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IN EVIDENZA SPAZIO
Archeologa australiana, la dott.ssa Gorman è nota soprattutto per i suoi studi pionieristici
sull’era spaziale, dalle origini no ai nostri giorni. Nella sua ricerca, la spazzatura spaziale
viene vista sotto un’ottica diversa e diventa patrimonio di tutta l’umanità. Nota anche come
“Dr Space Junk”, proprio per il suo interesse verso i detriti spaziali, in 10 Q&A, ci racconta di
lei, di com’è nata la sua passione per l’archeologia spaziale e cos’è questa nuova scienza.
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8/22/2020 Archeologia Spaziale: intervista a Dr. Space Junk | OggiScienza
Tutto è cambiato una notte, poco dopo aver nito il dottorato di ricerca, mentre guardavo
le stelle. Improvvisamente mi venne in mente che anche la spazzatura spaziale era pare
della testimonianza archeologica. Non importava che fosse recente; la spazzatura spaziale
avrebbe potuto raccontare una storia di cambiamento culturale umano. Quindi ho iniziato
un percorso completamente diverso.
L’obiettivo è capire come gli umani usano la cultura materiale per adattarsi agli ambienti
dello spazio, che si tratti di un robot su un altro pianeta o di un equipaggio che vive sulla
Stazione Spaziale Internazionale. Riguarda il percorso a lungo termine del cambiamento
tecnologico e culturale da 3 milioni di anni fa ai giorni nostri e capire come le attività umane
stanno cambiando il sistema solare.
Una delle principali differenze è che non puoi fare ricerche sul campo in luoghi al di fuori
della Terra, non ancora, comunque. Un’altra è il lasso di tempo. L’Era Spaziale ha solo circa
60 anni, quindi abbiamo accesso anche a tutte le testimonianze documentate e possiamo
parlare con le persone coinvolte nelle varie missioni. Il nocciolo per entrambi i tipi di
archeologia è identico: non si tratta di ciò che la gente dice di aver fatto ma è ciò che
l’evidenza materiale dimostra che la gente ha effettivamente fatto.
Molte delle tecniche dell’archeologia tradizionale sono adeguate anche per lo spazio ma ci
sono alcune nuove s de. Una è che non è possibile eseguire ricerche sul campo dirette. Per
studiare la cultura spaziale sulla Stazione Spaziale Internazionale, sto lavorando con Justin
Walsh [archeologo] ed Erik Linstead [ingegnere, specializzato nel Machine Learning] della
Chapman University in California, per applicare l’apprendimento automatico a migliaia di
foto nell’archivio immagini della NASA. Grazie all’International Space Station Archaeological
Project sarà la prima volta in cui qualcuno studierà un habitat spaziale usando una
prospettiva archeologica.
L’orbita terrestre è un intero livello successivo di complessità. Mentre gli oggetti spaziali
spesso ricadono nell’atmosfera e vengono inceneriti, sopra una certa altitudine nulla se ne
va. È tutto lì, i satelliti operativi che sfrecciano nelle stesse orbite dei satelliti morti e milioni
di minuscole particelle. È tutto un movimento ad alta velocità. Sulla Terra, gli oggetti più
profondi sono anche i più antichi. Questo non si applica in orbita. Le relazioni tra oggetti
cambiano costantemente. Quindi sto lavorando a diversi modi per caratterizzare questo
ambiente, usando approcci come sistemi dinamici e paesaggi culturali.
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I detriti spaziali sono visti più come un problema e, a volte, come una minaccia piuttosto
che come reperti archeologici, cosa possono dirci invece?
Il rischio che un veicolo spaziale operativo si scontri con un pezzo di spazzatura spaziale e si
rompa, creando più detriti nel processo, è costante. Alcuni di essi avranno questa sorte. Ma
possiamo essere smart su questo tema. Documenti e immagini non possono sostituirsi agli
oggetti in sé. C’è davvero qualcosa negli oggetti materiali: ecco perché le persone vanno nei
musei piuttosto che guardare fotogra e di manufatti. Con il passare del tempo il contesto
degli oggetti cambia. Immagina tra 100 anni, se tutti i primi satelliti dell’era spaziale fossero
“ripuliti”. In futuro ci potremmo pentire delle scelte fatte ora.
E quindi, come possiamo catalogare i detriti spaziali (in modo che diventino reperti) e
come possiamo trasmetterli alle generazioni future? Non tutti potranno nire in un
museo: alcuni niranno bruciati al rientro in atmosfera, altri sul fondo degli oceani dove,
in un certo senso, torneranno ad essere reperti tradizionali…
La maggior parte dei vecchi satelliti in orbita (tranne quelli che si sono persi o distrutti)
sono già catalogati. Pertanto, non sarebbe dif cile aggiungere semplicemente informazioni
sul patrimonio, come il loro signi cato culturale, nei cataloghi esistenti, ad esempio il
Registro delle Nazioni Unite. Ma i musei non sono la soluzione facile! L’ambientazione di
un satellite nello spazio è una parte importante del suo signi cato culturale. Dovremmo
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8/22/2020 Archeologia Spaziale: intervista a Dr. Space Junk | OggiScienza
lasciarli in orbita ntanto che non rischiano di scontrarsi con un veicolo spaziale
funzionante.
