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L'ARCHEOZOOLOGIA: PROBLEMI E PROSPETTIVE

Introduzione

Fin dagli inizi della Paleontologia Umana lo studio delle ossa animali trovate insieme
ai manufatti umani destò un enorme interesse. Inizialmente la scienza ufficiale, ancora sotto
l'influenza delle teorie di Cuvier, negò la possibilità che i resti dell'uomo fossile fossero
associati a specie di animali estinti, ma infine gli scavi, organizzati da G. Gaudry nel 1859
nelle cave di Saint-Acheul, confermarono senza possibilità di dubbio le scoperte dell'uomo
“ antidiluviano fatte dallo Schmerling, da Boucher de Perthes, dal Noulet e da altri. Da
allora la Paleontologia Umana e la Paleontologia del Quaternario hanno compiuto insieme
un lungo cammino con reciproco vantaggio.
La prospettiva con cui sono state studiate le ossa provenienti dai giacimenti
preistorici era quindi prevalentemente paleontologica e i contributi per la storia dell'antica
umanità sono stati importanti nei campi della stratigrafia cronologica e climatica del
Quaternario e della ricostruzione degli ambienti in cui le culture umane si sono evolute.
Ben presto a questo indirizzo si affiancò quello rivolto allo studio dell'origine degli
animali domestici con i lavori del Rutimeyer (1861) sulla fauna delle palafitte della
Svizzera, ma è solo a partire dal 1960 e dagli ultimi anni del decennio precedente che si
sono fortemente sviluppati in Europa e in America gli interessi volti ad approfondire le
modalità di uso degli animali da parte dell'uomo e il ruolo che avevano nella dieta,
nell'economia, nel modo di vita (CHAPLIN 1971; CLARK J. G. D. 1952; CLARK G.
1982; CORNWALL 1956; Ducos 1968; 1976; FLANNERY 1969; HIGHAM 1967, 1969;
JARMAN 1972; PAYNE 1972; RADMILLI 1960; RADMILLI e TONGIORGI 1958;
ZEUNER 19631. Si è andato così affermando un campo di ricerca autonomo, i cui
obbiettivi sono prevalentemente di tipo socio-economico.

Definizione e considerazioni

Campo specifico dell'archeozoologia e dei suoi sinonimi (zooarcheologia,


osteoarcheologia) è lo studio delle ossa degli animali presenti nei giacimenti archeologici
come conseguenza dell'attività umana, escludendo quindi l'apporto dei predatori e di
animali morti casualmente. Il suo scopo è quello di ricostruire la dieta e i sistemi di
sussistenza rilevabili nei singoli siti, per poi passare, ove possibile, a un livello superiore di
conoscenza: cioè dal ruolo degli animali nell'ecosistema e nell'economia, ai sistemi di
allevamento e alla redistribuzione dei prodotti nell'ambito regionale (BARKER 1978; 1986;
CLARK G. 1985; JARMAN 1972; UERPMANN 1973).
Benché le tecniche di analisi delle ossa siano desunte dalla paleontologia e dalla
zoologia, l'obbiettivo principale dell'archeozoologia è quello di contribuire alla
ricostruzione della storia economica, e quindi la problematica generale è prevalentemente
di tipo archeologico.
Nonostante le numerose pubblicazioni che nell'arco di un trentennio hanno affrontato
sotto varie angolazioni gli aspetti tecnici e metodologici della disciplina, i risultati sono
stati finora inferiori alle aspettative, anche se non sono mancati contributi di elevato livello
qualitativo. Ad esempio sul fenomeno della domesticazione, che indubbiamente è uno dei
problemi fondamentali dell'archeozoologia, vi è stata una elaborazione teorica assai
sviluppata (BOKONYI 1969; DUCOS 1976; 1978; HIGGS 1972; 1975; JARMAN et Al.
1982; REED 1977; ZEUNER 1963; etc.), ma basata su dati documentari approssimativi e
del tutto insufficienti, per cui sarebbe necessario orientare le ricerche verso l'esame
sistematico delle faune provenienti da sequenze cronologiche e stratigrafiche sicure e
rappresentative di ciascuna area geografica.

