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1. Introduzione
Gli aspetti che verranno presi in considerazione in questo articolo si riferiscono ai
resti vegetali di interesse alimentare, o sono connessi alla storia delle piante agrarie, o alla
loro tecnologia. Si esamineranno pertanto frutti e semi di piante coltivate o non coltivate
ma presenti nelle colture, escludendo quegli aspetti della paletnobotanica che riguardano
l'uso del legno o delle erbe allo scopo di ottenere luce, calore, fumo ecc. Si utilizzer inoltre
il termine di paleocarpologia per definire questo particolare aspetto della paleoetnobotanica
che si riferisce solo agli aspetti ecologici, etnografici e biometrici dei frutti e dei semi nei
contesti archeologici.
2. La storia e i problemi di metodo
L'idea di una paletnobotanica individuata come ricerca autonoma sembra essere
stata introdotta dal botanico J. W. Harshberger (HARSHBERGER 1896) in un suo studio
su materiali protostorici americani alla fine del secolo scorso, quando peraltro gi da
decenni l'archeologia egizia e le ricerche negli insediamenti perilacustri delle Alpi avevano
fornito agli specialisti l'occasione di studiare materiali di rilevante antichit (KUNTH 1826;
HEER 1866). Per molti decenni questa disciplina fu dominata da botanici, il cui obiettivo
principale era quello di fornire delle indicazioni precise sul tipo di resti trovati nei siti
archeologici esclusivamente attraverso la loro determinazione. Raramente, nelle relazioni
del secolo scorso e dei primi decenni di questo, si va oltre all'elencazione dei taxa, al
massimo viene messa in luce la presenza di forme oggi non pi coltivate o di origine non
locale. In questi ultimi decenni, tuttavia, ha preso il sopravvento un nuovo indirizzo nella
ricerca, che sembra privilegiare lo studio dei rapporti fra uomo e ambiente vegetale nel
senso pi lato. Uno dei padri della paletnobotanica moderna, Hans Helbaek, considera
oggetto di questa scienza l'insieme dei materiali di origine vegetale di interesse alimentare
per l uomo (HELBAEK 1971). La stessa idea sta alla base della definizione data da J.M.
Renfrew (RENFREW 1973), secondo la quale la paletnobotanica va definita come l'analisi
dei resti di piante coltivate o utilizzate esclusivamente per l'alimentazione umana in tempi
antichi, conservatesi nei depositi archeologici. U. Willerding (WILLERDING 1978) mette
invece in evidenza la molteplicit di interventi che possono essere effettuati sui materiali
botanici preistorici visti da una prospettiva storica, fitogeografica, ecologica o economica, e
riconosce al termine "paletnobotanica" tutti questi significati, pur ammettendo che esso
vada riferito soprattutto a problematiche storiche, al contrario delle altre discipline
botaniche.
Riassumendo gli aspetti principali della discussione intorno al termine in questione,
andranno fatte alcune osservazioni preliminari.
Lo studio dei resti vegetali del passato attiene il problema pi generale dei rapporti
fra l'uomo e l'ambiente vegetale nell'antichit, a prescindere dall'epoca (ogni et avr suoi
problemi specifici, ma il metodo di studio della presenza umana nell'ecosistema unico e
va impostato in modo unitario). La Paletnobotanica pu essere considerata una sezione
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alii 1971; WETTERSTROM 1978; e prima ancora, V. JONES 1936). Una posizione
diversa illustrata da G.W. Dimbleby che, nel suo lavoro di sintesi (DIMBLEBY 1978),
affronta il problema con un orientamento di tipo ecologico, posizione questa che sembra
condivisa da ampia parte della scuola inglese (HARRIS 1969) e anche da studiosi di lingua
francese (BARRAU 1979; PORTRES 1961).
