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Collana diretta da
Lucia Tongiorgi Tomasi
Luigi Zangheri

Peter Crane

Ginkgo
L'albero dimenticato dal tempo
Traduzione di
GIANNI BEDINI

Presentazione di
FABIO GARBAR!

Leo S. Olschki
2 02 0
Tutti i diritti riservati

CASA EDITRICE LEO s. OLSCHKI


Viuzzo del Pozzetto , 8
50126 Firenze
www.olschk.i.it

English Language Edition, © 2013 by Peter Crane


Adapted from the English Language Edition,
originally published by Yale University Press

ISBN 978 88 222 6681 l


Presentazione

Giugno 2 0 1 6. Sir Peter Crane visita l'Orto botanico dell'Università di


Pisa con me e la comune amica Lucia Tongiorgi, storica dell'arte. È caldo.
Peter, in elegante camicia bianca e pantaloni concolori, ammira il vecchio
portone d'ingresso all'Orto, ora nel Museo botanico. È della fine del XVI
secolo, in noce, con quattro bassorilievi che raffigurano una Fritillaria impe­
rialis, simbolo dell'Orto dei Semplici pisano, un'agave americana - ma forse
è un'aloe africana - il tasso barbasso e Atropa belladonna. Poi Peter sosta
davanti al vecchio Ginkgo biloba messo a dimora da Giorgio Santi nel 1 787,
pianta che cita nel suo libro dedicato a questa specie. Leggo nella copia che
mi dona le vicende storiche, biologiche, colturali che hanno reso celeber­
rimo questo albero straordinario, le cui radici genealogiche si trovano tra
i fossili di 2 00 milioni di anni fa. Il libro è appassionante, ricco di conside­
razioni scientifiche rigorose, di storie curiose, di aneddoti e citazioni che si
snodano in 37 capitoli per2 77 pagine di testo. Una cinquantina di pagine
sono dedicate a note esplicative, alle quali segue una sterminata bibliografia.
Chiediamo a Peter se è interessato a proporre la versione italiana del
suo libro, con le dovute semplificazioni e riduzioni adatte anche ai lettori
che non professano la botanica scientifica. Il2 7 aprile2 0 1 7 andiamo a tro­
vare Daniele Olschki a Firenze, che ritiene si possa inserire quest'opera nel­
la collana editoriale Giardini e Paesaggio, qualora possano essere superate
alcune problematiche con la Yale University Press che ha editato nel2 0 1 3
l a versione inglese. Nel maggio 2 0 1 7 vengono definite l e riduzioni da ap­
portare, le immagini da inserire e la tipologia del volume. Il 3 1 luglio2 0 1 7
Gianni Bedini, già Direttore dell'Orto pisano, accetta di tradurre il testo
inglese della versione semplificata che Peter Crane si impegna a redigere.
Oggi quest'opera è compiuta. Superate le complicazioni burocratiche
di copyright, l'Editore ha realizzato un libro di sicuro interesse per molti
botanici, biologi e naturalisti che troveranno in queste pagine risposta a

- V -
PRESENTAZIONE

tante domande di carattere scientifico, ma è certo che anche un lettore non


specializzato nella biologia delle piante potrà assaporare con piacere i capi­
toli dedicati al rapporto, ad esempio, che le culture orientali hanno avuto e
hanno con quest'albero. Da l 000 anni in Cina il ginkgo viene coltivato per
i suoi semi commestibili e, come in Giappone e in Corea, è oggetto di vene­
razione e di rispetto, oltre ad avere un significato simbolico nel Buddhismo,
nel Taoismo e nel Confucianesimo. Dalla Cina e dalla Corea il ginkgo si è
diffuso in Giappone, dove si è inserito nella tradizione indigena dello Scin­
toismo. Molti dei grandi ginkgo che si trovano in questi Paesi crescono nei
pressi di templi o di santuari.
Storie e leggende ruotano intorno a questo albero nobile ed unico per
le sue caratteristiche formali e riproduttive, per la sua incoercibile forza ve­
getativa, per l'eleganza delle sue foglie a ventaglio che lo rendono facilmen­
te identificabile nei depositi fossili in gran parte del mondo. Rappresentato
da piante maschili e femminili separate, rispettivamente pollinifere e ovuli­
fere, il ginkgo è noto per i suoi semi che a maturità emanano un odore fe­
tido, poco tollerato dagli abitanti delle città dove si sono utilizzati soggetti
femminili per il verde urbano. Ricordo le proteste di alcuni cittadini pisani
che hanno le finestre dei loro appartamenti rivolte verso l'Orto botanico;
riuscivo a tacitarli solo quando raccontavo dell'unicità di questo albero, del­
la sua lunga storia evolutiva, dei suoi singolari fenomeni riproduttivi e che
doveva considerarsi un fossile vivente, degno della massima attenzione per
garantirgli la sopravvivenza a livello planetario. E la tolleranza all'o lezzo
era garantita quando donavo ai vicini le pianticelle nate numerose dai semi
incriminati. Negli Orti botanici italiani vi sono alcuni ginkgo monumen­
tali. Il più vecchio di cui si ha notizia certa vive nel Giardino dei Semplici
di Padova, dove è stato piantato nel 1 750. È alto 1 8 metri, il tronco misura
quattro metri di circonferenza a petto d'uomo. La pianta porta entrambi i
sessi in quanto un ramo femminile è stato innestato sull'esemplare maschi­
le. Nell'Orto botanico di Torino un esemplare bicormico maschile del 1 843
ha un tronco di circa 70 centimetri di diametro; un esemplare femminile,
piantato verso il 1 85 1 , ha un diametro di 90 centimetri. Verso il 1 79 1 è
stato piantato il ginkgo dell'Orto botanico di Parma, ora alto 26 metri con
un fusto di 456 centimetri di circonferenza. Su un ramo maschile, come a
Padova, è stato praticato un innesto femminile. Nell'Orto botanico senese
ci sono due piante maschili; una, piantata nel 1 954, è stata abbattuta da
una bufera nel 20 1 8, ma ha ricacciato con sorprendente vigore vegetativo.
Nell'Orto botanico di Portici c'è un esemplare ovulifero che si stima abbia
1 30-1 40 anni. A Urbino un esemplare femminile è alto circa 25 metri, ha un
tronco di 3 ,35 metri di circonferenza, ma non si conosce la data d'impian­
to. Anche a Catania è presente un ginkgo di circa un secolo che sopporta

- VI -
PRESENTAZIONE

bene il clima mediterraneo. A Palermo è stato posto a dimora un giovane


esemplare, nato da un seme raccolto nell'Orto botanico di Pisa. A Bologna
vi sono due piante ovulifere e tre pollinifere di circa mezzo secolo d'età, ma
nella parte anteriore dell'Orto un ginkgo femmina, alto 21 metri e con una
circonferenza di due metri e mezzo, di cui non si conosce l'età dato che i
registri delle accessioni furono distrutti dai bombardamenti della seconda
guerra mondiale, va ricordato poiché Federico Delpino eseguì importanti
ricerche sulla sua biologia riproduttiva. Vi era anche un ginkgo maschio,
abbattuto durante l'ultima guerra. Il Comune di Bologna ha classificato il
ginkgo dell'Orto botanico come "albero di grande rilevanza" , dopo che
la Regione non aveva accettato la proposta di dichiararlo "albero monu­
mentale" nel 20 1 7. Nell'Orto botanico "Carmela Cortini" dell'Università
di Camerino vi è un esemplare maschile con un tronco di 3 metri di cir­
conferenza. Il suo impianto risale al 1 828, ad opera del fondatore dell'Orto
Vincenzo Ottaviani. A Trieste, nel giardino pubblico di Piazza Hortis, vi
sono due esemplari femminili che risalgono alla metà del 1 800, quando la
città era governata dall'impero asburgico. 11 2 1 marzo 20 1 8 si è costituito
il "Gruppo Ginkgo Trieste" i cui aderenti si propongono di approfondire
le conoscenze su questa pianta (e non solo), promuovendo interesse per la
storia dell'albero che si intreccia con quella dell'uomo. Nell'Orto botanico
comunale di Lucca un ginkgo di sesso maschile, costituito da tre grandi
palloni, è alto circa 23 metri; il suo impianto risale al 1 862, ad opera di
Cesare Biechi. Nell'Orto botanico di Brera dell'Università degli Studi di Mi­
lano sono presenti due esemplari di Ginkgo biloba, uno maschile e uno fem­
minile, con data di impianto 1 780 circa, 5 anni dopo l'istituzione dell'Orto
( 1 774- 1 775). Negli anni '80 del XX secolo entrambi gli esemplari hanno
subito una capitozzatura. Le attuali .dimensioni sono: per il maschio, al­
tezza di 25 m circa con circonferenza di 420 centimetri del tronco; per la
femmina, altezza di 25 m circa e circonferenza del tronco di 320 cm. A Pisa,
oltre all'esemplare maschile messo a dimora, come già ricordato, nell' aiuo­
la del cosiddetto "Orto del Cedro" nel 1 787, vi è un altro soggetto maschile
nella "Scuola botanica" , piantato nel 1 8 1 1 , alto 2 1 ,5 metri con fusto di 3,5
metri di circonferenza. Due esemplari femminili sono presenti nel settore
denominato "Orto del Gratta" , ma non vi sono notizie sulla data del loro
impianto. Va infine segnalato che nel giardino di Villa Torrigiani a Firenze,
detta "Villino" , già sede del comando tedesco durante l'ultima guerra, i
rami di un magnifico ginkgo tuttora presente, anche se mutilato, hanno
trattenuto nel 1 944 una granata lanciata dagli Alleati dalla collina di Fie­
sole, che avrebbe gravemente danneggiato la casa. E ricordo che l'ultimo
lavoro della collega recentemente scomparsa Franca Scaramuzzi a Bari ha
riguardato la micropropagazione di Ginkgo biloba.

- VII -
PRESENTAZIONE

Ma torniamo al libro di Peter Crane. I lettori troveranno indicazioni


sulla propagazione e coltivazione, con i primi tentativi di acclimatazione
nei Paesi occidentali, dove quest'albero è diventato familiare per tanti cit­
tadini europei e anche per gli italiani. Poi l'interesse dei lettori potrà essere
rivolto, nelle sette parti del volume che comprendono i 35 capitoli nei quali
è articolato il testo, a tutti gli aspetti, le caratteristiche, la storia paleobio­
geografica, le strategie della sopravvivenza, i significati che nei vari Paesi
quest'albero straordinario ha espresso nella scienza, nell'arte, nel folklore,
nelle religioni, nella medicina, nel commercio e nell'alimentazione in ogni
angolo del pianeta. Wolfang Goethe, attratto dalla forma delle piante, de­
dicherà al ginkgo versi ispirati. Anche Arthur Conan Doyle lo ricorda in
una sua opera. Il lettore potrà poi scoprire le curiose circostanze che hanno
indotto Linneo a utilizzare il binomio Ginkgo biloba nel l 77 1 , sulla base di
esemplari provvisti delle sole e singolari foglie, impossibilitato a collocarlo
in qualche classe del suo Systema Naturae.
Ginkgo biloba è una pianta che sopravvive grazie alle attenzioni dell'uo­
mo, come altri alberi vetusti o fossili viventi del mondo vegetale. Peter Cra­
ne offre vari esempi di tali organismi, trattando della conservazione ex situ
e dei problemi connessi alla salvaguardia della biodiversità vegetale del pia­
neta. Puntualizza alcuni aspetti critici della Convenzione di Rio de Janei­
ro, con una partecipazione appassionata e accorata, ancorata al suo sapere
scientifico. Egli ha una vocata empatia verso gli alberi e particolarmente
verso il ginkgo. Il suo sentire è nobile, e viene tram esso al lettore, chiunque
esso sia.
Credo, concludendo, che si debbano ringraziare: Peter Crane, per avere
elaborato un testo alla portata di ogni lettore interessato, sia esso botanico
o non; Gianni Bedini, che ha tradotto in italiano, con molta attenzione e
partecipazione, l'opera che si snoda in capitoli di vario contenuto, ma tutti
estremamente suggestivi e di rilevante significato biologico, storico e cul­
turale; Daniele Olschki, l'editore che ha condiviso con spirito naturalistico
e con grande liberalità la proposta di offrire all'Italia un libro che troverà
l'apprezzamento di molti lettori che si appassioneranno alla storia di que­
sto albero straordinario. Ringrazio infine i colleghi Direttori, Curatori o
Responsabili degli Orti botanici che hanno fornito dati e date degli esem­
plari coltivati presso le loro istituzioni.

Asciano Pisano, l gennaio 2020

FABIO GARBAR!
Già Direttore dell'Orto botanico di Pisa
e Presidente della Società Botanica Italiana

- VIII -
Prefazione

Questo libro trae origine dalla mia ammirazione per le bellissime storie
di piante di interesse economico scritte tra il 1 969 e il 1 985 da Charlie Hei­
ser, oggi scomparso. Esse si collocano in una lunga tradizione editoriale
di divulgazione scientifica, ma è stata la loro peculiare combinazione di
scienza e cultura, arricchita da esperienze personali, a darmi l'ispirazio­
ne per questo lavoro. Nel concentrarmi sul ginkgo, un albero dalla varia
e lunghissima storia, la mia ambizione ha forse superato le mie capacità,
ma la sfida di provare a bilanciare la mia inclinazione scientifica verso l' ap­
profondimento, con la necessità di ampliare il contesto, è stata motivo di
gratificazione.
Di volta in volta, le ricerche per questo libro e la sua scrittura hanno
inciso sulle altre mie responsabilità. Perciò, sono in debito con le tre istitu­
zioni che sono state la mia casa professionale negli ultimi dieci anni. Quan­
do ho iniziato a lavorare a questo libro ero direttore dell'Orto botanico di
Kew presso Londra; ho poi continuato all'Università di Chicago; quando
ho finalmente terminato il lavoro mi trovavo a Yale nel Connecticut. Sono
grato alle tre istituzioni per avermi permesso· di lavorare a questo progetto,
che non è esattamente un normale esercizio di ricerca scientifica, aveva
poco a che fare con le mie responsabilità professionali ed è sempre stato
una piccola e piacevole deroga ai miei doveri.
La scrittura del libro ha avuto un forte impulso a Seul, nelle estati del
2009, 20 l O e 201 1 , tra gli alberi di ginkgo, quando ero visiting professor nel
programma World Class Universities della Fondazione Nazionale Coreana
per la Ricerca. Sono molto grato all'Università EWHA e ai miei colleghi
che vi lavorano, Jae Chloe e Ylkweon Jang, per la loro ospitalità e sostegno.
Quest'opera non sarebbe nata senza la incrollabile gentilezza di Fu­
miko Ishizuna, di Tokio, che mi ha guidato in molte straordinarie spedi­
zioni a luoghi chiave per il ginkgo in Giappone. Quelle spedizioni mi han-

- IX -
PREFAZI O N E

no dato l'opportunità di vedere grandi ginkgo, veramente spettacolari, e


mi hanno convinto che valeva la pena scrivere questo libro. Sono anche
profondamente grato al mio amico Zhou Zhiyan di Nanchino per la sua
pazienza e la premurosa assistenza in molti aspetti di questo lavoro e non
solo nei capitoli dedicati alla documentazione fossile. È importante sapere
che probabilmente il manoscritto avrebbe languito per sempre, senza la
dedizione e l'impegno di Ashley DuVal, che più di altri ha aiutato a portarlo
a compimento.
Sono in debito specialmente con Bill Chaloner, Pat Horn, Charles Jar­
vis, Toshiyushi N agata, Peter Raven e Scott Wing per i loro saggi consigli
e per la revisione del manoscritto, e con jean Thomson Black, Sara Hoover
e Dan Heaton della Yale University Press e Al Zuckerman di Writers Hou­
se per la loro gentile assistenza. I disegni all'inizio di ogni sezione sono di
Pollyanna von Knorring, che da quasi trent'anni realizza le illustrazioni per
le mie ricerche.
Le indagini per questo libro hanno tratto grandi benefici dalla dispo­
nibilità di alcune risorse fondamentali, che hanno assemblato, da diverse
fonti, molte informazioni sul ginkgo, di cui le più importanti sono il ma­
gnifico sito Ginkgo Web Pages di Cor Kwant, i vari scritti di Peter Del Tre­
dici e - specialmente per i lettori occidentali - l'importante libro a cura di
Terumitsu H ori, Robert Ridge, Walter Tulecke, Peter Del Tredici, jocelyne
Trémouillaux-Guiller e Hiroshi Tobe, pubblicato durante le celebrazioni
del centenario della straordinaria scoperta dei gameti flagellati di ginkgo
da parte di Hirase.
Per finire, sono profondamente grato ai miei figli Emily e Sam, per la
loro infinita pazienza verso la mia pluriennale ossessione per questo albe­
ro molto speciale, e naturalmente a mia moglie Elinor per il suo costante
amore e sostegno.

- X -
Parte I
Prologo
Pagi!Ul precedente: foglia di ginkgo decorata con un disegno di Wang Chi Yuan, Giardino
del Maestro delle Reti, Suzhou, Cina
l.

Tempo

Un grande albero di ginkgo, che superava tutti gli


altri, spingeva i suoi grandi rami e il suo foglia­
me da capelvenere sopra il forte che avevamo co­
struito. Nella sua ombra continuammo la nostra
discussione.
Sir Arthur Conan Doyle, fl mondo perduto. 1

Per la maggior parte delle persone, il ginkgo si identifica o con l'albero


dai "frutti" puzzolenti o con la pianta utile per la memoria, ma l'inconfon­
dibile aroma acre o l'estratto della foglia che si trova nel negozio di alimenti
salutistici sono solo aspetti parziali di ciò che lo rende unico. Comune nelle
strade cittadine da Pechino a Londra e da Tokio a New York, il ginkgo costi­
tuisce uno sfondo sempre più diffuso nel viavai della moderna vita urbana.
È difficile immaginare che questi alberi, ora svettanti su automobili e pen­
dolari, siano cresciuti con i dinosauri e siano giunti fino a noi quasi immutati
per duecento milioni di anni . Il ginkgo è una delle piante più caratteristiche
del mondo e possiede uno dei più lunghi pedigree botanici; non esiste un al­
tro albero vivente con una preistoria altrettanto profondamente intrecciata
con quella del nostro pianeta. In questo libro, una concisa biografia globale,
intendo raccontare la storia vitale evolutiva e culturale del ginkgo.
Il mio interesse verso quest'albero risale a più di trentacinque anni fa,
ma si è sviluppato durante il mio servizio come direttore del Reale Orto
botanico di Kew dal 1 999 al 2006. In quei sette anni, il più vecchio e forse

1 D oYLE 1912, p. 63. Nella grafia originale di Doyle, la ge la k sono invertite, un errore
comune nel trascrivere ginkgo.

- 3 -
PARTE I - PROLOGO

più importante ginkgo del Regno Unito era in pieno rigoglio a pochi passi
dalla casa di famiglia nell'Orto botanico. Ci passavamo accanto quasi ogni
giorno; era un regolare punto di sosta delle visite guidate per gli ospiti il­
lustri. Era uno dei più amati "Vecchi Leoni" , come erano chiamati i pochi
alberi sopravvissuti dalla metà del XVIII secolo, quando Kew era una tenu­
ta della casa reale d'Inghilterra. Vedevamo l'albero cambiare nel succedersi
delle stagioni e ci preoccupavamo molto quando veniva investito da una
forte tempesta. Nel 2002 il Tre e Council, nell'ambito delle celebrazioni per
il cinquantesimo anniversario dell'incoronazione della Regina, lo annoverò
tra i cinquanta Grandi Alberi Britannici. Dei quasi 1500 alberi dell'Orto
botanico, 2 era uno tra i più preziosi.
Fu al Museo Svedese di Storia Naturale, a Stoccolma, che grazie alla
mia collega di vecchia data Else Marie Friis vidi per la prima volta il delizio­
so piccolo libro Goethe und der Ginkgo: Ein Baum und ein Gedicht di Siegf ried
Unseld. Da quel momento, cominciai a cercare una traduzione inglese del
famoso poema al centro del libro di Unseld e quando tornai negli Stati
Uniti, verso la fine del 2006, Christie Henry della University of Chicago
Press mi donò una copia di Goethe and the Ginkgo nella versione di Kenneth
Northcott. L'idea che i lettori che apprezzavano il libro di Unseld potessero
desiderare di saperne di più sul ginkgo ha contribuito non poco alla deci­
sione di assemblare queste note biografiche di un albero singolare.
Il ginkgo è una stranezza botanica, una singola specie senza parenti pros­
simi. Dapprima ritenuto un cugino di pini, tassi e cipressi, in seguito è stato
riconosciuto quale organismo molto differente. Nei sistemi di classificazione
botanica, è stato distinto dalle conifere per la prima volta all'inizio del XIX
secolo. Le evidenze che sono state svelate a partire da quel periodo - segna­
tamente una sorprendente scoperta fatta in Giappone nel 1 896 a proposito
dei particolari più nascosti della sua riproduzione - hanno dato sostegno alla
posizione isolata del ginkgo tra le piante viventi. Così nel XX secolo, nel mo­
mento in cui il mondo vegetale ha ricevuto maggiore attenzione riguardo
ai propri percorsi evolutivi, il ginkgo ha assunto una rinnovata importanza
scientifica. Per parafrasare Darwin, il ginkgo è divenuto nel regno vegetale
quello che è l' ornitorinco nel regno animale; i paleontologi hanno rintraccia­
to il suo lignaggio per milioni di anni nella preistoria. Il ginkgo è ora il "fossile
vivente" botanico più noto: un albero dimenticato dal tempo e un anello di
collegamento vivo - e sempre più familiare - con i paesaggi di ere lontane. 3

2 Nel marzo del 201 1 , il ginkgo noto come Vecchio Leone a Kew raggiungeva un'altezza
di circa 1 9 m.
3 Darwin definì un'altra stranezza botanica, la welwitschia, come l' ornitorinco del regno
vegetale.

- 4 -
l. TEMPO

Per quasi tutta la sua lunga permanenza sul nostro pianeta, il ginkgo
ha dimorato in un mondo senza persone e - per la maggior parte di questo
tempo - molto diverso da quello che conosciamo oggi. Per decine di mi­
lioni di anni ha vissuto a fianco di piante e animali che oggi consideriamo
estinti da tempo. Molti diversi tipi di alberi simili a ginkgo hanno visto i no­
stri lontani progenitori trasformarsi da rettili in mammiferi. In tutti i con­
tinenti sono state trovate foglie fossili di ginkgo. La preistoria dei ginkgo
risale a prima della formazione dell'Oceano Atlantico e a prima che i con­
tinenti australi si separassero dall'Antartide. Durante i cambiamenti che
hanno alterato il nostro pianeta negli ultimi 200 milioni di anni, il ginkgo
ha manifestato una resilienza straordinaria. Ha subìto uno shock quando la
Terra, circa l 00 milioni di anni fa, è stata invasa da nuovi tipi di piante dive­
nute dominanti, ma ha attraversato con noncuranza gli eventi traumatici
che qualche decina di milioni di anni dopo hanno causato la scomparsa dei
dinosauri. È vero che subito dopo il ginkgo ha perso terreno nei continenti
australi, ma ha continuato a prosperare in Asia, Europa e Nord America.
Ha superato il grande caldo di 50 milioni di anni fa ma un tempo cresceva
vicino al Polo Nord. Quando la Terra ha cominciato a raffreddarsi, il gink­
go ha ripiegato in ritirata ed è stato estromesso dalla sua casa nell'Artico.4
Nei successivi 40 milioni di anni, il ginkgo era diffuso in tutti i continen­
ti boreali. Le sue inconfondibili foglie sono comuni nella documentazione
fossile. Alla fine, però, e per motivi non del tutto chiari, il ginkgo cominciò
a soffrire. Al momento in cui i nostri antenati si differenziavano da quelli
delle altre scimmie viventi, tra cinque e sette milioni di anni fa, il ginkgo
era probabilmente già in declino. Era pressoché estinto al momento delle
grandi glaciazioni che dettero origine alla nostra stessa specie. Quando le
ultime grandi lingue glaciali si erano ormai ritirate verso nord, il ginkgo
stava resistendo, forse soltanto in valli riparate sparse nei territori della
Cina orientale e centro-meridionale. Quando l'uomo moderno raggiunse
quelle parti dell'Asia, forse cinquantamila anni fa, il ginkgo era ormai un
relitto, il residuo di sé stesso.
La dominazione umana del pianeta avrebbe potuto infliggergli il colpo
di grazia, ma a differenza di molti altri alberi, esso ha prosperato a fianco
dell'uomo. In un modo o nell'altro, si è rivelato utile; più insolitamente, è
diventato oggetto di venerazione. In molte culture, in molti modi diversi,
il ginkgo suscita un insolito rispetto. Grazie a tutte queste prerogative, il
ginkgo ha ottenuto una tregua. I semi sono diventati una prelibatezza e

4 I nuovi tipi di piante che si affermarono circa 100 milioni di anni fa e che ora dominano
quasi tutti gli ambienti terrestri sono le angiosperme (piante con fiori).

- 5 -
PARTE I - PROLOGO

sono stati usati per estrarne l'olio e per scopi terapeutici. L'albero, con le
sue inconfondibili foglie e la sua ragguardevole longevità, ha pure assunto
un significato simbolico nel Buddhismo, Taoismo e Confucianesimo. Dalla
Cina e dalla Corea il ginkgo si è diffu s o in Giappone, dove si è assimilato
nella tradizione indigena dello Scintoismo. Molti dei grandi ginkgo che si
trovano in Cina, Giappone e Corea crescono nei terreni di templi buddhisti
o di santuari scintoisti.
Dall'Asia, nuovamente assistito dall'uomo, il ginkgo ha cominciato la
sua rinascita. Nel XVIII secolo divenne noto in Europa tramite la colonia
commerciale olandese di Deshima, nel Giappone meridionale. Poco dopo,
i suoi semi sono arrivati nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna, probabilmente
dalla Cina e dal Giappone, forse anche dalla Corea. Da quel momento, il
ginkgo si è velocemente diffuso in Nord America e altrove quale novità or­
ticolturale. Il Vecchio Leone di Kew fa parte della prima, folta schiera di al­
beri di ginkgo piantati in Europa. Al tempo di Goethe e più avanti, nel XIX
secolo, il ginkgo era largamente coltivato quale albero insolito e di grande
effetto: un simbolo dell'Oriente. In appena cento anni, è ritornato in molti
dei luoghi dai quali era stato estromesso milioni di anni prima.
Nell'ultimo mezzo secolo il ginkgo ha avuto una forte ripresa; l'inte­
resse per la sua coltivazione, il suo significato scientifico e le possibilità
di uso non sono mai stati tanto al centro dell'attenzione. Il ginkgo è rico­
nosciuto quale componente di pregio delle alberature stradali, in grado
di crescere bene in luoghi difficili. Resistente alle malattie, tollerante nei
conf ronti dell'inquinamento e capace di sopportare estremi termici, oggi
è una pianta familiare nei paesaggi urbani di quasi tutto il mondo. Alcune
parti di Seul sembrano un bosco di ginkgo e questa pianta è la più comune
nelle alberature stradali di Manhattan.
Si possono vedere ginkgo nel Parco del Golden Gate a San Francisco, nel
giardino di Monet a Giverny e in parchi e giardini di tutto il pianeta eccet­
to i luoghi più caldi e più f reddi. Negli ultimi decenni il ginkgo ha anche
provato la sua utilità come farmaco. E tra i più popolari rimedi erboristici
e le sue proprietà medicinali sono oggetto di ricerca biomedica avanzata.
Gli estratti delle foglie di ginkgo sostengono un'industria farmaceutica che
fattura miliardi di dollari.
Dopo la presentazione iniziale dell'albero oggi vivente, questo libro
traccia la preistoria del ginkgo negli ultimi 250 milioni di anni, dalla sua ori­
gine, diffusione e successivo declino fino alla sua ripresa e rinascita grazie
all'associazione con l'uomo. Il tema dominante nella biografia del ginkgo
è la sopravvivenza, e la sua storia resiliente e vitale offre una speranza per
altre biografie botaniche ancora in divenire.

- 6 -
Fig. l. Ginkgo in YCStc autunnale nel campus uniwrsitario di Yale. Connecticut. CS.-\.
Fig. 2. Un tempietto buddhista alla
base di un vetusto ginkgo presso il
tempio di Heungju a Tean, Chun­
gnam. Corea del Sud.
Fig. 3. Foglia stilizzata, incisa su un
ponte che conduce al grande gink­
go del tempio di Yongmunsa. Corea
del Sud.
Fig. 4. Il grande ginkgo del tempio di Yongmunsa, Corea del Sud.
6

Fig. 5. A metà novembre. le foglie cadute del ginkgo formano un tappeto giallo brillante in un giardino
di Yale a :'-Jew Haven. Connecticut. LJS.-\.
Fig. 6. Foglie c amenti maschili su un wcchio ginkgo a Kyushu. Giappone.
2.

Alberi

Il momento migliore per piantare un albero era


20 anni fa. Il secondo momento migliore è ora.
Proverbio cinese.

Tra le mie memorie più vive di studente all'inizio dei corsi di botanica
ci sono i giganteschi cedri dell'Atlante che dominavano il centro del cam­
pus all'Università di Reading. Essi sono stati parte della mia vita per quasi
l O anni e ancora oggi, ogni volta che vedo uno di questi alberi maestosi,
con le rade ramificazioni disposte su piani paralleli e le chiome appiattite,
la mia mente è riportata indietro a quella che ora sembra un'altra vita.
Insieme con le sequoie giganti sparse nel campus e il contorto corbezzolo
vicino a Whiteknights House, i cedri dell'Atlante erano stati piantati alla
fine del XVIII secolo dal marchese di Blandford, un antenato di Winston
Churchill . Essi furono il suo lascito vivente per le migliaia di studenti che
sono venuti 200 anni dopo.
Dell'estate del 1974, quando ero studente a Kew, sono le magnolie e
l'araucaria del Cile che più rimangono nei miei ricordi. Successivamente,
da docente appena assunto a Reading verso la fine degli anni '70, una nitida
memoria di quel periodo è una farnia dalle classiche proporzioni - ormai
da tempo caduta - che cresceva vicino ai laboratori di botanica. Poi, appe­
na arrivato a Chicago all'inizio degli anni '80, furono i grandi faggi ameri­
cani e gli aceri da zucchero di Warren Woods nel Michigan - uno dei po­
chi lembi di foresta del Midwest risparmiato dai taglialegna - a lasciare un
ricordo indelebile. E tutti nella nostra famiglia ricordano il monumentale
pino da pinoli che cresceva accanto al cancello del nostro giardino quando
abitavamo a Kew; esso ha visto arrivare e partire, uno a uno, i 15 direttori.

- 7 -
PARTE l- PROLOGO

Questi incontri con gli alberi punteggiano i capitoli della mia vita. Sono il
punto di riferimento di molti altri ricordi e mi collegano alle vite di persone
nate molto tempo prima di me. 1
Sono stato fortunato; una vita vissuta a studiare piante mi ha dato l' op­
portunità di incontrare alcuni dei più spettacolari alberi del pianeta. Nel
1 975 ho esplorato le foreste di cedri nelle montagne dell'Atlante centrale
in Marocco. Nel 1 98 1 , la mia prima estate negli Stati Uniti, ho visitato le
sequoie sempreverdi pochi chilometri a nord di San Francisco. Non è diffi­
cile comprendere come questi miracoli della natura, con le sequoie giganti
loro cugine, abbiano suscitato la passione di john Muir, naturalista e con­
servazionista, e stimolato l'entusiasmo di molti altri.2
Allo Humboldt Redwoods State Park, sulla costa a 300 km a nord di San
Francisco, ci sono più di un centinaio di sequoie sempreverdi che superano
i 1 00 m di altezza. Tra i pochi alberi che possono eguagliarle, rammento
i giganteschi eucalipti delle foreste pluviali temperate della Tasmania, che
ho visitato all'inizio degli anni '90. Le spettacolari fotografie di Thomas
Pakenham danno una buona impressione delle loro grandi dimensioni, ma
non sostituiscono la visione dal vero di questi miracoli della natura; è ne­
cessario sentirne l'odore, toccarli e sentirsi piccoli nello spazio che delimi­
tano, simile all'interno di una cattedrale.3
Per molti di noi, qualunque albero - non solo i più grandi o più spetta­
colari - può assumere un significato speciale. Mi sono affezionato ai filari
di ginkgo dove portavamo a passeggio nostra figlia appena nata e al 'black
tupelo" (Nyssa sylvatica) del nostro giardino, che avevo piantato alla nascita
di nostro figlio, molto di più che ai mattoni e al cemento che in altro modo
specificano i luoghi dove abbiamo vissuto. Questa connessione empatica
probabilmente risale al nostro passato evolutivo. I nostri corpi riflettono la
vita sugli alberi dei nostri progenitori; in un mondo senza grattacieli erano
gli alberi a salire fino al cielo, come montagne. Erano le loro radici che,
come caverne, penetravano in profondità nella terra. Gli alberi sono parte
di noi e connettono il cielo e il mondo sotterraneo con un potere primor­
diale. Il nostro desiderio di arrampicarci sugli alberi non è così diverso da
quello di scalare una montagna.4

' Bill Burger, che mi fece visitare Warren Woods per la prima volta, ne descrive il signifi­
cato sulla rivista <<Chicago Wilderness»; cfr. Truce 2008.
z Circa ottantamila persone ogni anno vanno a vedere le sequoie sempreverdi di Muir
Woods, poco a nord di San Francisco.
3 Le fotografie sono pubblicate in Meetings with Remarkable Trees e Remarkable Trees of the
World di Thomas Pakenham (PAKENHAM 2002, PAKENHAM 2003).
4 Eiseley ( 1 958) sostiene che la mano prensile e la visione frontale, caratteri che si sono
evoluti nei nostri progenitori, rappresentano degli adattamenti alla vita arboricola.

-8-
2. ALBERI

Fino a poco tempo fa le mie arrampicate sugli alberi erano limitate al


piccolo lillà che cinquant'anni fa cresceva dietro la capanna degli attrezzi
nel giardino di mio padre. Poiché talvolta mi vengono le vertigini, di so­
lito evito di arrampicarmi sugli alberi alti. Questa fobia venne tempora­
neamente superata una mattina presto nella foresta pluviale del Borneo
nord-orientale. La promessa di vedere uccelli tropicali, combinata con una
gentile sollecitazione da parte dei miei compagni di viaggio, mi spinse su
una scala fissata al tronco di un'enorme compassia (Koompassia excelsa). La
risalii per 40 m, fino al tetto di una delle ultime foreste pluviali di pianura
rimaste intatte nel Sabah; è difficile comprendere la dimensione di questo
gigante fino a che non ci si è arrampicati centimetro dopo centimetro sul
suo tronco e non si è avvolti dalla sua chioma.5
Gli alberi sono stati adottati come simboli importanti, saldamente in­
trecciati nelle culture umane. Nel libro della Genesi si legge che «Il Signore
Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni
da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino)). Adamo ed
Eva hanno tentato di resistere alla tentazione di mangiare il frutto dell' «al­
bero della conoscenza del bene e del male)). Gli antichi norreni ritenevano
che il loro mondo fosse disposto attorno a Yggdrasil, il frassino cosmico.6
Diverse culture nel mondo sono attratte da alberi con analogo signifi­
cato. Il baniano (Ficus benghalensis) e il peepal (Ficus religiosa) occupano un
posto speciale nell' induismo e sotto un albero di peepal, detto l'albero della
Bodhi/ Buddha ha avuto la sua illuminazione. Nell'antico Egitto, il fico era
l'albero della vita; cinque diverse specie di fichi sono al centro della religio­
ne afro-brasiliana Candomblé, lascito culturale della schiavitù in Brasile.
Gli alberi di queste specie hanno un significato speciale nei luoghi di culto,
detti terreiros.
Gli alberi sono dei collegamenti viventi con la nostra storia culturale. Le
persone trasferite dall'Africa al nuovo mondo hanno portato con sé i semi
del baobab. Il Brasile prende il suo nome dal pau brasil, albero un tempo dif­
fuso nelle foreste pluviali dell'Atlantico, che produceva un colorante rosso
scuro molto apprezzato dai primi mercanti portoghesi (Caesalpinia echina­
ta). I cedri del Libano, menzionati molte volte nella Bibbia, sono un simbolo
di indipendenza nazionale e compaiono sulla bandiera libanese. Analogo

5 La mia scalata alla compassia avvenne nel Danum Valley Field Centre, nello stato di Sa­
bah, in Malesia. Spesso questi alberi non sono abbattuti nei disboscamenti perché il loro legno
è di scarsa qualità e impregnato di depositi di silice, che rendono difficoltoso l'abbattimento.
6 Il racconto di Adamo ed Eva si trova in Genesi 2:9; l'albero della conoscenza è menzio­
nato in Genesi 2: 1 7.
7 Bodhi è un termine sanscrito che significa "risveglio" o "illuminazione".

- 9 -
PARTE I - PROLOGO

significato ha il palmetto nello stato della Carolina del Sud. n Ficus dtrifolia è
un elemento di identità nazionale delle Isole Barbados e in Cina ci sono stati
dei tentativi per adottare ufficialmente il ginkgo come albero nazionale. 8
Gli alberi sono legati anche a persone famose o a importanti eventi
storici. In Gran Bretagna, la Quercia Reale di Boscobel è un discendente
dell'albero nel quale si dice si fosse nascosto il re Carlo II dopo la sconfitta
nella battaglia di Worcester. A Hatfield House una farnia segna il luogo
dove si ritiene che la regina Elisabetta I abbia appreso della sua incorona­
zione. Oltre mezzo milione di visitatori si recano ogni anno alla foresta di
Sherwood per vedere la Major Oak, imponente quercia più volte citata nella
leggenda di Robin Hood.
Le querce hanno assunto rilevanza culturale anche sull'altra sponda
dell'Atlantico. Ad Austin, in Texas, la Treaty Oak è l'unica quercia soprav­
vissuta delle quattordici Coundl Oaks, scelte dai nativi americani quale luo­
go sacro per le riunioni nelle quali discutere questioni di guerra e pace. A
Hampton, Virginia, una quercia Em.andpation Oak segna il sito ove il
- -

proclama di emancipazione di Lincoln venne letto per la prima volta negli


Stati Uniti meridionali. A Chico, in California, vive la "quercia di Hooker" ,
che prende il nome dajoseph Dalton Hooker, mio predecessore a Kew: nel
film La leggenda di Robin Hood, con Errol Flynn protagonista, questo albero
compare col nome di "quercia della forca" , sotto la cui ombra la 'banda
felice" si riunisce per la prima volta. 9
Molte leggende di questo stampo riguardano i grandi alberi di ginkgo
dell'Asia orientale. A un'ora e mezzo di automobile a est di Seul, in Corea
del Sud, il gigantesco ginkgo del tempio Yongmunsa è uno dei più grandi
e più visitati del mondo. n tempio, fondato nell'ultima parte del primo mil­
lennio dopo Cristo ai piedi del Monte Yongmun, si raggiunge con un sen­
tiero in lieve salita che attraversa una quieta foresta di montagna. Appena si
arriva in vista del tempio, appare il colossale ginkgo, collocato su un ampio
sperone roccioso appena sopra un impetuoso torrente. Si giunge dal basso
e la sua vista è di particolare effetto. 1 0
Le leggende sul ginkgo di Yongmunsa ne enfatizzano il ruolo nella storia
coreana. Secondo una di queste, esso spuntò dal bastone di Uisang, il grande
sacerdote buddhista della dinastia Shilla . Un'altra afferma che esso era stato

s La proposta di adozione del ginkgo come albero nazionale è stata avanzata in Cina nel
1 942 da Guo Moruo, scienziato, poeta e storico.
9 Le Council Oaks e la Emancipation Oak sono querce sempreverdi. La Hooker Oak è
una quercia bianca della California (Quercus lobata).
IO Si stima che lo Yongmunsa ("Tempio della porta del drago"") sia stato costruito nel 9 1 3
e ampliato nel 1392, sebbene sia stato ricostruito numerose volte.

- 10 -
2. ALBERI

piantato da Maui, erede al trono di Gyeongsun, l'ultimo re Shilla, addolorato


per la caduta della sua nazione. Non importa se i racconti sono veri o meno,
ciò che conta è che questo grande albero ha un profondo significato per il
tempio Yongmunsa e i suoi monaci e uno speciale valore per tutti i coreani. 11
La rilevanza culturale è soltanto uno dei segni dell'importanza delle cir­
ca 1 00.000 differenti specie di alberi che vivono sul nostro pianeta. Sin dagli
albori della civiltà, gli alberi sono stati usati come combustibile, legname
e cibo, nonché per costruire oggetti di tutti i tipi. Inoltre forniscono gom­
ma, olii, medicine e sono indispensabili mezzi di sostentamento nei paesi
poveri. A Kew abbiamo lavorato sulla conservazione degli alberi, d'intesa
col Dipartimento Forestale del Burkina Faso. Ogni anno il Burkina Faso
perde decine di migliaia di ettari di foreste, trasformate in campi coltivati o
abbattute per attenerne legna da ardere. D'altra parte, il 90% dell'energia
domestica dipende dalla combustione del legno. Capire come le persone
usano gli alberi e come possono continuare a usarli in modo sostenibile ha
indubbi risvolti pratici. 12
Gli alberi hanno un'importanza cruciale anche nei paesi sviluppati. Un
americano usa in media l tonnellata di legno ogni anno, equivalente a circa
l ,2 metri cubi di legname, che viene trasformato in una miriade di oggetti,
dalle mazze da baseball e culle per neonati, dagli xilofoni agli yo-yo. Un'e­
norme quantità di legno viene poi usata in edilizia e per la produzione di
carte e cartoni. L'America consuma circa 90 milioni di tonnellate di prodot­
ti cartari ogni anno. 13
Il progetto "One Tree" ha suggerito una strategia simbolica per cercare
di rappresentare con precisione il nostro debito con gli alberi. A Tatton
Park, in Inghilterra, una farnia di 1 70 anni, malata, di circa 1 8 m di altezza,
fu abbattuta e donata a più di 70 progettisti, artisti e artigiani. La segatura
fu bruciata per smaltare la terracotta, la corteccia usata per conciare e le
fibre del legno per produrre carta. Il legno fu trasformato in una sorpren­
dente varietà di oggetti: giocattoli, mobili, telai di finestre, scale, iurte, taz­
ze e perfino uno stetoscopio fetale. 14

11 Il ginkgo di Yongmunsa aveva raggiunto la ragguardevole altezza di 67 m prima di


essere colpito da un fulmine. Ora è alto 40 m e con la sua imponenza resta uno dei ginkgo più
alti del mondo.
IZ Tra il 1983 e il 1996 il National Forest Seed Center del Burkina Faso ha distribuito 17 t

di semi di una sessantina di specie arboree per ripristinare la vegetazione forestale degradata e
approvvigionare vivai e piantagioni locali.
I 3 Le stime del consumo di carta negli Stati Uniti provengono dal World Resource Institu­
te 2005 Statistics (cfr. KAHL 2009 ; NADKARNI 2008)
1 4 OLSoN et al. 200 1 documentano il progetto "One Tree" .

- 1 1-
PARTE I - PROLOGO

Gli alberi partecipano da protagonisti ai processi ecologici che deter­


minano l'ambiente dell'intero pianeta. I resti fossili degli alberi sono i più
importanti costituenti del carbone e la principale fonte dell'attuale accu­
mulo di C0 2 nell'atmosfera. Le foreste regolano il clima locale e regionale
nonché quantità e qualità delle acque di fiumi e torrenti. Sono gli alberi che
favoriscono la struttura dei diversi tipi di vegetazione e le diverse comunità
di animali e microorganismi che da essi dipendono.
Eppure, nonostante la loro importanza, spesso manteniamo un at­
teggiamento ambiguo riguardo agli alberi e al loro futuro. Li diamo per
scontati, ci sembrano ubiquitari, ma quando sbarrano la strada ai nostri
progetti - per esempio un nuovo parcheggio - li eliminiamo senza tanti
complimenti. Bill Vaughn, editorialista del Kansas City Star, ha riassunto
questo atteggiamento con una frase memorabile: «La periferia è il luogo
dove i costruttori abbattono gli alberi e poi danno i loro nomi alle strade». 15
Ciò nonostante, le minacce a particolari alberi possono suscitare forti
emozioni. La quercia di Washington, nel New Jersey, è sopravvissuta a due
battaglie di Princeton: la prima nel 1 777, quando George Washington riunì
le sue truppe per sconfiggere l'esercito inglese; la seconda negli anni '80 del
XX secolo, quando venne minacciata da un costruttore locale. A Charle­
ston, la imponente quercia di Angel fu incorporata al territorio comunale
per salvarla da analoghe minacce. Nel 2007 e 2008 l'Università della Califor­
nia a Berkeley divenne il sito del più lungo "sit-in per le alberature urbane" ,
una protesta per impedire la rimozione di 90 alberi del boschetto di querce
del campus a favore di nuove installazioni sportive. Nonostante un lungo
procedimento civile, numerosi appelli e un centinaio di protestanti nudi
in bilico sulle grosse branche delle querce minacciate, alla fine la Corte
superiore della contea di Alameda decise a favore degli impianti sportivi. 16
Allo stesso modo, le controversie sull'abbattimento delle foreste vetu­
ste o sull'espansione delle coltivazioni nelle foreste pluviali possono attrarre
l'attenzione politica nazionale e internazionale. Il Presidente degli Stati Uniti
Bill Clinton si deve essere reso conto di avere elaborato un fine compromesso
quando né gli imprenditori selvicolturali né i conservazionisti rimasero sod­
disfatti del suo piano per la gestione delle foreste vetuste degli stati nord-oc­
cidentali. Ultimamente, gli alberi e le foreste compaiono con maggiore im­
portanza nella discussione delle politiche legate al cambiamento climatico. 17

15 Bill Vaughn ( 1 9 1 5- 1 977) teneva la rubrica Starbeams sul <<Kansas City Star>>.
16 La quercia di Angel è un'imponente quercia sempreverde sulla john's Island, alla peri­
feria di Charleston, Carolina del Sud.
17 L'abbattimento delle foreste contribuisce tra il 6 e il l?% alle emissioni annuali mon­
diali di co,.

- 12 -
2. ALBERI

Comunque, come sempre, è il "qui e ora" che ottiene attenzione; le


conseguenze a lungo termine e i collegamenti con ciò che accade altrove
sono molto facilmente ignorate. Gli alberi e i sistemi ecologici di cui fanno
parte sono sotto attacco in tutto il mondo, in ogni momento. Le minacce
provengono da ogni parte, alcune dirette e rapide, altre indirette e insidio­
se. I cambiamenti di uso del suolo che sostituiscono la foresta con le colti­
vazioni, incluse le monocolture arboree quali palme da olio o piantagioni
di gomma, sono una minaccia; un'altra è l'urbanizzazione. Il sovrasfrutta­
mento per la produzione di combustibile o legname è un altro problema.
Per alberi con alto valore commerciale, come il mogano e il teck, l'abbatti­
mento selettivo e talvolta illegale - l'equivalente botanico della caccia alle
balene o del bracconaggio alle tigri è una minaccia persistente.
-

Gli alberi sono anche coinvolti in più ampi cambiamenti ambientali,


quali l'inquinamento delle acque o dell'aria e l'invasione di specie aliene,
compresi i patogeni. Sono anche minacciati da modificazioni nei suoli, nel­
le acque, nel drenaggio e dalla frequenza degli incendi; devono fronteg­
giare nuove sfide poste dai rapidi cambiamenti climatici e da eventi mete­
orologici estremi. I maestosi cicli vitali di molti alberi non sono adatti al
mondo frenetico che stiamo creando. Il tempo necessario affinché un seme
diventi un albero maturo, in combinazione con la frammentazione degli
habitat che ostacola i naturali movimenti di piante e animali, rende difficile
l'adattamento o la migrazione delle nuove generazioni. 18
In buona parte la nostra attrazione verso gli alberi è motivata dalla loro
immutabilità. Rispetto a noi e a molto altro di ciò che popola il nostro
mondo moderno, gli alberi hanno una confortante longevità. Essi cam­
biano lentamente, quasi impercettibilmente. Sono segni di una stabilità in
grado di attraversare le generazioni. Per citare un ben noto proverbio «una
società diventa grande quando i suoi anziani piantano alberi alla cui om­
bra sanno che non sederanno mai». Dal punto di vista ecologico, gli alberi
trovano un luogo dove vivere e vi mettono radici; nel gergo ecologico,
essi occupano un sito. Arrivano trasportati dal vento, da un uccello o da
uno scoiattolo e vi si stabiliscono. In un mondo densamente popolato di
persone frenetiche e sempre più esigenti, questo ponderoso stile di vita
probabilmente non è una strategia vincente. Le nostre abitudini turbano
gli equilibri ecologici in tutto il mondo e creano ambienti che favoriscono
le infestanti: piante che vivono in fretta, si riproducono presto e muoiono

1B Il Millennium Ecosystem Assessment, condotto tra il 200 1 e il 2005, ha concluso che


negli ultimi cinquanta anni gli uomini hanno modificato gli ecosistemi «più rapidamente ed
estensivamente che in ogni altro cinquantennio nella storia dell'uomo>>.

- 13 -
PARTE I - PROLOGO

giovani. La rassicurante calma degli alberi dalla lunga vita va facilmente


smarrita nella frenesia quotidiana.
Con la sua resilienza e longevità, il ginkgo incarna ciò che noi ammi­
riamo degli alberi, mentre i suoi saldi legami con le nostre culture sottoli­
neano la forza di questa relazione. Ma la biografia del ginkgo ha anche la
dimensione del tempo profondo, che lo collega a mondi remoti. La preisto­
ria di molti degli alberi che conosciamo meglio (frassini, carpini, magnolie,
querce, noci) si misura in milioni o decine di milioni di anni, ma il ginkgo è
estremo: è presente ininterrottamente da 200 milioni di anni o più. Come
la metasequoia (Metasequoia glyptostroboides) in Cina e il pino di Wollemi
(Wollemia nobilis) in Australia - altri alberi carismatici le cui biografie ri­
salgono a un passato remoto - il ginkgo presenta un'ulteriore motivo di
richiamo: è arrivato a un passo dall'estinzione. Il ginkgo è portatore di una
buona notizia: è un albero salvato dalle persone.

- 14 -
3.

Identità

. . . soltanto piantate per me un ginkgo dall'aspetto


buffo.
LuEsther Mertz, placca commemorativa, Orto
botanico di New York. 1

Willi am Jackson Hooker, il primo direttore dei Reali Giardini Botanici


di Kew, nacque nel 1 785. A quel tempo, il ginkgo che cresce nella parte
storica dei giardini stava raggiungendo la maturità. Mezzo secolo più tardi,
quando Hooker venne a Kew per creare un giardino botanico nazionale,
esso era quasi centenario; era già sopravvissuto al re Giorgio III, a Sir Jose­
ph Banks e agli altri che, nel XVIII secolo, avevano assistito al suo impianto.
Hooker avrebbe visto questo albero quasi ogni giorno e lo avrebbe rico­
nosciuto come uno dei più insoliti e importanti a lui affidati, esattamente
com'è stato per me 150 anni dopo.
William Hooker era l'uomo giusto, nel posto giusto, al momento giu­
sto. Figlio di un birraio che divenne professore di botanica all'Università di
Glasgow, egli era un superbo artista, uno scienziato di talento e un notevo­
le visionario. Era alto e magro, con irrefrenabile energia ma anche pazien­
za, tatto e buone maniere; i suoi modi erano "affabili e urbani" .
Hooker era anche un amministratore capace ed efficiente: «Non riten­
ne niente troppo modesto per attirare la sua attenzione».2

1 Iscrizione su una placca presso gli alberi di ginkgo vicino alla Biblioteca LuEsther Mertz,
New York Botanica! Garden.
2 Le descrizioni di William Hooker sono tratte da William Henry Harvey; cfr. ALLEN 1 967.

- 15 -
PARTE I - PROLOGO

Hooker arrivò a Kew a metà del XIX secolo, per prendersi cura di pic­
cola parte di una tenuta di campagna in declino. Nel XVIII secolo Kew era
uno dei luoghi preferiti dai reali, col paesaggio dei giardini di Richmond
creato da Capability Brown e la adiacente tenuta di Frederick e Augusta,
Principe e Principessa del Galles, ornata dai magnifici edifici di Sir William
Chambers. Comunque, con la morte di Giorgio III e quella di Sir Joseph
Banks nel 1 820, Kew e le sue collezioni botaniche caddero in declino.3
Nominato direttore nel 1 84 1 , Willi am Hooker pose Kew su una nuova
traiettoria e lo riportò alla vita. In poco più di due decadi costruì serre stu­
pefacenti, progettò viste grandiose, unificò i paesaggi del XVIII secolo e in­
trodusse piante esotiche da tutto il mondo. Usando le sue raccolte persona­
li come nucleo iniziale, avviò lo sviluppo della biblioteca e delle collezioni
di piante essiccate su cui si fonda il lavoro globale che si svolge a Kew nella
ricerca scientifica e nella conservazione della biodiversità. Al momento del­
la sua morte, grazie alla sua energia e al suo genio politico, Hooker aveva
grandemente espanso le parti della tenuta sotto il suo controllo e creato un
magnifico spettacolo per il pubblico. 4
Hooker era uno scienziato, come la maggior parte dei direttori di Kew,
ma era anche un insegnante. Aveva compreso che un modo per attrarre
studenti e altri verso le piante è dimostrarne l'utilità. A Kew le collezioni
di piante utili che Hooker usava per illustrare le sue lezioni a Glasgow di­
vennero il nucleo di ciò che chiamò Museo di Botanica Economica. Per il
giardino botanico nazionale, questo interesse si estendeva verso un'altra
dimensione. Hooker sapeva che gli usi delle piante erano importanti per i
suoi mentori politici e per gli interessi commerciali dell'impero vittoriano
britannico.5
Forte di oltre 76.000 campioni, la collezione di botanica economica di
Kew è la più grande di questo tipo al mondo. Ben protetta in un caveau
climatizzato si trova un'ampia raccolta miscellanea di piante alimentari,
medicinali, da tintura e da legname. Ci sono innumerevoli artefatti costru­
iti con diverse parti di piante: trappole per pesci e una canoa scavata in un
tronco insieme a belle collane e raffinati tessuti. C'è una camicia fatta con
fibre di ananas e una bombetta di sughero. Tra spezie, piante psicoattive,
arnesi, strumenti musicali e molti altri campioni che illustrano l'interdi-

3 Per la storia dei Reali Giardini Botanici di Kew si rimanda a DESMOND 2007.
4 Nella rivitalizzazione di Kew, William Hooker ha contribuito a realizzare la visione di
uno dei suoi maestri, Sir Joseph Banks.
5 Drayton (2000) spiega come Kew e altri giardini botanici divennero strumenti di più
ampi obiettivi coloniali nel periodo Vittoriano e in quelli precedenti.

