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SOSTENIBILITÀ DEL PROGRESSO AEROSPAZIALE

Il settore aerospaziale è attualmente uno dei più importanti e avanzati del mondo. In particolare la
guerra fredda segnò una spinta decisiva nel settore: le due maggiori potenze (Stati Uniti e Unione
Sovietica) si confrontarono, non solo da un punto di vista politico e militare, ma anche sul terreno delle
innovazioni tecnologiche portando straordinari cambiamenti nel campo aerospaziale. Inoltre tra gli anni
Cinquanta e Settanta i due paesi gareggiarono nella cosiddetta “corsa allo spazio” portandolo l’URSS a
mandare in orbita il primo satellite Sputnik 1 e gli Stati Uniti a far atterrare il primo uomo sulla Luna
nel 1969. Ad oggi il settore aerospaziale è uno dei più sviluppati e redditizi; basti pensare che in Italia
l'indotto generato è pari a 13 miliardi di euro e rimane un settore capace di dimostrare resilienza e
flessibilità con una spinta continua verso la ricerca e lo sviluppo. Inoltre, è una tipologia di industria
che, pian piano, si sta allontanando sempre di più dalla funzione unicamente militare e sta andando
verso una sempre maggiore globalizzazione.

Se sulla Terra ci avviciniamo ad una nuova era di ecologia e sostenibilità ambientale, anche a qualche
centinaio di chilometri sopra le nostre teste c’è un certo bisogno di “mettere a dieta” le operazioni
spaziali rendendole più sostenibili e pulite. Si definiscono detriti spaziali tutti i manufatti umani in
orbita attorno alla Terra che abbiano perso le loro funzionalità: sono satelliti spenti, stadi di razzi che
hanno terminato la loro missione, frammenti un tempo appartenenti a veicoli spaziali esplosi o
separatisi in più parti. Un impatto orbitale con questi oggetti avviene a velocità relative di decine di
migliaia di chilometri all’ora, spesso sufficienti a distruggere un satellite provocando di conseguenza
ancora più detriti. La strategia che segnerà il nostro futuro è quella della rimozione: buffo a dirsi, ma se
l’umanità è riuscita a “sporcare” lo spazio esterno, è ancora una sfida tecnicamente molto complicata
quella di catturare e rimuovere anche un solo detrito di grosse dimensioni. La via è ancora lunga, ma ci
stiamo avvicinando in maniera significativa all’obiettivo che aiuterà a rendere le nostre orbite più pulite
e le operazioni spaziali delle nuove generazioni sempre più sostenibili. Un altro problema importante è
quello della sostenibilità delle fonti di energia che usano i veicoli spaziali, infatti più in alto e più
lontano un aereo deve viaggiare, e più pesante è il suo carico, più difficile è progettare un sistema
efficiente, leggero ad alte prestazioni. Per affrontare queste sfide e la loro connessione con il problema
delle emissioni, grandi produttori aerospaziali stanno sfruttando tecnologie come i software di
co-simulazione, i digital-twin e la produzione intelligente guidata dai dati come mezzo per raggiungere
una sostenibilità più robusta.
Un altro importante lato dell’evoluzione del settore aerospaziale è quello della possibilità di vita fuori
dalla Terra e della colonizzazione umana dello spazio. L’aspetto più importante di questa nuova spinta
colonialistica sta nelle motivazioni: la colonizzazione dello spazio pare essere una necessità
imprescindibile per la sopravvivenza dell’uomo. Negli ultimi anni si è tornati a parlare di colonizzazione
della Luna e di un viaggio verso Marte in ciò che sembra essere, finalmente, un’esigenza scientifica e
umana, prima che una necessità politica. Non è un caso che l'approccio alla presenza umana nello
spazio sia mutata: non si tratta più di “conquistare lo spazio”, ma di permettere alla nostra specie di
occupare “uno spazio”. Tra gli ingegneri e i tecnici si è fatta strada l’idea che, oltre al risultato, conti
l’esperienza umana, e che lanciare una navicella spaziale è un grande sforzo che deve servire all’uomo,
più che a un'opportunità politica e tecnologica. Secondo alcuni, compreso Elon Musk, colonizzare Marte
significherebbe dare una seconda opportunità all’umanità. La nostra esistenza, che diamo alle volte per
scontata, potrebbe andare incontro a una fine prematura in caso di eventi catastrofici, come eruzioni di
mega vulcani o impatti meteorici. Una colonia ci garantirebbe un piano B se qualcosa dovesse andare
storto sul nostro pianeta. D'altro canto Didier Queloz, astronomo svizzero vincitore del prestigioso
premio Nobel per la fisica 2019, denuncia coloro che considerano come possibilità reale quella di
spingere l'umanità intera a credere che un giorno potremo salvarci dalla crisi climatica, lasciando il
nostro pianeta e colonizzandone un altro, secondo il fisico l'umanità dovrebbe invece focalizzare la sua
attenzione sulla risoluzione della crisi climatica anziché su idee inverosimili e irrealistiche di fuggire
dalla Terra alla conquista di pianeti incontaminati. Secondo la nostra opinione sarebbe possibile
trovare un compromesso tra le due correnti di pensiero: è infatti noto che uno dei problemi più ingenti
del nostro pianeta è la sovrappopolazione, pertanto distribuire l'umanità tra due o più pianeti (e non
abbandonare completamente la Terra) potrebbe essere un vantaggio per la nostra casa, in quanto,
meno popolazione produce meno inquinamento, di conseguenza la Terra potrebbe trovare una "valvola
di sfogo" e ricominciare a fiorire.

Detto ciò crediamo che, per quanto sia vero che l'evoluzione della scienza e della tecnica abbiano
compromesso gravemente il nostro ecosistema, è anche vero che i nostri scienziati stanno già
provvedendo a risolvere gli errori del passato, impegnandosi a trovare nuove fonti di energia piú
sostenibili e quindi a risanare il nostro pianeta. La scienza può quindi essere un'arma a doppio taglio,
che può o provocare la nostra fine oppure salvare noi e la Terra, perciò sta tutto nel saper prendere la
giusta direzione.

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