Il risultato dell'atteggiamento etnografico consistito in una maggiore attenzione nel
riconoscimento della funzione e del significato delle strutture archeologiche connesse a
pratiche agricole, come pozzi-silos (riconosciuti fin dal Neolitico in Gran Bretagna da
FIELD et alii 1964), o forni, o granai, o aree adibite alla battitura (DENNELL 1978)
oppure nell'individuazione delle tappe attraverso le quali il campione archeologico
paletnobotanico si formato (spulatura, setacciatura, tostatura, insilaggio dei semi). In
particolare quest'ultimo processo stato oggetto di studi specifici ed approfonditi (SIGAUT
1978; GAST et alii 1985) per quanto attiene la documentazione storica recente. L'approccio
ecologico ha comportato invece una lettura degli insiemi paleocarpologici allo scopo di
definire piuttosto gli ambienti in cui l'agricoltura preistorica ha potuto svilupparsi
(HAWKES 1969), o di indicare, con migliore precisione di quanto sia possibile con l'analisi
pollinica, il contesto vegetale di raccolta e le propriet dei suoli agricoli (per un esempio,
fra i tanti, di questo metodo di analisi, si veda VAN GEEL et alii 1983).
3. La conservazione di resti paleocarpologici e la formazione del contesto
archeologico
L'insieme archeologico dipender, oltre che dalle trasformazioni avvenute sul sito
dopo il suo abbandono, anche dal modo in cui il campione si formato all'origine, e quindi
dalla sua funzione originaria. Inoltre dipender anche dai processi di fossilizzazione che ne
garantiscono la sopravvivenza su lunghi periodi di tempo.
Il modo pi consueto di fossilizzazione dei resti paleoagricoli la carbonizzazione. A
questo riguardo, bisogna osservare che nessun vegetale di et quaternaria pu aver subto
l'insieme di processi (variazioni termiche e bariche) che comportano la formazione di
carboni fossili, che richiedono periodi di tempo ben superiori. Di conseguenza i materiali
carbonizzati presenti nei contesti archeologici devono la loro forma fisica al fatto di essere
stati bruciati dalla fiamma.
Lo stato di conservazione dipender dalla temperatura alla quale stato sottoposto il
materiale e dalla quantit di ossigeno che intervenuto nel processo. Una fiamma
ossidante, infatti, tende a bruciare completamente il materiale organico, e anche nel caso in
cui ci non avvenisse, esso si presenter fragile e poroso, con ridotte possibilit di
conservazione. Al contrario, una combustione regolare e in ambiente povero di ossigeno
favorisce la formazione di un campione archeologico meglio rappresentato e con minori
distorsioni. La ragione per la quale un seme o un frammento di legno non si conservano nel
terreno se non allo stato carbonizzato, dipende essenzialmente dal fatto che gli agenti
decompositori, come i batteri e i funghi che si nutrono di macromolocole organiche
(soprattutto glucidi), non trovano nel carbone materiale nutritivo di alcun tipo che ne
consenta la vita.
La combustione di semi e frutti avviene generalmente per caso, ma favorita dal fatto
che, per migliorare le qualit alimentari di tipi diversi di vegetali, questi vanno
parzialmente "tostati" dentro un forno. Ci pu dirsi per i frumenti e orzi "vestiti", cio
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coperti da glume aderenti al chicco eliminabili solo con il calore, o per frutti aciduli (mele)
o amari (ghiande), il cui sapore pu essere migliorato appunto mediante leggera tostatura;
mentre il caso non si presenta generalmente per le leguminose (lenticchie, fave, piselli,
vecce di vario tipo) e per i cereali "nudi", che non richiedono un particolare trattamento. Di
conseguenza nei depositi archeologici i ritrovamenti pi frequenti saranno quelli di cereali
bruciati accidentalmente, mentre la presenza di notevoli quantit di leguminose andr
generalmente messa in relazione con incendi distruttori scoppiati nei depositi-magazzini.
Il caso di incendio di aree destinate alla battitura dei cereali pu essere preso in
considerazione quando siano presenti quantit rilevanti di cariossidi e di resti della spiga
disseminati su un'ampia superficie. Esiste qualche raro esempio di ci anche nella
documentazione archeologica. L'etnografia, peraltro, fornisce esempi illuminanti sull'entit
della possibile distruzione (Fig. 1).