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I motivi di ciò sono vari, e vanno dalla mancanza fino ad oggi di procedimenti
standardizzati di analisi osteologica, così che molto spesso i dati pubblicati da vari autori
non sono confrontabili, alla bassa percentuale delle faune studiate rispetto ai giacimenti
scavati, con una indagine che in molti casi va oltre la lista delle specie e il calcolo delle
frequenze. A prescindere dal caso non raro, specie nei giacimenti preistorici, di campioni
non sufficientemente numerosi per una indagine approfondita, un altro motivo dipende dal
fatto che sono poche le persone che si occupano sistematicamente di archeozoologia con
una preparazione adeguata sia sul piano archeologico, sia su quello zoologico e
paleontologico. Di solito la determinazione delle ossa viene fatta da naturalisti che
mancano di una sufficiente conoscenza della problematica archeologica, o da archeologi
poco esperti delle tecniche di analisi osteologica. Oltre a ciò chi studia le ossa —e il
discorso può essere esteso allo studio dei sedimenti e dei resti vegetali—raramente è
coinvolto in maniera diretta nella ricerca archeologica e nella problematica generale e
particolare del sito.
L'interdisciplinarietà tra ricerca archeologica e ricerca naturalistica è una condizione
che di rado viene soddisfatta, specie in Italia (CASTELLETTI e TOZZI, 1985), ma è un
requisito di fondamentale importanza perché, come si è detto, lo studio delle ossa ha come
fine ultimo la ricostruzione della storia economica. Non si può quindi prescindere da una
analisi critica per valutare:
1) i processi che hanno portato alla selezione, all'accumulo e alla conservazione delle
ossa in relazione all'ambiente sedimentario;
2) l'attendibilità e il significato del campione in base alla sua ampiezza, alle tecniche
di scavo e di raccolta, all'estensione dell'area di scavo, ai tipi di strutture esistenti, al tipo di
deposito (in grotta, all'aperto, suolo d'abitato, strato cumulativo di un lungo periodo di
attività, ecc.), al contesto culturale da cui proviene.

Le tecniche di analisi

Le tecniche basilari per l'analisi delle ossa sono descritte in dettaglio in una serie di
manuali e di lavori specialistici a cui si rimanda (CHAPLIN 1971; CORNWALL 1956;
DUCOS 1968; HABERMEHL 1961; MENOZZI 1973; RYDER 1968; WILSON et Al.
1982). Qui mi limiterò a una breve analisi dei metodi utilizzati e delle informazioni che se
ne possono ottenere.

1. La lista delle specie e la loro quantificazione. Il primo passo è quello di


identificare le specie presenti, dopo aver separato i frammenti identificabili da quelli non
identificabili (divisi in gruppi appartenenti a grandi, medi e piccoli animali); il loro rapporto
o "grado di identificazione" non è solo indicativo dell'accuratezza della determinazione, ma
anche del grado di frammentazione delle ossa che può essere in relazione a differenti
situazioni spaziali (aree di transito, di accumulo, di officina) o essere indicativo di
particolari aspetti dell'alimentazione o dell'economia (frammentazione per l'asportazione
del midollo o per la fabbricazione di strumenti, etc.).
Un problema costante è quello dell'attribuzione di certe ossa difficilmente
identificabili (vedasi ad es. le costole e le vertebre) e la separazione di specie
osteologicamente molto simili, come la pecora e la capra, il cui riconoscimento è possibile,
anche se non sempre agevole, solo su alcune ossa (BOESSNECK 1969; BOESSNECK et
Al. 1964). Anche il riconoscimento di una specie domestica dal corrispondente selvatico
può porre dei problemi (nelle faune italiane specialmente la separazione maiale/cinghiale e
Bos primigenius/B. taurus) perchè non sempre sono rilevabili differenze morfologiche e/o
dimensionali su materiale frammentario; manca inoltre una sufficiente casistica di
riferimento. Una discussione sui criteri per riconoscere la domesticazione e sul suo
significato si trova in Higgs e Jarman (1972), Jarman e Wilkinson (1972), in DUCOS
(1968, 1976, 1978), Uerpmann (1978).
È quindi importante che le ossa, dopo la prima identificazione, restino a disposizione

