugno in faccia alla persona con la
quale stavo parlando 3 secondi prima e correre fuori disperatamente
in cerca di un’ambulanza perché gli avevano distrutto la faccia. E
questo con la stessa rapidità di accendersi una sigaretta, senza
delle cause valide, tutto d’un fiato. Una zona che può essere tanto
calma quanto irruente.”
Maria

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“Credo che la zona chill sia la mia preferita perché non sono una
clubber e solitamente alle feste socializzo, e la zona chill è perfetta
per farlo e sono molto più disinibita nel socializzare.”
Ortensia

“Io vengo a questi eventi [FDTD] e vedo amici che vedo solo a
questi eventi. Quindi gli chiedo subito come va, com’è andato col
tuo progetto quella volta. Si parla insomma delle nostre vite così.. Si
scende in pista, non si parla più un cazzo e si fa festa.”
Michael

“Beh ovviamente c’è sempre la droga di mezzo, ceh.. almeno per la


mia esperienza, non tutti non sempre.. che quindi ti spinge molto a
socializzare. C’è quasi una necessità da parte di tutti, non troverai
mai una persona che appunto non ha voglia di interagire ecc, perché
alla fine sono tutti lì per quello, non per quello direttamente, perché
sei lì per ballare ecc, però è come se tutti sapessero che sono
lì per quello, quindi tu incontri una persona e quella persona ha
stra voglia di parlare con te e di conoscerti e quindi se ci penso le
conversazioni sono sempre molto vive, molto cercate molto volute.
Sì non so, non riesco a dirlo bene a parole, è una conversazione non
spinta, ma che viene naturale, c’è una volontà da parte di tutti di
parlare in generale.”
Carlotta

“Magari per esperienza mia becco un amico, parliamo della musica


che c’è, discutiamo un attimo, poi magari che so esci fuori, fumi
una cicca becchi un’altra persona, ti dice una cosa un po’ stramba,
magari dici ‘oh bella questo tipo ha fatto questa cosa’ e tu dici ‘oh
bella ma che cazzo dici’ ti fumi un’altra cicca. Cerco di parlare della
musica il più possibile, poi magari che ne so cerco della droga nel
frattempo, chiedo a gente se ha qualcosa. Sei sempre in ricerca
poi se ti droghi anche fai un viaggio introspettivo per qualche ora
e non parli con nessuno o parli un botto, però comunque cerco
sempre di parlare della musica capire un attimo il giudizio degli
altri, farsi un’idea, mi sembra anche il modo più produttivo per
pazzeggiare, ceh parlare discutere su una cosa che stai vivendo in
quel momento.”
Philip

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Tra “parlare un po’ tossico” e “discorsi da cena”

“Di niente, la gente parla del nulla”


Mirco

“È quel parlare un po’ tossico ma che a me piace, è quel parlare che sei appunto
fatto e quindi fa ridere perché dici delle cose che fanno ridere perché sei un po’
sconclusionato, poi però spesso ti apri. È un modo particolare di comunicare, è
diverso da quello quotidiano”.
Angela, M10FYO

“Si parla di chi suona.. tante volte parti a parlare delle etichette, del percorso
che hanno fatto quelli che suonano qua, come mai hanno date qua, quali altre
date hanno successivamente, chi li ha bookati. Perché comunque è una parte
fondamentale di questi eventi, cioè avere delle persone che conoscono questo
background ancora prima che diventino gruppi che sono interessanti in giro. E
soprattutto portarli a Vicenza, forse siamo/sono gli unici che si sbattono un po’.
Perché se chiedi a queste band dove hanno suonato ti rispondono classic [nome
festival], Milano, festival vari ecc. Quindi forse è bello proprio la nicchia, che si
parla un po’ di questo. Di quello che si è riusciti a portare qua.”
Gessica

Un aspetto fondamentale per i clubbers, quello della socialità, che va dai di-
scorsi più frivoli ai discorsi più intensi e profondi. Frequenti e particolarmente
apprezzate sono i giochi di parole sulle sostanze stupefacenti, come dimostra il
profilo Instagram (dal titolo inequivocabile: frasi.fatte) di un clubber conosciuto
a Milano, nato per raccogliere questi sprazzi di ilarità tossica, tipo: “fatti della
stessa pasta” o “le luci soffuse, io pure” (Petrilli, 2020, p.159-162). Una volta
mollati gli ormeggi tutto può essere percepito come divertente, anche quando
è strano o grottesco, al limite del pericoloso o del cattivo gusto (ivi). Situazioni
che Angela (M10FYO) rende in italiano con “quelle robe che dici ‘minchia, ma
che cazzo è appena successo?’” Perché assurde e casuali, come quando una
“mia amica cade dal cubo e nessuno se ne accorge, la ritroviamo due ore dopo
che piangeva perché si era rotta la caviglia e nessuno se n’era accorto e in quei
momenti dici ‘che cazzo è successo?’”.

“Conoscere gente nuova, ma alla fine niente è imbarazzante. Conosci gente


nuova che letteralmente puoi non vedere più, però è anche quello il bello. E poi
magari ti butta fuori scenette, attimi, cose che poi racconti.”
Natalia

“Se mi trovo con gente random è perché sono già bella ubriaca, quindi sai tipo
quando sei già abbastanza confident che lasci il tuo gruppo e ti trovi con altra
gente. Ti chiedi cosa fai ecc e poi l’argomento piglia e vai, ma non ho una pick up
line.”
Gloria

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“Zona chill miglior zona della disco dell’evento tra una cartina e un filtro si
parla sempre con la gente.”
Filippo

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All’opposto dei momenti <<che cazzo è successo?>>, tra il grottesco e il pe-
ricoloso, ci sono quelle interazioni in grado di tramutare una festa in qualcosa
di estremamente spensierato e poetico (ivi). Un evento di musica elettronica è
l’occasione per lasciarsi alle spalle la serietà della vita di tutti i giorni, per godere
qualche ora della leggerezza di essere un po’ stupidi e infantili (ivi). Un atteg-
giamento espresso in inglese con un “play the fool” e incorporato da Jeroen
(B07MOE): le sue notti elettroniche sono all’insegna del gioco e dello scherzo,
perché per lui uno degli aspetti più piacevoli del clubbing è assistere a “per-
sone adulte trasformarsi in bambini” (ivi). Alcuni riescono ad avere dei tipo di
interazioni molto intense e profonde e non frivole come quelle di cui ho parlato
finora. Charles (B06MYO) descrive come “non è un modo di parlare da festa, è
più come i discorsi da cena”. “Conversazioni molto intense” (Reina, B13FYO) e
altrettanto lunghe*, tra un ristretto numero di persone, affrontate con molta se-
rietà da parte degli interlocutori, su argomenti delicati e ritenuti importanti (ivi).
In questo modo si stabiliscono delle connessioni molto intime tra gli interlocutori
arrivando ad avere anche un alto grado di empatia.

“Se è una serata in cui ci sono persone di un certo livello mentale si parla della
vita, si parla di cose diciamo astratte ma con un fondamento..”
Sean

Damian (B11MOE), ammette di aver compreso solo in tempi recenti quanto è


diventato imprescindibile per lui intavolare discussioni profonde e coinvolgenti
(ivi). A suo avviso questo genere di incontri, oltre ad averlo arricchito intellettual-
mente, lo hanno fatto anche maturare ed è grato all’ambiente adulto e disinibi-
to della musica elettronica perché: “[…] mi ha portato ad avere conversazioni
filosofiche di due ore, mi ha portato a conversazioni emotive molto profonde
sull’amore e sulla vita, mi ha portato ad avere conversazioni davvero molto inte-
ressanti e mi ha costretto a sfidare la mia comprensione del piacere sessuale e
della sessualità in generale”.

“Se sei preso bene tutti sono presi bene, se vai lì e parli come se non fossero
sconosciuti ti trattano come se fossero tuoi amici e quindi boh easy.. è come se
tutti volessero divertirsi e avere una bella serata e molto meno altezzosità da
parte degli altri.. almeno io me la vivo così. Si parla di com’è la musica, come si
sta, che droga si vuole fare o si sta facendo e a volte se la cosa diventa meno
superficiale si può fare amicizia e svarionare su cazzi propri.”
Ortensia

* Conversazioni considerate molto positive dai clubber rispetto a molte altre situazioni nelle quali possono
risultare pesanti, quando si attivano “pipponi inutili” (Ilaria, M08FOO). Teresa (M14FOE) la descrive come una
persona che ti “asciuga di parole”: “è un asciugo senza senso, un rimbalzo, potresti essere chiunque […] c’è
questo bisogno di parlare, buttare fuori delle cose. A volte sono super interessanti e mi danno felicità e riesci
a trovare uno scambio, a volte le trovo sterili e difficili da sostenere”. Petrilli ci dice che per i suoi intervistati
cocaina e MDMA sono degli elementi principali in questo genere di conversazioni.

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“Però a volte magari c’è anche troppa confidenza, con una persona che
magari di solito non parli o non c’hai mai parlato tutta la tua vita e magari
ti metti là a fare i tuoi discorsi mega deep. Oppure ti metti là a parlare e
non sai più come.. devi dire ‘oh basta fanculo’.. anche se in realtà è stra
facile dire ‘basta’. E questa è una cosa assurda rispetto al mondo reale,
perché trovi un mondo per uscire. Nel senso tipo ‘andiamo a ballare? Vado
a pigliarmi da bere, vado in bagno’ e poi nel bagno ti perdi non è che stai
a berti la cosa con l’amico dell’amico tuo che hai conosciuto e poi devi
tornare. Vai in bagno e puoi anche non tornare più.”
Natalia

“Dipende con che persone sei, possono venire fuori discorsi anche i più
seri. Se sei con persone che conosci lì o ti prendi benissimo e possono
partire discorsi di ore e ore oppure si scherza su qualcosa della serata,
prendere per il culo la gente.”
Laraa

“Di tutto e di più.. che cosa studi, che gente bazzichi, una cartina un
filtrino poi da lì parte il discorso non credo ci sia bisogno di pensare.”
Filippo

“Se sei sbronzo tendenzialmente parli di qualsiasi cosa ti venga da dire


anche della serata o di dove ti trovi, come ti senti, che cos’hai bevuto, che
cosa ti sei preso o semplicemente se hai un filtro, una cartina o il fuoco
per poi continuare na conversazione con delle persone che non conosci.”
Bianca

“Di tutto ovviamente, di dove sei, cosa fai, la storia della tua vita
fondamentalmente. Per me è stra diversa l’esperienza club Berlino o
[nome club italiano], perchè invece all’[nome club italiano] o [nome club
italiano] raramente succede che vado in giro a conoscere persone ecc,
quasi mai perché o conosco già tutti, o è diversa la gente che c’è, non
voglio fare la snob però non mi viene neanche…Comunque inizi parlando,
facendo discorsi da bar e poi spesso e volentieri finisci a fare pipponi
filosofici, svarioni, appunto sempre alimentati dalla droga il più delle
volte.”
Carlotta

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Fare conoscenza: interagire, flirtare e provarci

In un ambiente di continue interazioni chiaramente non possono mancare le oc-


casioni di approccio. Le situazioni sono molteplici: mentre sei in fila per il bagno,
sulla dancefloor, al bancone del bar, mentre ti stai fumando una sigaretta. La cu-
siosità e la voglia di conoscere nuove persone per molti è una delle componenti
principali del clubbing — come rende esplicitamente Ilaria (M08F00) “mi piace
socializzare con le persone […], mi piace di brutto. È bello, sennò che cazzo sei
lì a fare?” — particolarmente apprezzata perché la caoticità e la spontaneità del
mondo della notte porta agli estremi questo processo e permette di imbattersi in
qualcuno molto distante dalla propria quotidianità, facendo conoscere nuove re-
altà “persone con cui non ti troveresti mai a volte a contatto. Magari di giorno fa
un lavoro serio, broker di borsa, persone con cui intavoli dei discorsi allucinanti
nella zona fumatori di un club” (Teresa, M14FOE) (Petrilli, 2020, p.163-1656. Af-
fermando l’importanza di flirt e seduzione non si vuole però veicolare l’immagine
dei club come di un supermercato della carne, autoscontro di ormoni impazziti
in cui tutti passano il tempo a provarci con l’altro e hanno l’ossessione di por-
tarsi qualcuno a casa, ma piuttosto si segnala come questo sia un ambiente in
cui l’appartenenza e l’attrazione giocano una parte importantissima nella rete di
relazioni che si instaurano, in cui intrigare e piacere agli altri non è affatto un’at-
tività secondaria.

“[La seduzione] è uno sport bellissimo. È una delle cose che dà più piacere al mondo,
sicuramente, sedurre o essere sedotti. […] vedere una persona in un club che ti attira
e sapere di poterla avere. È un gioco, non è che l’avrai veramente, stai solo flirtando”.
Teresa, M14FOE

Petrilli tuttavia ci spiega come nessuno dei clubber da lui intervistati, come nem-
meno di quelli intervistati da me, considera il rimorchiare come il motivo princi-
pale per cui decidono di frequentare ambienti di questo tipo.

“Quelli che rimorchiano secondo me sono principalmente turisti. Le persone qui, invece,
non lo fanno, vanno nei club per godersi la musica e trascorrere del tempo con gli amici,
non per provarci con le persone. Voglio dire, ovviamente a volte conosci qualcuno e ci
fai sesso, ed è bello, ma non è questo il punto. […] Sento la differenza tra qualcuno che
ci prova con me senza essere interessato a chi io sia e qualcuno di gentile che pensa
io sia una persona simpatica e vuole conoscermi, non dando troppa importanza al fatto
che finiremo assieme o no”.
Lilia B12FYO

Le parole di Lilia (B12FYO) permettono di tracciare un limite tra il cliente occa-


sionale e il clubber, a muovere i secondi è la passione per la musica, la voglia di
ballare per ore, la possibilità di stare con i propri amici e conoscere nuove per-
sone e (per molti, ma non per tutti) di assumere sostanze stupefacenti (ivi). Molti
sono i clubber che vedono con malessere alcuni tipi di approcci che molte volte
diventano esagerate, viscide e spiacevoli. È un problema molto serio soprattutto
per le donne che ne sottolineano le implicazioni dirette sulla loro possibilità di

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provare piacere: passare il tempo a dover distogliere lo sguardo, ad avere qual-
cuno che ti palpa il culo o ti parla quando tu vorresti ballare è inconciliabile con
un evento a cui si partecipa per la sua capacità di divertire, liberare dai pensieri
e far godere il corpo grazie ad una scarica continua di sensazioni piacevoli (ivi).
Una questione ricorrente nelle interviste, perché associata ai momenti più spia-
cevoli passati in discoteca, in grado di rovinare totalmente una serata (ivi).
Le strategie di flirting sono molteplici e per alcuni diventa quasi una condizione
di disagio ed imbarazzo come Ale (M16MOE) che è “agitatissimo se una ragaz-
za che mi piace mi viene a parlare, ho paura”. O come Simone che ci spiega
che “poi ci pensi talmente tanto, perlomeno per me diventa una cosa talmente
stressante” (Simone, B01MOO). L’obiettivo è catturare l’attenzione (ivi). Alla mo-
dalità kamikaze è contrapposta una strategia più attenta e riservata nel rivelare il
proprio interesse all’altro (ivi). È un processo di avvicinamento e di flirt molto più
lento perché non si vuole subire l’umiliazione di essere rifiutati, di “essere scan-
sato, ‘fai schifo’ e ciao” (Paolo, M12FYO), ma ci si muove solo quando si coglie
“un interesse da parte sua, quindi andavo anche un po’ a culo parato (Regina,
M12FYO) (ivi). Si tende a fare uso di qualsiasi mezzo a propria disposizione ma
principalmente nasce tutto dagli occhi, gli sguardi. Divertente come siamo partiti
dallo sguardo sorvegliante all’ingresso dei buttafuori agli sguardi ammiccanti tra
i clubber.
Dopo aver parlato con diversi clubber ho deciso di descrivere questo fenomeno
direttamente con le loro parole senza commentarle troppo.

Carlotta: Beh in terza persona in verità non saprei dirti io al massimo mi


giro e vedo due persone che si limonano duramente, penso soprattutto a
Berlino, e in prima persona funziona che vedi uno che ti piace e di solito
passi la serata a scambiare occhiate e io penso subito da uno sguardo
un certo modo di porsi, capisco subito anche senza parlare se uno ci sta
o no e quindi se capisco che ci sta inizia il gioco di corteggiamento. Ci si
lancia gli sguardi, ci si avvicina, si balla un po’ vicino e poi non so come
succede, o finisce lì spesso e volentieri non succede niente. È una cosa di
sguardi, oppure senza parlare e poi il resto va.
Philip: Molti sguardi però ceh.. una prospettiva maschile magari io
onestamente se non va con la tipa che magari cerco me ne frego
abbastanza, inizio a parlare con un’altra, ceh fai chiacchiere con tutti
poi se succede succede poi se non succede sti cazzi nel senso non è un
dramma, dipende anche un po’ da come sei messo a livello di fame.
Carlotta: Ecco per me no, ceh stra il contrario, se metto occhi su una
persona diventa tipo la mia missione, non me lo tolgo dalla testa, non
riesco a pensare ad altro, diventa tipo cacciatore preda, se ho messo
occhi sulla preda non riesco a pensare ad altro fino a che non la ottengo e
se non la ottengo la serata è una merda.

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“Sono una persona molto riservata e
molto timida quindi l’unico flirt è nella mia
testa niente di più niente di meno, non ho
mai il coraggio di approcciare qualcuno,
deve essere estrema la situazione. È
successo solo tipo due volte nella mia
vita.. ovviamente andate malissimo.
Sostanzialmente guardo ma non tocco.”
Filippo

“In generale [il flirting] mi fa ridere, lo trovo


cringe ma allo stesso tempo se è un sacco
cringe mi piglia.. perché mi fa ridere no?
Se iniziano a parlare con accento di merda
italiano per me è già red flag. Se no partono
dei complimenti ‘che bei capelli’, poi boh
inizi a parlare chiedi ‘cosa fai dopo’ e se ci
sta si scopa, oppure ti scambi l’instagram..
però instagram è weird perché il giorno
dopo non sai come approcciare.. in generale
la gente che flirta mi fanno ridere, anche
le ragazze inglesi mi fanno ridere. Quelle
inglesi mi fanno sbregare tipo no filtri ‘ah sei
sexy vuoi scopare?’ I maschi weird tipo ‘oh
you have a beautiful smile’.”
Gloria

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“Il flirting in discoteca è un argomento un po’ tabù.
Dipende da come lo si prende, un po’ come il warm up,
dipende dal tipo di serata in cui sei, qual è il mood con
cui stai andando a quella festa. Penso che molto spesso
il flirting è premeditato e non fatto casualmente, la gente
parte con l’iniziativa che vuole vedere qualcuno oppure sta
andando a quella festa proprio per vedere qualcuno e sta
per provarci. È intrigante perché viene un po’ l’ansia del
‘ok so che ci sarà persona x so che potrò comportarmi in
determinato modo’ e quindi gli approcci sono poi troppo
soggettivi. Nel mio caso, spesso sono state fraintesi
scambi di parole, richieste di sigarette, offerte di drink,
che sembravano suonare come flirting quando in realtà
non lo erano. Sia da parte mia sia da parte di altre persone.
Penso sia molto divertente, perché vedi gente in discoteca
provarci quando fuori in un altro tipo di ambiente non
lo farebbero mai. Non so se sia per le circostanze dove
c’è caos, gente, volume alto, non si sente quello che stai
dicendo con chiarezza ti permette di essere in una comfort
zone dove ti senti a tuo agio. Perché tutto potrebbe essere
la stroncata che ho fatto ieri sera e non una scelta decisiva
in una situazione più tranquilla.”
Maria

“Ma dipende tantissimo da dove ti trovi e il sesso che


si approccia a te. Gli uomini li trovo molto più molesti,
ma dipende da dove ti trovi.. magari sostanzialmente gli
piace toccare il culo gli piace mettere il cazzo. Le donne
all’inizio pensavo fossero più discrete, ma poi mi sono
resa conto che se sono stra fatte non si fanno alcun tipo di
problemi e ti prendono la mano e diventano stra moleste e
in realtà è poco piacevole.. però è una dinamica che a me
personalmente se fatta con rispetto è molto divertente.”
Bianca

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“Io ci provo sempre costantemente con tutti. Non
riesco a scindere il parlare dal flirtare, soprattutto
se sono di buon umore. Per me è il mio modo di
parlare, non ci faccio caso. Però se sono in pista per
me è impossibile, non sono il tipo di persona che si
avvicina mentre balli. Devo essere tranquilla in una
zona calma, poi si è sempre ubriachi e non si ha
nessuna remora. Invece le persone che ci provano
con me, al di fuori della zona di ballo sono a mio
agio e va bene e posso starci anche se la persona
non mi piace.. come per socializzare.. ma in mezzo
alla pista lo vedo invadente e angosciante quindi mi
allontano.”
Ortensia