- 16 -
3. IDENTITÀ

pendenza di piante e persone, ve ne sono alcuni che documentano gli usi


del ginkgo.
Ci sono molte accessioni di semi di ginkgo. In Cina, il ginkgo è colti­
vato da un millennio per i semi commestibili. Ci sono anche campioni di
legno di ginkgo, raccolti dajohn Quin, uno dei primi diplomatici britanni­
ci in Giappone. Tra il 1 867 e il 1 896, su richiesta di Kew, egli condusse me­
ticolose osservazioni dell'antica arte giapponese della lacca tura. Annotò
il protocollo di lavorazione e raccolse i materiali e le attrezzature usate.
Tra queste vi è un pezzo di legno di ginkgo. Quin lo elenca come usato
per «articoli fabbricati al tornio, quali scodelle, tazze per il riso, vassoi ro­
tondi, ecc.». 6
Tra gli altri oggetti deliziosi della collezione di botanica economica c'è
una singola foglia di ginkgo essiccata, acquistata non molto tempo fa da un
botanico di Kew in missione in Cina. È decorata con la scena di un giardino
cinese, disegnata con sottili linee nere, accompagnata da un poema scritto
in minuti ideogrammi cinesi. A sinistra un albero, forse un pino, si erge in
primo piano. Al centro, un gruppo di rocce intorno a un piccolo padiglio­
ne. Dietro, più distanti, altri alberi, forse salici. A destra, un timbro rosso
porta il nome Suzhou in antichi caratteri cinesi della dinastia Qin.7
Per chi è familiare con i giardini cinesi la scena dipinta sulla foglia di
ginkgo è ben nota. Proviene da uno dei più famosi giardini di Suzhou, la
città cinese dei giardini. Potrebbe essere familiare anche per coloro che co­
noscono New York, dato che la scena è in parte ricreata nel Metropolitan
Museum of Art. 8
Wang Shi Yuan, il Giardino del Maestro delle reti da pesca, è uno dei
migliori esempi di piccoli giardini privati cinesi. Fondato da un burocrate
in pensione sul sito di un giardino del XII secolo della dinastia meridionale
dei Song, è uno dei nove classici giardini cinesi a Suzhou riconosciuti come
siti del patrimonio mondiale dell'Unesco. Molti contengono antichi alberi
di ginkgo, come del resto anche il più vecchio di tutti i giardini botanici,
quello dell'Università di Padova in Italia settentrionale. La inconfondibi­
le foglia a ventaglio ha conferito al ginkgo una forte presenza in tutto il
mondo. Probabilmente i semi hanno dapprima attratto l'attenzione delle
persone verso questo albero e forse lo hanno salvato dall'estinzione, ma è

6 Per informazioni dettagliate su John Quin e le sue collezioni a Kew si rimanda a QUIN
1 882, p. 1 99 e PRENDERGAST et al. 200 1 .
7 L a dinastia Qin ( o Ch'in) sorse nel 221 a.C. e terminò nel 206 d.C.
8 La foglia di ginkgo della collezione di Kew non ha particolare valore eccetto che per la
insolita combinazione di un'immagine archetipa cinese con uno dei più potenti simboli natu·
rali dell'Oriente.

- 17 -
PARTE I - PROLOGO

la sua foglia inconfondibile che ha avuto una grande parte nel trasformare
il ginkgo da una pianta alimentare minore in una vera icona culturale. Il
ginkgo ha la foglia più indimenticabile di tutti gli alberi e in buona parte la
sua ricca storia culturale dipende proprio dalla forma insolita della foglia.9
La foglia di ginkgo è stata usata più volte come modello immediata­
mente riconoscibile. Il ginkgo è originario della Cina, dove è coltivato da
lungo tempo. Guo Moruo, un rivoluzionario cinese contemporaneo di
Mao e primo presidente della moderna Accademia Cinese delle Scienze,
scrisse molti poemi su piante e fiori, ma ha riservato la sua lode più alta
per il ginkgo. Nel pieno della battaglia comunista contro Chian Kai-shek
egli chiamò il ginkgo "il santo dell'est" , un nobile e altisonante simbolo di
nazionalismo cinese.
Nella Corea del Sud, molti famosi vecchi alberi di ginkgo sono conser­
vati come monumenti naturali, incluso il ginkgo di Nongso Seonsan, ono­
rato dagli abitanti del villaggio nel 1 5° giorno del nuovo anno lunare. Con
un'altezza di circa 30 m e un diametro di cinque, si impone anche nella sua
nudità invernale. È stato piantato più di quattrocento anni fa accanto a un
tempio e luogo di mercato ora in rovina. Secondo le leggende locali è così
sacro che gli uccelli non vi si posano. 1 0 Il ginkgo è anche profondamente
innestato nella cultura giapponese. La ubiquitaria T, scelta come simbolo
della prefettura di Tokyo, nella quale risiedono 13 milioni di abitanti, somi­
glia in modo sospetto a una foglia di ginkgo stilizzata. I migliori lottatori
di sumo si fanno acconciare i capelli in forme che prendono il nome del
ginkgo; nel 1 958, due scienziati giapponesi descrissero una nuova specie
di balena con becco nelle acque calde degli oceani Indiano e Pacifico e la
chiamarono Mesoplodon ginkgodens ovvero la balena con becco dai denti di
ginkgo. In Giappone ci sono anche granchi ginkgo, funghi ginkgo, patate
ginkgo, e squali ginkgo. Per non parlare di armadi, tavoli, vasi da fiori, at­
trezzi agricoli e strumenti musicali che portano il ginkgo nel loro nome. U
In tutto il mondo governi, imprese e organizzazioni di tutti i tipi han­
no adottato la foglia di ginkgo nel loro logotipo. L'Università Forestale di
Zheijang in Cina, l'Università di Osaka in Giappone, e l'Università Sung
Kyun Kwan in Corea del Sud hanno la foglia del ginkgo nel loro logotipo.
In Occidente, l'artista Larry Kirkland, incaricato di progettare l'entrata del

9 Secondo alcuni, la somiglianza tra la foglia di ginkgo e il ventaglio - un simbolo sacro -


può aver influenzato l'adozione dell'albero da parte del buddhismo e dello scintoismo.
10 Il ginkgo di Seonsan Nongso si trova nella città di Seonsan nella Provincia del Chun­
gcheong meridionale, in Corea del Sud.
Il Per una lista completa dei nomi giapponesi che contengono il termine icho, "ginkgo",
cfr. Horu - Horu 1 997.

- 18 -
3. IDENTITÀ

nuovo edificio dell'Accademia Nazionale delle Scienze a Washington e di


comunicare lo sviluppo della conoscenza umana del mondo naturale, in­
cluse nel progetto un rametto con foglie e semi di ginkgo. Con i fringuelli
di Darwin, i piselli di Mendel, i moscerini di Morgan, il ginkgo si ritrova tra
le nove immagini che Kirkland scelse di sovraimporre alla struttura mole­
colare del DNA. Analoga sovrapposizione è stata scelta dal Dipartimento
di Scienze Botaniche dell'Università di Cambridge, che sorge nei pressi del
sito del vecchio laboratorio Cavendish, dove la struttura del DNA fu elabo­
rata per la prima volta: il suo lago circonda una foglia di ginkgo con una
doppia elica di DNA stilizzata. 12
Oltre il mondo accademico, l'identità del ginkgo si estende al commer­
cio. Si può visitare un caffè ginkgo a Melbourne in Australia, a Francoforte
in Germania e in molti luoghi compresi tra questi due. In tutto il mondo ci
sono raffinate terme ginkgo e ristoranti ginkgo. Quasi tutti si fanno pub­
blicità grazie alla sua inconfondibile foglia. Esperti di marketing e svilup­
patori di marchi aziendali collegano parola e foglia con un'immagine che è
contemporanea e senza tempo, esotica ma familiare e soprattutto elegante
in modo sublime.
Nel quartiere periferico di Chicago detto Oak Park, un grande ginkgo
si erge fuori dalla casa e studio di Frank Lloyd Wright. Era probabilmente
un giovane albero quando l'architetto acquistò il terreno. Invece di tenerlo
in posizione marginale, lo ha tenuto al centro della sua casa. Certamente
aveva visto alberi di ginkgo nelle sue visite in Giappone. Oggi, le decine di
migliaia di visitatori che vengono ogni anno a visitare questo santuario del­
la architettura del XX secolo passano sotto il suo grande ginkgo e compra­
no i biglietti al Ginkgo Bookshop. All'interno si trova oggettistica di tutti
i tipi ispirata al ginkgo, dai piatti ginkgo ai portagioie ginkgo. Una scelta
ancora più ampia si può trovare sul web con pochi tocchi di tastiera. La
varietà di prodotti ginkgo è abbondante e segue una lunga tradizione. Da
centinaia di anni, artisti e artigiani di ogni tipo in Cina, Giappone e Corea
usano il ginkgo nel loro lavoro. 13
Il collegamento tra ginkgo e Frank Lloyd Wright sembra naturale. L'in­
fluenza del movimento delle Arti e Mestieri è forte specialmente in molti
prodotti contemporanei che si avvalgono della forma della foglia di ginkgo.
Eleganza e curve regolari si collegano facilmente a una visione estetica che
si è sviluppata per reazione contro le macchine. Il ginkgo è stato utilizzato

IZ Il murale di Kirkland è esposto nell'atrio del Keck Center a Washington, all'angolo fra
la Sesta Strada e la "E" .
1 3 Il sito web Ginkgo Dreams (www. ginkgodreams.com) offre una vasta gamma di pro­
dotti e oggetti d'arte ispirati alla foglia di ginkgo.

- 19 -
PARTE I - PROLOGO

anche nell'Art N ouveau: ci sono rappresentazioni spettacolari di rametti e


foglie di ginkgo nell'architettura Art N ouveau di N ancy e Praga. 14
Il ginkgo rimane una fonte di ispirazione artistica. Nel 2005 , nel padi­
glione inglese alla 5 1 a biennale di Venezia, Gilbert e George, artisti dell'E­
ast End di Londra, mostrarono le loro Ginkgo Pictures: una impressionan­
te mostra di 25 immagini fotografiche create da forme di ginkgo raccolte a
Gramercy Park, New York. In brillanti colori, incorniciati in un reticolato
nero e disposti accanto a ritratti di Gilbert e George in moduli ripetuti,
spesso simmetrici, ciascuno dei pannelli alti più di quattro metri sembra
una vetrata colorata surrealista. 1 5
I l ginkgo h a lasciato il suo più profondo segno culturale in Cina, Giap­
pone e Corea, dove i ginkgo più vecchi di tutti sono amati. Due grandi
ginkgo sorgono su entrambi i lati del Tempio del Buddha a riposo a Pechi­
no, nel luogo ora occupato dall'Orto botanico. Ci sono ginkgo al Tempio
di Confucio a QuFu: proprio come il Buddha sedette sotto l'albero della
bodhi, si dice che Confucio passasse il suo tempo leggendo, riflettendo e
insegnando sotto un albero di ginkgo. Si dice che un vecchio e grande gin­
kgo che si trova nella provincia di Sharks sia stato piantato da Lao Tzu, il
leggendario fondatore del Taoismo. 16
In Corea molti dei più grandi e più vecchi ginkgo sono legati ai templi
buddhisti, ma ci sono due grandi ginkgo al santuario confuciano Munmyo
nel campus dell'Università Sung Kyun Kwang di Seul. Con mio figlio, li
ritrovammo là in un caldo giorno di luglio di alcuni anni fa. Erano in per­
fetta salute, in posizione simmetrica nel più antico cortile dell'Università,
sopravvissuti per secoli a eventi belli e brutti.
In Giappone ci sono grandi ginkgo in alcuni dei più importanti templi
buddhisti del paese, incluso il tempio Tamba Kokobunji nella prefettura di
Kyoto, il tempio Jonichiji nella prefettura di Toyama, il tempio Ida Koko­
bunji nella prefettura di Gifu e il tempio Zenpukuji a Tokyo. Ci sono ginkgo
anche in alcuni dei più importanti santuari scinto: il santuario Ubagami nel­
la prefettura di Miyagi, il santuario Katsushika Hachiman nella prefettura
di Chiba e molti altri, incluso il controverso santuario Yasukuni a Tokyo. 17

1 4 Per gli usi del ginkgo nelle architetture Art Nouveau di Nancy e Praga, cfr. KwANT,
Ginkgo biloba e l'Art Nouveau nella scuola di Nancy e Ginkgo biloba e l'Art Nouveau a Praga.
1 5 La retrospettiva di George e Gilbert è recensita da WYMAN 2008; il catalogo è stato
pubblicato da BIRNBAUM - B RAC EWELL 2005.
1 6 L' albero di ginkgo sotto al quale si dice che Confucio abbia insegnato è spesso rap­
,
presentato come un albicocco. E un errore derivante dal termine cinese hsing, "albicocca ar­
gentata" . Per ulteriori dettagli sul Confucianesimo, ginkgo e Wofo Si - il Tempio del Buddha
Sdraiato - cfr. TAYLOR - CHOY 2005 e PoRTER - joHNSON 1 993.
1 7 Un riepilogo di antichi ginkgo in Giappone si trova in HoRI - H oRI 1 997, p. 395, la lista
dettagliata con molte fotografie di singoli alberi in Horu - HoRI 2005.

- 20 -
3. IDENTITÀ

In Occidente il ginkgo è usato ampiamente come albero commemora­


tivo. Ce ne sono molti con le loro targhe alla memoria, nel parco vicino a
casa mia.
A Hoboken, nel New Jersey lungo il fiume Hudson, sulla riva opposta
al luogo dove una volta sorgevano le torri gemelle del World Trade Center,
un boschetto di alberi di ginkgo funge da memoriale vivente per le vitti­
me dell'attacco terroristico dell' 1 1 settembre 200 l . A Detroit ci sono un
ginkgo piantato da Yoko Ono e uno piantato dal Dalai Lama. A Kew nel
1 9 16, quando l'ottocentesco tempio del sole di Sir William Chambers fu
distrutto da un grande cedro del Libano sradicato da una tempesta, la regi­
na Mary demarcò il sito piantandovi un ginkgo, a pochi metri dal Vecchio
Leone piantato circa 1 50 anni prima al tempo della trisavola del marito.
A Morgantown, nell'Indiana, un grande ginkgo isolato, piantato verso il
1 880 poco dopo la fine della guerra civile americana, commemora i pri­
gionieri dell'Unione sopravvissuti nella famigerata prigione confederata di
Andersonville. 1 8

Il ginkgo si trova in località famose di tutto il mondo. Ci sono gink­


go nei giardini della Casa Bianca a Washington e nel palazzo imperiale
a Tok.yo, ma anche nella piazza Tienanmen a Pechino e alla Missione di
Al amo a San Antonio (Texas). A Ottawa, nella residenza del governatore
generale, un ginkgo commemora la visita del presidente cinese Li Xian­
nian, avvenuta nel l 985. Il più famoso è il ginkgo di Hiroshima, sopravvis­
suto all'esplosione della prima bomba atomica il 6 agosto 1 945 e divenuto
un emblema di resistenza nel luogo simbolo di distruzione e sofferenza
umana. Dall'altra parte del mondo, nel Missouri, ci sono ginkgo vicino alla
casa di Harry Truman, il presidente statunitense che ordinò il lancio della
bomba, e all'Università di Chicago si trovano ginkgo lungo Ellis Avenue a
breve distanza dal laboratorio dove Enrico fermi e il suo gruppo dettero
vita all'era nucleare. 1 9
Il ginkgo è diventato l'icona della singolarità. joy Morton, fondatore
della Morton Salt Company e del Morton Arboretum nei pressi di Chi­
cago, è accreditato della seguente affermazione: «il Morton Arboretum è
un ginkgo e rimarrà un ginkgo». In effetti, nel Morton Arboretum corre
una Ginkgo Way e ci si ristora al Ginkgo Restaurant, dove l'arredamento è

18 Gli elenchi di singoli esemplari di ginkgo in diverse parti del mondo si trovano sul sito
web Ginkgo Pages, assieme a molte altre affascinanti curiosità.
1 9 Sei ginkgo sono sopravvissuti ali" esplosione della bomba atomica a Hiroshima, uno dei
quali si trova a 1 . 5 km dali" epicentro (Kwant, Ginkgo Pages. http: / / kwanten.home.xs4all.nl /
hiroshima.htm).

- 21 -
PARTE I - PROLOGO

ispirato al ginkgo. Più di 70 alberi di ginkgo di 40 diverse provenienze sono


piantati nel suo ameno paesaggio boscata. 20
]oy Morton aveva ragione: la forma a delta rovesciato e il caratteristico
ventaglio formato dalle sottili nervature identificano la foglia del ginkgo
senza possibilità di confusione con quelle di ogni altra pianta. Engelbert
Kaempfer, il primo occidentale a prendere nota dell'albero durante la sua
permanenza in Giappone alla fine del XVII secolo, vide la somiglianza
con le foglioline delle fronde di capelvenere, una comune felce. Da questa
osservazione deriva uno dei nomi comuni del ginkgo in inglese, l'albero
capelvenere. Ma se da un lato le foglie di capelvenere hanno una vaga so­
miglianza con quelle di ginkgo, non c'è niente con cui la foglia di un vero
ginkgo si possa confondere.
Il naturalista svedese Carlo Linne o, che nel XVIII secolo tentò di de­
nominare e catalogare tutte le piante del mondo, dette al ginkgo il suo
formale nome scientifico. Lo derivò dal nome che Kaempfer aveva traslitte­
rato dal giapponese. Malgrado la complicata combinazione di consonanti,
Linneo era evidentemente soddisfatto e si limitò ad aggiungervi l'epiteto
biloba, che si riferiva a una caratteristica di alcune foglie di ginkgo, che pre­
sentano la lamina intagliata lungo il bordo esterno o talvolta profondamen­
te divisa in due.
Solo pochi decenni dopo Goethe intitolò con la designazione linne a­
na, Ginkgo biloba, il suo famoso poema nel "Divano occidentale-orientale" .
Nella strofa centrale pone una domanda:
è questo un organismo vivente?
Che si divide in se stesso
Sono due che si sono scelti,
Così da essere noti come uno?

Goethe si rivolse al ginkgo per esprimere i suoi sentimenti verso Ma­


rianne Willemer, la sua musa e giovane moglie di un caro amico, ma la sua
domanda aveva un significato più profondo. Goethe combatteva non sol­
tanto con la sua attrazione verso Marianna, ma anche per trovare il signi­
ficato nascosto dentro la struttura delle piante. Lo studio scientifico della
forma delle piante inizia proprio con Goethe. Egli fu il primo a usare il ter­
mine morfologia, come chiamiamo oggi lo studio scientifico delle forme
degli organismi biologici.21

zo Il Morton Arboretum è il secondo arboreto più antico negli Stati Uniti, dopo l'Arnold

Arboretum a Harvard.
Z l Per informazioni su Goethe e Marianne Will e mer cfr. UNSELD 2003 . Il libro di Goethe

intitolato Versuch die Metamorphose de Fjlanzen zu erkliiren - Un tentativo di spiegare la metamoifosi

- 22 -
3. IDENTITÀ

La scienza moderna non fornisce risposte chiare alla domanda di Go­


ethe sulla foglia di ginkgo, ma ne ha considerato il più ampio contesto. La
stupefacente varietà della vita vegetale, di cui il ginkgo è una parte fonda­
mentale, è una sfida continua alla ricerca del fondamentale tema unifican­
te, un Bauplan, che connetta tutto quanto. Goethe disse una volta: «Una
pianta è tutta foglia, da cima in fondo». Come le foglie sono sorte e come
si sono modificate nei millenni di millenni è la chiave di tutto ciò che vor­
remmo sapere riguardo all'evoluzione delle piante.22

delle piante (GOETHE 1 790), è generalmente considerato il primo studio scientifico della forma
dei vegetali.
zz «Una pianta è tutta foglia, da cima in fondo» è la traduzione di un passaggio di una

lettera scritta da Goethe a Johann Gottfried van Herder il 1 7 maggio 1 787. Sulla ricerca da
parte di Goethe di un Bauplan e di un fondamentale tema unificante nella forma delle piante si
rimanda a I<APLAN 200 l .

- 23 -
Parte II
L"' albero vivente
Pagina precedente: i grandi zhong-rn o chi-chi, simili a stalattiti, sul ginkgo di Kitakanega­
sawa, Honshu del Nord, Giappone.
4.

Energia

La crescita dipende tutta dall'attività. Non vi è


sviluppo, né fisico, né intellettuale, senza sforzo e
sforzo significa lavoro.
Calvin Coolidge, Have Faith in Massachusetts. 1

L'eleganza di una foglia di ginkgo inizia col suo picciolo; esso è lungo,
talvolta un po' più lungo di quanto possa sembrare appropriato in rappor­
to alla lunghezza della lamina, ma picciolo e lamina si fondono elegante­
mente l'uno nell'altra. Nel punto in cui si espande la lamina, emergono
dal picciolo due sottili venature, ciascuna delle quali rifornisce metà della
foglia. Le venature si dividono incessantemente nella lamina, divergendo
le une dalle altre; solo raramente questo schema di sviluppo è alterato da
-
venature convergentU
Le foglie sono di importanza vitale per un ginkgo vivente; da esse dipen­
de l'autonomia energetica. Le foglie sono infatti fabbriche di energia pulita,
pannelli solari naturali, prodotti in massa, equipaggiati con sofisticati im­
pianti biochimici capaci di trasformare l'energia solare in energia chimica,
che piante e animali possono usare. Questo miracolo di alchimia naturale, il
processo della fotosintesi, è stato studiato da alcune delle più raffinate menti
scientifiche del mondo. Oggi ne comprendiamo in larga parte il funziona­
mento, fino al livello molecolare e atomico, ma molto ancora ci sfugge.
Il mio collega a Yale Gary Brudvig indaga il trasferimento subatomico di

l COOLIDGE 1 9 1 9 , p. 1 3 .
2 I n media, s i osservano venature convergenti in meno d i una foglia s u dieci.

- 27 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

energia su cui si fonda la fotosintesi. Ma neppure nei laboratori di chimica


più avanzati del mondo siamo riusciti a ricreare questo processo, attuato
inizialmente da semplici organismi più di 2 miliardi di anni fa. 3
Le foglie sono il luogo dove i mattoni chimici che formano e manten­
gono un albero di ginkgo vengono creati; essi sono fabbricati a partire da
materiali molto semplici: l'acqua che proviene dal suolo, viene condotta
lungo il tronco dalle radici, e porta con sé nutrienti fondamentali, special­
mente azoto e fosforo. Viene distribuita a ogni foglia tramite le venature di­
vergenti; la C0 2 che proviene dall'atmosfera ed entra nella foglia attraverso
delle minuscole aperture regolabili, gli storni, ubicate sulla superficie infe­
riore delle foglie. Il carbonio che vi è contenuto si combina con l'idrogeno
proveniente dall'acqua, formando zuccheri. Questi zuccheri e l'energia che
essi contengono si possono trasformare in molti altri tipi di carboidrati e
combinare con altre molecole per formare proteine e la grande varietà di
prodotti chimici necessari per la vita. L'ossigeno, essenziale per noi, è me­
ramente un sottoprodotto della fotosintesi. 4
Questa basilare funzione delle foglie è fondamentale per tutte le piante.
La capacità di intercettare la luce e di usarla per creare energia chimica è
la più avanzata realizzazione di chimica verde e non potrebbe essere più
importante. In ere passate, la fotosintesi ha creato le riserve di carbone e
petrolio sulle quali si basa la maggior parte delle società moderne. Oggi,
la fotosintesi costruisce foreste e praterie. Indipendentemente dalle altre
fonti di energia che si sono rese disponibili - nucleare, eolica, geotermica e
altre - la fotosintesi rimane il fondamento energetico della maggior parte
degli ecosistemi, di tutta la nostra agricoltura e di quasi tutte le civiltà. Tut­
ti noi dipendiamo dal sole: la fotosintesi è ciò che sostiene la nostra specie
e quasi tutti gli altri organismi viventi sul nostro pianeta. 5
Nel breve termine, la maggior parte dei composti del carbonio pro­
dotti dalla fotosintesi viene ritrasformata quando reagisce con l'ossigeno.
Questa reazione ha luogo nei nostri stessi corpi, in quelli della maggior

3 Da lungo tempo le ricerche sull'energia solare hanno tra gli obiettivi la creazione della
fotosintesi artificiale e il miglioramento della sua efficienza, che è da due a tre volte inferiore a
quella dei migliori apparati fotovoltaici operanti in condizioni ottimali.
4 La misurazione della densità stomatica nelle foglie fossili di ginkgo è stata usata per
identificare le variazioni di concentrazione di CO, in ere passate. Ad alte concentrazioni di CO,
atmosferica, la densità stomatica necessaria per assicurare un adeguato rifornimento di CO, ai
tessuti fogliari interni è bassa, e viceversa.
5 In quasi tutte le piante la fotosintesi avviene principalmente nelle foglie, ma in ginkgo
anche i tessuti nutritivi dei semi in maturazione svolgono la fotosintesi e contribuiscono si­
gnificativamente a produrre l'energia necessaria per la propria crescita e in ultima analisi per
quella dell'embrione che da essi trae nutrimento.

- 28 -
4. ENERGIA

parte degli animali e nelle piante, poiché l'energia presente nei carboidrati
e in altri composti è usata per sostenere una miriade di processi vitali. An­
che in tempi geologici i prodotti della fotosintesi si ritrasformano quando
i composti del carbonio, sepolti dopo essere stati prodotti da organismi di
ere passate, affiorano in superficie e reagiscono con l'ossigeno atmosferi­
co. Comunque, se questi composti del carbonio non entrano in contatto
con l'ossigeno, quindi se vengono letteralmente cancellati dall'equazione ­
come, per esempio, nel caso in cui siano profondamente sepolti e confinati
in oceani o paludi - allora l'ossigeno emesso dalla fotosintesi si accumula.
In questo modo, due miliardi di anni fa, l'ossigeno prodotto da anti­
chissimi batteri fotosintetici si è accumulato a tal punto che ha cambia­
to le condizioni fondamentali per la vita. Tossico per i primi organismi
microbi ci, l'ossigeno divenne presto essenziale e indirizzò l'evoluzione
biologica verso nuove direzioni. Il suo accumulo in atmosfera creò nuove
opportunità per altri tipi di organismi e favorì lo sviluppo di nuovi processi
biologici. L'impatto a lungo termine della fotosintesi sul nostro mondo è
stato vasto; è stata una fase fondamentale nella storia della vita, alla quale
possiamo far risalire l'origine del ginkgo e, in ultima analisi, quella della
nostra stessa specie. 6
La magia della fotosintesi risiede nella clorofilla, la molecola che rende
verdi le piante. Molte molecole di clorofilla sono riunite insieme all'interno
di piccoli dischi verdi che catturano la luce, i cloroplasti, vitali per il fun­
zionamento della maggior parte dei milioni di cellule vegetali che costitui­
scono una foglia di ginkgo. Ogni cellula può contenere fino un centinaio di
cloroplasti; ce ne sono centinaia di milioni in una singola foglia. 7
Il trucco della molecola di clorofilla, assistita da altri pigmenti che as­
sorbono la luce, è il rilascio di un elettrone per ogni fotone di luce assorbi­
ta. L'elettrone viene veicolato attraverso complessi biochimici intermedi
in meno di un millesimo di secondo e trasporta l'energia che alimenta i
processi più lenti, tramite i quali la C0 2 viene assorbita dall'aria, combinata
con l'idrogeno e trasformata in zuccheri semplici.8
L'acqua è la materia prima fondamentale della fotosintesi; la scompo­
sizione chimica delle molecole di acqua fornisce idrogeno e sostituisce gli

6 Tra i diversi tipi di batteri fotosintetici, i cianobatteri (alghe verdi-azzurre) sono stati i
primi a presentare il tipo di fotosintesi svolto dalle piante.
7 Una singola foglia di ginkgo di medie dimensioni può contenere circa cinquanta milioni
di cellule, sulla base di stime approssimative ottenute da microfotografie a scansione delle su­
perfici superiore e inferiore e da sezioni trasversali.
s Altri importanti pigmenti fotorecettori, i carotenoidi, danno agli alberi decidui le tona­
lità gialle e arancioni delle chiome autunnali.

- 29 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

elettroni persi dalla molecola di clorofìll a nella fase di cattura della luce.
L'acqua è indispensabile anche per altri essenziali processi vitali. Essa era
disponibile per le prime piante che vivevano in mare, nei laghi o negli sta­
gni, ma quando l'evoluzione ha creato le opportunità per spostarsi sulla
terra si è presentata una sfida di basilare importanza: come superare la scar­
sa disponibilità di acqua? In gran parte, il successo delle piante sulla terra e
tutto ciò che ne è seguito, inclusi noi stessi, è stato il trionfo della gestione
biologica dell'acqua.
Una foglia fresca di ginkgo è turgida, piena di acqua; il picciolo è rigido.
Tuttavia, se si stacca dall'albero, cambia presto aspetto. La lamina diventa
molle; ciò che era fresco e sodo diventa flaccido, quasi membranoso; è
la pressione dell'acqua in innumerevoli cellule che mantiene la foglia rigi­
da. Quando l'acqua perduta non viene sostituita, la foglia appassisce. Per
le piante, come per gli animali, la carenza di acqua può essere fatale; per
svolgere la loro funzione di generatori di energia, le foglie devono rimane­
re idratate. Nelle foglie della maggior parte degli alberi ci sono venature
grandi che riforniscono venature via via più piccole e queste ultime sono
connesse tra loro, formando un reticolo. La reticolatura porta con sé la
ridondanza, che funge da salvaguardia contro i danni, mentre l'architet­
tura delle venature consente a una singola grande venatura di rifornirne
molte altre più piccole. Tuttavia il ginkgo adotta una differente strategia;
l'architettura del suo rifornimento di acqua è unica tra tutti gli alberi del
mondo. Le differenze tra venature sono poco visibili e l'intera foglia è ali­
mentata dalle due sottili venature che dal picciolo si immettono alla base
della foglia. Soltanto in una foglia su dieci si possono osservare venature
confluenti e in ogni caso queste reticolazioni sono rare. È un sistema pe­
culiare, simile all'irrigazione a goccia: l'acqua percola dalle venature verso
i tessuti adiacenti. 9
Mantenere al giusto livello il contenuto idrico delle foglie è una sfida
anche nei periodi favorevoli, ma diventa ancora più difficile quando il suolo
si prosciuga e l'acqua scarseggia. L'acqua evapora dalle foglie e si disperde
anche attraverso gli storni. Quando l'acqua è abbondante e la temperatura
elevata, la perdita di acqua è un fattore positivo: è l'equivalente botanico
del sudore e grazie a ciò le foglie si mantengono fresche. La perdita di
acqua dalle foglie inoltre richiama acqua dalle radici, che viene distribuita
ad ogni ramo, rametto e ad ogni foglia della chioma, ma mantenere tutto
questo processo in equilibrio è essenziale: se viene perduta troppa acqua e

9 Mano a mano che si ramificano, divergendo dalla base fogliare, le venature fogliari del
ginkgo diventano più sottili e contengono meno cellule che conducono acqua, dette tracheidi.

- 30 -
4. ENERGIA

non viene presto rimpiazzata, allora le foglie entrano in sofferenza e presto


tutto l'albero sarà in crisi.
Nella maggior parte delle piante terrestri, la difficoltà di mantenere il
giusto livello di idratazione è aggravata dal fatto che gli storni disperdono
acqua quando si aprono per assorbire C0 2 • Spinte da questa difficile real­
tà fisiologica, le foglie di ginkgo e quelle di molti alberi hanno sviluppato
sulla propria superficie superiore uno strato impermeabile, la cuticola, in
grado di ridurre la perdita di acqua. Gli storni sono presenti soltanto sulla
superficie inferiore della foglia, protetti dall'irraggiamento solare diretto, e
si chiudono quando l'acqua scarseggia.
Nelle foglie mature di ginkgo la superficie superiore è liscia e verde scuro;
la resistente cuticola è trasparente e pressoché impermeabile. L'epidermide,
ossia lo strato di cellule poste direttamente sotto la cuticola, è anch'essa tra­
sparente e la radiazione luminosa la attraversa fino a raggiungere le cellule
sottostanti, ricche di clorofill a . Di tutte le cellule di una foglia viva, queste,
fornite più generosamente di cloroplasti, sono la vera fabbrica dell'energia.
La superficie inferiore della foglia ha un diverso assetto: la sua tonali­
tà grigio-verde deriva da un sottile strato di cera disposto sopra un ancor
più sottile strato impermeabile. Questo rivestimento è perforato in corri­
spondenza degli storni, ognuno dei quali si connette con un ben sviluppato
sistema di spazi arieggiati all'interno della foglia, che rende possibile la ra­
pida diffusione di C0 2 e di vapore acqueo verso le cellule che costituiscono
la foglia. Questi sono le caotiche ma essenziali condutture che trasportano
la co 2 necessaria per la fotosintesi.
Le foglie mature di ginkgo sono molto più resistenti alla decomposi­
zione di quelle di altri alberi. La cuticola le avvolge e i filamenti di resina
mucillaginosa deposti tra le venature ne rallentano la decomposizione. Le
foglie di ginkgo sono tra le ultime a decomporsi nel cumulo del compo­
staggio; la loro resistenza è uno dei motivi per cui si trovano dei buoni fos­
sili. In Giappone, oltre mezzo milione di ginkgo piantati come alberature
stradali producono in autunno una enorme quantità di foglie. A Tokyo i
ginkgo costituiscono all'incirca il 12% di tutte le alberature stradali e le loro
foglie si decompongono così lentamente che una volta un gruppo di ricer­
ca cittadino ha indagato sui migliori metodi per trasformarli in compost. 10
Per quanto ne so nessuno ha mai contato le foglie di un grande albero
di ginkgo; un piccolo albero ne ha già un gran numero. Durante il suo
dottorato a Yale, Kirk johnson, che ora dirige il Museo nazionale statuni-

IO La resina mucillaginosa delle foglie di ginkgo si deposita in file semplici in ogni area
interposta tra due venature.

- 31 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

tense di Storia naturale, abbatté un acero rosso di 1 5 metri per contarne le


foglie, nell'ambito di uno studio sulla produttività forestale. Questo acero
rosso era alto ma sottile, con un tronco del diametro di appena 28 cm a
petto d'uomo, quindi non esattamente un grande albero. Ciò nonostante
furono necessarie otto ore di lavoro di Johnson e di un collega per contare
tutte le foglie, che risultarono assommare a 99.284. Un ginkgo più grande,
per esempio uno di 30 m e con molti rami, potrebbe avere 300.000-500.000
foglie; uno vecchio e imponente come alcuni di quelli in Cina, Giappone e
Corea potrebbe avere all'incirca un milione di foglie.
Ogni foglia di un albero di ginkgo è un trionfo di costruzione modula­
re, attuata attraverso la infallibile traduzione di complicate istruzioni scrit­
te in codice nei filamenti di DNA del ginkgo. Abbiamo compiuto molti
progressi nella comprensione del linguaggio del DNA, ma il modo in cui
esso viene tradotto per costruire una foglia attraverso la coreografia accu­
ratamente sincronizzata di una moltitudine di molecole resta un proce­
dimento elusivo. Ciò nonostante ogni foglia è costruita nel giro di alcuni
mesi, secondo un capitolato complesso ed è sorprendente che dopo questo
sforzo ogni foglia si distacchi all'approssimarsi dell'inverno. La creazione e
l'eliminazione di centinaia di migliaia di foglie ogni anno attesta la potenza
della fotosintesi e la produttività di un grande albero.
In primavera, l'energia duramente ottenuta l'anno precedente è investi­
ta per crescere e far espandere le nuove foglie. Durante l'estate, ogni foglia
darà un buon rendimento. Quando la luce è abbondante, la temperatura
alta e l'acqua disponibile, le foglie producono molta più energia di quella
che consumano. Invece d'inverno, la bassa temperatura e la luce insufficien­
te possono danneggiare i delicati macchinari biochimici; l'acqua di cui ne­
cessitano è imprigionata nel suolo ghiacciato e serve energia per mantenere
in vita le foglie, che diventano una passività. Nel ginkgo, come in molti altri
alberi, esse sono rapidamente e completamente eliminate. Questa è l'eco­
nomia della crescita in un albero deciduo. L'energia e i nutrienti usati per
costruire le foglie sono in parte recuperati, il resto è iscritto tra le perdite. 1 1
Ogni autunno, poco prima della caduta delle foglie, il ginkgo è nel suo
momento di maggior splendore. A quel momento le foglie sono colorate
di giallo brillante. Nella luce radente autunnale esse sono brillanti come le
ali della farfalla Gonepterix rhamni (cedronella). Spesso l'ingiallimento inizia
al margine della foglia e procede lentamente fino a investire tutto il lembo
fogliare. Questo fenomeno riflette cambiamenti complicati e strettamen-

1 1 Per ulteriori dettagli sui fattori che determinano la caduta delle foglie si rimanda a
TRESHLOW 1 970.

- 32 -
4. ENERGIA

te controllati che avvengono all'interno di ciascuna foglia, tutti apparen­


temente innescati dalla riduzione delle ore di luce piuttosto che dal calo
termico. Durante questo processo i cloroplasti degenerano, la clorofilla è
degradata e la fotosintesi rallenta. I nutrienti più nobili, specialmente azoto
e fosforo, sono riassorbiti nei rami, in quanto troppo preziosi per essere
sprecati. Ma mano a mano che il verde della clorofilla sfuma, il giallo degli
altri pigmenti che assorbono la luce - i carotenoidi - affiora in primo piano.
Da verdi che erano, le foglie diventano dorate. 12
Per poche settimane, il ginkgo merita il suo posto in ogni giardino.
Un singolo ginkgo può essere un punto focale di grande effetto. All'inizio
di novembre, nel periodo dell'annuale incontro di football Yale-Harvard,
quando gli appassionati di alberi si godono gli ultimi colori autunnali del
New England, il solitario esemplare di ginkgo che si erge orgoglioso nel
giardino della casa del presidente a Yale si trova al suo massimo splendore.
Sfortunatamente, i ginkgo dell'Arno ld Arboretum ad Harvard sono ancor
più spettacolari.
Un impianto massivo di ginkgo è sufficiente a richiamare visitatori. Nel
cuore di Tokyo, la doppia fila di più di 1 40 grandi alberi di ginkgo allineati
lungo la prospettiva del Meiji Memoria! Gallery nel parco Meiji-Jingu è
una meta popolare. Al loro impianto, negli anni '20, erano alti 7 m; ora i
più grandi raggiungono 30 m, meticolosamente curati come uno dei più
begli esempi di architettura del paesaggio in stile occidentale in Giappone.
In autunno fanno spettacolo. I turisti vengono ad ammirarli, mangiano
semi arrostiti di ginkgo e bevono il tè mentre la luce del tardo pomeriggio
svanisce e l'inverno si avvicina. 13
Al parco Meiji-Jingu, come ovunque nel mondo, quando arriva il mo­
mento della caduta, le foglie si staccano improvvisamente quasi tutte insie­
me, apparentemente senza un stimolo esterno. A Monroe, in Michigan, c'è
un grande ginkgo nel giardino della Dorsch Memoria! Library, proveniente
da un seme donato - si dice - dall'ambasciatore cinese al Dr. Dorsch all'in­
sediamento di Lincoln. Per molti anni c'è stata una gara a indovinare la
data alla quale le foglie sarebbero cadute. 14

12 Le duefoglie di ginkgo, di Otto Crusius, già presidente della Accademia Bavarese di Scien·
ze, citato nella traduzione di Unseld da Northcott (UNSELD 2003): <<Foglie di ginkgo, stanche
dell'estate, brillanti come una cedronella. Volteggiate in basso, verso le panchine, volteggiate,
sussurrate 'ti ricordi?'>>.
1 3 Il Parco Meiji-Jingu nel distretto Kasumigoka di Tokyo commemora l'Imperatore Meiji
morto nel l912.
1 4 Il ginkgo della Dorsch Public Library a Monroe è un parziale omonimo del personag­
gio principale nel "Lotus Ginkgo Show", autoproclamatosi come il programma più duraturo
della TV pubblica via cavo di Monroe.

- 33 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

Il ginkgo ha la più sincronizzata caduta delle foglie di qualsiasi altro


albero che conosco. In generale comprendiamo come gli alberi perdono
le foglie. Ciò avviene a causa di cambiamenti in una fila di cellule poste
esattamente al punto dove il picciolo si innesta sul ramo. All a fine queste
cellule muoiono, le loro pareti cedono e la foglia cade. Ma come ciò acca­
da esattamente e perché nel ginkgo ciò accada con inquietante sincronici­
tà, non lo sa nessuno. Anche il poeta statunitense Howard Nemerov se lo
domandò. 15
Novembre inoltrato, in una sola notte,
e neppure gelata, gli alberi di ginkgo
ancorati lungo il cammino hanno lasciato cadere tutte le loro foglie
come se fossero d'accordo, e non per il vento o la pioggia
ma perché il tempo è giunto: dorate e verdi
foglie ricoprono il prato oggi, quelle che ieri
diffondevano in alto i loro vibranti ventagli di luce.
Quale il segnale dall e stelle? Quale il significato?
Cosa in quei lignei motivi ha deciso
di colpire le loro foglie, di fare cadere le loro foglie?
Ribellione o resa? e se questo
può accadere così, quale specie ne sarà esente?
A che serve imparare la lezione del tempo
se una stella in qualsiasi istante può dirci: adesso.
(Traduzione di Marco M.)

1 5 n consenso, NEMEROV 1 977, p. 476. Per questo poema, Nemerov fu ispirato da un piccolo
gruppo di ginkgo che crescevano fuori del suo ufficio nel campus della Washington Universi­
ty a Saint Louis (comunicazione personale di Peter Raven, Missouri Botanica! Garden, Saint
Louis).

- 34 -
5.

Crescita

Il legno rinnoverà le foglie che cadono.


Proverbio irlandese.

Matthew Hargraves, uno dei curatori presso il Centro per l'Arte Britan­
nica di Yale, fa notare che dal tardo XVIII fino a metà del XIX secolo «1' albero
ha quasi sostituito la figura umana come banco di prova del talento artisti­
co». Ogni artista che osserva un ginkgo da vicino non si lascia sfuggire la sua
forma insolita. Anche quando le foglie sono cadute, il ginkgo è inconfondi­
bile; nei primi decenni della loro lunga vita, gli alberi di ginkgo hanno una
chioma rada, con rami ben distanziati che si distendono come lunghe, sottili
e spigolose dita. Il loro caratteristico profilo è diverso da quello di qualunque
altro albero. A differenza delle foglie, l'architettura di un albero di ginkgo è
priva di eleganza, che invece è propria - ad esempio - dell'olmo americano. 1
I rami di un ginkgo adulto presentano un'altra caratteristica distintiva.
Infatti essi mostrano delle brevi protuberanze cilindriche, simili a gemme:
sono i cosiddetti brachiblasti, o rami corti, ognuno dei quali cresce solo po­
chi millimetri all'anno, mentre i rami che li portano possono essere invece
molto lunghi. Questi ultimi crescono velocemente grazie a una gemma
apicale, che in una stagione vegetativa può produrre fino a 30 cm di nuovo
ramo. Una analoga differenziazione tra rami lunghi e corti si presenta in
molti altri alberi, come ad esempio i meli, e corrisponde a una divisione dei
compiti tra rami normali con foglie distanti tra loro, che provvedono all' ac-

l Il commento sui ritratti artistici degli alberi è tratto da HARGRAVES 20 1 0 . I ginkgo si nota­

no facilmente a distanza, specialmente in inverno, grazie alla loro caratteristica ramificazione.

- 35 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

crescimento dell'albero, e rami corti che portano le foglie in ciuffi. Questa


differenza è molto pronunciata nel ginkgo. I rami lunghi crescono diritti e
sono meno numerosi dei rami corti. L'aspetto ruvido del ginkgo riflette in
parte questo speciale modo di crescere.
I brachiblasti forniscono un'ulteriore tratto distintivo alla silhouette del
ginkgo. Essi possono raggiungere i 2,5 cm di lunghezza e portano numero­
se cicatrici lasciate dalle foglie delle passate estati. Su rami molto vecchi, un
brachiblasto può avere un centinaio di cicatrici lasciate dalle foglie portate
in un arco di tempo che può estendersi su qualche decennio. I botanici eu­
ropei e nordamericani talvolta si vantano di riuscire a identificare gli alberi
d'inverno, quando sono privi di foglie. È un esercizio di osservazione, de­
duzione e memoria, che richiede una attenta ricognizione della corteccia,
delle cicatrici lasciate dalle foglie cadute e dello schema di ramificazione.
Soltanto gli studenti più inesperti sarebbero in difficoltà a riconoscere il
ginkgo: i brachiblasti cilindrici sono una sua inconfondibile caratteristica.2
In primavera i rami, rimasti spogli dall'autunno precedente, si rianima­
no. Ciuffi di foglie in miniatura, normalmente quattro-sei, spuntano dalle
gemme all'apice dei brachiblasti. Queste foglie, prodotte nella stagione ve­
getativa precedente, hanno svernato strettamente avvolte e ben protette
all'interno delle gemme; hanno un breve picciolo e un minuscolo lembo
arrotolato verso l'interno su ambo i lati. Grazie al loro sviluppo anticipato,
le foglie possono essere dispiegate rapidamente in primavera. Stimolate dal
rialzo termico, le squame delle gemme si piegano all'indietro scoprendo
le foglie, i cui lembi cominciano a srotolarsi. Mentre il picciolo si allunga,
anche il lembo si espande rapidamente.
Alla schiusa delle gemme, le foglie sono piccole, verde lime, delicate
ed esposte alle gelate tardive. Nell'aprile 2007, Chicago e tutto il Midwest
furono investiti da un'ondata di gelo tardivo, con temperature calate a
-35 ° C, poco dopo la schiusa delle gemme: quasi tutte le foglie seccarono,
ma qualche settimana dopo gli alberi raccolsero le energie per sostituirle.
Se prolungato nel tempo, un simile maltrattamento naturale causerebbe
l'esaurimento delle riserve energetiche.3
Su un ginkgo adulto, la maggior parte delle foglie si trova sui brachi­
blasti: sono queste le foglie che producono la maggior parte dell'energia.

z La tradizione di imparare a riconoscere gli alberi tramite le gemme invernali proviene


dalla Germania e per oltre un secolo gli studenti tedeschi di botanica hanno tratto beneficio dal
classico Dendrologische Winterstudien di Camillo Karl Schneider, che include fotografie e illustra­
zioni di corteccia e gemme di 434 specie di alberi e arbusti (cfr. ScHNEIDER 1 903).
3 Dato che il ginkgo viene impollinato quando spuntano le foglie (cfr. capitolo 7), in
quell'anno l'ondata di gelo causò anche una drastica riduzione nella produzione di semi.

- 36 -
5 . CRESCITA

I brachiblasti sono un elegante ed efficiente trucco nell'economia della


crescita. Ogni brachiblasto sostiene un ciuffetto di foglie che produce un
buon profitto senza il dispendio energetico richiesto per la costruzione di
un ramo lungo. L'investimento a lungo termine in legno e altri tessuti è mi­
nimo. Inoltre i brachiblasti contribuiscono a mantenere la chioma aperta e
rada, anziché chiusa e compatta. In estate, ciascun ramo lungo di giovani
ginkgo è un soffice cilindro di ciuffi di foglie. Un singolo ramo lungo porta
centinaia di brachiblasti e migliaia di foglie.
I brachiblasti dunque apportano energia ma non contribuiscono all' ac­
crescimento in altezza o a prevenire l' ombreggiamento da parte degli albe­
ri adiacenti. Questi compiti sono delegati ai rami lunghi, che si accrescono
rapidamente nella stagione vegetativa e portano foglie alterne su tutta la
loro lunghezza. In primavera, le piccole gemme rimaste all'ascella delle
foglie prodotte l'anno precedente sui rami lunghi possono originare nuovi
brachiblasti. In questo modo, i rami lunghi aumentano la dimensione dei
rami e della chioma, mentre i brachiblasti riempiono di foglie la chioma.
Questo sistema è straordinariamente flessibile, perché la differenza tra
ramo lungo e brachiblasto dipende da un controllo semplicissimo. I bra­
chiblasti sono controllati da segnali chimici inviati dalla gemma dominante
posta all'apice di ciascun ramo lungo. Grazie a questo semplice control­
lo chimico, i brachiblasti sono disciplinatamente sottoposti al loro leader.
Tuttavia, se il segnale chimico della gemma apicale viene interrotto - ad
esempio se la gemma apicale viene danneggiata o asportata - uno o più
brachiblasti, non più dominati, cominciano ad allungarsi e diventano a loro
volta nuovi leader. 4
Le foglie dei rami lunghi e quelle dei brachiblasti sono leggermente dif­
ferenti. I lembi di queste ultime sono a forma di ventaglio e solo raramente
appaiono divisi. Il loro margine superiore è più o meno liscio, tuttalpiù leg­
germente inciso. Lo stesso vale per le prime foglie che si aprono all'apice
di un ramo lungo alla ripresa vegetativa. Invece le foglie formate sui rami
lunghi nelle fasi successive presentano un'incisione che può raggiungere i
due terzi del lembo. Sono queste le foglie che hanno ispirato il poema di
Goethe e che Linneo aveva in mente quando ha coniato l'epiteto biloba. 5
La differenza tra le foglie dei brachiblasti e quelle dei rami lunghi si
nota mirabilmente nella illustrazione ottocentesca del ginkgo pubblicata

4 Per ulteriori dettagli sull'espressione e sviluppo di rami lunghi e corti in ginkgo, cfr.
GUNCKEL et al. 1 949.
5 Cfr. il capitolo 3 e UNSELD 2003 per ulteriori dettagli su Goethe e sul significato del
poema inviato a Marianne Willemer. Cfr. il capitolo 26 per maggiori informazioni su Linneo e
sull'origine del nome del ginkgo.

- 37 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

nella Flora ]aponica di Seybold e Zuccarini. È probabile che tale differenza


dipenda dalle diverse condizioni alle quali le foglie sono esposte durante il
loro sviluppo. Le foglie sui brachiblasti e le prime foglie dei rami lunghi ini­
ziano il loro sviluppo ben protette all'interno di gemme saldamente chiuse.
Esse sopravvivono all'inverno in una stato di animazione quasi sospesa e si
sviluppano lentamente. Le foglie che si formano successivamente sui rami
lunghi cominciano a svilupparsi solo dopo la ripresa vegetativa e crescono
più rapidamente all'interno della gemma che a sua volta si trova all'apice
di un ramo in rapido allungamento. Ai medesimi fattori si possono ricon­
durre le differenze interne tra i due tipi di foglie e la loro diversa capacità
di conduzione dell'acqua. La necessità di mantenere le foglie ben idratate
può essere la limitazione cruciale che impedisce al ginkgo di diventare ve­
ramente alto. Tutta l'acqua necessaria per mantenere l'idratazione delle
foglie deriva dal suolo, dove viene raccolta molecola su molecola da finis­
simi peli che sporgono dalle radici capillari. L'acqua viene successivamente
trasferita verso le radici principali e quindi lungo la porzione periferica del
tronco, immediatamente sotto alla corteccia, fino a raggiungere i rami e
infine le foglie. Il rifornimento di acqua deve essere costante e adeguato a
ripianare le perdite causate dalla traspirazione attraverso gli storni, dalla
evaporazione attraverso la cuticola e dal consumo dovuto alla fotosintesi.6
L'aspetto più rimarchevole dell'intera filiera di trasporto dell'acqua nel­
la pianta è che si tratta di un processo passivo: non ci sono pompe micro­
scopiche nascoste e non c'è investimento energetico da parte dell'albero.
Le sottili cellule allungate attraverso cui passa l'acqua sono vuote e morte;
solo per un breve periodo all'inizio della primavera, quando vengono mo­
bilizzate le sostanze zuccherine immagazzinate nel tronco e nella radice,
facendo così risalire la linfa, c'è una modesta pressione dal basso verso l'al­
tro. L'organizzazione non potrebbe essere più semplice: mano a mano che
l'acqua è perduta o usata dalle foglie, essa viene sostituita da altra acqua ri­
chiamata dall'aspirazione trasmessa alle radici attraverso l'intera lunghez­
za del tronco. 7

6 Le cellule che conducono l'acqua, che nella maggior parte degli alberi si trovano negli
anelli esterni del legno, sono morte. Si formano da una fila di cellule poste immediatamente
sotto la corteccia, capaci di dividersi attivamente (cellule del cambio) e una volta formate van­
no incontro rapidamente a morte cellulare programmata.
7 All 'inizio della stagione vegetativa, in molti alberi, quando la linfa inizia a risalire, gli
zuccheri conservati nelle radici e nei tessuti vivi della parte inferiore del tronco, incluse le
cellule dei raggi midollari che attraversano il legno dal centro alla periferia, vengono mobiliz­
zati e portati in soluzione nelle cellule. Ciò richiama acqua dal suolo, che aumenta il volume
dei fluidi nella parte inferiore del tronco e spinge la linfa verso l'alto. Questo processo viene
sfruttato dall'uomo per raccogliere la linfa, ad esempio dall'acero zuccherino. Solo in queste

- 38 -
' I!.L. I S 6 .

J J) .J

Fig. 7. Ginkgo biloba, all'epoca identificato come Salisburia adianthifolia, illustrato nella Flora japonica di
P.F. von Siebold e J G. Zuccarini ( 1 83 5 · 1 870).
Fig. 8 . Tavola con cornice di legno di ginkgo, sulla quale sono stati dipinti alcuni aspetti della pian­
t a . L' opera è stata e seguita da Chikusai Kato per l ' Unive rsità di Tokyo nel 1 8 7 8 .
10

Fig. 9. Semi di ginkgo simili ad al­


bicocche .
Fig. 1 0 . I gameti maschili di ginkgo
al microscopio.
Fig. 1 1 . Numerosi palloni emergo­
no dalla base di un vecchio ginkgo.

11
12

Fig. 1 2 . L e caratteristiche foglie bilobate d i ginkgo.


con nastri rossi votivi alla base del tronco.
Fig. 1 3 . L'elegante corteccia di un vecchio ginkgo.

