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PALETNOBOTANICA

1. Introduzione
Gli aspetti che verranno presi in considerazione in questo articolo si riferiscono ai
resti vegetali di interesse alimentare, o sono connessi alla storia delle piante agrarie, o alla
loro tecnologia. Si esamineranno pertanto frutti e semi di piante coltivate o non coltivate
ma presenti nelle colture, escludendo quegli aspetti della paletnobotanica che riguardano
l'uso del legno o delle erbe allo scopo di ottenere luce, calore, fumo ecc. Si utilizzer inoltre
il termine di paleocarpologia per definire questo particolare aspetto della paleoetnobotanica
che si riferisce solo agli aspetti ecologici, etnografici e biometrici dei frutti e dei semi nei
contesti archeologici.
2. La storia e i problemi di metodo
L'idea di una paletnobotanica individuata come ricerca autonoma sembra essere
stata introdotta dal botanico J. W. Harshberger (HARSHBERGER 1896) in un suo studio
su materiali protostorici americani alla fine del secolo scorso, quando peraltro gi da
decenni l'archeologia egizia e le ricerche negli insediamenti perilacustri delle Alpi avevano
fornito agli specialisti l'occasione di studiare materiali di rilevante antichit (KUNTH 1826;
HEER 1866). Per molti decenni questa disciplina fu dominata da botanici, il cui obiettivo
principale era quello di fornire delle indicazioni precise sul tipo di resti trovati nei siti
archeologici esclusivamente attraverso la loro determinazione. Raramente, nelle relazioni
del secolo scorso e dei primi decenni di questo, si va oltre all'elencazione dei taxa, al
massimo viene messa in luce la presenza di forme oggi non pi coltivate o di origine non
locale. In questi ultimi decenni, tuttavia, ha preso il sopravvento un nuovo indirizzo nella
ricerca, che sembra privilegiare lo studio dei rapporti fra uomo e ambiente vegetale nel
senso pi lato. Uno dei padri della paletnobotanica moderna, Hans Helbaek, considera
oggetto di questa scienza l'insieme dei materiali di origine vegetale di interesse alimentare
per l uomo (HELBAEK 1971). La stessa idea sta alla base della definizione data da J.M.
Renfrew (RENFREW 1973), secondo la quale la paletnobotanica va definita come l'analisi
dei resti di piante coltivate o utilizzate esclusivamente per l'alimentazione umana in tempi
antichi, conservatesi nei depositi archeologici. U. Willerding (WILLERDING 1978) mette
invece in evidenza la molteplicit di interventi che possono essere effettuati sui materiali
botanici preistorici visti da una prospettiva storica, fitogeografica, ecologica o economica, e
riconosce al termine "paletnobotanica" tutti questi significati, pur ammettendo che esso
vada riferito soprattutto a problematiche storiche, al contrario delle altre discipline
botaniche.
Riassumendo gli aspetti principali della discussione intorno al termine in questione,
andranno fatte alcune osservazioni preliminari.
Lo studio dei resti vegetali del passato attiene il problema pi generale dei rapporti
fra l'uomo e l'ambiente vegetale nell'antichit, a prescindere dall'epoca (ogni et avr suoi
problemi specifici, ma il metodo di studio della presenza umana nell'ecosistema unico e
va impostato in modo unitario). La Paletnobotanica pu essere considerata una sezione

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della botanica, ma da questa si differenzia per alcuni elementi: la prospettiva storica, i


materiali studiati, il metodo di analisi. Non rientrano nell'ambito della Paletnobotanica,
intesa secondo la definizione di J. Renfrew sopra riportata, discipline come la palinologia
(studio dei pollini e della storia vegetale attraverso i diagrammi pollinici), l'antracologia
(studio dei carboni), l'analisi fitolitica (studio dei corpi silicei delle piante superiori). Queste
tre tecniche di analisi possono aver attinenza naturalmente con l'uso dei vegetali da parte
dell'uomo nel passato, ma la loro principale applicazione consistita nelle ricostruzioni
delle successioni vegetali antiche.
Ci si deve chiedere, prima di affrontare i problemi specifici alla Paletnobotanica,
quali siano gli obiettivi dell'etnobotanica di cui essa costituisce un aspetto affatto
particolare.
L'etnobotanica nata con i viaggi di esplorazione durante il Medio Evo (Asia) o in
epoche successive (America, soprattutto durante il XVII secolo). I primi resoconti si
limitarono a liste di vegetali di vario uso, talora riportando semplicemente il nome
vernacolare e spesso senza una verifica diretta delle informazioni. La complessit e il
campo di azione di questa scienza si sono precisati con sempre maggiore chiarezza a partire
dalla fine dello scorso secolo. A questo chiarimento hanno concorso in diverso modo la
botanica, l'antropologia culturale, l'archeologia, le scienze naturali, la linguistica, la
medicina e la farmacologia. Proprio a causa di questa molteplicit di contributi si origina
una disparit di vedute sull'etnobotanica che rende praticamente impossibile una sua teoria
unitaria. Avendo attinenza con le culture umane, l'etnobotanica pu contribuire a far luce s
aspetti essenziali della storia della tecnologia, dell'alimentazione, della medicina, della
religione. Da questo punto di vista, essa ha favorito grandemente la penetrazione di un
approccio antropologico all'interno delle scienze archeologiche.
Naturalmente le tecniche di indagine dell'etnobotanica non possono essere quelle
della Paletnobotanica. Se si pu partire dall'assuntoalmeno da un punto di vista
teoricoche i resti archeologici siano il lontano riflesso di antichi modelli culturali o
comportamentali, chiaro che l'accesso a questi modelli, nella loro realt o complessit,
impedito dalla scomparsa dei suoi artefici e della maggior parte dei loro prodotti. Per questa
ragione essenzialmente si sviluppato in modo sempre pi consapevole negli studi
paletnobotanici un indirizzo di ricerca sulle societ attuali a livelli tecnologici meno
complessi, nel tentativo almeno di impostare correttamente alcuni dei termini del problema.
Per quanto riguarda le pianure d'Europa, mancano purtroppo studi ampi e
documentati sui sistemi agricoli tradizionali dai quali risalire ai processi di formazione dei
documenti archeologici; e quasi nulla di questi sopravvive sulle montagne dove, agli effetti
distruttivi della meccanizzazione, si sono sommati quelli dello spopolamento. Restano, per
l'Italia, alcune opere a carattere locale, mentre fondamentali per diversi aspetti sono i lavori
pi generali dello Scheuermeier (SCHEUERMEIER 1980), di Maurizio (MAURIZIO
1927) e di Leser (LESER 1970). Nei suoi recenti studi paletnobotanici sull'Europa centrosettentrionale Hillman ha attinto considerevolmente ad una decennale esperienza anatolica,
pur nella consapevolezza che modelli etnografici di aree e periodi diversi non siano sempre
ed immediatamente confrontabili (HILLMAN 1984). L approccio antropologicoetnografico al problema ha trovato recentemente un numero crescente di fautori che hanno
prodotto, dopo il Congresso Archeologico Mondiale di Southampton (settembre 1986), una
sintesi metodologica ed applicativa di ampio respiro (HARRIS-HILLMAN 1989). Nella
stessa ottica si sono mossi nei decenni passati numerosi studiosi americani (FLANNERY et