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di altri specialisti per eventuali riesami e che vengano conservate in appositi centri di
raccolta, alla stregua degli altri resti archeologici.
Il passo successivo dell'analisi è il calcolo delle proporzioni tra le diverse specie ed è
sempre un fatto molto delicato. Il campione che giunge sul tavolo dell'osteologo può aver
subito una selezione in seguito al trattamento dello scheletro prima del seppellimento, alle
condizioni di conservazione nel terreno e ad eventuali perdite nel corso dello scavo. È
quindi indispensabile una analisi critica dell'influenza di questi fattori sulla composizione
delle ossa, che deve essere fatta congiuntamente dall'archeologo e dall'osteologo. Un'altra
distorsione di cui non sempre si tiene conto è legata al fatto che le ossa di certi animali sono
più riconoscibili di quelle di altri, anche se ridotte in minuti frammenti.
A prescindere da questi fattori, che devono essere sempre valutati con attenzione, il
sistema di quantificazione più diffuso è quello di calcolare le percentuali delle varie specie
sul totale dei frammenti identificati, considerando ciascun pezzo come un individuo. I limiti
di questo sistema dipendono dal fatto che la correlazione con il rapporto originario è falsato
dal numero diverso di ossa o di denti nelle varie specie; inoltre la frammentazione può
interessare in maniera differente le ossa dei vari animali a seconda della robustezza, delle
dimensioni o delle tecniche di macellazione: infine è possibile che vari frammenti
appartengano al medesimo individuo, che viene quindi contato più volte.
Il calcolo delle frequenze basato sul numero dei resti è stato contestato da vari autori,
i quali preferiscono il calcolo del cosiddetto "numero minimo di individui" (o N.M.I.).
Anche questo metodo presenta però numero si inconvenienti tra i quali ricordiamo: la
soggettività della decisione di attribuire un osso a un individuo piuttosto che a un altro, il
fatto che il N.M.I. cambia se tutte le ossa provenienti da un livello vengono esaminate come
un unico insieme, oppure se le dividiamo in gruppi separati a seconda delle trincee o delle
diverse strutture di appartenenza. Oltre a ciò si verifica che il N.M.I. si avvicina al numero
dei resti quanto più il campione è piccolo (al limite N.M.I. e "numero dei resti" coincidono
quando una specie è rappresentata da un unico frammento) e vi si allontana quanto più il
campione è grande (Fig. 1). Ne consegue che: a—le specie rare sono sovrarappresentate;
b—non è corretto confrontare tra loro campioni formati da un numero molto diverso di
resti; c—i calcoli statistici sono difficoltosi perché serie anche molto numerose di ossa
danno un basso N.M.I. Il "Numero minimo di individui" cosi calcolato è ben diverso dal
"numero reale degli individui" presenti, e comunque la conoscenza del numero'reale di
questi ultimi è in genere di scarsa utilità perché tutte le elaborazioni statistiche si basano
sulle proporzioni tra le specie e non sui numeri assoluti, e il "numero dei resti" soddisfa alla
condizione di essere proporzionale al numero di animali uccisi. Una critica ben
documentata al calcolo del N.M.I. è stata fatta da Ducos (1968), ma non essendoci un
accordo generale sul metodo di conteggio, può essere utile farli entrambi.