13
5. CRESCITA

La quantità di acqua necessaria per mantenere completamente idra­


tato un grande albero varia sensibilmente, a seconda del tipo di albero e
dell'ambiente di crescita, ma può essere considerevole. Una farnia (Quercus
robur) di 30 anni , coltivata in una piantagione francese può limitarsi a usare
un paio di litri di acqua al giorno, mentre lo yevaro (Epeura purpurea), un
grande albero che domina alcune foreste tropicali del Venezuela, ne usa
cinquecento volte di più.
Tutta l'acqua viene letteralmente risucchiata dalle radici; più alto è l'al­
bero, maggiore è la pressione di aspirazione richiesta e maggiori sono le
pressioni interne che devono essere generate. La pressione negativa neces­
saria a sollevare l'acqua contro la forza di gravità aumenta di circa 1 1 ,5 kg/
cm2 ogni metro di altezza. La tensione che si sviluppa nelle cellule piene
d'acqua nel legno di un albero alto è enorme. Le cellule allungate attraver­
so cui l'acqua viene aspirata devono sopportare pressioni elevatissime; esse
hanno pareti cellulari molto robuste e ispessimenti interni specializzati che
contribuiscono a impedirne l'implosione. Un'ulteriore pericolo creato dal­
la forte pressione di aspirazione è l'eventuale risucchio di aria dalle cellule
vuote adiacenti verso la colonna d'acqua. Quando ciò accade, si forma una
sorta di embolo botanico, ossia una bolla d'aria che interrompe la continu­
ità della colonna d'acqua, impedendone così la conduzione e bloccando il
rifornimento verso le parti situate a valle. Nel ginkgo, questo pericolo è mi­
nimizzato da stretti pori che connettono le cellule adiacenti, di dimensioni
adeguate a far passare l'acqua ma troppo stretti per consentire il passaggio
di bolle d'aria. In questo aspetto, come in molti altri dettagli, ogni albero è
una straordinaria opera di ingegneria idraulica, interamente creata dalla se­
lezione naturale, a partire dalla variabilità intrinseca agli organismi viventi,
che ha operato su milioni di generazioni.
Il legno che costituisce il tronco di ginkgo e di altri alberi non si limita a
condurre acqua ma garantisce anche un sostegno meccanico. Esso costru­
isce l'intelaiatura sulla quale sono disposte le foglie e le porta in alto, verso
la luce del sole e allo stesso tempo fuori dalla zona d'ombra determinata
dalle piante adiacenti. La competizione per la luce è stata probabilmente il
fattore principale nell'evoluzione degli alberi, tuttavia le grandi dimensioni
comportano delle conseguenze. Aumenta la distanza del trasporto di ac­
qua e di conseguenza la pressione interna sulle cellule conduttrici. Gli albe­
ri più grandi sono anche più pesanti, specialmente quando le chiome sono
inzuppate di acqua dopo un acquazzone: il tronco deve essere abbastanza
forte per sostenere questi carichi.

circostanze speciali e in questo particolare periodo dell'anno nei sistemi di conduzione degli
alberi si instaura una pressione dal basso verso l'alto.

- 39 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

Ci sono anche considerazioni di economia interna. Nella vita di un sin­


golo albero, tanto maggiore è l'energia utilizzata per costruire tronco e
rami, quanto minore è quella disponibile per la riproduzione o per altri
tipi di crescita. Il costo energetico del semplice mantenimento, cioè del
sostentamento dei processi vitali basilari, è anch'esso considerevole. È per­
fettamente sensato che gli alberi più grandi si trovino in luoghi dove la
crescita non si ferma mai completamente durante l'inverno e dove l'acqua
è sempre comodamente disponibile. Per molti alberi, mantenere una gi­
gantesca impalcatura di ramificazioni e centinaia di migliaia di foglie in
stagioni difficili, a basse temperature, con l'acqua imprigionata nel suolo
gelato e nessun apporto energetico, non è la strategia vincente.
Così, come la maggior parte dei fenomeni naturali, l'altezza degli al­
beri è un compromesso dettato in parte dalla capacità di condurre acqua,
in parte dal bilancio energetico di costi e benefici del raggiungimento e
mantenimento di una grande dimensione, in parte dalla resistenza fisica
del legno e dalla sua relazione con la forma dell'albero. Nel caso del gin­
kgo, tutti questi fattori possono essere in gioco, ma con le ampie foglie
dalla insolita architettura il mantenimento di un costante rifornimento di
acqua può assumere una importanza fondamentale. Rispetto alla gestione
dell'acqua per rifornire le foglie, il ginkgo non è poi così efficiente come i
più imponenti giganti vegetali del mondo. Le grandi dimensioni del ginkgo
di Yongmunsa e di altri ginkgo di analoga mole forse dipendono - almeno
in parte - dal loro radicamento in un terreno con abbondante disponibilità
di acqua.

- 40 -
6.

Statura

. . . come i falegnami intagliano il legno, così i sag­


gi modellano le loro menti . . .
Buddha, Il Dhammapada. 1

La Madama Butteifly di Puccini comincia sul giardino terrazzato di una


piccola casa affacciata sulla baia di Nagasaki. La tragica storia di Cho-Cho­
San, che Puccini ha tratto dal romanzo di John Luther Long, è stata solo
una delle molteplici espressioni del crescente fascino che tutto ciò che pro­
veniva dal Giappone ha esercitato sull'Occidente nei decenni successivi
all'apertura dei contatti tra questa appartata nazione e il mondo esterno,
forzata dall'arrivo delle "navi nere" agli ordini di Perry. Molto è stato scritto
sui possibili modelli del romanzo di Long. Sono stati suggeriti collegamen­
ti col libro Madame Chrysanthemum di Pierre Loti, un ufficiale della marina
francese che si trovava a Nagasaki nell'estate del 1 885, e con Thomas Glo­
ver, un mercante scozzese e figura chiave agli albori dell'industrializzazio­
ne del Giappone, che viveva a Nagasaki alla fine del XIX secolo. Ci sono
collegamenti anche con Philipp Franz von Siebold, che visse a Nagasaki
negli anni venti del XIX secolo e di nuovo negli anni cinquanta. Siebold
non era il Luogotenente Pinkerton, ma per alcuni versi la sua storia suona
familiare a coloro che conoscono l'opera di Puccini. 2

l Dalla traduzione inglese del classico testo buddhista eseguita da Eknath Easwaran
(EASWARAN 2007, p. 1 26).
2 Per una biografia di Philipp Franz von Siebold (1 796- 1 866), cfr. THIEDE et al. 2000,
KoUWENHOVEN - FORRER 2000 e i reperti e le pubblicazioni del Museo Siebold a Leida (www.
sieboldhuis.org) e Nagasak.i (http: l l www.city.nagasak.i.lg.jp l kanko l 820000 l 828000 l p027288.
htrnl). Per informazioni sull'origine di Madama Butterfly, cfr. VAN RIJ 200 1 .

- 41 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

Dalla metà del XVI secolo fino all'epoca della spedizione di Perry, era
Nagasak.i, con la sua bella baia naturale, l'unico porto che collegava il Giap­
pone all'Occidente. Il commercio era controllato attraverso il monopolio
detenuto dalla compagnia olandese delle Indie orientali. Le navi della com­
pagnia portavano merci occidentali dall'Olanda al Giappone e ritornavano
cariche di fini ceramiche e altre mercanzie che hanno contribuito ad accen­
dere l'interesse europeo per il Giappone. Le élite di Amsterdam, Londra
o Parigi potevano ordinare serviti di porcellane giapponesi fatti su misura
nei forni di Kyushu. È in questo ambiente che Siebold si trovò al suo arri­
vo a Nagasak.i nel 1 823 , in qualità di medico del remoto avamposto della
rete commerciale olandese. Sulle orme di Engelbert Kaempfer e Carl Pe­
ter Thunberg, due suoi predecessori anch'essi al servizio della compagnia
olandese delle Indie orientali, egli divenne uno dei primi tre grandi esplora­
tori botanici del Giappone e un pioniere degli studi giapponesi in Europa.
Siebold aveva studiato medicina all'Università di Wi.irzburg, era un
membro della Società di storia naturale Senckenberg a Francoforte ed era
molto influenzato dalle avventure e dai resoconti di Alexander von Hum­
boldt. Il suo sogno era di imitare le esplorazioni di Humboldt in paesi lon­
tani e quando fu inviato in Giappone come ufficiale medico, Siebold colse
subito questa opportunità. Egli passò il tempo trascorso là per raccogliere
informazioni dettagliate sul paese, sulle sue piante e gli animali, sulla sua
cultura e sulle persone che incontrava.
Nei sette anni trascorsi da Siebold a Nagasaki, il Giappone era ancora
quasi completamente chiuso ai contatti col mondo occidentale. Gli olan­
desi erano confinati sull'isola di Deshima nella baia di Nagasaki, le impor­
tazioni ed esportazioni di beni erano mantenute sotto stretto controllo e
c'erano pochi contatti con la popolazione locale. Tuttavia, in qualità di me­
dico e particolarmente di oculista e ostetrico con esperienza di medicina
occidentale, Siebold godeva di una insolita libertà di lasciare l'isola per cu­
rare pazienti giapponesi e raccogliere erbe. Reclutò anche alcuni studenti
che lo aiutarono ad acquistare un terreno e a stabilirvi la prima scuola per
l'insegnamento della medicina occidentale in Giappone.3
Durante le visite domiciliari a Nagasak.i, Siebold incontrò una donna
del luogo, Kusumoto Tak.i detta anche Sonogi, e se ne innamorò. Siebold
aveva 27 anni e Sonogi 16 quando si incontrarono. Egli scrisse a suo zio che
«Si era molto affezionato a una dolce ragazza Giapponese sedicenne, che
non vorrei cambiare con un'Europea». Sonogi fu una dei pochi giapponesi

3 Il Museo Siebold di Nagasaki, costruito sul modello della casa di Siebold a Leida, sorge
vicino al sito dove si trovava la scuola medica di Siebold, Narutaki juku.

- 42 -
6. STATURA

autorizzati a rimanere sull'isola di Deshima. Siebold la chiamava Otaksa ed


essi ebbero una figlia che chiamarono Oine.4
Siebold probabilmente sarebbe ritornato molte volte in Giappone se
non fosse occorso in un incidente che ebbe luogo nel 1 826 durante la visita
annuale della legazione olandese a Edo, la moderna Tokyo. Ogni anno, in
gran pompa, i rappresentanti dei commercianti olandesi si recavano a Edo
per omaggiare lo shogun dei propri doni. Kaempfer e Thunberg avevano
fatto lo stesso viaggio e, come loro, Siebold approfittò di questa rara op­
portunità per vedere altre parti del paese e imparare altre cose su tutti gli
aspetti della vita giapponese. Nel 1 826, come nei suoi precedenti viaggi
a Edo, Siebold raccolse molti materiali che contribuirono a far luce sulla
cultura giapponese, ma gli oggetti più pregiati erano diverse mappe di det­
taglio del Giappone e della Corea donategli dal suo amico Takahashi Sa­
zukaemon, astronomo di corte e supervisore della biblioteca imperiale. In
cambio, Sazukaemon ricevette una mappa russa del mondo, appena pub­
blicata. La motivazione di Siebold era la pura curiosità ma per il Giappone,
ossessionato dalle influenze esterne, tali mappe contenevano dati altamen­
te sensibili: possederne una era proibito e fornirne una a uno straniero era
un'offesa capitale.5
Siebold doveva essere conscio dei rischi che stava correndo, ma Kaem­
pfer e Thunberg erano ritornati con documenti analoghi. Secondo alcuni
racconti, Siebold era già a bordo di una nave in partenza dalla baia di Na­
gasaki, quando la sua buona sorte si esaurì. Le mappe sarebbero probabil­
mente passate inosservate se non fosse stato per il maltempo che costrinse
la nave a rientrare in porto. I suoi bagagli vennero scaricati e ispezionati e
furono scoperte le mappe insieme a un altro oggetto illegale: una veste con
lo stemma dello Shogun. Quando l'infrazione fu comunicata alle autorità
giapponesi, Siebold fu interrogato insieme a una quarantina di giapponesi
che avevano avuto contatti con lui nel viaggio verso la corte, a cinquanta
interpreti e molti dei suoi studenti. A Takahashi Sazukaemon toccò la sorte
peggiore: fu arrestato e morì in prigione poco dopo. 6

4 Nella Flora]aponica, Siebold coniò il nome Hydrangea otaksa dal soprannome che aveva
dato a Sonogi. Il nome oggi accettato per questa specie è Hydrangea macrophylla (Thunb.) Ser.
Oggi questa specie, comunemente nota come ortensia a foglie grandi, è l'ortensia più popolare
nei giardini domestici (KOUWENHOVEN FoRRER 2000).
-

5 La mappa donata a Siebold era stata completata nel 1 8 1 8 e stampata solo nel 1 823,
a seguito di accurati rilievi delle coste e delle isole del Giappone eseguiti da una squadra di
quattordici tecnici. A quell" epoca era la mappa più dettagliata disponibile per il Giappone set­
tentrionale (cfr. MuRDOCH 2004, pp. 555-558).
6 Secondo una versione alternativa dell'incidente, riferita in Storia del Giappone di Mur­
doch sulla base del contenuto del diario di Siebold alla data 16 dicembre 1 828, Siebold fu tradì-

- 43 -
PARTE Il - L'ALBERO VIVENTE

Il giudizio su Siebold fu emesso più di un anno dopo. La corte non


trovò alcuna evidenza che egli fosse una spia e prese in considerazione il
suo periodo di servizio in Giappone e le suppliche dei suoi datori di lavoro
europei, ma la sentenza comminatagli nell'ottobre 1 829 fu comunque se­
vera. Alcuni dei suoi colleghi giapponesi furono imprigionati o mandati su
isole sperdute. Siebold fu bandito a vita dal Giappone e partì da Deshima
il 30 dicembre 1 829. Salutò per l'ultima volta Sonogi, Oine e due suoi de­
voti studenti, Ko Ryosai e Ninomiya Keisaku, sulla sua nave, la Cornelius
Houtman, in procinto di salpare dalla baia di Nagasaki. Portò con sé due
scatoline laccate con i ritratti di Sonogi e di Oine e ciuffi dei loro capelli.
Oine aveva due anni e otto mesi quando il padre partì; Siebold affidò il suo
benessere e la sua educazione a Ko Ryosai e Ninomiya Keisaku.7
Quando Siebold lasciò N agasaki, il Giappone era ancora un paese iso­
lato, ma la storia offrì a lui, più che a ogni altro occidentale, l'opportunità
di toccare i grandi cambiamenti intercorsi dopo che il paese aveva aperto
le porte al mondo. Nel 1 855, due anni dopo l'arrivo del comandante Perry,
Siebold ritornò in Giappone per consegnare l'accordo commerciale della
compagnia commerciale olandese, affinché fosse ratificato. Provò anche
l'emozione di riunirsi con Sonogi e Oine. Siebold si era risposato e aveva
avuto cinque figli, Sonogi si era risposata due volte e Oine stava per diven­
tare la prima donna medico del Giappone. 8
Siebold accumulò una vasta collezione di campioni, libri e manufatti
durante la sua permanenza in Giappone, alcuni nel corso dei suoi viaggi a
Edo, altri come compenso per le cure mediche prestate. Conservò anche
una ricca collezione di piante e animali. Al suo ritorno in Europa, usò que­
ste collezioni per documentare la storia naturale e la cultura giapponesi in
una trilogia di lavori fondamentali dedicati a diversi aspetti del Giappone.
Flora ]aponica, il suo lavoro sulla flora giapponese, arricchito di splendide
illustrazioni, è ancor oggi un lavoro pionieristico autorevole sulle piante
del Giappone. 9
La copia di Flora ]aponica che si trova nella biblioteca di Kew era stata
procurata da William jackson Hooker; dopo la sua morte fu acquistata per
la nazione, con il resto della biblioteca di Hooker. Come la Flora ]aponica,
i libri della collezione di Hooker comprendevano splendide illustrazioni di

to da Yoshio Tsujiro, un interprete che lo stava aiutando a tradurre alcuni libri giapponesi (cfr.
FRANZ 2005, p. 37; TOTMAN 1 993, p. 5 1 0).
7 Oin e era una bambina curiosa e all'età di diciannove anni fu indirizzata a srudiare oste­
tricia da Ninorniya Keisaku. Fu nominata ostetrica imperiale nel 1 877.
s Per informazioni sulla vita di Oine, cfr. KouwENHOVEN - FORRER 2000, p. 25.

9 Le tre opere furono pubblicate in diversi volumi nel successivo quarto di secolo.

- 44 -
6. STATURA

Ehret, dei fratelli Bauer e di molti altri. I libri diventarono il nucleo di una
delle più grandi collezioni di arte botanica del mondo. Tuttavia, ci sono
esempi di arte botanica interessanti nella collezione di botanica economica
di Kew; particolarmente insolita è una serie di 26 tavole !ignee, ciascuna
con una pianta dipinta direttamente sulla superficie. Come la Flora]aponi­
ca, anche queste tavole si ricollegano a Siebold. 10
Ogni tavola, lunga circa 30 cm e larga 20, è racchiusa in una cornice
costruita con pezzi di piccoli rami. Le cornici e le tavole sulle quali sono
dipinti i disegni sembrano realizzate dalle piante che vi sono illustrate. Una
è etichettata "Ginkgo biloba, Linn." e col nome della pianta scritto in ca­
ratteri cinesi Kanji e giapponesi Katakana, entrambi nel vecchio sistema da
destra a sinistra.
I registri di Kew non suggeriscono quando e dove questa strana xilote­
ca è stata costruita, né come è arrivata a Londra, ma analoghe collezioni
di tavole all'Orto botanico Koishikawa a Tokyo, all'Orto botanico di Ber­
lin-Dahlem e all'Erbario dell'Università di Harvard, così come una colle­
zione privata in Gran Bretagna, ci offrono alcuni indizi. Sul lato posteriore,
molte portano lo stesso sigillo rosso di Chikusai Kato, il primo disegnatore
botanico impiegato all' Orto botanico Koishikawa, oggi parte dell'Universi­
tà di Tokyo. Il sigillo incorpora la scritta "Primavera, successo creativo" con
la data " 1 1 Meiji" , 1 878 nel calendario occidentaleY
Sia le collezioni di Kew, sia quelle di Berlino contengono una tavola
con l'illustrazione di un ginkgo. La scritta in caratteri cinesi sulla tavola di
Berlino recita: «L'albero del nonno del nipote, più formalmente albicocco
d'argento». Le due illustrazioni di rametti di ginkgo con foglie e piccioli di
giovani semi sono molto simili e inoltre ricordano da vicino il dipinto di
ginkgo prodotto da Chikusai Kato per l'Orto botanico Koishikawa. Parti
dei rami e dei brachiblasti nelle tre illustrazioni sono quasi identiche e il
modo in cui sono disegnati i semi maturi con i loro piccioli è esattamente
lo stesso. Solo pochi dettagli della tavola di Kew non compaiono nell'illu­
strazione di Berlino, ma tutti sono osservabili nel dipinto di Kato. 12
Chikusai Kato lavorò per Keisuke lto, uno dei primi professori all'Orto
botanico dell'Università di Tokyo, che aveva incontrato il giovane Siebold

IO Le collezioni di arte botanica a Kew comprendono oltre 200.000 pezzi, tra cui stupefa­

centi opere del XVIII, XIX, XX e XXI secolo.


1 1 Il Museo di Berlino acquistò la collezione nel 1 9 1 1 da Pau! Kugler, un medico della
marina tedesca che probabilmente la aveva ottenuta in Giappone verso la fine del XIX secolo
(LACK 1999).
IZ Chikusai Kato preparò i bozzetti del ginkgo per Koishikawa-shokubutsuen-somoku-zu­

setsu (fllustrazioni degli alberi e delle erbe dell'Orto Botanico di Koishikawa), curato da Keisuke Ito
( 1 803-190 1 ) e Hika Kaku ( 1 786-1 884); cfr. ITO - KAKu 1 8 8 1 - 1 883 .

- 45 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

nel 1 826. Kato può essere stato influenzato anche da Keiwa Kawahara,
un artista che lavorò per Siebold durante la sua permanenza a N agasaki.
Come conseguenza, lo stile di questi tre ritratti di ginkgo combina tra­
dizioni giapponesi e europee e riflette le prime influenze occidentali sul
Giappone. n modo in cui sono raffigurati i rametti ha una chiara influenza
giapponese, ma la raffigurazione separata dei dettagli botanici è ripresa
dalla tradizione scientifica occidentale, che quasi certamente fu introdotta
da Siebold.
n legno di ginkgo usato per costruire le tavole delle xiloteche di Kew e
di Berlino ha la stessa struttura di base di quello di quasi tutte le piante le­
gnose. Se abbattete un ginkgo, il suo tronco vi apparirà esattamente come
quello di un qualsiasi albero; solo uno specialista saprebbe distinguerlo da
quello di un pino o di un cedro. La parte esterna è completamente circon­
data da una stretta striscia di corteccia; subito all'interno vi è una zona di
tessuti più soffici; il resto del tronco è composto da legno.
Nella sua parte esterna, dove avviene il trasporto di acqua e nutrienti, il
legno è di colore chiaro ma il centro del tronco, o cuore, è scuro e non ha
alcun ruolo nella conduzione dell'acqua. Le sue cellule sono spesso ottura­
te da depositi di vario tipo che si accumulano nel tempo. Ciò nonostante, il
cuore ha importanza vitale: la resistenza di questa densa colonna centrale
è fondamentale per assicurare sostegno meccanico all'albero.
Quasi tutti i tessuti che costituiscono i rametti, i rami e tutto il tronco
di un ginkgo adulto sono prodotti nello stesso modo. A parte la corteccia,
essi derivano da un delicato cilindro formato da un singolo strato di cellule
vive, tecnicamente noto come cambio, posto poco al di sotto della cor­
teccia, tra il legno e i tessuti più soffici esterni ad esso. Mano a mano che
crescono, le cellule di questo strato si dividono uniformemente e regolar­
mente su un piano tangente alla sezione trasversale - di forma circolare -
del tronco; in questo modo esse formano nuove cellule sia verso l'esterno,
sia verso l'interno.
Quando le nuove cellule prodotte dal cambio verso l'interno raggiun­
gono il pieno sviluppo, esse muoiono e diventano parte del cilindro cen­
trale costituito dal legno, andando ad aggiungersi al complesso di cellule
a parete rinforzata - le cellule xilematiche - attraverso cui l'acqua viene
trasportata dalle radici alle foglie. Invece, le nuove cellule prodotte verso
l'esterno, cioè sul lato opposto del cilindro del cambio, rimangono vive e
formano la zona più soffice di tessuto fibroso immediatamente al disotto
della corteccia. Queste cellule, dette floematiche, sono la controparte fun­
zionale delle cellule xilematiche conduttrici di acqua; le cellule floematiche
infatti trasportano attivamente zuccheri - prodotti nelle foglie - alle parti
inferiori del tronco e alle radici.

- 46 -
6. STATURA

Una conseguenza della modalità di formazione delle cellule conduttrici


è la loro ordinata disposizione in file radiali. Tale disposizione si origina
perché ogni fila di cellule allungate, sia verso l'interno, sia verso l'esterno,
risale a una delle cellule del cambio: ogni fila mantiene una memoria delle
ripetute divisioni di quella singola cellula nel tempo. Tuttavia occasionai­
mente si può notare che una fila si divide in due, per effetto di occasionati
divisioni di una delle cellule del cambio lungo un piano radiale. In questo
modo l'albero aumenta la propria circonferenza. Queste divisioni, che au­
mentano il diametro del cambio, gli consentono di espandersi per tenere
il passo dell'accrescimento della massa del legno che si trova al centro del
tronco o dei rami. Alla fine, l'espansione del cambio determina un accre­
scimento della circonferenza del tronco, che si manifesta all'esterno con
fessurazioni nella corteccia.
La corteccia è uno strato di cellule suberificate, prodotte da un secon­
do cilindro, non ben circoscritto come il cambio, di cellule che si dividono
attivamente. La quantità e la struttura della corteccia prodotta da queste
cellule variano enormemente in diversi tipi di albero. Quando viene de­
posto poco sughero e la sua produzione è uniforme attorno al tronco, si
forma una corteccia liscia, come quella del faggio. Quando la produzione
di sughero è abbondante, si forma una corteccia ruvida e profondamente
incisa come quella delle querce. La corteccia di ginkgo è a tessitura in­
termedia, ma a distanza ravvicinata rivela chiaramente gli strati prodotti
ritmicamente dall'accrescimento annuale del cilindro esterno di cellule in
rapida divisione, il cambio subero-fellodermico.
Le singole cellule che costituiscono il legno di ginkgo hanno un diame­
tro di pochi micron, ma possono essere lunghe fino a l cm. Per molti anni
si è creduto che cellule di questo tipo, strette e lunghe, che costituiscono la
maggior parte del tronco nel ginkgo e nelle conifere, fossero scarsamente
efficienti nella conduzione di acqua, specialmente in confronto con i si­
stemi considerati più sofisticati esibiti da altri alberi, in cui le cellule sono
disposte una sull'altra a formare lunghi tubi. Tuttavia, si è visto che ciò non
è vero; le cellule conduttrici di ginkgo e di altre conifere sono ugualmente
sofisticate, ma impiegano un diverso sistema. Ciascuna cellula è perforata
da migliaia di minuscole valvole che si chiudono quando l'acqua è scarsa
ma che permettono un'agevole ed efficiente trasporto attraverso il legno
quando l'acqua è abbondante e le valvole sono aperte. Come spesso acca­
de, attraverso le ere geologiche l'evoluzione ha inventato più di una solu­
zione allo stesso problema.
Dall'esterno, il ginkgo risponde ai cambiamenti stagionali con la cadu­
ta delle foglie. Internamente, esso risponde bloccando l'attività dei cilin­
dri del cambio durante l'inverno. L'effetto è molto evidente nel legno. Le

- 47 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

nuove cellule del legno prodotte in autunno hanno diametri leggermente


inferiori rispetto a quelle prodotte in primavera ed estate; la divisione cel­
lulare poi cessa bruscamente quando l'albero diviene dormiente. Durante
l'inverno dunque non vengono prodotte nuove cellule, né verso l'interno,
né verso l'esterno. Quando la crescita riprende in primavera, le nuove cel­
lule prodotte sono di dimensioni normali. La differenza tra le cellule di
piccolo diametro prodotte nella fase finale della stagione di crescita e quelle
di maggior diametro prodotte all'inizio della stagione di crescita successiva
si nota anche a occhio nudo sotto forma di anelli annuali di accrescimento:
una registrazione ritmica della crescita annuale dell'albero.
Il ginkgo non viene coltivato per il legname, ma il suo legno si presta a
diversi usi. Tecnicamente, il ginkgo è un legno tenero, come pino o abete,
ma la sua struttura più o meno omogenea, rispetto a quella del legno di
molti alberi a legno duro, lo rende resiliente. Anche se si bagna regolar­
mente e poi si asciuga, il legno di ginkgo non si restringe, non si si fessura
né si deforma facilmente. Come ha notato John Quin, esso può essere usa­
to come base per lavori di laccatura, nei quali il restringimento causerebbe
fessurazioni e scrostature dello smalto. In Cina, quando gli alberi di una
piantagione di ginkgo non sono più produttivi, vengono abbattuti, tagliati
e sminuzzati per costruire assi di truciolato. In Giappone, i pezzi di legno
più grandi sono usati come taglieri, mobili, stampi e ornamenti.
La tessitura liscia e regolare del legno di ginkgo, che deriva dalla sua
struttura relativamente semplice, lo rende anche facile da lavorare. Scott
Strobel, un collega di Yale dal grande talento al tornio a legno, dice che
il legno di ginkgo si lavora più facilmente di ogni altro legno che ha mai
usato. La lama lo penetra come un coltello nel burro. Si dice che gli scia­
mani daoisti abbiano inciso i loro incantesimi e i loro sigilli sul legno di
vecchi ginkgo per comunicare col mondo degli spiriti. Le statue Vairocana,
Manjusuri e Samantabadhra del tempio buddhista di Haeinsa nella Corea
del Sud sono scolpite in legno di ginkgo. Molto meno ornate, ma non per
questo meno impressionanti, sono le fenomenali sculture custodite in un
piccolo tempio inerpicato sulle montagne dello Honshu centrale, sopra la
piccola città di Ojiya.
Il tempio è un piccolo gioiello che si raggiunge con una ripida strada
che sale tra i cedri giapponesi (Cryptomeria japonica) con viste mozzafiato
sulla valle sottostante. All ' esterno si presenta come un modesto edificio di
legno, a pianta quadrata, con tetto a punta nel tradizionale stile giappone­
se. In inverno le pareti esterne sono protette da spesse assi contro le pesanti
nevicate. Anche l'interno è molto semplice, ma lungo la parete opposta
all'entrata ci sono 35 sculture raffiguranti la dea buddhista della miseri­
cordia, con la testa posta al centro di un disco stilizzato che rappresenta il

- 48 -
6. STATURA

sole. La figura più grande, alta circa 1 ,5 m, ha la mano destra poggiata sulla
guancia. Intorno alla testa reca una iscrizione fatta col carbone. A destra e
a sinistra vi sono due figure simili ma più piccole e in alcove su ciascun lato
ve ne sono altre, disposte in due gruppi di 16, ciascuna un po' diversa dalla
successiva e con un proprio significato simbolico. Tutte le sculture sono
di Mokujik.i Shonin, uno dei più famosi monaci buddhisti giapponesi del
XVIII secolo. Nato nel 1 7 1 8 e divenuto sacerdote poco dopo i vent'anni,
egli officiò al Tempio di Edo per più di 20 anni prima di essere attratto da
una particolare setta del buddhismo che rifiuta carne, pesce e riso a favore
di una dieta di semi, foglie e frutti. Dall'età di sessant'anni fino alla sua
morte nel 1 8 1 0 a 93 anni, Mokujik.i Shonin viaggiò di tempio in tempio nel
Giappone centrale e scolpì più di mille statue lignee di Buddha.
Era già quasi ottantenne quando visitò per la prima volta il tempio di
Ojiya, ma al suo ritorno diversi anni dopo il vecchio tempio era stato di­
strutto, bruciato da un incendio scoppiato per cause fortuite. Egli allora
decise di rendere unico il nuovo tempio. I residenti del villaggio portarono
pezzi di un grande albero di ginkgo che avevano abbattuto più in basso
nella valle. In poco più di tre settimane, nell'agosto 1 803 , li trasformò nelle
straordinarie figure che formano il cuore del tempio di Ojiya. 13

13 Cfr. il disegno che introduce la parte VII.

- 49 -
7.

Sesso

Siamo macchine da sopravvivenza - veicoli robot


programmati alla cieca per conservare le moleco­
le egoiste note come geni.
Richard Dawkins, TI gene egoista. 1

Tutti i ginkgo viventi sono connessi, anelli di una ininterrotta catena


di continuità genetica che sopravvive da migliaia di generazioni. In una
prospettiva darwiniana, oggi sappiamo che tutti i ginkgo viventi sono con­
nessi ininterrottamente ai loro antenati di 200 milioni di anni fa e che ciò
è sostenuto, come in tutti gli organismi viventi, dalla innata propensione a
perpetuare se stessi attraverso la riproduzione.
Nelle piante, proprio come negli umani, la riproduzione implica la
sessualità, quindi l'avvicinamento e la fusione di cellule riproduttive, so­
litamente - ma non sempre - provenienti da due genitori, per creare un
embrione che diventerà un nuovo individuo. Ogni cellula sessuale o game­
te - la cellula spermatica del partner maschile e la cellula uovo di quello
femminile - porta un singolo corredo di cromosomi, mentre dopo la fu­
sione dei gameti il nuovo embrione ne contiene due: uno del padre, l'altro
della madre. Sotto questo punto di vista, il ginkgo non fa eccezione. Tut­
tavia, a parte queste considerazioni generali, la sessualità del ginkgo è un
processo lungo e complesso.
Nel ginkgo, come nella nostra specie, ci sono individui maschili e indivi­
dui femminili. L'impollinazione - cioè il trasferimento di polline dagli indivi-

l DAWKINS 1 976, p. XXI.

- 50 -
7. SESSO

dui maschili a quelli femminili, essenziale precursore alla fusione dei game­
ti - ha luogo in primavera. La effettiva fusione dei gameti, con conseguente
formazione di un embrione, segue nella tarda estate o all'inizio dell'autunno ;
il seme che ne risulta, contenente l'embrione di una nuova giovane pianta,
viene disperso un mese o due più tardi. Generalmente, dall'impollinazione
fino al momento in cui il seme germina passa circa un anno.
Una caratteristica fondamentale della riproduzione sessuale, che deri­
va dalla combinazione dei cromosomi di ciascun gamete, è che la prole
non è esattamente uguale né all'uno né all'altro dei genitori. In un modo
complicato, attraverso meccanismi mediati a livello del DNA, una nuova
giovane pianta o un nuovo giovane animale combina i tratti di ambedue
i genitori. Inoltre, nello sviluppo dei gameti sia maschili, sia femminili, il
DNA che si trova sui cromosomi viene ricombinato. Di conseguenza, la
combinazione di caratteristiche codificate dal DNA in ciascuno sperma e
in ciascuna cellula uovo non è mai la stessa. Questi sono i motivi per cui
fratelli e sorelle sono raramente identici; nel caso di un maschio e di una
femmina di ginkgo, ciò significa che il patrimonio genetico di ciascuno dei
propri discendenti, cioè di ogni embrione all'interno di ciascun seme che si
sviluppa sugli individui femminili, è unico.
Un altro elemento importante nello sviluppo dei gameti - e indispen­
sabile preludio alla loro fusione - è il dimezzamento del numero cromoso­
mico, in assenza del quale la fusione dei gameti produrrebbe un embrione
con quattro corredi cromosomici, ossia il doppio rispetto ai genitori. In
ginkgo e in tutte le altre piante il dimezzamento del numero cromosomi­
co, che avviene allo stesso momento della ricombinazione del DNA, ha
luogo durante la formazione dei granuli di polline e dentro gli ovuli dove
si formano le cellule uovo.
Lo scienziato tedesco del XVII secolo Rudolf Jacob Camerarius fu il
primo a cominciare a sviluppare la comprensione in termini scientifici
dell'importanza cruciale che riveste il trasporto di polline per la produzio­
ne di semi. I botanici precedenti, come John Ray e Nehemiah Grew, aveva­
no avanzato suggerimenti simili, ma nel suo studio dei gelsi, Camerarius
aveva osservato che le piante femminili cresciute lontano da quelle ma­
schili producevano frutti privi di semi. Egli condusse esperimenti anche su
piante di ricino e granturco e dimostrò che se venivano rimosse le parti che
producono il polline, i semi non si formavano. 2
Fin dai primi incontri dell'uomo col ginkgo, deve essere stato chiaro
che i semi sono prodotti soltanto su alcuni alberi e non su altri. La cogni-

z Camerarius ( 1 665· 1 72 1 ) riferì i suoi risultati sulla riproduzione delle piante nella sua
pubblicazione intitolata De sexu plantarum epistola, del 1 694.

- 51 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

zione che sono necessari alberi di due diversi tipi per produrre semi ha
richiesto un ulteriore progresso mentale, ma in ogni caso è stata acquisita
molto prima della comprensione scientifica del processo. Quella che sem­
bra essere la prima fonte scritta sul ginkgo in Cina nel X secolo contiene
l'affermazione «lasciamo crescere gli alberi maschi e femmine di ginkgo
uno accanto all'altro, allora si formerà il frutto».3
Il ginkgo è relativamente insolito tra le piante che portano semi, perché
porta gli organi riproduttivi maschili e femminili su individui separati. I
pini, per esempio, hanno coni maschili e femminili separati ma entrambi
portati sulla stessa pianta che quindi è ermafrodita. È più frequente ave­
re gli organi maschili e femminili riuniti nella stessa struttura, come nella
maggior parte degli alberi da fiore, quali ciliegi e magnolie, dove nello stes­
so fiore l'apparato maschile che produce il polline circonda quello femmi­
nile che produce i semi.
Ciononostante, Darwin fu il primo a suggerire che la completa separa­
zione dei sessi nelle piante potrebbe fornire vantaggi, in condizioni appro­
priate, grazie alla divisione del lavoro nella produzione di gameti. Da allo­
ra, sono state studiate in dettaglio le condizioni nelle quali il cambiamento
dall'ermafroditismo alla separazione dei sessi potrebbe risultare favorito
e ora sappiamo che ciò deve essere avvenuto indipendentemente più di
un centinaio di volte nelle piante con fiori. L'idea di base è semplice: se la
specializzazione come maschio e femmina è vantaggiosa per una pianta
rispetto alla condizione ermafrodita in termini di trasmissione di un mag­
gior numero dei propri geni alla generazione successiva, allora la selezione
naturale tenderà a orientare in quella direzione le popolazioni che si svilup­
pano successivamente.4
Piccole differenze nella disposizione degli organi sessuali nelle piante
hanno conseguenze importanti. In piante quali ciliegi e magnolie, dove
gli organi maschili e femminili si trovano nello stesso fiore, Darwin si rese
conto che l'autoimpollinazione e l'autofecondazione possono presentarsi
spesso, sebbene molte piante abbiano evoluto meccanismi ingegnosi per
prevenirle. Nei pini, che hanno coni maschili e femminili distinti sulla stes­
sa pianta, le occasioni di autoimpollinazione possono essere ridotte, ma ciò

3 Secondo Science and Civilization in China, il primo riferimento al ginkgo si trova nel Ko
Wu Tshu Than (Semplici discorsi sull'investigazione delle cose), scritto da Tsan-Ning, un "monaco
erudito" . L'opera è una serie di brevi affermazioni circa i fenomeni naturali, scritte intorno al
980 d.C. ; cfr. NEEDHAM 1986, p. 49 1 .
4 La transizione evolutiva da specie composte interamente da individui ermafroditi a spe­
cie con maschi e femmine separati (dioicismo) è documentata molto bene nelle piante a fiore.
In molti casi, il fiore contiene le tracce o organi vestigiali dell'altro sesso, una indicazione della
separazione tra maschio e femmina relativamente recente nella storia evolutiva.

- 52 -
7. SESSO

nonostante ci sono ancora parecchie opportunità per l'autoimpollinazione


e, potenzialmente, per l'autofecondazione. Invece, in ginkgo e in piante
con la stessa strategia riproduttiva, la riproduzione richiede sempre un par­
tner. L'autofecondazione è fisicamente impossibile.
A maturità, gli alberi maschili di ginkgo producono su normali brachi­
blasti le piccole strutture coniche nelle quali si forma il polline; esse appa­
iono nel momento in cui spuntano le giovani foglie. I coni emergono dalla
gemma all'apice del fusto; ognuno ha un corto peduncolo che nasce alla
base di una delle piccole foglie in distensione. Su un singolo brachiblasto, in
mezzo ai ciuffi di foglie, possono essere prodotti fino a una mezza dozzina
di coni maschili. All ' inizio i coni sono leggermente carnosi e appena cinque
o sei millimetri di lunghezza. Essi hanno un asse centrale completamente
circondato da piccoli rami laterali, densamente appressati l'uno all'altro;
ciascun ramo laterale porta all'estremità due piccole sacche gialle, rivolte
verso il basso, al cui interno si forma il polline. 5
Nei caldi e asciutti giorni di primavera, l'asse centrale cresce rapida­
mente, i coni si allungano, i rami laterali si separano ed ogni sacca pollinica
si apre attraverso una fessura, nel senso della lunghezza, per rilasciare il
polline. Un rigonfiamento triangolare alla fine di ciascun ramo laterale,
esattamente al punto di unione delle due sacche polliniche, può avere un
ruolo nella fase di apertura. Ogni anno, soltanto per pochi giorni, grandi
quantità di minuscoli granuli pollinici sono rilasciati nell'aria e vagano tra­
sportati dal vento. Nel frattempo, i coni si disseccano e poco dopo vengono
lasciati cadere; i coni pollinici disseccati formano un tappeto sotto l'albero
dopo aver concluso il loro lavoro per un altro anno. Da quel momento, fino
alla comparsa dei nuovi coni la primavera successiva, si può individuare un
ginkgo maschio unicamente attraverso un'evidenza negativa: la mancanza
di semi sull'albero o sul terreno sottostante.
I minuscoli granuli pollinici, della lunghezza di circa 20 micron, hanno
approssimativamente la forma di un pallone da rugby e possiedono una pa­
rete flessibile e robusta eccetto che in una porzione strettamente ellittica,
dove la parete è assottigliata. I granuli di polline non sono ben riconoscibili
perché molto simili a quelli di cicadacee e anche di qualche pianta a fiore. Al
momento del rilascio essi perdono acqua e ripiegano verso l'interno la por­
zione assottigliata della parete, poi divengono più affusolati, leggermente
più lunghi: a quel punto, l'ulteriore perdita di acqua viene rallentata.6

5 Cfr. Lru et al. 2006 per dettagli sulla descrizione dello sviluppo dei coni pollinici di ginkgo.
6 È probabile che i granuli pollinici di ginkgo non rimangano vitali a lungo dopo la loro
dispersione, ma in condizioni di laboratorio possono sopravvivere fino a sedici mesi (NEwco­
MER 1 939).

- 53 -
PARTE II - L'ALBERO VIVENTE

La produzione di polline di un singolo albero di ginkgo in pochi giorni


di ogni anno è straordinaria. Andrew Leslie, mio collega all'Università di
Chicago, fece una stima molto approssimata per degli alberi di ginkgo alti
da l O a 1 5 m che crescevano nel campus. Calcolò che il polline prodotto
dai coni - sette in media - di un singolo brachiblasto poteva raggiungere
i 59 milioni di granuli. Se consideriamo una stima approssimata di 1 7.500
brachiblasti su un albero di modeste dimensioni, la produzione annuale ar­
riva all'incredibile cifra di mille miliardi di granuli di polline. Si tratta di un
quantitativo enorme, ma non potrebbe essere diversamente. Immaginatevi
un solitario, microscopico granulo di polline spinto dal vento: quante sono
le probabilità che arrivi esattamente nel punto giusto degli ovuli che si for­
mano su un individuo femminile?
Allo stesso momento che gli alberi maschili cominciano a produrre
coni, o forse subito dopo, quelli femminili che hanno raggiunto la maturi­
tà sessuale producono gli ovuli. È al loro interno che si sviluppa la cellula
uovo; se saranno impollinati, alla fine diventeranno semi. Gli ovuli sono
portati su peduncoli specializzati e, come i coni pollinici, si attaccano ai
brachiblasti in corrispondenza della base di una delle giovani foglie in svi­
luppo. La struttura che porta gli ovuli del ginkgo è inconfondibile, del tutto
diversa da quella di qualunque altra pianta vivente; non si può confondere
con un fiore o con i coni legnosi delle conifere o di una cicadacea. Il com­
plesso ovulifero ha un solo picciolo, semplice, e solitamente porta due ovu­
li all'estremità. Ciascun ovulo è circondato da un bordo simile a un collare;
il suo apice appuntito è orientato verso l' alto e all'infuori; se impollinato e
fecondato, ciascun ovulo può diventare seme.
Nello stesso momento in cui il polline di ginkgo volteggia nel vento, gli
ovuli sono sormontati da una luccicante goccia di fluido acquoso, la cosid­
detta goccia d'impollinazione, che aiuta a catturare i granuli di polline che
fluttuano in aria, che poi affondano nel fluido. La goccia d'impollinazione
viene assorbita e rimessa più volte al giorno finché ha trasportato i granuli
all'interno dell'ovulo. 7
Nelle piante, impossibilitate a muoversi per trovare un partner, l'impol­
linazione è la parte più rischiosa della riproduzione, specialmente nel caso
del ginkgo e delle altre specie a sessi separati. L'intera sequenza di eventi
deve essere meravigliosamente coordinata: polline e goccia di impollina-

7 Dopo l'impollinazione, il residuo mucillaginoso secco della goccia di impollinazione


sigilla il micropilo e lo sviluppo del polline, fino alla sua germinazione, avviene all'interno della
cavità sigillata (LEE 1 955). Una volta che il polline è entrato attraverso il micropilo, si forma un
tubetto pollinico che - in ginkgo come nelle cicadacee - è modificato per assorbire sostanze
nutritive.

- 54 -
7. SESSO

zione devono essere prodotti allo stesso momento. La sincronizzazione è


cruciale: se l'impollinazione ha successo e se i gameti maschili che si svi­
luppano all'interno del granulo pollinico riescono - qualche mese dopo - a
fecondare la cellula uovo all'interno dell'ovulo, allora mentre il seme ma­
tura si svilupperà un embrione, cioè una nuova giovane pianta. Tuttavia
ogni minima deviazione dalla precisa sincronizzazione riceve una pesante
penalità. Gli alberi poco sincronizzati non produrranno semi e non lasce­
ranno prole. Non è difficile vedere come questa precisa sincronizzazione
della riproduzione tra gli alberi maschili e femminili sia stata coordinata dal
processo evolutivo della selezione naturale.
Normalmente solo uno dei due ovuli all'estremità di un peduncolo si
sviluppa. Può essere che l'altro non sia stato impollinato, che sia perdente
nella competizione per le risorse fornite dall'albero madre, o che abortisca
se non ci sono sufficienti risorse per lo sviluppo di tutti i semi che sono sta­
ti impollinati. Occasionalmente, comunque, maturano entrambi gli ovuli
portati su un singolo peduncolo; ancor più raramente possono essercene
tre o quattro su ogni peduncolo. Nella maggior parte degli ovuli ci sono
due o tre cellule uovo, ma normalmente solo una è fecondata e procede
nello sviluppo. In circa il 2% dei semi viene fecondata più di una cellula
uovo e di conseguenza si sviluppa più di un embrione. In questi rari casi,
quando il seme germina, possono spuntare due giovani piante.8
Il seme maturo di ginkgo ha la forma di una prugna, è lungo tipicamen­
te fino a tre cm e largo due e contiene al suo interno l'embrione in crescita.
A piena maturità, i semi giallo pallido hanno una distinta lucentezza argen­
tea che giustifica il nome comune cinese del ginkgo, "albicocco argentato" .
All'interno si trova una polpa carnosa gialla, che circonda un nòcciolo duro
entro cui giace l'embrione, che si sviluppa immerso nel tessuto nutritivo
che a suo tempo aveva prodotto la cellula uovo.
Il ginkgo si coltiva facilmente da seme: a condizione che la polpa car­
nosa si sia dissolta, non si deve vincere alcuna dormienza interna: durante
l'inverno, lo sviluppo di semi semplicemente rallenta o si ferma e riprende
in primavera, quando la temperatura aumenta. Sin quasi dall'inizio del suo
sviluppo l'embrione ha un'evidente polarità. La parte alta, verso la punta
dell'ovulo, diventerà la radice della pianta, mentre alla parte opposta, verso
il peduncolo, un gruppo di cellule in attiva divisione formerà le parti aeree
della nuova pianta. Tra queste, le prime a essere prodotte sono un paio di

s Lo sviluppo di più di un embrione maturo in un unico seme avviene nel 2% circa dei
semi. Cfr. STUPPY et al. 2009, p. 24 per una foto di due plantule che emergono da un solo seme
di ginkgo.

- 55 -
PARTE Il - L'ALB E RO VIVENTE

foglie cotiledonari che rimangono immerse nel tessuto nutritivo del seme.
Stranamente, queste foglie sono verdi sebbene restino sempre all'interno
del seme, senza espandersi. La radice cresce attraverso l'apice del seme e
mentre le foglie cotiledonari si allungano, il nuovo apice del fusto è spinto
fuori dal seme nella stessa direzione, diventa verde e comincia a crescere
verso l'alto, in direzione della luce e contro la forza di gravità, mentre pro­
duce nuove foglie, in posizioni alternate una dopo l'altra, sul primo ramo
lungo dell'albero.
Alan Mitchell, uno dei grandi specialisti inglesi di alberi del tardo XX se­
colo, riteneva che le femmine di ginkgo producessero i loro primi semi all'
età di 25 o 30 anni. Probabilmente gli alberi maschili raggiungono la ma­
turità all'incirca allo stesso tempo. Prima di allora è impossibile distinguere
un maschio da una femmina. Ma quei due o tre decenni non sono trascorsi
invano: gli alberi si sono accresciuti e hanno accumulato riserve di ener­
gia. I loro rami danno l' opportunità di produrre un gran numero di coni
pollini ci e ovuli. Quando l'embrione inizia la sua crescita, possiede solo un
gruppo di cellule attive che possono produrre fusto e nuove foglie, ma ogni
volta che si forma una nuova gemma, si aggiunge un nuovo gruppo. All ' e­
poca della maturità, ci sono decine di migliaia di queste gruppi di cellule,
detti meristemi apicali, tutti potenzialmente in grado di produrre nuovi
rami e foglie. In circostanze appropriate possono produrre anche granuli
di polline e ovuli, che portano i gameti al loro interno. Con lo sviluppo dei
gameti, il DNA del nuovo genitore, con la sua unica combinazione di geni,
è pronto ancora una volta per il passaggio alla generazione successiva.

- 56 -
8.

Genere

Noi permettiamo alla nostra ignoranza di preva­


lere e di indurci a pensare che possiamo sopravvi­
vere da soli . . .
Maya Angelou, discorso al Centenary College del­
la Louisiana. 1

La spiegazione più comunemente accettata del perché i ginkgo e al­


tri alberi sono piante a sessi separati è che ciò elimina gli effetti negativi
che potrebbero derivare dall'endogamia - cioè l'unione tra consanguinei ­
spinta all'estremo, qualora l'autoimpollinazione fosse seguita dalla auto­
fecondazione. Questa congettura si basa su molte prove che le piante pro­
dotte da autofecondazione hanno meno successo e lasciano meno prole
nella generazione successiva di quelle che derivano da fecondazione incro­
ciata. Dato questo principio, non è sorprendente, come osservò Darwin,
che laddove gli organi maschili e femminili sono portati nello stesso fio­
re, ci siano meccanismi o strutture che impediscono l'autofecondazione.
Tuttavia, avere piante a sessi separati, come in ginkgo, è un meccanismo
particolarmente preciso e inflessibile per escludere l'autofecondazione, che
assicura con matematica certezza che la prole sia geneticamente diversa da
entrambi i genitori.
Assicurare che la prole differisca dai genitori può essere un vantaggio
quando la nuova generazione di piante si confronta con una gamma di
diverse condizioni ecologiche. Indirettamente, può anche essere vantag­
gioso a lungo termine in un mondo che cambia. Dopotutto, come Darwin

l ANGELOU 1 990.

- 57 -
PARTE I l - L'A L B ERO VIVENTE

per primo ha riconosciuto, la variazione è la materia prima dell'evoluzione.


Insieme alla sovrapproduzione di prole e all'effetto vaglio della selezione,
minute variazioni controllate geneticamente creano l'opportunità per le
successive popolazioni di ginkgo di rispondere a condizioni ambientali mo­
dificate. Poiché differenti varianti sono favorite da differenti condizioni lo­
cali, le popolazioni di ginkgo hanno il potenziale di cambiare il loro assetto
genetico nel tempo. Questa è l'essenza della selezione naturale.
Tuttavia, pur riconoscendo i vantaggi in termini di produzione di nuo­
va variazione, un sistema inflessibile a sessi separati comporta intrinseca­
mente alcuni svantaggi. Nelle piante, che non possono spostarsi per trova­
re un partner, non c'è una riserva, non c'è un meccanismo a prova di guasti
che consenta la produzione di semi anche in assenza di individui vicini del
sesso opposto. Molte piante hanno dei meccanismi per favorire l'impollina­
zione incrociata, ma molte hanno anche dei meccanismi per tenere di fatto
aperte altre opzioni riproduttive, nel caso dovesse fallire l'impollinazione
incrociata. Il ginkgo non ha una simile opzione. Inoltre, per ironia della
sorte, il ginkgo, che per un verso sembra possedere un meccanismo che
impone la produzione di nuova variazione genetica, per un altro è un testi­
monial botanico della stasi, una impressionante mancanza di cambiamento
evoluzionistico. Paradossalmente, è rimasto pressoché immutato per lun­
ghi archi di ere geologiche.
L'apparente semplicità della distinzione di maschio e femmina ha reso
il ginkgo un ovvio soggetto delle prime ricerche volte a comprendere il
controllo del sesso nelle piante. Proprio come Camerarius si era concentra­
to sul granturco e sul ricino, che hanno organi maschili e femminili separa­
ti, joseph Jacquin, professore di botanica all'Università di Vienna all'inizio
del XIX secolo, scelse il ginkgo per eseguire un interessante esperimento su
ciò che determina il sesso nelle piante.
Il ginkgo è stato introdotto in coltivazione in Europa nel XVIII secolo
e, secondo Jacquin, che esaminò attentamente le prime introduzioni, il
raggiungimento della maturità sessuale in queste piante è documentato
per la prima volta nel 1 795, quando due alberi coltivati a Kew, uno dei qua­
li era il "vecchio leone" , produssero i coni pollinici. Alcune talee dei gin­
kgo inglesi, inviate al palazzo imperiale dell'impero asburgico a Schonb­
runn nel 1 78 1 , furono i primi alberi di ginkgo coltivati a Vienna. Forse
anche il grande ginkgo maschio, che ancora cresce nell'Orto botanico di
Vienna, piantato dal padre di Jacquin, Nikolaus Joseph von Jacquin, ha la
stessa provenienza. 2

2 LounoN 1 838 fornisce un resoconto dei primi ginkgo in Europa; cfr. anche)ACQUIN 1 8 19.

- 58 -
8. G E N E RE

Il trasporto dell'acqua nei fusti delle piante era ben noto già dall'ini­
zio del XVIII secolo, grazie al lavoro del sacerdote inglese Stephen Hales.
Jacquin pertanto si domandò se un ramo femminile innestato su un albero
maschile potesse cambiare sesso. Egli ottenne una talea di un albero fem­
minile, il primo identificato come tale in Europa, e la innestò sull'albero
maschile dell'Orto botanico viennese.3
L'innesto riuscì benissimo; il ramo prosperò, ma rimase femmina e
continuò a produrre semi, sebbene fosse innestato su una pianta maschile.
Esso dimostrò la sua indipendenza anche in altro modo: ogni primavera,
le sue foglie spuntavano due settimane dopo quelle del resto dell' albero,
mentre in autunno le sue foglie erano ancora verdi quando quelle di tutto
il resto dell'albero erano diventate gialle.
L'osservazione diJacquin era semplice e non inattesa, ma al tempo stes­
so profonda. Dimostrò che le piante sono costituite da parti individuali con
un certo grado di autonomia e che il sesso e altri caratteri sono determinati
non a livello dell'intero organismo, come nella maggior parte degli anima­
li, ma potenzialmente in singoli tessuti di diverse parti della pianta. Le os­
servazioni dijacquin evidenziarono le tensioni tra chi considerava gli alberi
come organismi interi, quali un uccello o una persona, e chi li considerava
come un gruppo di organismi potenzialmente indipendenti, qualcosa di
simile a una colonia di corallo. Questa distinzione ha delle conseguenze
pratiche. La pecora Dolly, il primo mammifero clonato, fu un grande suc­
cesso scientifico raggiunto non prima di metà degli anni '90. Invece, qual­
siasi giardiniere può ottenere una nuova pianta da una talea; le piante sono
clonate da migliaia di anni.
Solo dopo i progressi della genetica, all'inizio del XX secolo, sono sta­
ti fatti nuovi passi verso una più profonda conoscenza del controllo della
sessualità nelle piante. Grazie alla riscoperta del lavoro di Gregorio Mendel
sulle piante di pisello e alle nuove ricerche condotte dallo scienziato olan­
dese Hugo de Vries alla fine del XIX secolo, divenne chiaro che i caratteri
degli organismi, incluse mascolinità e femminilità, erano ereditati tramite
"particelle" non meglio identificate. Prima di allora si riteneva, da parte di
Darwin e da altri, che l'eredità fosse controllata da qualche tipo di misce­
lazione, sulla base delle osservazioni che la prole aveva spesso caratteri in­
termedi rispetto ai genitori. Trent'anni dopo L'origine delle specie di Darwin,
de Vries scrisse che non aveva idea riguardo alla natura di queste particelle.
Egli non riusciva a vederle e poté soltanto dedurre la loro esistenza dai

3 August Pyramus De Candolle fu il primo, nel l 8 14, a riconoscere dei rami ovuliferi su
un ginkgo coltivato in Europa, a Bourdigny, un villaggio a circa 9 km da Ginevra.