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alii 1971; WETTERSTROM 1978; e prima ancora, V. JONES 1936). Una posizione
diversa illustrata da G.W. Dimbleby che, nel suo lavoro di sintesi (DIMBLEBY 1978),
affronta il problema con un orientamento di tipo ecologico, posizione questa che sembra
condivisa da ampia parte della scuola inglese (HARRIS 1969) e anche da studiosi di lingua
francese (BARRAU 1979; PORTRES 1961).
Il risultato dell'atteggiamento etnografico consistito in una maggiore attenzione nel
riconoscimento della funzione e del significato delle strutture archeologiche connesse a
pratiche agricole, come pozzi-silos (riconosciuti fin dal Neolitico in Gran Bretagna da
FIELD et alii 1964), o forni, o granai, o aree adibite alla battitura (DENNELL 1978)
oppure nell'individuazione delle tappe attraverso le quali il campione archeologico
paletnobotanico si formato (spulatura, setacciatura, tostatura, insilaggio dei semi). In
particolare quest'ultimo processo stato oggetto di studi specifici ed approfonditi (SIGAUT
1978; GAST et alii 1985) per quanto attiene la documentazione storica recente. L'approccio
ecologico ha comportato invece una lettura degli insiemi paleocarpologici allo scopo di
definire piuttosto gli ambienti in cui l'agricoltura preistorica ha potuto svilupparsi
(HAWKES 1969), o di indicare, con migliore precisione di quanto sia possibile con l'analisi
pollinica, il contesto vegetale di raccolta e le propriet dei suoli agricoli (per un esempio,
fra i tanti, di questo metodo di analisi, si veda VAN GEEL et alii 1983).
3. La conservazione di resti paleocarpologici e la formazione del contesto
archeologico
L'insieme archeologico dipender, oltre che dalle trasformazioni avvenute sul sito
dopo il suo abbandono, anche dal modo in cui il campione si formato all'origine, e quindi
dalla sua funzione originaria. Inoltre dipender anche dai processi di fossilizzazione che ne
garantiscono la sopravvivenza su lunghi periodi di tempo.
Il modo pi consueto di fossilizzazione dei resti paleoagricoli la carbonizzazione. A
questo riguardo, bisogna osservare che nessun vegetale di et quaternaria pu aver subto
l'insieme di processi (variazioni termiche e bariche) che comportano la formazione di
carboni fossili, che richiedono periodi di tempo ben superiori. Di conseguenza i materiali
carbonizzati presenti nei contesti archeologici devono la loro forma fisica al fatto di essere
stati bruciati dalla fiamma.
Lo stato di conservazione dipender dalla temperatura alla quale stato sottoposto il
materiale e dalla quantit di ossigeno che intervenuto nel processo. Una fiamma
ossidante, infatti, tende a bruciare completamente il materiale organico, e anche nel caso in
cui ci non avvenisse, esso si presenter fragile e poroso, con ridotte possibilit di
conservazione. Al contrario, una combustione regolare e in ambiente povero di ossigeno
favorisce la formazione di un campione archeologico meglio rappresentato e con minori
distorsioni. La ragione per la quale un seme o un frammento di legno non si conservano nel
terreno se non allo stato carbonizzato, dipende essenzialmente dal fatto che gli agenti
decompositori, come i batteri e i funghi che si nutrono di macromolocole organiche
(soprattutto glucidi), non trovano nel carbone materiale nutritivo di alcun tipo che ne
consenta la vita.
La combustione di semi e frutti avviene generalmente per caso, ma favorita dal fatto
che, per migliorare le qualit alimentari di tipi diversi di vegetali, questi vanno
parzialmente "tostati" dentro un forno. Ci pu dirsi per i frumenti e orzi "vestiti", cio

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coperti da glume aderenti al chicco eliminabili solo con il calore, o per frutti aciduli (mele)
o amari (ghiande), il cui sapore pu essere migliorato appunto mediante leggera tostatura;
mentre il caso non si presenta generalmente per le leguminose (lenticchie, fave, piselli,
vecce di vario tipo) e per i cereali "nudi", che non richiedono un particolare trattamento. Di
conseguenza nei depositi archeologici i ritrovamenti pi frequenti saranno quelli di cereali
bruciati accidentalmente, mentre la presenza di notevoli quantit di leguminose andr
generalmente messa in relazione con incendi distruttori scoppiati nei depositi-magazzini.
Il caso di incendio di aree destinate alla battitura dei cereali pu essere preso in
considerazione quando siano presenti quantit rilevanti di cariossidi e di resti della spiga
disseminati su un'ampia superficie. Esiste qualche raro esempio di ci anche nella
documentazione archeologica. L'etnografia, peraltro, fornisce esempi illuminanti sull'entit
della possibile distruzione (Fig. 1).
In alcuni casi il materiale carbonizzato non proviene da silos o da giare, o da forni,
ma si trova incluso nell'impasto di terrecotte. Sembra che il degrassante utilizzato in
passato dai vasai, oltre a granuli di minerali di diverso tipo, comprendesse occasionalmente
anche chicchi di cereali che, inclusi nella pasta, venivano carbonizzati all'interno dei forni.
In questo caso si forma un modello interno molto preciso, che lascia una cavit
perfettamente identificabile nella parete del vaso, e dalla quale si possono generalmente
ottenere eccellenti calchi (Fig. 2). Una tecnica, la cui importanza non stata ancora
pienamente utilizzata nel quadro degli studi sull'origine dell'agricoltura, consiste nell'analisi
radiologica di frammenti vascolari da siti che risultano privi di resti macroscopici di piante
coltivate, allo scopo di evidenziare appunto la presenza di cavit dovute alla combustione di
chicchi.
Un processo di fossilizzazione per impronta abbastanza simile a quello ora descritto
si pu verificare su mattoni di argilla cotti al sole, o su intonaci, o su pareti di vasi. In
questo caso il materiale non carbonizzato e lascia impronte spesso molto dettagliate della
struttura vegetale (nervature delle foglie, forma dei semi). Tra i materiali pi frequenti che
fossilizzano in questo modo troviamo erbe, pula, paglia.
Bench la paletnobotanica si interessi soprattutto ai resti macroscopici, non mancano
materiali microscopici che possono dare valide informazioni sulla presenza di piante
coltivate. In tal senso vengono utilizzati gli scheletri silicei delle cellule epidermiche dei
cereali, che si rinvengono assai frequentemente nei depositi di ceneri. La forma di queste
microstrutture, assai caratteristica, permette il riconoscimento delle specie di appartenenza.
I casi di conservazione eccezionale sono cos ampiamente noti che non sembra
necessario soffermarsi su questo aspetto del problema, anche perch le determinanti
climatiche responsabili di questi casi non sono state presenti in Italia almeno negli ultimi
millenni. Ci si riferisce alla conservazione in ambiente secco e desertico, o in ambiente
freddo (nel ghiaccio o nel permafrost). Alcuni casi di conservazione nel sale possono essere
ricordati da esempi tratti dall'archeologia subacquea, mentre ben note sono le analisi
paletnobotaniche effettuate su contenuti stomacali di uomini delle torbiere dell'et del
Bronzo e del Ferro danesi (HELBAEK 1950; 1958) o sul materiale intestinale di identici
ritrovamenti inglesi, eventualmente con il concorso di studi pollinici (HILLMAN 1986;
SCAIFE 1986).
Alle latitudini dell'Europa centro-settentrionale si trovano inoltre situazioni
ecologiche particolarmente favorevoli alla conservazione dei materiali botanici non
carbonizzati, cio l'ambiente umido di torbiera. In questi casi i resti consistono non solo dei