2. Determinazione del sesso e dell'età di morte. Nei mammiferi le differenze legate al


sesso sono in genere sufficientemente marcate da essere riconoscibili in base alla diversa
morfologia e alle dimensioni solo su alcune ossa. In genere sono riconoscibili le ossa
pelviche, tra i ruminanti il cranio e le corna, e nei suini si ha il differente sviluppo delle
zanne. Le ossa lunghe e in particolare i metapodi si possono talora attribuire in base alle
dimensioni e agli indici di robustezza, ma spesso la differenziazione non è netta a causa del
parziale sovrapporsi del campo di variabilità (Fig. 2). Purtroppo la frammentazione e il
fatto che il dimorfismo sessuale è più evidente negli animali adulti fanno si che il sesso
possa essere rilevato su un numero ridotto di pezzi. Tra gli animali domestici la pratica
della castrazione può complicare ulteriormente il riconoscimento.
L'identificazione del sesso può dare delle indicazioni interessanti sulle strategie di
caccia o di allevamento, ma è necessaria una notevole cautela nell'analisi e
nell'interpretazione dei dati. Ad es. l'ipotesi di Jarman (1971) della semidomesticazione del
cervo, o almeno della caccia selettiva, durante il Mesolitico e il Neolitico, basata sulla
prevalenza dei maschi tra i resti di pasto, non tiene sufficientemente conto della biologia
del cervo, che rende i giovani maschi più vulnerabili delle femmine.

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Anche la stima dell'età di morte può dare delle indicazioni significati ve: dagli
animali selvatici si possono ricavare informazioni su attività stagionali di caccia, mentre
dall'età di macellazione dei domestici, combinata con l'identificazione del sesso, si hanno
dati sulle tecniche di allevamento.
L'età di morte si ricava o dallo stato di usura dei denti o dalla saldatura delle epifisi
delle ossa lunghe. Nel primo caso l'età di morte è indicata dallo stato di sostituzione e di
usura della dentatura di latte e da gradi crescenti di usura dei denti definitivi. Ducos (1968)
ha introdotto un indice di usura dei molari delle principali specie domestiche (Larghezza
del dente: Altezza della corona), in base al quale è possibile riconoscere cinque classi di età
nei suini e negli ovicaprini, e sei classi nei bovini (Tab. 1, 2, 3). Payne (1973) ha elaborato
un metodo per la stima dell'età di morte degli ovicaprini basato su una combinazione dello
stato di usura con lo stato di eruzione e di sostituzione dentaria, stabilendo dieci classi di
età.
Nel caso della fusione delle epifisi con la diafisi, poiché la fusione avviene ad età
determinate per ciascun osso e per ciascuna specie, si ha un'informazione del tipo: ucciso
dopo o prima di una certa età, a seconda che l'epifisi sia o no saldata.
Nonostante che sul calcolo dell'età di morte siano stati scritti numerosi articoli e i dati
relativi alla saldatura delle epifisi e alla eruzione dei denti siano riportati sui manuali di
anatomia degli animali (Tab. 4, 5, 6, 7) (BARONE 1980; BRUNI e ZIMMERL 1947;
HABERMEHL 1961; LOWE 1967; PAYNE 1973; SILVER 1969; WILSON et. Al. 1982),
vari problemi restano controversi. In particolare: a) l'età di sostituzione dei denti e di
saldatura delle epifisi è carattere abbastanza variabile individualmente e razzialmente ed è
pertanto indicata diversamente nei vari autori; inoltre si ritiene che avvenga più
precocemente nelle moderne razze selezionate rispetto alle razze rustiche allevate allo stato
brado; in realtà non sappiamo come si comportavano le razze antiche trattandosi di caratteri
influenzabili sia geneticamente sia dal tipo di alimentazione; vi sono infatti elementi per
ritenere che anche nell'antichità vi fossero razze più precoci (EWBANK et Al. 1964); b)
anche l'usura dei denti è un carattere variabile, essendo legata al tipo di alimentazione;
dovrebbero pertanto essere costruite tabelle di usura per aree geografiche diverse e per
differenti tipi di alimentazione. Stante questa situazione è più corretto parlare di età
apparente e di stadio di usura dentaria, piuttosto che di età di morte.
A parte i problemi sopra riportati, per confrontare più giacimenti o più strati di un
giacimento è necessario passare dall'età di morte alla costruzione di una curva di mortalità.
Nel caso delle mandibole e denti la curva di mortalità è desumibile facendo la percentuale
delle varie classi di età. Essa può essere poi confrontata con la curva delle frequenze delle
età in una popolazione naturale (Ducos 1968) (Fig. 3). Nel caso delle ossa lunghe il
procedimento, riportato da Chaplin (1971) e da Uerpmann (1973), consiste nel calcolare la
percentuale degli individui uccisi sotto una certa età (ad es. 1 anno) in base alla saldatura o
meno delle epifisi, poi la percentuale degli uccisi al di sotto delle classi di età successive
(ad es. sotto 2 anni e sotto 3 e 5 anni); sottraendo poi la percentuale di un gruppo da quello
successivo si ricava la mortalità per ogni classe di età (Tab. 8).
Di regola è necessario avere campioni di ossa molto consistenti per riuscire a
calcolare una curva di mortalità significativa e spesso si osserva che quella calcolata sulle
mandibole è diversa da quella ottenuta mediante la fusione delle epifisi; possono influire su
questo risultato l'incertezza nella stima dell'età di morte, il fatto che un individuo
rappresentato da varie ossa viene contato più volte nelle rispettive classi di età e la presenza
delle ossa in proporzione diversa da quella che si registra nello scheletro completo, a causa
dei processi di selezione intervenuti.
Un difetto che si trova di frequente nella letteratura archeozoologica è la mancanza o
la scarsa chiarezza della descrizione del metodo seguito dall'autore per costruire la curva di
mortalità, per cui è difficile fare confronti tra vari giacimenti.
Un altro sistema per il calcolo dell'età di morte è basato sull'accrescimento annuale
del cemento nelle radici dentarie. Il metodo dà anche l'indicazione della stagione in cui è
avvenuta l'uccisione, ma non è stato ancora applicato su larga scala e presenta