In alcuni casi il materiale carbonizzato non proviene da silos o da giare, o da forni,
ma si trova incluso nell'impasto di terrecotte. Sembra che il degrassante utilizzato in
passato dai vasai, oltre a granuli di minerali di diverso tipo, comprendesse occasionalmente
anche chicchi di cereali che, inclusi nella pasta, venivano carbonizzati all'interno dei forni.
In questo caso si forma un modello interno molto preciso, che lascia una cavit
perfettamente identificabile nella parete del vaso, e dalla quale si possono generalmente
ottenere eccellenti calchi (Fig. 2). Una tecnica, la cui importanza non stata ancora
pienamente utilizzata nel quadro degli studi sull'origine dell'agricoltura, consiste nell'analisi
radiologica di frammenti vascolari da siti che risultano privi di resti macroscopici di piante
coltivate, allo scopo di evidenziare appunto la presenza di cavit dovute alla combustione di
chicchi.
Un processo di fossilizzazione per impronta abbastanza simile a quello ora descritto
si pu verificare su mattoni di argilla cotti al sole, o su intonaci, o su pareti di vasi. In
questo caso il materiale non carbonizzato e lascia impronte spesso molto dettagliate della
struttura vegetale (nervature delle foglie, forma dei semi). Tra i materiali pi frequenti che
fossilizzano in questo modo troviamo erbe, pula, paglia.
Bench la paletnobotanica si interessi soprattutto ai resti macroscopici, non mancano
materiali microscopici che possono dare valide informazioni sulla presenza di piante
coltivate. In tal senso vengono utilizzati gli scheletri silicei delle cellule epidermiche dei
cereali, che si rinvengono assai frequentemente nei depositi di ceneri. La forma di queste
microstrutture, assai caratteristica, permette il riconoscimento delle specie di appartenenza.
I casi di conservazione eccezionale sono cos ampiamente noti che non sembra
necessario soffermarsi su questo aspetto del problema, anche perch le determinanti
climatiche responsabili di questi casi non sono state presenti in Italia almeno negli ultimi
millenni. Ci si riferisce alla conservazione in ambiente secco e desertico, o in ambiente
freddo (nel ghiaccio o nel permafrost). Alcuni casi di conservazione nel sale possono essere
ricordati da esempi tratti dall'archeologia subacquea, mentre ben note sono le analisi
paletnobotaniche effettuate su contenuti stomacali di uomini delle torbiere dell'et del
Bronzo e del Ferro danesi (HELBAEK 1950; 1958) o sul materiale intestinale di identici
ritrovamenti inglesi, eventualmente con il concorso di studi pollinici (HILLMAN 1986;
SCAIFE 1986).
Alle latitudini dell'Europa centro-settentrionale si trovano inoltre situazioni
ecologiche particolarmente favorevoli alla conservazione dei materiali botanici non
carbonizzati, cio l'ambiente umido di torbiera. In questi casi i resti consistono non solo dei
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semi, ma anche delle parti organiche (foglie, fiori, fusti, brattee ecc.).
Per l'interpretazione corretta di forme archeologiche che possono avere avuto
attinenza con la trattazione e/o la conservazione dei vegetali, bisogna ricordare che parti
diverse delle piante possono richiedere tecniche differenti di manipolazione e di stoccaggio.
Cos i frutti carnosi e i semi subiscono destini molto diversi, e quindi differenziati saranno
probabilmente i contesti nei quali verranno reperiti. Peraltro, la relativa rarit di frutti nei
contesti archeologici, pu dipendere dal fatto che essi non si conservano a lungo neppure
dopo adeguato trattamento (di solito vengono consumati, entro societ raccoglitrici attuali,
dopo pochi mesi al massimo), al contrario dei semi che hanno, chi pi chi meno, una
stabilit sensibilmente superiore soprattutto dopo la loro parziale tostatura.
L'analisi e il riconoscimento del contesto di provenienza dei campioni
paleocarpologici dovrebbe essere uno dei momenti significativi del lavoro archeologico di
scavo. Purtroppo va sottolineato che questa operazione non molto frequentemente tentata
in rapporto con l'elevato numero di ritrovamenti di semi.