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semi, ma anche delle parti organiche (foglie, fiori, fusti, brattee ecc.).
Per l'interpretazione corretta di forme archeologiche che possono avere avuto
attinenza con la trattazione e/o la conservazione dei vegetali, bisogna ricordare che parti
diverse delle piante possono richiedere tecniche differenti di manipolazione e di stoccaggio.
Cos i frutti carnosi e i semi subiscono destini molto diversi, e quindi differenziati saranno
probabilmente i contesti nei quali verranno reperiti. Peraltro, la relativa rarit di frutti nei
contesti archeologici, pu dipendere dal fatto che essi non si conservano a lungo neppure
dopo adeguato trattamento (di solito vengono consumati, entro societ raccoglitrici attuali,
dopo pochi mesi al massimo), al contrario dei semi che hanno, chi pi chi meno, una
stabilit sensibilmente superiore soprattutto dopo la loro parziale tostatura.
L'analisi e il riconoscimento del contesto di provenienza dei campioni
paleocarpologici dovrebbe essere uno dei momenti significativi del lavoro archeologico di
scavo. Purtroppo va sottolineato che questa operazione non molto frequentemente tentata
in rapporto con l'elevato numero di ritrovamenti di semi.
Nelle Tabelle 1-3 sono illustrati i contesti archeologici pi spesso illustrati
nell'ambito preistorico italiano. Si tenuto conto della tradizionale scansione culturale ma,
ritenendo che i resti paleocarpologici possano aver avuto trattamenti e forme conservative
diversi, si sono separati i cereali, i legumi e i frutti.
Dall'esame dei dati, sembra che i contesti chiaramente definiti come strutture ipogee
di conservazione dei semi sono pochi (pozzetti, buche), e risultano quasi esclusivamente
riferiti ai cereali. Non naturalmente impossibile che legumi e frutti, forse pi deteriorabili,
richiedessero un insilaggio di tipo diverso (entro vasi, ad esempio). Resta tuttavia la realt
di una documentazione ancora insufficiente. Qualche contesto appare poco precisato. Si
sono mantenute le voci insediamento perilacustre e bonifica per indicare pi le
condizioni di ritrovamento che l'ambiente specifico dell'insieme. In qualche caso ci si
imbatteper la sola et del Bronzoin ipotesi cultuali la cui validit andrebbe forse
valutata anche su altre basi.
Nell'elenco seguente, si tiene invece conto dei pi comuni aspetti reperiti nella
letteratura europea (RENFREW et alii n.d.; ZOHARY-HOPF 1988; BUCHENSCHUTZ
1985).
1. Spazzatura. Accumuli di questo tipo possono dar luogo a piccoli rilievi, a buche, a
fosse pi o meno allungate. In alcuni casi questi depositi possono contenere in buono stato
di conservazione, grazie alle condizioni anaerobiche, molti tipi di materiali organici anche
non carbonizzati.
2. Insilaggio. Probabilmente alcune delle buche descritte nei contesti archeologici
vanno interpretate come pozzi-silos. Il loro deposito non contiene necessariamente rilevanti
quantit di materiale carbonizzato, mentre possono essere presenti frammenti vascolari e
materiale di tipo argilloso in grumi o lastrine, con l'originaria funzione di
impermeabilizzare le pareti. Talvolta queste buche hanno diametro superiore al metro e un
profilo "a fiasco", cio sono allargate verso il basso. Ritrovamenti archeologici di granai,
invece, non sono frequenti, e la loro descrizione si basa solo sulla grande quantit di resti,
piuttosto che sulla presenza di vere e proprie strutture.
3. Forni e focolari. Nel primo caso probabilmente il materiale stato carbonizzato
accidentalmente, ma nel corso di una particolare fase della sua preparazione per il consumo