- 59 -
PARTE I I - L'A L B E RO VIVENTE

suoi esperimenti e da quelli di Mendel. Egli le chiamò pangeni e noi, oggi,


semplicemente geni. 4
Le osservazioni di de Vries gettarono le fondamenta per il rapido svi­
luppo della genetica all'inizio del XX secolo e per l'individuazione, attuata
indipendentemente nel 1 902 da Theodor Boveri e Walter Sutton, dell'u­
bicazione delle "particelle" con i fattori ereditari, portate sui cromosomi.
Agli stessi risultati arrivò successivamente Thomas Hunt Morgan, col suo
gruppo di ricerca alla Columbia University di New York, perlopiù sulla base
della scoperta, fatta nel 1 905 da Nettie Stevens e Edmund Beecher Wilson,
che in insetti quali i comuni vermi della farina, i due sessi differiscono an­
che nei cromosomi. Per la prima volta, le differenze fisiche tra organismi
potevano essere ricondotte a differenze osservabili nei loro cromosomi e
ciò spiegava anche le osservazioni di jacquin sul ginkgo. I cromosomi delle
cellule del suo innesto portavano i geni della femminilità, mentre i cromo­
somi delle cellule del resto dell'albero portavano quelli della mascolinità.
Nettie Stevens osservò che nelle larve femminili dei vermi della farina
c'erano venti grandi cromosomi, mentre quelle maschili ne possedevano
diciannove di uguale dimensione e uno - del decimo paio - di taglia ridotta.
Stevens chiamò il cromosoma piccolo della coppia diseguale cromosoma
Y, quello lungo cromosoma X. Sia Stevens, sia Edmund Beecher Wilson
riconobbero che la configurazione XY corrisponde ai maschi, quella XX
alle femmine. Oggi sappiamo che lo stesso meccanismo opera nella specie
umana.5
La riscoperta delle leggi di Mendel, il riconoscimento dell'importanza
dei cromosomi, la scoperta dei cromosomi sessuali e il lavoro di Morgan
sui moscerini della frutta si verificarono tutti più o meno contemporanea­
mente all'aumento di interesse nei riguardi del ginkgo. Come conseguen­
za, il ginkgo fu una delle prime piante di cui furono esaminati i cromoso­
mi; oggi è ben noto che ogni cellula vivente di una pianta di ginkgo ha 24
cromosomi, 12 coppie: 12 cromosomi derivanti dal gamete maschile, che si
sviluppa nel granulo pollinico, 12 donati dalla cellula uovo, che si sviluppa
all'interno dell'ovulo.

4 Gli esperimenti eseguiti da Hugo de Vries all'Università di Amsterdam (ricordati da una


targa commemorativa) sono tra i più importanti mai condotti in un Orto botanico. Il termine
geni fu introdotto nel 1 909 dal botanico danese Wilhelm Johnnssen, che fu inoltre il primo a
usare i termini fenotipo e genotipo.
5 Nella specie umana, sia i maschi che le femmine hanno ventidue coppie di cromosomi
appaiati in tutte le cellule, ma nei maschi la ventitreesima coppia - i cromosomi sessuali è
-

composta da cromosomi spaiati. Nelle femmine ci sono due copie del cromosoma 23 , denomi­
nate XX. I maschi hanno un cromosoma lungo - il cromosoma X - e uno corto, Y.

- 60 -
8. G E N E RE

Quando ero studente, mi insegnarono che esattamente come nella spe­


cie umana e nei vermi della farina, le differenze in una delle coppie di cro­
mosomi di ginkgo maschio e femmina corrispondevano alla determinazione
cromosomica del sesso, che comporta una proporzione pressoché uguale di
maschi e femmine. Tuttavia, accurate osservazioni condotte negli ultimi
decenni hanno dimostrato che in ginkgo i cromosomi definiti X e Y non
sono consistentemente diversi. Inoltre, sebbene questi cromosomi abbiano
entrambi piccoli frammenti di DNA uniti alle loro estremità, i cosiddetti
satelliti, che possono essere importanti per la determinazione del sesso in
altre piante, in ginkgo questi frammenti variano in modo tale da renderli
inadatti per determinare il sesso di un individuo maturo.
Ciononostante, visibili o meno, devono esistere differenze reali, a livel­
lo dei geni, nei cromosomi di ginkgo maschio e femmina. Ciò implica che
il sesso di un embrione di ginkgo è determinato al momento della feconda­
zione, esattamente come nella specie umana. Tuttavia, è anche dimostrato
che la determinazione del sesso in ginkgo può non essere fissata così rigida­
mente come in molti animali e perfino che può non essere completamente
stabile nel ciclo vitale di ciascun albero. 6
Nell'estate del 2006, un rametto del vecchio leone a Kew, che è un al­
bero maschile, produsse spontaneamente tre semi. Qualche mese dopo
pubblicai in merito a ciò una nota nel «Kew Magazine )) e ricevetti lettere
da diversi colleghi che suggerivano come ciò fosse probabilmente la n-e­
mergenza di un vecchio innesto, piuttosto che una trasformazione della
sessualità in parte dell'albero. Era una concreta possibilità, perché l'innesto
di rami femminili su alberi maschili di ginkgo era una pratica molto diffu s a
alla fine del XIX e all'inizio del XX secolo, sia per mera curiosità, sia per pro­
durre semi vitali. Sappiamo che un simile innesto fu eseguito sull'albero di
Kew nel 1 9 1 1 e a quanto pare aveva fruttificato abbondantemente prima di
essere accidentalmente potato da un arboricoltore troppo zelante. La stes­
sa incertezza riguardo alla possibilità o meno di un innesto vale anche per
il grande albero maschile dell'Orto botanico di Jena, in Germania, quasi
bicentenario, che all'inizio degli anni '90 cominciò a produrre semi su un
singolo ramo.
Tuttavia, in altri casi vi è una chiara evidenza di alberi maschili di gin­
kgo che spontaneamente producono semi senza alcun intervento da parte

6 Una situazione simile si può osservare in alcuni animali, nei quali il sesso della prole è
determinato dopo che l'embrione ha iniziato a svilupparsi e dipende dalle condizioni ambien­
tali. Ad esempio, in molte lucertole e tartarughe, alte temperature in una fase critica dello svi­
luppo embrionale favoriscono la produzione di femmine, mentre negli alligatori favoriscono
quella di maschi.

- 61 -
PARTE II - L' ALBERO VIVENTE

dell'uomo. Martin Hamilton, nativo del Kentucky e uno dei molti meravi­
gliosi studenti che si sono formati in orticultura durante la mia permanen­
za a Kew, attirò la mia attenzione verso un esempio che aveva stimolato il
suo interesse di giovane botanico. Negli Stati Uniti orientali e sud-orientali,
alcuni dei migliori luoghi dove osservare meravigliosi esemplari arborei
sono i cimiteri storici, di cui è un eccellente esempio il Cave Hill Cemetery
di Louisville, Kentucky. Esso ospita una splendida collezione di alberi che
risale a metà dell'Ottocento e include diversi grandi ginkgo. Tra questi vi
è un grande esemplare maschile, uno dei più grandi e più spettacolari del
Nord America. Nella parte alta della chioma porta uno scopazzo, ossia una
densa massa di rami che in qualche modo sono divenuti femminili e che
ogni anno producono semi in gran quantità. Questi semi contengono em­
brioni perfettamente vitali, che crescono normalmente. Analoghe parziali
trasformazioni sessuali spontanee sono state documentate diverse volte su
vecchi esemplari maschili di ginkgo in Giappone.
Una prova altrettanto schiacciante di questo fenomeno proviene dalla
piantagione di ginkgo della Blandy Experimental Farm di Boyce, Virginia,
dove tra il 1 929 e il 1 947 furono piantati più di 600 ginkgo, tutti provenienti
dai semi prodotti da una grande femmina di ginkgo nel campus dell'Uni­
versità della Virginia a Charlottesville. Circa la metà degli alberi è soprav­
vissuta e ha cominciato a produrre coni maschili o semi dopo 20 o 30 anni.
Le osservazioni per determinare il sesso di ogni albero furono eseguite alla
fine degli anni '70 e all'inizio degli anni '80; nel maggio 1 982 fu eseguito un
rilievo particolarmente accurato tramite un cestello che permetteva l'at­
tenta ispezione della chioma. 7
Per tutti gli alberi di cui fu possibile determinare il sesso, il rapporto fu
approssimativamente uno a uno: 1 5 7 femmine e 1 40 maschi. Ma il rilievo
del 1 982 rivelò un dato sorprendente. Quattro alberi registrati come fem­
mine nei precedenti rilievi, sulla base della presenza di semi, si rivelarono
essere quasi per intero maschili. Questi alberi furono sorvegliati molto da
vicino nel 1 982 e tre di essi produssero da uno a sette semi ciascuno.
Districare i fattori responsabili di questa flessibilità dell'espressione ses­
suale non è facile, ma forse non è sorprendente che un albero maschile pos­
sa occasionalmente produrre un ridotto numero di ovuli. A lungo termine,
questo può essere un utile stratagemma per un maschio solitario, senza
una compagna. Inoltre non pregiudica la fecondazione strettamente incro­
ciata normalmente controllata dal rigido sistema a sessi separati. Tuttalpiù,

7 Le osservazioni condotte presso la Blandy Experimental Farm sono riportate da SANTA­


MOUR et al. 1 983a.

- 62 -
8. G E N E RE

pochi ovuli su un maschio "flessibile" useranno una minima frazione dei


granuli pollinici altrimenti destinati a impollinare femmine, e se tutto va
bene la produzione spontanea di ovuli, nel caso in cui diventino semi ma­
turi, può fornire una sicurezza intrinseca tra generazioni quando mancano
le femmine mature.
In un'ottica evolutiva, le femmine "flessibili", cioè quelle che occasio­
nalmente producono coni maschili, sembrano una forma di modificazione
del genere molto meno vantaggiosa. Il polline è prodotto in tale quantità
che anche pochi coni maschili isolati possono determinare una massiccia
autoimpollinazione degli ovuli di un albero prevalentemente femminile,
con lo scavalcamento del normale sistema di controllo che assicura che la
riproduzione sessuale sia possibile solo fra individui differenti.

- 63 -
9.

Produzione di Semi

Se davvero potete penetrare


entro i semi del tempo,
e predire qual grano cresca, o no,
parlate a me . . .
William Shakespeare, Macbeth. 1

Mi piace pensare al vecchio ginkgo che cresce a Kew come uno dei più
famosi del mondo: un albero da incontrare anche a prezzo di qualche di­
sagio. Vero e proprio collegamento vivente al re Giorgio III e a Sir joseph
Banks, nonché alle prime introduzioni di ginkgo in Occidente, esso avrebbe
da raccontare una storia ricca di eventi, se solo si potesse conversare con lui.
Comunque, un ginkgo altrettanto celebre cresce dall'altra parte del
mondo, nel giardino botanico Koishik.awa dell'Università di Tokyo. Questo
albero è un collegamento vivente al Giappone come era prima dell'avvento
della dinastia Meiji. Keisuke Ito, che era stato ispirato da Siebold, probabil­
mente ha conosciuto questo albero quando è stato nominato professore
dell'Università. Piantato più di tre secoli fa, oggi questo ginkgo si erge a
più di 25 m, dopo essere sopravvissuto a molte vicissitudini, dal grande
terremoto di Kanto del 1 923 alle bombe incendiarie che hanno consuma­
to quasi interamente Tokyo verso la fine della seconda guerra mondiale.
È una vecchia, preziosa femmina con uno speciale collegamento ai primi
passi della scienza moderna in Giappone.2

l SHAKESPEARE 1 623C, atto l , scena 3 .


2 I l ginkgo del Giardino botanico Koishikawa è stato visitato d a Sua Maestà l'Imperatore
del Giappone e Sua Maestà l'Imperatrice del Giappone nel 2006 (His Majesty the Emperor of
]apan, 2007).

- 64 -
9. PRODUZ I O N E DI S E M I

Il giardino Koishikawa fu fondato sul sito del precedente giardino di


piante medicinali dello Shogun Tokugawa. Nel 1 868, nel periodo di una
grande rivolta in Giappone, la proprietà passò al nuovo governo imperia­
le Meiji e divenne il giardino botanico della neonata Università di Tokyo.
Il trasferimento, tuttavia, fu profondamente impopolare tra i Samurai, la
classe militare tradizionalista, contraria al nuovo regime. Essi manifestaro­
no in molti modi la loro contrarietà rispetto ai cambiamenti che travolsero
il Giappone tra il 1 860 e il 1 870; nel giardino Koishikawa essi abbatterono
alcuni dei grandi alberi appena prima che la proprietà fosse trasferita. Per
miracolo il ginkgo fu risparmiato. 3
Segnata da repentini e difficili cambiamenti sociali, l'ultima parte del
XIX secolo fu di importanza cruciale per il successivo sviluppo delle scien­
ze in Giappone. Dopo l'insediamento del governo Meiji e la istituzione di
un moderno sistema educativo, gli scienziati giapponesi ebbero le prime
opportunità di lavorare con colleghi occidentali. Nella biologia vegetale si
svilupparono presto delle robuste connessioni con i principali botanici che
lavoravano in Germania. Sia Ryokichi Yatabe, sia Jinzo Matsumura, i primi
professori di botanica dell'Università di Tokyo, studiarono in Germania alla
fine degli anni '80. Pochi decenni dopo fece lo stesso Manabu Miyoshi, che al
suo ritorno fondò la fisiologia vegetale in Giappone. Da questo stesso grup­
po venne Kenjiro Fujii, che studiò a Monaco dal Prof. Goebel, fece lavori
importanti sul ginkgo e fondò la rivista scientifica giapponese «Cytologia».4
Dopo la Restaurazione Meiji, il ginkgo del giardino Koishikawa è stato
visitato da molti luminari delle scienze, ma pochi hanno avuto una vita al­
trettanto varia e vivace come quella di Marie Stopes, una giovane e perspi­
cace inglese, che aveva studiato nel giardino nel 1 907 e 1 908. Stopes arrivò
a Tokyo grazie al suo collegamento con Kenjiro Fujii. I due si erano incon­
trati nel 1 903 , quando entrambi lavoravano a Monaco, e avevano condotto
insieme importanti ricerche sui fossili vegetali di Hokkaido. Entrambi co­
noscevano bene il grande ginkgo femmina del giardino Koishikawa. 5
Stopes è nota soprattutto per il controverso lavoro pionieristico sulla
pianificazione familiare in Inghilterra; il suo autorevole libro Married Lave,

3 Il ginkgo di Koishikawa fu piantato verso il 1 680 e subì un tentativo di abbattimento


nell'agosto del 1 868.
4 L'Università di Tokyo ha subito diversi cambiamenti di nome nel corso degli anni, da
"Tokyo University" ( 1 877- 1 886) a "Tokyo Imperia! University" ( 1 896- 1 948), fino a "University
of Tokyo" (1 948-presente).
5 Stopes studiò alla "Tokyo Imperia! University" nel periodo in cui il Dipartimento di
Botanica aveva sede nel Giardino Koishikawa ( 1 897-1935). Stopes e Fujii ebbero una sfortunata
relazione amorosa. Stopes pubblicò in seguito le loro lettere sotto lo pseudonimo G.N. Mort­
lake, col titolo Lave letters from a]apanese; cfr. MoRTLAKE 1921 e HALL 1977.

- 65 -
PARTE II - L' ALB E RO VIVENTE

considerato da alcuni come un manuale del sesso, fu bandito per oscenità


negli Stati Uniti fino al 1 93 1 . In un sondaggio sui libri più significativi del
XX secolo, Married Lave si è classificato subito dopo n capitale e prima di n
significato della relatività. Grazie ai suoi contributi in favore dei diritti delle
donne e alla sua formazione sulle aspettative delle donne nel matrimonio,
Marie Stopes è riconosciuta per aver guidato quasi da sola le donne inglesi
fuori dalla repressione dell'età vittoriana verso una più illuminata epoca di
consapevolezza sessuale.6
Comunque, Marie Stopes iniziò la sua carriera concentrandosi su un
traguardo più banale: lo studio delle piante. All'età di 1 8 anni vinse una
borsa di studio in scienze allo University College di Londra, dove conseguì
una doppia laurea in botanica e geologia in soli due anni. Completato il suo
dottorato di ricerca sulla riproduzione nelle Cycas, diventò il più giovane
dottore in scienze dell'Inghilterra all'età di 25 anni. L'Università di Man­
chester la assunse immediatamente come docente. Essa condusse impor­
tanti ricerche su diversi tipi di piante estinte e scrisse un classico articolo
su differenti tipi di carbone, che è ancora largamente citato. In un'epoca
durante la quale le donne dovevano affrontare ostacoli formidabili se vole­
vano perseguire una carriera scientifica, i suoi contributi alla geologia e alla
paleontologia furono straordinari. 7
Stopes e Fujii lavorarono a Monaco sotto la supervisione di Goebel,
ma un altro importante gruppo di botanici che in quel periodo studiava­
no la biologia e l'evoluzione delle piante si trovava a Heidelberg, diretti
dal grande botanico tedesco Eduard Strasburger, che si era interessato ai
dettagli della riproduzione di ginkgo negli anni '90 del XIX secolo. Richard
von Wettstein, professore di botanica all'Università di Vienna, gli inviò i
semi provenienti dall'innesto fatto dajoseph vonjacquin molti anni prima.
I semi furono inviati ogni due settimane da giugno fino all'inizio di settem­
bre; grazie ad essi Strasburger descrisse molti aspetti della riproduzione
sessuale di ginkgo. Tuttavia, gli sfuggì un dettaglio cruciale, che fu eviden­
ziato solo successivamente da Sak.ugoro Hirase, che lavorava al giardino
Koishikawa. 8

6 Ulteriori informazioni su Marie Stopes si possono trovare in molte biografie; cfr. HALL
1 977, BRIANT 1 962; un'antologia dei suoi lavori è pubblicata dalla stessa STOPES 1 9 1 8 e GARRETT
2007.
7 Secondo alcune fonti, l'Università di Manchester tentò di ritirare l'offerta quando i suoi
amministratori appresero che Stopes era una donna, ma in ogni caso ella ottenne l'incarico.
s Hirase lavorava al laboratorio botanico del Collegio delle Scienze dell'Università Im­
periale di Tokyo. Poco dopo la sua scoperta degli spermi mobili di ginkgo, il Dipartimento di
Botanica fu spostato al Giardino Botanico di Koishikawa, dove rimase dal 1 897 al 1 935 (comu­
nicazione personale di Toshiyuki Nagata, Hosei University).

- 66 -
9 . PRODUZIONE DI S E M I

Hirase era un esperto tecnico e illustratore. Nel 1 895 pubblicò un me­


ticoloso resoconto delle fasi di sviluppo embrionale del ginkgo. Nell'esta­
te 1 896, Hirase condusse uno studio molto dettagliato sui semi raccolti
dall'albero di Koishik.awa e il 9 settembre di quello stesso anno egli fu il
primo a osservare lo stadio finale, sfuggito fino a quel momento, della ri­
produzione sessuale del ginkgo.
Ciò che Hirase vide fu sensazionale per i botanici: i granuli di polline,
condotti nell'ovulo dalla goccia di impollinazione, producevano un tubetto
ramificato che si accresceva nei tessuti della parte superiore dell'ovulo. La
base rigonfia del tubetto, che pendeva nell'interno dell'ovulo, conteneva
un paio di grandi cellule spermatiche. Spinte dal moto sincronizzato di
bande spiralate di migliaia di minuscoli peli flessuosi, esse nuotavano per
superare la breve distanza che le separava dalla cellula uovo e fecondarla.
Egli si rese conto immediatamente che questo strano mezzo di fecondazio­
ne era diverso da quello di ogni altra pianta nota a quel momento. Spermi
mobili erano ben noti nelle felci, nei muschi e in organismi affini, ma non
erano mai stati osservati nelle piante che producono semi. 9
La scoperta di Hirase fu seguita, solo pochi mesi dopo, dal resoconto
dello stesso esatto fenomeno osservato nella comune palma del sago ( Cycas
revoluta) da Seiichiro Ikeno, che lavorava al collegio di agricoltura dell'Uni­
versità Imperiale di Tokyo e che si era ispirato al lavoro di Hirase. Entrambe
le scoperte erano altamente significative. Furono anche tra i primi contribu­
ti scientifici di ricercatori giapponesi capaci di incidere una profonda traccia
nella comunità internazionale. Nel 1 897 Ikeno e Hirase riepilogarono i loro
risultati in un articolo congiunto, scritto in inglese, e nel 1 9 1 2 furono i primi
biologi a ricevere il premio imperiale della Accademia giapponese. 1 0
Dal punto di vista della comprensione dell'evoluzione dei vegetali, le
scoperte di Ikeno e Hirase erano un inaspettato punto di svolta. Fino a quel
momento si riteneva che la fecondazione in ginkgo e cycas fosse simile a
quella delle conifere, in cui il gamete maschile viene trasportato alla cellula
uovo tramite l'accrescimento di un tubetto del granulo pollinico. La sco­
perta dello sperma mobile dimostrò che la riproduzione di ginkgo e cycas
era profondamente diversa e più simile a quella delle felci: risaliva quindi al
passato, a un periodo dell'evoluzione vegetale in cui la riproduzione era più
dipendente dalla disponibilità di acqua.

9 Le prime osservazioni sulla fecondazione in ginkgo furono pubblicate da Hirase nel


1 895 (HIRASE 1 895a, b), ma !"articolo fondamentale per il riconoscimento degli spermi mobili
apparve nel 1 896 (HIRASE 1 896).
IO Per ulteriori informazioni su Hirase e la sua scoperta si rimanda a IKENO - HIRASE 1 897
e NAGATA 1 997.

- 67 -
PARTE I I - L'A L B E RO VIVENTE

Marie Stopes, che lavorò all'Università di Tok:yo solo pochi anni dopo
la scoperta di Hirase, pubblicò un diario delle sue esperienze giapponesi
dove si trovano diversi riferimenti all'eccitazione procurata dalle sue repli­
che delle osservazioni di Hirase. Alla pagina del 1 7 settembre 1 907 si legge:
Questo è l'ultimo giorno per vedere nuotare gli spermatozoidi di ginkgo e ho
trascorso ore piacevoli in laboratorio a guardare i loro movimenti, simili a quelli
degli infusori, e le rapide vibrazioni delle loro ciglia. Non vedo l'ora di sezionare
altri semi di ginkgo!

L'anno successivo, nella pagina del 9 settembre 1 908, Stopes si riferisce


all'impegno necessario per cogliere il momento esatto nella fecondazione
in ginkgo:
Sono andata presto all'istituto, dove c'è grande aspettativa riguardo al ginkgo;
gli spermi hanno appena cominciato a nuotare e lo fanno soltanto per un giorno o
due ogni anno. Non è facile riuscire a vederli, su cento semi ce ne possono essere
solo cinque con gli spermi nel migliore dei casi, ma ci si può accontentare anche
di uno solo. Ho trascorso tutto il giorno a guardarli e ne ho visti tre . Molti erano
ancora nel tubo pollinico, non ancora maturi. È affascinante guardarli mentre
nuotano, le loro bande spiralate di ciglia ondeggiano energicamente.

Stopes trascorse i due giorni successivi «quasi sempre a caccia di sper­


ma di ginkgo )) . 1 1
Il significato del lavoro di Hirase e Ikeno fu ulteriormente sottolinea­
to da una scoperta paleobotanica fatta solo pochi anni più tardi in Inghil­
terra. Per molti anni i botanici si erano interrogati sul perché molte delle
grandi foglie fossili di felci scoperte nei giacimenti di carbone in Europa
e Nord America non avevano mai i grappoli di sporangi sul lato inferiore
della fronda, tipici della maggior parte delle felci moderne. Nel 1 903, F. W
Oliver, dello University College di Londra, e B.H. Scott di Kew, risolsero
l'enigma quando riuscirono a collegare in modo convincente una foglia
con semi fossilizzati, dimostrando così che molte cosiddette foglie fossili di
felci in effetti non erano prodotte da felci. Il loro lavoro rivelò l'esistenza di
numerosi diversi tipi di piante estinte, che erano in certo modo intermedie
tra le felci e le attuali piante a semi: vennero chiamate Cycadofilicales, o
felci con semi. Nel loro insieme, le scoperte di Hirase e Ikeno su ginkgo e
cycas e quelle di Oliver e Scott sui loro fossili contribuirono a colmare la
lacuna evolutiva tra le attuali felci e le piante a seme. 1 2

1 1 Le osservazioni degli spermi di ginkgo da parte di Marie Stopes furono fatte esatta­

mente dodici anni dopo quelle di Hirase (cfr. STOPES 1 9 10, p. 2 1 8).
1z Il lavoro di Oliver e Scott fu pubblicato nel 1903 e 1 904; per ulteriori informazioni circa
il suo significato si rimanda a ANDREWS 1 980.

- 68 -
9. PRODUZIONE DI S E M I

In ginkgo, la fecondazione normalmente avviene in tarda estate o all'i­


nizio dell'autunno e i semi sono rilasciati uno o due mesi dopo, al momen­
to in cui l'embrione è già ben sviluppato al loro interno.
A Chicago quasi tutti i semi di ginkgo sono a terra quando la tempera­
tura cala tra la metà e la fine di novembre. Solo pochi esemplari rilasciano
i semi con maggiore gradualità durante l'inverno. In ogni caso, nel tardo
autunno o dopo una tempesta invernale o un'ondata di gelo, quando i semi
di ginkgo ricoprono il terreno non è possibile confonderli con albicocche,
prugne o altre cose. L'odore è inconfondibile e potente. Un biochimico lo
descriverebbe come ricco di acido butirrico. Altri ne riconoscerebbero la
forte somiglianza con l'inconfondibile lezzo di vomito umano. Un con­
sigliere di un distretto londinese dovette convincere i residenti del luogo
che l'odore di cui si lamentavano non era causato dagli hooligan in preda a
ebbrezza alcolica fuori dalla stazione ferroviaria ma dai prodotti egualmen­
te maleodoranti di una grande femmina di ginkgo. Se ciò non bastasse, la
polpa contiene acido ginkgolico, una sostanza che causa allergia. Come
la quercia velenosa (Toxicodendron diversilobum) e l'edera velenosa (Toxico­
dendron radicans), essa può causare una fastidiosa irritazione cutanea. Se
raggiunge gli occhi, può richiedere il ricovero in ospedale. 13

1 3 Comunicazione personale di Liz Jaeger, consigliere del distretto di Whitton. Comu·


nicazione personale di Masamichi Takahashi, Niigata University (cfr. anche KoCHIBE 1997).
L'acido ginkgolico viene chiamato anche acido ginkgoico.

- 69 -
10.

Resilienza

La forza . . . proviene dalla volontà indomabile.


Mahatma Gandhi, Resistenza non violenta
(Satyagraha). 1

Brian Mathew è un entusiasta della botanica e come tale è stato attratto


irresistibilmente dalla opportunità di sviluppare tutta la sua carriera profes­
sionale a Kew. Spesso le persone con le piante nel sangue finiscono per lavo­
rare a Kew per tutta la loro carriera e vi rimangono legati, attraverso le ami­
cizie e le piante, anche molto dopo il pensionamento. Nel caso di Brian, la
maggior parte della sua vita professionale è trascorsa tra le grandi collezioni
di piante essiccate. Iniziato da WJ. Hooker, questo colossale erbario oggi
contiene circa otto milioni di campioni di piante essiccate. Probabilmente
si tratta della più grande collezione di questo tipo in tutto il mondo e Brian
vi svolgeva il ruolo di usare questa collezione come riferimento per identifi­
care accuratamente le piante coltivate nel giardino dagli orticoltori di Kew.
Per Brian, come per molte altre persone a Kew, le piante non sono solo
un lavoro ma una vera vocazione e la sua passione botanica si esprime in
molti modi. Brian è divenuto un esperto di bulbose come crochi e buca­
neve e si è impegnato nella loro conservazione in paesi come Turchia e
Georgia, dove i bulbi sono raccolti negli ambienti naturali per alimentare
l'esportazione commerciale. Inoltre ha scritto diversi libri ed è divenuto
un autore di successo; come molti a Kew, è divenuto anche un giardiniere
appassionato.

l GANDHI 196 1 , p. 133.

- 70 -
I O . RESILI ENZA

Nel 1 999, alcuni amici del suo stesso villaggio gli chiesero di progettare
e piantare un giardino nel terreno attorno alla chiesa. Raramente disposto
a dire "no" e sempre desideroso di aiutare, si mise al lavoro. Il progetto non
era finanziato, ma alcuni volontari dettero una mano con gli impianti, altri
contribuirono donando le piante. Tra le piante donate vi era un giovane
ginkgo che cresceva in un vicino giardino e che stava crescendo troppo nel
poco spazio disponibile. Era un piccolo albero, sano, ben radicato, di circa
tre metri. Lo spostamento di un albero, anche se piccolo, è sempre più dif­
ficile di quanto appare, ma Brian accettò la sfida. Egli pensò che se le radici
erano ben sviluppate, l'albero avrebbe avuto buone possibilità di sopravvi­
vere se fosse stato trapiantato mentre era ancora in fase di riposo invernale.
Brian aveva progettato di spostarlo dapprima in un vaso per ricevere le cure
del caso prima di essere messo a dimora.
Disgraziatamente, ciò che pareva semplice in teoria si rivelò assai dif­
ficile nella pratica. Il primo problema si manifestò appena Brian cominciò
a scavare. Negli anni il terreno si era accumulato attorno al tronco ed era
difficile trovare una radice, figuriamoci liberare l'intera sfera radicale. Fi­
nalmente, dopo aver scavato attorno al tronco per circa sessanta centimetri
e senza poter scavare più in profondità data la presenza di altre piante nei
dintorni, Brian trovò alcune radici laterali che spuntavano dal tronco. Al di
sotto, il tronco continuava regolarmente.
Brian a questo punto ritenne di non poter procedere nello scavo senza
approfittare troppo della generosità dei donatori e senza devastare il loro
giardino. Così, avvisando che la pianta poteva non sopravvivere al trapian­
to, egli tagliò il tronco sotto le radici laterali e lo piantò in un grande vaso.
Da esperto giardiniere, sapeva di dover potare drasticamente la chioma per
aumentare le scarse possibilità di sopravvivenza del giovane albero. Infatti
una o anche due radici non avrebbero assicurato l'adeguato apporto idrico
all'intera chioma, una volta che tutte le gemme si fossero aperte in prima­
vera. Quindi Brian potò con perizia il ginkgo, collocò il vaso lontano dalla
luce diretta del sole e si mise ad aspettare.
Con grande sorpresa, all'arrivo della primavera l'albero emise foglie sa­
nissime sui rami non potati e rimase vigoroso per tutta l'estate e l'autunno.
L'inverno seguente Brian trovò un'adeguata sistemazione per l'albero in
una zona usata per far giocare i bambini di un asilo. Ritenne infatti che le
caratteristiche foglie del ginkgo avrebbero incuriosito i piccoli. Nel vaso le
radici si erano ben sviluppate, si era formata una buona sfera radicale e la
pianta era in pieno rigoglio a dispetto del trauma subìto.
L'estate successiva l'albero produsse una bella chioma. Sfortunatamen­
te però talvolta giovani persone e giovani piante non vanno d'accordo. L'al­
bero fu spezzato proprio a metà del tronco, a un metro dal suolo. La pianta

- 71 -
PARTE Il - L'A L B E RO VIVENTE

era dunque un tronco nudo, spezzato a un'estremità, privo di rami e foglie.


Non c'era altro da fare se non riportarlo in terapia intensiva. Brian lo scavò
nuovamente, lo ripiantò nel vaso e restò a guardare se si sarebbe ripreso
o no. E di nuovo risuscitò, questa volta con ricacci a livello del suolo tutto
attorno al tronco. Presto si formarono diversi nuovi tronchi e la ripresa fu
rapida e persistente.
La resilienza del ginkgo sperimentata di persona da Brian non è insoli­
ta. La sua resistenza rispetto all'abuso è uno dei motivi per cui è un ottimo
albero per le strade di città. Inoltre è facile propagarlo da piccole talee, che
radicano facilmente e producono nuove piante.
Ciò probabilmente spiega come il ginkgo si è diffuso di giardino in giar­
dino quando è stato introdotto in Europa per la prima volta. Come Brian
ha osservato, l'anatomia del ginkgo presenta una peculiarità che consente
di proseguire la crescita quando il tronco principale viene danneggiato. Il
ginkgo, in altre parole, può riprodursi in modo alternativo rispetto alla ne­
cessità di completare il ciclo riproduttivo sessuale, con le sue complicazio­
ni, i suoi rischi e possibilità di fallimento.
Questi sistemi alternativi sono molto ben sviluppati in alcuni alberi. I
salici, che spesso crescono lungo i corsi d'acqua, si perpetuano facilmente
in natura. I rametti si spezzano, vengono trasportati dalla corrente, si in­
cuneano in una sponda e lì radicano. Il pioppo, parente del salice, è altret­
tanto vigoroso e può far crescere rami dalle radici verso l'alto, che danno
l'impressione di esemplari distinti, ma che in realtà hanno interconnessioni
sotterranee e sono geneticamente identici. La crescita di nuove piante in
questo modo non è comune in ginkgo ma anche esso incorpora analoghi
mezzi di riproduzione autonoma. Grazie ad essi, lo stesso albero può occu­
pare lo stesso luogo per un lungo periodo e - come nel caso della pianta di
Brian - se il tronco principale viene danneggiato, si formano rapidamente
altri fusti che lo sostituiscono. 2
Un aspetto caratteristico di alcuni ginkgo, specialmente degli esempla­
ri più vetusti, è la produzione di peculiari rami che si sviluppano verso il
basso a partire da rami normali. Il loro accrescimento ricorda quello delle
stalattiti della volta di una caverna. Quando molti si sviluppano da un solo
ramo normale, evocano l'immagine daliniana di una struttura fatta di cera
che comincia a sciogliersi, come in alcune opere di Salvador Dalì. Alcuni

z Nello Utah, una colonia clonale di pioppo tremulo, chiamata Panda, è ritenuto il più
pesante e secondo alcuni il più vecchio organismo vivente. Ha più di 47000 fusti su una superfi­
cie di circa 50 ettari e si stima che pesi 6000 tonnellate. La vita media di un fusto è 130 anni, ma
alcuni stimano che delle piante geneticamente identiche - parti dello stesso clone - esistessero
diecimila o più anni fa.

- 72 -
1 0. RES I L I ENZA

rami-stalattite possono spingersi verso il basso per due metri e appena toc­
cano terra producono nuovi fusti, regolarmente diretti verso l'alto. Ogni
ramo-stalattite può svilupparsi fino a diventare un nuovo tronco di dimen­
sioni considerevoli e può separarsi dalla pianta madre. Negli alberi molto
vecchi, con un gran numero di tronchi originati dai rami-stalattite, è spesso
difficile stabilire quale sia il tronco principale originario.
In Giappone i rami-stalattite sono detti "chi-chi" , letteralmente "mam­
melle" , sulla base di una leggenda secondo cui le madri che vi indirizzano
le loro preghiere godono di una più abbondante lattazione.
In Cina essi sono chiamati zhong-ru, cioè 'stalattiti' . Lo stimolo per la
loro crescita non è noto, ma alcuni studi hanno dimostrato che essi si for­
mano a partire da piccole gemme che rimangono annidate in profondità
nel legno dei rami mentre questi si sviluppano normalmente ed hanno la
capacità di riattivarsi in un secondo momento.
Ogni foglia di ginkgo ha una piccola gemma ascellare - potenzialmente
un nuovo ramo - e mano a mano che il ramo su cui si trova cresce in diame­
tro, le gemme che si trovavano all'esterno talvolta vengono ricoperte dai tes­
suti circostanti. Il ginkgo forma raramente chi-chi da giovane, ma il poten­
ziale di crescita delle gemme "nascoste" è sempre presente in forma latente.3
Peter Del Tredici, uno dei massimi esperti mondiali di ginkgo, che lavora
all' Arnold Arboretum dell'Università di Harvard, ha dimostrato che le gem­
me nascoste si costituiscono a partire dallo stadio di plantula, proprio all'i­
nizio della vita di una nuova pianta, e sono una normale caratteristica della
crescita di ginkgo. In tutte le piante di ginkgo, le piccole gemme che si tro­
vano nell'ascella delle foglie cotiledonari, le prime foglie prodotte dall' em­
brione, restano inattive e diventano incorporate nella base dell'albero. Se
la giovane pianta viene danneggiata, come è accaduto all'albero curato da
Brian, una di queste gemme nascoste cresce verso il basso dalla base del
fusto e produce un chi-chi basale lignificato, un cosiddetto legnotubero, che
può produrre nuovi fusti e rami, nonché nuove radici. Secondo Del Tredici,
i legnotuberi forniscono anche un solido ancoraggio su terreni instabili. 4
L'effetto combinato dell'esteso sviluppo di chi-chi e della loro vigoro­
sa capacità di autopropagazione produce architetture spettacolari, molto

J Chi-chi è stato tradotto anche come "capezzoli" in giapponese. FUJll 1 896 studiò l'a­
natomia interna dei chi-chi e rivelò che ognuno, in prossimità del punto di attacco al ramo,
contiene all'interno un brachiblasto, le cui gemme continuano a crescere in maniera tale da
mantenersi allineate verso il basso. Queste gemme possono sbocciare al contatto col terreno,
o anche prima, e emettere nuovi fusti che crescono verso l'alto. Per ulteriori dettagli sullo svi­
luppo dei chi-chi si rimanda a BARLOW - KuRCZYNSKA 2007.
4 Per dettagli sullo sviluppo dei legnotuberi si rimanda a DEL TREDICI 1 992a.

- 73 -
PARTE I I - L'A L B E RO VIVENTE

evidenti nei giganteschi ginkgo della prefettura di Aomori, nell'Honshu


settentrionale in Giappone. Nel villaggio di Kitak.anegasawa se ne trova
uno dei più impressionanti, un vero gigante che cresce intrappolato tra le
fitte abitazioni e la principale strada costiera. Il ginkgo di Kitakanegasawa
cresce proprio dove il ripido pendio della montagna termina nella stretta
pianura costiera. Benché si trovi a poche centinaia di metri dal mare, le sue
radici assorbono acqua da sorgenti naturali di acqua dolce ed è ben pro­
tetto nel versante sottovento del promontorio di Odosesaki, che lo ripara
dalle impetuose tempeste invernali che giungono da occidente.
Visto dal piccolo parcheggio costruito per i visitatori dal locale dipar­
timento per il turismo, il ginkgo di Kitakanegasawa è l'immagine della sa­
lute. La chioma è enorme, vigorosa e rigogliosa, con pochi rami morti o
foglie ingiallite, ma all'interno la sua personalità cambia: vi si nota molto
legno morto e l'impalcatura dell'albero riflette la sua crescita inarrestabile.
I molteplici tronchi e rami, molti dei quali spezzati, mostrano i segni delle
battaglie combattute per secoli contro pesanti nevicate, tifoni, forse anche
terremoti. L'intreccio delle radici si intravede dove il sottile strato di suolo
e di foglie cadute è stato consumato dai piedi dei turisti.
Perfino i ginkgo più grandi non si avvicinano alla grandezza di una
sequoia gigante o alla vetustà di un pino aristato, ma un ginkgo veramente
grande, come quello di Kitakanegasawa, è comunque una grande mera­
viglia della natura. Ci si può camminare dentro, anziché passarci sotto, e
quando si entra si è circondati da un complicato intreccio di grandi rami
verticali e orizzontali, misti a chi-chi diretti verso il basso dai rami più gran­
di. Ovunque ci sono snelli e vigorosi polloni che spuntano dal tronco e dai
rami maggiori. Il ginkgo di Kitakanegasawa è più simile a un boschetto che
a un albero; la circonferenza combinata dei suoi tronchi supera i 22 metri.
Tre tronchi hanno raggiunto dimensioni considerevoli e sono già circonda­
ti da polloni. Con la loro capacità potenziale di crescita indipendente, essi
forniscono una buona assicurazione per il futuro.5
In questo modo il ginkgo, lungo la sua storia evolutiva, ha minimizzato
i rischi. Può sopravvivere e propagarsi in modi diversi. Il ciclo di impollina­
zione, fertilizzazione, dispersione, germinazione e radicamento è un pro­
cesso apparentemente fragile. Esso dipende dalla precisa sincronizzazione
dello sviluppo del polline e degli ovuli portati su alberi diversi e da condi­
zioni favorevoli per lo sviluppo e la crescita della plantula, ma abbiamo le
prove che ciò funziona bene fino dalla preistoria. Questi processi sono in

5 Un'illustrazione del ginkgo di Kitakanegasawa è riportata nel disegno che introduce la


II parte.

- 74 -
1 0. RESILI ENZA

corso da più di 200 milioni di anni senza interruzioni, probabilmente in


modi non molto differenti da quelli messi in atto dalla specie vivente.
Gli esemplari femminili di ginkgo producono facilmente grandi quan­
tità di semi, anche con un solo maschio nei dintorni. I maschi di ginkgo,
come quelli di altre specie, sono quasi del tutto, ma non completamente,
sacrificabili. n ginkgo possiede un sistema di sicurezza che prevede la occa­
sionale produzione di un limitato numero di semi da parte di individui ma­
schili. Poi non è del tutto fuori luogo, quantunque molto raro, che un sin­
golo seme riesca a produrre due nuove piante, un maschio e una femmina.
n ginkgo è anche resistente al maltrattamento fisico, che significa che
il tempo è dalla sua parte. Potenzialmente può aspettare fino a che non sia
disponibile un partner. Può emettere vigorosi ricacci dalle gemme nascoste
nelle sue parti sotterranee. È inarrestabile: la sua capacità di autoconserva­
zione l'ha aiutato a sopravvivere per milioni di generazioni.
n ginkgo di Kitakanegasawa è un esempio della resilienza di questa
specie. I residenti del luogo ritengono che sia il più grande del mondo. È
stato dichiarato Tesoro nazionale soltanto nel settembre 2004. Non è chia­
ro perché non è stato censito nei primi rilevamenti nazionali dei grandi
ginkgo del Giappone. Ora è riconosciuto come il quarto albero più gran­
de del paese ed è sicuramente il ginkgo più imponente. Un appassionato
sta raccogliendo le prove che spera serviranno a inserirlo nel Guinness dei
primati mondiali. Ma in un mondo dove il paesaggio ha subìto così tante
alterazioni da parte dell'uomo, l'aspetto più importante è il profondo le­
game che unisce i residenti locali a questo meraviglioso albero. Per loro, e
per chiunque si senta in empatia con la natura, questa grande pianta è una
testimonianza di tenacia e di forza durature.

- 75 -
Parte III
Origini e p reistoria
Pagina precedente: tre piante simili a ginkgo estinte, scoperte in Cina e risalenti al Giurassico
medio, circa 1 70 milioni di anni fa. Sono Ginkgo yimaensis (a sinistra), Yimaia recurva (a de­
stra) e Karkenia henanensis (in basso).
11.

Le origini

Per ogni cosa c'è momento, il suo tempo per ogni


faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e
un tempo per morire . . .
Ecclesiaste 3 : 1 -2.

Carlo Linneo, il naturalista settecentesco che ha coniato il binomio


Ginkgo biloba, è annoverato con Svante August Arrhenius e Anders Celsius
tra i maggiori scienziati svedesi. È raffigurato nel collage dei più noti citta­
dini svedesi che accolgono nella loro "città natale" i viaggiatori in arrivo
all'aeroporto Arlanda di Stoccolma e la sua immagine appare sulla ban­
conota da cento corone. Linneo ha trascorso tutta la vita in Europa, ma il
suo nome è noto in tutto il mondo, principalmente grazie ai suoi intrepidi
studenti che hanno viaggiato in tutto il globo per raccogliere piante e por­
targliele affinché le studiasse. Linneo è stato il leader dell'impegno a orga­
nizzare in modo sensato la massa di conoscenze che si era rapidamente
accumulata in seguito alle esplorazioni geografiche condotte dagli europei
nei più remoti angoli del mondo.
Linneo è stato una potenza onnipresente in Svezia. Ha dominato l'Uni­
versità di Uppsala per decenni e nella veste di medico del re ha avuto l'at­
tenzione della famiglia reale. Era un docente carismatico capace di ispirare
i propri studenti. Le sue escursioni naturalistiche nelle campagne intorno a
Uppsala erano leggendarie. Musica e ricchi picnic accompagnavano le sue
lunghe dissertazioni sugli alberi, i fiori, gli uccelli e gli insetti.
Linneo poteva essere vanesio e borioso, ma non ci possono essere dub­
bi sul suo genio o sulla sua straordinaria energia. È stato uno dei membri
fondatori della Reale Accademia Svedese di Scienze, che oggi è nota per il

- 79 -
PARTE I I I - ORIGINI E PREISTORIA

conferimento dei Premi Nobel in fisica, chimica e medicina. Comunque


la biologia rimane una parte importante del lavoro dell'Accademia, il cui
interesse verso la diversità vegetale prosegue tramite il supporto fornito
al vicino Orto botanico di Bergius e i legami - storici e correnti - con il
Museo Svedese di Storia Naturale. Ciascuna di queste tre grandi istituzio­
ni svedesi - l'Accademia, l'Orto botanico e il Museo, raccolti insieme a
Fresca ti, all'estremità settentrionale di Stoccolma - ha avuto un importan­
te ruolo nell'ampliamento delle conoscenze sul ginkgo e la sua posizione
nell'evoluzione delle piante. 1
Il Museo Svedese di Storia Naturale ospita una delle più grandi collezio­
ni al mondo di piante fossili. Gli scienziati che vi si sono avvicendati sono
stati leader nella paleobotanica, a partire dal famoso esploratore dell'Artico
Alfred Nathorst, nominato professore nel Dipartimento di piante archego­
niate e fossili nel 1 884, poco dopo la sua fondazione. Molto di ciò che oggi
sappiamo delle piante di ere passate può essere ricondotto alle scoperte di
Nathorst e alle tecniche di studio dei fossili da lui messe a punto.2
La mia collega di lunga data, Prof. Else Marie Friis, ha ora l'incarico
già tenuto da Nathorst al Museo Svedese di Storia Naturale e supervisiona
la imponente collezione di piante fossili accumulata da lui e dai suoi suc­
cessori. Oggi 250.000 reperti, raccolti in tutto il mondo, sono contenuti
in oltre settemila cassetti e centinaia di armadi disposti su tre piani di un
edificio che lo stesso Nathorst ha contribuito a progettare. La collezione è
eguagliata in consistenza, ambito e qualità soltanto da quelle del Museo di
Storia Naturale di Londra e dal Museo Nazionale di Storia Naturale degli
Stati Uniti allo Smithsonian Institute di Washington, D.C . Unitamente alle
collezioni di altre Università e Musei, questi grandi depositi di fossili vege­
tali sono usati dagli scienziati di tutto il mondo e contengono i campioni
fisici sui quali poggia la nostra conoscenza del ginkgo e di altre piante.
Nelle collezioni di Stoccolma si trovano foglie di ginkgo raccolte da
Nathorst nel corso di spedizioni in Groenlandia e altrove. Ci sono altri suoi
campioni meravigliosamente conservati, raccolti verso la fine del XIX se­
colo al culmine del periodo dell'estrazione di carbone nella Svezia meridio­
nale, ma tra tutti i reperti di ginkgo del Museo di Stoccolma il campione
più bello è una lastra di siltite raccolta negli anni settanta del XX secolo a
Ishpushta, Afghanistan centrale. Lasciato in eredità dal paleobotanico te-

1 Le prime collezioni del Museo svedese di Storia naturale furono quelle della Reale Ac­

cademia Svedese.
z Alfred Nathorst (1 850-1 920) andò in pensione nel 1919; cenni biografici si trovano in
SEWARD 1921 e ANDREWS 1 980.

- 80 -
I l . LE O R I G I N I

desco Hans Joachim Schweitzer, esso è ricoperto dalle belle impronte ne­
ro-lucenti di più di otto foglie quasi complete di ginkgo, che Schweitzer e il
collega Martin Kirchner hanno identificato come Ginkgo cordilobata. 3
La grande lastra con ginkgo dell'Afghanistan proviene da rocce del Giu­
rassico inferiore, che si sono sedimentate vicino alle sponde di un antico
mare, circa 1 90 milioni di anni fa. Ciascuna foglia è divisa in sei segmenti e
ogni segmento è a sua volta profondamente bilobato. Esse sembrano foglie
di giovani piantine di ginkgo piuttosto che di esemplari adulti, ma la loro
identità non è in discussione; non serve uno specialista per vedere all'istante
il nesso con il comune albero delle nostre strade e dei nostri giardini. Que­
sta lastra di per sé basta a suggerire la grande antichità della stirpe del gin­
kgo, ma solleva una questione ancor più basilare: da dove viene il ginkgo?
Per collegare i ginkgo viventi alle piante con semi che sono vissute tra
3 60 e 1 90 milioni di anni fa, il criterio tradizionale è la ricerca degli antena­
ti, a cominciare dai fossili considerati sicuramente connessi con i moderni
ginkgo per procedere poi verso l'esterno e all'indietro fino a considerare
altri fossili che potrebbero avere un legame con altri tipi di piante con semi.
Ginkgo cordilobata dell'Afghanistan dimostra che piante con foglie simili a
quelle dei ginkgo moderni erano già evolute all'inizio del Giurassico, tra
200 e 1 75 milioni di anni fa. Foglie simili sono note anche negli strati pre­
cedenti del tardo Triassico e in particolare si distinguono le belle e ricche
raccolte di piante fossili delle rocce della Molteno Formation, che si trova
nel bacino del Karoo in Sudafrica.
I fossili di Molteno sono stati raccolti e studiati per lungo tempo da
John e Heidi Anderson al South African National Biodiversity Institute a
Pretoria. La loro imponente collezione, che conta più di 2 7000 campioni,
proviene da quasi settanta diverse località estese su un'ellisse tra la Pic­
cola Svizzera e il Golden Gate - nella parte settentrionale del bacino del
Karoo - a Askeaten, Aasvoelberg e Bamboesberg in quella meridionale. I
fossili si sono conservati in forma di belle impronte in argille e siltiti scure
e grigio-giallastre.
La raccolta delle piante fossili della Molteno Formation è stato il lavo­
ro di tutta la vita per John e Heidi Anderson. Ambedue sono cresciuti in
Sudafrica e avevano perso ogni speranza nel sistema basato sull'apartheid,
ma nella loro vita professionale, in decenni di isolamento quasi totale nella

3 Gli studi di Nathorst dei fossili delle Spitsbergen sono riveduti e discussi da KvAC E K et
al. 1 994. Cfr. SCHWEITZER - KIRCHNER 1 995 per ulteriori informazioni su Ginkgo cordilobata e le
altre piante fossili che lo accompagnano. Le collezioni di Stoccolma comprendono circa trenta
dei campioni di ginkgo raccolti da Nathorst (Else Marie Friis, Museo Svedese di Storia Natura­
le, comunicazione personale).

- 81 -
PARTE I I I - ORIGINI E PREISTORIA

comunità scientifica, essi trascorsero molte estati e innumerevoli fine setti­


mana a diventare amici di fattori e allevatori e ad esplorare le loro proprietà
in cerca di nuovi siti fossiliferi. I campioni fossili venivano poi trasportati
nel laboratorio a Pretoria dove erano accuratamente catalogati, descritti
e fotografati. Il primo resoconto fu dedicato ai fossili più comuni. Nel se­
condo, i fossili di Molteno furono presentati nel contesto di tutti gli altri
ritrovamenti di piante fossili in Sudafrica. Successivamente, gli Anderson
pubblicarono due cataloghi splendidamente illustrati della ricca varietà di
piante con semi e felci che vivevano nelle lussureggianti foreste e paludi
che occupavano l'estremità meridionale del continente africano, oggi un
territorio arido.
Foglie fossili di ginkgo si ritrovano in una località su cinque della Molte­
no Formation. Gli Anderson riconoscono sei specie diverse, che in via cau­
telativa hanno assegnato non al genere Ginkgo ma al genere strettamente
correlato Ginkgoites, frequentemente usato dai paleobotanici per le foglie
simili a quelle di ginkgo. Alcune, come quelle di Ginkgoites koningensis e
Ginkgoites matatiensis, somigliano a quelle di Ginkgo cordilobata trovate da
Schweitzer e Kirchner in Afghanistan. Altre, come quelle di Ginkgoites mu­
riselmata, hanno lobi fogliari appuntiti. Ginkgoites telemachus presenta una
variazione su questo tema, ma con lobi fogliari irregolarmente dentati.
Tutte queste specie, almeno per quanto riguarda le foglie, sono indubbia­
mente connesse al ginkgo vivente e si ritrovano ripetutamente associate a
strutture che portano semi, che John e Heidi hanno chiamato Avatia, e ad
altre che probabilmente sono coni maschili portatori di polline, che hanno
chiamato Eosteria. Per quanto possiamo vedere, questi semi e coni maschili
non differiscono molto dalle analoghe strutture dei ginkgo attuali e la loro
relazione con essi è considerata sicura.
I fossili di Molteno risalgono a circa 220 milioni di anni fa; essi spostano
i ritrovamenti fossili di ginkgo indietro di circa 30 milioni di anni rispetto
a Ginkgo cordilobata. Foglie fossili di ginkgo di età comparabile sono state
rinvenute in molte altre parti del mondo, incluso il Canada settentrionale,
l'America nordorientale, gli Stati Uniti sudoccidentali e il Messico nordoc­
cidentale. Anche il legno simile a quello di ginkgo è stato descritto in loca­
lità appena fuori dal Petrified Forest National Park in Arizona. Comunque,
nelle formazioni ancora più antiche non si trova più traccia di ginkgo. Se­
condo i resoconti degli Anderson, i fossili più antichi di foglie di ginkgo in
Sudafrica risalgono alla prima parte del Triassico medio, circa 240 milioni
di anni fa. Nell'intero emisfero australe questi antichi ginkgo sono molto
diffusi e i primi sono datati all'inizio del Trias, circa 245 milioni di anni fa.
Non ci sono reperti precedenti nell'emisfero boreale e prima di questo pe­
riodo la documentazione fossile del ginkgo si esaurisce.