Nelle Tabelle 1-3 sono illustrati i contesti archeologici pi spesso illustrati
nell'ambito preistorico italiano. Si tenuto conto della tradizionale scansione culturale ma,
ritenendo che i resti paleocarpologici possano aver avuto trattamenti e forme conservative
diversi, si sono separati i cereali, i legumi e i frutti.
Dall'esame dei dati, sembra che i contesti chiaramente definiti come strutture ipogee
di conservazione dei semi sono pochi (pozzetti, buche), e risultano quasi esclusivamente
riferiti ai cereali. Non naturalmente impossibile che legumi e frutti, forse pi deteriorabili,
richiedessero un insilaggio di tipo diverso (entro vasi, ad esempio). Resta tuttavia la realt
di una documentazione ancora insufficiente. Qualche contesto appare poco precisato. Si
sono mantenute le voci insediamento perilacustre e bonifica per indicare pi le
condizioni di ritrovamento che l'ambiente specifico dell'insieme. In qualche caso ci si
imbatteper la sola et del Bronzoin ipotesi cultuali la cui validit andrebbe forse
valutata anche su altre basi.
Nell'elenco seguente, si tiene invece conto dei pi comuni aspetti reperiti nella
letteratura europea (RENFREW et alii n.d.; ZOHARY-HOPF 1988; BUCHENSCHUTZ
1985).
1. Spazzatura. Accumuli di questo tipo possono dar luogo a piccoli rilievi, a buche, a
fosse pi o meno allungate. In alcuni casi questi depositi possono contenere in buono stato
di conservazione, grazie alle condizioni anaerobiche, molti tipi di materiali organici anche
non carbonizzati.
2. Insilaggio. Probabilmente alcune delle buche descritte nei contesti archeologici
vanno interpretate come pozzi-silos. Il loro deposito non contiene necessariamente rilevanti
quantit di materiale carbonizzato, mentre possono essere presenti frammenti vascolari e
materiale di tipo argilloso in grumi o lastrine, con l'originaria funzione di
impermeabilizzare le pareti. Talvolta queste buche hanno diametro superiore al metro e un
profilo "a fiasco", cio sono allargate verso il basso. Ritrovamenti archeologici di granai,
invece, non sono frequenti, e la loro descrizione si basa solo sulla grande quantit di resti,
piuttosto che sulla presenza di vere e proprie strutture.
3. Forni e focolari. Nel primo caso probabilmente il materiale stato carbonizzato
accidentalmente, ma nel corso di una particolare fase della sua preparazione per il consumo
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alimentare. Nel secondo caso l'evento stato del tutto fortuito e al di fuori dei processi
produttivi.
4. Superfici abitative. Esse contengono frequentemente avanzi di pasto dispersi. In
questa categoria possono rientrare anche le superfici occasionalmente o stabilmente
utilizzate per la battitura dei cereali, all'interno di aie o di cortili.
5. Coproliti, depositi di fogne. Essi possono fornire preziose informazioni sui costumi
alimentari; purtroppo sono ancora piuttosto raramente analizzati. Pi frequenti sono gli
escrementi mineralizzati, e quindi suscettibili di lunga conservazione. Il loro studio
illuminante sulle diete, le malattie alimentari e le patologie parassitologiche, l'uso di
sostanze ad azione farmacologica ecc.
6. Impronte su mattoni di fango, su terracotta o su superfici argillose umide. In taluni
casi possono essere conservate impronte di intere parti della pianta.
Non sempre possibile inquadrare il contesto paletnobotanico locale in un quadro
funzionale pi generale. In Europa si descrivono con una certa frequenza le seguenti
situazioni:
1. silos sotterranei, associazioni di buche e pozzetti anche di grandi dimensioni;
2. granai su pali, descritti da un particolare orientamento di buche di palo, e cio
quattro buche ai vertici della struttura, e altre buche (una o pi) per lato; spesso vi una
buca al centro.