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alimentare. Nel secondo caso l'evento stato del tutto fortuito e al di fuori dei processi
produttivi.
4. Superfici abitative. Esse contengono frequentemente avanzi di pasto dispersi. In
questa categoria possono rientrare anche le superfici occasionalmente o stabilmente
utilizzate per la battitura dei cereali, all'interno di aie o di cortili.
5. Coproliti, depositi di fogne. Essi possono fornire preziose informazioni sui costumi
alimentari; purtroppo sono ancora piuttosto raramente analizzati. Pi frequenti sono gli
escrementi mineralizzati, e quindi suscettibili di lunga conservazione. Il loro studio
illuminante sulle diete, le malattie alimentari e le patologie parassitologiche, l'uso di
sostanze ad azione farmacologica ecc.
6. Impronte su mattoni di fango, su terracotta o su superfici argillose umide. In taluni
casi possono essere conservate impronte di intere parti della pianta.
Non sempre possibile inquadrare il contesto paletnobotanico locale in un quadro
funzionale pi generale. In Europa si descrivono con una certa frequenza le seguenti
situazioni:
1. silos sotterranei, associazioni di buche e pozzetti anche di grandi dimensioni;
2. granai su pali, descritti da un particolare orientamento di buche di palo, e cio
quattro buche ai vertici della struttura, e altre buche (una o pi) per lato; spesso vi una
buca al centro.
3. associazioni silos-granai, talora compresi all'interno di un'unica struttura abitativa
circondata da una palizzata (seconda et del Ferro dell'Europa centrale).
Meno frequenti, ma di notevole interesse, sono le associazioni di resti vegetali con
sepolture, o all'interno di strutture carbonizzate interpretate come madie.
4. Tecniche di raccolta dei campioni dal terreno
Fino a pochi anni fa, tutto il materiale carbonizzato veniva raccolto dagli scavatori a
vista, sul terreno o durante le operazioni di vagliatura. ovvio che il recupero direttamente
dal terreno non pu consentire risultati soddisfacenti, dal momento che, soprattutto se il
deposito argilloso oppure ricco di sostanze organiche che rendono scuro il terreno, i semi
piccoli non sono visibili o, pur essendolo, non possono per ovvi motivi essere recuperati in
modo completo. Pertanto, il confronto fra campioni di semi raccolti in questo modo in siti
diversi pu portare a conclusioni erronee, dal momento che la campionatura introduce un
elemento altamente soggettivo e casuale (l'abilit e la pazienza del raccoglitore, la maggiore
o minore visibilit del materiale ecc.).
Un procedimento pi sicuro per la campionatura la setacciatura a secco, su setacci
a maglie fini. Questo metodo d validi risultati su sedimenti sabbiosi, mentre ovviamente
sconsigliabile con suoli argillosi che formano aggregati di grosse dimensioni, plastici, e la
cui disarticolazione pu comportare danni al fragile materiale carbonizzato. Inoltre ovvio
che la setacciatura a secco non pu essere spinta a frazioni molto fini (raramente si scende
sotto i 250 p) e, nel corso dell'operazione, la frizione meccanica pu danneggiare in modo
rilevante semi e frutti.
Il recupero mediante vagliatura a secco riduce i danni ai materiali carbonizzati ma
richiede tempi lunghi e non elimina un elemento di soggettivit, dipendendo dall'abilit e
dall'esperienza dell'operatore, dalle condizioni di illuminazione, dal colore del sedimento.

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Su piccoli campioni di terreno pu essere talora praticata la setacciatura in acqua,


procedendo nel seguente modo: si versa acqua sul terreno depositato in un contenitore
opportuno, fino a coprirlo; si agita delicatamente, in modo da non danneggiare i materiali
pi fragili, per favorirne la risalita in superficie; dopo qualche tempo si decanta su setaccio
(o su serie di setacci) a maglie fini evitando il travaso di terra. Si ripete l'operazione diverse
volte e, alla fine, si sottopone ad esame visivo il terreno residuo fatto asciugare. Parti del
campione di terra possono essere osservate in un secondo tempo al binoculare a 10
ingrandimenti. Questo metodo, che richiede tempi piuttosto lunghi, si rivelato molto
efficace e preciso; purtroppo non pu essere utilizzato per grandi quantit di materiali.
Molto noto sui cantieri archeologici il metodo della flottazione, introdotto dalla
scuola inglese allinizio degli anni Settanta JARMAN et alii 1972) (Fig. 3). Bench
numerose siano ormai le varianti della tecnica, essa in sostanza si avvale di un getto di
acqua che crea vortici o bolle d'aria entro un grande contenitore d'acqua ("flottatrice") che
porta appeso verso il terzo superiore e completamente immerso nell'acqua un setaccio a
maglie larghe (intorno al centimetro) su cui viene versato il sedimento scavato. L'agitazione
dell'acqua determina la risalita dei materiali pi leggeri, favorita dall'aggiunta di sostanze
tensioattive, che trattengono nella schiuma semi e carboni. Questi sono decantati in una
serie di setacci a maglie fini; l'acqua viene fatta entrare continuamente nel serbatoio,
fintanto che l'operazione conclusa. Il grande successo di questo metodo legato al fatto
che, con un equipaggiamento relativamente semplice ( tuttavia necessaria una pompa e un
motore alimentatore per sostenere il flusso di aria all'interno dell'acqua), si possono trattare
quantit notevoli di terreno assai rapidamente, durante lo scavo, e non sono necessari pi di
due operatori addestrati. Gli inconvenienti principali risiedono nella elevata quantit di
acqua necessaria; nella frequenza con cui essa va cambiata (in pratica, andrebbe sostituita
ogni volta che si cambia unit stratigrafica per evitare contaminazioni da parte di materiale
che non abbia "flottato" durante le operazioni precedenti); nell'impossibilit di utilizzare, se
non sono osservate le dovute precauzioni, prese d'acqua "naturali" (ruscelli, torrenti, fiumi,
che possono contenere materiali vegetali che inquinerebbero i campioni; l'acqua di mare
presenta l'ovvio svantaggio di lasciare incrostazioni di sale nei materiali durante
l'essiccamento, ci che potrebbe facilmente determinare la loro fratturazione a causa della
pressione di cristallizzazione). Va anche detto che la flottazione non garantisce risultati del
tutto sicuri ed omogenei. Mentre alcuni materiali flottano con facilit, altri, pur
carbonizzati, non risalgono alla superficie neppure se si aumenta la quantit di sostanze
tensioattive o se si cerca di favorirne il recupero con una pi intensa agitazione meccanica.
Tali materiali si ritroveranno nel setaccio o, se di piccole dimensioni, nel "passante" di
fondo. Pertanto, sar sempre opportuno che l'operatore, svuotando la flottatrice, recuperi in
parte o tutto il sedimento accumulato, per un'analisi accurata di esso, eventualmente da
effettuare in un secondo tempo, sul detrito asciutto, al microscopio stereoscopico.
noto il fatto, apparentemente sorprendente, che cariossidi carbonizzate di una stessa
specie, ed eventualmente contenute nello stesso sedimento, vengono in superficie o
rimangono sul fondo, assieme al sedimento. Abbiamo osservato questo fenomeno su tutti i
pi comuni cereali e su molti frutti carbonizzati, per cui il fenomeno non pu essere
imputato a specificit morfologiche o anatomiche di una singola specie. La spiegazione
sembra da ricercarsi piuttosto nel fatto che, durante i processi di carbonizzazione, si creano
in tutto lo spessore del seme cavit alveolari di varia forma e numero, ripiene di gas, che
rendono il chicco pi o meno leggero e quindi pi o meno suscettibile alla flottazione (Fig.