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l'inconveniente di richiedere molto tempo e di essere distruttivo perché bisogna sezionare il
dente (STALLIBRASS 1982).
In prospettiva la curva di mortalità potrà fornire informazioni interessanti soprattutto
per gli animali domestici, poiché ogni tipo di utilizzazione è contraddistinto da una età di
macellazione ottimale, ma la strada da compiere per avere risultati affidabili e confrontabili
è ancora lunga. Si ritiene comunque che la prevalenza di individui uccisi in età sub-adulta
indichi un allevamento orientato verso la produzione di carne, l'abbondanza di individui
anziani un uso per latte, lana, lavoro e riproduzione, mentre la prevalenza di giovani è più
difficile da interpretare potendo indicare la sovrabbondanza o la scarsità di carne, la scarsa
pratica dell'allevamento o essere legata alla stagionalità dell insediamento (UERPMANN
1973). Bisogna infine considerare che in un contesto urbano la composizione faunistica è
influenzata anche dalla richiesta di mercato rivolta preferibilmente verso determinate classi
di età; al contrario in un contesto rurale possono essere scarsamente rappresentate le classi
di età degli animali destinati al consumo cittadino.
Ducos (1968), confrontando l'età di macellazione in vari giacimenti della Palestina
con la curva teorica di distribuzione delle classi di età in una popolazione naturale, ha
riconosciuto nel bue una forma arcaica di allevamento in cui l'abbattimento era rivolto
verso gli adulti di età media, una forma evoluta di allevamento con abbattimento di giovani
sotto i due anni e di adulti tra quattro e sei anni, ed infine una curva di mortalità simile alla
curva naturale che indicherebbe uno sfruttamento differente dei due sessi (Fig. 3). Curve
diverse di abbattimento sono riportate per gli ovicaprini e per il maiale.
Payne (1973) mostra come la curva di mortalità degli ovicaprini a Aswan Kale
(Turchia) avesse nel Medioevo un andamento analogo a quello attuale, indicando sistemi di
allevamento e di utilizzazione simili, rivolti prevalentemente alla produzione di latte e di
carne. Al contrario in età ellenistica l'andamento della mortalità era diverso, presentando un
minor numero di abbattimenti al di sotto dei due anni e un numero maggiore tra due e sei
anni, da mettere forse in relazione alla produzione della lana.