“Quando ho conosciuto From Disco, a 17 18 anni,


arrivavo da feste che comunque [il flirting] era come
un’ossessione: andare alle feste, conoscere tipe,
farsi tipe. From Disco essendo anche frequentata da
gente più grande, più matura, che è anche la cosa
che mi piace, [il flirting] è una cosa molto naturale,
spontanea, senza freni, se succedeva bene.. È come
più legata alla musica che farsi la tipa. La festa è più
focalizzata sul ballare, divertirsi, sulle conoscenze e
[il flirting] mi sembra quasi una cosa aggiuntiva che
mi sembra giusto.. nelle altre feste è come uno degli
obiettivi principali, cosa ridicola secondo me.”
Leonardo

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“Forse sono stata approcciata da una donna
solo una volta, però vorrei che succedesse.
Una volta sono stata quasi stuprata da una
donna. Il flirt parte dagli sguardi secondo
me.. il primo approccio è lo sguardo
guardarsi negli occhi e poi da lì capisci
se puoi avvicinarti. Poi io sono molto non
timida però aspetto sempre che sia l’altra
persona ad avvicinarsi a me.”
Lara

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L’azione delle droghe, del tempo e dei divanetti sulla socialità

Le infinite possibilità e situazioni, delle quali ho parlato finora, sono possibili gra-
zie ad una fitta rete di interazioni che hanno modo di esistere grazie alla presenza
di attori umani e non-umani, uno tra i tanti sono le sostanze psicoattive. Diversi
sono gli usi, i motivi e gli effetti, il primo di sicuro è un’esigenza di sciogliersi, di
sbollire la tensione e di facilitare il socializzare. Inoltre, sostanze come MDMA e
alcolici favoriscono i dinner talk più lunghi e seri, perché aiutano ad aprirsi: “ab-
biamo avuto una conversazione davvero intensa, come non avevamo mai avuto.
Certe erano cose di cui avevamo già parlato da sobri, ma forse ci serviva una
spinta in più” (Reina, B13FYO) (Petrilli, 2020, p.168-172). La seconda, riguarda
la capacità di sigarette, alcolici e così via di essere dei <<cavalli di troia, dei con-
nettori>>, perché diventano la scusa perfetta per attaccare bottone, chiedendo
all’altro di esaudire il proprio desiderio tossico (ivi). Infine, l’ultima funzione è
meno nota, la rivela Teresa (M14FOE) quando spiega come alcune droghe (nel
suo caso le anfetamine), modifichino la percezione della realtà e acuiscono il
grado di attenzione (ivi). Qualsiasi sia il tema di cui si stia disquisendo, è trattato
con profondo rispetto, anche se è “una cosa minuscola, in quel momento, di-
venta importantissima, enorme” (ivi).
Ad aiutare i clubber a socializzare non ci pensano solo le droghe; un attore non-u-
mano fondamentale in queste occasioni è il tempo (ivi). Per Jeroen (B07MOE) il
motivo è chiaro “dopo dieci ore che stai chiuso nella stessa stanza è ovvio che
inizi a riconoscerti, quindi i confini sono meno [rigidi]. Dopo lunghe ore nello
stesso luogo ci si comincia a conoscere, a familiarizzare con le diverse facce e ci
si sente meno a disagio ma molto più a casa. Tante persone nello stesso posto
a divertirsi assieme, che ci si conosca davvero o no è indifferente perché dopo
un po’ di ore ti sembra comunque di conoscere tutti. Per di più, i sorrisi, sguar-
di, parole scambiate spesso frettolosamente durante tutto il corso dell’evento
creano un po’ alla volta una rete di micro-interazioni e micro-relazioni che aiuta
a sentirsi un po’ più integrati e un po’ più parte di quel tutto che si sta vivendo
(ivi). Il tempo si dilata e non si percepisce neanche più, ma è proprio questo mo-
mento atemporale che stabilisce l’importanza della durata dell’evento e di come
il tempo si distribuisce nel corso della serata. La conseguenza è concedere ai
clubber molto più tempo da spendere per potersi godere con più calma queste
pratiche apparentemente secondarie della club culture, distanti dal trittico dro-
ghe-musica-ballo.

“Bah io se ho provato droghe le ho provate solo a Berlino e di provarle qua non


me ne fregherebbe sostanzialmente un cazzo.. preferisco bere. Invece ho visto
che in altri club ci sta provare perché se sei accerchiato di gente di cui ti fidi puoi
anche permetterti di provare cose nuove. Riguardo l’alcol.. beh siamo veneti
cazzo. Cioè noi beviamo anche per non divertirci.. quindi penso che è proprio
una base. Anche a farti la serata al tavolo con gli amici bevi come un drago qua,
quindi se bevi come un drago quando balli sì.. Forse vai avanti nelle ore senza
renderti conto, il tempo scorre più velocemente. Quindi arrivano le 4 in un batter
d’occhio.. dici ‘cazzo son sbronzo, son le 4 e va beh..’”
Gessica

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Nei locali e agli eventi più underground si pone una notevole importanza a ga-
rantire comodità e scioltezza ai propri frequentatori. Ecco perché in questi luoghi
è più facile trovare spazi dove prendersi un attimo per riposarsi, riprendere le
forze e tornare poi a divertirsi, cosa invece non particolarmente frequente nei
luoghi più mainstream dove la comodità dei clubbers passa in secondo piano e
vige in questo modo un’ulteriore strategia del controllo, applicata questa volta
direttamente sul corpo dei clubber. Il corpo non sembra rilassato e libero di gio-
care, sperimentare e godere appieno delle possibilità edeniche del clubbing, ma
all’opposto è più compassato e teso, perché intento in un costante processo di
self-monitoring dell’aspetto esteriore e dell’impressione sugli altri (ivi). In questo
genere di locali la forma è preferita al comfort e alla comodità (ivi). Ecco perché
questo è il terzo attore non-umano che influisce nella relazione con i clubber e la
loro esperienza in serata. Per FDTD l’aspetto dell’allestimento e della comodità è
un fattore fondamentale, ecco perché ancora una volta si avvicina di più a tutto
un modo di concepire la festa che rientra nell’underground, dove ciò che è più
importante non è il fatturato della serata ma il divertimento e la comodità dei suoi
clubber. A volte per questo genere di cose From Disco si fa aiutare dall’esperien-
za e la creatività anche di ulteriori gruppi come PRODUZIONI PRIVATE.

“La zona chill è una zona che From Disco


ha sempre dedicato tempo ed importanza.
Feste che frequentavo precedentemente,
prima di conoscere From Disco, non c’erano
queste zone. Sono zone in cui puoi parlare,
divertirti, interagire con le persone, fare un
sacco di conoscenze. Magari quando sei
sottocassa sei impegnato a ballare, nel tuo
loop.. invece nella zona chill sei molto più
aperto. Mi è capitato magari di fumare un
joint con persone che non conoscevo e fare
amicizie. Quindi secondo me è una zona
fondamentale per una festa che ho trovato
per la prima volta fatta bene a From Disco.”
Leonardo

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I piaceri della socialità polimorfa

Nella socialità con gli altri si comincia a intravedere una rete di tessuto sociale
variegata, vasta e polimorfa. Ci sono diversi tipi di situazioni ed incontri come
trattavo prima, ma affianco a momenti di così tanta estasi esistono momenti
anche più tranquilli e semplici. Un evento di musica elettronica è fatto di battute
divertenti, momenti grotteschi, scenette poetiche, discussioni ematiche, incroci
tra sconosciuti e proposte seducenti, in sostanza da quella che nelle note di
campo definisco <<una sorta di socialità polimorfa>> (Petrilli, 2020, p.173-174).
Questa formula vuole descrivere, in primis, la diversità e la multiformità degli in-
contri, degli scambi, dei gesti, delle parole, delle battute, degli sguardi intessuti
in questi contesti. Conoscere uno sconosciuto fa parte di un piacere diverso,
di un bisogno di parlare, con un qualcuno che molto probabilmente neanche si
rivedrà più, senza alcun freno. Tutto ciò implica anche una maggiore predispo-
sizione all’ascolto, siccome è più facile entrare in contatto con persone che si
reputano interessanti o bizzarre quando si è curiosi di scoprire cosa hanno da
dire o dove andrà a parare la conversazione (ivi). Un’attitudine valida non solo
verso gli sconosciuti e club friends, ma facilmente estendibile anche verso gli
amici (ivi).

“Le persone che ho intorno sono spesso delle persone che sono super interessanti e
divertenti, […] io posso anche stare ore in silenzio”
Ilaria (M08FOO)

Il clubbing, in questo senso, diventa un modo per conoscere la vita degli altri
e allo stesso tempo conoscere cose nuove del mondo. Gli incontri possono
scaturire le scoperte più disparate frutto delle diverse esperienze e background
delle persone all’interno del club. Si tratta di piaceri apparentemente più astratti
rispetto a quelli dell’entrata, del ballo o delle droghe, poiché non derivano dal
corpo e hanno effetti principalmente sull’umore e sullo stato d’animo dei clubber
(ivi).
Diventa necessario, a questo punto, sottolineare come il corpo svolga un ruolo
di fondamentale importanza in queste dinamiche. Ad un livello più generale le
emozioni provate in questi momenti di socialità polimorfa si irradiano nel corpo
e <<scaldano il cuore>> (ivi). Nonostante spesso passi inosservato, deve essere
evidenziato come il corpo è sempre coinvolto in tutta la sua totalità materiale
quando si socializza (ivi). Le energie che portano alla socialità si basano proprio
sulla ricerca calorosa dei corpi. Non si tratta più però come dicevo prima di una
ricerca sessuale, bensì si tratta di una ricerca d’affetto se cosi vogliamo dire, un
qualcosa di più empatico e familiare.

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4.3. Le ambivalenze del dancefloor

Finalmente arriviamo sulla pista da ballo, il nucleo centrare della discoteca—


<<la pista è il cuore caldo e pulsante della discoteca, è il centro della tempesta,
in cui non si rimanere impassibili e da cui si sprigionano le energie che spargono
e condizionano tutto lo spazio attorno >> — dove ha luogo la pratica principale
dei clubber: la danza. Oltre a non frequentare le discoteche con l’unico obiettivo
di cercare un partner sessuale, i clubber si distinguono dai frequentatori occa-
sionali per il loro coinvolgimento fisico, manifestato attraverso il ballo (Petrilli,
2020, p.177).

Iniziare a ballare: ”relax your body, relax your soul”

“La cosa è che se vado a ballare, effettivamente vuol dire che devo andare a
ballare. Tipo ieri, aldilà del fatto che non c’era nessuno, comunque noi siamo
dovuti uscire per bere e nel momento in cui siamo rientrati sono letteralmente
andata a pisciare e poi sono letteralmente andata a ballare. Un po’ perché c’hai
un po’ quell’emozione che devi subito scaricare. E quindi tendenzialmente
perché sei andato a ballare, scarichi la tensione che hai. Io personalmente piscio
poi vado a ballare, e poi anche se sono due minuti tendenzialmente te li fai. Vai
subito a ballare e poi al massimo dici ‘boh fa cagare la musica’ e vai via o ‘ho
bisogno di una sigaretta’. Anche dopo due secondi se ci pensi, però la prima
cosa è proprio quella vibrazione così ‘no no voglio andà a ballare’. Per capire
com’è, come funziona e poi decidi se rimani oppure se sei mezzo indifferente o
se ti fa cagare.”
Natalia

Ad un certo punto scatta qualcosa. I piedi o la testa non sono più le sole parti
del corpo a rispondere alla musica, perché il bacino, le gambe e le braccia inizia-
no a prendere vita: “[la musica] vibra attraverso il tuo corpo e lui inizia a ballare”
(Jeroen, B07MOE). Ci sono alcuni, come abbiamo visto prima con Micheal, che
si buttano subito, è quasi un modo per entrare in confidenza con tutto l’ambien-
te. Altri invece hanno bisogno di più tempo, di trovare il momento giusto e molto
spesso questo gioco è dettato dalla musica, sempre in relazione con molti altri
attori non-umani.

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D: Cosa fa scattare l’inizio della danza?
R: L’alcol. Se beviamo e parte la nostra song ci vedi ballare come dei bastardi. Se
la canzone non ci aggrada, ci vedi nell’area fumatori a parlare.

Come insegna Malbon (1999, p.98) la scelta su dove posizionarsi in questa


fase dipende dalla necessità di assicurarsi un proprio spazio personale o per
avvicinarsi e connettersi con gli altri (Petrilli, 2020, p. 178-181).

“Rispondi alla musica quando vedi che non te ne frega un cazzo di parlare e vuoi
solo ballare per un paio d’ore.. ti butti in pista, ma anche se non c’è gente se ti
piace la musica vai. Magari all’inizio ti metti davanti che così ti segui bene il dj o
chi suona e cerchi di trasportarti lì poi ti guardi intorno e fai festa. Però all’inizio
sei molto concentrato ad ascoltare.”
Gessica

“C’è stato un momento, quando poi siamo tornati a ballare, che non sapevo bene
cosa dovevo fare, come dovevo muovermi. Avevano messo questa traccia, che dice
‘relax your body, relax your soul’, è un pezzo House di fine anni ’80, quindi ho preso
alla lettera quello che questa canzone mi sta dicendo e ho detto ‘va bene, adesso mi
rilasso, mi lascio andare, ballo, e lascio il mio spirito e le mie gambe andare a ritmo
della techno. […] Questa canzone qui è stata essenziale per entrare dentro”.
Ele, B16FYE

“Se c’è una canzone particolarmente che mi gasa vado, se sono particolarmente
ubriaca vado, se c’è qualche mio amico che si sta apprestando a farlo vado
altrimenti non ho mai voglia di andare.”
Ortensia

“Io non sono fan della musica, cioè non è la musica che mi porta a ballare è più
tipo l’atmosfera che c’è nel posto. Tipo all’inizio di stasera non sarei andata a
ballare perché c’era luce, poca gente e sembravano tutti tipo zombie. Di solito è
la gente che è con me tipo sono super in hype e dicono ‘andiamo a ballare’ allora
ci sto e vado.”
Gloria

Philip: Beh la musica ovviamente, ovvio, quello punto. Ceh se la musica ci sta
te hai il tuo ripiglino sti cazzi del resto, se non ci sta la musica ti droghi esci ti
fai due chiacchiere te la scazzi con gli amici, rientri provi com’è la musica ti
bevi altre due tre birrette. Se la musica ci sta bella sei rapito, ma se la musica
non ci sta sei lì hai pagato tanto vale godersi la serata fare il cretino il coglione
chillarsela un attimo alla fine sei lì mi sembra più che giusto.
Carlotta: Idem, ovviamente la musica. Se la musica mi piace ceh è una cosa
viscerale sento proprio la necessità di ballare, se la musica mi piace mi avvolge
devo proprio ballare e mi viene molto naturale, invece se la musica non mi piace
è terribile, perché io sono lì per quello, voglio ballare e se la musica non mi
piace, magari mi sforzo ci provo a ballarla, però sento che è sforzato, che non
sono movimenti naturali. Però sì come ha detto lui ormai sei dentro, hai pagato,
chiacchieri vai in giro.

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Il potere del dj all’interno di questi ambienti ora diventa ancor più evidente, la
responsabilità di far ballare i clubber è chiara. In questi luoghi assistiamo ad
una differenza ovvia di come viene mediata la musica rispetto a serate hip hop
o dancehall, dove la musica viene riprodotta in maniera sequenziale, mentre nel
clubbing la musica è un unico intero tappeto ininterrotto dove i clubber possono
godersi “questa sensazione di maggiore continuità, in cui puoi entrare totalmen-
te nella musica come fosse un viaggio” (Gaëlle, B09FYE).
Anche secondo Ettore (B10MOO) è un “viaggio sonoro”, una storia raccontata
dal dj, in cui i suoni sono sostituiti alle parole e hanno il medesimo potere evo-
cativo nel fargli provare sempre nuove emozioni e piaceri, perché “c’è ancora un
altro ritmo o un altro qualcosa nella musica o nel mix che influenza le tue emo-
zioni” (Gaëlle, B09FYE) (ivi). I clubber intervistati non si basano solo su catego-
rie estetiche o musicali nel descrivere l’esperienza del ballo (ivi). Superano una
concezione elitaria della musica come ascolto distaccato e disincorporato, ado-
perano sensazioni, emozioni, immagini, paragoni e ogni altro riferimento in loro
possesso per rendere la complessità di questa esperienza carnale (ivi). Non è
tanto una questione di genere o velocità, ma dall’accostamento e la diversità dei
suoni, in grado di fargli provare “sensazioni quasi di beatitudine e subito dopo
sensazioni di spavento, terrore” (ivi). Mentre si balla la musica inizia ad assumere
una sua materialità, perché coinvolge tutto il corpo, non semplicemente le orec-
chie (ivi). Un cattivo sound system poi rischia di afflosciare o stancare tristemen-
te il tutto, in primis il corpo, nonostante una buonissima musica coinvolgente. È
un’esperienza che coinvolge tutto il corpo e la mente in maniera multisensoriale

“Cercare di assorbirla in qualche modo, prenderla non solo con le orecchie, visto che
è l’unico modo che abbiamo, forse è anche visiva in qualche modo, anche vedendo
le altre persone come si muovono. Però stiamo parlando di onde, almeno come me lo
immagino io, e quindi vuol dire che cerchi di assorbirla anche con il corpo, in qualche
modo. Con altri sensi, forse […] Senti delle pressioni in alcune parti del corpo, vere”.
Teresa, M14FOE

Il flusso ininterrotto di movimenti, sensazioni, emozioni e pensieri non è deter-


minato solo dalla forza evocativa della musica, ma è il risultato di un concatena-
mento complesso di music, luci, corpi, temperature e sostanze stupefacenti (ivi).
Malbon (1999, p.97) luci e fumo “disorientano sensualmente e isolano fisica-
mente il clubber”, creando quello spazio fisico e mentale in cui si muove chi balla
(ivi). Ritorna la multisensorialità del dancefloor, come spiega Simon Frith (1996,
p.156) per il clubber la distinzione tra musica e contesto perde di significato, i
loro movimenti agiscono sulla realtà circostante “trasformando lo spazio stesso
in una sorta di immagine sonora in movimento” (Petrilli, ivi). Il regime scopico e
quello uditivo si sovrappongono, non sono più distinti chiaramente, quello che
vedi è sempre anche il risultato di quelli che senti e viceversa (Malbon, 1999).

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“Uno è l’alcol secondo me, l’altro essere in una comfort zone.
Questa cosa che un po’ conosci l’ambiente in cui stai, cose che
conosco che ci sono già stata, queste cose mi confortano. In
più la gente che non deve venire a rompermi i coglioni, quelli
molesti mi fanno un po’ ansia. E poi vabe lo spazio in sé.. poi
vabbè raga ovviamente la musica influisce, però in realtà anche
no. Influisce per la mia permanenza. Tipo anche al [nome
club] perché siamo rimasti così tanto? Perché poi era tutto un
contorno, è quello secondo me.”
Natalia

“Non ballo di solito quindi inizio e non devo pensarci molto,


perché sennò mi vengono le paranoie che non so ballare e
quindi devo solo iniziare e non cagare la gente che mi sta
attorno, che sicuramente mi guarda stra di merda.”
Filippo

“O c’è già la vibe e c’è già la gente che balla.. perciò arrivi
e pa pa pam. Oppure come è successo settimana scorsa,
non c’era nessuno che ballava, la musica mi piaceva e ho
detto vaffanculo adesso mi metto a ballare perché se non c’è
nessuno che balla ballo io.”
Mirco C.

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“Io tipo non mi drogo però per me la musica è veramente una cosa
incredibile che mi fa ballare come non mai ed è uno dei migliori modi che
ho per sfogarmi letteralmente da ansie e frustrazioni, perché muovo libero
il mio copro come cazzo mi pare a seconda della musica che trovo. Ed
è bellissimo soprattutto quando si fa insieme che si creano veramente
dei rapporti bellissimi anche tra amici che non è di dialogo di parole che
potresti avere normalmente seduto al bar, ma è di movimenti di corpo e
quindi diventa bellissimo.”
Bianca

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Dissolversi nella musica ed esprimersi ballando

In questi momenti, quando le vibrazioni cominciano a manifestarsi nei corpi dei


clubber, scaturisce qualcosa: l’inizio della danza. La materialità del suono <<è
un assalto ai sensi>>, ha un effetto diretto sul corpo di chi balla, producendo
una reazione diretta che proviene dalle loro viscere (Petrilli, 2020, p.181-185). È
il primo punto di un cambiamento nel rapporto soggetto e musica, una fase di
passaggio descritta da Frith (1996, p.221) come “l’atto stesso di cedere il con-
trollo alla musica — questa è la differenza tra un movimento che coincide con un
beat e un movimento che si sottomette ad esso” (ivi). Quando ho cominciato a
frequentare questi ambienti, e in particolare From Disco, non potevo non notare
come forze non umane riuscissero a creare uno spazio di forte intensità umana.
Sembra quasi un paradosso, ma le luci, il fumo, la musica diventano il modo con
cui si arriva a creare un ambiente confortevole e gradevole dove le persone rie-
scono a divertirsi e soprattutto conoscersi in maniera naturale e disinibita.