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4).
Dopo la flottazione, il materiale andrebbe fatto asciugare lentamente, in un luogo
bene aerato, asciutto, ma non esposto ai raggi solari o ad altra fonte di calore: la
disidratazione brusca pu aprire fratture pi o meno grandi nel seme compromettendone la
solidit. Quando perfettamente asciutto, il campione pu essere conservato in capsule rigide
di plastica, con carta o cotone. Nel caso in cui si voglia destinare i semi all'analisi
radiocarbonica, converr sempre sottoporli preliminarmente ad un esame paletnobotanico:
esso non distruttivo e non contamina in nessun modo il materiale, che potr essere inviato
successivamente al laboratorio per la datazione assoluta.
5. Le analisi
Lo studio del materiale macroscopico viene eseguito al binoculare stereoscopico,
generalmente a piccoli ingrandimenti (10x). L'oculare provvisto di una scala
micrometrica per le misurazioni, di solito effettuate nelle tre dimensioni, espresse in
millimetri. La superficie del seme dovrebbe essere ripulita delicatamente per la sua
osservazione, perch alcune strutture fini possono essere essenziali per la determinazione
(forma dei solchi, disegni dei margini di cellule, presenza di aculei ecc.) (Fig.5). In questi
casi, pu essere necessario l'uso di un microscopio a forte ingrandimento ( > 80x) con
illuminatore esterno, meglio se laterale (al contrario di quanto avviene per lo studio dei
carboni di legno, per i quali preferibile l'illuminazione zenitale). L'analisi al microscopio
elettronico a scansione talora utilizzata, per mettere in rilievo particolari modelli cellulari
caratteristici del pericarpo di alcuni cereali, come Triticum monococcum, Triticum
dicoccum e Secale cereale (Fig. 6), un procedimento che pu essere risolutivo nel caso in
cui si debbano distinguere forme selvatiche da forme protodomestiche (KORBERGROHNE 1981).
La determinazione richiede generalmente il confronto dell'esemplare con numerosi
campioni di riferimento, per stabilirne e precisarne le caratteristiche morfologiche e
biometriche. Va tenuto in considerazione tuttavia il fatto che la carbonizzazione pu
alterare parzialmente la forma e le dimensioni del seme. Le cariossidi di Frumento tenero
esaploide (Triticum aestirum L., T. compactum Host.), ad esempio, mostrano con la
carbonizzazione una diminuzione in lunghezza di quasi un millimetro, un aumento in
larghezza di poco inferiore, e una certa costanza nello spessore. L'orzo vestito (Hordeum
vulgare L.), invece, mostra sensibili distorsioni (diminuzione) solo nella lunghezza (HOPF
1955; RENFREW 1973).
Come gi si detto, oltre ai semi e ai frutti pu accaderee con maggior frequenza
di quanto si possa crederedi trovare nel campione frammenti di spighe o spighette. Fra
questi, forse pi comuni sono le "forcelle", cio un tratto della rachilla e la base delle due
glume della spighetta. Questi elementi possono essere di grande utilit per la
determinazione di cereali con cariossidi di forma molto simile, come avviene nel caso di
Triticum dicoccum Schubl. (Dicocco) e Triticum spelta L. (Spelta). In altri casi sono
presenti gli articoli della rachilla di spighette di Triticum aestivum L. (Frumento tenero),
con gli internodi (Fig. 7).
La determinazione dei frutti pu essere favorita, in alcuni casi, dalla presenza di
particolari elementi anatomici. Per esempio, la frattura dei noccioli di Cornus mas L.
(Corniolo) evidenzia tasche oleose di forma globosa; mentre nel pericarpo di Corylus

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avellana L. (Nocciolo) sono presenti vescicole di piccole dimensioni e molto ravvicinate


(Fig. 8).
I frutti carnosi in depositi archeologici sono piuttosto rari. Essi possono conservarsi
unicamente allo stato carbonizzato; per lo pi di essi si trovano solamente i semi.
Occasionalmente sono presenti spacchi di frutti, o frutti interi. In questi casi, sono state
fatte interessanti ipotesi sulle modalit di trattamento e conservazione (VILLLARET VON
ROCHOW 1969). Per esempio, l'analisi dell'epidermide delle mele preistoriche
occasionalmente conservata (HEEBAEK 1952) indica che questi frutti, di dimensioni molto
ridotte rispetto alle attuali variet coltivate, venivano spaccati longitudinalmente o
trasversalmente in due parti, senza ulteriori preparazioni, e fatti essiccare per diminuirne
l'acidit; un processo simile veniva attuato per la conservazione delle pere selvatiche. La
carbonizzazione subentrava accidentalmente in un secondo tempo (Fig. 9).
La percentuale di resti di diverse specie nel campione archeologico, come si detto,
non sempre un indice sicuro della composizione del raccolto. In certi casi, per esempio, la
contemporanea presenza nel campione di percentuali simili di diverse specie di frumento e
orzo non giustifica automaticamente l'ipotesi di una coltivazione mista, bench sia ben noto
da fonti etnografiche e storiche che tale pratica (granum promiscuum dell'alto Medioevo;
"barbariato" dell'Italia medievale settentrionale; maslin turco) era frequentemente adottata.
Per l'interpretazione di tali insiemi, talora soccorre la presenza di semi di piante che
infestano i raccolti, e la cui diffusione, anzi, strettamente legata ai dissodamenti agricoli
che aprirono il varco all'interno delle foreste. Queste erbe presentano interessanti
adattamenti, talora assai specifici agli ambienti creati dall'uomo. Cos, papaveri, camomilla
e fiordaliso sono comuni rappresentanti della vegetazione messicola, mentre nelle colture
orticole si troveranno frequentemente Polygonum aviculare, Polygonum persicaria,
Capsella bursa-pastoris, Stellaria media, Veronica spp. ecc. L'analisi dei semi infestanti
pu pertanto dare valide informazioni sull'ambiente di raccolta e sulle sue caratteristiche
ecologiche, oltre che sulle tecniche e periodi di mietitura, permettendo talora di ipotizzare
semine autunnali o primaverili (Fig. 10).
Quando tali semi siano numerosi, rappresentando molte specie erbacee, si potr fare
un'analisi di tipo fitogeografico anche di notevole dettaglio, riconoscendo i vari ambienti di
provenienza. Il metodo si affianca in questo modo con grande efficacia all'analisi pollinica
eventualmente condotta sul sito. Per un esempio recente, fra i tanti, di questa tecnica di
indagine, si menziona lo studio di van Zeist (ZEIST 1989) SU depositi di cereali
carbonizzati dell'et del Ferro nei Paesi Bassi, dove l'accurato studio dei semi di piante
spontanee potrebbe indicare, in via di ipotesi, che la coltivazione del Dicocco avveniva,
contrariamente alle aspettative, in un ambiente paludoso. Infine, non va scordato che in
tempi di carestia, e non solo in quelli, semi di piante "infestanti" hanno potuto entrare
pienamente nell'alimentazione umana (Bromus secalinus, Polygonum convolvulus,
Chenopodium alljum ecc.) grazie anche al loro elevato contenuto in carboidrati.
Infine, si menzionano qui di sfuggita tecniche di analisi su resti di origine vegetale
allo scopo di determinare alcune delle propriet dei materiali. Ad esempio, risultati
interessanti sono stati ottenuti da ZEVEN et alii (1975) che, con tecniche elettroforetiche,
hanno potuto isolare proteine da cariossidi non carbonizzate di frumento. HILLMAN et alii
(1985) hanno determinato la storia termica di grani archeologici (per esempio su Lindow
Man) attraverso la spettroscopia a risonanza elettronica di spin; con questa tecnica sembra
possibile stabilire il valore termico massimo di combustione dei chicchi, oltre alla durata

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della combustione stessa.