Cosa pensa invece della spazzatura spaziale come problema? Come lo risolveremo? Se lo
risolveremo!
Il problema delle relazioni internazionali è far sì che le nazioni siano buoni cittadini spaziali
e negozino su come rimuovere attivamente i detriti senza che questi diventino un modo per
colpire il veicolo spaziale di un’altra nazione.
Se dovesse sceglierne uno, qual è il detrito spaziale più signi cativo (e perché) ed il più
bizzarro? Ha qualche detrito spaziale nella sua collezione archeologica?
Per il pezzo più signi cativo, è dif cile superare Vanguard 1, il più antico oggetto umano in
orbita. È stato lanciato dagli Stati Uniti nel 1958 [dopo lo Sputnik 1 e l’Explorer 1 ] ed ora ha
un aspetto meravigliosamente rétro, con il suo corpo d’argento e sei antenne. Una delle
cose che adoro di più è che ci sono volontari in tutto il mondo reclutati per cercarlo con
binocoli e telescopi, quindi ci sono intere comunità di persone che amano molto questo
satellite.
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Il più bizzarro? Bene, deve essere l’auto sportiva rossa Tesla lanciata da Elon Musk nel
2018. Ha un manichino in una tuta spaziale al posto di guida, che è più che inquietante. Le
auto sportive rosse sono un simbolo molto maschile ma alcuni pensano che potrebbe
essere una sovracompensazione, per dirla con delicatezza…
Uno dei miei beni più preziosi è un pezzo dell’isolamento del serbatoio del carburante dello
Skylab, la stazione spaziale americana che è caduta sulla Terra, sull’Australia occidentale,
nel 1979. Ho anche un pezzo del sistema di alimentazione di un vettore Europa [fu il
precursore della famiglia di vettori Ariane dell’ESA n.d.r.]. Era un razzo ibrido con un primo
stadio britannico, un secondo stadio francese, un terzo stadio tedesco e un satellite
italiano, lanciato dall’Australia negli anni ’60.
In futuro, penso che ogni missione spaziale assumerà un consulente del patrimonio
spaziale. Essi potranno capire, ad esempio, se l’orbita proposta per un satellite è pericolosa
per i satelliti del patrimonio, o se un sito di atterraggio proposto sulla Luna, su Marte o sugli
asteroidi causerà danni al patrimonio esistente in quel luogo. Faranno piani di gestione del
patrimonio culturale (Cultural Heritage Management Plans) in modo che le operazioni sulla
super cie lunare minimizzino la quantità di danno che potrebbero creare ai luoghi
signi cativi, come i siti di atterraggio dell’Apollo ed una cinquantina di altri siti di
atterraggio robotici sulla Luna. È stato davvero incoraggiante vedere l’eredità culturale
inclusa in documenti come l’Accordo Artemis e le Vancouver Recommendations on Space
Mining sull’estrazione di materie prime nello spazio. E, naturalmente, con le missioni umane
piani cate sulla Luna e su Marte, ci sarà molto di più su cui lavorare!
Quali sono le sue pubblicazioni, ricerche ed iniziative più signi cative svolte nora in
questo campo?
Dato il mio background lavorativo sull’eredità aborigena, una delle mie prime indagini è
stata su come gli indigeni hanno vissuto l’era spaziale. I primi siti di lancio di missili, subito
dopo la ne della seconda guerra mondiale, si trovavano nelle terre degli indigeni in diversi
paesi, perché si riteneva che questi luoghi fossero “vuoti”. Ma ovviamente non lo erano
affatto. Penso che sia davvero importante reinserire questa parte della storia.
Attraverso la mia ricerca sono stata in grado di stabilire che i lander russi Venera su Venere
sono in realtà probabilmente ancora in piedi intatti sulla super cie del pianeta dell’amore.
Se ci saranno mai missioni future che torneranno in super cie, li troveranno lì come
sentinelle [EnVision dell’ESA e VERITAS della NASA sono due orbiter proposti per il 2023
e 2026 rispettivamente n.d.r.].
Un’altra indagine è stata sugli effetti della polvere lunare sollevata durante le attività in
super cie, come l’estrazione di campioni nei siti di atterraggio dell’Apollo. Questo mi ha
portata a considerare le qualità della luce e dell’ombra come parte del signi cato estetico di
quei luoghi. Ho anche elaborato delle regole per valutare il signi cato culturale della
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8/22/2020 Archeologia Spaziale: intervista a Dr. Space Junk | OggiScienza
spazzatura spaziale e le procedure per la creazione di liste del patrimonio e noti che sui
rischi di collisione. Gran parte della mia ricerca è descritta nel mio recente libro, “Dr Space
Junk vs the Universe: Archaeology and the Future”.
Immagine: Pixabay
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Elisabetta Bonora
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