“Il dancefloor è un campo di forze creato dalla potenza delle casse,


l’oscurità della sala, i flash delle luci, i corpi degli altri. Sono attraverso da
queste energie e il mio corpo è una cassa di risonanza che le accoglie, le
processa e le fa esplodere”
Petrilli, 2020, p.182

“Influisce tanto chi mi sta attorno e anche le luci mi piacciono molto, gli effetti di
luci, mi piace roba psichedelica.”
Michael

“O è un momento mega introspettivo o penso a come mi sto muovendo ma


anche in relazione agli altri. Cioè proprio che cosa sto facendo. Poi o mi guardo
mega intorno, tipo stra il controllo della situazione. So chi c’ho dietro so chi
c’ho davanti, oppure anche no. Un po’ è come se dovessi pensare a quello
che sto facendo, a come mi sto muovendo, tipo le mosse che sto facendo
coreograficamente, ma anche come mi sto muovendo per stare in una situazione
insieme alle altre persone. Se piaccio, se non piaccio, se lo sto facendo in modo
okay per farmi piacere, perché un po c’è dentro questa cosa. Poi io non posso
mai saperlo perché io da fuori non mi vedo. Infatti all’ [nome discoteca] era stra
alienante, quando tu suonavi e ci stava quel pezzo di coso [specchiante], stavi
davanti e ti guardavi.. era assurdo. Quindi un po’ stavi a disagio.”
Natalia

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La musica è così pervasiva nel farti muovere e l’energia del dancefloor è tanto
potente che <<avviene un processo di possessione, e come se si perdesse il
controllo del corpo. Dei burattini mossi con fili fatti di suoni>> (Petrilli, ivi). Ad un
certo punto ci si lascia completamente abbandonare alle sensazioni, una sen-
sazione di completo trasporto dove non si ha quasi più il controllo sul proprio
corpo e si ha solo un forte senso di liberà.

“Momenti in cui proprio non capisci un cazzo, senti solo la musica e il tuo
corpo va e tu non ci pensi a quello che stai facendo”
Angela, M10FYO

Il rapporto tra musica e soggettività mostra un doppio movimento tra de-sog-


gettivazione e ri-soggettivazione espresso da Gomart e Hennion (1999, p.221)
con locuzione “abbandono consensuale”, dove la musica è un “dispositivo di
passione” a cui il soggetto sceglie volontariamente di abbandonarsi (Petrilli, ivi).
Dissolversi nella musica ed esprimersi ballando non sono due esperienze op-
poste, ma piuttosto la dimostrazione di quanto postula Frith (1996) sulla danza:
non è una pratica brainless, senza cervello, in cui l’urgenza del corpo sopprime
tutto il resto (come vorrebbe il razionalismo occidentale), all’opposto attraver-
so il ballo ci si connette alla musica e perdendosi in essa è possibile ragionare
attraverso il corpo (Petrilli, ivi). Lasciare andare il proprio corpo e acquisire un
maggiore controllo su di esso, perdere contatti con il proprio self ed esprimerlo
attraverso i propri movimenti, dipendere totalmente dal dj e fornirgli gli stimoli
necessari per poter continuare perdersi nella massa di corpi e sentire parte di
qualcosa, liberare la mente da ogni pensiero o ripensare alla propria vita mentre
si sta ballando (ivi). Si tratta ancora una volta di piaceri scaturiti dall’incontro tra
i soggetti che portano all’estasi e la gioia individuale e collettiva. Ognuno vive
l’esperienza della danza in maniera diversa, ma tutti i miei interlocutori sono
d’accordo sull’idea che:

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“A niente! Quando si balla si pensa solo a muoversi”
Sean

Matteo: Il bello di ballare, secondo me, è che ti porta a liberare la mente


Barbara: Non pensi a niente.. è vero
Matteo: Senti la musica, prosegui con quello che sta facendo la musica
però liberi la mente no? Quindi non è un pensare è un essere trasportato
dal momento.. è questo che mi piace.

“Alle sonorità, alla musica.. dò le spalle al pubblico dietro e non


interagisco.”
Mirco

“Soprattutto cosa ti da la musica a te come persona. Io ballo anche da


sola a casa, se una cosa mi piace.. quindi se mi trovo in serata che mi
piace forse me ne frego di tutto il resto proprio. Mi godo ad ascoltare la
musica.”
Gessica

“O penso a niente o penso a qualche passo nuovo da fare, o che magari


ho provato durante la settimana a casa e adesso provo a farlo.”
Michael

“A non sembrare stupido quando lo faccio.”


Filippo

“Io non riesco a ballare in maniera disinvolta a meno che non sia fatto.”
Lorenzo

“Niente la musica e a come mi muovo. Infatti è quella la figata, ceh penso


un po’ per tutti o almeno per molti, è uno degli unici momenti della vita
in cui riesci proprio a bloccare il pensiero perchè normalmente anche
se provi a non pensare a niente, è impossibile per l’essere umano non
pensare a niente, invece appunto il momento della festa in cui balli, è
un momento in cui pensi proprio alla musica, ai suoni proprio, a come ti
muovi, a questo penso, se la musica mi prende sennò no penso ad altro
perchè non sono concentrata sulla musica.”
Carlotta

“Non penso a niente, sto un po’ sulle nuvole.. no sulle nuvole.. cioè mi
faccio trasportare dalla musica, mi faccio proprio trasportare dalle onde.
Mi sento libero, tranquillo, spensierato.”
Mirco C.

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“Penso a come ballano gli altri. Non sono il tipo di persona che sta in
mezzo alla musica e sente le vibrazioni e la situazioni a meno che non
sia fatta.. ma anche quando sono fatta no. Sono molto sull’attenti mentre
ballo, mi guardo attorno cerco di capire come sono percepita.. non mi
godo la cosa. Sto più attenta allo spazio che godermi lo spazio.”
Ortensia

“Beh è vero che tante volte ti conosci anche in dancefloor. Nel senso che
ti scambi una cagata, una cicca, un accendino, ‘cosa stai bevendo?’, ‘oh
ma grandi questi qua, son bravi’.. e quasi che li conosci lì. Neanche tanto
al banco del bar, li conosci nella dancefloor, quando vedi che c’è gente
che quando si mette rimane.. non ce n’è che se ne va, quelli sono i più
fighi.”
Gessica

“[La musica] dipende tutto dal contesto, per esempio se vado a un rave,
psytrance. Sennò se vado in un club boh tipo musica strana, più la musica
è strana più mi piace, tipo suoni alieni, musica glitchata, tipo break si può
dire? Tipo più la musica è dissonante, un po’ cacofonica, più che la techno
molto lineare preferisco una che fa psktchipksuct.. tipo più pasticcio, tipo
più spaccata.”
Carlotta

“Ceh apprezzo un sacco quando l’artista che suona fa una ricerca


musicale un po’ più ambiziosa, un attimo più specifica, ceh non è che
vado a sentirmi la techouse, che so vado in un posto guardo gli artisti
che ci sono me li sento in preserata, me li ascolto velocemente mi faccio
un’idea, poi se vado lì magari sono più o meno stupito di quello che
suona, però ovviamente preferisco la techno a qualsiasi altro genere,
però dipende pure che tipo di techno, mi piacciono un sacco anche robe
un po’ più spedite, un po’ ipnotiche belle ripetitive, mi piace un sacco
la ripetizione nella musica quindi non so però ovviamente apprezzo
tantissimo qualsiasi lavoro, appunto se mi rendo conto che c’è un minimo
di ricerca.. poi boh se sono anche fatto ballo su quasi qualsiasi cosa, però
generi li apprezzo tutti poi dipende come li fai come li suoni.”
Philip

“Io preferisco musica elettronica, musica dance, musica anni ’80, la


techno, un poco di tutto. Quello che non mi piace è il commerciale, mi
fa schifo, la trap, il reaggeaton quando non c’è un ambiente latino vero,
quando son tutti poser.”
Mirco C.

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D: Che musica preferisci ballare?
Filippo: Non commerciale, non troppo techno, tutto il resto penso
possa andare, non ho preferenze
Lara: Di solito di più l’elettronica, techno, tekno se proprio… dipende
dal mio mood

“Solitamente il weekend non sono sobria, se sono a casa e sobria


ballo la musica che mi piace, più cool, più al passo coi tempi e
se invece sono ubriaca sono molto più a mio agio a ballare cose
stupide e trash perché è come se non sentissi la pressione di essere
cool mentre ballo, e dunque son presa bene.”
Ortensia

“Per me tutte le cose dell’adolescenza, che eri troppo piccolo per


andare a party con quella musica lì, però se ci vai adesso è bello ma
allo stesso tempo tutto un po’ nostalgico.”
Gloria

“Per una festa in cui mi gaso la musica che preferisco è musica


techno, ma al tempo stesso può essere un rnb, un hip hop, dipende
direi dal contesto in cui sei e di come il contesto ti accetta.”
Maria

In una nota sul mio telefono nella notte dell 18 Giugno scrivo:

“I clubber della mia generazione cominciano ad avere un atteggiamento


molto interessante rispetto all’esperienza in se del clubbing. Sono tutti
molto nostalgici, disinvolti ma anche persi e demoralizzati. La pandemia
e i grandi problemi ambientali che rendono il futuro incerto, hanno avuto
una forte conseguenza sull’animo dei miei coetanei, la cui intenzione di
fare festa è tanta ma anche nulla. Ciò che unisce e alza tutta la voglia è
sicuramente la combinazione di diverse circostanze. Non è più tanto e
solo la musica ma è molto l’ambiente. Per molti è importante che lo spazio
sia stimolante, la musica diventa una mera accompagnatrice. Le due si
devono conciliare però. Alcune volte si vuole sentire la musica che batte,
cattiva, che spigne che fa bum bum perché il posto ti da quelle sensazioni,
che ti porta a fare i tuoi viaggi introspettivi ballando. Altre volte si vuole la
musica trash, divertente, nostalgica perché è quella che balli più volentieri
in collettività. Come se dovessimo tornare a stare bene come prima, un
tempo passato indefinito nel quale ci sembra che stavamo tutti bene e
sereni.”

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Dj e clubber, geometrie relazionali

“Poi io c’ho sta cosa che odio che la gente deve per forza spignere per stare
davanti al cazzo di dj quando in realtà uno per ballare ha bisogno di spazio.
Questa è una cosa che mi fa uscire di testa, anche capendo che però in realtà
è bello stà davanti. Invece quelle cose dove non c’è troppa gente, tipo quando
andavamo ai rave al lido, in realtà quella è la gente giusta. A un rave sono
andata che c’era davvero troppa gente, però in ogni caso era comunque okay.
Effettivamente hai bisogno di spazio per ballare, almeno per come la vedo
io. Capisco l’importanza di stare davanti ma stare appiccicati che devi fare
solamente così [si muove] non la capisco.”
Natalia

Nella costruzione del complesso network di relazioni che fanno forma alla pista
da ballo, un posto di riguardo è occupato dal dj e dalla sua capacità di dare una
direzione, una forma al flusso di sensazioni ed emozioni che prova il pubblico
(Petrilli, 2020, p.187-188). I corpi stessi dei clubber rispondono al dj e non serve
la voce, letteralmente lo vedi nei movimenti delle persone se il dj sta riuscen-
do ad orchestrare la danza del party, se <<sta spaccando>>. Alcuni la voce la
usano comunque, si grida, si ulula, si fischia e si canta insieme quando il tutto è
incontenibile.
In questa relazione, tra dj e clubber, è fondamentale analizzare la collocazione
spaziale della console. Nei club più mainstream il dj sta su un palco, definendo
così una barriera, quasi gerarchica, tra pubblico e dj. Al contrario nei club e party
più underground viene posizionato alla stessa altezza del pubblico, al massimo
un minimo rialzata, creando così una vicinanza coi clubbers intimisssima. Chia-
ramente è notevole la differenza dal punto di vista di coinvolgimento. Dove da
una parte viene posta grande importanza a chi suona, qui invece la protagonista
non è il dj ma la musica stessa. La console rialzata quindi non è altro che l’en-
nesima tecnologia del potere operante nelle discoteche, attraverso un’organiz-
zazione verticale dello sguardo dei clubber riproduce una sorta di deferenza nei
confronti dell’artista primus inter party, costantemente monitorato dai suoi fans,
e allo stesso tempo limita il coinvolgimento e le interazioni verbali e non verbali
tra clubber (ivi). A questo punto è anche immediata la comprensione di dove vie-
ne posta l’attenzione dei clubbers nel momento in cui il dj viene posto alla sua
stessa altezza. Non si crea più un bisogno del dover guardare in alto tutti verso
un unica direzione, ma c’è uno sguardo che va in tutte le direzioni, ritrovandosi
concentrati sull’ambiente circostante come su se stessi.

“Mi sembra un bel rapporto [coi clubber], mi viene da parlare senza sapere
l’opinione degli altri però ci si ritrova tutti nella stessa situazione quindi c’è
questo senso di complicità comune che ti trascina. Poi molto spesso capitano
stronzate, spinte, cose varie che creano litigate, piccoli bisticci della serie
‘stammi distante, fatti i cazzi tuoi’. Però aldilà di queste piccole stronzate si sta
tutti bene insieme. Ci si concentra di più sul divertirsi che sul fare litigate con
gente che non vedrai più.”
Maria

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“Beh se c’è qualcuno di figo intorno a me ballo in un modo, se sono in mezzo ai
miei amici e alle mie amiche ballo in un altro.. forse sono un po’ più me stessa.
Quindi un po’ fa contesto anche chi ho intorno.
[…] Secondo me c’è molto un ricercarsi se stessi, più che gli altri. Perché a volte
fai delle cose che non ti rendi conto di fare, perché non le hai scelte, però è
una bella consapevolezza ballare con se stessi. Come un pratica uno sport che
ti muovi e poi magari si guardi gli altri e dici “che figa questa” però fai un bel
lavoro con te stesso, cioè a me piace come seguo il flow che magari non me lo
aspettavo.”
Gessica

Per alcuni diventa invece quasi un problema la presenza degli altri, attivando
anche qui, un’influenza implicita o esplicita della presenza in se delle altre per-
sone sulla dancefloor. Il dj si trova a divertirsi con il pubblico, facendo scattare
un meccanismo di rapporto di dipendenza coi clubber secondo cui, il clubber
si lascia trasportare e si fida dell’esperienza del dj nel muovere le danze e il dj
cerca di recepire la risposta corporea ed emozionale dei clubber.

“Ora la mia priorità è stare per i cazzi miei bene e ballare. Prima era un po’ più
il farsi notare. Quindi lo stare davanti, avere davanti il dj, ballare e ballare un po’
per lui. Ora no, manco prima così tanto ma tendenzialmente sì. Quando suonavi
te l’altra sera era quasi giocoso, oltre a tutta la situazione che cioè era surreale.
Però effettivamente lì era un’altra storia. Non lo vedo rilevante, il che è assurdo
perché poi è quello che porta a fare la serata.”
Natalia

“Vorrei fregarmene della gente che mi sta attorno ma per me è tipo una para,
una fissa che mi guardo sempre chi mi sta intorno mentre ballo. Perché o è
molesto ed invade il mio spazio e allora a quel punto diventa una paranoia e devo
levarmela di torno e finché non la tolgo non riesco a ballare e allora la spingo via
subdolamente. Se invece mi piace la persona che mi sta vicino, cerco di engage
tipo la persona e ballarci. Il top è trovare una persona con la quale ballare, lì è
fantastico. Con il dj cerco un po’ l’attenzione del dj, spero che mi noti sottocassa
presa bene per la musica, se il dj fa schifo mi sta sul cazzo.”
Carlotta

“Con gli altri clubber faccio sempre due chiacchiere al bar, sottocassa, con amici
ecc. Con il dj non è che vado a rompergli il cazzo, gli lascio fare il suo lavoro, alla
fine è lì per lavorare e si spaccherà anche lui di brutto. Io son lì da spettatore e
non da lavoratore quindi se ci faccio due chiacchiere con il dj anche bella.”
Philip

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“Dipende da chi c’è intorno, se intorno hai persone di cui il loro giudizio non ti frega
niente ti muovi come un cazzo di.. boh preso dalle peggiori droghe, come boh uno di
una tribù del Brasile. Se hai anche solo una persona della quale ti interessa, ti vergogni
a ballare.”
Sean

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Lo “scambio di energie” tra clubber

“Durante gli anni è cambiato tantissimo. Prima avevo bisogno di avere qualcuno,
cioè prima era dovevi ballare con qualcuno. Cioè dovevo stare di fronte all’altra
persona, perché era come se mi imbarazzasse farlo da sola. Non mi sentivo
abbastanza confidente da farlo, se invece avevo davanti a me l’altra persona
era okey, lo stavamo facendo insieme. Ora è stra un momento dove ci sono io,
comunque aldilà del piacere non piacere, ci sono io e sono tranquilla nel mio. Poi
ad una certa magari mi scazzo.. infatti ogni tanto mi da fastidio quando la gente
mi viene a parlare mentre sto ballando, che mi viene a chiedere le robe.”
Natalia

Assieme a musica, luci, fumo, droghe, outfit e dj, nel generare l’atmosfera che
pervade la pista da ballo gli altri clubber sono un attore fondamentale perché “i
clubbers sono le persone che fanno la festa” (Charles, B06MYO) (Petrilli, 2020,
p.189-191). In questo tipo di danza si balla da soli ma vicini e attaccati, influen-
zati dalle energie di chi sta accanto. Ma se il ballo non è un ballo di coppia e di
gruppo ma solitario, questo non significa che si balli solo e sempre per se stessi.
Dopo qualche minuto assieme a ballare, esattamente come quando si è appena
entrati nel club, si cominciano a riconoscere i volti di chi sta in pista e ci si comin-
cia a scambiare sguardi, sorrisi ecc. Si condivide tutto quello che si ha per non
lasciare la pista: da bere, le gomme da masticare, qualche ditata*, un ventaglio
o il ghiaccio che si sta sciogliendo nel cocktail (ivi). Questi momenti di reciproco
riconoscimento non dipendono da una logica di scambio, ma hanno una natura
disinteressata, a muovere i clubber non è il tornaconto personale, ma la voglia di
vivere questa situazione momentanea di unione vitale (ivi).
Per un attimo è abbandonata qualsivoglia pretesa personale, a favore dell’aper-
tura nei confronti dell’altro. Malbon (1999, p.105) ci apre ad una considerazione
sul clubbing che denomina “esperienze oceaniche” e cioè “sensazioni di euforia,
gioia ed empatia straordinarie e transitorie”, in cui i clubber contemporaneamen-
te vivono un senso di smarrimento (del self, delle coordinate spazio-temporali,
dei propri limiti) e di crescita (di unità, di libertà, di pienezza interiore). Ovviamen-
te ci sono sempre alcuni casi specifici di persone che non sono in grado di vivere
in mezzo alle persone, e dunque si comportano in maniera arrogante, scontrosa
o poco amichevole e aperta con gli altri clubber. È una cosa che per molti club-
ber cambia la serata, perché beccare quelle persone che si dimostrano poco
amichevoli crea un ambiente per nulla confortevole.

“Con gli altri clubber va sempre molto bene, quando vado in serata ci si sorride.
Al massimo ogni tanto qualche testa di cazzo che ti viene addosso e lo guardi
male.”
Mirco C.
* Termine gergale per indicare l’azione di infilare il dito nella busta di MDMA e scioglierla direttamente in bocca.
“Riesco a dosare per una mania di controllo e disco a offrire anche, in maniera molto semplice senza che devi
andare a smezzare, andare in bagno. A me non piace papparla l’MD, un dito, lo vuoi tu, lo vuole lei, lo posso
distribuire a dieci persone e sono felice” (Adriano, M07MOE).