Bench lo studio dei macroresti vegetali sia argomento specialistico, si ritiene
opportuno dare qui qualche indicazione per un riconoscimento almeno approssimativo di
alcuni dei resti pi frequentemente presenti nei siti archeologici, pertinenti a cereali e a
leguminose.

CEREALI
Le pi comuni erbe annue coltivate per il consumo dei frutti sono pochi generi della
famiglia Gramineae. Nell'Italia preistorica, tali generi sono Triticum, Hordeam, Avena,
Secale, Panicum e Setaria. Tutti questi generi sono caratterizzati da alcuni elementi comuni
fra i quali di maggiore importanza, per lo studio paletnobotanico, sono le particolari
strutture fiorali. I fiori sono generalmente riuniti in gruppi a formare infiorescenze a spiga o
a pannocchia. In questo caso, dallo stelo (culmo) partono corti rami, o peduncoli, alla cui
estremit si trovano le spighette, cio le strutture destinate, a maturit, a contenere i frutti.
Alla base di ogni spighetta si osservano due piccole foglie, o glume, che avvolgono la
spighetta. All'interno, a partire da un asse corto, o rachilla, si staccano i fiori, ciascuno
circondato da due delicate scaglie, o glumette, definite rispettivamente lemma e palea. Esse
avvolgono pi o meno strettamente il frutto, detto impropriamente "seme"; si tratta, in
termini botanici, di un frutto secco indeiscente, o "cariosside".
Alcuni cereali hanno le cariossidi facilmente separabili dalle glumette, e vengono
definiti "nudi"; in altri casi le glumette aderiscono fortemente alla parete esterna del chicco,
che allora detto "vestito". Questa differenza spiega i processi radicalmente diversi nel
trattamento dei due tipi di cariossidi: le forme "nude" separano facilmente il chicco dagli
involucri, una operazione che richiede la semplice battitura. Le forme "vestite" necessitano,
per l'eliminazione delle glumette indigeste, di un preliminare processo di tostatura.
Limitandoci alla forma delle cariossidi del Frumento, si osservano differenze evidenti
solo fra poche specie (Fig. 11).
I chicchi del Monococco sono stretti, pi alti che larghi. Il solco ventrale spesso
sinuoso, poco pronunciato e delimitato da angoli piuttosto acuti. In norma laterale il chicco
spesso biconvesso, ed arcuato in modo regolare. Le due estremit sono appuntite; l'altezza
massima si registra verso la met del chicco. Il Dicocco ha cariossidi solitamente di
dimensioni maggiori, con solco ventrale pi pronunciato e rettilineo, delimitato da bordi
meno acuti. In norma laterale il profilo ventrale piatto o concavo, la curvatura dorsale si
solleva regolarmente sopra l'area che contiene l'embrione; l'estremit opposta (superiore)
non appuntita. Il Dicocco non di solito distinguibile da altri frumenti, come T. durum e
T. spelta, per cui la determinazione si basa su altri elementi, purtroppo non sempre presenti
Le cariossidi di Orzo si distinguono in due categorie, quelle "nude" e quelle "vestite". Le
prime sembrano essere pi antiche, e comunque sono frequenti nel Neolitico. L'Orzo si
distingue dal Frumento per avere cariossidi piu depresse in norma laterale, con forma
lenticolare. I1 solco ventrale poco profondo e spesso porta, anche sui materiali
carbonizzati, tracce della glumetta.
Talora possibile distinguere gli orzi a due file e quelli a sei file: i primi hanno
cariossidi regolari e simmetriche, nei secondi i chicchi laterali sono spesso parzialmente
ritorti ed asimmetrici.

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LEGUMINOSE
Le Leguminose di importanza economica nella preistoria italiana sono per lo pi erbe
a fusto volubile, e producono un frutto (legume) contenente i semi eduli. Questi sono
formati da due parti, o cotiledoni, ricche in proteine e amido. Il seme spesso sferoidale o
discoidale (nelle cicerchie e nelle vecce si presenta invece pi o meno angoloso) e presenta
nel piano sagittale fra i due cotiledoni una piccola depressione ovale, detta ilo, sotto al
quale si sviluppano alcune delle strutture embrionali. In prossimit dell'ilo si trova sul
tegumento del seme una cicatrice tondeggiante di piccole dimensioni, detta claza, che
rappresenta lo sbocco del funicolo ovarico. I caratteri diagnostici delle leguminose sono la
forma e le dimensioni del seme, la morfologia della superficie, la posizione dell'ilo e della
calaza.
6. Alcuni problemi di interpretazione
Quando si deve interpretare un campione paletnobotanico in chiave paleoeconomica,
andranno sempre tenuti in considerazione i fattori che possono aver distorto in modo
cospicuo l'insieme originario. Inoltre va ricordato che, soprattutto nei deposti preistorici, il
campione spesso ridotto a poche decine di chicchi, con i quali pu essere veramente un
gioco d'azzardo formulare ipotesi sui sistemi agrari o sull'alimentazione del passato.
Come esempio della fragilit concettuale su cui si basano molte delle ipotesi sulla
paleoagricoltura, si possono menzionare i risultati ottenuti nella coltivazione di cereali in
piantagioni sperimentali in Nord Europa, a Draved (Danimarca) e a Butser Farm
(Inghilterra).
A Draved (STEENSBERG 1979) in una serie di esperimenti iniziati nel 1953, si
ottennero risultati piuttosto differenziati sulla base del tipo di suolo utilizzato. Su suoli
poveri, preparati mediante debbio, la resa fu di circa sei chicchi per spiga (Triticum
monococcum).
Ove le condizioni erano pi favorevoli si raccolsero (Tr. monococcum) 13 chicchi per
spiga con circa 50 spighe/m2, oppure (Hordeam valgare) 24 chicchi per spiga.
Invece, su terreni preparati, l'Orzo diede risultati migliori (48 chicchi/spiga). Inferiore
costantemente la resa dei frumenti, ma comunque il raccolto diede risultati degni di rilievo
(circa 7,0 x 107 chicchi/ettaro, cio circa 4.000 kg/ha).
A Little Butser, in Hampshire (REYNOLDS 1979), il raccolto si ferm a valori
inferiori, cio fra 2.000 2.500 kg/ha.
Secondo Dennell (DENNELL 1978) durante il Neolitico in Bulgaria la resa non
doveva essere sensibilmente diversa dai valori ottenuti nelle campagne medievali, con
medie attorno ai 500 kg/ettaro; il che significherebbe, accettando i dati su riportati, un
valore non troppo discosto da ,O X 1O 7 chicchi per ettaro.
Pur ammettendo che i campi coltivati nel Neolitico fossero meno estesi, sembra
legittimo ipotizzare un raccolto non inferiore ai 7 o 8 milioni di chicchi all'anno da un
singolo appezzamento. Sulla base di numerosi dati, questo valore dovrebbe corrispondere
(per T. dicoccum) a un volume superiore ai 300 litri.
Per quanto basso sia questo valore, non si pu scordare che il campione
paleocarpologico (soprattutto per la preistoria) raggiunge raramente valori superiori alle