- 82 -
I l . LE O R I G I N I

È difficile rintracciare i progenitori del ginkgo ancora più lontano nel


tempo. I fossili perdono la somiglianza con l' albero vivente e le loro rela­
zioni divengono incerte . Rudolph Florin, uno dei grandi paleobotanici del
ventesimo secolo, membro della Accademia Reale Svedese e direttore del
Giardino Bergianska, fu tra i primi a individuare con decisione il collega­
mento tra il ginkgo e alcune piante fossili del Permiano, l'era geologica che
precede il Triassico.
Sfortunatamente, mentre vi sono molte piante fossili , specialmente
permiane o triassiche , importanti per comprendere l'origine del ginkgo
vivente, è difficile decidere quali siano le più importanti. Talvolta la diffi­
coltà deriva dalla conoscenza poco approfondita dei fossili, che ostacola
il confronto, ma ci si scontra anche col problema di come considerare e
inquadrare le somiglianze e le differenze che si osservano. Ad esempio,
dovremmo concentrarci più sulle foglie o sui semi? Come selezionare idee
che sono in competizione tra loro? Queste incertezze suggeriscono che
noi dovremmo ricercare un diverso modo di elaborare il problema, anzi­
ché semplicemente cercare di rintracciare gli antenati del ginkgo scorrendo
all'indietro la documentazione fossile.
Anziché ricercare gli antenati, un criterio alternativo è individuare i
gruppi di piante , viventi o fossili, alle quali il ginkgo è più vicino in senso
evolutivo. Ad esempio, il ginkgo è più vicino alle cycadali o alle gimno­
sperme? Porre la domanda in questi termini impone di valutare le evi­
denze di idee alternative riguardo le relazioni tra diversi gruppi di piante
con semi. Dobbiamo evidenziare chiaramente ciò che sappiamo e ciò che
non sappiamo, in modo tale da poter scegliere tra idee alternative . Questo
procedimento, basato su gradi relativi di affinità, è il criterio principale
per affrontare la questione delle "origini" in tutte le discipline biologiche ,
indipendentemente dall'organismo investigato, sia esso un mammifero o
il virus HIV.
I metodi moderni per valutare le relazioni evolutive degli organismi si
sono sviluppati a partire dal lavoro dell'entomologo tedesco Willi Hennig.
Specialista di ditteri fossili e viventi, Hennig iniziò le sue ricerche negli anni
1 930- 1 940, ma il suo lavoro più autorevole, Grundzii.ge einer Theorie der phylo­
genetischen Systematik, fu avviato alla fine della seconda guerra mondiale,
mentre era prigioniero dell'esercito britannico. Il libro fu pubblicato nel 1950
e in lingua inglese nel 1 966, tradotto a cura del Field Museum di Chicago.
In anni successivi, tra il 1 9 70 e il 1 990, le idee di Hennig furono svilup­
pate e elaborate in vivaci e talora velenosi dibattiti, animati principalmente
da personaggi chiave dell'American Museum of Natural History di New
York e del Natural History Museum di Londra. Per un giovane ricercatore
impegnato in questo ambito disciplinare sulle due sponde dell'Atlantico

- 83 -
PARTE I I I - O R I G I N I E PREISTORIA

alla fine degli anni '70 e inizio anni '80 dello scorso secolo, era affascinante ,
sebbene non sempre incoraggiante, osservare da vicino questa rivoluzio­
ne scientifica. Si trattava di un vero e proprio cambio di paradigma nella
moderna biologia evolutiva. Anche restarne ai margini era esaltante. Il ri­
sultato fu una nuova base teorica che permetteva di prendere in esame e
risolvere le questioni riguardanti le relazioni evolutive .4
La scoperta fondamentale di Hennig fu l'individuazione di un rappor­
to gerarchico tra diversi tratti posseduti dagli organismi, che rendeva con­
vincente l'uso di un semplice modello di processo evolutivo filogenetico.
Indipendentemente dai tratti considerati, che possono variare da struttu­
re caratteristiche degli organismi a sequenze di DNA, il ragionamento di
Hennig ne contemplava l'uso per definire gruppi sempre più ristretti anni­
dati uno dentro l'altro come una matrioska . L' appartenenza ai gruppi defi­
nisce le relazioni filogenetiche con i gruppi ai diversi livelli della gerarchia.
In pratica, ciò significa che le relazioni sono definite in modo relativo.
Ad esempio, i ginkgo e le conifere sono considerati più strettamente colle­
gati tra loro che con i muschi, poiché entrambi appartengono a un gruppo
di piante, le piante vascolari, definito dalla presenza di cellule in grado di
condurre l' acqua grazie a pareti dotate di una speciale struttura di soste­
gno. Allo stesso modo, i ginkgo e le conifere sono considerati più affini tra
loro che alle felci, poiché appartengono a un gruppo di piante definito per
mezzo della capacità di produrre gli imponenti tessuti legnosi che si osser­
vano comunemente nel tronco di un albero. Nessuna felce vivente produce
legno o diventa un albero. Al successivo livello gerarchico, i ginkgo e le
conifere appartengono a un gruppo più inclusivo, le piante con semi, che si
riproducono tramite semi anziché tramite spore, e così via.
In molti casi la gerarchia di questi tratti caratteristici non è chiara e i
livelli di relazione sono difficili da capire . Talvolta capita che tratti diversi
suggeriscano gerarchie diverse, che a loro volta implicano l'adozione di
modelli filogenetici in contrasto tra loro. La situazione diventa ancora più
complicata quando si considerano le forme fossili, per le quali non tutte le
informazioni chiave sono disponibili.
Occorre poi considerare che non è facile confrontare organismi che
differiscono vistosamente per struttura e biologia . Per esempio, come si

4 Una sinossi delle idee di Heruùg fu pubblicata in inglese nel 1 965 (HENNIG 1965). Il
libro di Heruùg fu tradotto in inglese principalmente a cura di Rainer Zangerl, specialista di
pesci fossili e mio predecessore a capo del Dipartimento di Geologia al Field Museum di Chi·
cago (cfr. HENNIG 1 966). HuLL 1 988 dà indicazioni sul genere di dibattito - vigoroso e talvolta
offensivo - che si accendeva riguardo allo sviluppo della cladistica e sulle personalità che vi
partecipavano.

- 84 -
I l . LE ORIGINI

possono confrontare un ginkgo e un muschio, o un riccio di mare e uno


squalo? I confronti puntuali spesso sono difficili da realizzare. Per questo
motivo, lo studio delle relazioni evolutive ha ricevuto un forte impulso dal­
la scoperta di semplici metodi di estrazione di brevi sequenze di molecole
di DNA da diversi tipi di organismi, che possono essere comparate in modo
chiaro con appropriati software di analisi. In ambito vegetale , la prima appli­
cazione su larga scala dell'uso di dati molecolari analizzati al computer per
mettere in pratica le idee di Hennig risale agli anni '90 del XX secolo. Da
allora c'è stato un rapido progresso verso la comprensione delle relazioni
filogenetiche tra diversi gruppi di piante .
A prima vista, specialmente alla luce dei rapidi progressi fatti in altri
gruppi vegetali, che contemplano un numero molto maggiore di piante e
dove si è raggiunto un ampio consenso sui modelli filogenetici, collocare il
ginkgo nell'ambito delle piante a semi viventi non sembra difficile. Dopo­
tutto, oltre allo stesso ginkgo, ci sono soltanto quattro gruppi viventi: co­
nifere, cycadali, piante con fiori e un peculiare , oscuro gruppo noto come
Gnetales. Abbiamo a disposizione un' enorme quantità di informazioni
circa le somiglianze e differenze delle loro sequenze di DNA. Il sequen­
ziamento di frammenti sempre più lunghi di DNA, o perfino dell'intero
DNA di un organismo è diventato meno costoso negli ultimi anni e i costi
continuano a scendere . Dovrebbe essere facile determinare quale tra i 1 05
potenziali modelli filogenetici disponibili per i cinque gruppi riceve il mag­
gior supporto da tutti i dati a disposizione. 5
L e interrelazioni tra i cinque gruppi viventi di piante a semi hanno rice­
vuto moltissima attenzione , a partire dagli articoli pubblicati trent' anni fa,
ben prima dell'applicazione delle tecniche molecolari a questo tipo di pro­
blema. Il principale impegno si è sviluppato nel tentativo di comprendere le
relazioni delle piante con fiori, nell'intento di svelarne l'origine evolutiva.
Tuttavia, siamo ancora lontani da un consenso su quale tra i molti e diversi
modelli filogenetici costruiti con diversi tipi di analisi, con diversi tipi di
dati, sia quello che più accuratamente riflette l'effettivo percorso evolutivo.
Quando si includono nelle analisi anche molti gruppi estinti di piante con
semi - restringendo di conseguenza i dati alle informazioni che possono
essere ricavate dai fossili - emergono ulteriori, differenti modelli filogene­
tici. In analisi basate sulle sequenze di DNA o sui fossili, il ginkgo sembra
più affine alle conifere che a ogni altro gruppo di piante viventi. Tuttavia,

5 Le Gnetales comprendono tre generi a prima vista differenti, ma fondamentalmente


simili: Ephedra, noto in America come tè dei Mormoni, Welwitschia, dall'aspetto bizzarro, ri­
stretta alla Narnibia, che produce solo due foglie in tutta la vita, e Gnetum, albero o rampicante
delle foreste tropicali le cui foglie sono molto simili a quelle delle piante con fiori.

- 85 -
PARTE I I I - O R I G I N I E PREISTORIA

altre analisi arrivano a conclusioni differenti e trovano invece che le conife­


re sono più affini alle Gnetales, mentre il ginkgo mostra pari affinità verso
entrambi i gruppi. Considerati tutti gli sforzi già messi in atto per cercare
di risolvere questo problema, forse la risposta definitiva alla domanda se il
ginkgo sia più affine alle conifere, alle Cycadales, alle piante con fiori, o alle
Gnetales non emergerà mai dall'uso della potenza bruta di calcolo applica­
ta a una mole sempre più grande di dati molecolari. Ma anche se le relazio­
ni del ginkgo con le altre piante a semi viventi potessero essere individuate ,
la risposta probabilmente non sarebbe utile rispetto a ciò che veramente
vogliamo conoscere, cioè come si posiziona il ginkgo nel più ampio scena­
rio della diversità delle piante, sia viventi sia estinte? La soluzione di questo
problema richiederà analisi più approfondite , ponderate e integrate, delle
somiglianze e differenze tra ginkgo e altre piante, soprattutto quelle note
soltanto allo stato fossile, sulle quali abbiamo ancora molto da imparare .
Dovremo anche interpretare i segnali apparentemente contrastanti portati
da diversi tratti caratteristici e armonizzarli in modelli filogenetici più vici­
ni al reale percorso evolutivo.
In questo momento possiamo soltanto avanzare una debole , generica
ipotesi che il ginkgo è probabilmente derivato da quei gruppi di piante
con foglie semplici e semi piatti che si sono diversificati durante l'ultimo
periodo del Paleozoico. Questi gruppi rappresentano la seconda ondata
evolutiva di piante con semi, che ha avuto inizio circa 300 milioni di anni fa
e che si è sovrapposta alle più antiche piante con semi del Devoniano e del
C arbonifero. Tutta questa incertezza lascia un senso di frustrazione, ma al
momento non è possibile spingersi oltre . A dispetto dei nostri sforzi, l'esat­
ta collocazione del ginkgo nel grande schema dell'evoluzione delle piante
sfugge alla nostra osservazione .

- 86 -
14

Fig. 1 4 . Foglie fossili di Ginkgo cordilobata risalenti al Giurassico inferiore dell'Afghanistan,


databili a 1 90 milioni di anni fa .
Fig. 1 5 . Ginkgo huttoni scoperto nelle sabbie di un antico fiume nello Yorkshire , Inghilterra,
datato a 1 70 milioni di anni fa .
Fig. 1 6. Foglia fossile d i Gi11kgo australis. databile a
circa 1 3 0 milioni di anni fa.
Fig. l 7. Seme di Ginkgo era nei del North Dakota. di
circa 57 milioni di anni fa.
Fig. 1 8 . Foglia di Ginkgo cra11ei del '-lorth Dakota. di
circa 57 milioni di anni fa.

16

18
Fig 1 9 . :\I b e r o Ji g i n kgo a \\ 'e i m a r. G e r m a n i a . c i t t à n a t a l e di G o e t h e . Il p o e t a fu colpito J a l l a
s m go l a ri t à Ji q u e s t a p i .m t a .
2!J

21

Fig. 2 0 . C n o tra i più antichi fo ssili e u ropei d i u n antenato del g inkgo. risalente a circa 2-+5 milioni
di anni fa .
fig. 2 1 . Foglie di ginkgo della \ l o n goli a Interna. datate a circa !.lO milioni di anni fa .
12.

Riconoscimento

Troppa luce è spesso abbacinante per i gentiluo­


mini come lui. Essi non possono vedere la foresta
perché guardano gli alberi.
Martin Wieland, Musarion oder die Philosophie der
Grazien. 1

Molte delle figure più famose nella storia della paleontologia vegetale
hanno prodotto pubblicazioni sul ginkgo, ma nessuno ha contribuito più
del cinese Zhou Zhiyan per illuminarne la lunga storia evolutiva. A partire
da una serie di autorevoli studi degli anni '80 del XX secolo, Zhou scoprì di­
versi tipi di piante primitive simili a ginkgo, che riconobbe non solo grazie
alle foglie ma anche ai semi e ad altre parti. Egli inoltre si preoccupò di por­
re le sue nuove scoperte nel più ampio contesto di ciò che era stato appreso
dai ricercatori che lo avevano preceduto. Grazie a ciò, la storia dell' evolu­
zione del ginkgo è ora più documentata, ed anche molto più complicata
e interessante , di quanto fosse trent'anni fa. Nel 1 994 al lavoro di Zhou
fu conferito uno dei più prestigiosi premi assegnati dall' Accademia cine­
se delle scienze e l'anno successivo Zhou fu ammesso all'Accademia, un
grande onore in una cultura che tiene la scienza in grande stima. Zhou è il
più rispettato studioso cinese di fossili vegetali, la cui ricerca è fondamenta­
le per la piena comprensione del ginkgo vivente.
Zhou Zhiyan ha trascorso la prima parte della sua carriera in Cina, ma
nel l 980 si recò nel Regno Unito per studiare col Prof. Tom Harris dell'Uni­
versità di Reading. Fu una delle esperienze chiave della vita di Zhou. Il suo

1 WIELAND 1 768, canto II.

- 87 -
PARTE lii - O R I G I N I E PREISTORIA

scopo principale era lo studio di una collezione di fossili che aveva portato
con sé dalla Cina, ma se avesse saputo che negli anni successivi il ginkgo
sarebbe diventato un soggetto di studio così importante nella sua carriera,
allora avrebbe potuto impegnare diversamente il tempo a sua disposizione .
Anche Harris aveva dato importanti contributi alla conoscenza dei fossili di
ginkgo. I due avrebbero avuto molto da discutere .
Harris era giunto a Reading nel 1 93 4 , dopo la laurea a C ambridge , dove
faceva parte della cerchia di A. C . Seward, probabilmente il più avanzato
paleobotanico del suo tempo.
Negli anni '20 del XX secolo Seward era interessato alle piante fossili
con fiori del periodo di circa 1 00 milioni di anni fa e soprattutto ai materiali
resi disponibili dal lavoro dei geologi danesi nella Groenlandia occidentale.
Egli vi si recò nell' estate del 1 9 2 1 e poco dopo ricevette 15 casse piene di
piante fossili, estratte da rocce molto più vecchie nella parte opposta della
calotta glaciale, ubicate nei fiordi della costa centro-orientale della Groen­
landia. Secondo Harris, le casse furono inviate a Seward per errore . Quel
materiale era stato raccolto nel 1 900, in una precedente spedizione del geo­
logo danese Nikolaj Hartz. Harris colse l'inaspettata opportunità, concen­
trò la sua linea di ricerca a Cambridge sulla collezione di piante fossili della
Groenlandia e non si voltò mai indietro.
Nel 1 925 Harris si recò in visita a Stoccolma dal professar Thor Halle,
successore di Nathorst al Museo svedese di storia naturale, per imparare le
tecniche richieste per lo studio del materiale della Groenlandia. Harris usò
le stesse tecniche , con poche modifiche, per tutta la sua carriera. L'anno
seguente, a una cena a casa di Seward a Cambridge, conobbe il geologo
danese Lauge Koch, che descrisse come
un gigante dall'aspetto aggressivo, a capo del servizio geologico della Groenlan­
dia. Egli mi chiese se potevo accompagnarlo in una spedizione nella Groenlandia
orientale per un anno a partire dal mese prossimo. Istantaneamente ebbi la perce­
zione di trovarmi in una di quelle situazioni dove il pensiero non conduce a una
decisione più saggia, così dissi 'sì' . 2

Nell'estate del 1 926, dopo una breve sosta a Copenhagen e un passaggio


di tre settimane verso la costa orientale della Groenlandia, la piccola spedi­
zione condotta da Koch approdò a Scoresby Sound. Con Koch e Harris, il
gruppo comprendeva Alfred Rosenkrantz, geologo e ingegnere danese, due
cacciatori eschimesi e circa 50 cani da slitta. Il loro scopo era di contribuire
alla comprensione della geologia di quella parte della Groenlandia orientale,
grazie all'allestimento di un'ampia raccolta di fossili, e di incrementare, in

z I commenti di Harris sul primo incontro con Lauge Koch si trovano in CHALONER 1985.

- 88 -
1 2 . RI C O N O S C I M ENTO

particolare, la collezione di piante fossili raccolte da Hartz. La spedizione


aveva provviste sufficienti a superare l'inverno, ma la vita non era facile nelle
condizioni di estremo isolamento in cui si trovavano. n clima era ostile, il ter­
reno vertiginoso e i versanti scivolosi sopra lo strato di permafrost. Le con­
dizioni di vita erano essenziali, ma nell'anno trascorso là, perlopiù durante il
lungo inverno e con attrezzature primitive, Harris i suoi colleghi accumula­
rono una vasta raccolta di piante fossili, estratte da una sezione geologica in
profondità, dello spessore di circa 1 00 m. Harris notò che «ogni giacimento
ha da una a decine di specie spesso differenti da quelle del giacimento vi­
cino». In alcuni giacimenti c'erano in abbondanza foglie fossili indiscutibil­
mente simili a quelle dei moderni ginkgo. La spedizione venne recuperata
l'estate successiva. Tonnellate di rocce con fossili vegetali, comprese molte
foglie di antichi ginkgo, vennero spedite in laboratorio per essere studiate.
Complessivamente, Harris lavorò sui fossili della Groenlandia orientale
per circa 10 anni, i più produttivi della sua vita dal punto di vista paleobo­
tanico.
Egli descrisse una ricca varietà di felci, equiseti e licopodi, ma anche
conifere , cicadee e una vasta gamma di peculiari piante con semi estinte .
Rese la flora della Groenlandia orientale una delle più note flore fossili
del mondo, che in breve tempo gli assicurò un'ottima reputazione ; egli si
trasferì a Reading, primo professore di botanica di quella Università, all' età
di 3 1 anni.
Harris descrisse accuratamente le foglie simili a ginkgo della Groen­
landia orientale e riconobbe che erano più profondamente e più regolar­
mente divise delle foglie del moderno Ginkgo biloba. Le assegnò alla specie
Ginkgo taeniata e notò che esse erano più simili alle foglie delle plantule di
ginkgo o alle prime foglie dei fusti in rigenerazione che a quelle degli alberi
maturi. Fedele alle classiche, drastiche tecniche paleobotaniche apprese da
Halle, che successivamente trasmise a Zhou, Harris usava acidi forti seguiti
da basi forti per eliminare le incrostazioni carboniose delle foglie fossili e
lasciare soltanto i resistenti strati esterni cuticolari cerosi della superficie
inferiore e superiore della foglia. Poi si servì delle similarità delle cellule
per dimostrare che , sebbene variabili in forma e dimensioni, tutte le foglie
simili a ginkgo derivavano molto probabilmente da una sola specie . Harris
suggerì inoltre che alcuni dei semi trovati in associazione con le foglie di
Ginkgo taeniata erano prodotti probabilmente dagli stessi alberi. Non pote­
va dimostrarlo, ma era convinto che fossero parte della stessa pianta sulla
base della loro consistente associazione in differenti luoghi e della similari­
tà delle strutture cuticolari. 3

3 Harris descrisse quattordici specie di foglie fossili simili a quelle di ginkgo provenienti

- 89 -
PARTE I I I - O R I G I N I E PREISTORIA

Dopo aver terminato il lavoro della Groenlandia, Harris, che a quel


tempo si era trasferito a Reading, dovette decidere su cosa lavorare in se­
guito. Anziché continuare col materiale della Groenlandia, egli rivolse la
sua attenzione a un tema nuovo e intraprese una esauriente revisione delle
piante giurassiche meravigliosamente conservate provenienti dallo York­
shire , nel Regno Unito.
Grazie al suo lavoro sulla flora giurassica dello Yorkshire, Harris con­
tribuì in modo fondamentale alla conoscenza delle piante che cresceva­
no negli estuari, nelle zone umide retrodunali e nelle pianure alluvionali
dell' antica linea di costa che circa 1 50 milioni di anni fa bordava quella che
è oggi l'Inghilterra nord-orientale . Quella linea di costa, oggi spazzata dai
venti freddi del Mare del Nord, a quell'epoca ospitava una vegetazione lus­
sureggiante più o meno tropicale , con conifere, felci e molti tipi di piante
oggi estinte . Mancavano completamente i moderni mammiferi, gli uccelli,
le farfalle, le api e molti altri animali che oggi diamo per scontati. Invece,
ospitava dinosauri e pterosauri, mentre tra gli insetti erano comuni scara­
faggi e mosche primitive . Harris dedicò la maggior parte della sua carriera
a far rivivere le piante di questi antichi ecosistemi . Il suo lavoro rese la flora
fossile dello Yorkshire il punto di riferimento con cui confrontare tutte le
altre flore fossili di quel periodo. 4
Le foglie di ginkgo si trovano in molte delle classiche località dello Yor­
kshire , ma sono particolarmente comuni nel giacimento fossilifero di Scal­
by Ness, una località costiera poco a nord di Scarborough, dove io stesso
le raccolsi per la prima volta nell' autunno del 1 974 con Harris, la sua ex
studentessa joan Watson e i suoi studenti dell'Università di Manchester. Da
allora, vi sono ritornato molte volte e non sono mai stato deluso.
La scogliera di Scalby Ness presenta una grezza sezione trasversale nei
depositi sabbiosi, induriti dal tempo, di un antico fiume che una volta ar­
rivava con i suoi meandri fino al mare . Le piante fossili vi si trovano acca­
tastate una sull' altra esattamente dove si depositarono tra le sabbie fluviali
milioni di anni fa. Le piante fossili di gran lunga più comuni sono le foglie
profondamente divise di Ginkgo huttoni. Nella sua carriera, Harris vi ha tro­
vato anche semi molto simili a quelli dei moderni ginkgo e a quelli che ave­
va raccolto in Groenlandia. Harris riteneva che essi fossero prodotti dalle

dalla Groenlandia orientale. I semi che riteneva associati a Ginkgo taeniata li attribuì a Allicosper­
mum xystum; HARRIS 1935.
4 Il lavoro di Harris sulle piante dello Yorkshire comprese muschi, epatiche, licopodi e fel­
ci (HARRIS 1961); cicadee e varie piante con semi estinte (HARRis 1 964); un importante gruppo
di piante con semi estinte, le Bennettitales (HARRIS I969); ginkgo e piante potenzialmente affini
(HARRIS et al. 1 974); conifere (HARRIS 1979).

- 90 -
1 2 . RICONO S C I M ENTO

stesse piante che portavano le foglie di Ginkgo huttoni. Descrisse anche una
singola struttura che produce polline , simile a quella del moderno ginkgo. 5
L e specie d i ginkgo descritte d a Tom Harris i n diversi momenti della
sua carriera, prima nella Groenlandia orientale e poi nello Yorkshire, sono
indiscutibilmente parte della linea evolutiva che conduce al moderno Gin­
kgo biloba e indubbiamente più affini al ginkgo di ogni altra pianta vivente.
Tuttavia la nostra conoscenza di queste piante è incompleta riguardo a di­
versi aspetti fondamentali, in parti�olare delle connessioni tra semi e pian­
te . Harris, col suo scrupoloso lavoro, ha contribuito moltissimo a chiarire
le esatte somiglianze tra le foglie dei ginkgo fossili e viventi, ma egli stesso
più di ogni altro ha riconosciuto che non è possibile fare molto di più finché
non si conoscano piante fossili simili a ginkgo con dati più completi. Har­
ris ha sempre sostenuto che, appena se ne presentasse l' opportunità, l' as­
semblaggio di piante fossili nella loro interezza dovrebbe avere la più alta
priorità. In assenza di queste ricostruzioni, Harris sapeva che sarebbe stato
impossibile fare confronti più esatti tra le specie fossili e quelle viventi. È
stato questo un tema centrale nel lavoro della sua vita e una filosofia che ha
passato a tutti i suoi studenti, incluso Zhou Zhiyan.

5 HARRIS et al. 1 974.

- 91 -
13.

Proliferazione

Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite la terra.


Genesi 1 :28.

Zhou Zhiyan arrivò all'Università di Reading nel settembre del 1 980 e


per quasi un anno abbiamo lavorato fianco a fianco nello stesso laborato­
rio. Avevo circa 25 anni ed ero al termine del mio primo incarico al diparti­
mento di botanica. Zhou era un quarantenne scienziato senior dell'Istituto
di geologia e paleontologia dell'Accademia cinese delle scienze a Nanchi­
no. Era la prima volta che viaggiava al di fuori della Cina. In quell'epoca,
la competizione per opportunità di questo tipo era molto forte e Zhou fu
tra i primi scienziati cinesi autorizzati a viaggiare oltremare , negli anni che
seguirono la morte di Mao. Egli portò con sé interessanti piante fossili da
studiare , ma il suo obiettivo più generale era semplice : egli intendeva ap­
prendere tutto quello che poteva e recuperare il tempo perduto negli anni
trascorsi in ciò che egli chiama "attività non professionali" : incontri politici,
lavori manuali e altre attività non collegate alla ricerca scientifica che gli
furono imposte durante la rivoluzione culturale . 1
Più di ogni altra persona, con i suoi modi gentili e delicati, Zhou ha
contribuito a dare un senso alle foglie di organismi fossili simili a ginkgo,
risalenti a un periodo compreso tra 60 e 225 milioni di anni fa, e ha fatto
luce sul significato che queste foglie ci dicono a proposito dell'evoluzione
della sola specie vivente di questo gruppo di piante.

' Sono stato studente al Dipartimento di Botanica dell'Università di Reading dal 1 972 al
1 975, dottorando dal 1 975 al 1 978 e docente a tempo determinato dal 1 978 al 1 98 1 .

- 92 -
1 3 . PRO L I F E RAZI O N E

A meno che non si dedichino interamente alla teoria o a collezioni alle­


stite da altri, tutti i paleontologi hanno bisogno di un po' di fortuna. In un
modo o in un altro essi hanno bisogno di buoni campioni, abbastanza ben
conservati, che permettano di ricavare nuove informazioni e una nuova
visione . Comunque, in paleontologia come in altre discipline, la fortuna
arride alle menti preparate. I bravi paleontologi sono sempre all' erta per
scoprire nuovi materiali di alto interesse e quando per caso se li trovano di
fronte, sanno cosa farne . Gli studi di Zhou sugli antichi ginkgo seguono
questo profilo: il materiale giusto si presentò esattamente al momento giu­
sto, egli ne riconobbe il significato e fece ciò che doveva essere fatto.
Nell'ultima parte degli anni '80, non molto dopo essere ritornato dalla
Gran Bretagna, Zhou fu interpellato da Zhang Bole, un ingegnere minera­
rio che lavorava nella regione di Yìma, nella provincia di Hennan nella Cina
settentrionale . Zhang era un geologo professionista con vasta conoscenza
riguardo alle miniere di carbone di quella zona, ma era anche un esperto
cacciatore di fossili con un particolare interesse verso i fossili vegetali. Egli,
con la sua famiglia, dedicava molto del suo tempo libero alla ricerca di pian­
te fossili nelle discariche della grande miniera a cielo aperto di Yima. Le ore
investite in questa attività avevano fruttato spettacolari foglie di ginkgo,
molte delle quali splendidamente conservate in una soffice siltite grigia.
Zhou si rese immediatamente conto del potenziale del materiale di
Zhang. Proveniva dall' Era Giurassica, ossia risaliva a circa 1 70 milioni di
anni fa, e il suo stato di conservazione era molto migliore di quello dei
campioni che aveva studiato fino a quel momento della sua carriera, com­
presi quelli che aveva portato con sé a Reading.
Zhou dette immediata priorità a visitare il sito e a raccogliere ulterio­
ri campioni. Nel 1 986, si recò a Yima, dove trascorse diversi giorni nella
miniera di carbone per raccogliere campioni con il suo studente Xuanli
Yao. Egli si dedicò anche alla vasta collezione che Zhang e la sua famiglia
avevano raccolto e si rese conto che tra le foglie splendidamente conserva­
te di organismi simili a ginkgo c'erano sia dei semi, sia le strutture che li
portavano. Foglie, semi e strutture di supporto erano così comuni da essere
prodotti quasi certamente dalle stesse piante .
Il primo rapporto che Zhou e Zhang pubblicarono sui fossili vegetali
della miniera di Yima fu l' annuncio preliminare di due nuovi tipi di strut­
ture portatrici di semi simili a quelli di ginkgo. Essi notarono che «poiché
uno studio dettagliato richiederà un lungo periodo di tempo, noi siamo
disposti a rivelare le caratteristiche importanti e a presentare brevemen­
te una valutazione preliminare, come riferimento per i colleghi interessati
alla storia pregressa di ginkgo» . Essi riconobbero che ambedue le strutture
che portavano i semi rappresentavano una scoperta totalmente nuova e ne

- 93 -
PARTE I I I - O R I G I N I E PREISTORIA

trassero la ovvia conclusione : i giacimenti di Yìma conservavano più di un


tipo di pianta simile a ginkgo. 2
La prima delle due piante fossili di Yìma ad essere descritta in dettaglio
da Zhou e Zhang fu una specie molto simile a ginkgo, della quale era­
no note le foglie e le strutture che portano semi . Essi dettero alle foglie il
nome Ginkgo yim.aensis. Zhou e Zhang rafforzarono la loro precedente ar­
gomentazione che i due differenti organi erano prodotti dalla stessa specie
sulla base non solo della loro consistente associazione e abbondanza in un
particolare livello del giacimento di Yuna, ma anche del rivestimento ester­
no ceroso, simile , ma non identico, a quello dell' albero moderno. Zhou e
Zhang notarono inoltre che le foglie erano "più profondamente lobate di
quelle di Ginkgo biloba" e che il peduncolo che portava i semi era ramificato
e sosteneva cinque o sei semi su lunghi pedicelli. 3
Zhou e Zhang rivolsero quindi la loro attenzione alla seconda pianta
che avevano identificato nel loro resoconto preliminare sui fossili di Yìma.
Attribuirono il nome Yimaia recurva alle strutture che portavano semi. Cia­
scuna aveva un semplice peduncolo con un grappolo di otto o nove semi
all' apice . Queste strutture erano associate a foglie ben diverse e molto più
finemente divise di quelle che erano state descritte da H . C . Sze , un esimio
paleobotanico cinese della generazione precedente . Sze aveva denominato
queste foglie Baiera hallei, in omaggio a Thor Halle, il paleobotanico svede­
se che aveva aiutato Tom Harris e fatto molto del lavoro precedente sulle
piante fossili cinesi. Le foglie di Baiera hallei erano così finemente divise che
i singoli segmenti fogliari somigliavano a foglie di graminacee .
Zhou e Zhang dettero il nome Yimaia alle strutture riproduttive asso­
ciate a Baiera hallei secondo la località di raccolta . In questo caso, del fossile
si conoscevano non soltanto le foglie e i semi isolati, ma anche gli incon­
fondibili rametti con evidenti fusti lunghi e corti. Le diverse parti vegetali si
trovavano ammassate insieme nella miniera di carbone di Yìma appena sot­
to il livello nel quale era stato descritto Ginkgo yim.aensis. Al momento della
pubblicazione dell' articolo, Zhou e Zhang avevano a disposizione una cin­
quantina di campioni di Yimaia recurva e centinaia di foglie di Baiera hallei. 4

z La prima pubblicazione riguardante i fossili di Yìma simili a ginkgo è quella di ZHou -


ZHANG 1988.
3 Cfr. ZHou - ZHANG 1 988 per il primo resoconto dettagliato su questi fossili. Zhou e
Zhang notarono che nei ginkgo viventi, occasionalmente i peduncoli portatori di ovuli si pre­
sentano in modo aberrante, con distinte ramificazioni laterali che portano fino a dieci ovuli;
cfr. anche FLORJN 1 949.
4 Per ulteriori informazioni sulle foglie di Baiera hallei e sulle strutture associate portatrici
di semi, Yimaia recurva, cfr. ZHou - ZHANG 1 992.

- 94 -
1 3 . PRO L I F E RAZIONE

Nei loro primi studi delle piante fossili di Yima verso la fine degli anni
'80, Zhou e Zhang avevano dunque identificato due distinte piante simili a
ginkgo, ma sorprendentemente , quasi 1 5 anni dopo, essi furono in grado
di riconoscerne una terza. Zhou la assegnò al genere Karkenia, che identifi­
cava un gruppo di fossili inizialmente descritto alla metà degli anni '60 nel
Cretaceo inferiore di Tico, provincia di Santa Cruz, Argentina, da Sergio
Archangelski, un pioniere della paleobotanica. 5
Zhou fece le sue scoperte fondamentali di piante fossili simili a ginkgo
decenni fa, ma successivamente ha continuato ad aggiungere meticolose
descrizioni di nuovo materiale fossile proveniente da altre località . Que­
sti nuovi fossili tendevano a confermare , anziché ampliare, il quadro già
definito dagli studi alla miniera di Yima, ma nel 2003 Zhou fece un'altra
scoperta fondamentale nella comprensione della storia fossile del ginkgo.
Negli anni '90, alcune tra le scoperte paleontologiche più sensazionali
di tutti i tempi cominciarono a emergere da un notevole deposito fossi­
le della Cina nordorientale. Questo cosiddetto Biota jehol, raccolto dalla
formazione Yixian nella provincia di Liaoning, risale al Cretaceo inferiore
( 1 20 o 1 25 milioni di anni fa) . Più volte questo deposito è apparso sulle
pagine dei giornali man mano che se ne estraevano fossili animali, uno più
spettacolare dell' altro. Di particolare rilevanza è stata una notevole serie
di antichi uccelli e dinosauri ad essi affini, alcuni dei quali mostrano chiare
evidenze di piume o di elementi simili a piume, verosimilmente precursori
delle piume . Ci sono anche primitivi mammiferi e anfibi, una gran varietà
di insetti e una vasta gamma di piante fossili, comprese felci e muschi. Tra
le piante con semi si annoverano conifere e alcune delle più antiche e infor­
mative piante fossili con fiori.
Considerata la diffusa presenza di piante simili a ginkgo nel Giurassico
e nel Cretaceo, è sorprendente che la formazione di Ytxian abbia restituito
solo pochi fossili di interesse per la storia naturale del ginkgo. Tuttavia nel
2003 Zhou e il suo collega Shaolin Zheng descrissero, per la prima volta
da questi giacimenti, dei fossili inequivocabilmente attribuibili a ginkgo,
che contribuiscono a colmare la distanza tra gli antichissimi Ginkgo yima­
ensis e quelli con caratteristiche essenzialmente moderne . Zhou e Zheng
attribuirono le foglie e le associate strutture portatrici di semi alla specie
Ginkgo apodes.
L'importanza di Ginkgo apodes risiede nella sua precisa collocazione
all'interno dell'intervallo temporale che separa Ginkgo yimaensis, risalente
a circa 1 70 milioni di anni fa, dai fossili che sono sostanzialmente simili ai

5 ARCHANGELSKY 1 965, DEL FUEYO - ARCHANGELSKY 200 1 , ZHOU et al. 2002.

- 95 -
PARTE I I I - O R I G I N I E PREISTORIA

ginkgo moderni, che si ritrovano a partire da 65 milioni di anni fa. Oppor­


tunamente , anche le strutture presentano tratti intermedi. Ginkgo yimaensis
possiede un peduncolo che porta i semi con tre o quattro ramificazioni,
ognuna delle quali porta un singolo seme all'estremità. Invece, in Ginkgo
apodes le ramificazioni del peduncolo sono molto corte, quasi inesistenti, e
i semi sono portati al loro apice uno accanto all' altro. Questa disposizione
è molto più simile a quella del ginkgo moderno, sebbene nella specie viven­
te i semi siano di norma solo due per ogni peduncolo anziché tre-sei. Zhou
concluse che la comune tendenza nell'evoluzione del ginkgo, almeno per
quanto riguarda le strutture che portano i semi , è stata la riduzione da
circa sei semi su peduncoli separati in Ginkgo yimaensis a circa due semi su
peduncoli non ramificati nella specie vivente . 6

6 Per ulteriori dettagli sul significato di Ginkgo apodes cfr. ZHou - ZHENG 2003 . Per la
descrizione completa, con illustrazioni, di Ginkgo apodes e dei peduncoli che portano semi, cfr.
ZHENG - ZHOU 2004.

- 96 -
14.

Vagliatura

Gli abitanti dei pianeti senza fiori penseranno che


dobbiamo impazzire di gioia sempre, perché li ab­
biamo intorno a noi.
Iris Murdoch, Una sconfitta abbastanza onorevole. 1

Da quando Zhou, un quarto di secolo fa, ha iniziato il suo lavoro nella


miniera di carbone di Yrma, ciò che sappiamo riguardo alla storia fossile
del ginkgo e delle piante affini è notevolmente aumentato. Nuove informa­
zioni e nuove scoperte, che continuano ad affiorare , rivelano una stupefa­
cente varietà di antiche piante simili a ginkgo. Questa inaspettata diversità
cambia il modo in cui consideriamo l' evoluzione dell'unica specie vivente .
Gli studi delle foglie fossili avevano lasciato supporre l'esistenza di tale di­
versità, ma fino a che non sono emersi altri dati riguardo ai semi e ad altre
parti, la vera pianta celata dietro le foglie fossili isolate rimaneva misteriosa
e difficile da confrontare con la pianta vivente . Il lavoro di Zhou e dei suoi
colleghi ha cambiato tutto ciò.
Alla luce delle conoscenze attuali, è possibile iniziare a considerare le
principali linee evolutive del ginkgo vivente e dei suoi antenati estinti. An­
che in questo caso, è Zhou che ha tracciato la strada, grazie a semplici anali­
si rese possibili dalla sua insuperabile conoscenza dei fossili più significativi.
Come primo tentativo per comprendere i cambiamenti in diversità e
abbondanza di piante simili a ginkgo nel tempo, Zhou disegnò un grafico

1 MuRDOCH 1 970, p. 1 70. Una foglia di ginkgo è inserita nel recente ritratto di lris Mur­

doch fatto da Tom Phillip s. Phillips ricorda che voleva <da presenza di un pezzetto di natura»
e subito scopri che entrambi erano entusiasti del <<più vecchio albero del mondo»; cfr. Tom
Phillips (www.tomphillips.eo.uk/ works / portraits l i te m / 5456-iris-murdoch).

- 97 -
PARTE I I I - ORIGINI E PREISTORIA

che mostra il numero dei diversi tipi di foglie simili a ginkgo, identificati
come generi diversi nella lunga storia fossile del gruppo. Zhou dimostrò
che il numero aumenta da quattro a sei nei 50 milioni di anni che intercor­
rono tra il Triassico inferiore e il Triassico medio, poi aumenta ancora -
fino a dodici - nel Triassico superiore. Il numero rimane elevato in tutto il
Giurassico, si riduce a quattro nel Cretaceo superiore e a appena uno o due
nel Paleogene e Neogene . Le strutture riproduttive di ginkgo e affini sono
in minor numero, ma la tendenza è la stessa: il numero oscilla tra cinque
e tre dal Triassico superiore fino al Cretaceo inferiore , ma solo un tipo di
struttura riproduttiva è nota a partire da 1 00 milioni di anni fa . In entrambi
i casi, queste tendenze sono approssimative, ma ciò nondimeno rivelatricU
A partire da qualche momento del Cretaceo medio, circa 1 00 milioni di
anni fa, il mondo del ginkgo cominciò a cambiare .3
Contemporaneamente al declino della diversità di tipi di piante simili
a ginkgo, anche la loro importanza nei paleo-paesaggi sembra aver subito
un sostanziale declino. Potremmo aspettarci la loro progressiva riduzione
nei paesaggi mesozoici. Ciò è più difficile da valutare sulla base di quanto
è stato pubblicato sulla documentazione fossile, ma Zhou riuscì ad avere
un'idea della diffusione di piante simili a ginkgo contando il numero di
contee cinesi nelle quali esse erano state segnalate . Nel Cretaceo inferiore ,
erano otto le contee con segnalazioni di ginkgo, trentuno con quelle di
Ginkgoites, diciotto con quelle di Baiera e undici per Sphenobaiera. Successi­
vamente, dal Cretaceo superiore in poi, non ci sono più reperti di Baiera o
Sphenobaiera e ve ne sono soltanto uno per Ginkgoites e cinque per ginkgo.
Anche in questo caso, la tendenza è approssimativa, ma la conclusione che
se ne può trarre è chiara. Per il ginkgo e per le piante affini, il Cretaceo
medio è stato un periodo di transizione .
Possiamo soltanto supporre ciò che può aver determinato il declino,
apparentemente pervasivo, delle piante affini a ginkgo cento milioni di
anni fa, ma una evidente causa potenziale è la competizione con le piante
con fiori, un nuovo gruppo di piante altamente competitive che acquisì
rapidamente una posizione dominante proprio nel Cretaceo medio. Natu­
ralmente ci sono stati molti altri cambiamenti ambientali in quel periodo ; a
titolo di esempio, l'accelerazione della deriva continentale creò nuove con­
figurazioni di terre e mari, rendendo possibili nuovi tipi di correnti oceani­
che e atmosferiche, che possono aver prodotto nuovi tipi di clima. In ogni

2 ZHOU - WHOU (2006).


3 Le ventidue specie di foglie fossili di ginkgo documentate da Zhou nel Cretaceo inferio­
re della Cina comprendono specie dei generi Ginkgo e Ginkgoites.

- 98 -
1 4 . VAGLIATURA

caso, è difficile credere che l' esplosivo aumento di diversità e abbondanza


di piante con fiori nel Cretaceo non abbia avuto conseguenze sulle piante
simili a ginkgo che in precedenza erano state prominenti. Nel Cretaceo
superiore , Yimaia, Karkenia e piante affini sembrano scomparse. Il gruppo
del ginkgo, nel suo complesso, non era che l'ombra di se stesso, mentre
i sopravvissuti erano le piante più simili alla singola specie oggi vivente .4
Il periodo tra 65 e l 00 milioni di anni fa, immediatamente successivo
all'iniziale ondata di piante con fiori, è stato un periodo interessante nella
storia della vita sulla Terra: un periodo in cui piante a noi familiari cresce­
vano insieme ad animali inusitati. C'è stato un momento in cui le magnolie
erano brucate da triceratopi e gli adrosauri costruivano i loro nidi nei bo­
schetti di antichi platani. In questo periodo, circa tre quarti dei mammiferi
conosciuti appartenevano a un gruppo estinto chiamato multitubercolati,
piccoli animali simili a marsupiali che sono stati spesso confrontati o ac­
costati ai roditori. Alcuni hanno ipotizzato in via speculativa che questi
piccoli mammiferi potessero nutrirsi di semi di ginkgo e disperderli. 5
Uno dei migliori spaccati d i questi strani ecosistemi dell'ultimo respi­
ro dell' età dei dinosauri proviene dai fossili conservati nella Horseshoe
C anyon Formation dell'Alberta centrale e meridionale. Queste rocce ci
hanno fornito alcuni dei più noti dinosauri carnivori, quali Tyrannosaurus
rex e Albertosaurus, e erbivori, quali Triceratops e Maiasaura.
Un dettagliato studio di Kevin Aulenback dimostra che le piante della
Horseshoe Canyon Formation comprendevano muschi, licopodi, equiseti
e molte felci, ma anche diversi tipi di piante con semi. Tra queste ultime ,
l e piante con fiori comprendevano aroidi e zenzeri, alberi simili a eucalipti,
alberi dei fazzoletti e carpini. Tra le conifere , vi si rinvengono piante simili
agli attuali abeti d' acqua, cipressi e abeti cinesi, insieme a foglie e semi
molto simili a quelli del ginkgo vivente . Molte delle piante attuali affini a
queste conifere si trovano ancora nella Cina orientale e sud occidentale,
non lontano dalle zone che ospitano le popolazioni viventi di ginkgo. 6
Spingendosi più sud e a est dallo stato dell'Alberta, nel Montana e nel
North Dakota, il ginkgo è diffuso nelle sabbie e in sedimenti più fini deposi­
tati sulle antiche pianure alluvionali della Hell Creek Formation. I fossili di
questa formazione ci offrono alcuni degli ultimi ritrovamenti di dinosauri,

4 Per ulteriori informazioni sulla diversificazione e espansione delle piante con fiori nel
Cretaceo, cfr. FRIIS et al. 20 1 1 .
5 DEL TREDICI 1 989; ma cfr. anche VAN DER PIJL 1 982, )ANZEN - MARTIN 1 982 e TIFFNEY
1 984.
6 Per ulteriori informazioni sulle piante fossili della Horseshoe Canyon Formation, Alber­
ta, cfr. AULENBACK 2009.

- 99 -
PARTE I I I - O R I G I N I E PREISTORIA

prima della loro scomparsa nell'estinzione di massa della fine del Creta­
ceo, circa 65 milioni di anni fa. Dal punto di vista dell'evoluzione animale,
l'impatto dell'estinzione di massa del Cretaceo fu devastante. Le perdite
furono selettive ma diffu s e e molti gruppi di animali, sia nell'oceano sia
sulla terraferma, furono eliminati. La loro estinzione lasciò una traccia in­
delebile sulla traiettoria dell'evoluzione animale. Curiosamente, gli effetti
a lungo termine dell'estinzione del Cretaceo sulla storia della vita vegetale
furono apparentemente molto meno profondi. A breve termine, molte del­
le piante che in precedenza erano dominanti furono perdute . Un attento
studio, curato da Peter Wilf e Kirk johnson nella regione sud-occidentale
del North Dakota, ha dimostrato che quasi due terzi delle specie vegetali
che esistevano verso la fine del Cretaceo si estinsero. Tuttavia, mentre c'è
una marcata evidenza di estinzione a livello regionale , non è altrettanto
chiaro che i gruppi principali di piante siano andati perduti a scala globale .
Nella regione sud-orientale del North Dakota, soltanto poche delle piante
rinvenute sotto il limite temporale appaiono anche sopra di esso: una di
queste è il ginkgo. Foglie di ginkgo sono presenti in molte località della
Hell Creek Formation, anche poco al di sotto del limite , ma si ritrovano,
non molto dopo l' apparente cataclisma, anche nelle sovrastanti rocce pa­
leoceniche della Fort Union Formation. Questo modello di distribuzione
testimonia la capacità di sopravvivenza del ginkgo, ma rende il grande de­
clino del ginkgo nel Cretaceo medio - sfasato con l'estinzione di massa
nel mondo animale - ancora più straordinario. Esso sottolinea il concetto
che in un certo modo l' evoluzione degli animali e quella delle piante sono
disgiunte. In qualche modo, sembra che piante ed animali danzino ad un
differente ritmo evolutivo. 7
Nel complesso, i modelli a grande scala dell'evoluzione di ginkgo e af­
fini espandono il nostro pensiero riguardo l'evoluzione dell' albero vivente .
Si potrebbe pensare di riuscire a seguire le tracce del ginkgo all'indietro
nel tempo, attraverso una serie di antenati fino a piante antiche, vissute
nel Permiano o in tempi ancora più remoti. Oggi comunque, a seguito del
lavoro di Zhou e di altri ricercatori, abbiamo di fronte un quadro molto
diverso, complicato da una vasta gamma di diversità non nota in preceden­
za. Ora sappiamo che molte specie di piante simili a ginkgo hanno vissuto
nello stesso periodo, forse anche negli stessi luoghi una accanto all' altra,
nelle stesse comunità vegetali. Questo può essere stato il caso di Ginkgo

7 Il limite K-T, o limite Cretaceo-Terziario = limite Cretaceo-Paleogene, cfr. WILF -jOHN­


SON 2004. La presenza di foglie di ginkgo sotto il limite K-T è ben documentata dalle raccolte
di fossili in sette distinte località della Hell Creek Formation nel North Dakota; cfr. jOHNSON
2002. Cfr. ZHou - Wu 2006 per il declino del ginkgo nel Cretaceo medio.

- 1 00 -
1 4 . VAG LIATURA

yimaensis, Yimaia ricurva e Karkenia incurva, che crescevano in habitat dello


stesso tipo 1 70 milioni di anni fa, nelle paludi carbonifere della Cina setten­
trionale, ma forse anche il caso di ginkgo e dei suoi parenti stretti in molte
altre antiche comunità vegetali, tra 1 00 e 225 milioni di anni fa.
Quando ci immergiamo profondamente nella documentazione fossile
di molti gruppi di piante o animali, la situazione venuta alla luce per il gink­
go appare essere piuttosto comune . Per esempio, nel caso del moderno ca­
vallo, non abbiamo un solo antico lignaggio che conduce progressivamen­
te - come su una scala a pioli - alla singola specie vivente; abbiamo invece
fossili di molti tipi di cavalli estinti, alcuni dei quali pascolavano insieme
negli stessi paesaggi del passato. La documentazione fossile dei cavalli è
modellata su una selva di molte specie strettamente affini che nel corso
del tempo hanno subito la vaglia tura dell'estinzione . In base al lavoro di
Zhou Zhiyan sui fossili affini a ginkgo e alle sue meticolose analisi della
documentazione fossile di ginkgo in tutto il mondo, emerge un' analoga
immagine di una diversità molto ampia in passato, seguita nel tempo dalla
progressiva affermazione di un singolo vincitore , con molti perdenti. D al
Giurassico, o forse dal Triassico superiore, in poi ci sono prove convincen­
ti dell'esistenza di piante simili all' attuale ginkgo. Comunque, all'inizio il
suo lignaggio era solo uno tra molti, esattamente come il lignaggio della
nostra specie era uno tra quelli di molti ominidi delle savane dell'Africa
orientale, tra mezzo milione e l milione di anni fa. C 'erano una volta altri
lignaggi di piante simili a ginkgo ed ognuno di questi aveva molte specie.
Che si tratti dell'evoluzione di cavalli, di ginkgo o di noi stessi, il modello è
lo stesso: improvvisa comparsa e proliferazione , seguite inevitabilmente e
inesorabilmente da molte perdite, in cui la maggior parte delle specie cade
lungo la via. Nei casi del ginkgo, del cavallo e di noi stessi, solo una specie
è sopravvissuta. 8

s Dopo una rapida diversificazione, la diversità dei cavalli da pascolo raggiunse l'apice
(circa sedici specie) tra 15 e 18 milioni di anni fa. Oggi ne esiste una sola, o secondo alcuni, due;
cfr. MACFADDEN - HULBERT 1 988.

- 101 -
15.

Persistenza

La tendenza a perseverare . . è questa che in tutte


.

le cose distingue l'anima forte da quella debole.


Thomas Carlyle, Chartism: past and present. 1

Il mio personale piccolo contributo a ciò che conosciamo sulla preisto­


ria del ginkgo deriva da un lavoro su fossili molto più recenti di quelli tri­
assici e giurassici studiati da Tom Harris e Zhou. Il mio lavoro ebbe inizio
nella tarda estate del 1 982 , mentre tornavo in auto all'Università dell'India­
na dopo una lunga spedizione di raccolta di fossili col mio collega David
Dilcher. Ero alla conclusione di un anno di lavoro nel laboratorio di Da­
vid, prima di trasferirmi al Field Museum a Chicago. Non avevamo trovato
traccia di ginkgo in nessuno dei siti che avevamo visitato quella estate . 2
Nell'ultima tappa del nostro viaggio, stavamo tentando di ritrovare la
fonte di una interessante collezione di piante fossili che David aveva ricevu­
to da Rudi Turner, un collega dell'Università dell'Indiana. Rudi, che nel suo
tempo libero era un appassionato raccoglitore, si era imbattuto in quei fos­
sili in varie mostre di minerali e fossili organizzate da raccoglitori amato­
riali e commerciali e ne aveva rintracciato l'origine in un sito recentemente
scoperto poco a ovest di Bismarck, North Dakota.
Usciti dalla autostrada I-94, le avvisaglie non erano incoraggianti. La
strada puntava verso nord attraverso una pianura interamente coltivata.

l CARLYLE 1 858, p. 286.