3. La quantità di carne. L'importanza di una specie nell'economia non è tanto


desumibile dal numero dei resti o dal N.M.I., quanto dalla quantità di carne e/o di prodotti
utilizzabili che essa può fornire. È evidente che un bue o un cervo hanno una importanza
economica molto superiore a quella di una pecora o di un capriolo. Il calcolo della quantità
di carne serve quindi a precisare il ruolo economico di una specie rispetto alle altre
indipendentemente dal numero di frammenti o di individui da cui è rappresentata. I metodi
utilizzati sono sostanzialmente due: a) il primo si basa sulla correlazione sul vivente tra il
peso della carne e il peso delle ossa, che è un dato caratteristico di ciascuna specie,
pertanto, facendo una proporzione tra i pesi delle ossa delle diverse specie nel campione è
possibile avere un'indicazione della loro importanza relativa; b) il secondo metodo è usato
più frequentemente, anche se è forse meno preciso; si moltiplica la percentuale delle varie
specie per la quantità media di carne che può dare un individuo, dopo di che si calcolano le
percentuali dei pesi di carne così ottenuti; si può fare questo calcolo partendo anche dal
N.M.I., ma in questo caso gli errori si cumulano (UERPMANN 1973).
Il problema maggiore da superare è la soggettività del calcolo del peso di carne,
poiché esso varia in ciascuna specie con l'età, il sesso, la razza, lo stato nutrizionale.

4. Caratteri morfologici e dimensionali. Frequentemente gli studi archeozoologici


trascurano di fornire dati precisi sulle caratteristiche morfologiche e sulle dimensioni degli
animali domestici e selvatici, ma la raccolta sistematica delle misure è molto importanze.
Uno strumento di lavoro di fondamentale importanza è la guida della misura delle ossa dei
giacimenti archeologici della von den Driesh (1976), da cui ha preso l'avvio il sistema di
schedatura automatica KNOCOD (UERPMANN 1978a) e il più recente KNOCOD -
OSTEO (DESSE 1983a; DESSE et Al. 1986) che può fornire la base di una banca dati
osteometrici internazionale.
L'analisi dei caratteri metrici è utile per la separazione di specie simili, per la

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determinazione del sesso (Fig. 2), per documentare i cambiamenti dimensionali di una
specie nel tempo e nello spazio (Fig. 4) (BOESSNECK e VON DEN DRIESCH 1978), e
conseguentemente per lo studio della domesticazione e della selezione delle razze.
Per quanto siano stati espressi dubbi (BARKER 1976; JARMAN 1969; JARMAN-
WIEKINSON 1972) sul fatto che il cambiamento di dimensioni sia un criterio valido per
riconoscere l'addomesticamento, in molti casi questo criterio fornisce delle indicazioni
obbiettive e convincenti. Vedasi ad es. nel Medio Oriente il cambiamento di dimensioni
della pecora intorno ai 7500 anni a.C. con la comparsa di una popolazione più piccola,
verosimilmente domestica, mentre quella selvatica resta stabile come dimensioni
(UERPMANN 1978b). Anche nell'Italia centrale e meridionale con l'inizio del Neolitico,
accanto a rari esemplari di bovini di taglia comparabile a quella del Bos primigenius del
Pleistocene superiore finale, compaiono dei bovini più piccoli, numericamente
preponderanti, attribuibili alla forma domestica (BOKONYI 1977-82; WIEKENS 1987).
Uno studio accurato deve tener conto anche dei caratteri morfologici delle ossa, utili
per la determinazione del sesso, per il riconoscimento di differenze razziali e di caratteri
patologici. La comparsa di caratteri nuovi, come l'assenza delle corna nelle pecore, è
considerato un indizio di domesticazione, mentre nei suini l'accorciamento del muso con
riduzione del diastema e affollamento dei denti, nonché l'usura maggiore dell'M1 rispetto
all'M3 (HELMER 1979) sono buoni indizi per separare il maiale dal cinghiale.