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“C’è poi chi si crede il fighetto o fighetta di turno, e tu magari ci parli mega con
“C’è poi chi si crede il fighetto o fighetta di turno, e tu magari ci parli mega
confidente e questo ti risponde di merda e lì mi fa stra pigliare ammale. Cioè
proprio mi fa rodere il culo, un po’ proprio mi rovina la serata. Poi vabe in
generale bene, perché son tutti pigliati bene. […]. Rispetto al ballare, alla fine
non è che ti puoi troppo guardare, stanno tutti girati. Guardi però non è che
balli con qualcuno. Dipende anche dallo spazio. Gente a ballare basta che non
rompano i coglioni, invadano lo spazio, queste cose qua.”
Natalia

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“Io ho conosciuto From Disco tramite un dj di From, Munstac,
a cui avevo chiesto il favore di suonare al 18esimo di un mio
amico dove il budjet era basso, veramente basso. Lui mi ha
fatto questo favore e lui mi ha detto ‘però tu mi devi fare un
favore a me, fidati di me e vieni a lavorare e partecipare al
Weekender Festival sotto le mura che ti presento un po’ di
persone che conosci l’ambiente tutto quanto’. Io venivo da
un’ambiente completamente diverso, dove la musica era
diversa e poco ricercata. Inizialmente come ogni cosa, essendo
anche più piccolo, ero molto titubante, era un modo totalmente
diverso. In realtà poi mi si è aperto proprio un altro mondo
e mi son detto ‘okay questo è quello che fa per me’. Perché
subito ho visto la grandezza di essere molto più liberi sia
mentalmente che parlando con le persone, che facevi discorsi
completamente diversi, il modo di vestirsi. Io in quel periodo, di
adolescenza, volevo anche comunque cambiare, fare uno step..
Musica completamente diversa e parlavi con dj che proprio
lo fanno come lavoro, che hanno studiato, sanno la storia, ti
presentando determinate persone, ti insegnano determinate
cose riguardo la musica. Ho capito subito di essere nel posto
giusto e che era una famiglia grandiosa. Il rapporto che ho
coi dj e coi ragazzi che organizzano è ottimo. Persone super
disponibili che lo fanno proprio con voglia. Non ci sono altri
fini, di magari mettersi via soldi, come possono esserci in tutte
le altre feste che frequentavo prima commerciali, che bisogna
fare numero numeri numeri. Qua si guarda molto di più alla
qualità e il divertimento ed è la cosa più bella e fondamentale
delle feste. Quindi così è cambiato anche il genere di musica
che ascoltavo e il modo anche di ballare e di approcciarsi alla
festa, che è completamente diverso. Ho provato davvero delle
sensazioni insieme agli amici, assieme a Max e gli altri ragazzi
di From Disco.. emozioni molto forti in cui mi sono anche
commosso.. perché sei come immerso nella musica e in quel
momento senti la necessità di fare solo quello, di stare sereno e
in tranquillità.”
Leonardo

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Una meditazione sonico-cinetica

Per gran parte dei miei intervistati, come un po’ abbiamo visto in precedenza,
il clubbing diventa un modo per sfogarsi e non pensare a nulla, soprattutto nel
momento della danza in se. Alcuni accostano questa esperienza alla medita-
zione, per il tentativo simile di controllo ed indirizzamento della propria attività
cerebrale verso uno stato di maggiore tranquillità (Petrilli, 2020, p.194-195). Sul
dancefloor ci si dà una “tregua e si sospendono per un attimo, metaforicamente,
i combattimenti [interiori]” (Iside, B03FOO), i pensieri più cupi e preoccupanti
lasciano spazio ad idee più frivole e leggere: ci si guarda attorno per godersi lo
spettacolo umano messo in scena davanti ai propri occhi, si attesta la qualità
della droga o la bravura del dj, si controlla dove sono i propri amici o si program-
ma il resto della nottata (ivi). Sono pensieri “scialli”, adottando un’espressione di
Angela (M10FYO), non c’è nessuna pretesa se non quella di vivere il momento,
in maniera più tranquilla possibile, senza troppe preoccupazioni, per costruirsi
attorno uno spazio in cui sentirsi sicuri e protetti (ivi). Ritrovarsi in un ambiente
dove isolarsi dai pensieri e i problemi della vita, liberando la mente e lasciando
spazio solo al godere.

“La canzone di Katy Perry haha ‘Do you ever feel like a
plastic bag drifting through the wind’”
Gloria

“È come se fosse tutto più ovattato, poi non so se sia


anche la cosa dell’alcol perché io non credo di essere mai
andata a ballare senza bere.”
Natalia

“L’ho sempre vista [il clubbing] come una valvola di sfogo


più che altro. Cioè come un modo di far uscire lo stress
settimanale.”
Filippo 2

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“Mentre ballo è come se stessi rubando perché
mi sento gli occhi puntati addosso e sto facendo
qualcosa in cui non ho dimestichezza e potrei
farla nel modo sbagliato e farmi beccare.. che
nella metafora clubbing sarebbe non so.. non
piacere o non piacermi. Ma nel momento in cui
c’è qualcuno che lo fa con me, ho un complice
nel rubare, diventa una cosa divertente a cui
associo adrenalina.”
Ortensia

“Quando ballo mi sembra come se stessimo un


po’ tutti sulla stessa barca. Nei momenti in cui si
balla ad una festa, qualsiasi pregiudizio, opinioni
personali della gente che ti circonda, nella loro
vita esterna al club, vada a puttane e ti concentri
sul ‘ci stiamo tutti quanti divertendo, e stiamo
passando un momento insieme’. Quando ballo
e vedo che la pista è piena, ti giri e vedi che ci
sono degli sguardi di intesa tra persone che non
conosci che magari neanche ti piacciono però
diciamo che passa tutto un po’ in secondo piano.
Diventa una cosa tipo ‘cazzo sono l’unica che
sento questo?’ e mi giro e realizzo che no non è
così. Mi influenza proprio questo stato di serenità
emotiva che ti dà l’idea di essere circondato da
persone che stanno vivendo la stessa esperienza
tanto quanto te.”
Maria

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4.4 Il bagno e il rituale di intossicazione volontaria

“I bagni.. è un bel punto compromettente dove c’è la luce no.. dove finalmente ti
guardi in faccia. Magari prima nel buio ti riconoscevi perché uno è vestito in una
maniera particolare o ha qualcosa che lo riconosci. In bagno c’è la luce e lì sei
un po’ fregato. Io ogni volta che sono ubriaca mi guardo allo specchio in bagno
e mi vedo già per terra però dico ‘vabbè me ne frego’ e torno lanciata a ballare e
non ci penso più. Parlo anche un sacco con le ragazze.. tipo ‘cazzo sei figa tu..
complimenti stasera ti sei vestita boh sei figa’”.
Gessica

“Quando sono in fila solitamente ai bagni, è perché ho bevuto tanto. Quindi


sono uscite sempre molto offuscate, molto strane. Quindi quello che ricordo può
essere un flash, un’immagine.. una persona davanti a me e poi basta si torna in
pista.”
Filippo 2

“Intanto si parla tantissimo del fatto che devi pisciare tantissimo o che stiamo
aspettando tantissimo. Poi di solito non vai da sola ma io devo andarci
spessissimo quindi vado molte volte da sola e incontri gente che mentre
aspetti ti si accolla, perché vuole saltare la fila o che ti sta parlando o se stai
da solo ascolti tantissimo i discorsi degli altri. E a volte o ti intrometti te o ti
fanno intromettere gli altri. Poi i cessi, effettivamente, è iconico come posto
però dovrebbero fare una cazzo di sala per drogarsi. Perché alla fine se tutti si
drogano ti puoi drogare anche in giro.. cioè perché oscurare? È sempre questo
cazzo di proibizionismo di merda. Tipo ieri stavamo in quel posto di merda, tutti
a farsi le sigarettine e le cannette okay perché ormai sono sdoganate che non
vai a fartela in bagno, però magari a fasse che so na raglia.. cioè alla fine in un
gruppetto di 5 persone almeno 1 che l’ha fatto la trovi e quindi a quel punto dico
non è troppo problematico. Però è strano perché al [nome club] a Cart le hanno
rotto il cazzo [mentre tutti lo facevano] e le hanno detto ‘no no vai via’ che stava
fuori in cortile. Però non è tanto il fatto che ti droghi, è il fatto che lo fai davanti a
tutti, ma è la stessa cosa.. sta roba è fuori! E i cessi hanno rotto il cazzo, che io
devo pisciare.”
Natalia

I bagni sono un luogo che Petrilli porta in tavola in quanto assolutamente non
trascurabili per quanto nei diversi club Studies non sia mai stato davvero inda-
gato. Essi sono chiaramente un luogo per i propri bisogni fisiologici, ma sono
anche un posto dove ritrovare i propri amici persi nel corso della serata, qua-
si come un checkpoint, dove rinfrescarsi, dove mettere in pratiche tutte quelle
azioni che fuori non si possono fare perché considerate socialmente un tabù o
maleducate, dove la musica non è più padrona e lascia spazio ancora una volta
alla socialità.

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“Mai combinà niente di grave in bagno.. la gente chiacchiera del nulla, si saluta,
si chiede come sta ma non risponde.”
Mirco

“Entro molto poco spesso nei bagni, ma tutte le leggende che girano sono vere,
niente di nuovo, succede quello che vi aspettate.”
Filippo

“Gira tanta droga nei bagni, persone ubriache moleste, ci trovi la peggio gente in
bagno, che sono fuori.. magari è la quinta volta anche che vanno in bagno.”
Lorenzo

“Droga, foto, sesso, chiacchiere..”


Lara

“Si pippa, si scopa, si piscia, si vomita. Si cerca di evitare lo schifo che c’è
intorno. A volte io trucco altre persone, si fa amicizia principalmente perché
guardandosi attorno ci si fa qualche complimento rispetto a qualcosa.. un
capo d’abbigliamento, un trucco o quello che è.. e boh si parla giusto per non
annoiarsi mentre si aspetta il proprio turno.”
Ortensia

“La fila ai bagni è un’esperienza must che devi fare ad una festa, perché
nei bagni incontri le persone migliori. Le persone che sono davanti a te che
stanno aspettando il bagno hanno le storie più belle da raccontarti, sono le più
generose, se serve una sigaretta loro te la danno, se sei depresso e serve un
complimento loro te lo danno così a gratis.. tipo entri e ‘oh my god! I love your
outfit!’ L’ultima volta sono andata in bagno ed ero lì che tipo canticchiavo e il
bagno era vuoto e ad un certo punto sento la voce di una tipa che era mezza
morta che mi chiede ‘oh… how is it?’ E io ‘ehm.. it’s great!’ E lei mi fa ‘oh vorrei
tanto essere lì..’ E poi ho sentito la gente urlare che era uscito il cantante e lei mi
ha chiesto puoi restare che mi serve aiuto e io ‘no i’m sorry’ ma ho ho chiamato il
buttafuori perché stava sboccando l’anima.”
Gloria

“In fila per il bagno è un momento anche lì di socialiltà, siete li ad aspettare e


allora socializzate. Poi vabbè se non vai a pisciare vai a drogarti, si sa. È tipo
luogo protetto dove può succedere tutto e di più, io non ho mai tesimoniato
direttamente però ad esempio nei bagni a Berlino tutti scopano. Una volta io
e i miei amici siamo stati tutta la sera a chiedere ad ogni persona se avevano
qualcosa, dopo tutta la sera abbiamo trovato dei tipi con le paste e ci fanno
‘venite nei bagni’. Solo che i bagni avevano dei mega buchi sotto [la porta] e
c’era il bodyguard in bagno e ad una certa ci apre la porta ed eravamo lì, perché
si vedevano le gambe di tre persone, ed era proprio il momento in cui il tipo
stava dando la pasta al mio amico. Poi vabbè ci hanno sbattuti fuori brutalmente
e poi i tipi ci han pure ridato i soldi.”
Carlotta

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“Beh nei bagni si fanno tutte quelle cose che non si possono fare all’aria aperta.
Non puoi di sicuro metterti qua a cagare, non puoi di sicuro metterti qua a
pippare. C’è molta gente che lo fa la, a me non piace. A me piace farlo in un
luogo pulito e cose.. A me la droga piace ma mi piace trattarla con rispetto.”
Michael

Anche qui la differenza tra i locali più underground e quelli mainstream è abis-
sale. Se parlavamo prima delle dinamiche che differenziano questi due tipi di
club, anche qui troviamo questo forte contrasto dettato dall’architettura in se del
luogo come dalle persone che frequentano questi diversi ambienti.

“Assurdo perché abbiamo fatto questa cazzo di serata all’ [nome club], mi
ha dato un sacco di visioni diverse. Perché c’era il cesso no, io sono grande
frequentatrice di cessi. All’ [nome club] ci sono andata tre, quattro volte ed era
una cosa mega diversa rispetto ai posti che frequentiamo ora. Intanto i cessi
erano separati, ed è una cosa che noi non becchiamo. Stare tra più pischellette,
ti fa diventare un po’ più idiota.. un po’ sviperandi. Un po’ ti ritrovi influenzato
dalla situazione in cui ti ritrovi. Io ti parlo per quello delle ragazze.. un po’ devi
essere stronzetta, un po’ di devi guardare male e ti devi guardare allo specchio.
Ed è una cosa che fanno tutti anche normalmente. Ma lì era tanto diverso. E poi
vabe le foto.. era proprio diverso. Ah e poi non si drogavano! Haha”
Natalia

“In fila ai bagni siamo tutti ubriachi, vogliamo fare amicizia, siamo shameless
senza vergogna, parliamo e ci diciamo tutto quello che ci passa per la cabeza.
Gente che fa pipì, ragazze che si truccano e a volte si è un po’ più freaky e c’è
gente che scopa.”
Mirco C.

I bagni rappresentano una sorta di retroscena, un’area dove non avviene la “vera
azione”, dove non si mette on scena il proprio corpo, la propria simpatia, le
proprie mosse, ma dove è allestito quello che per molti clubber è un avvenimen-
to essenziale per la riuscita di un evento: il rituale di intossicazione volontaria
da sostanze stupefacenti. Per i clubber più esperti, i bagni, rappresentano uno
spazio dove i meno frequentatori si notano subito per la loro maleducazione e
cafonaggine a differenza dei veri clubbers che si dimostrano persone educate e
rispettose dell’altro, questo perché i più frequentatori conoscono l’importanza di
questo spazio.

“I veri clubber, nel senso gente avvezza al mondo del clubbing, è anche gente
molto educata e molto rispettosa nei confronti degli altri”
Matteo, B02MOO

La gente che frequentano meno i club, e dunque non gode di grande esperienza
nell’ambiente, non ha ancora conosciuto ciò che Petrilli chiama <<galateo del
cesso>>: “regole basilari su cosa fare e non fare in bagno, per non disturbare e
rovinare l’umore degli altri clubber”.

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La prima e più importante è non superare chi è in
fila prima di te, un comportamento mal tollerato al
bancone o all’entrata del club che in bagno non è
minimamente sopportato. Le ragioni sono semplici:
il dispiacere di fare una fila che sembra non finire
mai, la voglia di tornare il prima possibile in pista
o di accedere con la stessa velocità in bagno per
potersi godere la propria drug of choice o per poter
assolvere alle proprie necessità fisiologiche. La
seconda regola è non urlare: un infarto assicurato
per chi è dentro il bagno alle prese con un’arte
proibita e, allo stesso tempo, un campanello che
potrebbe attirare i buttafuori.

Petrilli, 2020, p.198

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Il “principio di autocavia” dei clubber

Apro questo paragrafo con le parole di Natalia che ci aiutano a capire quanto il
clubbing diventa un esperienza dove avviene una vera e propria sperimentazio-
ne sul proprio corpo, portandolo ai suoi limiti e arrivando di conseguenza anche
a conoscersi da questo punto di vista. Una sorta di arena dove i clubbers si
portano all’estremo per vedere fin dove riescono ad arrivare e quanto riescono a
durare provando dunque per la prima volta certi tipi di esperienze.
La musica elettronica da ballo è nata sotto il segno del genio musica e del-
la sensibilità chimicamente arricchita di Larry Levan e Frankie Knuckles (Brew-
ster e Broughton, 2012), ancora prima nel promo-clubbing di David Mancuso le
droghe sono state uno degli ingredienti essenziali delle notti dei party pariahs
(Lawrence, 2011), infine la rave culture inglese ha consacrato l’ecstasy al pan-
theon psicoattivo occidentale (Collin, 2009). Non stupisce quindi che le discote-
che rappresentino ancora oggi, per chi ha deciso di abbandonarsi alla socialità
danzante della musica elettronica, un laboratorio segreto dove poter sperimen-
tare con questi piaceri stupefacenti (Petrilli, 2020, p.199-200). I rave e i club sono
i primi luoghi, per la stra grande maggioranza dei miei interlocutori come quelli di
Petrilli, dove sono entrati a contatto per la prima volta con le droghe. La <<prima
volta psicotropa>>, in cui <<non si apre il proprio corpo ad un’altra persona, ma
alla struttura molecolare di una sostanza stupefacente>>, è in grado di generare
una congiunzione biochimica tanto piacevole da segnare la biografia personale,
tanto quanto il primo rapporto sessuale (ivi). Primo, perché l’esperienza sensibile
composta da sensi, emozioni e pensieri è stravolta, si è catapultati di fronte ad
un nuovo modo di di percepire e vivere il proprio corpo (ivi). Secondo, perché
questo shock sensuale è il primo passo per apprendere un nuovo modo di vivere
la notte (ivi). Il processo che ne consegue di auto analisi e coscienza su se stessi
è simile al “principio di autoacavia” concettualizzato da Preciado (2015, p.340),
dove il proprio corpo diventa un laboratorio dove poter sperimentare.
Il principio di autocavia dei clubber è uno studio attraverso se stessi per capire
quali sostanze interagiscono meglio con il proprio corpo e come assumerle per
godere delle sensazioni e delle emozioni (Petrilli, ivi). Un apprendimento limitato
solamente al rapporto tra soggetto e droghe, ma indirizzato a tutta la situazione
elettronica circostante, per fare in modo che i tre lati del triangolo (soggetto,
droga, ambiente), postulato da Norman Zinberg (2019) esprimano al massimo
il proprio potenziale edenico (ivi). Ecco perché anche la musica diventa un vei-
colo secondo cui sapere come e quando fare uso di diverse sostanze in base
alla differente tipologia di serata: la techno ha un animo cupo e dark, specie
la scena berlinese più industrial, “va a braccetto con le botte introspettive di
ketamina” (Petrilli, 2020); la house diventa il luogo giusto per la “carica empato-
gena dell’MDMA” ecc. Si impara a sapersi fare nel momento giusto, in base al
momento della serata che più si preferisce, o semplicemente per non arrivare
ancora in botta a chiusura.

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“La prima volta che bevi, la prima volta che sbratti, o comunque è
molto probabile che accada. Anche se non è la prima volta è comunque
sperimentazione. All’inizio del tuo essere grande e là un po’ ti sperimenti anche.
Capisci il tuo limite là, anche con l’alcol”
Natalia

“La prima prova di una sostanza può essere fatta dentro un club secondo me.
Dipende quale sostanza e dipende quanta. Se ti prendi una piccola dose di md
che non l’hai mai provata ad una festa del genere [FDTD] ti fai la festa più da urlo
della tua vita.. a chiunque, a chiunque! Piccolissima, non che ti senti sballato ma
che ti da un po di quella serotonina capito che dici ‘cazzo, figata!’ punto.”
Michael

“La prima volta che mi sono drogata è stato dentro ad un club. È stato tutto
molto casuale, non me l’aspettavo per niente, invece è successo me l’hanno
offerta a me ed una mia amica a Berlino. È stata la prima vera esperienza di
droga, io mi ricordo lì ho pensato ‘non ho mai ballato così bene nella mia vita’,
era una presa bene assurda, uno stato di euforia totale, libertà, proprio frega
cazzi di tutto.”
Carlotta

“La prima volta che mi sono drogato mi han buttato un tot di md una 0,2 forse 0,3
abbondante, ma non ho sentito niente. Mignolino ma sentito niente. Poi la prima
volta che ho fatto la ketch sentivo di più l’effetto, tipo mi faccio una riga e poi
smania di farmene un’altra, inseguimento dell’apice.”
Philip

“Diciamo che il provare cose nuove ci sta nel momento in cui hai il controllo di te
stesso. Ma nel momento in cui perdi il controllo esce fuori il tuo vero te, ci sono
due possibilità: o tu non hai paura del tuo vero te, ma se tu hai paura di essere te
stesso se fottuto. Ma se tu non hai paura di essere te stesso fai il cazzo che vuoi.
E io dico normalmente sarebbe da dire ‘non devi avere paura’ però non si può
giudicare chi ha paura di se stesso. C’è gente che ha paura di se stesso.. tutti in
realtà. Tutti abbiamo delle stranezze e il fatto di nasconderle fa sentire a noi le
nostre stranezze strane. Gli stessi che hanno paura di farle vedere [le stranezze]
sono i primi che giudicano chi le ha.”
Sean

“La prima volta che ho limonato qualcuno è stato in festa.. è stato orribile però
ero molto orgogliosa e mi ha stra disinibito il valore del bacio a cui prima davo
importanza, e poi è andato a scemare.. ora dovrei riacchiapparla. La prima volta
che mi sono drogata di md è stata in festa ed è stata anche la più bella e il fatto
che la prima esperienza con la droga sia stata così positiva è stato uno dei motivi
per cui apprezzo le droghe.. dato che la mia prima esperienza è stata positiva
è come se avessi più fiducia rispetto alla possibilità di non avere come prima
esperienza una brutta esperienza. Poi agli altri frena molto di più mentre a me ha
fatto prendere le droghe con molta leggerezza, come se le droghe fossero fatte
per me, ma non nel senso che mi drogo tanto ma nel senso che prendo le droghe
come una persona che reagisce bene e non mi terrorizza prendere le cose per la
prima volta.”
Ortensia

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“E invece i cazzo di posti che frequentamo noi
porco****. Perché nonstante ci fossero così tante
pischelle in quel posto di merda [club del quale
parlava in precedenza] la fila scorreva. I posti
che frequentiamo noi c’è una fila sempre tipo..
20 minuti di fila che sicuramente dici c’è tanta
gente, ma gruppetti di 3/4 persone che entrano
al cesso e ci rimangono 30 minuti e poi escono,
o almeno 10 minuti ci restano. E quindi c’è tutta
una dinamica che è strana.. perché ovviamente
la gente va in bagno e va a drogarsi, ma tanta
gente. Il fatto è questo, che non è poca gente, e
quindi chiaramente fai tappo. Comunque sempre
simpatico perché vai in più persone, pisci tutti
insieme, poi ti droghi sei un po’ così, ti fai le
fotine simpatiche e poi non c’è troppa differenza
di genere.”
Natalia

“Sono sempre stata una persona molto fifona


sulla questione delle prime volte. Su tutte quelle
che sono le esperienze che possono alterare
la tua situazione all’interno del club, come
utilizzare droghe, sono sempre stata spaventata
per provare questo genere di cose quindi non
mi sono mai sentita appartenente a quel tipo di
situazione nonostante la rispetti e sia una cosa
che comunque possa capire da parte degli altri.”
Maria

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Un rito psicotropo in poco più di un metro quadrato

“È proprio il rituale di mettersi lì, andare in un bagno, mettersi l’ con gli amici, fare su le
righette e parlare nel frattempo e poi tocca a te, tocca a te, tocca a me
Iside, B03FOO

Le sostanze stupefacenti sono l’attore principale in scena, ma non possono es-


sere sottostimati gli altri coprotagonista non-umani, perché all’interno di questo
teatrino sono dotati anche’essi di un certo carisma (Petrilli, 2020, p. 204-206).
Per le droghe da sniffare prima di tutto, serve un <<tavolo operatorio>>, una
superficie rigida come uno specchio o uno smartphone dove spargerle e poterle
lavorare (ivi). Poi c’è la scheda di plastica, <<il ferro del mestiere del chirurgo,
grazie a cui compie questa difficile operazione>>, mentre una mano tiene sal-
damente lo specchietto o il cellulare, l’altra schiaccia con la scheda i cristalli di
ketamina o i pezzi di cocaina, per renderli più fini possibili e facilitarne la poppa-
ta, ma anche per aumentarne la quantità da spartire tra gli adepti al rito (ivi). Con
la stessa scheda sono, poi, preparate e disposizione ordinatamente le strisce
(ivi). Infine, l’ultimo coprotagonista è la banconota (o un qualsiasi altro pippotto),
arrotolata con cura dagli assistenti del chirurgo, grazie alla quale si potrà inalare
la sostanza (ivi). C’è in generale una tensione palpabile, che vale anche per la
preparazione di tutte le altre droghe.
È a tutti gli effetti un rito sacro che stabilisce ad ognuno dei partecipanti un ruo-
lo: la perizia di chi prepara la riga, l’attenzione di chi gli sta attorno, lo scambio
e le richieste relative agli strumenti del mestiere — <<qualcuno ha una cartina?
Chi ha fatto il pippotto? Non è che ti avanza un’aggiuntina? C’è da pulire il cell,
chi si sacrifica?>> (ivi). Ecco perché diventa fondamentale scegliere con cura le
persone con le quali condividere quesi attimi. Nel caos di una evento di musica
elettronica ci si prende una finestra temporale di totale riservatezza per poter
stare con persone care, con cui mettere in scena il rituale, anche grazie alla reci-
proca fiducia e all’alchimia che si crea ogni volta (ivi).
I clubber descrivono questa esperienza come un rito, perché definita da azioni
ripetute di volta in volta, sempre allo stesso modo, in maniera quasi liturgica (ivi).
Al piacere artistico dello stendere le righe, c’è il piacere pratico di tirarne. Il resto
viene da se, la botta inizia a salire un po alla volta, mentre si esce composti dal
bagno o dovunque ci si sia messi, e ci si prepara all’estasi in arrivo assieme a
quelle che alcuni descrivono come formicolii o vampate di calore.