3. associazioni silos-granai, talora compresi all'interno di un'unica struttura abitativa
circondata da una palizzata (seconda et del Ferro dell'Europa centrale).
Meno frequenti, ma di notevole interesse, sono le associazioni di resti vegetali con
sepolture, o all'interno di strutture carbonizzate interpretate come madie.
4. Tecniche di raccolta dei campioni dal terreno
Fino a pochi anni fa, tutto il materiale carbonizzato veniva raccolto dagli scavatori a
vista, sul terreno o durante le operazioni di vagliatura. ovvio che il recupero direttamente
dal terreno non pu consentire risultati soddisfacenti, dal momento che, soprattutto se il
deposito argilloso oppure ricco di sostanze organiche che rendono scuro il terreno, i semi
piccoli non sono visibili o, pur essendolo, non possono per ovvi motivi essere recuperati in
modo completo. Pertanto, il confronto fra campioni di semi raccolti in questo modo in siti
diversi pu portare a conclusioni erronee, dal momento che la campionatura introduce un
elemento altamente soggettivo e casuale (l'abilit e la pazienza del raccoglitore, la maggiore
o minore visibilit del materiale ecc.).
Un procedimento pi sicuro per la campionatura la setacciatura a secco, su setacci
a maglie fini. Questo metodo d validi risultati su sedimenti sabbiosi, mentre ovviamente
sconsigliabile con suoli argillosi che formano aggregati di grosse dimensioni, plastici, e la
cui disarticolazione pu comportare danni al fragile materiale carbonizzato. Inoltre ovvio
che la setacciatura a secco non pu essere spinta a frazioni molto fini (raramente si scende
sotto i 250 p) e, nel corso dell'operazione, la frizione meccanica pu danneggiare in modo
rilevante semi e frutti.
Il recupero mediante vagliatura a secco riduce i danni ai materiali carbonizzati ma
richiede tempi lunghi e non elimina un elemento di soggettivit, dipendendo dall'abilit e
dall'esperienza dell'operatore, dalle condizioni di illuminazione, dal colore del sedimento.
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4).
Dopo la flottazione, il materiale andrebbe fatto asciugare lentamente, in un luogo
bene aerato, asciutto, ma non esposto ai raggi solari o ad altra fonte di calore: la
disidratazione brusca pu aprire fratture pi o meno grandi nel seme compromettendone la
solidit. Quando perfettamente asciutto, il campione pu essere conservato in capsule rigide
di plastica, con carta o cotone. Nel caso in cui si voglia destinare i semi all'analisi
radiocarbonica, converr sempre sottoporli preliminarmente ad un esame paletnobotanico:
esso non distruttivo e non contamina in nessun modo il materiale, che potr essere inviato
successivamente al laboratorio per la datazione assoluta.
5. Le analisi
Lo studio del materiale macroscopico viene eseguito al binoculare stereoscopico,
generalmente a piccoli ingrandimenti (10x). L'oculare provvisto di una scala
micrometrica per le misurazioni, di solito effettuate nelle tre dimensioni, espresse in
millimetri. La superficie del seme dovrebbe essere ripulita delicatamente per la sua
osservazione, perch alcune strutture fini possono essere essenziali per la determinazione
(forma dei solchi, disegni dei margini di cellule, presenza di aculei ecc.) (Fig.5). In questi
casi, pu essere necessario l'uso di un microscopio a forte ingrandimento ( > 80x) con
illuminatore esterno, meglio se laterale (al contrario di quanto avviene per lo studio dei
carboni di legno, per i quali preferibile l'illuminazione zenitale). L'analisi al microscopio
elettronico a scansione talora utilizzata, per mettere in rilievo particolari modelli cellulari
caratteristici del pericarpo di alcuni cereali, come Triticum monococcum, Triticum
dicoccum e Secale cereale (Fig. 6), un procedimento che pu essere risolutivo nel caso in
cui si debbano distinguere forme selvatiche da forme protodomestiche (KORBERGROHNE 1981).