2 Avevo avuto scambi epistolari con David Dilcher mentre ero all'Università di Reading;
David mi aveva portato come borsista post-dottorale nel suo laboratorio negli Stati Uniti per
lavorare sulle piante fossili.

- 1 02 -
1 5 . PERSISTENZA

Non c'erano scarpate stradali né siti rocciosi da esplorare , perlopiù soltan­


to campi di girasole , finché alla fine , nel punto designato, incontrammo
una figura solitaria china tra mucchietti di argilliti giallastre e affilate, su­
bito a lato della strada . Appena accostammo, egli ci accolse calorosamente
e ci mostrò per prima cosa una foglia fossile di ginkgo meravigliosamente
conservata, completamente distesa e assolutamente perfetta sulla dura su­
perficie della roccia.
Le foglie di ginkgo erano l' obiettivo principale del nostro nuovo amico
e di altri raccoglitori locali di fossili che erano all'opera nel sito. I fossili
erano belli, abbastanza comuni e facilmente riconoscibili, spesso con le sot­
tili venature ben evidenziate in rosso e bruno sullo sfondo ocra. Era facile
comprendere perché questi fossili peculiari, risalenti a circa 57 milioni di
anni fa, costituissero una preziosa curiosità nel paesaggio pressoché privo
di alberi di questa parte del North D akota.
In questa prima visita alla località che successivamente chiamammo
Almont, era facile individuare anche semi di ginkgo, insieme alle foglie .
Dato che queste erano così comuni, come del resto molti altri tipi di frutti
e semi, la mancanza di semi di ginkgo sarebbe stata una stranezza. Spesso
foglie e semi si trovavano insieme nello stesso blocco di roccia. Di solito,
dei semi era conservato solo il guscio interno, lungo poco più di un cen­
timetro, con la caratteristica linea di sutura che forma una cresta tutto at­
torno al seme e una piccola punta alla sommità . Tuttavia, in qualche caso
il guscio era ricoperto da uno strato lucido, quasi certamente formato dai
resti di un rivestimento argenteo e ceroso simile a quello dei semi dei mo­
derni ginkgo.
Un altro elemento attirava l' attenzione: sia le foglie, sia i semi avevano
lo stesso caratteristico colore rosso bruno e una tessitura lucente e cerosa,
che probabilmente derivava dal loro spesso rivestimento impermeabile e
dalle resine che dovevano trovarsi nei tessuti freschi. Era evidente che essi
"fossero un tutt'uno" e che fossero caduti da alberi della stessa specie . In
qualche modo questi resti erano stati trasportati dalla pioggia in una pozza
d' acqua dell'antica pianura alluvionale , seppelliti nel fango e conservati in­
sieme fino a quando li raccogliemmo quel pomeriggio di agosto 57 milioni
di anni dopo. 3
In quella prima visita ad Almont e nelle molte successive raccogliemmo
molti frammenti vegetali che lasciavano interdetti. Sapevamo che il lavoro
da fare su quei fossili era lungo e la mancata comprensione della natura di
un particolare fossile non era motivo sufficiente per evitare di raccoglierlo.

3 n resoconto preliminare della flora di Almont si trova in CRANE et al. 1 990.

- 1 03 -
PARTE I I I - O R I G I N I E PREISTORIA

Quindi portavamo in laboratorio tutte queste strane strutture e le esamina­


vamo. Tra le stranezze vi erano alcuni fossili particolarmente enigmatici,
apparentemente connessi a foglie e semi di ginkgo. Avevano la stessa tessi­
tura, lo stesso colore e - ad un' osservazione superficiale - lo stesso aspetto
del picciolo di una foglia di ginkgo, ma c'era qualcosa che non quadrava.
Per cominciare , non si trovavano mai attaccati al lembo di una foglia, e poi
alla loro estremità presentavano una peculiare struttura nodosa.
Di ritorno a Chicago, sotto il microscopio questi strani fossili fornirono
qualche informazione in più che alla fine mi spinse a rovistare intorno ad
alcuni alberi vivi di ginkgo, per vedere cosa rimaneva nella lettiera sot­
tostante . Questo metodo non convenzionale mi è stato molto utile negli
anni. I libri di testo spesso forniscono belle immagini di piante con tutti
suoi dettagli strutturali, ma per un paleontologo queste figure sono troppo
sterilizzate . Quando si cerca di interpretare un fossile, ciò che si vuole vera­
mente sapere è che aspetto ha un albero quando le sue parti cadono, quali
parti si staccano e che aspetto hanno quando cominciano a decomporsi.
Questo è il miglior modo per scoprire quali parti di una pianta hanno la
maggiore possibilità di diventare fossili.
Un paio di minuti sotto un vecchio albero femminile di ginkgo furono
sufficienti per trovare ciò che cercavo. Tra i frutti in decomposizione c'era­
no esattamente gli stessi tipi di piccioli nodosi che avevamo raccolto al sito
di Almont e tra gli altri frammenti di ginkgo era abbastanza facile capire di
cosa si trattasse. Le strane parti del ginkgo di Almont erano i peduncoli -
isolati - dei semi. Nel ginkgo vivente i semi cadono dall' albero con i pedun­
coli ma in quel momento si separano l'uno dall' altro. Nei ginkgo fossili di
Almont, come nella specie vivente, c'era solitamente una sola grande cica­
trice lasciata dai semi sui peduncoli, a segnalare che soltanto uno dei due
semi portati su ogni peduncolo era maturato. Tuttavia, all' estremità sia dei
peduncoli fossili sia di quelli viventi, i resti dell'altro seme , cioè di quello
che non si era sviluppato, di solito erano facili da riconoscere . Era evidente
che la pianta fossile, come quella vivente, aveva due semi su ogni pedunco­
lo, ma che normalmente solo uno dei due si sviluppava pienamente .
A parte questo piccolo trionfo, che risolveva uno dei piccoli proble­
mi posti dai fossili di Almont, la scoperta che i ginkgo che crescevano in
North Dakota 5 7 milioni di anni fa producevano semi nello stesso modo
della specie vivente era una nuova e utile informazione . Grazie ad essa, si
dimostrava che le somiglianze tra questi antichi ginkgo e i loro parenti vivi
non si limitavano alla sagoma della foglia e alla forma e dimensione dei
semi, ma comprendevano altri aspetti della pianta. Questa era una ulterio­
re evidenza a sostegno dell'uso del nome latino Ginkgo per queste foglie ,
con l'importante implicazione che le altre parti di questa antica pianta, se

- 1 04 -
15. PERSISTENZA

effettivamente l' avevamo compresa in tutti i suoi dettagli, non dovevano


essere significativamente diverse da quelle dell' albero vivente .4
Uno degli interessi dello scomparso Tom Schopf, ex collega all'Univer­
sità di Chicago, erano i "fossili viventi" . Per uno dei suoi ultimi progetti,
Schopf scrisse una rassegna su un' ampia varietà di animali e piante che
erano considerati "fossili viventi" . Tra gli esempi classici del mondo anima­
le si annoverano le specie del genere Lingula, simili a vongole, che ancora
oggi vivono nelle basse e fredde acque litorali dell'Europa nord-occidenta­
le, apparentemente immutate dall'era Siluriana, cioè da oltre 450 milioni
di anni. Tra gli animali con colonna vertebrale, il celacanto compare per la
prima volta allo stato fossile in rocce di circa 3 5 0 milioni di anni, ma anco­
ra sopravvive nelle profonde acque oceaniche al largo delle isole Comore
nell'Oceano indiano e della Malesia nel Mar Cinese meridionale . Altri ben
noti fossili viventi sono il limulo, i pesci spatola e l' ornitorinco. 5
Questo inventario spinse Tom a meditare su alcune delle domande che
i fossili viventi pongono al nostro concetto di evoluzione animale e vege­
tale , in particolare se l' apparente assenza di cambiamenti per vasti periodi
di tempo geologico rifletta la realtà o sia un'illusione . Tom si chiese se la
mera somiglianza morfologica tra le conchiglie di Lingula del Siluriano e
quelle odierne fosse sufficiente ad inferire che gli animali che le abitavano
allora fossero identici a quelli che le abitano oggi. Se noi potessimo viag­
giare con una macchina del tempo e trasportare microscopi e laboratori
nel passato, troveremmo che gli antichi ginkgo di Almont di 5 7 milioni di
anni fa sono più o meno gli stessi di quelli di oggi o sono molto diversi?
Sospetto che confermeremmo la prima ipotesi. Ci sono molte altre cose,
nel paesaggio di 57 milioni di anni fa, che troveremmo strane , ma le prove
che abbiamo fino ad oggi suggeriscono che troveremmo nell'antico ginkgo
una rassicurante familiarità. Anche se la lente paleontologica attraverso cui
osserviamo queste antiche piante presenta delle ovvie imperfezioni, sem­
bra che più dettagli scopriamo sul ginkgo di Almont, più esso somiglia alla
sua controparte moderna. La somiglianza dei peduncoli fossili dei semi e di
quelli degli esemplari viventi di ginkgo è stata un'ulteriore prova che punta
nella stessa direzione .
Naturalmente è possibile che future ricerche scoprano differenze si­
gnificative , per esempio nella struttura dei coni pollinici, nel polline o nel
legno, ma sospetto che sia molto più probabile l' opposto : via via che sco-

4 n ginkgo fossile di Almont è stato studiato in dettaglio da Zhou e colleghi (ZHOU et al.
20 1 2) e formalmente designato come Ginkgo cranei.
5 Per ulteriori notizie sui fossili viventi, cfr. ELDREDGE - STANLEY 1 984 e S c HO PF 1 984.
Lingul.a, l'organismo simile a una vongola, è un brachiopode, non un mollusco.

- 1 05 -
PARTE l i i - ORIGINI E PREISTORIA

priremo altri dettagli del ginkgo di Almont, esso diventerà sempre più si­
mile all' albero vivente .
Proprio come la struttura del ginkgo sembra essere rimasta virtual­
mente immutata per decine di milioni di anni, sembra probabile che anche
la sua ecologia sia rimasta costante . D ana Royer della Wesleyan University,
Leo Hickey di Yale e Scott Wing dello U.S. National Museum of Natural
History hanno analizzato 48 reperti di foglie di ginkgo del Nord America
occidentale, distribuiti in un'intervallo compreso tra 55 e 65 milioni di anni
fa, tutti approssimativamente della stessa età dei fossili di Almont. In tutti
i casi, eccetto due , la situazione geologica dei fossili suggeriva che le fo­
glie fossero state conservate in antichi fanghi e sabbie , depositate in canali
fluviali o vicino ad essi. I reperti di ginkgo in depositi lacustri, deltizi o in
altre situazioni erano inesistenti o molto rari. Dana Royer e i suoi colleghi
conclusero che questi antichi ginkgo preferivano sistematicamente habitat
di sponda fluviale e misero in evidenza che questi sono i tipi di ambienti
dove i ginkgo prosperano oggi.
In generale i ginkgo moderni non amano crescere all'ombra di altre
piante . Essi crescono meglio in siti parzialmente o totalmente esposti. I
ginkgo viventi in Cina mostrano di preferire ripidi versanti rocciosi, bordi
di pareti rocciose e, molto significativamente in confronto ai fossili, spon­
de fluviali. Essi amano trovarsi in parte in ombra, in parte esposti. Inoltre,
come ci mostrano molti dei grandi alberi di ginkgo in Asia, come il ginkgo
gigante di Yongmunsa, essi crescono particolarmente bene dove le loro
radici hanno facile accesso all' acqua. Ciò era vero probabilmente anche
per gli antichi ginkgo che crescevano 60 milioni di anni fa in America oc­
cidentale. Essi prosperavano in habitat parzialmente aperti e specialmente
lungo i fiumi. Per una fortunata coincidenza, questo è anche il luogo ideale
dove foglie , semi e altre parti possono incorporarsi nei fanghi e nelle sabbie
fluviali che si accumulano nelle vicinanze. La perseverante costanza nella
sua ecologia, combinata alle sue foglie resistenti e facilmente riconosci­
bili, è una delle ragioni per cui il ginkgo ha una documentazione fossile
eccellente . 6

6 Cfr. ROYER et al. 2003 . Nel suo complesso, la distribuzione di fossili di ginkgo nel tempo
sostiene l'idea che il genere, dall'era Cretacea, abbia preferito climi temperato-caldi con estati
umide e inverni freddi; cfr. DEL TREDICI 2000, TRALAU 1 968 e UEMURA 1 997.

- 1 06 -
1 6.

Prosperità

Tutto si può sopportare al mondo, eccetto una


ininterrotta prosperità.
Johann Wolfgang von Goethe. 1

john Starkie Gardner non è annoverato tra i veri grandi paleontologi


dell'ultima parte del XIX secolo, ciò nondimeno era pieno di energia e do­
tato. Tra il 1 8 79 e il 1 88 7 pubblicò diversi lavori sulle piante fossili, inclusa
la British Eocene Flora in due volumi, prima di interrompere bruscamente
il suo lavoro di paleontologo per dedicarsi a una seconda carriera di esper­
to di oggetti in ferro ornamentali. Fu lui a creare il Victoria Gate a Hyde
Park, a Londra, e le cancellate e inferriate a Holyrood Palace a Edimburgo.
Come si può intuire dal radicale e improvviso cambio di direzione , Gard­
ner era un personaggio energico, con punti di vista forti. 2
Nel decennio del 1 880, Gardner ebbe uno spettacolare scontro, sulle
pagine della rivista scientifica Nature, con un tedesco suo contemporaneo,
il barone Constantin von Ettingshausen, riguardo all'affidabilità scientifica
di alcuni lavori pubblicati da quest'ultimo. In precedenza, i due avevano
collaborato allo studio di antiche felci, conifere e ginkgo dell'Inghilterra
meridionale , ma avevano cessato la collaborazione a causa del disaccordo
sulla appropriata trattazione scientifica da applicare alla imponente colle­
zione di foglie fossili ammassata da Gardner durante i suoi scavi lungo le

1
Attribuita a Goethe, ma la specifica fonte non è confermata.
Per dettagli della carriera paleobotanica di John Starke Gardner ( 1 844-1 930), cfr. AN­
z
DREWS 1 980, p. 372.

- 1 07 -
PARTE I I I - ORIGINI E PREISTORIA

scogliere di Bournemouth. Quelle foglie, estratte da località che ora sono


da tempo coperte o distrutte dallo sviluppo urbano della popolare cittadina
balneare, risalgono all' Eocene medio, ovvero a 40-50 milioni di anni fa .3
Gardner trovava irritante la propensione di Ettingshausen a mandare
frettolosamente alle stampe nuove identificazioni e formali nomi latini di
fossili che non erano ancora stati studiati a fondo. Egli non approvava l'atteg­
giamento sprezzante di Ettingshausen nel collegare queste foglie con speci­
fiche piante viventi. Gardner era esasperato. Sapeva che il numero di piante
con le quali i fossili dovevano essere confrontati era molto alto e che le foglie
di piante filogeneticamente distanti tra loro possono avere aspetto simile e
generare confusione; era perfettamente conscio della possibilità di commet­
tere errori grossolani e fuorvianti. Gardner non poteva quindi sottoscrivere
un modo di procedere che considerava palesemente non scientifico.
Fortunatamente , identificare il ginkgo da reperti fossili è molto meno
problematico che identificare le spesso indistinte foglie di piante con fiori,
che costituiscono la maggior parte delle flore fossili dal Cretaceo medio in
poi. Uno degli aspetti meravigliosi del ginkgo, dal punto di vista paleobota­
nico, sono le foglie assolutamente peculiari: non possono essere ignorate o
confuse con qualcos' altro. Così, considerata l' ampia diffusione del ginkgo
nel Giurassico e Cretaceo, è forse significativo che in tutta la imponente
collezione di Gardner non vi siano reperti di foglie di ginkgo. Nel prece­
dente lavoro scritto a due mani, prima della separazione , Gardner e Etting­
shausen avevano descritto foglie fossili di ginkgo in Scozia, ma non si trova
una singola foglia di ginkgo tra le molte centinaia di campioni raccolti a
Bournemouth, che oggi occupano diverse decine di cassetti nel Natural
History Museum di Londra.
Stranamente , il ginkgo manca anche in un'altra vasta e importante col­
lezione di piante fossili dell'Inghilterra meridionale, anch'essa di origine
eocenica. I fossili raccolti dalle spiagge dell'Isola di Sheppey, nell'estuario
del Tamigi, appena 65 krn a est del centro di Londra, offrono una visuale
insolitamente ricca di dettagli sulla vita vegetale di un periodo compreso tra
45 e 55 milioni di anni fa. Questa cosiddetta flora di London Clay è oggetto
di raccolta fin dagli albori della paleontologia scientifica. In larga misura
grazie agli sforzi di Eleanor Reid e Marjorie Chandler, due donne pioniere
della paleontologia, i dati noti per i fossili di London Clay superano quelli di
qualunque altra raccolta di piante fossili dello stesso periodo. Il classico lavo­
ro di Reid e Chandler, The London Clay Flora, pubblicato dal Natural History

3 Cfr. ANoREws 1 980 per una rassegna dei lavori paleobotanici di Constantin von Etting­
shausen ( 1 826- 1 897).

- 1 08 -
1 6 . PROSPERITÀ

Museum nel 1 93 3 , è un tomo sostanzioso. Descrive e illu stra più di 400


specie e pone nuovi standard di accuratezza nel confronto tra piante fossili
e viventi. La sua importanza poggia in parte sul tipo di materiale studiato,
cioè frutti e semi fossili - anziché foglie - meravigliosamente conservati.4
La flora di London Clay viene raccolta in modo intensivo da più di 1 5 0
anni. Centinaia di persone hanno passato innumerevoli ore sulla spiaggia
di Sheppey e altrove alla ricerca di questi fossili. Sono stati raccolti migliaia
di campioni. La flora di London Clay è di gran lunga la più ricca e la più
informativa flora eocenica oggi conosciuta. Tuttavia, come a Bornemouth,
il ginkgo non è finora riuscito a fare la sua comparsa a London Clay. Il duro
guscio interno di un seme di ginkgo è distintivo, si sarebbe ben conservato
e sarebbe stato presto riconosciuto da Eleanor Reid, Marjorie Chandler e
dai molti altri specialisti che hanno studiato i fossili di Sheppey negli anni. 5
Un importante indizio circa i motivi della mancanza di ginkgo dalle
raccolte di Gardner a Bournemouth e dalla flora di London Clay proviene
dai più cospicui fossili vegetali raccolti sulla spiaggia di Sheppey; si tratta
degli inconfondibili frutti di Nypa, una palma priva di fusto. Oggi Nypa si
trova, allo stato nativo, strettamente confinata agli habitat a mangrovie ,
salmastri e spesso soggetti alle maree, protetti dalla piena esposizione all'o­
ceano. La buona rappresentazione di questa pianta costiera a London Clay
non solo ha un chiaro significato ecologico, ma suggerisce fortemente , per
estrapolazione dai parenti viventi, che la vegetazione di London Clay si sia
sviluppata in un clima tropicale o quasi tropicale . 6
Tuttavia, spostandosi verso Nord, in rocce leggermente più vecchie che
sembrano essersi depositate in climi un po' più freschi, la situazione è di­
versa. I basalti colonnari esposti lungo la bella e aspra costa sud occidentale
dell'isola di Muli in Scozia sfidano quelli della Giants C auseway sull' altra
sponda del Mare irlandese, nella contea di Antrim in Irlanda del Nord. Essi
risalgono all'inizio del Paleocene, circa 60-65 milioni di anni prima del pre­
sente , e si sono formati per successive fuoriuscite di basalti fusi attraverso
una profonda spaccatura geologica nella crosta terrestre, che infine ha con­
tribuito a creare l'Atlantico settentrionale . Nella Giants Causeway, a Muli e

4 Cfr. ANoREws 1 980 per una rassegna dei lavori paleobotanici di james Scott Bowerbank
( 1 797- 1 877), Eleanor Reid (1 860- 1 953) e Marjorie Chandler (1 897- 1 983).
5 In una serie di pubblicazioni tra il 1 960 e 1 970, Marjorie Chandler ha ampliato e revi­
sionato l'originale London Clay Flora del 1933, ponendolo nel contesto di altre flore fossili e
oceaniche dell'Inghilterra meridionale; cfr. CHANDLER 1 96 1 , 1 962, 1 963, 1 964.
6 Sappiamo che London Clay contiene più di cinquecento tipi di piante e circa 350 iden­
tificate a livello di specie. Per ulteriori informazioni su London Clay e sulle piante fossili che
vi sono state descritte, cfr. i classici lavori di REm - CHANDLER 1 933 e le successive revisioni e
aggiornamenti di CHANDLER 1961 e COLLINSON 1 983.

- 1 09 -
PARTE I I I - O RI G I N I E PREISTORIA

anche all'Isola di Staffa, dove hanno creato la grotta di Fingal, i basalti caldi
si sono raffreddati e hanno formato file di alte colonne esagonali. 7
Ardtun Head, vicino alla punta sud-orientale d i Muli, è formato d a di­
verse file di grandi basalti colonnari neri, ma già nel l 85 1 il proprietario dei
terreni, il duca di Argyll, che aveva uno spiccato interesse verso la nascente
scienza geologica, descrisse i dettagli delle sezioni di roccia esposte nella
scogliera. Fu anche tra i primi a rivolgere l'attenzione verso le rocce più
morbide intercalate ai basalti e verso le piante fossili che vi erano contenu­
te . Le principali caratteristiche delle sezioni geologiche descritte dal duca
di Argyll sono ancora chiaramente visibili ad Ardtun Head. Essi mostrano
tre strati principali di basalto, il cui spessore varia da 3 a 1 6 m, tra i quali vi
sono argilliti depositate non dall'attività vulcanica ma dall' acqua. Quando
i successivi strati di basalto si raffreddavano, essi venivano colonizzati dalla
vegetazione proprio come avviene oggi, per esempio in Islanda o sull' Isola
Grande delle Hawaii. Nei fanghi creati dai torrenti, dagli stagni e dai laghi
in questo nuovo paesaggio, le foglie e altre parti di piante furono sepolte
come fossili prima di essere sepolte ancora più in profondità e per lungo
tempo dalla nuova fuoriuscita di lava . 8
Su questi fossili, conservati nei soffici strati intercalati ai basalti sull'isola
di Mull, John Gardner riversò lo stesso entusiasmo per la raccolta che aveva
avuto nei confronti delle scogliere di Bournemouth. Messo alla prova dagli
imponenti, scuri e solidi basalti dell'isola di Muli, egli fece ricorso alla di­
namite , con grande effetto. Gli spettacolari fossili vegetali di Muli sono ora
ospitati, insieme a quelli di Bournemouth, nelle collezioni del Royal Scotti­
sh Museum a Edimburgo, dello Hunterian Museum a Glasgow, del Natural
History Museum a Londra e altrove . Insieme a ginkgo, i fossili raccolti da
Gardner comprendono le foglie di antichi nocciòli, querce, allori, e katsura
(Cercidiphyllumjaponicum). Nel loro insieme, essi indicano climi più freschi
di quelli di London Clay. 9
La distribuzione di questo tipo, osservata in Inghilterra, dove il ginkgo
sembra mancare dalle flore più tropicali ma è presente nelle flore fossili di
climi più freschi, pare valida in tutta l'Europa nel periodo compreso tra 40
e 65 milioni di anni fa. Per esempio, il ginkgo è assente nel notevole assem­
blaggio di fossili raccolti in una vecchia miniera di scisti bituminosi a Messel,
non lontano da Francoforte in Germania. La conservazione veramente ec-

7 I basalti colonnari esposti che formano la grotta di Finga! hanno in parte fornito l'ispira­
zione per la musica del compositore romantico norvegese Edvard Grieg.
s Per le osservazioni geologiche del Duca di Argyll cfr. Dmrn OF ARGYLL - FoRBES 1 85 1 .

9 Per ulteriori dettagli sulle piante fossili paleoceniche dell'Isola di Muli, cfr. BouLTER -
KvACEK 1 989.

- 1 10 -
1 6 . PROSPERITÀ

cezionale dell'antica vita animale a Messe! riguarda mammiferi con resti di


pelle, peli e contenuto intestinale, ma anche colibrì con le piume. L' abbon­
danza di pipistrelli e coccodrilli è uno dei tanti indizi di condizioni tropica­
li, confermate anche dalle piante, che comprendono palme, felci e aroidee .
Pochi anni fa, u n superbo studio della giovane paleobotanica Selena Smith
dimostrò che un fossile vegetale particolarmente difficile da identificare, che
era rimasto enigmatico per molti anni, era in effetti il peduncolo fruttifero
della pianta dei cappelli di Panama (Carludovica palmata), appartenente a un
gruppo di specie che oggi cresce soltanto nell'America Latina tropicale. 1 0
Il quadro è identico in America settentrionale. Le flore fossili oceaniche
del Kentucky e del Tennessee sono oggetto di estensiva raccolta da più di
un secolo, specialmente dall'inizio del XX secolo ad opera di E. W Berry e
dei suoi collaboratori. Più recentemente, negli anni '60, ' 70 e '80, enormi
raccolte sono state fatte da David Dilcher e dai suoi studenti. Ci sono deci­
ne di migliaia di campioni delle flore fossili oceaniche di Kentucky e Ten­
nessee nelle collezioni di molti musei in tutti gli Stati Uniti. Le collezioni
del National Museum of Natura! History a Washington D. C . e del Field
Museum a Chicago, ma anche le collezioni Dilcher ora al Florida Museum
of Natura! History, sono particolarmente ricche. In tutto questo materiale,
comunque, non c'è una singola foglia di ginkgo.
Ginkgo è tuttavia presente in una delle più intensamente studiate e più
informative flore fossili e oceaniche del Nordamerica: quella dell'antica
colata di fango della Clarno Formation, non lontano dalla città di Fossi!
nell'Oregon orientale. Le piante fossili di Clarno sono conservate come
un miscuglio di frutti, semi e foglie in un'antica colata di fango prodot­
ta dall'attività di un vicino vulcano. Semi e frutti della comunità fossile
di Clarno sono stati meticolosamente raccolti per decenni, specialmente
dallo scomparso Tom Bonis, con l' aiuto di generazioni di studenti di liceo
grazie a programmi gestiti dall' Oregon Museum of Science and Industry.
Migliaia di semi e frutti fossili sono stati raccolti ma finora l'unica chiara
evidenza di ginkgo è un pezzo di legno pietrificato e una singola inconfon­
dibile foglia. Anche in questo caso la flora indica decisamente condizioni
calde . Ci sono frutti di palme e della famiglia delle Annonaceae e, come a
London Clay, vi è abbondanza di rampicanti. Ma in questo caso il ginkgo
era presente, sebbene apparentemente piuttosto raroY

l O Nel 1 995, il sito fossile della cava di Messe! è diventato un Sito UNESCO del Patrimonio

mondiale. Per la flora di Messe!, cfr. CoLLINSON et al. 20 12. Ginkgo orientalis appare in molte
località paleoceniche dell'Europa orientale; cfr. SAMYLINA 1 967.
11 Per più informazioni sulla flora fossile della Clarno Formation, cfr. MANCHESTER 1981
e WHEELER - MANCHESTER 2002.

- 111 -
PARTE I I I - O R I G I N I E PREISTORIA

Analogamente, non troppo lontano dalla Clarno Formation e in rocce


della stessa età, il ginkgo appare nelle ricche flore fossili conservate in an­
tichi laghi al momento della iniziale evoluzione della parte settentrionale
dei Monti Cascade . I laghi, che si sono gradualmente riempiti di ceneri e
altri detriti vulcanici fini, hanno conservato pesci, insetti e occasionalmen­
te mammiferi, così come foglie e altre parti di piante che crescevano nelle
vicinanze. Diversi di questi antichi laghi produttori di fossili si trovano a
cavallo del confine tra Stati Uniti e C anada, precisamente nelle Okanagan
Highlands dello stato di Washington e della confinante British Columbia,
ma quello di gran lunga più attentamente studiato si trova nei pressi della
piccola città di Republic nel Washington nordoccidentale, non lontano dal
punto in cui il fiume Columbia passa in Canada. 1 2
Una spiegazione della presenza di ginkgo nella flora di Republic e forse
a Clarno, in contrasto alla sua assenza tra le piante fossili della Green River
Formation, Kentucky e Tennessee, può essere l' altitudine leggermente au­
mentata e la più alta latitudine, con conseguenti temperature leggermente
più fresche . Al momento in cui le foglie furono depositate nel lago di Re­
public, si trovavano probabilmente a 750- 1 000 m sul livello del mare. Gin­
kgo sembra preferire queste temperature più fresche e la sua preferenza
è sostanzialmente confermata dal fatto che all'incirca allo stesso tempo il
ginkgo cresceva a latitudini molto alte , all'interno del circolo polare artico,
non molto lontano dal Polo Nord.
Sull'isola di Ellesmere in C anada, nel profondo dell'Artico canadese,
Jim Basinger e la scomparsa Elizabeth Mclver dell'Università di Saska­
tchewan hanno descritto il ginkgo tra le antiche piante che crescevano nel­
le torbiere a elevate latitudini e nei territori circostanti. La flora, non molto
ricca in confronto a quelle che si trovano più a sud, include diversi tipi di
latifoglie insieme ad antichi abeti, pini e alle inconfondibili foglie dell'abete
d' acqua. La presenza di foreste con ginkgo nell'Artico circa 5 5 milioni di
anni fa è un nitido promemoria che la familiare configurazione del nostro
pianeta, con ghiaccio permanente ai poli e calore in tutto l' anno soltanto
ai tropici, è l'eccezione anziché la norma negli ultimi 200 milioni di anni di
vita della Terra.

12 Il ginkgo è abbastanza comune nelle formazioni dell'Eocene medio della parte setten­

trionale dello stato di Washington e British Columbia a Driftwood Creek, Quesnel, Horsefly,
Tranquilo, McAbee, Quilchena, Princeton e Republic.

- 1 12 -
Parte IV
Declino e sop ravvivenza
Pagina precedente: stemma di una famiglia giapponese, con tre foglie stilizzate di ginkgo.
1 7.

Vincolo

Ciò che non mi uccide mi rinforza.


Friedrich Nietzsche, Nietzsche contro Wagner.

Oggi il ginkgo si può coltivare facilmente in molte parti del mondo,


compresa la maggior parte dell'Europa e degli Stati Uniti e buona parte
dell'Asia orientale, ma perlopiù entro una fascia che corrisponde all'incirca
alle regioni temperate . Ad esempio, in Europa il ginkgo prospera da Parigi,
nella Francia settentrionale , a Montpellier, nel meridione ; è popolare in
tutta la Germania, grazie ai legami con Goethe .
Tuttavia, non può sopravvivere in gran parte della Finlandia né prospe­
rare all'altra estremità dello spettro climatico europeo, ad esempio in Sicilia
o nelle isole greche , dove sia le temperature elevate sia la scarsità di acqua
costituiscono un problema. Analogamente, in Australia il ginkgo cresce
bene in piena aria a Melbourne e a Sydney, ma non si trova lungo le strade di
Cairns o Darwin. Sembra che il ginkgo riesca a prosperare entro una fascia
latitudinale abbastanza ben definita, fuori della quale stenta e infine muore.
Ci sono vincoli di qualche tipo, probabilmente una combinazione di vincoli,
che limitano la sopravvivenza del ginkgo sia verso i poli, sia verso i tropici. 1
I diversi fattori climatici che governano la distribuzione del ginkgo e di
altre specie arboree sono complicati, tanto più se si considera che le con­
dizioni locali, i microclimi e la disponibilità di acqua e nutrienti nel terre­
no possono variare sensibilmente anche a breve distanza, in funzione della
esposizione, altitudine o vicinanza a fonti di acqua dolce o salata. Ogni giar-

l NIETZSCHE 1 896, p. 98.

- 1 15 -
PARTE IV - D E C L I N O E S O P RAVVIVENZA

diniere sa che il rigoglio, la sopravvivenza stentata o la morte di una pianta


in un dato luogo dipendono da molti fattori. In ogni caso, la bassa tempera­
tura è ovviamente un vincolo chiave per la crescita del ginkgo verso i poli e
ad elevate altitudini. Nelle zone di rusticità riconosciute dal Dipartimento
dell'Agricoltura degli Stati Uniti, ampiamente usate dai giardinieri del Nord
America come guida alla plausibile resistenza di una particolare pianta, il
limite settentrionale del ginkgo è la zona 5 , definita in base alla media delle
temperature minime degli ultimi trenta anni maggiore o uguale a -3 0 ° C .
In Cina, il ginkgo cresce bene in climi con media annua compresa tra
1 0 e 1 8 o C e precipitazioni nell'ordine di 600- 1 000 mm annui, ma anche in
America il ginkgo dimostra un'ampia tolleranza bioclimatica. La pianta può
sopportare temperature molto basse d'inverno e molto alte in estate , alme­
no per brevi periodi. Ciò gli permette di crescere bene in luoghi come Chi­
cago, dove le temperature invernali possono scendere a -30 ° C e quelle esti­
ve superare i 42 ° C. Analogamente il ginkgo se la cava a Minne apolis-Saint
Paul, dove le temperature invernali sono ancora più estreme e gli inverni
più lunghi. Ciò nonostante , ci sono dei limiti evidenti. Il ginkgo non soprav­
vive in Nordamerica nelle zone bioclimatiche l e 2 o in zone più fredde,
dove le temperature invernali possono precipitare a -45 ° C o anche meno.
Il ginkgo può sopravvivere, sebbene in condizioni non sempre ottimali,
in tutti i 50 stati dell'Unione , compresa l'Alaska. Lungo la costa orientale
del Nord America, il ginkgo cresce bene da Charleston, South C arolina, a
Montreal nel Quebec, ma non ci sono alberi di ginkgo in Labrador, né nella
parte meridionale della Florida. Nelle Hawaii il ginkgo cresce bene soltan­
to in montagna. Lungo la costa occidentale, il ginkgo cresce da San Diego
a Vancouver, ma ancora più a nord in Alaska o ancora più a sud nella Bassa
C alifornia, è tutta un' altra storia. I vivaisti di Juneau, nell'Alaska meridio­
nale, riferiscono che l' albero può sopravvivere per alcuni anni, ma senza
diventare florido, e non sopravvive affatto a Fairbanks, ancora più a nord.
Il portamento deciduo del ginkgo contribuisce in parte alla sua resisten­
za al freddo estremo. Come avviene per molte latifoglie di zone temperate ,
la caduta delle foglie è un modo per evitare i danni che sarebbero causati
dalla formazione di cristalli di ghiaccio nei tessuti vivi o dalla perdita di ac­
qua attraverso le foglie nei periodi in cui l' acqua nel terreno è congelata. In
effetti, il portamento deciduo riduce il problema della sopravvivenza inver­
nale al più agevole compito di proteggere le giovani foglie all'interno delle
gemme di svernamento. Le gemme del ginkgo sono piccole, rotonde e ben
protette da una massa di squame sottili, brune , sovrapposte e strettamente
appressate una all' altra. Alcuni alberi di zone temperate e forse anche i gin­
kgo adottano un ingegnoso meccanismo tramite il quale le gemme sono
attivamente super-raffreddate , in modo tale da minimizzare ulteriormente

- 1 16 -
1 7. V I N C O LO

la possibilità di formazione di cristalli di ghiaccio. Comunque, questo mec­


canismo sembra venir meno quando la temperatura scende sotto -40 ° C : a
questo punto i cristalli di ghiaccio si formano spontaneamente e danneg­
giano i tessuti vivi. Sembra probabile che il limite verso il polo della zona
di crescita del ginkgo rifletta in parte il livello di protezione assicurato dalle
gemme alle foglie della stagione successiva al loro interno. 2
Se i valori assoluti delle temperature invernali sono un fattore che con­
tribuisce a fissare il limite della crescita del ginkgo verso i poli, altrettanto
importante in questo senso è la lunghezza della stagione vegetativa. Se in
una breve estate le foglie non riescono a raccogliere sufficiente energia per
coprire quelli che possiamo considerare i "costi di mantenimento" , allora
la crescita in quei luoghi non è probabilmente sostenibile. Nella maggior
parte dei casi dove si può osservare un evidente limite della vegetazione
arborea, dipendentemente dalla latitudine o dall' altitudine, non sembra
che tale limite sia correlabile ad un drastico abbassamento delle tempera­
ture invernali tale da impedire la sopravvivenza degli alberi, ma piuttosto
a qualche limitazione dovuta alla lunghezza della stagione vegetativa e alle
temperature che si raggiungono. Questa supposizione si accorda anche
con quanto osservato in molte specie arboree, nelle quali la fotosintesi fun­
ziona anche a bassa temperatura, ma se i livelli di attività divengono insuf­
ficienti, allora l'energia immagazzinata viene conservata per usi successivi
anziché essere usata direttamente per la crescita. 3
La suscettibilità di ginkgo e di altri alberi alle basse temperatura va­
ria considerevolmente in funzione dello stadio vitale nel quale l' albero vi
è esposto. Le piante giovani sono generalmente molto più sensibili del­
le piante adulte, così è importante considerare regolarità e periodo delle
temperature estremamente basse in relazione allo sviluppo della pianta. Se
un grande albero perde qualche foglia in una gelata tardiva, è comunque
probabile che abbia immagazzinato sufficienti riserve di energia per pro­
durne di nuove . Ma nel caso di una plantula con solo poche foglie e riserve
nutritive giocoforza limitate , la situazione è molto diversa. A Kew, l' espe­
rienza condotta con alcuni alberi sensibili al gelo, come alcuni eucalipti,
ha dimostrato che se la loro fase di plantula ha casualmente coinciso con
una serie consecutiva di inverni miti, che hanno consentito alle plantule di
crescere bene, allora la loro possibilità di sopravvivenza in concomitanza di
un successivo inverno rigido aumenta di molto. Comunque , è vero anche

2 Per altre notizie sulla resistenza al gelo degli alberi nordamericani, cfr. SAKAI - WEISER
1 973 .
3 Per altre notizie relative all'effetto del clima sulla crescita e produttività delle piante cfr.
SKRE 1990; DAHL 1 990 e MELILLO et al. 1 993 .

- 117 -
PARTE IV - D E C L I N O E SOPRAVVIVENZA

il contrario. Nell' Inghilterra meridionale , all'inizio del 20 1 0 , l'inverno fu


uno dei più rigidi nelle ultime decadi. Un collega che coltivava plantule di
ginkgo all' aperto ne perse circa la metà.4
Un'ulteriore complicazione in ginkgo è l'influenza esercitata dalla lun­
ghezza della stagione vegetativa sullo sviluppo dell'embrione nel seme in
maturazione e, di conseguenza, sull'opportunità per le giovani piante di
irrobustirsi nella prima stagione di crescita. Uno studio di Peter Del Tredi­
ci mostra l'importanza di questi effetti. Con attente osservazioni e alcuni
semplici esperimenti, Peter ha studiato gli effetti della temperatura sulla
riproduzione del ginkgo in base a confronti tra piante coltivate all' Arnold
Arboretum della Harvard University, a circa 42 ° di latitudine nord, e piante
coltivate nella provincia di Guizhou, in Cina a circa 25 ° di latitudine nord.5
Negli Stati Uniti nord-orientali, l'impollinazione ha luogo verso la metà
di maggio e la fecondazione verso la fine di settembre o l'inizio di ottobre. I
semi vengono dispersi uno o due mesi più tardi. L'embrione, il cui livello di
maturazione al momento della dispersione dei semi dipende largamente da
condizioni locali, continua a svilupparsi dopo che il seme è caduto a terra.
Ciò significa che esso ha a disposizione soltanto un mese o poco più per
proseguire nel suo sviluppo prima che la crescita rallenti o si fermi completa­
mente con l' arrivo della stagione fredda. In conseguenza di ciò, lo sviluppo
riprende nella stagione successiva e a causa della primavera relativamente
ritardata e del tempo supplementare necessario per lo sviluppo dell'embrio­
ne, la germinazione non avviene prima della metà o della fine di giugno.
L'intero processo, dalla impollinazione alla germinazione, richiede 13 mesi e
la giovane plantula può contare soltanto su cinque mesi per irrobustirsi pri­
ma dell'inverno successivo e delle basse temperature potenzialmente fatali.
Il contrasto col ciclo vitale dei ginkgo coltivati a Guizhou è lampante .
Là, con un inizio molto anticipato della stagione vegetativa, l'impollinazio­
ne ha luogo tra metà marzo e inizio aprile, circa due mesi prima che nel
Massachusetts. I semi sono dispersi a metà settembre e germinano a metà
marzo dell'anno seguente . L'intero processo si completa poco più veloce­
mente , appena 12 anziché 13 mesi, ma il più rapido completamento dello
sviluppo dell'embrione permette al seme di germinare ben tre mesi prima

4 Il destino delle plantule di ginkgo è stato comunicato da Wolfgang Stuppy (Royal Bota­
nic Gardens Kew, comunicazione personale).
5 L'Arno ld Arboretum, una delle più grandi collezioni al mondo di alberi viventi, si trova
a Jamaica Plain, alle porte di Boston. Ha una lunga storia di organizzazione di spedizioni in
tutto il mondo per raccogliere alberi da porre in coltivazione. Le collezioni sono ricche special­
mente di materiale cinese e la forte collaborazione con botanici cinesi ha offerto a Peter Del
Tredici l'opportunità di lavorare sulla tempistica della riproduzione sessuale in alberi di ginkgo
cresciuti in una situazione quasi naturale; cfr. DEL TREDICI 2007.

- 1 18 -
22

23

Fig. 2 2 . All' inizio della primavera le gemme sui brachiblasti formano


le nuove foglie e gli abbozzi degli ovuli.
Fig. 23. Piantine di ginkgo in un campus universitario di Seui. Corea
del Sud.
Fig. 2 4 . Il famoso "ginkgo delle cinque generazioni" nella Riserva del Monte Tianmu. in Cina.
Fig. 2 5 . Il grande g i n kgo del t e m p i o Ts ur u g ao ka H a c h i m a n ·gu di K a m a k u r a . G i a pp on e . L" albe ro è
c r o l l a t o a segu i t o di u n a t e m p e s t a n e l 2 0 1 0 .
Fig. 2 6 . C n m a e stoso esem p lare di ginkgo colti\'ato in un parco.
1 7. VINCOLO

che nel Massachusetts. Le plantule di Guizhou hanno circa otto mesi, anzi­
ché cinque, per provare a crescere bene e irrobustirsi prima di confrontarsi
col loro primo inverno. Oltretutto, l'inverno è relativamente mite in con­
fronto a quello degli Stati Uniti nord-orientali. Tutte queste considerazioni
dimostrano che , mentre la temperatura è importante nel determinare le
zone dove il ginkgo può crescere, i suoi effetti sono complessi e ulterior­
mente complicati dalle interazioni con altri fattori, in particolare le condi­
zioni del suolo e la disponibilità di acqua. 6
Mentre il controllo del limite settentrionale del ginkgo oggi è general­
mente correlato a diversi aspetti della temperatura, segnatamente stagione
vegetativa abbreviata, valori assoluti delle temperature invernali inferiori
e durata del periodo nel quale le condizioni sfavorevoli devono essere sop­
portate , è più difficile comprendere con precisione quali siano i fattori che
limitano la distribuzione del ginkgo all'opposta estremità dello spettro cli­
matico. Una rapida ricognizione in America del Nord suggerisce che men­
tre il ginkgo prospera in molti luoghi, esso non si trova come elemento
caratteristico del paesaggio a New Orleans o nella calura, ininterrotta per
tutto l'anno, della Florida meridionale. Il ginkgo è ovviamente un albero
appropriato da piantare al Dinosaur World, nel parco tematico della Disney
ubicato nella Florida centrale e intitolato '1\nimal Kingdom" . Ha certamen­
te fatto parte del mondo dei dinosauri, ma insieme ad altri alberi di climi
più spiccatamente temperati, là esso non sembra particolarmente felice. Se­
condo jeff Courtney, orticoltore dell' Animai Kingdom, il segreto per man­
tenere vivi i pochi ginkgo del parco è trovare un buon punto, con il giusto
microclima, fuori dai raggi del sole e in luoghi con abbondanza di acqua.
In Messico il ginkgo cresce bene all' altitudine relativamente elevata di
Città del Messico, dove gli inverni possono essere freddi e le minime medie
di gennaio circa 6 ° C , ma il ginkgo non è una pianta che si ritrova nelle pia­
nure di Chiapas o di O axaca .
Analogamente , in Asia i semi di ginkgo sono comuni nelle cucine cinesi
di Hong Kong e Singapore, ma sono tutti di importazione . Il ginkgo cresce
bene nelle province meridionali temperato-calde di Guizhou e Yunnan, ma
non al confine meridionale della Cina, per esempio a Xishuangbanna, vi­
cino al confine con Laos e Myanmar. Per quanto resistente, il ginkgo non
può tollerare i climi veramente tropicali.
Con considerazioni analoghe a quelle discusse per il limite settentrio­
nale, i fattori che escludono il ginkgo dai tropici e definiscono il suo limite
meridionale nell'emisfero boreale e quello settentrionale nell'emisfero au-

6 Il resoconto del processo dalla fertilizzazione alla germinazione e dei fattori che ne go­
vernano le variazioni si basa su DEL TREDICI 2007.

- 1 19 -
PARTE IV - D E C L I N O E SOPRAVVIVENZA

strale sono probabilmente complessi. I valori assoluti della temperatura e


la disponibilità di acqua hanno indubbiamente un ruolo, ma acquista im­
portanza anche una situazione ben nota ai viticoltori di tutto il mondo.
Si ha la tendenza ad associare i vigneti ai caldi giorni estivi, quando è più
gradevole sorseggiare un bicchiere di vino all' ombra piuttosto che in pieno
sole , ma non si deve dimenticare l'inverno. Per quanto la vite prosperi nelle
zone con estati calde , essa non cresce bene in luoghi dove fa caldo tutto
l' anno. Nel suo ciclo annuale di crescita, la vite richiede un ben definito
periodo freddo. Ciò vale anche per molti alberi da frutto, che necessitano
del freddo invernale, che i giardinieri chiamano vernalizzazione , per fio­
rire e fruttificare l' anno successivo. In molti casi gli alberi decidui di climi
temperati non crescono bene quando sono coltivati in Orti botanici tropi­
cali. Essi emettono foglie in modo apparentemente incontrollato e alla fine
muoiono. Nella maggior parte dei casi, le piante delle zone temperate non
sopravvivono a lungo in climi privi di gelo.
Anche l'acqua è essenziale e anche in questo caso i suoi effetti possono
essere sottili. In particolare , è importante non solo il valore assoluto delle
precipitazioni annue, ma anche la loro distribuzione nell' anno e il modo
in cui il suolo trattiene l' acqua. L'acqua si perde rapidamente in suoli fini
e sabbiosi e in queste circostanze può rapidamente scarseggiare , determi­
nando un effetto a catena sull' accrescimento degli alberi. A Kew, per esem­
pio, dove il suolo è generalmente ben drenato, gli alberi spesso reagiscono
a lunghe estati secche perdendo le loro foglie prima del tempo o addirittura
perdendo grandi rami. In altre circostanze, per esempio dove ci sono suoli
profondi e argillosi, l' acqua è trattenuta per periodi più lunghi, che aiutano
a smorzare brevi periodi di aridità. Il ginkgo è sensibile all' eccesso di acqua
nel suolo; le sue radici non sopportano di essere sommerse in permanenza,
ma l' acqua è indispensabile affinché esso possa realmente prosperare .
Nel loro complesso, queste sfaccettature di temperatura, stagionalità
e disponibilità di acqua sembrano essere i fattori chiave che limitano la
attuale distribuzione del ginkgo, sia verso i tropici, sia verso i poli. Fatto­
ri analoghi hanno potenzialmente influenzato la mutevole distribuzione
del ginkgo nel passato. Tuttavia, mentre i ginkgo coltivati in tutto il mon­
do ci danno indicazioni riguardo ai luoghi dove l' albero riesce a crescere,
non è come dire che il ginkgo sarebbe capace di sopravvivere in natura
nelle stesse condizioni. Questo è un compito più arduo, che richiede non
solo la capacità di resistere al clima e di produrre semi vitali, ma anche di
avere successo in un ecosistema, insieme a un variegato assortimento di
piante , animali, microorganismi, parassiti e malattie . L'abilità del ginkgo
di sopravvivere in coltivazione in molti luoghi diversi è soltanto una prova
parziale della sua capacità di sopravvivere in natura.

- 1 20 -
18.

Regresso

Il cambiamento che si nota non è tanto l'arrivo di


tempi duri, ma più che altro la fine di quelli molli.
Groucho Marx. 1

Tra 35 e 65 milioni di anni fa il ginkgo era diffuso in tutto l'emisfero


boreale, ma alla fine quel periodo di grande prosperità giunse al termine
quando il clima cominciò a raffreddarsi. Nell'emisfero australe, le piante
affini al ginkgo, che persistevano dal Cretaceo, facevano ancora parte dei
paesaggi meridionali, ma anche esse ben presto scomparvero. L'ultima evi­
denza di piante affini al ginkgo nell'emisfero australe si trova in Tasmania,
tra 40 e 65 milioni di anni fa. Dopo, sebbene ci siano molte flore fossili
più recenti in Australia e sud America, le piante affini a ginkgo sembrano
scomparse dall'emisfero australe fino a che non sono state reintrodotte,
decine di milioni di anni più tardi, dall'uomo.2
Circa 3 5 milioni di anni fa il clima globale divenne non solo notevol­
mente più freddo, ma in alcuni luoghi anche più secco. In Nord America,
il continuo sollevamento della Sierra Nevada, della C atena delle C ascate e
delle Montagne Rocciose intercettò l'umidità dei venti che spiravano dal
Pacifico e intensificò l'ombra pluviometrica sulla maggior parte del con­
tinente . Ciò rese possibile l'espansione di un paesaggio nuovo : la prateria.
Anche in Asia, a seguito del cambiamento climatico, le foreste furono so­
stituite dalle steppe . In questi nuovi habitat, più aperti, si diffusero nuovi

1 Attribuita a Groucho Marx, ma la fonte specifica non è confermata.


z Per la descrizione dei fossili di foglie simili a ginkgo della Tasmania, cfr. HILL - CARPEN­
TER 1 999.

- 121 -
PARTE IV - D E C L I N O E SOPRAVVIVENZA

gruppi di piante , come le graminacee , i girasoli e piante loro affini, quali


le erbacee di tanti tipi. Ci fu un' evoluzione esplosiva delle piante con fiori,
che determinò la maggior parte della diversità vegetale che abbiamo oggi.
All o stesso tempo, gli habitat forestali adatti alla crescita del ginkgo diven­
nero via via più ridotti.
In Europa, il ginkgo era certamente presente circa 60 milioni di anni fa,
per esempio a Muli in Scozia, al margine orientale dell' Oceano Atlantico
in fase di apertura, ma le foglie di ginkgo sono assenti nelle numerose flore
eoceniche di Gran Bretagna, Francia, Germania e paesi limitrofi. Quasi cer­
tamente la causa di tale assenza fu il clima troppo caldo. Più sorprendente
è l' assenza delle foglie di ginkgo in alcune delle classiche flore oligoceniche
europee e nella maggior parte delle ricche e intensamente studiate flore
fossili rnioceniche e plioceniche associate agli imponenti depositi di lignite
del bacino del Reno, nella Germania occidentale .3
C'è, tuttavia, una presenza veramente notevole di ginkgo nella flora di
Selàrdalur, in Islanda. A completamento di precedenti studi paleobotanici,
le nuove raccolte e gli studi esaurienti di Thomas Denk e colleghi hanno
dimostrato che circa 1 5 milioni di anni fa il ginkgo cresceva in una foresta
di antiche querce, cipressi di palude , sequoie, magnolie e viti nei paesaggi
vulcanici dei fiordi occidentali dell'Islanda, in luoghi forse non molto diver­
si da quelli abitati dal ginkgo a Muli quasi 40 milioni di anni prima .
U n hotspot p e r i ritrovamenti d i ginkgo i n Europa nel Miocene e Plio­
cene sono le flore fossili dell'Europa orientale e sud-orientale . In questa
zona il ginkgo sembra assente nel Paleocene ed Eocene, ma le sue caratte­
ristiche foglie si ritrovano ampiamente nelle flore fossili dal Miocene medio
al Pliocene, ossia da circa cinque a 1 6 milioni di anni fa, in una vasta area
estesa da Monaco a occidente fino a Ucraina e Russia a oriente . All ' estre­
mità sud orientale, il ginkgo si ritrova anche nelle regioni nord-occidentali
della Grecia. In quest'area, le foglie sono più comuni nelle flore fossili che
riflettono la vegetazione delle rive di antichi fiumi. L'ecologia del ginkgo,
individuata da D ana Royer e colleghi nei fossili del tardo Cretaceo e Mio­
cene inferiore dell'America nord-occidentale, si riscontra anche in Europa
e sembra perdurare .4
Considerata la presenza di ginkgo nelle flore paleoceniche ed eoceniche
di luoghi quali Scozia e Spitzbergen e la sua assenza in quelle contempo-

3 La presenza di ginkgo nella flora miocenica di Francoforte, Germania, è insolita nel


contesto delle flore fossili dell'epoca.
4 Per altre notizie sulla flora di Selàrdalur in Islanda, cfr. DENK et al. 201 1 . Per altre notizie
sui fossili di ginkgo dell'Europa sudorientale cfr. KovAR E D ER et al. 1 994, 2006 e DENK - VELI­
-

TZELOS 2002.