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“Becchi un sacco di gente strana nei bagni. Una volta
stavo facendo una serata a Padova e c’era sto tipo che
era il pr del club che mi ha buttato un botto di bamba.
Era tipo brasiliano, gay e mega arrapato e mi fa tipo ‘ti
offro tutto, tutta la bamba che vuoi, tutto il bere’ e io
ero tipo ‘bella ci sta haha, offrimi pure io non ti chiedo
niente ma se tu vuoi me la butti’. Entriamo in sto bagno
che era pieno di tipe bimbo, con le tette immense,
le labbra rifatte e poi c’era tipo sto vecchio con
l’orecchino con la croce cristiana e tutti gli gridavano
del borghese e lui era stra disagiato è uscito dal bagno.
Ho fatto varie botte col tipo che dicevo e una delle volte
in bagno c’erano due che scopavano. Il bagno era uno
solo e lui è entrato comunque perché era il pr e non
gliene fregava un cazzo. Entriamo e c’eravamo noi due
a farci le raglie e a due tre cm questi che scopavano e
il tipo continuava a dirmi ‘beh lui è un dio greco, lui è
bellissimo’ e io che reggevo il telefono gli dicevo ‘eh sì
effettivamente’.”
Philip

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“Allucinogeni non hanno un ruolo per me in festa, perché come
sono io non li concepisco in festa. La cocaina se sono stanca
e mi è offerta non dico di no, ma non sarebbe mai qualcosa
a cui aspiro o a cui penso durante la serata. L’md era la mia
preferita.. adesso la mia preferita.. gli allucinogeni ma non me
li posso fare in festa quindi rimane l’md ma non è la mia droga
preferita. Mi piace perché non ho più i recettori di guardarmi
intorno e analizzare gli altri ma vivo solo la situa, come se
fossi ubriaca come lo sono gli altri e non come lo sono io. Però
mi rende troppo flirtosa quindi molto spesso sono a disagio
perché poi mi sento molesta. Se mi piace qualcuno al party
dunque non mi faccio perché ho paura di fare casini. Poi boh
mi gaso un sacco, ballo di continuo, duro tanto con l’md però
mi fa anche una faccia orribile, sembro un po creepy. Poi la
ketamina la detesto, non riesco a dire di no.. perché ho dei
bellissimi ricordi con la ketamina che ogni volta punto ad avere
ma mi rendo conto che quei ricordi sono solo belli perché non
ero in festa e mi devo mettere in testa che ketamina e festa non
si possono combinare perché mi rendono rincoglionita, sparsa,
goffa e poco agile e molto più recettiva e mi da fastidio. Il rito è
che se è una festa grande e mi voglio divertire e a cui tengo, la
compo e se solitamente la compro è l’md. Altrimenti è vedere
chi c’è intorno se qualcuno se la fa e solitamente farmela offrire
perché se la compro è prima della festa e non durante e devo
stare attenta a quanto sono ubriaca.. a volte preferisco ad
essere sobria per drogarmi e se sono ubriaca mi viene da dire
di no, poi vabè cedo. I momenti in cui più spesso me la faccio è
di mattina, quando è già mattina e tutti hanno la droga in tasca
avanzata e sono così fuori che la offrono a chiunque passi e
quindi finisco per drogarmi quando la festa è finita e tornare a
casa strafatta e dormire strafatta.
Ortensia

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Giulia: Per me la marijuana è una droga rilevante sia
in serata che nei giorni posteriori.. quindi se bevo,
fumo anche di base. Se in serata decido di divertirmi
in un modo un po’ diverso, quindi usando non solo
alcol ma altre droghe, la marijuana diventa molto
utile il giorno dopo per tornare nel mondo reale e a
farmi sentire felice.

Filippo: Qualche canna nella chill zone e poi basta


si entra, se capita anche dentro.. non spesso ma se
capita è divertente dentro.. manca un po’ il respiro
ma per quello c’è la bottiglietta d’acqua.

Giulia: Molly is a cheap vacation!

Bianca: Esco dalla discoteca perché costa troppo,


vado in macchina.. bevo e faccio su e giù bevendo
come una merda e poi è divertente.

Lara: La mia sostanza preferita è l’alcol. Bevo e


conosco anche i miei limiti.. alcol la prediletta.

Natalia: Lo vedi che c’ha ragione Er Chicoria che la


droga maggiore è l’alcol

Lorenzo: Ci son stati periodi in cui era più rilevante


l’uso di droga, poi ci son stati momenti in cui ci si
rende anche conto.. quindi si fa a meno di queste
cose e ci si gestisce meglio. Certe volte mi piace
farne utilizzo, non faccio un uso frequente però
qualche volta mi scappa quella scimmia e ci sta.

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La farmacopea del clubbing

“Io sono un amante della marijuana, e quindi per me il rito è prima di andare alla
festa mi ritaglio mezz’oretta, tre quarti d’ora dove mi giro 3/4 spinelli fatti da
dio a bandiera.. purini, perfetti e quello di base è la routine sempre. Se esco a
far festa ne ho 2/3 in tasca se è un festone 4 e così. Poi va be come stasera se
c’è anche in caso un po’ di md roba del genere, semplicemente tiro fuori tutti i
cristallini, li sgrano, li faccio in polvere e li butto dentro ad una fialetta che tengo
in tasca. Così quando arriva il drink nella bottiglietta basta solo che apro la
filetta e <<fiu>> faccio la correzione ed è sistemato.”
Michael

La società contemporanea dimostra la propria essenza farmaco-pornografica


anche nell’abbondanza di sostanze messe al servizio di desideri e delle neces-
sità Performative dei clubber, come dimostra la citazione di Charles (B06MYO)
(Petrilli, 2020, p. 208).

“Ogni droga ha un certo uso e io le uso per quello di cui ho bisogno. Quindi la speed
serve per avere un più di energia e concentrazione, mentre l’ecstasy è per metterti un
po’ più nell’umore e rilassarti un po’. Poi bevo per rilassare il corpo e i muscoli, fumo
[cannabinoidi] per lo stesso motivo, per abbassare la pressione sanguigna. Ma la mia
droga principale è la ketamina”

Dalle parole di Charles capiamo come ogni droga abbia un diverso uso in base
anche chiaramente all’effetto. Petrilli percorre le varie sostanze attraverso la te-
stimonianza delle sensazioni dei suoi interlocutori. Arriva a parlare di droghe de-
nominare downer che portano ad uno stato di pace e concentrazione interiore, a
differenza invece degli upper come la cocaina, l’MDMA o la speed che sono “in
grado di dare quella scarica di energia necessaria per staccarsi dalle stanchezze
quotidiane o per continuare a ballare dopo ore sotto cassa”. Le differenze sono
molteplici e i clubbers ne fanno uso non solo in base alla situazione e il momento
della serata ma anche sulla base di una preferenza soggettiva. C’è chi ama l’em-
patia e i trip dell’MDMA, chi invece vuole sentirsi “re del mondo” con la cocaina
ed energizzarsi.

Matteo: Secondo me il bello di questo genere [eventi] è che è fruibile


e godibile anche senza sostanze però.. c’è sempre un però. Nel
senso che dipende anche un po’ dal gruppo, dalla vibe che c’è. La
cocaina è molto più versatile, è anche un po’ più conviviale
Sconosciuto: Grande Matte!
Barbara: Grande Ivan!
Matteo: A livello di stare insieme, a livello di godersi ala musica MD.
Però ripeto per questo tipo di eventi, se lo fai, meraviglia, sei uno
scalino sopra, però se non lo fai è comunque apprezzabile a tutto
tondo lo stesso.
Barbara: Condivido!

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Il policonsumo, “giocare come Alice nel paese delle meraviglie”

Sono state attraversate molteplici droghe nel corso degli ultimi capitoli in
relazione alle diverse situazioni: “dalle canne fumate mentre ci si prepara in
tutta tranquillità, alle raglie di speed o coca per caricarsi assieme ai propri
amici nel pre-serata, passando per i beveroni mentre ci si dirige verso l’entrata
o i cocktail e gli scottino al bancone della discoteca, fino ad arrivare dentro il
bagno in cui ketamina e MDMA la fanno da padrone, il tutto naturalmente intra-
mezzato da sigarette, per chi fuma” (Petrilli, 2020, p.217). Chiaramente non è
da generalizzare questo tipo di attitudine, c’è chi preferisce proprio non assu-
mere alcuna droga ed essere soddisfatti anche solo con l’alcool.

Secondo me l’alcool basta e avanza per divertirsi. Io senza alcool ho sempre un


problema del giudizio degli altri. Ma quando beviamo, il giudizio altrui va a farsi
fottere e lì siamo noi stessi. Che sia l’obbligo degli amici, che sia un’influenza
esterna purtroppo c’è chi si droga ma dipende.. chiariamo perché se è tipo una
volta ogni 6 mesi in cui sei in una serata in cui vuoi dimenticarti di tutto ci sta.
Ma se tu, la tua serata dipende dalle droghe purtroppo amico mio hai fallito nella
vita.
Sean

Simone (B01MOO) adotta un’immagine molto pertinente per presentare l’atti-


tudine dei policonsumatori: è un po’ come “giocare come Alice nel paese delle
meraviglie, no? La metà sinistra ti fa diventare piccolo, la destra ti fa diventare
grande, per cui continui a prendere una cosa che ti abbassa e che ti alza” (ivi).
Fare questo tipo di gioco tra upper e downer ha anche una sorta di ruolo fun-
zionale per gestire le energie e limitare i post-sbornia. Diversi sono le combina-
zioni. L’accostamento più comune e chiacchierato tra i clubber negli ultimi anni
sembra essere il cosiddetto Calvin Klein, sorta di speedball contemporaneo,
in cui la combo tra Cocaina e Ketamina si sostituisce a quella tradizionale tra
cocaina e eroina.

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“[La droga] ci sta se sei consapevole di te stesso e di come il tuo corpo
reagisce.. why not? Poi a Londra è nel quotidiano. Una volta ad halloween,
ero vestito da suora, sono finita in questa camera da letto e c’erano
altri ragazzi e abbiamo iniziato a parlare e loro erano seduti a triangolo
e si passavano questo toast al formaggio, cioè un morso a testa. Poi un
tipo tira fuori il MacBook del mio amico e si fa una riga di coca sopra il
MacBook e il mio amico fa ‘no cazzo non sopra il mio MacBook’ e allora
poi prendono un vinile e si passano prima il toast e poi il vinile e pippano
sopra il vinile e alla fine volevano darmi l’ultimo angolo del toast al
formaggio.”
Gloria

Philip: La bamba spacca, secondo me è una bella droga solo che poi ti
manda in uno stato troppo espansivo e sembri un po’ un coglione. L’md
la facevo spesso, ora più raramente. Ora che mi sento un attimo più
maturo mi drogo in maniera un pochino più smart, mi faccio due tre raglie
di bamba che sono relativamente più ‘sane’ di una raglia di md, anche
la ketch mi sfasa, fumare non fumo. L’md cerco di prenderla raramente,
bamba la farei spesso ma costa quindi di solito è offerta, almeno due
tre volte a settimana. L’m ho spesso esagerato, ora cerco di prenderla
meno. Prendo cartoni molto volentieri, ma raramente trovo cartoni buoni.
Ma secondo me pippare è stra erotico, stra arrapante. Una cosa stra
sbagliata ma fascinosa.
Carlotta: Anche a me piace molto il gesto di pippare, poi penso che
c’è questo fascino perché è una cosa sporca ed underground. Anche
quelli che lo fanno in alta classe lo fanno perché è comunque una cosa
sporca, proibita.. che ti fai un botta di.. ti senti stra cool in un film. Io
principalmente comunque md e ketch. L’atto di drogarsi comunque anche
lì è un momento di forte condivsione, cioè non vai mai a pippare da solo..
io lo faccio ma solitamente solo se ho stra voglia e nessuno intorno a
me ha voglia. Però di solito ad una festa c’è sempre qualcuno, lì spesso
o lo fai con amici o anche con gente a caso e anche lì hai un modo di
socializzare ed incontrare persone. È condivisione.. ‘tu hai questo, io
ho questo, tu mi offri questo io poi ti offro questo’. Trovi un posto un po’
nascosto, di solito il bagno, tiri fuori le carte, telefono, pippotto, tiri fuori la
busta prendi un po’ di polverina, la spezzi, fai le righe. Io sono una master
nell’arte di fare le righe, sono una perfezionista, le faccio sempre perfette,
poi fai il pippotto con quello che hai. L’md invece di solito io facevo la
bottiglietta adesso prendo sempre o in cartina o.. boh perché ha un gusto
di merda, è stra amara quindi se la metti in cartina.. cioè prendi un pezzo
di cartina ci avvolgi l’m e la ingoi.. oppure la ragli ma brucia tantissimo e
fa meno.

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“Farmi più droghe dipende dal periodo della mia vita,
dipende da come sono presa dalla festa, dipende da qual è il
policonsumo ma se dovessi dare una risposta direi di no.”
Ortensia

Carlotta: Non mi faccio mai solo una droga, a me piace proprio


l’effetto che hai mischiando più cose. Per esempio alcol, ketch
md. Io lo stato migliore che mi sentivo da dio, su un altro
pianeta, rilassata e top era quando ho mischiato un botto di
droghe diverse. I stan policonsumo.
Philip: Quando sei in quello stato alterato ed adrenalinico
qualsiasi cosa ti passi sotto mano te la fai. Ovviamente se sei
un minimo lucido non ti fai di eroina, ma se ti buttano un po’
di md, un po’ di bamba, un po’ di ketamina, qualsiasi cosa è
fattibile e dici ‘ormai sono qua’ e niente io mischio spesso
anche alcol, fai un po’ mega cocktail di qualsiasi cosa. È
anche naturale quasi, se sei in festa e sei una persona che si
droga non sei mai soddisfatto da come ti senti, vuoi sempre
raggiungere uno stato un pochino più fuori.
Carlotta: Per me la migliore è stata Md, cartone, ketch, alcol,
erba e bamba.
Philip: Anche per me la combo perfetta è la stessa, senza erba,
ho pippato un botto di bamba, preso dell’md, ketch e poi alla
fine un cartone potentissimo da secondo me 250 o forse un
pochino di più.. ho visto i mostri, è stata una nottata assurda
veramente, con viaggioni potenti. Ora non sono mai soddisfatto
quando faccio un cartone perché non raggiungo mai la stessa
sensazione, è stata la mia prima e mi ha mega svoltolato.
Carlotta: Ma la mia combo di base solita ormai di ogni serata è
md, alcol, ketch.. quella è sempre..
Philip: È la più cheap anche, la meno costosa, la ketch non
costa niente..
Carlotta: Ormai per me è una fissa di doversi sentire alterati,
anche se comunque da sobria son presa bene e ballo
comunque. Parlando di clubbing se sono sobria ho comunque il
pallino di alterarmi.

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PRIMA DI FROM IN CHE AMBIENTI
LAVORAVI E TI AGGIRAVI?

COME TI SEI AVVICINATO A FROM/


COM’È NATA L’IDEA DI FROM?

COS’È FROM DISCO?

CHE ASPETTI SONO FONDAMENTALI


NELLA CURA DEGLI EVENTI FROM?

PARLATE SPESSO DI FAMIGLIA,


COSA RAPPRESENTA PER VOI
QUESTO TERMINE?

QUAL È LA DIREZIONE CHE STA


PRENDENDO FROM?

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Max Trevisan, fondatore e curatore di From Disco To Disco e owner di
Cantina del Tormento “Alle Erbe”

Parte tutto un po’ quando avevamo 14/15 anni. Io e Andrea Comparin giravamo
tantissimo per il centro di Vicenza e inseguivano un po’ la gente più grande,
quella che comunque era dentro il Club, al Totem. Seguivamo le pubbliche
relazioni e abbiamo sempre sognato, a quell’età, di cominciare andare nei club e
ci andavamo. Avendo degli amici all’interno, non si poteva entrare perché erano
VM18, però noi riusciamo a frequentare questi ambienti e quindi vederli non solo
dall’esterno.. perché da ragazzino sei ancora un po’ bocia, quindi fai fatica subito
ad entrare un po’ nel mood. Avevamo una grande passione per la musica, quindi
organizzavamo prima ancora di entrare dentro il club delle feste nei nostri paesi.
Facevamo questi free drink, invitavamo la gente e suonavamo la musica che ci
piaceva, tra cui Ciompa, al tempo, già suonava con la batteria elettronica a fianco
al dj set, che quando avevamo 14 15 anni non esisteva. Oltretutto eravamo tutti
all’interno della musica perché tra i vari stili, metal, hard rock ecc, comunque
frequentavamo tanti eventi. Quando siamo entrati abbiamo cominciato a fare
pubbliche relazioni per questo club che faceva quattro sabati al mese. Lì vivevamo
il club commerciale a Vicenza però vedevamo che c’erano dei grossi problemi:
cioè ci annoiavamo molto. C’è stato poi tutto un periodo electro che stava
nascendo e quindi avevamo la fortuna che giravamo un po’ tutto il nord Italia, tra
cui anche il Trash Dance, dove suonava al tempo The Bloody Beetroots, Steve
Aoki, Justice, SebastiAn e altri.. tutti questi artisti che erano l’avanguardia della
musica elettronica di quel periodo, non era ancora della grande massa. Quindi
frequentando questi ambienti finivamo a casa degli organizzatori, gli after party
con gli artisti e quindi anche i The Bloody Beetroots senza maschera.. e lì partiamo
dunque a fare i nostri dj set. Avevamo 17 18 anni e Buffa lì crea il primo aperitivo a
Vicenza chiamandolo From Disco To Disco, per la connessione della canzone dei
Whirpool Productions. Questo perché mancava una situazione pre discoteca. Noi
davamo una mano, io ero stato visualizzato da Buffa come un possibile precursore
per portar avanti questo evento e all’età di 18 anni me lo da in mano con altri tre
soci, che erano un po’ più commerciali, che forse non facevano grande ricerca
sulla musica. Invece noi continuavamo a dire ‘cazzo per noi è un problema perché
giriamo sempre tutta Italia per andare agli eventi fighi anche fuori dall’Italia però
qua a Vicenza non c’è nulla’. I primi aperitivi li facevamo al Borsa e riempivamo il
venerdì sera tutto l’androne della Basilica Palladiana con musica elettronica. Per
fortuna poi andando avanti, io ho continuato a lavorare nel mondo degli eventi,
abbiamo fatto il cambiamento. Questi soci sono andati via e io ne ho portati dentro
altri, perché avevo preso in mano un po’ le redini. Da lì abbiamo sviluppato quella
che è la parte musicale, che poi negli anni è cambiata molto, in base un po’ alle
tendenze che a noi piacevano o alle pre tendenze che ascoltavamo e volevamo
proporre per portare cultura qua a Vicenza. Io prima di fare pubbliche relazioni, ho
lavorato in qualsiasi tipo di mondo. Da industria di varie tipologie, a fare discoteca,
studiavo economia, poi ho studiato ingegneria, non ho finito gli studi perché non
mi stava dando qualcosa in più.. Però ho sempre lavorato nella socialità, quindi
stare in mezzo alla gente, vendere o vivere.