La determinazione richiede generalmente il confronto dell'esemplare con numerosi
campioni di riferimento, per stabilirne e precisarne le caratteristiche morfologiche e
biometriche. Va tenuto in considerazione tuttavia il fatto che la carbonizzazione pu
alterare parzialmente la forma e le dimensioni del seme. Le cariossidi di Frumento tenero
esaploide (Triticum aestirum L., T. compactum Host.), ad esempio, mostrano con la
carbonizzazione una diminuzione in lunghezza di quasi un millimetro, un aumento in
larghezza di poco inferiore, e una certa costanza nello spessore. L'orzo vestito (Hordeum
vulgare L.), invece, mostra sensibili distorsioni (diminuzione) solo nella lunghezza (HOPF
1955; RENFREW 1973).
Come gi si detto, oltre ai semi e ai frutti pu accaderee con maggior frequenza
di quanto si possa crederedi trovare nel campione frammenti di spighe o spighette. Fra
questi, forse pi comuni sono le "forcelle", cio un tratto della rachilla e la base delle due
glume della spighetta. Questi elementi possono essere di grande utilit per la
determinazione di cereali con cariossidi di forma molto simile, come avviene nel caso di
Triticum dicoccum Schubl. (Dicocco) e Triticum spelta L. (Spelta). In altri casi sono
presenti gli articoli della rachilla di spighette di Triticum aestivum L. (Frumento tenero),
con gli internodi (Fig. 7).
La determinazione dei frutti pu essere favorita, in alcuni casi, dalla presenza di
particolari elementi anatomici. Per esempio, la frattura dei noccioli di Cornus mas L.
(Corniolo) evidenzia tasche oleose di forma globosa; mentre nel pericarpo di Corylus
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CEREALI
Le pi comuni erbe annue coltivate per il consumo dei frutti sono pochi generi della
famiglia Gramineae. Nell'Italia preistorica, tali generi sono Triticum, Hordeam, Avena,
Secale, Panicum e Setaria. Tutti questi generi sono caratterizzati da alcuni elementi comuni
fra i quali di maggiore importanza, per lo studio paletnobotanico, sono le particolari
strutture fiorali. I fiori sono generalmente riuniti in gruppi a formare infiorescenze a spiga o
a pannocchia. In questo caso, dallo stelo (culmo) partono corti rami, o peduncoli, alla cui
estremit si trovano le spighette, cio le strutture destinate, a maturit, a contenere i frutti.
Alla base di ogni spighetta si osservano due piccole foglie, o glume, che avvolgono la
spighetta. All'interno, a partire da un asse corto, o rachilla, si staccano i fiori, ciascuno
circondato da due delicate scaglie, o glumette, definite rispettivamente lemma e palea. Esse
avvolgono pi o meno strettamente il frutto, detto impropriamente "seme"; si tratta, in
termini botanici, di un frutto secco indeiscente, o "cariosside".
Alcuni cereali hanno le cariossidi facilmente separabili dalle glumette, e vengono
definiti "nudi"; in altri casi le glumette aderiscono fortemente alla parete esterna del chicco,
che allora detto "vestito". Questa differenza spiega i processi radicalmente diversi nel
trattamento dei due tipi di cariossidi: le forme "nude" separano facilmente il chicco dagli
involucri, una operazione che richiede la semplice battitura. Le forme "vestite" necessitano,
per l'eliminazione delle glumette indigeste, di un preliminare processo di tostatura.
Limitandoci alla forma delle cariossidi del Frumento, si osservano differenze evidenti
solo fra poche specie (Fig. 11).