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poche centinaia di chicchi, e generalmente ridotto alle decine, cio solitamente non
eccede i 15 o 20 cc. Si comprender dunque la parzialit dell'informazione e il pericolo di
conclusioni gravemente distorte nella interpretazione della composizione percentuale dei
diversi cereali coltivati sul sito. Va inoltre tenuto in considerazione il fatto che una parte
non irrilevante del prodotto non era destinata alla consumazione, ma alla semina; perci
tale porzione non rappresentata nei campioni archeologici, a meno di una sua
combustione accidentale.
Inoltre, non ovvio pensare che i semi carbonizzati, proprio per il solo fatto di essere
bruciati, debbano essere considerati i rappresentanti delle reali proporzioni dei raccolti:
anzi, almeno nel caso in cui essi provengano da pozzetti di rifiuto, pi facile pensare che
essi rappresentino materiale di scarto, e che perci indichino ci che non era consumato
piuttosto che ci che lo era.
Infine, va ricordato che probabilmente parte dei semi trovati in un contesto
paleocarpologico poteva essere destinato non all'alimentazione umana, ma a quella animale
(molte leguminose).
7. L'alimentazione vegetale preistorica in Italia (1).
Gli studi sui resti di interesse alimentare nei siti preistorici in Italia risalgono alla
seconda met dello scorso secolo, essendosi sviluppati soprattutto grazie a numerose
ricerche in luoghi umidi (aree perilacustri, "terramare"). Da allora, le occasioni di studio
sono state frequenti per la maggiore consapevolezza dell'importanza di tali resti
nell'archeologia moderna, ma il numero dei ricercatori specialisti in questo settore rimasto
piuttosto ridotto.
Pertanto, di molti ritrovamenti esiste solo la segnalazione generica ( semi , cereali
) fatta nella relazione di scavo, ma manca lo studio paletnobotanico. Ci nonostante, inizia
ad emergere un quadro relativamente coerente nella storia della domesticazione e del
consumo delle principali piante alimentari in Italia. Di esso si tenter di dare una breve
sintesi, almeno relativamente ad alcune fra le principali piante erbacee e arboree, e
limitandosi alla preistoria fino all'et del Ferro (Figg. 12 e 13).
Sono molto scarsi i dati relativi all'uso alimentare di vegetali prima del Neolitico. Si
possono segnalare, per l'Italia settentrionale, i ritrovamenti di nocciole a Bagioletto alto (I12687: 5720 120 bc)(2) e a Fienile Rossino (Bln-3277: 4860 70 bc); una segnalazione
di mirtillo viene dal Mesolitico trentino. Per l'Italia meridionale si ricordano resti di
ghiande, corbezzolo (Arbutus unedo) e di legominose ad Uzzo, riferiti alla seconda met
del settimo millennio.
La cerealicoltura in Italia sembra prendere corpo nelle regioni meridionali verso la
fine del settimo millennio bc. Nelle Puglie alcuni siti databili
(1) La breve sintesi che segue basata sul controllo bibliografico di diverse centinaia
di segnalazioni paletuobotaniche. In un lavoro di carattere didattico, come il presente, non
si ritiene necessario menzionare tutti i contributi cui si attinto. Il lettore che desideri
essere informato sullo stato pi recente della ricerca archeobotanica in Italia, pu fare
riferimento a FOLLIERI M., CASTELLETTI L. 1988, Palaeol~otanical research in Italy,
Il Quaternario 1, pp. 37-41.
(2) Le date radiocarboniche riportate sono desunte da BAGOLINI-BIAGI 1990 (in
stampa), che qui si ringraziano per l'informazione.

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a questo periodo (Coppa Nevigata, Fontanelle) indicano la presenza di Frumento e


Orzo, una situazione che si consolida nei secoli successivi in numerose altre localit
costiere risalendo progressivamente (Catignano) il versante adriatico. In Italia settentrionale
la data pi antica , al momento, quella di Vh di Piadena (I-11444:4285 +470 bc), con
Triticum monococcum; allo stesso periodo appartengono alcuni altri siti (Lugo di Romagna,
Cecima) con evidenze di Triticum aestivo-compactum, Tr. dicoccum e Hordeam valgare.
Una differenza fra le regioni continentali e quelle peninsulari che pu essere significativa
la relativa costanza, nei siti pugliesi, di Frumento e Orzo; nell'Italia settentrionale, invece,
l'Orzo il cereale pi frequente in tutto il Neolitico, e in subordine si trovano il Frumento
monococco e dicocco. Appare comunque evidente che fin dal Neolitico l'agricoltura
italiana considerata nel suo insieme conosce una notevole variet di forme. Fra i Frumenti,
si segnalano T. monococcum, T. dicoccum, T. aestirum, T. aestivo-compactum, T.
compactum; e vi sono dubbie segnalazioni di T. spelta e T. durum (le vecchie
determinazioni di T. sphaerococcum sono probabilmente da scartare; quelle di T. turgidum
sono quasi certamente da riferire a T. dicoccum/durum). L'Orzo presente nelle forme
Hordeum valgare disticlum e H. valgare hexastictum. Segnalazioni si hanno pure per
Avena sp. e, alla fine del Neolitico, per Panicum miliaceum.
Minore documentazione, come da attendersi per le gi discusse ragioni di
sottorappresentazione, si ha per le leguminose. Compaiono nel Neolitico dell'Italia
meridionale il Favino (Vicia falDa) e la Lenticchia (Lens esculenta); il Pisello (Pisum
satirum) pure segnalato in pochi siti neolitici anche nell'Italia settentrionale. Non
impossibile che venisse consumata la Cicerchia (Lathyrus satiaus): il genere
frequentemente menzionato dagli Autori, anche se manca una sicura indicazione della
specie, e non si pu escludere che, nella maggior parte dei casi, si possa trattare di vecce e
cicerchie spontanee raccolte occasionalmente.
Com' noto, il passaggio dall'economia mesolitica a quella neolitica non costitu una
trasformazione radicale nelle fonti di approvvigionamento alimentare, e la raccolta
boschiva continu ad essere praticata in modo talora intenso, sempre piuttosto variata.
Grazie allo studio di numerosi luoghi umidi nell'Italia settentrionale, questo territorio
relativamente bene conosciuto in merito a tale aspetto durante il Neolitico, e l'elenco delle
piante coltivate sarebbe piuttosto lungo. Menzioneremo, in ordine di importanza (cio sulla
base del numero di ritrovamenti) i seguenti frutti: nocciole, vite, corniolo, ghiande,
alchechengi, prugne, more. altres documentato il consumo della castagna d'acqua, della
fragola, del lino, del cinorrodio di rosa, delle mele e delle pere. Nel Centro-Sud, i frutti pi
frequenti nel Neolitico risultano invece essere la vite, la ghianda e l'oliva. In subordine,
sambuco, nocciole, more, prugne, fichi e pere.
Come si vede, ricorrono fin d'ora piante destinate ad essere di notevole importanza
economico-alimentare ed oggetto di coltura nei millenni successivi. Nulla di preciso si pu
dire tuttavia riguardo ad una arboricoltura neolitica, che, se valutata sulla base delle
dimensioni dei resti (noccioli principalmente) andrebbe senz'altro esclusa.
La fine del Neolitico, il consolidamento dell'economia di produzione e la graduale
formazione di societ complesse non ha comportato trasformazioni radicali
nell'alimentazione vegetale e nelle pratiche agricole. Sarebbe forse pi utile affrontare gli
aspetti economici analizzando la ridistribuzione geografica dei siti anzich la variazione dei
cultivar durante il Calcolitico e l'et del Bronzo. Nell'insieme, si continua ad osservare una
notevole presenza dell'Orzo; i frumenti sono ancora quelli neolitici, con sicure presenze di