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Dopo che Buffa me l’ha proposta, io ho spinto per fare il primo evento alternativo
qua a Vicenza. Alternativo intendo con le nuove musiche.. perché vedevo la
situazione che era molto divisa a Vicenza: c’era tutta la parte Hardcore super
presente che è sempre stata la parte storica di Vicenza, se pensi ai Derozer, i
Dufresne.. tutti gruppi che sono diventati un po’ famosi.. tra cui anche Marco
Corona (Creative director e co-founder di Ey Studio) aveva dei gruppi legati a
quel mondo. Noi non è che ci faceva impazzire quel tipo di musicala lì e quindi
volevamo dare il nostro piglio laterale. Quello che ha fatto la differenza di From
Disco To Disco era che noi eravamo persone che facevano rete. Al posto di
guardarsi attorno e non cagare nessuno, cercavamo, essendo in una provincia
sconosciuta, di far rete con le province più importanti: città come Milano, Roma,
Napoli, Torino, per far sì che venisse visualizzata la nostra città e che venisse
conteggiata. Infatti c’è stato un periodo che venivamo visualizzati sempre più
all’esterno che su Vicenza, e tutt’ora tante volte è così. Se andiamo a Milano, parli
di From Disco, di me, Ciompa o altre cose sanno chi siamo, tante volte parli qua
ad un ragazzino e ti dice ‘cosa?’. Io sono stato dietro a tutto il movimento degli
eventi qua a Vicenza. Negli ultimi 10 anni di eventi a Vicenza io c’ho messo lo
zampino, o le persone che adesso li fanno sono gente che ha lavorato con me.
Però questa cosa è sempre stata sconosciuta nel senso che io mi sono sempre
tenuto nell’ombra. Non sono stata una persona che ha voluto farsi vedere o che
ha voluto mettersi come front off. L’importante era l’obiettivo finale, quindi di far
delle cose belle, che se ne parlasse, la gente si divertisse. Tu comunque devi
portare nuova musica ma devi far star bene la gente che viene al tuo party.

From Disco è un recipiente culturale, dove ogni anno e ogni generazione, dal
2008.. sono un bel po’ di anni.. è un involucro di nuove tendenze, di cultura, di
persone che si possono esprimere tramite un evento, che comunque anche se fa
molte cose differenti ognuno sa che come una famiglia ci si può tornare. È stato
un modo per tanti di sviluppare le proprie passioni e trovare anche un lavoro in
realtà legato a quella passione, per dei contatti in più.. che From Disco To Disco
ha sviluppato.

Il lato musicale è quello che deve divertire la gente, deve esserci sempre una parte
comunque di innovazione all’interno dei set. Quando è nato From Disco To Disco
è nato perché doveva far sì di creare eventi in posti degradati di Vicenza. Posti che
non erano stati visualizzati dal comune e che erano lasciati andare. I primi eventi
dopo il Borsa, abbiamo scelto Campo Marzo, nessuno avrebbe fatto Campo
Marzo. Noi abbiamo portato 1500 persone al venerdì sera allo Smeraldo, in tempi
non sospetti, che adesso tutti fanno gli eventi allo Smeraldo. A un cazzo di soldi e
lo facevamo perché il nostro intento era portare gente lì e creare movimentazione.
Situazione super underground, nessuno vuole andarci.. cerchiamo di fare
movimentazione. Da lì a sotto le mura, ai Giardini Salvi.. i Giardini Salvi era un
posto dove prima nessuno faceva niente e i primi siamo stati noi. Quindi gli
ambienti che scegliamo devono essere degradati, dove creare una situazione,
dove con un allestimento con quattro luci riesci a fare comunque la differenza.

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E poi noi comunque anche sugli allestimenti guardavamo tanto all’estero. Tanto
Londra quelli che sono i Block Party, quindi che bastano veramente quattro casse,
un bel Sound System, allestimenti super semplici ma che ti danno una bella
situazione differente, e quello è il punto focale.

La famiglia è un posto dove ci si aiuta. Forse la famiglia è l’unica situazione dove


non dovresti mai sentirti tradito. Per me questo è famiglia cioè io magari non ci
sono sempre però sanno che nel momento che alzo il telefono per qualcosa che
serve io ci sono e gli risolvo il problema. Quello deve essere una famiglia. Famiglia
quando tu sei tanto giù, che ti dia affetto e ti dica ‘sei bravo stai facendo la cosa
giusta’ oppure che ti dica ‘guarda che è una cazzata, devi fare differente’ perché si
deve essere schietti, si dicono le cose come stanno, bisogna darsi una mano per
migliorarsi. Allora quella cosa lì [la comunità] ad esempio in 12 anni.. le persone
che hanno frequentato From Disco sono state le più disparate. E c’è sempre stato
ogni generazione, io dico generazione con 3 anni per un evento perché ogni tre
anni devi ricambiare altrimenti vai verso la ricaduta, ti devi dare innovazione.. ogni
3 anni cambiava anche la clientela e la gente che veniva. E la cosa molto bella di
From Disco To Disco è che la clientela o ti ama o ti odia. Quindi quelle persone
che ti amano si legano molto al party, quindi ti seguono ovunque qualunque cosa
tu faccia. Che ci siano poche o tante persone gli viene proprio fuori questa cosa..
quindi la comunità per me sono queste persone che ogni 3-4 anni seguono molto
al party perché in quel momento lì gli dai quelle bellissime sensazioni che li porta
a sviluppare anche mentalmente eventi o altre cose proprio lavorative negli studi,
che gli da la forza di fare anche a loro qualcosa di differente, questa è la comunità.

In questo momento, dopo tanti anni che seguivo io, sta prendendo la sua via. Nel
senso che con Gaz, Ciompa, Tino, Gigi, Dido e con te e con altre persone che
ci lavorano dentro, Isacco e tutti.. sta prendendo la direzione di dire ‘facciamo
delle cose totalmente disparate, tipo Amok. Che è una cosa un po’ matta che
nessuno.. anzi anti-imprenditoriale fare quell’evento lì.. però perché abbiamo
bisogno di nuovi stimoli per me. Quindi le persone che in questo momento stanno
lavorando dentro From Disco To Disco e lo portano avanti, perché non è un vero e
proprio lavoro.. nel senso che comunque economicamente è già tanto tirare fuori
il rimborso spese.. è proprio quello di sviluppare scenari, come quando era per Il
Club è morto, preannunciare, come quando è stato nel 2019 con il festival sotto
le mura con quei tipi di artisti. Quindi per me in questo momento è una situazione
nebulosa di movimento. Si sta capendo dove stiamo andando a finire. Perché
comunque c’è un cambio musicale in questo momento e non si sa bene dove
si sta andando, anche se c’è un fattore sociale molto importante di cattiveria, di
rabbia verso lo stato, verso le situazioni delle persone. Quindi per me è proprio un
movimento di transizione. Ci sono due possibilità: una che si facciano delle cose
sempre più matte, si vada più avanti e qualcuno veramente si prenda nel cuore di
far tutto e quindi di rilanciare o se no quello che si possa da From Disco To Disco
sviluppare altre situazioni.. che potrebbero chiamarsi in altre maniere ma che
comunque sotto ci sia lo stesso filone. 

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Munstac (Andrea Comparin), dj resident e curatore FDTD, Tropical
Animals and producer

Beh allora per quanto riguarda il pre From, in realtà non c’è un pre From perché il
From è stata una delle prime cose che ho fatto, nel 2008 quando era ancora un
aperitivo sotto la Basilica, con Buffa. Avevo iniziato con questa passione del dj,
facevo qualche festa nel mio paese, a Polegge con Max, e dopo siamo entrati nel
Totem.

Appena siamo entrati al Totem, con Buffa, subito Max ha preso come direzione
il From Disco To Disco. Parallelamente poi io ho studiato musica elettronica
al Conservatorio e ho fatto delle mie produzioni, ho ampliato un progetto mio
d’artista che andava a pari passo con From Disco.

From Disco To Disco è la possibilità che abbiamo avuto noi di proporre alla città
qualcosa di alternativo rispetto a quello che c’era a livello musicale, a livello di
socialità e anche a livello di amicizie perché abbiamo potuto conoscere altre
persone, di altre città, di altre realtà che avevano come obiettivo comune il nostro:
quello di fare musica indipendente, che fosse elettronica, prima era più live..
dopodiché abbiamo visto che funzionava bene anche nel clubbing con dj, musica
insomma ballabile, house, techno e quant’altro e ci siamo buttati su quella roba lì.

Innanzitutto è l’ambiente che scegliamo, la location che deve avere certe


caratteristiche. Max è quello più ferrato su questo, sull’allestimento cosa fare, cosa
non fare. Come presentare la serata alle persone, quando arrivano, creare una
comfort-zone, che non sia troppo pettinato.. che non ci siano dei cliché insomma..
discoteca, discotecari noi siamo sempre distaccati da quell’idea lì di ambiente
insomma. Come dice sempre un mio caro amico, che è uno dei resident..
Gigi.. From Disco To Disco è un ambiente più che essere una realtà musicale.
Un’ambiente nel quale si sta bene.. insomma un certo gruppo di persone stanno
bene.

Perché quando qualcuno ha un problema ci siamo sempre. Cerchiamo sempre di


aiutarci, cerchiamo sempre di dare una mano. Ci siamo sempre l’uno per l’altro.

From Disco non sta prendendo una direzione, ma sta proseguendo sulla strada
che abbiamo fissato negli anni. Quella di fare musica da ballare, quella di
promuove artisti indipendenti, emergenti che sono della scena italiana e anche
estera nella città di Vicenza.

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Gaz (Alessandro de Re), dj resident FDTD, Art Director e curatore FDTD,
Photographer

Ho iniziato facendo una festa mia, dopo le superiori si chiamava WAVE.. era il
culmine della techhouse, house e iniziavano ste feste e tutti volevamo farle, poi
chiaramente avevo bisogno di un network, molto 2013, e quindi ho chiesto ad
Antonio, se mi dava una mano e mi ha messo in contatto con tutta la cricca di
Arzignano, Valdagno, OASI, Techno Remember ecc e ho iniziato a fare questo
evento estivo che è andato discretamente bene e diciamo mi ha aperto le porte
per entrare a lavorare con queste persone. Poi da lì è andato tutto molto in
fretta, complice anche del fatto che avevo due discoteche di mio padre. Ho fatto
un po’ il pr, suonato qualche serata, montaggio e smontaggio del back, della
console, dell’impianto e così ho conosciuto molto i service e iniziato ad avere delle
competenze in materia. Poi mi è stato proposto di entrare in società con OASI.
Ho accettato però ho detto portiamolo via e iniziamolo nel clubbing, iniziando così
un progetto peso per quegli anni di melodic-house, arrivando ad ospitare gente
veramente importante in anni in cui i nomi grossi giravano in provincia. Potremmo
dire real underground per quel segmento di tempo che adesso sarebbe super
commerciale. Arrivando poi a diventare sempre più grossi con collaborazioni
importanti come Altavoz, e quella diciamo era l’espressione massima. Negli anni
maturavano visioni differenti ho sciolto la mia parte di società e mi son messo da
solo. Mi son aggregato subito a Nacht perché in quel momento ero molto preso
dalla techno ed era anche una cosa molto underground all’epoca, fare feste con
musica così “violenta”. Poi mi son distaccato fino a quando è arrivata la chiamata
di From Disco, prima come dj e poi pian piano con la fiducia di Max ho preso
le redini della direzione artistica, suonandoci dentro ma creando comunque un
progetto fino alle idee più radicali pre-covid tipo “Il Club è morto”.

From Disco è sempre stato un contenitore ibrido che era difficile identificare se
non c’eri dentro, sempre con una carta abbastanza figa. Sempre visto bene. Io
vengo dall’epoca delle faide tra staff però From Disco era sempre visto bene,
non invasivo, non faceva paura a farci una festa sopra ed era già tanto. From
Disco prima di me era una cosa un po’ astratta a cui ci si andava o non andava,
senza magari un’identità ben precisa. Cosa che magari son riuscito a dare io una
volta entrato è, in un anno e mezzo, a spostare la percezione di From Disco in un
qualcosa di più underground e più club. Quindi per me è un po’ la casa dove ho
potuto esprimere tutto quello che volevo, che sia un messaggio musicale o visivo
o di dimensione dal club al vernissage, al festival. È un po’ un piccolo mondo dove
fare cose.

Dal 2017, secondo me, nella nostra zona c’è stata una crisi di questo tipo di
eventi. Dal reggeaton, all’hip hop che è diventato un evento commerciale e non
più da Via Zamenhof*. E quindi quel filone musicale ha sostituito nelle grandi
discoteche la techno, house etc. Non tiravano più e non erano più una macchina
da soldi e dunque ci siamo ritrovati a lavorare con un bacino di utenza basso.
Allora lì non era più il nome che portavi, il dj che facevi ma quello che faceva
* Via conosciuta nella scena underground hip hop vicentina per i suoi eventi al Nuclub

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funzionare la macchina era tutto quanto. Un apparato unico, che va dall’estetica
di chi lo forma all’estetica della comunicazione all’estetica della serata, e poi
andando ancora più dentro al sound della serata. Tutti aspetti quasi aziendali
diciamo.. un’immagine coordinata necessaria per tenere questo bacino di persone
e farle riconoscere in un qualcosa. Non era più come una volta “ho 20 pr.. ho
l’ospite da Berlino.. apro la discoteca faccio il pieno”. E quindi From Disco sembra
una Factory di Andy Warhol, perché c’è stata questa necessità di curare tutto.
Poi vabe nel mio caso sono una persona che vuole curare tutto, dall’estetica
al suono.. pane per i miei denti. Max mi ha sempre dato grandi libertà quindi
abbiamo potuto esprimerci come meglio volevamo.

La famiglia, si dice tante volte, che non è quella dove nasci ma quella che crei o
ti scegli. Puoi creartela tra amici e i collaboratori sono la famiglia che hai scelto
e sono persone trasversalmente affini a te. Con tutte le persone che ho lavorato
prima c’era un rapporto semplicemente lavorativo, con From invece c’è un
rapporto anche umano, di amicizia e di visione unica delle idee. Un movimento
che si possa chiamare un movimento deve creare quel senso di coesione,
magari non ai livelli della famiglia però di comunità sì. Io credo che comunque ci
sono diversi step di aggregazione tra le persone che frequentano le nostre feste.
Sicuramente se dovessimo dividere numericamente questi step, c’è una grande
parte di affezionati e di cultori diciamo della nostra proposta. Step 1 i fedelissimi,
step 2 gli affezionati, step 3 chi ci conosce compiacente, step 4 via così fino a chi
magari capita per caso. Credo abbia una forte componente emotiva e aggregante
quello che proponiamo, proprio perché scegli di andarci non è ne troppo moda ne
troppo mainstream ne troppo proposto in ambienti in cui ci andresti lo stesso e ti
va bene quello che trovi. Tante volte scegliamo uno spazio e diventa From Disco.
Quindi chi viene ci vuole venire.

From Disco sta prendendo due strade. C’è la parte super underground, dove
non devi rendere conto a nessuno, non devi rendere conto a numeri, non devi
rendere conto a niente, fai quello che ti piace, sai che hai un bacino di utenza che
ti segue e si diverte e puoi sperimentare. Puoi arrivare a scrivere che “Il club è
morto” prima che muoia col covid e fare le tue persone che vengono a ballare e
divertirti. Però diciamo c’è anche un’anima più popolare, che è quella dei festival,
delle collaborazioni in giro che richiede appunto un’attenzione maggiore a tutto
l’ambiente vicentino. Adesso la via dei party privati è più percorribile, il covid li ha
sdoganati.. quindi andiamo avanti con un progetto parallelo che è AMOK, che è
diciamo il nostro giardino dove possiamo fare quello che vogliamo senza rendere
conto a nessuno di numeri o listini. Il covid qui ha aperto al fatto che puoi fare una
festa completamente privata con una comunicazione privata e riesci ad arrivare
comunque alle persone e lì sarà diciamo il real From Disco.

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Acidgigi (Luigi Guadagnino), dj resident e curatore FDTD, BSRADIO,
Alzaya Milano

Al Nacht.. quindi ambiente techno, un po’ più cupo. Però comunque l’ultimo
periodo in cui ho fatto parte di Nacht era un po’ cambiato, perché facevo parte
di Nacht all’inizio.. adesso non mi ricordo quando è nato ma credo intorno al
2015/16. Comunque si svolgeva al Punto13, una situazione un po’ più piccola
e comunque legata alla città di Vicenza. L’ultimo periodo poi si è spostato
al NordEst, è diventata una roba un po’ più grande un po’ più da discoteca
prendendo più un’altra clientela. Nel mentre ho iniziato a far parte di From
parallelamente e poi ho deciso di rimanere solo al From ma non con cattiveria ma
per quello che volevo fare io musicalmente.

Per me è un caposaldo della mia città dal punto di vista di musica e tendenza
soprattutto. Un po’ un mood, una scuola, quasi un pensiero di cos’è Vicenza. È
cambiata spesso la mia visione del From Disco però io son partito da qua e sarò
sempre e comunque del From, indipendentemente da ciò che faccio.. poi io non è
che sia Sven Väth però..

Per me intanto è la coerenza, che la cosa più importante per il From è che non
è solo una festa.. la cosa figa del From e che è sempre stata del From, anche
prima che ne facessi parte, è il fatto di fare le robe plasmate non solo su ciò
che piace a Vicenza, ma più cosa piace a noi e che dovrebbe piacere anche a
Vicenza.. e questa è una cosa molto importante del From. Cioè mai arrivare a un
compromesso, poi ovvio i compromessi esistono sempre però è stato sempre
quello il mood principale ed è stato quello che spinge avanti questo evento.
Adesso le persone è da un po’ che iniziano ad apprezzare From, però è sempre
stato molto per i cazzi propri che è la cosa comunque per me figa del From. Cioè
non diventerà mai una roba troppo troppo commerciale.. non si annoieranno mai
le persone del From perché continuerà a cambiare.

La famiglia perché prima di tutto, prima di essere uno staff, prima di lavorare
insieme siamo comunque molto amici.. anche troppo.. infatti facciamo anche
quasi fatica a prenderci sul serio su certe robe. Questa è una virtù, perché
comunque si lavora sempre meglio quando c’è quel mood là però ogni tanto
magari è un po’ un’arma a doppio taglio perché esistono anche le batoste,
esistono anche i no.. soprattutto perché è lavoro. Però secondo me questo è
il termine di famiglia. Ne facciamo parte noi dj, ne fa parte Max, ne fanno parte
anche tutte le persone come voi che avete deciso di far parte di questa cosa.
Anche Tino che in realtà è entrato molto dopo, però è da tempo che col cuore
secondo me è già dentro. [I clubbers] Per me ci sono persone che hanno voluto
far parte inconsciamente della famiglia del From quando effettivamente per un
periodo il From non c’è stato. Perché erano abituati a vedere quella concezione
di party a Vicenza, poi quando non c’è più stato la loro mente, la loro attitudine
comunque portavano là. Esempio l’AMOK.. cioè quella roba là era.. alla fine non è
che avessimo fatto questa grande comunicazione.. era un invito che ti arrivava e

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tutti si son sentiti non in dovere però han detto “cazzo si può fare festa a Vicenza,
io vado là, perché quello è il mood là”. Ed è bello anche se vorrei sempre gente
nuova, però vabbè la città è quella che è.

Io vorrei che From Disco non facesse davvero compromessi, ma non perché se
non si fanno determinati compromessi non si arrivi al risultato ma perché secondo
me le persone si fidano automaticamente di qualità. Se quando tu proponi qualità..
From Disco è così. Infatti quello che consiglio a From Disco, e anche a noi stessi,
è di chiuderci un po’ di più.

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Martino (Martino Zanovello), dj resident e curatore FDTD

Ho portato avanti con Prince (dj) due progetti tra AREA e poi VICE, che è nato
dopo di conseguenza ad AREA non potendo avere più gli spazi che avevamo
prima e quant’altro. E poi comunque sempre in ambito vicentino.

Inizialmente mi è sempre piaciuto il progetto, indipendentemente da Gigi che fosse


amico che sicuramente mi ha avvicinato molto quando Gigi è passato da Nacht a
loro. E poi lì inizialmente come supporter poi ci si stava simpatici e di conseguenza
si è arrivati a questo.

From è uno staff che secondo me si è evoluto molto negli anni e quella che è la
forma che adesso ha raggiunto, da quando comunque anni fa ha voluto fare le
cose un po’ più club, ho visto quel pensiero e cura di certe cose che sentivo molto
più mia ed è anche il motivo per il quale anche poi ho detto “okay smetto..” .. cioè
organizzassero più eventi fai quello che vuoi tu bene o male. From è stata una
cosa del “vado perché so che ho cose molto da imparare, condivido molte cose
loro” e di conseguenza questo porta molto ad evolversi, che è sempre lì la chiave
di tutto.