I chicchi del Monococco sono stretti, pi alti che larghi. Il solco ventrale spesso
sinuoso, poco pronunciato e delimitato da angoli piuttosto acuti. In norma laterale il chicco
spesso biconvesso, ed arcuato in modo regolare. Le due estremit sono appuntite; l'altezza
massima si registra verso la met del chicco. Il Dicocco ha cariossidi solitamente di
dimensioni maggiori, con solco ventrale pi pronunciato e rettilineo, delimitato da bordi
meno acuti. In norma laterale il profilo ventrale piatto o concavo, la curvatura dorsale si
solleva regolarmente sopra l'area che contiene l'embrione; l'estremit opposta (superiore)
non appuntita. Il Dicocco non di solito distinguibile da altri frumenti, come T. durum e
T. spelta, per cui la determinazione si basa su altri elementi, purtroppo non sempre presenti
Le cariossidi di Orzo si distinguono in due categorie, quelle "nude" e quelle "vestite". Le
prime sembrano essere pi antiche, e comunque sono frequenti nel Neolitico. L'Orzo si
distingue dal Frumento per avere cariossidi piu depresse in norma laterale, con forma
lenticolare. I1 solco ventrale poco profondo e spesso porta, anche sui materiali
carbonizzati, tracce della glumetta.
Talora possibile distinguere gli orzi a due file e quelli a sei file: i primi hanno
cariossidi regolari e simmetriche, nei secondi i chicchi laterali sono spesso parzialmente
ritorti ed asimmetrici.
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LEGUMINOSE
Le Leguminose di importanza economica nella preistoria italiana sono per lo pi erbe
a fusto volubile, e producono un frutto (legume) contenente i semi eduli. Questi sono
formati da due parti, o cotiledoni, ricche in proteine e amido. Il seme spesso sferoidale o
discoidale (nelle cicerchie e nelle vecce si presenta invece pi o meno angoloso) e presenta
nel piano sagittale fra i due cotiledoni una piccola depressione ovale, detta ilo, sotto al
quale si sviluppano alcune delle strutture embrionali. In prossimit dell'ilo si trova sul
tegumento del seme una cicatrice tondeggiante di piccole dimensioni, detta claza, che
rappresenta lo sbocco del funicolo ovarico. I caratteri diagnostici delle leguminose sono la
forma e le dimensioni del seme, la morfologia della superficie, la posizione dell'ilo e della
calaza.
6. Alcuni problemi di interpretazione
Quando si deve interpretare un campione paletnobotanico in chiave paleoeconomica,
andranno sempre tenuti in considerazione i fattori che possono aver distorto in modo
cospicuo l'insieme originario. Inoltre va ricordato che, soprattutto nei deposti preistorici, il
campione spesso ridotto a poche decine di chicchi, con i quali pu essere veramente un
gioco d'azzardo formulare ipotesi sui sistemi agrari o sull'alimentazione del passato.
Come esempio della fragilit concettuale su cui si basano molte delle ipotesi sulla
paleoagricoltura, si possono menzionare i risultati ottenuti nella coltivazione di cereali in
piantagioni sperimentali in Nord Europa, a Draved (Danimarca) e a Butser Farm
(Inghilterra).
A Draved (STEENSBERG 1979) in una serie di esperimenti iniziati nel 1953, si
ottennero risultati piuttosto differenziati sulla base del tipo di suolo utilizzato. Su suoli
poveri, preparati mediante debbio, la resa fu di circa sei chicchi per spiga (Triticum
monococcum).
Ove le condizioni erano pi favorevoli si raccolsero (Tr. monococcum) 13 chicchi per
spiga con circa 50 spighe/m2, oppure (Hordeam valgare) 24 chicchi per spiga.
Invece, su terreni preparati, l'Orzo diede risultati migliori (48 chicchi/spiga). Inferiore
costantemente la resa dei frumenti, ma comunque il raccolto diede risultati degni di rilievo
(circa 7,0 x 107 chicchi/ettaro, cio circa 4.000 kg/ha).
A Little Butser, in Hampshire (REYNOLDS 1979), il raccolto si ferm a valori
inferiori, cio fra 2.000 2.500 kg/ha.
Secondo Dennell (DENNELL 1978) durante il Neolitico in Bulgaria la resa non
doveva essere sensibilmente diversa dai valori ottenuti nelle campagne medievali, con
medie attorno ai 500 kg/ettaro; il che significherebbe, accettando i dati su riportati, un
valore non troppo discosto da ,O X 1O 7 chicchi per ettaro.