- 1 22 -
1 8 . REGRESSO

ranee di gran parte dell' Europa nord-occidentale, la tardiva comparsa del


ginkgo nelle flore fossili dell' Europa orientale e sud-orientale suggerisce
che esso sia migrato a sud in quest'area sotto la spinta di mutate condizioni
climatiche, forse una combinazione di raffreddamento e inaridimento. Ov­
viamente - e significativamente alla luce di ciò che è avvenuto in seguito -
ciò implica che il suo sistema di dispersione fosse ancora efficiente .
In Nordamerica la tendenza è simile a quella europea. Il ginkgo è as­
sente da alcune delle flore oligoceniche più meticolosamente raccolte e
studiate , come quella di Bridge Creek del john Day Basin, ed è molto raro
nella flora oligocenica di Florissant, C olorado. Tuttavia, è presente in un
piccolo numero di flore fossili: le sue inconfondibili foglie si ritrovano ad
esempio nella flora oligocenica di Lyons, nei territori occidentali dello stato
di Washington, che risale approssimativamente alla stessa epoca di quella
del john Day Basin . Ginkgo si trova anche in altre flore oligoceniche del­
la costa pacifica nord-occidentale, inclusa quella di Willamette, vicino a
Eugene , Oregon. Questi ritrovamenti potrebbero suggerire che il ginkgo
fosse più comune in luoghi non distanti dalla costa pacifica. Come avviene
oggi, quella parte del continente poteva ricevere più precipitazioni delle
aree interne . 5
Questi complessi modelli distributivi persistono fin o a l Miocene e Plio­
cene . Il ginkgo non si trova nella flora di Clarkia nell'Idaho settentrionale,
una delle più notevoli flore fossili del mondo quanto a qualità della conser­
vazione . Nel corso di molti anni, gli scomparsi jack Smiley e Bill Rember,
della Idaho State University, hanno allestito ricche collezioni dei materiali
di Clarkia, ma non vi hanno mai osservato le inconfondibili foglie di gin­
kgo, sebbene altre caratteristiche piante cinesi, come l'abete cinese, siano
ben rappresentate . Oggi Clarkia dista circa 3 70 miglia dalla costa pacifica
e riceve soltanto metà delle precipitazioni annue di luoghi come Portland
e Eugene . Forse nelle zone interne il clima stava già diventando troppo
asciutto e freddo perché il ginkgo potesse prosperare. 6
Una classica zona di presenza del ginkgo in epoca miocenica è il par­
co statale della foresta pietrificata di ginkgo (Ginkgo Petrified Forest State

5 Solo una foglia di ginkgo è stata rinvenuta tra le molte migliaia di foglie fossili raccolte
a Florissant (Bret Buskirk e Herb Meyer, Florissant Fossi! Beds National Monument, comuni­
cazione personale). Il ritrovamento occasionale di foglie di ginkgo nella flora oligocenica di
Ruby River nel Montana sud-occidentale (cfr. BECKER 1 96 1 ) indica altresì che la distribuzione
geografica del ginkgo in questa epoca era complessa. Cfr. anche CHANEY - AxELROD 1 959,
S CH O RN et al. 2007 e WOLFE 1 987.
6 Nello stesso periodo, molto più a sud, ginkgo miocenid sono presenti nella flora di
Cedarvill e , N evada nord-occidentale e nella adiacente California, circa duecento miglia nell'in­
terno rispetto alla linea di costa odierna.

- 1 23 -
PARTE IV - D E C L I N O E SOPRAVVIVENZA

Park), non distante da Vantage , Washington. In questo luogo non sono


state ritrovate le foglie fossili, ma l'inconfondibile legno di ginkgo. Monco­
ni di tronchi di ginkgo, di circa 1 5 , 5 milioni di anni di età, si ritrovano tra
quelli di altri alberi delle foreste che crescevano sulle pendici di un antico
vulcano attivo nei Monti delle C ascate , pietrificati dalla silice portata dalle
ceneri e conservati nello stesso luogo dove erano vissuti. Altre specie che
crescevano nelle vicinanze comprendono cipressi calvi, storaci americani,
querce e platani occidentali. Questo è uno degli ultimi ritrovamenti di gin­
kgo in Nordamerica fino al suo definitivo ritorno, propiziato dagli uomini,
milioni di anni dopo. 7

7 Cfr. Scorr et al. 1962 e WHEELER - DILHOFF 2009 per informazioni aggiuntive sui legni
fossili del Miocene medio di Vantage, Washington.

- 1 24 -
19.

Estinzione

Molti fiumi da attraversare


Ma mi pare di non riuscire a trovare la mia strada.
Jimmy Cliff, Many Rivers to cross. 1

Considerata la sua lunga storia fossile, la presenza di antichi ginkgo in


vasta parte dell' emisfero settentrionale per la maggior parte degli ultimi
65 milioni di anni non è così sorprendente . Per un lunghissimo periodo, il
ginkgo e i suoi parenti oggi estinti si sono stabiliti in quasi ogni zona del
pianeta e nonostante l' evidente declino di circa l 00 milioni di anni fa, il gin­
kgo riuscì a permanere in molti luoghi. Comunque, sembra strano che il
ginkgo vegetasse allo stato spontaneo in Bulgaria e in Grecia appena 5 mi­
lioni di anni fa. Queste osservazioni ci ricordano che non molto tempo fa
il mondo era un luogo profondamente diverso. Nel maestoso scorrere del
tempo geologico, la distribuzione di animali e piante sul pianeta è cambiata
molto velocemente; i luoghi dove questi organismi ora vivono e crescono
recano la profonda impronta della storia. 2
Le flore fossili del tardo Miocene e Pliocene forniscono una prova in­
confutabile che tra 5 e 1 5 milioni di anni fa, nei territori occidentali del
Nordamerica e in Europa, vi erano, oltre al ginkgo, molte altre piante che
oggi non vi si trovano più. Per quanto riguarda gli alberi, la vegetazione di
quelle zone a quell' epoca era molto più ricca di ora. Per esempio, i fossili

1 Dall'album eponimo di jimmy Cliff, 1 969, Trojan Records.


2 Per ulteriori informazioni sulla vegetazione fossile del Miocene inferiore in Europa, cfr.
KOVAR-EDER et al. 2006.

- 1 25 -
PARTE IV - D E C L I N O E SOPRAVVIVENZA

dei depositi di un'antica dolina a Willershausen vicino a Gottingen, in Ger­


mania, evidenziano una commistione di foreste di latifoglie e di conifere .
Sui suoli più ricchi, le foreste di latifoglie comprendevano circa 34 specie
arboree tra le quali aceri, betulle, Sideroxylon, noci americani, faggi, fras­
sini, querce e olmi. Le foreste di conifere comprendevano molti alberi che
oggi non si ritrovano più in Europa, ma che si possono trovare nelle foreste
temperato-calde dell'Asia orientale : per esempio Sciad.opitys, Glyptostrobus,
katsura (Cercidiphyllum japonicum), Metasequoia e Eucommia. Come è avve­
nuto per il ginkgo in Europa, sono tutti scomparsi in epoche relativamente
recenti. In Nordamerica, la documentazione fossile di Clarkia, Idaho, mo­
stra esattamente la stessa tendenza. Anche in questo caso, Glyptostrobus e
katsura sono entrambi presenti con la metasequoia e Cunninghamia. Tutte
queste piante oggi sono confinate all'Asia orientale.3
È difficile capire esattamente quando e come queste specie sono scom­
parse dall' Europa e dal Nordamerica, perché in molti casi la documenta­
zione fossile non è sufficientemente completa per fornire un quadro detta­
gliato del progressivo cambiamento della loro distribuzione a partire dalla
ampia diffusione pregressa fino a quella ristretta dei giorni nostri. Possia­
mo tuttavia avere un'idea della loro sorte seguendo il destino di alcune
piante loro associate , che hanno granuli pollinici particolarmente carat­
teristici. I granuli pollinici sono prodotti e conservati in gran numero nei
depositi fossili e se sono sufficientemente indicativi di un particolare albero
e facilmente riconosciuti nelle raccolte di fossili, possono essere usati per
tracciare un profilo dettagliato del comportamento della pianta durante il
deterioramento globale del clima.
Da questo punto di vista è particolarmente istruttiva la storia del noce
del Caucaso (Pterocarya fraxinifolia), un albero della famiglia del noce, i cui
granuli pollinici sono particolarmente caratteristici. In Inghilterra meridio­
nale, i granuli pollinici di questa pianta scompaiono e riappaiono con l' al­
ternanza di fasi glaciali e interglaciali. Dopo ogni espansione dei fronti gla­
ciali fino a circa 500. 000 anni fa, il polline del noce del C aucaso ricompare
nelle fasi integlaciali, cioè nei periodi caldi interposti tra una glaciazione e
la successiva. Sembra che i ricorrenti avanzamenti dei fronti glaciali abbia­
no costretto queste piante a spostarsi verso sud, ma nei periodi interglaciali
di riscaldamento esse sono evidentemente rientrate in Inghilterra, presu­
mibilmente da sud e da est. Tuttavia, questi caratteristici granuli pollinici

3 La flora di Willershausen è particolarmente ricca: sono state raccolte oltre centotrenta


specie, che rappresentano oltre cento diversi tipi di piante. Cfr. STRAUS 1 967; FERGUSON 1 967;
FERGUSON - KNOBLOCH 1998.

- 1 26 -
1 9 . ESTINZIONE

si osservano per l'ultima volta in Inghilterra nell'interglaciale Hoxniano,


tra 3 74 . 000 e 1 24 . 000 anni fa. Per motivi sconosciuti, nei due interglaciali
più recenti, l' Eemiano - tra 1 1 4 . 000 e 1 30.000 anni fa - e l'attuale Olocene ,
iniziato circa 1 0 . 000 anni fa, il noce del Caucaso non è più ritornato.4
Sarebbe meraviglioso poter seguire la storia del ginkgo in modo altret­
tanto dettagliato, ma sfortunatamente il suo polline si confonde facilmen­
te con quello di altre piante . Comunque, l'esempio del noce del C aucaso
pone una questione potenzialmente importante, ma priva di risposta, che
riguarda l'ecologia degli antichi ginkgo : dopo essere stato estromesso da
determinati luoghi per effetto del cambiamento climatico, è stato in grado
di ripopolarli? n clima più freddo e più arido può aver ridotto progressiva­
mente la distribuzione geografica del ginkgo, ma perché non vi ha più fatto
ritorno? Certamente sarebbe stato in grado di ripopolare quei luoghi dove
oggi cresce benissimo.
Per la maggior parte delle piante, la capacità di popolare un' area dipen­
de dalla efficienza della dispersione dei semi, che offre alle piante la capaci­
tà di emulare un animale e di muoversi da un posto all' altro, sebbene mol­
to più lentamente, generazione dopo generazione . Frutti e semi di molte
piante presentano delle specializzazioni volte ad aumentare l' efficienza del­
la dispersione: basti pensare ai frutti simili a paracadute del dente di leone,
trasportati dal vento, e a quelli delle more, ingeriti con i frutti carnosi entro
cui si sviluppano e poi dispersi con le deiezioni degli uccelli. Ecco, allora, la
domanda fondamentale riguardo al ginkgo : è possibile che uno dei fattori
responsabili del suo declino negli ultimi milioni di anni sia l'inefficienza del
sistema di dispersione dei semi?
Nel 1 982 1'ecologo tropicale Dan janzen e il paleontologo Paul Martin
pubblicarono un articolo provocatorio con un titolo pensato per attirare
l' attenzione : «Anacronismi neotropicali: i frutti di cui si cibavano i gonfo­
teriidi». La loro idea scaturiva essenzialmente dalle osservazioni condotte
nel Parco Nazionale Guanacaste in Costa Rica, dove Janzen aveva lavorato
per molti anni, su piante molto diffuse ma apparentemente prive di mezzi
naturali di dispersione dei semi . Janzen e Martin notarono che tale carenza
riguardava particolarmente le piante con frutti e semi relativamente gran­
di, quali lo stesso guanacaste (Enterolobium cyclocarpum) e un' altra legu­
minosa arborea, il divi-divi (Caesalpinia coriaria). Oggi i frutti e i semi di
questi alberi sono mangiati da cavalli e da bovini, ma questi animali vi sono
stati introdotti dall'uomo da altre parti del mondo e solo in tempi relativa-

4 Le popolazioni native più vicine si trovano nel Caucaso insieme alla specie più affine,
nativa della Cina.

- 1 27 -
PARTE IV - D E C L I N O E SOPRAVVIVENZA

mente recenti. Non vi sono animali indigeni capaci di disperderli. Secondo


Janzen e M artin, questa discrepanza si è manifestata perché queste piante
in passato erano disperse da animali che oggi sono estinti. Le piante sono
sopravvissute, ma gli animali capaci di disperdere i loro semi no. L'aspetto
più rilevante dell'idea di janzen e Martin è l'attenzione all'importanza della
storia come chiave di interpretazione del mondo che ci circonda. La so­
pravvivenza delle piante, dopo l'estinzione dei gonfoteriidi e di altri animali
che potevano disperderne i semi, è stato un incidente della storia. A tutti gli
effetti, in quel periodo le storie evolutive delle piante e degli animali ad esse
associati sono andate fuori fase. Con una modesta licenza retorica, Janzen
e Martin chiamarono "morti viventi" le piante che avevano perso i loro
agenti di dispersione, sottintendendo che senza gli agenti dispersivi con i
quali si erano evolute , i loro giorni erano contati. 5
Le idee di Janzen e Martin si rivelarono molto persuasive. Nel 1 984, il
mio collega paleobotanico Bruce Tiffney dell'Università della C alifornia a
S anta Barbara, suggerì che qualcosa di simile potesse essere avvenuto nel­
la storia del ginkgo. Bruce sosteneva che anche il ginkgo, come gli alberi
tropicali di janzen e Martin, fosse un "morto vivente" , una pianta che ave­
va perso gli animali che ne assicuravano la dispersione . Egli suppose che
gli strani semi di ginkgo, fortemente odorosi, potessero rappresentare una
specializzazione per attrarre i dinosauri o forse i primi tipi di mammiferi,
oggi estinti.
Naturalmente , si tratta di un'idea difficile da dimostrare, ma se non
altro ha il pregio di suggerire un altro motivo, oltre l' estinzione locale do­
vuta al clima, per spiegare la quasi completa estinzione del ginkgo vivente .
L'apparente migrazione del ginkgo, avvenuta tra 1 5 e 25 milioni di anni fa
verso l' Europa orientale e sud-orientale - zone dove non era presente in
precedenza - sembra suggerire che la dispersione fosse ancora possibile
molto tempo dopo la scomparsa dei dinosauri e degli antichi mammiferi
estinti. Tuttavia l' argomento sviluppato da Bruce era valido. La scarsa ef­
ficienza nella dispersione può aver avuto un ruolo nel progressivo restrin­
gimento della distribuzione del ginkgo. Che ciò possa essere indicativo di
estinzioni più recenti del tempo dei dinosauri, va in certa misura oltre il
punto in discussione .
Se Bruce è in linea di massima corretto e a un certo momento, verso
la fine del Mesozoico o più probabilmente durante il Cenozoico, il ginkgo
ha perso gli animali dai quali dipendeva per la dispersione , allora gli effetti

5 Per una apprezzata discussione sulla fine dei grandi mammiferi coinvolti nella dispersio­
ne dei semi e sulla elaborazione delle idee di janzen e Martin, cfr. BARLOW 2002.

- 1 28 -
1 9 . ESTINZIONE

delle restrizioni climatiche sono stati largamente amplificati. Ciò avrebbe


significato che il ginkgo, a differenza per esempio del noce del C aucaso,
non era in grado di ripopolare facilmente le aree dalle quali era stato di­
slocato. Continuava a perdere terreno e le sue popolazioni diventavano via
via più piccole , spostandosi sempre più vicino a quello che i conservazioni­
sti talvolta chiamano "vortice di estinzione" . I climi più freddi e probabil­
mente più aridi intaccavano la distribuzione geografica del ginkgo, che in
precedenza era molto ampia, e la ridotta capacità di dispersione riduceva a
sua volta la capacità del ginkgo di ripopolare i luoghi perduti. L'effetto era
quello di una ruota libera: una volta che il ginkgo perdeva terreno non gli
era più possibile tornare indietro. In Nordamerica e in Europa l'impatto
negli ultimi milioni di anni può essere stato particolarmente pronunciato
se, come sembra probabile sulla base della documentazione fossile , la di­
stribuzione geografica del ginkgo in quelle aree era già stata ridotta dall'i­
naridimento del clima e da cambiamenti della vegetazione . Le montagne
e le valli della Cina meridionale e occidentale possono aver fornito una
maggiore varietà di potenziali rifugi.
Indipendentemente dal motivo, la tendenza all'estinzione regionale
non potrebbe essere più chiara. Il ginkgo ha una documentazione più o
meno continua in Asia a cominciare dai primi fossili, di oltre 200 milioni di
anni fa, descritti da Zhu Zhiyan e dai suoi colleghi. La presenza del ginkgo
prosegue nel Giurassico e Cretaceo, nelle flore fossili plioceniche del Giap­
pone . Tuttavia, in Europa e Nordamerica il modello distributivo è diverso.
Anche in quei territori la documentazione fossile di ginkgo risale a epoche
antiche, ma si interrompe bruscamente in tempi relativamente recenti. 6
Queste opinioni forniscono un chiaro esempio dell'importanza dei fos­
sili per la piena comprensione di come si è strutturato il nostro mondo
moderno. Il mondo naturale è pieno di schemi, alcuni dei quali totalmente
inaspettati, che possono essere spiegati soltanto riferendosi alla storia. Non
mi stanco mai di dire ai miei studenti «Se volete capire il funzionamento di
una qualsiasi cosa oggi, che si tratti di una pianta, una persona, un ecosi­
stema, un' organizzazione o un paese, allora dovete conoscerne la storia» .
In particolare , la documentazione fossile del ginkgo e delle piante affini
ci aiuta a dare senso a un' osservazione in qualche modo enigmatica fatta
dai botanici fin dal tempo di Linneo, cioè che vi è una sorprendente sirnila­
rità tra le piante dei territori orientali di Nordamerica e Asia. Notata per la
prima volta alla fine del XVIII secolo dal botanico italiano Luigi C astigliani,

6 Alla fine del Pliocene il ginkgo era scomparso ovunque dai depositi fossiliferi, eccetto
che da una piccola area del Giappone meridionale; cfr. UEMURA 1 997.

- 1 29 -
PARTE IV - D E C L I N O E SOPRAVVIVENZA

la piena portata di questa similarità non fu chiarita fino al lavoro del grande
botanico americano del XIX secolo Asa Gray. 7
Gray e suoi contemporanei non riuscivano a spiegare l'origine di un
simile modello distributivo. Per Darwin, che scrisse a Gray ad Harvard nel
1 8 5 6 , questo era uno dei molti, totalmente inspiegabili problemi di geo­
grafia botanica. Darwin era del tutto perplesso sui motivi che potessero
spiegare perché vi fossero più similarità tra le flore dei territori orientali di
Nordamerica e Asia che tra quelle dei territori orientali e occidentali del
Nordamerica. La documentazione fossile mostra, aldilà di ogni dubbio e
proprio come Gray aveva in seguito intuito, che questo fenomeno apparen­
temente strano e osservato in zone così separate è il risultato di estinzioni
regionali, specialmente in Europa e nella fascia occidentale del Nord Ame­
rica, di piante che erano una volta molto più diffus e. Nel caso del ginkgo,
l'estinzione regionale si spinse ancora più oltre e la specie fu completamen­
te eliminata in Europa, in Nordamerica da oriente a occidente e pure in
Giappone. Anche in Cina la sua estinzione fu quasi totale. 8

7 Castiglioni aveva visitato il Nordamerica tra il 1 785 e il 1 787 (SPONGBERG 1 993). Asa
Gray, ad Harvard, corrispondeva frequentemente con Darwin ed era un suo fidato sosteni·
tore in Nordamerica. La lettera inviatagli da Darwin sulla "geografia botanica" fu scritta il 1 2
ottobre 1 856.
s GRAY 1 859, p. 422 elencò circa 5 80 specie giapponesi «che hanno precise affinità con
piante di altre e distanti parti delle zone temperate settentrionali». Per spiegare le flore ampia·
mente separate ma altamente simili di Asia orientale e parte orientale del Nordamerica, Gray
suggeri che prima delle ere glaciali la flora delle zone temperate settentrionali fosse relativa·
mente omogenea e che le estinzioni regionali durante le glaciazioni causassero perdite più
pronunciate in Europa e nelle parti occidentali del Nordamerica.

- 1 30 -
20.

Resistenza

Qui, su questa pendice collinare accidentata e bo­


scosa, è cresciuto un melo, non piantato dall'uo­
mo, non retaggio di un vecchio frutteto, ma cre­
sciuto naturalmente, come i pini e le querce.
Henry David Thoreau, Wild Apples. 1

I più vecchi e più grandi alberi di ginkgo del pianeta si trovano oggi
in estremo oriente e soltanto in Cina si ritrova la combinazione di alberi
veramente vecchi e di grandi dimensioni che crescono insieme a plantu­
le propagatesi naturalmente in una situazione più o meno di spontaneità.
Tuttavia, la sopravvivenza di vere popolazioni spontanee di ginkgo in Cina
rimane una questione aperta. In questo senso, la vastità del paese è un pro­
blema; ancora oggi la Cina non è completamente esplorata da un punto
di vista botanico. Molte nuove specie di piante vengono continuamente
descritte in Cina e soltanto nello scorso decennio sono state scoperte nuo­
ve popolazioni di ginkgo, potenzialmente spontanee, non ancora studiate
a fondo. Un altro problema è la difficoltà di definire se una determinata
popolazione è effettivamente spontanea o meno.
La possibilità di identificare popolazioni veramente spontanee di gin­
kgo esercita un'attrazione pressoché irresistibile per i botanici interessati
all'evoluzione delle piante . Se potessimo identificare popolazioni viventi di
ginkgo spontanei, allora potremmo essere in grado di comprendere come
la loro vita si interconnette con quella di altre piante e animali che vivono
nello stesso ecosistema. Potremmo vedere se il ginkgo ha nemici naturali,

l THOREAU 1 862, p. 5 1 7.

- 131 -
PARTE IV - D E C L I N O E S O P RAVVIVENZA

come insetti che si cibano delle sue foglie , e osservare se ci sono mammiferi
che raccolgono o mangiano i suoi semi. Potremmo inoltre studiare batteri
e funghi che vivono sulle sue radici e i suoi fusti o al loro interno. Sarebbe
interessante sapere se alcune delle piante che si ritrovano ad Almont e in
altre flore fossili vivono ancora insieme al ginkgo nelle foreste moderne .
Il problema principale nel tentare di identificare le popolazioni naturali
di ginkgo è la difficoltà nella distinzione tra alberi veramente spontanei e
alberi nella cui storia si può rintracciare la coltivazione da parte dell'uomo.
La Cina ha una lunga storia di occupazione umana e molte delle popo­
lazioni potenzialmente spontanee di ginkgo si trovano in aree abitate da
mill enni. È difficile sapere se un determinato albero è nato da un seme
arrivato naturalmente oppure da uno che è stato piantato. Poiché il gin­
kgo, nelle appropriate condizioni, si propaga facilmente da seme , questa
distinzione è sottile. Anche un seme interrato naturalmente può dipendere
dall'intervento dell'uomo, in qualche fase delle sue origini. Al campus della
Università EWHA di Seul, ho visto molte plantule di ginkgo che cresceva­
no su una ripida scarpata nel sottobosco di un frammento di foresta semi­
naturale . Tutte erano germinate da semi dispersi naturalmente, ma quei
semi erano stati prodotti da alberi femminili di ginkgo piantati lungo una
strada un po' più in alto nella scarpata. Considerato che in Cina il ginkgo è
coltivato da secoli per i suoi semi commestibili, le difficoltà sono evidenti.
I botanici occidentali hanno incontrato per la prima volta il ginkgo alla
fine del XVII secolo, in Giappone . Nel XVIII secolo inoltre vennero a cono­
scenza del ginkgo e dell'uso dei suoi semi grazie a commercianti europei
che operavano in Cina, Giappone e Corea. Comunque, i primi botanici che
visitarono l'estremo oriente rimasero confinati essenzialmente alle zone
costiere . Fu solo alla metà del XIX secolo, in seguito alla forzata apertura
del commercio con Cina, Giappone e Corea da parte delle potenze mer­
cantili occidentali, che gli esploratori botanici europei furono in grado di
viaggiare più estesamente in Giappone e Corea e di penetrare nei territori
interni della Cina. Tra le piante spettacolari nelle quali si imbatterono, mol­
te delle quali totalmente nuove alla scienza occidentale, vi furono i grandi
alberi di ginkgo. I resoconti delle avventure dei primi cacciatori di piante
occidentali in Cina sono testi affascinanti. In seguito alle loro esplorazioni
e ai campioni, conservati e vivi, di piante che cominciarono ad affluire in
Europa, fu ben presto chiaro che non solo la flora nativa cinese era eccezio­
nalmente ricca, ma che conteneva anche piante di interesse commerciale,
alle quali le potenze occidentali europee desideravano accedere .2

2 Cfr. il capitolo 27 per ulteriori informazioni sui primi incontri occidentali col ginkgo.

- 1 32 -
Z O . RESISTENZA

Il più importante dei primi esploratori botanici a viaggiare in Cina fu


Robert Fortune, un intrepido scozzese del Berwick.shire. Fortune iniziò la
sua carriera come giardiniere dell'Orto botanico reale di Edimburgo, pri­
ma di trasferirsi a sud nel 1 840 per lavorare nel giardino della Reale Società
di Orticoltura, all'epoca ubicata nei quartieri occidentali di Londra. Pochi
mesi dopo la firma del trattato di Nanchino, che pose fine alla prima guerra
dell'oppio tra gli ultimi anni '30 e i primi anni '40 del XIX secolo, Fortune
fu inviato in Cina dalla Reale Società di Orticoltura e arrivò a Hong Kong
nel luglio del 1 843 . Fu la prima di quattro visite, caratterizzate da molti
incidenti, e Fortune fu anche uno dei primi botanici occidentali a viaggiare
in Giappone .3
Nel suo primo viaggio in Cina, Fortune scrive del ginkgo, utilizzando il
nome botanico accettato dell'epoca:

L'unico albero di dimensioni veramente grandi che ho incontrato a Shangai


è Salisburia adiantifolia,
comunemente chiamato l'albero del capelvenere, a causa
della somiglianza delle sue foglie con la felce che porta quel nome . Questa è una
delle piante che i cinesi amano coltivare in forma nana e di conseguenza si vede
spesso in quello stato nei loro giardini. I frutti sono venduti nei mercati di tutte le
città cinesi col nome di 'Pa-Kwo', non dissimili da mandorle secche, ma più bian­
chi, più pieni e più rotondi. I nativi sembrano apprezzarli molto, sebbene siano
raramente mangiati dagli europei. 4

Dopo Fortune, una seconda ondata di esploratori di piante ottenne ac­


cesso alla Cina a seguito di mutate circostanze politiche , questa volta dopo
la seconda guerra dell'oppio. La conseguente convenzione di Pechino del
1 860 portò grandi vantaggi sia ai francesi, sia agli inglesi. Tra gli inglesi,
Augustine Henry fu il collegamento principale tra Robert Fortune e i rac­
coglitori successivi quali joseph Rock, Ernest Henry Wilson, George Forest
e Frank Kingdon-Ward. Inoltre, ebbero notevole autorevolezza, in qualità
di grandi esploratori botanici, tre missionari francesi inviati in Cina negli
anni 1 860, il primo e più importante dei quali fu il monaco lazzarista basco
Père Jean Pierre Armand David. 5
Augustine Henry andò in Cina come impiegato del British Imperial
Maritime Service e raccolse moltissimo materiale nella Cina centrale tra

3 La prima guerra dell'oppio si protrasse dal 1 832 al 1 842. I quattro viaggi di Fortune in
Cina - nel 1 843- 1 846; 1 848- 1 85 1 ; 1 853-1 856; 1 858- 1 859 - sono narrati in FoRTUNE 1 847, 1 852,
1 857, 1 863 .
4 FORTUNE 1 847, p. 1 1 8. Cfr. il capitolo 30 per ulteriori informazioni sui ginkgo bonsai.
5 Pèrejean Marie Delavay ( 1 834- 1 895); Père Paul Guillaume Farges ( 1 844- 1 9 1 2); Père jean
Pierre Armand David ( 1 826-1 900). Per ulteriori informazioni sul contributo botanico dei mis­
sionari francesi cfr. PlantExplorers.com (1999-20 12).

- 133 -
PARTE IV - D E C L I N O E S O P RAVVIVENZA

il 1 882 e il 1 8 89. Incontrò il ginkgo in diverse delle sue spedizioni. Nel suo
Notes on Economie Botany of China, pubblicato nel 1 893 , i commenti sono
brevi: «Pai-kuo, Ginko biloba L. Semi mangiati». Comunque, nel suo lavoro
in sette volumi The trees of Great Britain and Ireland, pubblicato nel 1 906,
sette pagine di testo sono dedicate al ginkgo, con tre fotografie, compresa
quella di un vecchio ginkgo accanto a un tempio in Cina centrale . 6
L'importanza di Henry si estende anche all'influenza che egli ha eser­
citato su un giovane raccoglitore di piante inglese del suo seguito, Ernest
Henry "Chinese" Wilson. Grazie alla sua introduzione di circa 2000 piante,
Wilson ebbe un considerevole impatto sulla coltivazione di piante asiati­
che nei giardini occidentali e divenne uno dei più conosciuti raccoglitori
di vegetali di tutti i tempi. Contemporaneamente , Wilson offri sostanziali
contributi alla conoscenza delle piante cinesi. 7
Egli incontrò il ginkgo molte volte durante le sue esplorazioni cinesi.
Nel suo libro A Naturalist in Western China with Vasculum, Camera, and Gun,
Wilson dà la sua impressione dei ginkgo osservati durante i viaggi in Cina:
«Questo albero, impressionante e bello, è associato ai templi, santuari, cor­
tili di palazzi e residenze dei benestanti nell'intero territorio cinese, in lun­
go e in largo, e anche in parte del Giappone . Ma da nessuna parte si trova
veramente allo stato spontaneo».8
Ciò nondimeno, successive esplorazioni botaniche hanno permesso di
chiarire che ci sono molti grandi alberi di ginkgo in Cina non associati a
templi. I botanici cinesi hanno ipotizzato la possibilità che il ginkgo con­
tinui a crescere allo stato spontaneo in diversi luoghi delle ricche foreste
lungo il fiume Yangtze e in particolare nella zona attorno al Monte Tianmu
nella provincia di Zhejiang.
La popolazione di ginkgo del Monte Tianmu ha fornito importanti
informazioni sul ginkgo e su come si comporta in condizioni naturali o

6 Augustine Henry scrive in merito alla classificazione, storia fossile, varietà, distribuzio·
ne, usi e storia del ginkgo, oltre a fornire un elenco di alberi di ginkgo importanti nelle isole
britanniche. Dei semi scrive «le mandorle sono talvolta mangiate bollite o arrostite, ma non
molto ricercate>> e le tavole 2 1 ·23 mostrano fotografie di vecchi ginkgo; cfr. ELWES - HENRY
1 906, pp. 55-62. Per altri dettagli sulla carriera e i contributi di Augustine Henry ( 1 857- 1 930),
cfr. NELSON 1983 . Wilson fu indirizzato da Henry nel suo impegno a raccogliere nuovamente
il tanto agognato albero dei fazzoletti, originariamente descritto e nominato in omaggio a
Père Oavid.
7 Emest Henry Wilson ( 1 876- 1 930) fu assunto all'Amold Arboretum nel 1 927. Dopo es­
sere sopravvissuto a molte avventure in Cina, fu tragicamente ucciso in un incidente automo­
bilistico a Worcester, Massachusetts, all'età di cinquantaquattro anni.
s Le considerazioni di Wilson sul ginkgo sono riportate in WILSON 1 9 1 3 , p. 45. Le sue
affermazioni sul collegamento tra ginkgo e buddhismo (WILSON 1 920) furono successivamente
messe in dubbio, tra altri, da LI 1956.

- 1 34 -
2 0 . RESISTENZA

quasi. Per esempio, il lavoro di campo di Peter Del Tredici ha individuato


1 67 alberi di ginkgo, dei quali oltre un terzo avevano due o più tronchi
cospicui. Sembra probabile che i tronchi supplementari siano stati prodotti
dall' attivazione del chi-chi basale . Come si verifica in altre piante che pro­
ducono legnotuberi basali, in grado di emettere fusti e radici a seguito di
eventi di disturbo, i chi-chi possono favorire la stabilizzazione delle piante
che crescono su ripidi pendii.9
C'è, tuttavia, l'assillante preoccupazione che il ginkgo, al pari di molti
altri alberi del Monte Tianmu, possa esservi stato introdotto da altri luo­
ghi, forse molto tempo fa. È probabile che non si riesca a fare piena luce
sull'origine della popolazione di ginkgo del Monte Tianmu, ma negli ulti­
mi decenni la scoperta in Cina di altre popolazioni potenzialmente sponta­
nee, insieme all'introduzione di nuove tecniche di biologia molecolare, ha
fornito ulteriori opportunità per indagare se il ginkgo sopravviva in condi­
zioni naturali in qualche parte di quel vasto paese .

9 Per una rassegna e una discussione sul significato dei ginkgo del Monte Tianmu, cfr.
DEL TREDICI 1 990, 1 992b e DEL TREDICI et al. 1 992.

- 1 35 -
21.

Retaggio

Dai loro frutti li riconoscerete.


Matteo 7: 1 5 .

I recenti e rapidi sviluppi della biologia molecolare vegetale hanno


reso disponibili nuovi metodi per delucidare la storia del ginkgo in estre­
mo oriente nelle ultime centinaia di migliaia di anni. Esteriormente, tutti
i ginkgo hanno più o meno lo stesso aspetto, ma ora se ne può esaminare
il DNA per osservare le reali somiglianze o differenze. Possiamo saggiare
diversi alberi di ginkgo, in diversi luoghi, per constatare le loro reciproche
relazioni e la variabilità del loro corredo genetico. Possiamo usare i dati del
DNA per valutare se i singoli alberi di una popolazione sono geneticamen­
te ben diversi uno dall'altro o più o meno uguali. Armati di queste infor­
mazioni, e assumendo che le popolazioni a minor diversità genetica siano
state originate da quelle a maggiore diversità, possiamo anche ipotizzare la
localizzazione della popolazione originaria, dalla quale potrebbero essersi
differenziate tutte le altre.
Argomentazioni di questo tipo sono state ampiamente usate per de­
sumere l'origine di diverse piante di interesse agrario. Nelle regioni del
mondo dove determinate piante agrarie sono state originariamente dome­
sticate a partire dai progenitori selvatici, le evidenze archeologiche, bota­
niche o di altro tipo spesso mostrano che queste piante hanno livelli di
diversità genetica relativamente alti, mentre laddove le stesse piante sono
state introdotte successivamente, la diversità genetica è relativamente più
bassa. Ciò è scontato, perché è improbabile che l'intera gamma di diversi­
tà genetica sia rappresentata in un sottogruppo di piante trasferite in altri

- 1 36 -
2 1 . RETAG G I O

luoghi. Per esempio, a scala globale le patate e i pomodori hanno la più alta
diversità genetica nelle Ande settentrionali, dove le specie selvatiche che
tuttora crescono in quelle regioni sono state molto probabilmente dome­
sticate in tempi remoti. Con argomentazioni di questo tipo, sebbene senza
il beneficio della genetica moderna, il grande botanico russo Nikolaj Vavi­
lov identificò i probabili progenitori selvatici e le probabili aree di origine
di molte delle nostre importanti piante agrarie . 1
Nel tentativo di rintracciare le popolazioni spontanee di ginkgo, gli stu­
diosi sono stati particolarmente interessati allo studio della diversità ge­
netica dei ginkgo di Monte Tianmu e al suo confronto con quella di altre
popolazioni potenzialmente spontanee in altri distretti cinesi. I primi studi
tendevano a suggerire che la popolazione del Monte Tianmu avesse una
variabilità genetica relativamente bassa, ma il confronto con le popolazioni
di ginkgo di altri distretti fu intrapreso solo nello scorso decennio, con una
serie di studi dei ricercatori della East China Norma! University di Shan­
ghai e della Zehjiang University a Huangzhou.
Il gruppo di ricerca cinese ha saggiato le popolazioni di vecchi alberi
di ginkgo in diverse parti della Cina: Guizhou nella Cina sud-occidentale,
Hennan e Hubei nella Cina centrale e Jiangxi e Zhejiang nella Cina orienta­
le, inclusa la popolazione del Monte Tianmu. Per ogni popolazione hanno
estratto il DNA da un numero di alberi compreso tra 1 0 e 30 e per ogni
albero hanno usato due metodi per valutare la variabilità genetica.2
I risultati hanno dimostrato che da un punto di vista regionale , le popo­
lazioni di ginkgo più diverse erano quelle della Cina sud-occidentale. Tre
delle quattro popolazioni di Guizhou avevano livelli di diversità particolar­
mente elevati. I ginkgo del Monte Tianmu nello Zhejiang avevano livelli
intermedi di diversità, come quelli di Hennan e Hubei. Dai confronti tra le
diverse popolazioni risultò che la popolazione del Monte Jinfo nella muni­
cipalità Chongqing era quella più distinta. Anche la popolazione del Monte
Tianmu era relativamente distinta ma, nel complesso, più simile alle altre
popolazioni studiate .
I più recenti studi degli scienziati cinesi dell'Università di Zhejiang,
che si avvalgono di tecniche più sofisticate, convalidano le precedenti con­
clusioni. Anche i loro risultati evidenziano che le popolazioni della Cina
sud-occidentale sono geneticamente più diverse di quelle della Cina orien­
tale, ma in generale tendono a sostenere l'idea che il ginkgo possa essere

l Nikolai Vavilov è il padre dei moderni studi sulla agrodiversità. Per informazioni ag­
giuntive sui centri di diversità agraria e l'origine delle piante agrarie, cfr. VAVILOV 1 992. Per la
biografia di Vavilov, cfr. PRINGLE 2008.
z FAN et al. 2004.

- 137 -
PARTE IV - D E C L I N O E SOPRAVVIVENZA

sopravvissuto alle glaciazioni pleistoceniche in due rifugi: uno sul Monte


Tianmu, non troppo lontano dalla costa cinese, e r altro più all'interno, nel­
le valli protette che seguono il margine meridionale del bacino Sichuan. 3
Prendendo questi risultati per quello che sono e anche ammettendo
che essi forniscono semplicemente una guida anziché un quadro definitivo
della storia delle popolazioni, è indubbiamente vero che un boschetto di
ginkgo con bassa o moderata variabilità genetica, come quelli che si tro­
vano altrove in Cina, non possa essere la sorgente da cui sono derivate po­
polazioni geneticamente più diverse, come quelle del Monte Jinfo o anche
del Monte Tianmu. Tuttavia, ciò non implica che sia vero r opposto. Le
popolazioni meno diverse possono essere derivate da quelle più diverse,
ma specialmente nel caso del ginkgo la cautela è d'obbligo. Ci sono state
ovviamente estinzioni diffuse , forse anche in tempi storici, attraverso la de­
forestazione . Sia le popolazioni geneticamente diverse, sia quelle genetica­
mente depauperate potrebbero essere i resti, di diverso tipo, di popolazioni
originariamente molto diffuse e ancora più diverse, che oggi sono estinte .
In questo contesto, i risultati dell'analisi di DNA non permettono di
concludere se gli alberi di ginkgo del Monte Tianmu sono il retaggio di una
popolazione naturale o se sono stati introdotti da monaci buddhisti, come
suggerito da alcuni. Le analisi comunque puntano i riflettori sul monte ]in­
fa e forse su altri luoghi della Cina sud-occidentale quali aree di eccezionale
interesse, meritevoli di studi molto più approfonditi.
Il Monte jinfo nella municipalità Chongqing si trova vicino al confine
delle province di Guizhou e Sichuan. È situato solo poco più a sud del Mon­
te Tianmu, ma anziché essere relativamente vicino alla costa si spinge in
profondità nell'interno della Cina. In questa regione, oltre a enormi alberi
di ginkgo, vi sono altri alberi, come r abete argentato del C atai e il cipresso
di Cunningham, che hanno una lunga storia fossile e che una volta avevano
una distribuzione molto più ampia. In questa parte della Cina ci sono mol­
te piccole, disperse popolazioni di ginkgo che sembrano propagarsi sponta­
neamente da seme . Di tutti gli alberi di ginkgo cinesi, questi sono gli unici
a essere annoverati quali i probabili esigui resti di un tempo che fu, quando
la distribuzione geografica del ginkgo era molto più continua. 4

3 Cfr. SHEN et al. 2005, GoNG et al. 2008a, b e ZHAo et al. 2010.
4 Il ginkgo non è l'unico "fossile vivente" che proviene dalla Cina. A metà degli anni '40
del XX secolo, fu trovata una piccola popolazione di grandi alberi di metasequoia, lungo i tor­
renti e le pendici nella parte nord orientale della Provincia di Sichuan, solo quattro anni dopo
la prima descrizione del genere Metasequoia da reperti fossili. Come il ginkgo, la metasequoia
era una volta estesa su un'area molto più vasta, che comprendeva parte del Nordamerica e
dell'Asia, e si trovava sull'orlo dell'estinzione nel suo habitat naturale; cfr. MERRILL 1 948. La
metasequoia è oggi un popolare albero per alberature stradali, specialmente in Cina.

- 138 -
Parte V
Storia
Pagina precedente: piatto decorato con fusti e foglie di ginkgo, prodotto tra il 1 700 e il 1 73 0
nella fornace Okawachi a Hizen, Kyushu, Giappone.
22 .

Antichità

Con quanta astuzia la natura nasconde ogni ruga


della sua inconcepibile antichità sotto le rose, le
violette e nella rugiada del mattino!
Ralph Waldo Emerson, Works . 1

Il ginkgo oggi cresce in tutto il mondo, ma quasi ovunque vi è sta­


to portato dall'uomo; per la maggior parte di noi, il ginkgo è una pianta
dei parchi, dei giardini o delle vie cittadine, tutti habitat creati dall'uomo.
Inoltre, questi alberi sono di modeste dimensioni; in nessun luogo, a parte
l'estremo oriente , ci sono alberi di ginkgo di dimensioni veramente gigan­
tesche. Perfino il Vecchio Leone a Kew, uno dei più vetusti d' Europa, ha un
tronco di poco più di 1 , 5 m di diametro. In Cina, Giappone e Corea la situa­
zione è diversa; là si trovano alcuni veri giganti e, in alcune località cinesi,
enormi alberi di ginkgo apparentemente spontanei. Sul monte Jinfo, nella
municipalità di Chongqing al confine tra Guizhou e Sichuan, un albero
misurato negli anni 50 del XX secolo aveva un tronco dal diametro di oltre
3 , 6 m. Un altro, misurato nel 1 999 e manifestamente più vecchio della città
vicina, vantava un tronco di oltre 3 , 5 m di diametro. In tutto, 70 alberi del
monte ]info sono stati rilevati con diametro superiore a l m; in otto casi il
diametro superava 2 m. In quella regione vi sono molti alberi con tronchi
che eguagliano quello del ginkgo di Kew, che crescono accanto a esemplari
giovanili e plantule, a sostegno della loro propagazione spontanea. 2

l EMERSON 1 883, p. 478.


2 Il grande albero del Monte Jinfo, Contea Naquan nella Municipalità di Chongqing, fu
parzialmente distrutto dal fuoco negli anni 1 960, ma sopravvive grazie a germogli ricacciati
spontaneamente (FAN et al. 2004). Per altri dati sui ginkgo in Cina, cfr. LI et al. 1 999.

- 141 -
PARTE V - STORIA

I grandi alberi trovati sulle boscose pendici del monte Jinfo e del Monte
Tianmu sono insoliti; la maggior parte dei ginkgo veramente grandi in
Cina, Giappone e Corea non sono alberi di foresta. Alcuni sono associati a
templi o santuari, ma perlopiù si trovano isolati nelle campagne . Una ras­
segna di grandi alberi di ginkgo in Cina ne ha enumerati 1 3 8 con tronchi
più grandi di 2 m; molti sono a tronco singolo e palesemente non crescono
in foreste naturali. 3
Tra i più impressionanti di questi alberi si annovera il ginkgo detto
"Grand Ginkgo King" , che cresce vicino al modesto vill aggio di Li jiawan
in Guizhou, Cina meridionale , e sovrasta i campi coltivati nel fondo di una
piccola valle. Forse alla sua nascita faceva parte di un'antica coltivazione di
ginkgo, ma è altrettanto probabile , considerate le popolazioni di ginkgo
non molto lontane e apparentemente spontanee del Monte Jinfo, che sia
l'ultimo individuo di un vecchio bosco di ginkgo sopravvissuto in qualche
modo all'abbattimento della foresta per fare spazio alle coltivazioni agra­
rie . Come i ginkgo sopravvissuti a Hiroshima, forse era resistente al fuoco,
il principale metodo usato dai primi agricoltori per liberare il terreno. 4
n ginkgo di Li Jiawan è un grande albero, alto circa 30 m e con un
tronco di quasi 6 m di diametro a livello del suolo, più imponente di quello
di ogni altro ginkgo rilevato finora. Tuttavia, anche a distanza si può nota­
re che questo albero ha una storia complicata. Quattro tronchi principali,
ognuno dei quali alto più di 1 8 m, si ergono verso l' alto. Gli studi condotti
da colleghi cinesi suggeriscono che esso possa aver germogliato dalla base
almeno quattro volte nel corso della sua lunga vita. I suoi tronchi, par­
zialmente separati e disposti ad anello, circondano una cavità centrale così
grande da essere stata usata un tempo come rifugio per il bestiame di un
allevatore locale . n tronco cavo preclude il conteggio totale degli anelli an­
nuali e rende difficile valutare l'età di questo ginkgo, ma secondo una stima
esso potrebbe avere almeno 4500 anni. Tanta vetustà sembra improbabile ,
ma soltanto a giudicare dalle dimensioni il ginkgo di Li jiawan è certamen­
te tra i più vecchi di tutti gli alberi di ginkgo viventi. 5

3 Una lista di vecchi e grandi ginkgo nelle province cinesi si trova in LIN et al. 1 995.
4 Il più noto dei sei alberi di ginkgo sopravvissuti a Hiroshima nel raggio di 1 ,6 km dal
punto dove è esplosa la bomba atomica è quello piantato nei terreni del Tempio Hosenji. A
solo 800 m dall'epicentro della distruzione, è sopravvissuto e ha emesso nuove foglie dopo
essere stato defogliato dall'esplosione. n nuovo tempio costruito attorno all'albero celebra la
speranza del rinnovamento, incarnata dall'albero in mezzo a una terribile devastazione. Per
altre notizie sui ginkgo sopravvissuti al bombardamento di Hiroshima, cfr. HAGENEDER 2005 e
Ginkgo Pages (http: / / kwanten.home.xs4all.nl / hiroshima.htm).
s n ginkgo di LiJawan, "Grand Ginkgo King", è stato descritto come «cinque generazioni
in un albero>>, in base ai successivi episodi di ricaccio; cfr. XIANG et al. 2009.

- 1 42 -
22. ANTICHITÀ

Anche per altri alberi di ginkgo in Cina sono state suggerite età rag­
guardevoli. Nella contea di Dongkou Xian, Provincia di Hunan, vi è un
albero con un'età stimata di oltre 3 500 anni. Per un altro albero, nel tempio
di Dinlinsi nella contea di Juxian, Provincia di Shandong, si riporta un' età
di oltre 3 000 anni. Nella contea di Zhouzhi, Provincia di Shaanxi, e nella
contea di Tancheng, provincia di Shandong, ci sono alberi di età stimata di
oltre 2000 anni e la stessa età ha - probabilmente - anche un albero molto
grande a Fuquan City, Provincia di Guizhou. Complessivamente , si ritiene
che in Cina vi siano un centinaio di alberi di ginkgo che superano i mille
anni di età. 6
Se fosse esatta, la stima dell' età del ginkgo di Li Jiawan a 4500 anni lo
renderebbe uno tra i più vecchi di tutti gli alberi viventi, ma ciò sembra
improbabile. Esemplari di pini dai coni setolosi delle White Mountains in
C alifornia sono stati datati accuratamente a oltre 4700 anni e l'evidenza
diretta degli anelli annuali dimostra che molte altre specie , in particolare
di conifere , vivono per più di 2000 anni. Alcune sequoie sono entrate nel
loro terzo millennio e alcune sequoie giganti nel quarto. Ma queste piante
e altri patriarchi rappresentano l'eccezione ; la maggior parte degli alberi ha
un arco di vita misurato in alcuni secoli anziché in molti millennU
Spesso è difficile essere certi delle venerande età attribuite ad alberi
giganti. I grandi baobab africani, alcuni dei quali hanno tronchi che su­
perano 9 m di diametro, ne rappresentano un classico esempio. Il grande
esploratore tedesco Alexander von Humboldt non vide mai un baobab, ma
ciò nonostante dichiarò che esso era «uno dei più vecchi abitanti del nostro
globo». Il botanico francese Michelle Adanson, dal quale il baobab trae il
suo nome scientifico (Adansonia digitata), ebbe un'esperienza più diretta .
Nel l 749, egli incontrò due alberi sulle isole della Maddalena, al largo del-

6 La stima dell'età del ginkgo di Li Jawan è quella massima calcolata da XIANG et al. 2009.
Le età di alberi di ginkgo ritenuti più vecchi di duemila anni sono citate da HE et al. 1 997. Il
diametro dei tronchi si basa su LI N et al. 1995.
7 Le sequoie, i più alti di tutti gli alberi, hanno tronchi che raggiungono l'altezza di 1 1 2 m
e il diametro di 7,3 m. Una rondella del tronco di Sequoiadendron giganteum, la sequoia gigante
del Museo di Storia Naturale di Londra, del diametro di 4,3 m, ha un'età stimata di 1335 anni.
L'abbattimento in gran numero di questi alberi spettacolari, da parte di chi ne conosceva la
grande antichità, deve essere classificato tra i più gravi atti di arroganza dell'uomo. L'età più
grande registrata in un pino dai coni setolosi (Pinus primaeva) riguarda un esemplare sopran­
nominato Prometheus, abbattuto per errore nel 1964 da un laureando nel Nevada orientale.
In base sia alla datazione col radiocarbonio, sia con gli anelli annuali, aveva vissuto almeno per
4862 anni e forse per più di 5000; cfr. FERGUSON - GRAYBILL 1 983 . Un albero potenzialmente
più vecchio, ma molto meno spettacolare, è un abete rosso della Dalarna, in Svezia. Sebbene
raggiunga a stento cinque metri di altezza, il suo sistema radicale è stato datato a circa 9550
anni; cfr. KULLMAN 2005.

- 1 43 -
PARTE V - STORIA

le coste senegalesi, sui quali i marinai che vi erano passati in precedenza


avevano inciso i loro nomi e le date . Stimando la quantità di legno aggiun­
to dal momento dell'incisione e considerando il diametro del tronco, egli
dedusse che l'età dei due alberi doveva essere di oltre 5000 anni. Adanson
concluse che essi dovevano essere già vivi prima del diluvio universale . Fu
una estrapolazione acuta e forse leggermente maliziosa che gli permise
di provocare le gerarchie religiose , ma secondo studi recenti i più grandi
baobab sono molto più giovani, tra 500 e 800 anni. Finora il baobab più
vecchio datato al radiocarbonio è un albero di 1 2 75 anni che si trova in
Namibia e ha un tronco di circa 30 m di diametro. 8
Calcolare l' età dei baobab è particolarmente difficile poiché essi non
hanno anelli annuali ben definiti, ma anche se si tratta di alberi in cui gli
anelli si possono contare agevolmente , non è facile ottenere stime accurate
dell'età. Un problema, come nel caso del ginkgo di Li jiawan, è posto dalla
scomparsa, per marcescenza, delle parti più vecchie di molti alberi vetusti.
Inoltre , mano a mano che il tronco diventa grande , diventa parallelamente
più difficile usare lo speciale attrezzo sviluppato dai forestali per prelevare
carotaggi di alberi vivi e in ogni caso non è facile trovare il centro di un
albero dal tronco complicato.
Anche qualora si riesca a ottenere una stima accurata dell' età di un
albero di una determinata specie, la relazione tra diametro ed età non è
sufficientemente consistente per consentire una precisa estrapolazione per
altri individui. I tassi di accrescimento possono variare drasticamente nella
vita di un singolo esemplare , per esempio se il giovane albero cresce densa­
mente ombreggiato oppure se, in contrasto, ha la possibilità di raggiunge­
re rapidamente la volta forestale . Inoltre, i tassi di accrescimento variano in
funzione della stazione di crescita.
Gli alberi in buone condizioni di sviluppo, con stagioni vegetative più
lunghe e più calde e con accesso ad abbondanti acqua e luce , possono
crescere rapidamente e i loro anelli annuali saranno larghi. Gli alberi che
crescono in condizioni meno ideali crescono più lentamente; i loro anelli
saranno stretti e compattati.9

s Anziché denotare un'età particolarmente avanzata, i massicci tronchi dei baobab riflet­
tono l'adattamento ad immagazzinare acqua per smorzare gli effetti della siccità dell'ambiente
arido in cui vivono.
9 La dendrocronologia si avvale delle variazioni di spessore di diversi anelli annuali nello
stesso tronco per instaurare corrispondenze e confronti incrociati tra legni di diverse prove­
nienze. Questa disciplina scientifica soddisfa le esigenze degli archeologi interessati a datare
frammenti !ignei e degli scienziati impegnati nella storia dei climi delle ultime migliaia di anni.
Una descrizione della dendrocronologia e delle sue applicazioni per determinare l'età dei pini
a coni setolosi si trova in FERGUSON 1 968.