La cura va dalla promozione alle scelte stilistiche sia in ambito grafico che di
allestimento e il volere comunque valorizzare le cose anche senza molti fronzoli,
cose belle fatte bene con gusto che hanno una ricerca e secondo me sono
sempre appunto un sunto di anni di esperienza nel fare eventi, con Max che è uno
di quelli che appunto la vita l’ha dedicata ovunque.. che veniva che ne so magari
ai nostri eventi [AREA/VICE] e diceva “cazzo però quell’impianto lì..”. Riconoscere
il bello che c’è e poi alla fine viviamo in un’era dove mi basta già solo dietro il
telefono per prendermi le spunte e imparare molto dal mondo che c’è attorno.
From direi che è anche questo, un sunto e la sintesi di quello che sono state
esperienze, bagaglio e quant’altro.

Credo che comunque poi gli eventi musicali.. secondo me una cosa fondamentale
è la dancefloor, il ballare è una cosa che fa creare connessione tra le persone,
e avere appunto una famiglia attorno che supportano il progetto è un modo per
coltivarsi, un modo per stare assieme a persone che hanno stesse passioni.
Persone che hanno visto, persone che hanno visto in From e sono riuscite a vivere
quello che volevamo trasmettere e di conseguenza le ha avvicinate e rende questi
legami molto forti. Secondo me è anche per questo che condividi una serata,
quello che provi, per le persone che hai attorno, per la musica, per le visual, per le
luci, per tutto quello che fa parte e che arricchisce ciò che sarà la serata.

Intanto rinascere, perché dopo questi due anni la voglia è quella e sempre però
avendo un occhio verso le varie realtà, che siano nel vicentino, nel Veneto, Italia
o fuori per riuscire. La fame di riuscire a fare qualcosa di bello, di migliore che
determina quello che poi effettivamente proponiamo insomma, cioè è tutto un
ricercare.

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Daniele Didoni, curatore FDTD e member della band BRAGORA

Mi aggiravo più che altro durante serate di concerti live, festival e tutto quello
che ci va dietro. Odiavo un po’ le discoteche, quindi andavo solo ai concerti
praticamente.

Conoscevo Max, l’organizzatore, l’ho conosciuto a scuola e ho cominciato


ad andare alle serate perché comunque vedevo che la scena From Disco era
quella che mi interessava a livello musicale. Nel mentre ho cominciato anche ad
apprezzare la scena della musica elettronica e ho visto che comunque quella che
era la realtà degli eventi di From Disco era quello che piaceva a me nell’idea di
party e di ascoltare insieme della musica interessante.

From Disco è una realtà che serve portare avanti nel nostro posto, nel nostro
caso, nella nostra città, quello che è un ideale pulito dell’andare ad ascoltare un
progetto interessante che non sia legato alla commerciabilità delle serate e che
coniuga comunque l’idea di far festa facendo anche cultura.

Innanzitutto è comunque la ricerca di primo, quello che abbiamo fatto anche


col festival e con altri eventi in centro città, del ripescaggio di quei punti che
sono un po’ abbandonati che magari la città tralascia o non è abitudinaria a
frequentare. Quindi il rilancio, facendo dei party in locali, in piazze, in parchi che
sono abbandonati e comunque cercando sempre di rinnovare un po’ con un
allestimento che all’infuori di quello che è della serata normale.

Ne fa parte chi vuole inserirsi nel far party. Nel nostro termine famiglia è un
confronto anche quotidiano sulla musica, su quello che comunque può
interessare, un po’ 360 su quello che magari sono un po’ le serate che ci
interessano a livello italiano e internazionale, la musica e quelle che sono anche
le attività dei nostri dj: Gigi che lavora a Milano, Ciompa che lavora coi ragazzi di
Firenze.. Quindi anche un po’ recuperare quello che vuol dire la sponsorizzazione
del nostro nome.. nel senso di portare anche il nostro nome in altre città tramite i
ragazzi che lavorano appunto nelle altre città che fanno serate e quindi diffondere
anche quello che è un po’ il nostro nome e come vogliamo farlo, questo è
insomma il nostro genere di famiglia.

Quello che vogliamo fare è comunque renderci stabili come punto di riferimento
a chi piace un certo tipo di musica e un certo tipo di modo di fare festa, di
interessarsi alla cultura. Anche adesso con Max con l’enogastronomia, valorizzare
il territorio o di più, le realtà dei nostri dj, degli staff di altri dj che ci interessano.

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“Nightlife has always been seen as frivolous,
shallow, and derivative by the institutions that
generate and police cultural and economic capital
[...]. Nightlife serves the very necessary role of
lubricating a sense of freedom, where movement,
time, and space are there for pleasure, social
communion and musical performance[...].”
Juliana Huxtable

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“Nightlife is often looked upon as something
superficial, while I have experienced it as something
deeply profound [...] In the night hours, we are able
to explore and experience being together in a way
that opens new avenues. Nightlife is culture and
nothing less.”
Wolfgang Tillmans

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6.1 Conoscersi, accettarsi ed evolvere

In questo capitolo verrà esaminato come l’esplorazione creativa dei corpi possa
portare ad una ricerca su se stessi e un lavoro continuo di cura, grazie al club-
bing, e come esso vada verso una direzione di forme di vita più creative, sfumate
e autocoscienti (Gracieuse e Morar, 2015, p.261). Se nel capitolo precedente la
matrice spaziale è servita a delineare le principali tecnologie del potere operanti
durante un evento di musica elettronica, in questo l’attenzione al campo di bat-
taglia (Fontaine, 2013, p.1) della soggettività serve a delineare le principali tec-
nologie del sé a disposizione dei clubber, durante e dopo un evento di musica
elettronica (Petrilli, 2020, p.222-234).
Il passaggio da liberismo a neo liberismo stabilisce delle nuove dinamiche e
processi di soggettivazione. Secondo il modello neoliberista l’homo oeconomi-
cus, di Foucault (2005, p.188), esso è piuttosto un imprenditore, l’imprenditore
di se stesso. Non [è più] una società di supermercato, ma una società d’impresa
(ivi, p.130), dunque l’homo oeconomicus che si vuole ricostituire non è l’uomo
dello scambio, l’uomo consumatore, ma l’uomo dell’impresa (ivi). Byung-Chul
Han (2012, p.21) afferma che la società del XXI secolo non è più la società di-
sciplinare ma è una società della prestazione, dove i cittadini non si dicono più
‘soggetti d’obbedienza’ ma ‘soggetti di prestazione’ (ivi) e i fitness center, aero-
porti e laboratori di genetica hanno preso il posto di manicomi, prigioni e fabbri-
che (Petrilli, ivi).
Il risultato è che il soggetto di prestazione è più veloce e più produttivo del sog-
getto di obbedienza (Byung-Chul Han, 2012, p.24), perché come ha già capito
Marcuse (1974, pp.88-89) a suo tempo: l’individuo vive ‘liberamente’ la propria
repressione come vita propria (Petrilli, ivi). Come già teorizzato da Foucault, la
fabbrica del soggetto neoliberista non ha come obiettivo il soggetto produttore o
consumatore, ma il soggetto imprenditoriale (Dardot e Laval, 2013, p. 414), colui
che è esortato a concepire se stesso come un’impresa (ivi, p.8), in una compe-
tizione senza sosta come gli altri e con se stesso, assoggettato a quel principio
prestazione che Chicci e Simone (2017, p.15) definiscono come un agire perfor-
mativo orientato al successo (Petrilli, ivi).
La competizione e l’autovalutazione continua producono quella che Dardot e
Laval (2013, p.449, corsivo degli autori) chiamano ultra-soggettivazione, una
soggettivazione per eccesso di sé su se stessi o ancora per superamento in-
definito di se stessi, in cui non si raggiunge mai un obiettivo o un fine ultimo
perché il soggetto non è mai soddisfatto di sé e sente la necessità di ‘superare
i propri limiti’ come dicono manager e formatori (Dardot e Laval, 2013, p.448)
(Petrilli, ivi). Le conseguenze a questo continuo superare i limiti sono primo, l’i-
naugurazione di un processo di formazione che non si esaurisce mai, un lifelong
Learning attraverso cui il soggetto mette in atto un continuio lavoro su di sé, un
investimento continuo per migliorarsi ed essere sempre più efficiente; secondo, i
farmaci e, in particolare, gli psicofarmaci diventano il viatico per una paradossale
realizzazione del proprio potenziale attraverso il superamento di se stessi, senza
intralci fisici o psicologici (Petrilli, ivi). Il soggetto contemporaneo dunque è un
soggetto di auto-sfruttamento (Han, 2012, p.5), al tempo stesso vittima e carne-

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fice (ivi. p. 26). Gli unici suoi interessi sono il successo e la riuscita individuale,
raggiungibili dimostrando le proprie capacità di auto-controllo e auto-motivazio-
ne, di flessibilità e intraprendenza, mentre l’errore e il linguaggio che si inceppa
non è mai sinonimo di pensiero, ma di un limite da combattere (Chicchi e Simo-
ne, 2017, p.132) (Petrilli, ivi).
La teoria dell’anestetizzazione sociale di Stoller può essere messa in comunica-
zione con il lavoro di de Sutter (2018) sul Narcocapitalismo, dove questo tema è
inserito in un quadro storico-politico più ampio (Petrilli, 2020, p.231-235). Per de
Sutter (2018, p.11) il 1846 è un anno cardine nella storia della normalizzazione
delle condotte e dei corpi, perché l’inalazione dell’etere dietetico come tecnica
anestetica non è solo un miglioramento della pratica medica, ma rappresenta
un punto di svolta storico, è l’inizio di una nuova era: l’era dell’anestesia (Petrilli,
ivi). Il filosofo belga svela una fitta trama post-disciplinare che ha l’obiettivo di
soffocare ogni forma di eccitazione si essa collettiva o individuale, sia essa fisica
o psicologica (ivi).
L’eccitazione è diventata la vittima principale del controllo sociale per ragio-
ni simili ai piaceri stupefacenti affrontati nel primo capitolo (ivi). L’eccitazione
è quindi un processo de-soggettivante che attraverso sensazioni ed emozioni
sconvolge l’attore sociale, lo proietta in una posizione di diversità che turba la
sua normalità e compromette la sua stabilità, razionalità e sobrietà (ivi). De sutter
prosegue sulla teoria farmacopornografica di Preciado, arrivando a dichiarare
come il narcocapitalismo si serva di farmaci col fine ultimo di avere degli indivi-
dui costantemente sobri, razionali, attivi e soprattutto produttivi.
Risulta evidente quindi come il progetto narcocapitalista messo in scena da
de Sutter sia in linea con quello della società della prestazione: l’eliminazione di
ogni forma di eccitazione, l’anestetizzazione attraverso il consumo, la riprogram-
mazione psicopolitica e la funzionalizzazione dei corpi sono tutti dispositivi per
liberare i pazienti/soggetti da tutto ciò che impedisce loro di essere efficienti se-
condo l’ordine vigente — cioè di lavorare, lavorare, e lavorare ancora (de Sutter,
2018, p.72) (Petrilli, ivi).
All’interno di questo modello descritto da de Sutter i club, per lui, si posiziona in
maniera piuttosto negativa, descrivendoli come un luogo dove l’individuo prati-
ca attività fisica completamente non sobrio rimanendo comunque efficiente alle
dinamiche capitalistiche che coinvolgono anche i club. Insomma per de Sutter
il clubbing è un totale fallimento per quanto riguarda l’eccitazione e la libera-
zione collettiva, tuttavia nella nostra analisi dei piaceri elettronici abbiamo visto
come il fenomeno del clubbing sia un qualcosa di molto più profondo e com-
plesso. I termini ‘laboratorio’ e ‘palestra’ non sono stati scelti casualmente, per
Han (2012) sono i contesti emblematici della società della prestazione, sostituiti
post-disciplinari delle prigioni e dei manicomi (Petrilli, ivi). Adoperandoli si vuo-
le rimarcare, almeno simbolicamente, la natura clandestina e interstiziale della
resistenza, come pratica negli spazi e nella trama del potere (Foucault, 1988, p.
84) (Petrilli, ivi). Ritroviamo dunque ancora una volta la natura performativa del
clubbing della quale parlavamo in precedenza della curatela delle arti Perfor-
mative viste che vedono questa pratica come uno spazio di sperimentazione e
resistenza attraverso e sui corpi.

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Come espresso in precedenza l’esperienza del clubbing è fatta di continui in-
contri, relazioni e sensazioni caratterizzate e basate su una multisensorialità
Questo va contro le dinamiche criticate da de Sutter, ma è come ho già detto
l’esperienza clubbing è molto più profonda e complessa di come viene esposta
dal filosofo belga. Il continuo “scambio di energie” tra i clubber dimostra la gran-
de importanza delle altre persone in questo tipo di esperienza. Un meccanismo
rilevante per la club culture, perché i clubber con cui si balla, weekend dopo
weekend, lasciano qualcosa che va oltre quanto espresso dalle parole, una sorta
di imprinting (Petrilli, 2020, p.240).
Il tipo di assetto politico sociale descritto in precedenza, il neoliberismo, ha
portato alla considerazione di una società descritta da Chicchi e Simone (2017,
p.109, corsivo degli autori) come una “Io-crazia”, dove l’individuo si concentra
su se stesso e sente di non aver bisogno dell’altro. Il clubbing ti porta qui a ri-
considerarsi all’interno della società in quanto venire catapultati in mezzo ad un
numero indefinito di persone, quando fino a quel momento si pensava di essere
fatti per essere soli, ‘ti confonde’ e costringe ad una radicale riconsiderazione del
frame con cui il soggetto si rappresenta e interpreta i rapporti con gli altri”(Petrilli,
2020, p.242-254). Un processo di risignificazione che passa attraverso la sem-
plice compresenza di corpi intossicati mossi in sincero sulla pista e fusi assieme
a ritmo di musica, come dalla più complessa socialità polimorfa che anima ogni
angolo di un evento (ivi).
Potrà sembrare paradossale rispetto alla rappresentazione (veritiera) delle feste
elettroniche come situazioni caotiche e popolate da soggetti alterati, tuttavia le
relazioni tra clubber sono molto spesso più premurose ed educate rispetto a
quelle della vita di tutti i giorni (ivi).

“[Si parla] sempre come si fosse grandi amiconi, che magari neanche lo conosci.
Sempre tanta confidenza, con chiunque tu stia parlando. Infatti spesso ti capita
che un gruppo di amici tuoi sta parlando con uno e tu poi dici “ma lo conosci
quello?” Perché sei sempre stra in confidenza. Poi non è sempre così ma la
maggior parte delle volte sì. Questo scaturito dal fatto che sei sovreccitato,
sovraubriaco, fatto, quindi chiaramente tutto si insinua. Poi dipende anche da
persona sei, perché magari c’è anche quello che viene in serata ma poi sta tutta
la sera a fumarsi le cicche di fuori e parla di tutte cose concettuali.”
Natalia

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L’atmosfera psicotropa, la carnalità dei rapporti e l’eccitazione festosa portano
i clubber ad essere più gentili e disponibili gli uni nei confronti degli altri, a pren-
dersi cura a vicenda perché ci si sente meno distanti e ci si riconosce potenzial-
mente nella situazione dell’altro (ivi). È più comune essere educati con gli altri e li
si aiuta in caso di necessità anche se sono dei perfetti sconosciuti e, soprattutto,
lo si fa senza voler qualcosa in cambio (ivi). La pista si trasforma in uno spazio
di condivisione, in cui si abbandona per qualche istante qualsivoglia pretesa
personale (ivi). Ci troviamo di fronte ad una seconda differenza fondamentale
tra le discoteche e la società della prestazione: oltre a resistere alla Io-crazia, a
dominare non è un agire performativo orientato al successo (Chicchi e Simone,
2017, p.15) che mette tutti gli uni contro gli altri, in competizione costante per
apparire, per essere più cool, per essere al centro della festa (Petrilli, ivi).

“[…] ho trovato un sacco di persone che spesso dipingono la gente quasi come se fosse
pericolosa, e invece io tutta questa pericolosità non l’ho mai trovata, non mi sono mai
sentita veramente in pericolo, magari anche in luoghi tipo rave, luoghi occupati dove
i genitori, la gente più adulta: ‘eh, lì è pieno di drogati’. […] Da come mi raccontavano
magari gli adulti quando ero più ragazzina, sembrava che il mondo era una merda,
sembrava che tutti erano pronti a mettertela in quel posto appena potevano. E invece
per me è stata una scoperta, il paese dei balocchi”.
Regina, M12FYO

Il senso di vicinanza, la solidarietà generalizzata e la riduzione della competizio-


ne sono semanticamente opposte a quanto osservato nello scorso capitolo nei
club mainstream come in quelli esclusivi, dove è osservabile un maggiore indivi-
dualismo e distacco grazie al lavoro combinato di diverse tecnologie del potere,
ad esempio la gerarchizzazione degli avventori all’entrata o il regime scoccio dei
buttafuori dentro la discoteca, supportato dai clubber perché ritenuto necessa-
rio per limitare i rischi e i problemi che gli sconosciuti possono provocare (ivi). In
aggiunta, weekend dopo weekend si impara a fare in modo che anche gli altri
non si sentano a disagio perché il clubbing, notano diversi intervistati, può ser-
vire ad allargare i propri orizzonti (ivi).

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“Io avendo frequentato per anni un certo tipo di serate con un certo tipo di
gente, essendomi aperto poi ad un altro tipo di serate con un altro tipo di
persone, avendo parlato con persone con cui normalmente non avrei parlato
in una giornata normale.. mi ha fatto parlare con gente con cui non avrei avuto
un contatto nella vita normale e mi ha fatto parlare di cose delle quali non avrei
parlato con queste persone. Mi ha aperto la mente, mi ha aperto tantissimo.
Mi ha fatto capire che ci sono punti di vista diversi dai miei. Sono stato ad una
serata a Venezia.. se tu parti da Vicenza, una città piccola con gente chiusa
e poi frequenti un posto in cui la mentalità è un’altra, vuoi o non vuoi, io che
ero il più ignorante ho aperto la testa e lì ho capito quanto aprire la mentalità
ti faccia stare bene con te stesso. Perché tu è inutile che nascondi quello che
sei.. reprimere quello che sei ti rende ansioso, astioso, ti rende una persona
cattiva. Quindi secondo me è capire quello che hai nella testa, ma a prescindere
da quello, capire quello che sei e non farti condizionare ma trovare gente
abbastanza aperta da capirti e lì non sentirai repressione, non sentirai ansia,
non sentirai astio. Perché tutta l’ansia che hai è per un obbligo sociale che hai
intorno a te e se continui ad obbedire a questo obbligo sarai sempre il nemico di
te stesso.”
Sean

“Una maggiore consapevolezza di me stesso.”


Mirco

“Ti capisci un po di più te, capisci quello che ti piace e magari poi quando giri
il mondo sei già un po più in mood. Non hai paura di andare in un locale più
grande, più nuovo, con stranieri. Sei può più preparato, hai più coglioni.
[…] Per la prima volta ti trovi a parlare con gente nuova, e quindi ti trovi ad
esporti un po’ di più. Ti butto un po più nel sociale. ‘Okay adesso intorno tutti che
non conosci, vediamo cosa sei in grado di fare’.. Se sei in grado di parlare con
tutti o parlare con nessuno, ballare e tornare a casa.”
Gessica

Il clubbing diventa poi in questo senso anche un modo vero e proprio per co-
noscersi. Il club, ancora una volta, è un’arena, una palestra dove sperimentare
su se stessi e conoscersi. Un processo di conoscenza su e attraverso se stessi
di cui è significativo segnalare due implicazioni (ivi).
La prima è il portato positivo, questo processo ha aiutato i clubber ad accettarsi
e ad essere “molto più a mio agio con me stesso” (Charles, B06MYO), rifiutando
il malessere socialmente ascritto a chi è etichettato come diverso (ivi). Un’accet-
tazione che avviene sul proprio corpo e la propria confidenza che un’accettazio-
ne di tipo più caratteriale. Aprire i propri orizzonti sia sulle proprie frequentazioni
che su ciò che pensi che ti piaccia o non piaccia.