5. Tecniche di macellazione. La presenza, l'assenza, il tipo di frammentazione, la


distribuzione delle varie parti scheletriche, le tracce lasciate da strumenti taglienti sono
indicativi delle modalità di suddivisione degli animali. Esse possono essere messe in
relazione con il trasporto nell'insediamento di tutto l'animale o di parti selezionate, con
l'esistenza di attività spazialmente differenziate, con differenziazioni sociali o con pratiche
culturali, e non sono da trascurare le informazioni riguardanti il trattamento della carne e
della ossa, le abitudini alimentari e le modalità di accumulo delle ossa in un giacimento
(Fig. 5) (JOURDAN 1977; VIELA et Al. 1985). Finora comunque le tecniche di
macellazione e di frammentazione delle ossa sono state raramente studiate in dettaglio.

6. Attività stagionali. È possibile individuare le attività stagionali svolte in un sito nel


corso dell'anno, oppure la stagione in cui un sito veniva occupato servendoci di vari
sistemi. Sapendo che ciascuna specie selvatica partorisce in un periodo ristretto e ben
determinato dell'anno, è possibile stabilire in base all'eruzione e all'usura dei denti in quale
stagione i giovani venivano cacciati. Indicazioni sono fornite dalla presenza/assenza degli
uccelli migratori, come pure le strie di accrescimento degli otoliti e delle vertebre dei pesci
(CASTEEL 1976; DESSE 1983b; DESSE-BERSET 1984) indicano con buona precisione il
periodo di pesca. Anche il rapporto isotopiCO 0~ó/018 delle conchiglie marine indica il
periodo dell'anno in cui venivano raccolti i molluschi (SHACKLETON 1973), ma questo
metodo, nonostante la sua precisione, è stato poco utilizzato per la sua lunghezza e
complessità.
Uno studio accurato deve tener conto anche dei caratteri morfologici delle ossa, utili
per la determinazione del sesso, per il riconoscimento di differenze razziali e di caratteri
patologici. La comparsa di caratteri nuovi, come l'assenza delle corna nelle pecore, è
considerato un indizio di domesticazione, mentre nei suini l'accorciamento del muso con
riduzione del diastema e affollamento dei denti, nonché l'usura maggiore dell'M1 rispetto
all'M3 (HELMER 1979) sono buoni indizi per separare il maiale dal cinghiale.

Conclusioni

L’archeozoologia costituisce parte integrante della moderna ricerca archeologica; è


necessario tuttavia rimuovere e superare quegli ostacoli che ne hanno finora frenato lo
sviluppo.
1. Il recupero e lo studio delle faune, insieme agli apporti della paleobotanica e delle