Pur ammettendo che i campi coltivati nel Neolitico fossero meno estesi, sembra
legittimo ipotizzare un raccolto non inferiore ai 7 o 8 milioni di chicchi all'anno da un
singolo appezzamento. Sulla base di numerosi dati, questo valore dovrebbe corrispondere
(per T. dicoccum) a un volume superiore ai 300 litri.
Per quanto basso sia questo valore, non si pu scordare che il campione
paleocarpologico (soprattutto per la preistoria) raggiunge raramente valori superiori alle
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poche centinaia di chicchi, e generalmente ridotto alle decine, cio solitamente non
eccede i 15 o 20 cc. Si comprender dunque la parzialit dell'informazione e il pericolo di
conclusioni gravemente distorte nella interpretazione della composizione percentuale dei
diversi cereali coltivati sul sito. Va inoltre tenuto in considerazione il fatto che una parte
non irrilevante del prodotto non era destinata alla consumazione, ma alla semina; perci
tale porzione non rappresentata nei campioni archeologici, a meno di una sua
combustione accidentale.
Inoltre, non ovvio pensare che i semi carbonizzati, proprio per il solo fatto di essere
bruciati, debbano essere considerati i rappresentanti delle reali proporzioni dei raccolti:
anzi, almeno nel caso in cui essi provengano da pozzetti di rifiuto, pi facile pensare che
essi rappresentino materiale di scarto, e che perci indichino ci che non era consumato
piuttosto che ci che lo era.
Infine, va ricordato che probabilmente parte dei semi trovati in un contesto
paleocarpologico poteva essere destinato non all'alimentazione umana, ma a quella animale
(molte leguminose).
7. L'alimentazione vegetale preistorica in Italia (1).
Gli studi sui resti di interesse alimentare nei siti preistorici in Italia risalgono alla
seconda met dello scorso secolo, essendosi sviluppati soprattutto grazie a numerose
ricerche in luoghi umidi (aree perilacustri, "terramare"). Da allora, le occasioni di studio
sono state frequenti per la maggiore consapevolezza dell'importanza di tali resti
nell'archeologia moderna, ma il numero dei ricercatori specialisti in questo settore rimasto
piuttosto ridotto.
Pertanto, di molti ritrovamenti esiste solo la segnalazione generica ( semi , cereali
) fatta nella relazione di scavo, ma manca lo studio paletnobotanico. Ci nonostante, inizia
ad emergere un quadro relativamente coerente nella storia della domesticazione e del
consumo delle principali piante alimentari in Italia. Di esso si tenter di dare una breve
sintesi, almeno relativamente ad alcune fra le principali piante erbacee e arboree, e
limitandosi alla preistoria fino all'et del Ferro (Figg. 12 e 13).
Sono molto scarsi i dati relativi all'uso alimentare di vegetali prima del Neolitico. Si
possono segnalare, per l'Italia settentrionale, i ritrovamenti di nocciole a Bagioletto alto (I12687: 5720 120 bc)(2) e a Fienile Rossino (Bln-3277: 4860 70 bc); una segnalazione
di mirtillo viene dal Mesolitico trentino. Per l'Italia meridionale si ricordano resti di
ghiande, corbezzolo (Arbutus unedo) e di legominose ad Uzzo, riferiti alla seconda met
del settimo millennio.
La cerealicoltura in Italia sembra prendere corpo nelle regioni meridionali verso la
fine del settimo millennio bc. Nelle Puglie alcuni siti databili
(1) La breve sintesi che segue basata sul controllo bibliografico di diverse centinaia
di segnalazioni paletuobotaniche. In un lavoro di carattere didattico, come il presente, non
si ritiene necessario menzionare tutti i contributi cui si attinto. Il lettore che desideri
essere informato sullo stato pi recente della ricerca archeobotanica in Italia, pu fare
riferimento a FOLLIERI M., CASTELLETTI L. 1988, Palaeol~otanical research in Italy,
Il Quaternario 1, pp. 37-41.
(2) Le date radiocarboniche riportate sono desunte da BAGOLINI-BIAGI 1990 (in
stampa), che qui si ringraziano per l'informazione.
1990 Edizioni AllInsegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale
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