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Triticum spelta e T. durum. Invece, si pu evidenziare un notevole incremento di cereali


"poveri", come il Miglio (Panicum miliaceam) e il Panco selvatico (Setaria viridis/italica),
la Segale (Secale cereale) e l'Avena (Avena fatua principalmente). difficile stabilire in
quale misura questi cereali "secondari" siano stati coltivati per le loro propriet alimentari,
o non si ritrovino nei raccolti in qualit di infestanti dei campi di cereali maggiori. D'altra
parte, lo stesso problema pu porsi anche il Frumento monococco, che non mai molto
frequente. La diffusione della Segale, del Panco e del Miglio sembra comunque da mettersi
in relazione sia con un incremento di contatti culturali attraverso le Alpi con l'Europa
centrale, dove questi cereali possono vantare una tradizione assai pi antica che nella
penisola italiana, sia con la graduale conquista dell'ambiente montano, visto come luogo di
interesse produttivo agricolo e di possibile insediamento stabile almeno a partire dalla
seconda met del terzo millennio bc.
Durante il primo millennio bc, e in particolar modo nell'et del Ferro, la situazione
paleoagricola meno chiaramente documentata, a causa di un minor numero di siti
investigati. Sembra comunque che le tendenze espresse precedentemente si consolidino,
con le presenze maggiori per Orzi e Frumenti, mentre i cereali minori si mantengono
discretamente rappresentati.
Nell'insieme, comunque, si osserva durante la preistoria italiana una graduale
diminuzione dell'Orzo, che viene compensata da numerose altre forme.
Le leguminose, che a causa delle loro maggiori esigenze edafiche rispetto ai cereali
sono buone indicatrici dello sviluppo tecnologico-agrario preistorico, indicano, a partire
dall'et del Rame, una notevole variet di forme. Sono coltivate le Lenticchie e i Piselli,
come in precedenza, ma la leguminosa che impone in modo schiacciante la propria
presenza, almeno fino al termine dell'et del Bronzo, il Favino (Vicia faba). Altre forme
prossime a questo (Vicia cracca, Vicia sativa, Lathyrus cicera) sono occasionalmente
menzionate. Da segnalare la presenza non saltuaria della Veccila (Vicia ervilia).
Nell'et del Ferro le leguminose continuano ad essere rappresentate in tutta Italia e in
numerosi cultivar. Si osserva tuttavia una graduale riduzione del Favino, mentre fa la sua
comparsa al Sud il Cece (Cicer arietinum).
Il panorama delle attivit di raccolta boschive, lungi dal restringersi, a partire dalla
fine del terzo millennio bc diventa, almeno per l'Italia settentrionale (e per le ragioni gi
viste), molto ampio ed articolato. Sono descritti in quest'area oltre venti taxa, ed alcuni, per
la frequenza dei ritrovamenti, indicano un interesse speciale da parte dei gruppi umani. In
questo periodo il frutto pi rappresentato nei siti archeologici l'uva; in subordine, ma con
alte frequenze, troviamo il corniolo, la ghianda, la nocciola e bacche di siepe (more,
fragole, sambuco, alchechengi). Citeremo ancora diverse specie del genere Prunus, come
ciliegie, prugnole e susine. Mele e pere continuano ad essere consumate, e fanno anche la
loro comparsa fichi, olive, castagne e faggiole.
Al Centro-Sud, invece, la documentazione relativamente scarsa. Essa indica una
maggiore presenza della ghianda e del corniolo; da segnalare la presenza della noce e
l'assenza nei contesti archeologici di alcuni frutti ampiamente consumati al Nord, come in
particolare la nocciola, la mora e la fragola.
L'utilizzazione delle risorse vegetali, spontanee o coltivate, si presenta dunque in
Italia, alla vigilia dell'epoca romana, ben articolata e piuttosto complessa, con chiari
adattamenti ecologici e progressivi miglioramenti tecnici. da sottolineare che molte
piante furono domesticate in epoca preromana (molti Pruni, I'Olivo) e che, fra gli alberi

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indigeni, solo il Noce e il Castagno sembrano svilupparsi arealmente in modo consistente in


epoca storica, bench il loro consumo occasionale risalga ai millenni precedenti. Per quanto
riguarda la cerealicoltura romana e post-romana, si hanno dati scritti attendibili solo per
alcuni, brevi, periodi; per altri, come l'alto Medioevo, restano documenti piuttosto oscuri,
come del resto dimostrano numerosi studi recenti sulla diffusione e sulla distribuzione di
Frumento, Orzo e, in particolare al Nord Italia, della Segale (MONTANARI 1988).
Anche per tali periodi l'analisi paletnobotanica potr contribuire a fare nuova luce.
RENATO NISBET

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1990 Edizioni AllInsegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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