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scienze della terra, non può essere inteso come una attività complementare, ma deve far
parte integrante delle strategie di scavo. Se questa necessità è ormai largamente
riconosciuta nel campo dell’archeologia preistorica, molta strada deve ancora essere
compiuta nel campo dell'archeologia classica e medievale. In ogni caso deve essere
superato il concetto di 'scienze sussidiarie' e la subalternità di fatto di queste ultime alla
disciplina leader.
2. Il riconoscimento di pari dignità alle discipline naturalistiche applicate
all'archeologia non è un fatto puramente formale, ma implica il riconoscimento del loro
ruolo fondamentale con il conseguente impegno a creare strutture di ricerca adeguate,
superando l'attuale situazione caratterizzata in larga parte da collaborazioni e interventi
occasionali. È anche a questa situazione di precarietà che si può far risalire una parte dei
limiti attuali della ricerca archeozoologica.
3. È indispensabile rendere confrontabili i dati e le analisi dei vari ricercatori
adottando criteri d'indagine uniformi, che devono riguardare sia le tecniche di scavo e di
raccolta, sia i metodi di analisi delle ossa, e in particolare il calcolo delle frequenze, la
stima dell'età di morte e le curve di mortalità, il peso in carne, i caratteri metrici. La
creazione di una estesa banca dati informatica (DESSE et Al. 1986) è un'esigenza
prioritaria per lo sviluppo della ricerca.
4. A partire dalla conoscenza molto dettagliata dei resti faunistici devono essere
approfondite sul piano interpretativo le relazioni esistenti tra ciò che veniva mangiato e ciò
che veniva prodotto. Il passaggio dall'una all'altra informazione non è infatti complicato
solo dai problemi di conservazione e di recupero differenziale delle ossa, ma anche, specie
nelle società più complesse, da fenomeni di redistribuzione dei prodotti e dal ruolo di ogni
singola località nel sistema regionale di produzione e d'insediamento (BARKER 1986;
CEARK 1985).
5. Per quanto riguarda la preistoria italiana i dati fannistici, e i dati paleocconomici in
genere, sono stati interpretati spesso in maniera eccessivamente semplicistisca. I nuovi
modelli per la ricostruzione dei sistemi di sussistenza, quale ad es. la catchment analysis
(BARKER 1975, 1984, 1986; HIGGS e VITA FINZI 1972; JARMAN-WEBLEY 1975),
hanno introdotto elementi di novità e di discussione in un quadro statico, che riconosceva
solo una economia di caccia e raccolta per le società preneolitiche, una economia basata
sull'agricoltura e sull'allevamento durante il neolitico, lo sviluppo dell'attività pastorale
durante l'età dei metalli, il ritorno a una economia mista con la fine dell'età del bronzo. Ma
anche il nuovo modello è fortemente viziato in partenza poiché privo di una sufficiente
documentazione geologica, paleobotanica, paleozoologica e dà per scontato che i sistemi di
sussistenza siano sempre quelli da noi ritenuti ottimali in base alle caratteristiche
dell'ambiente, giungendo così a conclusioni infondate, quali la continuità dei sistemi di
sussistenza e le relazioni tra uomo e animali dal paleolitico al neolitico, e a sottovalutare il
ruolo dei processi culturali e socioeconomici. La realtà è però più complessa di quanto
ipotizzato e i sistemi di sussistenza, per quanto dipendenti dai fattori ambientali, non lo
sono quasi mai in modo esclusivo, ma vi hanno un peso, talvolta considerevole, anche i
fattori sociali e culturali senza i quali sarebbero difficilmente comprensibili, ad esempio, le
sensibili modificazioni dei rapporti quantitativi delle specie allevate durante il neolitico e la
progressiva diminuzione delle dimensioni, fenomeni questi che non possono essere messi
in relazione in modo convincente solo con i modesti cambiamenti naturali dell’ambiente
che si sono verificati in quel periodo (CASTELLETTI et Al. 1987).
6. Un tema da approfondire anche sul piano metodologico è quello della valutazione
dell'importanza reciproca della produzione animale e vegetale nell'alimentazione e nella
economia. Infatti i resti faunistici e i macroresti vegetali forniscono due linee di
documentazione distinte e senza punti di contatto reciproci. Importante sarebbe quindi lo
sviluppo delle ricerche paleonutrizionali. Secondo Pucch (1976) l'alimentazione a base
carnea Iascia sui denti delle strie di usura allungate, diverse da quelle corte lasciate dalla
masticazione dei vegetali, pertanto attraverso l'analisi di queste tracce si può valutare il tipo
di alimentazione. Un'altra via è la misura degli elementi in traccia presenti nelle ossa: il

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rapporto Stronzio/Calcio è meno elevato nella dieta a base proteica di quanto si registra
nella dieta a base di vegetali. Con questo sistema M. J. Schoeninger (1981; 1982) ha potuto
rilevare nel Medio e Vicino Oriente il passaggio da una alimentazione ricca di carne
durante il Paleolitico medio e superiore ad una prevalentemente vegetariana durante il
Natufiano (Kebara B, elWad) ed il ritorno a una dieta proteica con lo sviluppo
dell'allevamento ai Gani Dareh e Hajji Firuz (Fig. 6). Il rapporto Zinco/Calcio cresce con il
consumo di carne e pertanto in combinazione con l'indice Sr/Ca se ne possono ricavare
informazioni sia sulla qualità che sulla ricchezza della dieta (FORNACIARI et Al. 19843.
Questi esempi sottolineano ancora una volta la necessità di una integrazione più
stretta delle varie discipline coinvolte nella ricerca archeologica, superando le barriere che
troppo spesso le separano.

CARLO TOZZI (*)

(*) Istituto di Antichità e Arte dell'Università di Sassari.

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