“Un po’ ti rende un po’ più cool e di conseguenza ti senti cool e quindi ti
cambia in quel senso. Anche quando sei piccolo e vai a ballare e magari
quelli dell’età tua non lo fanno e li ti cambia, il sentirti grande prima degli
altri.”
Natalia

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“Io sono in realtà di partenza rock, punk tutti quelle robe quindi concerti ecc,
niente musica dance e robe del genere, anzi devo dire che in adolescenza
la disprezzavo perché ero proprio metallaro. Mano a mano che crescevo ho
cominciato a buttare dentro ritmi e ritmi.. Io suono la batteria da 16 anni ad
oggi e boh.. ho cominciato a sentire sta cosa del ritmo e non so anche il rock
ha cominciato di più ritmato finche non è finita dentro una cassa dritta e finito
dentro qualcosa di elettronico e mi sono deviato nella dance music da club
insomma come la possiamo intendere e ha influenzato a manetta me stesso,
anche il modo di pormi alle persone anche perché prima ero una persona molto
più introversa per le mie. Invece in luoghi così ho trovato serenità a fare quello
che faccio con tutti gli altri. Poi mi ha influenzato anche a livello artistico, quel
punk che suonavo è diventato una cosa piena di suoni e ritmi che mi ha fatto
evolvere e quindi sì grazie al clubbing!”
Michael

Fare clubbing qui [in Italia] è sempre stato diverso perché bene o male conosci
le persone. A me questo mette a disagio, mentre in Inghilterra con la scusa che
non conoscevo nessuno all’inizio per me era un trauma perché c’era un botto di
gente e aveva modi diversi di spaccarsi. Un sacco di gente e non sapevo come
approcciare, poi con il tempo ho capito che devi andare con il flow e se vai con il
flow è figo perché ti fai coinvolgere dalla situazione. Mi ha aiutato a sbloccarmi,
ad essere più socievole.
Gloria

“Io ho capito che non è importante essere appariscenti, anzi più lo sono più mi
sento a disagio. Ho imparato che mi interessa la musica e la situa che l’apparire
e l’essere visto. Voglio solo ascoltare un po’ di musica e fare i viaggioni.”
Philip

“Il clubbing mi ha aiutato a conoscere una sicurezza in me stessa. Mi viene da


dire le situazioni della serie quando la pista è ancora vuota e tutti quanti stanno
aspettando quella persona o quel gruppo di persone che romperà il ghiaccio, e
che quindi si metterà a ballare vicino al dj nonostante non ci sia nessuno, che di
solito è una situazione un po’ cringe da vedere dall’esterno se la pista è vuota.
Ecco essere anche quella persona ogni tanto che inizia a ballare, nonostante
non ci sia nessuno sottocassa, secondo me è una bella cosa perché poi quando
vedi la gente che piano piano inizia ad arrivare ti senti non so il pioniere di una
battaglia che tutti erano lì tipo ‘ah.. non lo so..non so se farlo prima io.. non so se
farlo prima tu’. Però finche tutti quanti aspettiamo, non ne viene fuori un cazzo.
Quindi mi piace l’idea di essere io la prima persona che lo fa. Questo mi ha fatto
capire il livello di apprezzamento nei confronti miei che gli altri mi danno. Sono
una persona che ricerca le attenzioni e mi piace riceverne e quindi essere questo
tipo di persona all’interno del club mi fa sentire bene altrettanto.”
Maria

Altri dei miei intervistati dichiarano che invece è un processo più lungo quello
dell’accettarsi rispetto al conoscersi e che forse, nel loro caso, è uno step al
quale non sono ancora riusciti a giungere, come il caso di Matteo che dice che
un po già ti accetti se ti conosci e cominci ad approcciarti al mondo del club-
bing. Si compie secondo Matteo un altro passaggio, l’evoluzione.

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“Mi ha fatto conoscere delle parti di me che in realtà non mi piacciono. Si
manifestano molto di più quando sono in clubbing per non so il motivo..
e ho paura che sia il lato che voglio sopprimere della mia personalità
ma che in realtà è vero ma in realtà non mi ci rivedo nei comportamenti
che assumo facendo clubbing e quindi è come se mi provocasse disagio
essere in quelle sensazioni. Anche se poi ogni volta ci rientro con
l’aspettativa che non sia così e che va bene se succede ci ritorno sempre
col rimorso di aver evoluto alcuni lati del mio carattere che non vorrei
avere.”
Ortensia

“Ad accettarmi no, visto che è un processo che già avviene a priori e fa
si che anche a te piaccia il clubbing.. se ti accetti prima. Ad evolvere in
parte sì, proprio per il fatto che non pensi a niente secondo me entri un
po’ più in contatto con te no.. uno dei tanti modi per stare a contatto con
te è capire cosa ti piace, cosa non ti piace, chi ti piace, quali vibrazioni e
sensazioni ti piacciono.”
Matteo

Dal racconto di Matteo capiamo come i piaceri del clubbing portano davvero a
imparare cose nuove in continuazione da se stessi ed arrivare poi ad evolversi
passando per la propria accettazione sia dell’immagine che della persona in se.
Altre volte, come nel caso di Anita, una realizzazione di se avviene ma ciò che
non accade è l’accettazione e l’evoluzione, tuttavia in un certo senso ciò che ti
lascia comunque l’esperienza clubbing è una forte conoscenza, volente o no-
lente, di se stessi. Le metamorfosi che hanno animato questo paragrafo — la
sicurezza, la fiducia, la forza, la consapevolezza e la conoscenza di sé — sono il
risultato dei processi di incorporamento avvenuti grazie ai piaceri elettronici (ivi).

“Quando siamo andati a ballare tutti insieme noi [i frivoletti, nostro gruppo di
amici] era un qualcosa che ci aveva unito. Perché la storia della confidenza,
dici ‘io vado a ballare dai vieni a ballare’, e comunque anche quando non ci
conoscevamo bene ci incontravamo e allora il gruppo li si ritrova in quel punto e
il fatto che poi condividi un esperienza che poi ne parli oppure te ne ricordi. Un
po’ di apprezzamento tipo.. anche una persona che viene e ti parla che magari ti
dice cose di te che magari non ci pensi.. oppure comunque quando stai a ballare
e io non è che mai mi sono ritenuta brava, però un sacco di volte mi hanno detto
‘ohhh quanto sei bella quando balli’ e quindi un po’ ti fa pensare. [Conosci] tante
robe.. perché poi spesso succede il dramma, gente che piagne, ste robe.. e
quindi tante piccole cose che ti fanno capire [di te]. Poi tante altre cose nella tua
vita eh però è vero che [il clubbing] è una parte importante”
Natalia

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Arrivando dunque alla conclusione del nostro percorso, in quest’ultimo capitolo,
si è voluto fare leva su come il clubbing diventi uno spazio di resistenza che pone
forte importanza sui corpi dei clubber cercando di sradicare le regole compor-
tamentali del regime disciplinare descritto da Foucault e quello post-disciplinare
descritto da Preciado. Una immersione totalizzante in un nuovo orizzonte sen-
soriale e di senso realizzata grazie a quella che è stata descritta come l’iper-sti-
molazione multisensoriale del clubbing, in grado di coinvolgere e stravolgere i
clubber, la cui forza e intensità è emersa più volte nell’etnografia dei piaceri elet-
tronici (Petrilli, 2020, p.256-260). L’esperienza del clubbing è dunque una forma
di resistenza che avviene attraverso i corpi che si muovono e interagiscono in
uno spazio, arrivando a rompere e superare dei limiti con il solo scopo di liberarsi
e lasciarsi completamente andare. Diversamente dai processi di ultra-soggetti-
vazione imposti dalla società della prestazione, il superamento del limite per i
clubber non ha come fondamento l’insoddisfazione personale e la necessità di
migliorarsi, per essere più efficienti e competitivi possibili (ivi). In un certo senso
è un modo per avere una “tregua” come dice Matteo (B03FOO) da un “mondo
cannibale […] in cui devo essere sempre più bravo degli altri”. Una tregua non
solo dal mondo capitalista del lavoro 24/7 ma anche una tregua di tipo menta-
le, da delle battaglie e pensieri interni. Ci muoviamo, quindi, nel campo della
(contro)oggettivazione e non della ultra-oggettivazione perché il modello di ri-
ferimento non è il manager o l’imprenditore — le cui capacità di auto-controllo,
intraprendenza e adattamento sono lo strumento per raggiungere a qualsiasi
costo l’unico obiettivo possibile, il successo — ma qualcosa che vi si oppone
per leggerezza, futilità e spirito anarchico: il bambino (ivi).
La figura del bambino è stato un simbolo delle proteste edeniche del secon-
do Novecento, per Vaneigem (1980, p.90) rappresenta un attacco implicito allo
status quo perché l’educazione non gli ha ancora imposta la “paura di godere”
e quindi non ha ancora piegato la propria esistenza al sacrificio, mentre Hoc-
quenghem e il FHAR (1972, P.75 cit. in Bernini, 2013, p.91) difendono il “diritto
al piacere” dei bambini contro il paternalismo di una società che, nasconden-
dosi sotto la retorica della protezione, vuole civilizzarne il desiderio (Petrilli, ivi).
L’infanzia diventa il simbolo di una vita inversa, uno stato innaturale per soggetti
della loro età perché sono rifiutate la serietà, le pressioni e la rispettabilità della
vita adulta (ivi). Il clubbing è un parco giochi dove è possibile sprecare ore a non
essere produttivi; dove dissipare tutte le energie in proprio possesso con l’unico
obiettivo di divertirsi con i propri amici o con dei perfetti sconosciuti, invece di
metterle al servizio della produzione di capitale e della riproduzione della specie
(Preciado, 2015, p.107); dove non si è costretti ad essere sempre in controllo e
a dare il meglio di sé, ma ci si può abbandonare all’allegria e alle frivolezze per
vivere il momento, senza farsi intrappolare dalle preoccupazioni e dalle ansie
prestazionali del agire performativo orientato al successo (Chicchi e Simone,
2017, p.15).

[…] c’è questa specie di mentalità del voler divertirsi. I clubber sanno come divertirsi,
sanno come raccontare una battuta divertente o come scherzare su qualcosa
che succede o sulla vita in generale. […] Tutta una serie di cose stupide sono
improvvidamente permesse, mentre nella vita normale delle persone che non fanno

324
serata… beh sono così fortuitamente seri, perché non sono autorizzati a giocare. Il
clubbing lo consente, apre uno spazio per giocare, in qualsiasi modo tu voglia, in
modo sessuale, sin modo cretino […] [mentre] la nostra società ci prova con tutte le
forse a vietare alla gente adulta di giocare, anche quando chiaramente lo desiderano”.
Reina, B13FYO

Noi vogliamo liberare, scarcerare, sbloccare e alleviare il corpo vivente, per liberare
tutte le sue energie, i suoi desideri, le sue passioni schiacciate dal nostro sistema
sociale costrittivo e programmato. [,..] Noi vogliamo riscoprire il piacere di agitarci
gioiosamente, senza vergogna, non per necessità o compensazione, ma solo per il
puro piacere di agitarci. Noi vogliamo riscoprire i piaceri di vibrare, mormorare, parlare,
camminare, muoverci, esprimerci, entusiasmarci, cantare — di trovare piacere nel
nostro corpo in tutti i modi possibili. Noi vogliamo riscoprire il piacere di produrre e
creare piacere, brutalmente ingabbiato da un sistema educativo incaricato di dare
forma a consumatori-lavoratori obbedienti. […] Noi cerchiamo di aprire il nostro corpo
ad altri corpi, ad un altro corpo.
Hocquenghem, To Destroy Sexuality, 1981, p.6

“From Disco, soprattutto in quel periodo di età [a 18 anni], mi ha


cambiato, mi ha proprio maturato. Parlavo con persone molto più grandi
di me, e io ero uno dei più piccoli, che avevano già passato la mia età
e quindi possono darti anche consigli, insegnarti. Hai solo da imparare,
da crescere, e ti senti proprio molto più libero di esprimerti. Ad esempio
quando si stava in compagnia a bere, la cosa non era focalizzata sul
‘oh ragazzi dobbiamo steccarci’, era più una cosa che creasse unione,
atmosfera, tutto leggero e tranquillo ed è quello che mi piace di più. Io son
felicissimo di essere entrato a far parte di From Disco, di aver conosciuto
determinate persone.. è una grande famiglia. Perché comunque oltre gli
eventi From ci si vede, ci si sente, magari ci sono altri eventi, ci si aiuta
e non è una cosa focalizzata sul numero di persone e soldi ripeto, anzi
interessa proprio meno. Ed è un tipo di festa che secondo me proprio
mancava qua a Vicenza, organizzata in questo tipo di modo, concentrata
sulla musica, sul divertirsi, essere felici in compagnia insomma.
Personalmente mi ha cresciuto molto. Mi ha cambiato molto, mi ha aperto
tanto mentalmente.”
Leonardo

Chiaramente non è per tutti così, o forse è meglio dire che non tutti si fanno
troppi pensieri al riguardo e preferiscono rimanere nella leggerezza della gioco-
sità di questo tipo di esperienza. C’è da dire però che se si pensa più affondo
chiaramente un po’ una differenza dall’essere bambini c’è, ed è ciò di cui parla
Natalia. Ero molto convinto di questo ideale di bambino associato al clubber ini-
zialmente, ma la verità è che effettivamente c’è un senso di maggiore consape-
volezza di se, coscienza e responsabilità anche implicita, che pure non volendo
si fa sentire.

325
Filippo: Sono una persona molto prevenuta, quindi tutte le
esperienze di club che ho fatto non mi hanno illuminato più
di tanto. Uscivo com’ero entrato, probabilmente molto più
sudato e coi coglioni girati ma.. ovviamente quando sono
dentro ci sono quei 5 minuti in cui è divertente. Poi però
torno a chiudermi e penso che non vedo l’ora di uscire a
fumarmi una sigaretta o ancora meglio andare a casa.

Bianca: Io personalmente invece ho capito di quanto mi


senta a mio agio, iniziando a frequentare questo tipo di
posti.. ho iniziato a capire quante realtà mi facciano bene..
stare in un luogo dove comunque sento la musica molto
forte ed è totalmente immersiva che mi fa ballare senza
alcun tipo di vergogna proprio appunto come uno sfogo.
Cioè lo trovo per me proprio un luogo di benessere.. perché
è uno spazio dove finalmente per un po’ posso staccare
la testa da determinati pensieri e quindi questo mi ha
fatto capire che per non è solo un luogo dove la gente va
a sballarsi, a prendersi determinate cose ma proprio un
luogo.. cioè che è terapeutico in un certo senso.

Filippo: La mia prima fuga dal club senza pagare. Ero


pischello, 16/17 anni.. un mio amico ha distratto il
bodyguard, che tra l’altro era un tipo ch conosciamo tutti..
abbiamo aperto la porta con la maniglia antipanico e siamo
scappati tutti in mezzo ad una pineta mentre il bodyguard
ci rincorreva.

Bianca: Io per la prima volta non mi sono veramente,


minimamente vergognata di pisciare in pubblico fuori dal
bagno, fuori dal posto.. perché eravamo tutti fuori, ubriachi
e mi sentivo anche un po’ a mio agio sinceramente a fare
schifo ed è una sensazione che in realtà mi ha fatto stare
bene perché escono dei lati a fine serata che senti la per la
prima e dici ‘bella, ci stanno’.

326
“Io non mi sento bambina. Cioè io comunque mi
sento un po’ responsabile. Io anche quando sono lì
[al club] voglio avere il controllo, non voglio essere
completamente fuori controllo. C’è comunque una
sorta di controllo che attuo su me stessa, perché sto
sempre un po allerta, quindi non ti direi bambino..
per niente. Per il senso di voler stare fuori divertirsi
ecc certo quello sì è un po un essere bambini ma non
riesco comunque a slegarmi da questa coscienza..
cioè poi non è per tutti così eh. Non riesco a mettere in
relazione questa idea di bambino perché io non sono
per niente spensierata come un bambino, quando sto a
ballare. Forse sono un po’ più contenta”
Natalia

327
Carlotta: Di mio sono già iper sociale ed estroversa,
per me il clubbing è l’esasperazione di questo mio
aspetto. È il momento in cui mi sento più cool in
assoluto. Io in generale ho una bassa autostima di
me stessa ma quando vado in party mi sento una
diva, ricevo un sacco di complimenti ecc. Quindi
quando penso ‘no faccio schifo ecc’ poi penso a
quando vado a far festa e slayo e ballo bene, sono la
diva, tutti mi dicono ‘ma che figa che sei’.

Natalia: Ma sai che effettivamente ha stra senso,


non solo rispetto a te ma anche a tutti. Tutti bene o
male pensano a come si devono vestire e portarsi
ecc, ma anche se comunque lo fai sempre e ogni
giorno ci pensi a come uscire fuori, però viene fuori
effettivamente quando vai a ballare

Carlotta: È il momento clue quando devi dare il


meglio di te stesso, se poi viene riconosciuto è una
mega validazione, cioè purtroppo sembra una cosa
brutta.

Natalia: Cioè effettivamente comunque lo fai anche


per essere riconosciuta lo fai. Effettivamente a te
non ti serve.. cioè dico a te qualsiasi persona.. non
ti serve essere vestito bene o cool però in realtà è
parte stra integrante dell’andare a ballare.

328
329
330
331
Arriviamo al termine del nostro viaggio dunque guardando a questo mutamento
che i clubber attuano come una sorta di risposta a dalle dinamiche sociali di au-
to-mutilazione alle quali da sempre, fin dall’infanzia appunto, sono stati soggetti.
Delle imposizioni per lo più implicite di un regime che ti modella e ti dice come
comportarti e muoverti nel mondo. È una “fuga dalla prigione dell’identità” che
nelle discoteche assume la forma di un rito auto-sacrificale sottocassa (ivi).
From Disco To Disco, in questo senso, è un insieme di tutto questo percorso
che abbiamo affrontato. È il luogo ideale dove i bambini che siamo stati [e] non
hanno mai smesso di vivere in noi (Bernini, 2013, p.188) hanno modo di espri-
mersi, divertirsi e giocare, ma con un nuovo senso di coscienza più adulta, che
nonostante sia adulta non esclude e non limita questo lato divertito che negli
anni si è via via represso per cause sociali, culturali o personali. Uno spazio che
crea un’ambiente, un’ambiente che rende possibile l’esistenza di una comunità
e l’unione di corpi con il solo unico desiderio primordiale di essere e sentirsi liberi
e felici.

332
In una nota sul mio telefono, a fine serata, il 18 Giugno scrivo:

“Andare in festa crea comunità. Ti libera, fa rilasciare tutta la libertà


repressa. La prima volta che crei gruppo, la prima volta che ci si droga
insieme, la prima volta che vai a ballare insieme e allora lì scegli le
persone giuste, quelle che vuoi con te. Che poi non a tutti interessa
davvero andare in festa e al club, però è anche vero che il club diventa
uno dei pochi posti dove conversare e conoscere gente nuova o
comunque stare con il proprio gruppo e divertirsi insieme, anche non per
forza ballando. Le zone chill out per coloro che non amano andare in festa
ad esempio si trasformano nelle dancefloor di chi invece ama ballare,
una vera e propria pista sociale dove avere conversazioni frivole oppure
profonde. Ed è pure vero che siamo diversi, che un gruppo è fatto di
persone differenti che amano la condivisione dei momenti insieme. Che in
fin dei conti son le persone che fanno la festa.”

333
334
From Disco To Disco è un movimento, From
Disco To Disco è una famiglia, From Disco To
Disco è una comunità, From Disco To Disco è
Vicenza.

Life is about having fun in the streets. We’re celebrating since 2008.

FDTD

335
Carlo Buffa Doc Buffarini è il primo fondatore di From Disco To Disco. Ho
conversato con lui al telefono per quasi 1 ora e le sue parole sono state
talmente illuminanti, magiche e commoventi per me che non potevo non
inserirle se non proprio alla fine di tutto questo viaggio, perché lo trovo il
modo più bello di concludere questo racconto, che in realtà mi auguro che
continui a rimanere aperto.

336
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Ringrazio di cuore

Massimiliano Trevisan, Andrea Comparin, Alessandro de Re,


Daniele Didoni, Luigi Guadagnino, Martino Zanovello, Carlo
Buffarini e tutta la famiglia di From Disco To Disco, senza i
quali oggi questo magnifico ambiente non esisterebbe. È
stato un onore parlare, scherzare, bere, organizzare, allestire,
divertirsi, e tutto quello che ne viene appresso, assieme a voi.
Ringrazio i professori Andrea Pertoldeo ed Emanuele Arielli
che hanno creduto in questo progetto e mi hanno assistito.
Ringrazio con tutto me stesso i miei amici, tutti. Quelli di
Vicenza e provincia coi quali sono cresciuto e che ancora
oggi mi sono vicino e credono in ogni mio progetto artistico,
sia che li coinvolga direttamente sia che riguardi solo me.
Robi, Ste, Dido, Rebi, Calo, Gio e Lori siete la mia seconda
famiglia. I miei amici di Venezia, la mia nuova famiglia, i frivoli,
i frivoletti, i frivoli didascalici coi quali ho trascorso tutto il mio
tempo in questi tre anni, vivendo le più belle esperienze e
momenti della mia vita, grazie in particolare a Carlo, Nati e
Bianca. Ringrazio per la loro onestà, naturalezza, gentilezza,
ogni persona intervistata. Mi avete emozionato con le vostre
parole, a volte dolci e a volte crude e dirette. Il club siete
voi. Ringrazio la mia famiglia, i miei genitori e mia sorella
per avermi cresciuto in un ambiente iper stimolante a livello
artistico e creativo. E infine ringrazio te Marianna, che mi hai
portato qui. Grazie a Lori le nostre vite si sono incrociate
e conosciute seppur per poco, ma la tua influenza è stata
talmente travolgente da cambiare drasticamente la mia vita
facendomi prendere la decisione più importante e giusta:
venire a Venezia.
Tenevo a realizzare questo lavoro da molto tempo e sono
veramente grato di tutte queste persone incredibili che mi
hanno implicitamente o esplicitamente influenzato.

Dilan

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