- 1 44 -
22. ANTICHITÀ

Un altro modo per tentare di determinare l'età dei grandi ginkgo asiati­
ci consiste nell'esaminare gli indizi storici o culturali. Anche questo meto­
do non è esente da incertezze, poiché gli indizi disponibili più di frequente
sono leggende, che raramente si dimostrano affidabili. Ne è un buon esem­
pio il grande e amatissimo ginkgo del santuario Tsurugaoka Hachiman-gii
di Kamakura, non lontano da Tokyo.
Quando visitai il grande ginkgo di Tsurugaoka, un caldo sabato prima­
verile di tanti anni fa, il tempio formicolava di famiglie. Il grande , vecchio
albero non aveva ancora emesso le foglie e la sua nudità rivelava quanto
della sua chioma era stato scolpito da generazioni di dendrochirurghi. No­
nostante ciò, il suo portamento era meraviglioso e imponente . Posto ac­
canto alla ripida scalinata che conduce all'edificio principale del santuario,
circondato da una fune tradizionale fatta di paglia di riso allacciata attorno
al suo grande tronco, esso risplendeva nel sole dell'inizio di primavera. Il
santuario Tsurugaoka Hachiman-gii fu costruito nel 1 1 80 a Kamakura dal
primo Shogun, Minamoto no Yoritomo e nel l 2 1 9 fu teatro del famigerato
assassinio del terzo Shogun, Minamoto no Sanetomo, sugli stessi scalini di
pietra percorsi ancora oggi dai visitatori per salire al santuario principale .
Secondo la leggenda, l'assassino si nascose dietro l' albero di ginkgo men­
tre attendeva in agguato ; secondo questa indicazione , il grande ginkgo di
Tsurugaoka avrebbe quasi l 000 anni.
Shihomi e Terumitsu Hori, i due più avanzati studiosi della storia cul­
turale del ginkgo in Giappone, hanno accuratamente rivisto le evidenze
disponibili per determinare se la leggenda e la conseguente veneranda età
dell'albero potessero avere un fondo di verità. La Azuma Kagani, un re­
soconto ufficiale di eventi avvenuti sotto lo Shogunato di Kamakura tra il
1 1 80 e il l 266, riporta i dettagli dell' assassinio: data, ora, tempo meteoro­
logico e perfino le parole pronunciate dall' assassino durante l' attacco. Lo
Eukan-sho, scritto nel l 220, appena un anno dopo l' assassinio, dal sacerdo­
te e poeta Jien, fornisce ancora più dettagli, inclusa la descrizione dei vestiti
indossati dall' assassino. Tuttavia in nessuno di questi resoconti quasi con­
temporanei si fa menzione dell' albero. In modo sospetto, il ginkgo com­
pare soltanto nei resoconti scritti molto tempo dopo; il primo si trova nel
Kamakura Monogatari, scritto intorno al 1 659, oltre quattro secoli dopo i
fatti. Sembra pertanto molto probabile che il ginkgo sia stato aggiunto alla
leggenda in un secondo momento. Anziché l 000 anni, il grande ginkgo di
Tsurugaoka ha più probabilmente un'età inferiore , ossia 500-600 anni. 1 0

l O Nella primavera del ZO lO, il grande ginkgo di Tsurugaoka crollò durante una tempesta
seguita a forti piogge, provocando sgomento nel tempio e in molti giapponesi. Fu possibile

- 1 45 -
PARTE V - STORIA

Problemi di questo tipo investono tutte le età notevoli attribuite ad al­


beri vetusti di tutti i tipi, inclusi i vecchissimi ginkgo cinesi. Per esempio,
una leggenda associata al grande ginkgo di Li jiawan ne fa risalire l'origine
a uno studioso di nome Bai, vissuto all' epoca della dinastia Tang (6 1 8-907),
mentre un' altra lo ricollega a una leggenda in qualche modo analoga che
riguarda la dinastia Ming ( 1 3 6 8- 1 644) . Analogamente, si narra che i grandi
alberi di ginkgo delle rovine dell'antico tempio di Huiji, non distante da
Nanchino, siano stati piantati da Zhaoming, un famoso principe del regno
Liang dell'inizio del sesto secolo. Ciò ne porrebbe l' età a circa 1 500 anni,
ma anche in questo caso non ci sono evidenze scritte e sembra molto più
probabile che l'età sia da ridursi alla metà.
È difficile per chiunque, specialmente se occidentale , arrivare al fondo
di leggende di questo tipo, ma il classico libro di Joseph Needham Science
è in ogni caso un'utile guida. Needham ha dedi­
and Civilization in China
cato la sua vita a comprendere l'inizio della storia della scienza in Cina.
Nel 1 986 ha esaminato la storia della botanica cinese. Poco dopo, Nicholas
Menzies, un suo collega, fornì un resoconto analogo per le scienze forestali
in Cina. Insieme, i due lavori passano in rassegna alcune delle p rime e più
importanti fonti bibliografiche sulla storia del ginkgo in Cina. E particolar­
mente illuminante l'esempio, citato da Menzies, di un'iscrizione posta ac­
canto a un vecchio albero nel monastero di Fu-Yen Ssu «sulle pendici della
montagna sacra di Heng Shan in Hu-Nan» . Secondo l'iscrizione , l' albero
fu piantato «dal venerabile abate Hui Ssu nel secondo anno del Kuang-Ta
della dinastia Chhen» . Ciò implica che l' albero sia stato messo a dimora nel
5 6 8 , ma Menzies cita il lavoro dei forestali della Foresta Nan-Yiieh che, tra­
mite conteggio degli anelli annuali, hanno determinato un' età di 600 anni.
Indubbiamente si tratta di un albero maestoso e molto vecchio, ma ha la
metà degli anni che generalmente gli si attribuivano. 1 1
Simili esempi suggeriscono che le grandi età attribuite a molti vetusti
ginkgo non sono affidabili. Le leggende tendono ad essere abbellite nel
tempo e non è facile ottenere stime affidabili dell'età di un albero vivente .
Ciò è avvenuto raramente per gli individui più grandi e più spettacolari.
Considerate queste complicazioni, sembra improbabile che persino i più
vecchi alberi di ginkgo si avvicinino ai 3000 anni delle sequoie giganti o ai

contarne gli anelli annuali nella parte esterna del tronco, ma i tentativi di determinare l'età
esatta furono bloccati dalla decomposizione della parte centrale.
Il Cfr. NEEDHAM et al. 1 996, p. 58 1 . Come nota Menzies, può essere significativa la man­
canza di menzioni del ginkgo nelle più importanti tra le prime fonti di informazioni botaniche
cinesi, Shih Ching, Erh Ya e Nan Fang Tshao Mu Chuang (Osservazioni delle piante e alberi delle
regioni meridionali), scritte da Chi Han intorno al 300 A.D.

- 1 46 -
22. ANTICHITÀ

quattro millenni e mezzo del pino dai coni setolosi (Pinus primaeva). È più
ragionevole considerare che l'età di alcuni ginkgo possa avvicinarsi a 1 500
anni, ma che , nella maggior parte dei casi, la loro età si misuri più precisa­
mente in secoli anziché in millenni. Tali considerazioni concordano con i
dati di fonti scritte, che indicano età più giovani, anziché più vecchie, per i
più grandi e più impressionanti alberi di ginkgo del mondo.

- 1 47 -
23 .

Tregua

In un bastone che brucia, anche quando è rivolto


verso terra, la fiamma è attratta verso l'alto.
Saskya Pandit, Elegant sayings. 1

Non è noto con esattezza quando o perché il ginkgo è diventato con­


nesso alle persone, ma in Science and Civilization in China Nicholas Menzies
ritiene inverosimili i primi due riferimenti al ginkgo. È risaputo che la da­
tazione al sesto secolo del vecchio albero del monastero Fu-Yen Ssu è inaf­
fidabile . L' altra, cioè la menzione di un frutto chiamato phing chung nel
poema "Rapsodia sulla capitale di Wu" di Tuo Ssu, che risale alla dinastia
Jin del terzo secolo, non ha alcun rapporto col ginkgo, eccetto il richia­
mo del colore argentato. Analogamente , il ginkgo è talvolta identificato
in incisioni e disegni del IV-VIII secolo, ma queste opere mostrano pochi
dettagli botanici e probabilmente rappresentano esempi di errata identifi­
cazione . Per quanto ne so, non vi sono neppure solide evidenze a sostegno
dell'uso di semi di ginkgo - pure talvolta citato - durante la dinastia Han
del terzo secolo. 2
Il più antico riferimento scritto e affidabile che riguarda il ginkgo risale
al 980 e si trova nel Ko Wu Tshu Than, o "Semplici discorsi sull'investigazione
delle cose" , scritti da Tsan-Ning, un "monaco erudito" . Poco dopo, durante
la dinastia Song del secolo XI, il riferimento storico più comunemente cita-

1 PANDIT - NAGARJUNA 1977, p. 66.


2 Le presunte rappresentazioni di ginkgo nell'antica arte cinese del IV-VIII secolo (ad
esempio cfr. Ginkgo Pages, http: / / kwanten.home.xs4all.nl/ artgal3 .htm) non sono sufficien­
temente diagnostiche per essere pienamente affidabili e richiedono studi più approfonditi.

- 1 48 -
23 . TREGUA

to e antico, considerato inequivocabile, è un famoso scambio di poemi tra


uno dei primi storici cinesi, Ouyang Hsiu, e il poeta Mei Yao-Chen. Ambe­
due si riferiscono al ginkgo coi nomi ya chio, "piede d'anatra" , e yin hsing,
"albicocca argentata" .
Ouyang Hsiu inizia il dialogo offrendo in regalo all'amico delle "noci" di
ginkgo raccolte su un albero a Kaifeng, una delle sette antiche capitali della
Cina. Mei Yao-Chen risponde con un ringraziamento e rievoca il ginkgo
della nativa Xuancheng. Lo scambio si conclude con un poema di Ouyang
Hsiu, che espone una deliziosa, breve storia della coltivazione di ginkgo. 3
La ya-chio (piede d' anatra) cresce a Chiangnan con un nome inappro­
priato. All 'inizio venne portato in borse di seta come un tributo, e come yin
hsing (albicocca argentata) divenne amato nelle province centrali. La curio­
sità e l'impegno del nobile principe Li portarono da lontano le radici che
produssero frutto nella capitale . La prima volta che gli alberi fruttificarono
produssero soltanto tre o quattro noci. Queste furono offerte in dono al
trono entro una coppa d'oro. La nobiltà e gli alti ministri non le riconobbe­
ro e l'imperatore fece dono di cento once d'oro. Ora, dopo alcuni anni, gli
alberi portano più frutti.
Questi poemi e le altre prime osservazioni del tardo X secolo suggeri­
scono tutte che la prima connessione tra ginkgo e persone si sia stabilita
circa 1 000 anni fa. Ci sono molti testi cinesi precedenti che riguardano
piante e in particolare piante coltivate , ma in nessuno si fa menzione del
ginkgo. Inoltre , il ginkgo si differenzia da altri alberi, che sono spesso de­
scritti prima come piante spontanee e solo successivamente menzionati
per i loro usi. Ciò potrebbe suggerire che il ginkgo, prima di entrare in
coltivazione , fosse un albero abbastanza raro. Fin dall'inizio, il ginkgo è
trattato come pianta coltivata, un albero allevato per i suoi semi. In con­
fronto con altre piante , come riso e soia, la cui storia di coltivazione in
Cina risale a diversi millenni fa, le radici culturali del ginkgo sembrano
relativamente superficiali.
Dopo lo scambio di poemi tra Ouyang Hsiu e Mei Yao-Chen, il ginkgo
appare frequentemente nella letteratura cinese e al tempo della dinastia
Yuan, istituita nel tardo XIII secolo dal gruppo etnico mongolo sotto Kublai
Khan, ci sono molti riferimenti alla coltivazione di ginkgo per la produzio­
ne di semi. Secondo Menzies, in alcune zone i semi divennero un' impor-

3 Semplici discorsi sull'investigazione delle cose, una serie di brevi affermazioni sui fenomeni
naturali, scritti nel 980, inclusa l'affermazione «Che gli alberi maschio e femmina di ginkgo
crescano uno accanto all'altro, allora si formerà il frutto». I poemi sul ginkgo furono scambiati
tra Ouyang Hsiu ( 1 007- 1 072) e il poeta Mei Yao-Chen (noto anche come Sheng-Yti; 1 002- 1 062);
cfr. NEEDHAM et al. 1 996, p. 5 8 1 .

- 1 49 -
PARTE V - STORIA

tante materia prima. Egli cita il Nung Sang Chi Yao del 1 2 73 quale più antico
testo che fornisce dettagli sulla coltivazione del ginkgo e nota che queste
istruzioni orticolturali furono ripetute parola per parola in manuali poste­
riori, quali Chung Shu Shu, Pian Min The Tsuan e Nung Cheng Chhii.an Shu.
Fin dall'inizio fu riconosciuto che sono necessari alberi sia maschili sia
femminili per produrre semi , ma allora, come ora, non c'era alcun modo
semplice per predire se un seme avrebbe prodotto un albero maschile o
femminile. Il Nung Sang Chi Yao dispensa il seguente consiglio:
n ginkgo ha alberi maschili e femminili. n [seme] maschile ha tre creste, quel­
lo femminile due . Essi devono essere piantati insieme. Quando sono piantati vici­
no a uno stagno, essi guardano il loro stesso riflesso e così possono portare frutto.

Non esistono evidenze che i semi con tre creste , che in ogni caso sono
rari in confronto a quelli con due, si sviluppino come alberi maschili. Co­
munque, il suggerimento di piantare gli alberi femminili vicino all' acqua
può essere utile. Il ginkgo prospera quando ha un agevole accesso all' acqua
e gli alberi stressati dalla siccità difficilmente producono un buon raccolto.
Successivi trattati orticolturali raccomandano inoltre l'innesto di un ramo
maschile su un albero femminile, l'opposto di ciò che fece jacquin nei suoi
esperimenti. Si tratta di un modo facile e sensato per evitare di attendere
fino a 20 anni la produzione di semi, quando non ci sono alberi maschili
nelle vicinanze.
In base a commenti di Mei Yao-Chen, che ricordava il ginkgo vicino a
casa sua, e facendo menzione delle sue raccolte di semi da piante sponta­
nee, alcuni autori cinesi hanno suggerito che il ginkgo sia nativo dei dintor­
ni di Xuancheng, nella provincia di Anhui. Più recentemente, l'attenzione
si è concentrata anche sul monte Jinfo, nella municipalità di Chongqing, e
sul Monte Tianrnu nello Zhejiang. Non è ancora completamente certo che
il ginkgo sia nativo di queste aree, ma sembra probabile che la coltivazione
di ginkgo sia iniziata nel sud per diffondersi poi a nord. Questo spostamen­
to verso nord del ginkgo è consistente anche con i commenti del Shihua­
zonggu.i di Ruan Ye :
Nella capitale - oggi Kaifong City, provincia di Hennan - non c'era alcun
ginkgo. Dall'arrivo dal sud del signor Li Wienhe, genero dell'imperatore, egli lo
introdusse e lo piantò nella sua casa privata. Poi portò frutto e là fu propagato e
sviluppato. 4

4 Il confronto tra altezza e diametro di vecchi alberi di ginkgo in varie province cinesi
sostiene l'idea che i vecchi ginkgo del Guizhou siano mediamente più alti e larghi di quelli di
Anhui e dello Zhejiang. La provincia di Sichuan, che confina a nord con il Guizhou, ha ginkgo

- 1 50 -
23 . TREGUA

A questo modello di distribuzione ben si adatta anche il fatto che nessu­


no dei più grandi alberi di ginkgo cinesi proviene dalle tre province setten­
trionali di Liaoning, Jilin e Heilongjiang, nella parte interna della penisola
coreana. L'espansione della coltivazione di ginkgo verso nord fino alla Co­
rea avvenne probabilmente tramite le rotte commerciali costiere cinesi, poi
attraverso il Mar Giallo fino all'estremità meridionale della penisola.
Il ginkgo era indubbiamente coltivato nella penisola coreana molto
prima dell'invasione delle truppe giapponesi, al comando di Toyotomi Hi­
deyoshi, alla fine del XVI secolo, e nel XVII secolo si ritiene che Hendrick
Hamel e i suoi compagni di naufragio abbiano sognato la loro fuga sotto
il grande ginkgo Gangjin-gun, all'estremità meridionale della penisola. La
lista dei grandi alberi di ginkgo in Corea ne include 2 1 la cui età varia, in
base alle stime, da 400 a 1 000 anni o più. Si dice che il grande ginkgo di
Yongmunsa abbia 1 1 00 anni mentre altri due , nella penisola coreana, sono
reputati ancora più vecchi. 5
I n Corea del Nord, nel tempio d i Anbulsa, c ' è u n enorme ginkgo fem­
mina, alto 42 m e con diametro di quasi 6 m. Durante la guerra di Corea
fu protetto su ordine del presidente Kim Il Sung e nel 2003 è stato visitato
dal figlio Kim Yong Il. Si dice che abbia 2 1 20 anni e che produca ogni anno
più di 3 00 kg di semi. In Corea del Sud, il ginkgo di Yeongwol, il cui tronco
misura 4 , 5 m di diametro, ha - si dice - tra 1 000 e 1 200 anni . Si ergeva una
volta avanti alle rovine del tempio di Daej eongsa, ma l' albero, alto 1 8 m,
tuttora fa ombra agli abitanti del villaggio che oggi lo attornia. 6
In Giappone, ci sono fossili di ginkgo che precedono l'era glaciale e gran­
di alberi viventi manifestamente vetusti, ma non ci sono prove che il ginkgo
sia spontaneo nell' arcipelago del Giappone . Come molte altre piante utili,
il ginkgo è stato introdotto dall'Asia continentale in epoca storica. Analoga­
mente a quanto osservato in Cina, molti degli alberi più vecchi e venerabili
del Giappone si trovano nei terreni dei templi, ma anche nei paesaggi agrari

ancora più grandi in entrambe le misure; dati compilati dal lavoro di LIN et al. 1995. L'origine
del ginkgo ad Anhui è citata da Menzies che la deriva dalla Pen Ts'a Kang Mu o Grande Far­
macopea ( 1 596, p. 1 80 1 ), secondo il ]ih Yung Pen Shao. La citazione dal Shihuazonggui è tratta
da HE et al. 1 997, p. 374. A partire dalla dinastia Yuan, sono stati usati anche altri nomi: pei yen,
"occhio bianco"; pei kuo, "frutto bianco"; ling yen, "occhio vivace"; jen hsing, "noce albicocca" .
Altri nomi come kung sun shu "albero nonno-nipote" sono apparsi successivamente. Questa
documentazione, relativa alle dinastie Song (960- 1 279) e Yuan è riportata in HE et al. 1 997,
p. 374 e LI 1 963 , p. 92.
5 Gli alberi di ginkgo più vecchi della Corea del Sud sono stati designati monumenti natu­
rali dalla Amministrazione del Patrimonio Culturale; cfr. Invitation ForestOn "Story of forest:
Old gigantic trees in Korea" .
6 Per descrizioni e immagini dei ginkgo di Yeongwol, di Duseo-myeon e Yongmunsa, cfr.
Invitation ForestOn "Story of forest: Old gigantic trees in Korea" .

- 151 -
PARTE V - STORIA

dove , come il grande ginkgo di Lijiawan, essi possono segnalare i siti di pre­
cedenti impianti di ginkgo anziché templi totalmente scomparsi.
Shihomi e Terumitsu Hori hanno esaminato l'inizio della storia cultu­
rale del ginkgo in Giappone e identificato otto grandi alberi, la cui età varia
tra 700 e 1 5 00 anni secondo le leggende ad essi associate . Il ginkgo di jyo­
nichiji, un grande albero femmina sui terreni del tempio di jyonichiji, nella
prefettura di Toyama, è considerato il più vecchio. Secondo la leggenda
locale, esso era già un grande albero nel 682, quando il tempio fu costruito.
Circa la stessa età è attribuita al ginkgo di Nigatake, talvolta chiamato il
ginkgo di Chichi o di Uba, presso il santuario Ubagami nella prefettura di
Miyagi. Il ginkgo di H6ri6, nella prefettura di Aomori, la cui età presunta è
800- 1 200 anni, è stato piantato - si dice - per commemorare la fondazione ,
nell'epoca Heiana, del tempio Zenshoi, ora perduto. 7
È difficile verificare la veridicità d i queste leggende coreane e giappo­
nesi, ma come nel caso del grande ginkgo di Tsurugaoka, età così estre­
me sono probabilmente errate . In Giappone , la documentazione scritta,
relativa in modo non ambiguo al ginkgo, appare più tardi che in Cina, ed
è notevole l'assenza del ginkgo nell' antica letteratura classica, dove ci si
potrebbe aspettare di trovarlo. I tradizionali poemi giapponesi di 3 1 sill abe ,
detti waka, hanno una storia che risale a circa 1 3 00 anni fa. L a Man'yoshu, la
più antica raccolta antologica di questi poemi, fu compilata al termine del
periodo Nara, nel tardo VIII secolo ; in questi componimenti vi sono molti
riferimenti a foglie gialle, ma potrebbero essere riferiti a molte altre piante.
Analogamente , gli Hori concludono che molto probabilmente la parola
chi-chi, menzionata nelle poesie di Otomo-no-Yakamochi risalenti a metà
dell'ottavo secolo, si riferiva alle radici aeree pendenti del fico giapponese,
comunemente coltivato.
Non ci sono riferimenti inequivocabili al ginkgo neppure nelle anto­
logie di waka raccolte dal Comando Imperiale nel X e XIII secolo. Il gink­
go non compare nemmeno nei "Racconti di Genji" di Murasaki Shikibu,
uno dei più vecchi romanzi del Giappone, o in Makura no Soshi , raccolta
di antichi saggi scritti da Sei Shonagon tra la fine del X secolo e l'inizio
dell'Xl. Considerando il rilievo dato alla natura in questa letteratura e la
frequenza dei rimandi a ginkgo in lavori successivi, questa assenza può
essere significativa.
Il primo, indiscutibile riferimento al ginkgo si trova in due dizionari
giapponesi e in un libro di testo di metà XV secolo. Il dizionario Ainosho

7 Una lista dei vecchi alberi di ginkgo in Giappone e delle leggende che vi sono associate
è fornita da Horu - Horu 1 997.

- 1 52 -
23 . TREGUA

del 1 446, di Gyoyo, è pubblicato in stile caratteristico, usato anche nell'an­


tica letteratura cinese, che pone specifiche domande dirette e poi fa uso di
riferimenti precedenti per dare le risposte . Alla domanda «cos'è il ginkgo?»
la risposta è «non c'è alcun nome in Wamyo», che si ritiene che sia un pre­
cedente dizionario, il Wamyo-sho, pubblicato verso il 934. L'Ainosho sembra
quindi definire i limiti inferiore e superiore per l'introduzione del ginkgo in
Giappone , rispettivamente tra il 934 e il 1 446.8
Nell'Ainosho e pure nel libro di testo Sekiso Orai, scritto da Ichijo nel
XV secolo, il nome giapponese del ginkgo, scritto in caratteri kanji, è "al­
bicocca argentata" , esattamente come nelle prime fonti cinesi. Ma esso è
accompagnato dalla pronuncia fonetica icho, in carattere katakana.
Nel Kagaku-shu, un dizionario del 1 444, il ginkgo è elencato nello stes­
so modo, ma viene menzionato anche il termine "piede d' anatra" , altro
vecchio nome cinese , con una spiegazione del motivo per cui quel termine
è diventato il nome di un albero. È un riferimento alla somiglianza tra for­
ma e nervature divergenti della foglia di ginkgo con il piede palmato e le
dita divergenti dell'oca mandarina, un uccello solitario adorato per il suo
simbolismo. Nella letteratura giapponese, il più antico riferimento al gink­
go compare nel 1 530, nel diario di viaggio del poeta Socho, che scrive di far
dono delle sue belle gialle foglie autunnali.
Prese complessivamente, le evidenze dei documenti storici indicano
che in Cina il ginkgo era coltivato nell'XI secolo e forse dalla fine del X.
Si è poi diffuso probabilmente attraverso la donazione di semi e talee, che
divennero sempre più comuni in Cina a partire dal X secolo. In Giappone ,
non esiste una prova affidabile della presenza di ginkgo prima dell'inizio del
XV secolo, tre o quattro secoli dopo che il ginkgo era stabilito in Cina, pro­
babilmente grazie al collegamento col buddhismo. Da ciò deriva che è im­
probabile che in Giappone ci siano alberi di ginkgo più vecchi di settecento
o ottocento anni; probabilmente nessuno si avvicina all'età di 1 000 anni.9
Il collegamento tra ginkgo e buddhismo può essere stato, almeno in
parte , il motivo del suo trasferimento in Giappone , ma forse il ginkgo era
ancor più importante come fonte di cibo o di medicamenti e non è detto
che queste motivazioni fossero mutualmente esclusive; come è avvenu­
to in Europa, anche in estremo oriente lo sviluppo della medicina è stato
strettamente legato allo sviluppo di fedi religiose. Nel Giappone medieva­
le, i monaci buddhisti sono stati tra i più importanti professionisti di medi­
cina tradizionale cinese.

s Per altre notizie sulla storia culturale del ginkgo in Giappone, cfr. H oRI - HoRI 1997.
9 Questi vetusti alberi giapponesi sono riportati da LI 1963.

- 1 53 -
PARTE V - STORIA

Per quanto riguarda il probabile sito di introduzione del ginkgo in


Giappone, sembra più plausibile ricercarlo verso ovest e verso sud. In parti­
colare, le ricerche si orientano su Kyushu, la più meridionale e occidentale
delle quattro maggiori isole giapponesi e sede di connessioni storiche par­
ticolarmente forti con l'Asia continentale. Per secoli, in tempi medievali,
si svolse un fiorente commercio nella zona di Kyushu, nella quale ebbero
un ruolo particolarmente importante le ceramiche . A partire dalla fine del
periodo ]ano del XII secolo, per proseguire attraverso i periodi Kamakura
e Muromachi tra XIII e XVI secolo, le ceramiche, grandemente apprezzate
dalle élite del paese, furono importate in grandi quantità in Giappone, dove
poi si stabilirono delle colonie di immigrati cinesi che contribuirono ad
alimentare il commercio di qualunque bene, dai metalli preziosi alle pietre
per inchiostro e ai contagocce calligrafici. Essi avviarono anche l'impor­
tazione dal continente di piante medicinali e di interesse economico; tra
queste , potrebbe aver trovato posto anche il ginkgo.

- 1 54 -
24.

Viaggi

Egli fa un grande viaggio, che va in fondo al mare .


Thomas Fuller, Gnomologia. 1

Nel maggio 1 9 75 , un peschereccio all'opera in una zona di pesca at­


traversata da intense maree e forti correnti al largo della costa nord-occi­
dentale dell'isola di jeungdo, vicino al lato sud-occidentale della penisola
coreana, ripescò nelle reti sei pezzi di ceramica celadon, verde chiaro, e
porcellana bianca di provenienza cinese: erano il primo indizio della nave
di Shinan, una scoperta che si pone al fianco di quella della svedese Vasa e
dell'inglese Mary Rose, tra le più straordinarie dell'archeologia subacquea.
Inizialmente le autorità coreane furono incerte sul da farsi, ma quando
nell'autunno 1 976 il sito cominciò ad attirare i saccheggiatori, l'Ammini­
strazione del Patrimonio Culturale Coreano, col supporto della marina co­
reana, lanciò un progetto di recupero di alto profilo.
Questo forte impegno, della durata di nove anni, aprì una straordinaria
capsula del tempo del XIV secolo e uno scrigno di squisiti oggetti, che han­
no aperto una nuova prospettiva sui commerci tra Cina, Corea e Giappone
in epoca medievale.2
Le circostanze del naufragio della nave di Shinan sono ignote . Forse
la nave fu travolta da una tempesta e mentre affondava, con l'equipaggio
ancora a bordo, impattò sulle rocce sottomarine prima di posarsi su un

l FULLER 1 732.
2 Il Museo Nazionale Marittimo Coreano è sono la responsabilità del Ministero della Cul­
tura e Turismo; cfr. www. seamuse.go.kr.

- 1 55 -
PARTE V - STORIA

fondale fangoso. Col passare del tempo, a 20 m di profondità, la nave è stata


parzialmente sepolta da fango e sabbia. Le parti esposte sono state distrutte
o spazzate via dalle correnti, ma le parti del carico e dello scafo protet­
te dalla decomposizione e dalle teredini si sono conservate in condizioni
eccellenti. Nel 1 990, a Mopko, fu istituito il Centro per la Conservazione
dei Reperti Archeologici Marini, ora Museo nazionale marittimo, per orga­
nizzare l'enorme quantità di materiale recuperato e per supervisionare la
conservazione della nave .3
Il recupero iniziò appieno nel luglio 1 977, con il supporto di due navi
militari e circa 60 sommozzatori di profondità. Il lavoro iniziale permise di
recuperare decine di migliaia di oggetti, in molti casi ancora conservati nel­
le casse di legno in cui erano stati originariamente imballati. Non c'erano
dubbi che la nave di Shinan fosse un mercantile; lunga 2 7 m, larga 25 m e
con 260 tonnellate di stazza, era una nave relativamente grande per l' epo­
ca, ed era stivata fino all' orlo di mercanzie di ogni tipo.4
Nelle estati seguenti, fino a settembre 1 984, gli scavi recuperarono un
vasto assortimento di oggetti e i resti di alcuni membri dell'equipaggio.
Attorno al relitto fu scandagliata un' area di più di mezzo miglio, con reti a
strascico, per non perdere qualsiasi ulteriore evidenza relativa alla nave , al
suo carico e alla sua rotta. Anche le parti in legno della nave furono rimosse
dal fondale per le successive fasi di studio, restauro ed esposizione. Molti
piccoli oggetti vennero aspirati o sollevati dal fondale fangoso nella fase
finale degli scavi. Tra il materiale vegetale recuperato c'era un singolo ma
inconfondibile seme di ginkgo. 5
Complessivamente , oltre ventimila oggetti sono stati riportati in su­
perficie dopo aver trascorso sei secoli e mezzo sul fondale. Si tratta perlo­
più di terrecotte di vario tipo. C' erano circa cinquemila pezzi di porcellana
bianca e 3 000 con vari tipi di smaltatura, ma la maggior parte , più di 1 2 . 000
pezzi, era del caratteristico celadon verde . C ' erano statuine, contagocce
calligrafici, bruciatori per incenso, teiere, tazze, sostegni per le tazze, mor­
tai e pestelli e perfino un cuscino di ceramica, insieme a una varietà di
splendidi piatti, coppe e vasi. La preponderanza del celadon cinese rivela
che l'ultimo viaggio della nave di Shinan, terminato con il naufragio, era

3 I resti della nave di Shinan e la maggior parte del suo carico possono essere visitati al
Museo nazionale marittimo.
4 Per descrizione e diagrammi della struttura e della costruzione della nave, cfr. GREEN
1 983 ; per descrizioni e fotografie della nave, del suo carico e degli scavi subacquei, cfr. KIM
Z006a, b, c.
5 Il seme di ginkgo recuperato dalla nave di Shinan è in mostra al Museo nazionale corea­
no di Seui, con ceramiche e altri reperti tratti dal relitto.

- 1 56 -
24. VIAGGI

iniziato in Cina. Soltanto sette pezzi di celadon di Goryeo provenivano da


fornaci coreane .
Alcuni dei reperti vegetali recuperati dalla nave facevano parte del ca­
rico ed erano pervenuti probabilmente dall'Asia sud orientale, forse dalla
penisola malese, o da luoghi ancor più distanti. C'erano più di 1 000 pezzi
di legno di sandalo, perlopiù sagomato in pezzi lunghi l ,8 m. Questo le­
gno esotico, duro e aromatico, era usato per produrre mobili di alta qualità
o bruciato per sviluppare la sua fragranza e potrebbe essere arrivato dalla
Cina meridionale o dal sud-est asiatico, oppure trasportato da luoghi più di­
stanti, come l'India. Tra il materiale di origine tropicale, c'era anche un gran
quantitativo di pepe nero, posto in una scatola rettangolare insieme a grandi
quantità di frutti di croton, che hanno un uso medicinale come purgativo.
Altri reperti vegetali sono stati trovati in quantità molto minori, ma del­
le sedici specie identificate, quattordici erano usate nella medicina tradizio­
nale cinese . Tra queste vi erano due diversi tipi di radici di ginger e stecche
di cannella. C'era anche polvere di carbone , prodotta con l' euforbiacea Cro­
ton congestus, che si usa per arrestare le emorragie e curare la dissenteria.
Insieme al seme di ginkgo c'erano pezzi di litchi, noci di betel, albicocche ,
pesche , noci e nocciole . Può darsi che facessero tutte parte dell' armadio
dei medicinali della nave , una conclusione sostenuta anche da altri oggetti
scoperti nel relitto, quali macine per produrre farmaci, cucchiai e bilance
adatti a misurare e a pesare ingredienti erboristici.
La terracotta di celadon dimostrava che la nave di Shinan trasportava
un carico cinese e che la maggior parte di queste ceramiche derivavano
dalle fornaci di Longquan. Altre porcellane bianco-bluastre e bianche pro­
venivano dalle fornaci di Jingdezhen. Ambedue si trovano nell'hinterland
dell'importante area portuale di Qing Yuan Lu, che ora è la zona circostan­
te Ningbo. Ulteriori prove a sostegno dell'ipotesi che fosse proprio questo
il porto di partenza provengono da uno dei pesi della bilancia, che reca
l'iscrizione Qing Yuan Lu, e da un certo numero delle 364 strane targhette
di legno recuperate dal relitto. Al pari di altri oggetti fragili della nave di
Shinan, queste furono recuperate principalmente nelle fasi finali, scavando
nel fango all'interno del sito del naufragio e attorno ad esso.
Ogni targhetta è costituita da un pezzo di legno corto e piatto, di 1 5 -20
cm di lunghezza, con un foro o due tacche a un'estremità evidentemente
usate per legare la targhetta al carico. Sorprendentemente, alcune di queste
targhette identificavano il proprietario di quella parte del carico e recavano
la sua firma, il numero di unità o il peso e il tipo di merce . Le targhette non
solo confermano che il porto di partenza fu Qing Yuan Lu, ma in più ci
dicono quando è partita la nave per il suo sfortunato viaggio. Oltre cento
targhette portano una data di spedizione. Una è etichettata 20 aprile, sei 23

- 1 57 -
PARTE V - STORIA

aprile, trentasette 1 1 maggio, una l giugno, nove 2 giugno e cinquantotto 3


giugno. Sulle otto etichette dov'è scritto l' anno esso è 1 3 23 . La nave proba­
bilmente salpò dal porto ai primi di giugno del 1 3 23 e rimase in mare forse
per diverse settimane prima di affondare in una tempesta estiva o forse in
un tifone anticipato.
Le targhette offrono anche informazioni esplicite sui proprietari delle
merci e sugli indirizzi di consegna. Centouno targhette recano la scritta
Gangsa, che corrisponde al titolo di un monaco buddhista responsabile
dell' amministrazione dei templi. Quarantuno targhette erano destinate al
tempio Tofukuji di Kyoto, mentre altre includevano il santuario Hakozaki
e Chojuan, uno dei templi secondari sotto il controllo del Tempio di Jo­
tenji, entrambi a Fukuoka. I documenti storici dell'epoca, tra XIII e XIV
secolo, mostrano che alcuni dei maggiori templi giapponesi inviavano navi
mercantili autorizzate in Cina, specialmente da Fukuoka nell'isola di Kyu­
shu, dove si era naturalizzata una popolazione cinese. Tra le etichette che
designavano i nomi dei proprietari privati di merci, una dozzina sembra
appartenere a monaci buddhisti; un'altra dozzina sono chiaramente giap­
ponesi. È incerta la nazionalità - cinese o coreana - degli altri. 6
C' erano molte possibilità per trasportare il ginkgo dalla Cina alla Co­
rea e al Giappone lungo rotte commerciali ben definite , solcate da battelli
come la nave di Shinan. Il seme di ginkgo della nave di Shinan, che risale
all'inizio del XIV secolo, è in accordo con l'evidenza documentale della
presenza di ginkgo in Giappone verso il 1 440. È infatti plausibile che, prima
di destare un interesse tale da giustificarne l'inserimento in un dizionario,
il ginkgo fosse presente in Giappone e in grado di produrre semi già da al­
cuni decenni. Ciò suggerisce la possibilità di una sua presenza in Giappone
nel XIV secolo. 7
Al momento del primo contatto occidentale col Giappone nel 1 543 ,
il ginkgo era probabilmente assimilato nella cultura giapponese da uno o
due secoli . A quel momento ci sono anche molte evidenze della precoce

6 Cfr. SEYCOK 2008. Accanto ai templi di Fukuoka e Kyoto vivono tuttora molti vetusti
ginkgo. I commerci tra Cina e Giappone documentati dalla nave di Shinan sono proseguiti fino
all'epoca dell'autoisolamento giapponese. Per tutto il XVII secolo, le comunità cinesi fino a
quel momento disperse furono raggruppate a Nagasaki, che divenne allora il principale centro
di esercizio e controllo dei commerci esteri. Attraverso questa testa di ponte, furono introdotti
molte espressioni culturali cinesi, poi assimilate in Giappone.
7 La presenza del ginkgo in Giappone nel XIV secolo è in accordo anche con la scoperta
di foglie di ginkgo pressate tra le pagine di libri del XIV secolo del Museo Provinciale di Kana­
gawa. Per motivi che riguardano la storia di queste collezioni, non è plausibile che le foglie vi
siano state inserite in epoca recente. Si ritiene che le foglie siano repellenti per gli insetti. Per
un breve esame delle prime fonti scritte riguardo al ginkgo in Giappone cfr. Horu - Horu 1 997.

- 1 58 -
24. VIAGGI

connessione tra ginkgo e templi buddhisti. Il Okazari no sho del 1 523 regi­
stra i mobili, gli attrezzi e gli utensili che lo shogun Ashikaga Yoshimasa
teneva nel grande tempio di Ginkaku-ji (Tempio del padiglione d' argento) ,
d a lui stesso fondato nel 1 460 a Kyoto come villa privata . Tra i b e ni inven­
tariati si annovera uno icho-gu.chi, "vaso da fiori a bocca di ginkgo" . Allo ra
come ora, le inconfondibili foglie di ginkgo erano un modello irresistibile.
Risale alla fine del XV secolo o all'inizio del XVI una lunga scatola, nagafba­
ko, impiegata per la conservazione e il trasporto di pergamene, decorata
con uno stemma (mon) di cinque foglie di ginkgo. Il Kikigaki Shokamon, un
libro di araldica del XV secolo, comprende circa 260 stemmi di famiglie,
uno dei quali è composto da tre foglie di ginkgo. Sono invece del perio­
do Azuchi-Momoyama, tra la fine del XVI secolo e l'inizio del XVII , alcu­
ni kimono decorati con foglie di ginkgo. Infine , uno dei tesori nazionali
del Museo Statale del Giappone a Tokyo è una giacca da uomo lunga fino
ai fianchi, kodofuku, decorata con foglie di ginkgo ricamate . Verso la fine
dell'epoca medievale, l'élite giapponese aveva già riconosciuto il ginkgo
come un qualcosa di speciale. 8

s Per una lista di altri manufatti e animali giapponesi il cui nome deriva da ichou cfr. H oRI ­
Horu 1997.

- 1 59 -
25 .

Rinnovamento

L'unico vero viaggio verso la scoperta consiste


non nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell'avere
nuovi occhi.
M arcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. 1

Dopo un declino durato millenni, la tregua di cui il ginkgo ha goduto


nella sua associazione con le culture dell'Asia orientale fu seguita da un
cambiamento ancora più marcato delle sue sorti nel XVIII secolo. Questo
rinnovamento iniziò il 25 settembre 1 690, con l' arrivo del medico e bota­
nico tedesco Engelbert Kaempfer nel luogo che oggi è il cuore della città
giapponese di Nagasak.i. Kaempfer vi rimase solo due anni, ma ciò che
vi apprese e ciò che successivamente scrisse lo distinguono in Occidente
come il «Primo interprete del Giappone». Egli fu anche il primo a presen­
tare il ginkgo alla scienza occidentale . 2
Ubicata sulla costa occidentale di Kyushu, l'isola più orientale e meri­
dionale delle quattro principali del Giappone , Nagasak.i sorge sul promon­
torio di una bella baia naturale, punto di incontro delle antiche rotte com­
merciali che collegano il Giappone all'Asia continentale . Al Nord, un breve
tratto di mare la separa dalla penisola coreana, dove si perviene tramite
l' antico porto di Hirado e l'isola di Tsushima . A sud, la costa occidentale
di Kyushu conduce verso il gentile arco delle isole Ryuk.yu e quindi a Ok.i­
nawa e Taiwan. Giunti là, Canton, Hong Kong e Macao si trovano non di-

lPROUST 1 9 1 9.
zEngelbert Kaempfer ( 1 65 1 - 1 7 1 6) è stato definito "il primo interprete del Giappone"
(BROWN 1992).

- 1 60 -
2 5 . RINNOVAMENTO

stanti verso oriente. A sud, attraverso lo stretto di Luzon, le Filippine sono


la porta d'ingresso alle isole del sud-est asiatico.
Da Nagasaki la rotta più diretta verso la Cina punta a ovest verso l' ar­
cipelago Goto-retto e le isole Jeju, poi a sud-ovest attraverso il Mar Cinese
Orientale fino all' arcipelago Zhoushan, a breve distanza dalla costa cinese,
e quindi verso le antiche città di Ningbo e Huangzhou. Questa era la reddi­
tizia rotta commerciale seguita dalla nave di Shinan, che connetteva le ric­
che e antiche culture della Cina alla Corea e al Giappone . Al tempo in cui
Kaempfer arrivò in Giappone , verso la fine del XVII secolo, il ginkgo era
stato assimilato nella cultura giapponese da due o tre secoli. Nel decennio
del 1 690, Kaempfer osserva che esso cresceva «quasi ovunque in Giappo­
ne» . È quindi probabile che egli non fosse il primo occidentale a vederlo.3
In una discussione sugli alberi cinesi, che all'epoca erano poco noti,
John Evelyn, che pubblicò la grande opera Sylva: a Discourse of Forest Trees
nel 1 664, nomina due grandi alberi: uno è

un certo albero chiamato Ciennich (o l' albero di 1000 anni) nella provincia di Su­
chu, vicino alla città di Kien, che si estende così prodigiosamente da ricoprire ZOO
pecore sotto uno solo dei suoi rami, senza che ciò sia molto percepito da coloro
che gli si avvicinano,

il secondo è «una meraviglia più grande . . . nella provincia di Chekiang, la


cui estensione è così stupendamente vasta che 40 persone possono a stento
abbracciarlo». Ci sono molte identificazioni alternative di questi alberi, in­
cluso i Ficus, che sono spesso impressionanti e raggiungono grandi dimen­
sioni, ma c'è anche la possibilità che si tratti di ginkgo.4
I primi contatti tra Giappone e Occidente erano stati allacciati molto
prima, all' arrivo dei portoghesi nel 1 543, quasi 1 50 anni prima che Kaem­
pfer sbarcasse a N agasaki. I portoghesi venivano da sud e portavano merci
europee ma anche ceramiche e altri oggetti preziosi di produzione cine­
se, specialmente dopo la fondazione della base commerciale di Macao nel
1 5 5 7 . Le armi europee , introdotte per la prima volta in Giappone nel XVI
secolo dai portoghesi, si rivelarono in seguito decisive negli scontri di pote­
re interni al Giappone . I portoghesi portarono anche pane , tabacco, mol­
to probabilmente anche peperoncini, insieme a nuove parole che si fecero
strada nella lingua giapponese . La parola giapponese tempura deriva dal
portoghese tempero, condimento. Comunque , la più importante introdu-

J Per la citazione completa sulla diffusione del ginkgo in Giappone cfr. il capitolo 26.
4 Cfr. EVELYN 1 664, p. 194 ; CAMPBELL-CULVER 2006 avanza l'ipotesi che i grandi alberi cinesi
descritti da Evelyn possano essere esemplari di ginkgo. Dato che i primi contatti con la Cina
sono intercorsi con la parte meridionale, subtropicale, sembra più probabile che si tratti di fichi.

- 161 -
PARTE V - STORIA

zione portoghese in Giappone fu il cristianesimo che, legato al commercio,


fu decisivo per lo sviluppo di Nagasak.i come importante città portuale .
Appena pochi anni dopo i primi contatti con i portoghesi, cominciarono
ad arrivare i missionari gesuiti, cui fece seguito una diffusa conversione al
cristianesimo. Al termine della decade del 1 5 80 , l'influenza cattolica nel
Giappone meridionale era diffu s a e in crescita. Progressivamente e preve­
dibilmente divenne causa di attriti sempre più frequenti. 5
Nel 1 5 87, preoccupato per l a crescente influenza dei gesuiti sulla politi­
ca locale, il governatore feudale Toyotomi Hideyoshi, il grande unifìcatore
del Giappone alla fine del XVI secolo, decretò l'espulsione dei missionari.
Nove anni dopo, sospettando una potenziale invasione, ordinò la crocifis­
sione di 26 cattolici a Nagasak.i, ma le tensioni continuavano. Nel 1 6 1 4 lo
shogun Tokugawa Ieyasu bandì il cattolicesimo e proseguì l'espulsione dei
missionari.
Nel 1 63 6 , in un ulteriore tentativo di ridurre l'influenza dei portoghesi,
Tokugawa Ieyasu li confinò sull'isola artificiale di Deshima, costruita nella
baia di Nagasak.i. A Deshima le loro attività potevano essere sorvegliate più
agevolmente e le lucrative attività commerciali controllate più facilmente .
Per più di duecento anni, questa minuscola isola fu il principale punto di
contatto tra Giappone ed Europa, attraversato da un flusso di idee e mate­
riali in entrambe le direzioni.
Deshima fu fondata come base dei portoghesi, ma la loro espulsione ,
dopo la rivolta di Shimabara del 1 63 7 e 1 63 8 , aprì la strada agli olandesi,
che divennero i nuovi abitanti di Deshima. Fino a metà del XIX secolo,
la relazione tra olandesi e giapponesi costituì la più importante influenza
europea sul Giappone . 6
Nel XVII secolo Deshima era un remoto avamposto della rete com­
merciale olandese e la corrispondenza di molti di coloro che vi staziona­
vano divenne per l'Occidente la principale fonte delle prime informazioni
sul Giappone . In Giappone, l'isola divenne nota anche come un centro di

5 Le prime relazioni dei commercianti portoghesi, nel decennio del l 540, attirarono l'at­
tenzione degli imprenditori missionari gesuiti, che vi scorsero l'opportunità di portare avanti
gli interessi sia commerciali, sia spirituali; cfr. NEWITI 2005, p. 1 3 5 .
6 L a Compagnia Olandese delle Indie Orientali è spesso menzionata come VOC (Vereeni­
gde Oost-Indische Compagnie). La rivolta di Shimabara iniziò non molto lontano dal distretto
orientale di Nagasaki quando decine di migliaia di contadini e di loro alleati, molti dei quali
cristiani, insorsero contro le autorità locali. La rivolta fu infine domata alla caduta del castello
di Hara nell'aprile 1 638, ma nel periodo successivo la messa al bando del cristianesimo fu ap­
plicata rigorosamente e i portoghesi furono infine espulsi. Gli olandesi, che si erano schierati
col vincente shogunato di Tokugawa, avviarono i commerci da Deshima nel 1 64 1 . In ossequio
alla politica unilaterale di isolamento nazionale (sakoku), le sole altre navi straniere autorizzate
a entrare in Giappone erano quelle cinesi.

- 1 62 -
2 5 . RINNOVAM ENTO

apprendimento di alcune discipline scientifiche e tecnologiche . Essa eserci­


tava un'attrazione magnetica sugli studenti di Rangaku, o "Studi olandesi" ,
e attraverso le menti inquisitive di una serie di tre medici-botanici, Kaem­
pfer, Thunberg e Siebold, tutti al servizio degli olandesi, Deshima divenne
anche la via attraverso la quale la scienza occidentale venne a conoscenza
per la prima volta delle piante dell'Asia orientale . Quasi certamente l'isola
fu anche uno dei porti dai quali il ginkgo per la prima volta intraprese il suo
viaggio dall'Asia orientale all' Europa .
Engelbert Kaempfer, il primo dei medici-botanici olandesi a stabilirsi a
Deshima, fu allevato a Lemgo, in Germania settentrionale, a mezza strada
tra Amsterdam e Berlino. Secondogenito del pastore della chiesa di San
Nicola, egli veniva da una famiglia istruita e dal 1 674 al 1 676 studiò lingue,
storia e medicina all'Università di Cracovia. In seguito, si recò per quattro
anni a Konigsberg in Prussia, per studiare scienze naturali e medicina e nel
1 68 1 si trasferì in Svezia, all'Università di Uppsala.
Il viaggio che portò Kaempfer in Giappone ebbe un improbabile inizio
a Stoccolma alla corte di Carlo Xl. In seguito, seguì una strada ancor più
improbabile, via terra attraverso la Russia e l'Iran quando Kaempfer fu
designato segretario della legazione svedese presso la corte persiana . La
legazione si recò ad Isfahan, in Iran centrale, passando da Mosca - dove
Kaempfer si recò in udienza da Pietro il Grande e dal fratellastro lvan V - e
alla fine arrivò alla corte del Sultano nel marzo del 1 684. Nel complesso,
la missione svedese non fu un successo, ma Kaempfer a quel momento fu
assunto dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali e per qualche tem­
po prestò servizio come medico alla base commerciale olandese di Bandar
Abbas, nel Golfo Persico. Durante la sua permanenza, studiò le piante lo­
cali e fece attente osservazioni sulla raccolta dei datteri, di cui pubblicò un
resoconto dettagliato al suo ritorno in Europa.
Nel giugno 1 688, al servizio degli olandesi, Kaempfer lasciò la Persia
e intraprese un viaggio che lo porto a Masqat, sulla costa indiana, in Sri
Lanka e infine alla sede di Batavia della Compagnia Olandese delle Indie
Orientali, in Indonesia, vicino all'attuale Giakarta. Egli vi arrivò nel se t­
tembre 1 689 e agli inizi del maggio successivo partì per il Giappone . Nella
sua opera postuma La storia del Giappone, Kaempfer narra il suo viaggio
dall'Indonesia al Giappone meridionale , comprensivo di un mese trascorso
in Siam, la Thailandia dei giorni nostri.
Quando Kaempfer arrivò a Deshima, gli olandesi erano virtualmen­
te prigionieri. Le loro attività e specialmente le interazioni tra olandesi e
giapponesi erano sottoposte a stretto controllo. Nei mesi invernali Deshi­
ma ospitava solo poche decine di residenti olandesi aiutati da collaboratori
giapponesi impegnati in varie mansioni, da interpreti a cuochi, ma quando

- 1 63 -
PARTE V - STORIA

arrivavano le navi il porto brulicava di olandesi e giapponesi mentre le navi


venivano scaricate , le vendite concluse, gli ordini presi e il nuovo carico
stivato per il lungo viaggio di ritorno in Europa.
Mentre il contingente olandese stanziato a Deshima andava e veniva,
l' anno seguiva un ciclo regolare. All a fine dell'estate e all'inizio dell'au­
tunno arrivavano le navi da Batavia, cariche di merci europee e tropicali.
All 'inizio dell' autunno venivano scaricate e rifornite in tempo per ripartire
prima che il tempo peggiorasse all' arrivo dell'inverno. In primavera, il capo
della missione olandese, trattato alla stregua di un signore feudale giappo­
nese (daimyo), conduceva una delegazione a Edo, la moderna Tokyo, per
l? agare il tributo e presentare i suoi rispetti e doni all a corte dello shogun.
E lo stesso viaggio che Siebold fece più di un secolo dopo. Il viaggio richie­
deva circa un mese in ciascuna direzione e per gli olandesi era un'ottima
opportunità di vedere e imparare qualcosa in più sul Giappone.
Nei due anni trascorsi in Giappone , Kaempfer fece due volte il viag­
gio a Edo. Nella Storia del Giappone fa un vivido resoconto «dei due viaggi
dell'autore alla corte imperiale di Jedo, la città dove risiede l'imperatore»,
e descrive i preparativi per il viaggio, gli edifici e le altre strutture che egli
vide. Descrive come ha viaggiato, le strutture nelle quali ha soggiornato,
le persone incontrate e gli eventi accaduti durante il viaggio. Egli descrive
anche in dettaglio la sua permanenza nella «Città di Jedo, il suo castello, il
palazzo, con un resoconto di ciò che è avvenuto durante la nostra perma­
nenza nel luogo ; la nostra udienza e la partenza» . Scrive Kaempfer:

Andai io stesso due volte alla corte dell'imperatore con mia grande soddisfa­
zione: la prima volta, nell'anno 1691 con Henry von Butenheim, un gentiluomo
di grande candore, affabilità e generosità . . . la seconda volta, nel 1692, con Cor­
nelius van Outhoorn, fratello del governatore generale di Batavia, gentiluomo di
grande erudizione , eccellente sensibilità e molto versato in diverse lingue . . .

Kaempfer continua:

In primo luogo usciamo da Nagasaki per attraversare via terra l'isola di Kyu­
shu fino alla città di Kokura, dove arriviamo in cinque giorni. Da Kokura pas­
siamo lo stretto in piccole imbarcazioni dirette a Simonoseki, distante circa due
leghe da dove troviamo il nostro summenzionato barcone ancorato e in attesa del
nostro arrivo, essendo questa baia molto conveniente e sicura . . . a Simonoseki sa­
liamo sul nostro barcone per proseguire da lì fino a Osaka, dove arriviamo in otto
giorni, più o meno, secondo se il vento si mostra favorevole o contrario.

Egli prosegue:

Osaka è una città molto famosa per la quantità dei suoi commerci e la ricchez­
za dei suoi abitanti. Si trova a circa 13 leghe d'acqua giapponesi da Fiogo, che per-

- 1 64 -
2 5 . RINNOVA ME NTO

corriamo in piccole barche, lasciando il nostro barcone in quel luogo ad aspettare


il nostro ritorno. Da Osaka andiamo ancora via terra, sul continente della grande
isola Nipon, fino a Jedo, residenza dell'imperatore, dove arriviamo in 14 giorni
o più. La strada da Osaka a Jedo è chiamata dai giapponesi Tookaido, cioè la via
del mare o della costa. Rimaniamo a Jedo circa 20 giorni o più e dopo aver avuto
la nostra udienza con sua maestà imperiale e offerto i nostri rispetti ad alcuni dei
suoi principali ministri e ai grandi favoriti, ritorniamo a Nagasaki per la stessa via,
completando il nostro intero viaggio nel tempo di circa tre mesi. 7

Kaempfer fece buon uso dei suoi viaggi a Edo e del tempo trascorso
in Giappone . Quando si imbarcò, l'ultimo giorno di ottobre 1 692, per ri­
entrare a Batavia e da lì in Europa, egli portò con sé una ricca collezione
di campioni, libri e oggetti culturali: si tratta del primo tentativo di un eu­
ropeo volto a raccogliere reperti che riflettono l'ambiente e la cultura del
Giappone. Nel mese di maggio dell'anno successivo, Kaempfer arrivò a
Città del C apo e il 6 ottobre 1 693 ad Amsterdam.
Kaempfer aveva deciso di dedicare il suo tempo a scrivere il resoconto
dei suoi viaggi, ma il suo libro Amoenitatum Exoticarum non fu pubblicato
fino al 1 7 1 2 , venti anni dopo la sua partenza dal Giappone . È un lavoro stra­
ordinario, ricco di osservazioni originali, con la storia del viaggio via terra
in Persia e poi nel sud-est asiatico. Egli aggiunge anche resoconti di ele­
menti naturali e culturali che catturavano il suo interesse, come il tè giap­
ponese , e descrive le piante incontrate , molte delle quali completamente
sconosciute alla scienza occidentale. Vi sono incluse le prime descrizioni
occidentali di diverse piante giapponesi, comprese molte , come il ginkgo,
che erano state introdotte dalla Cina. 8
A pagina 8 1 1 delle Amoenitatum Exoticarum, nella sezione dedicata agli
alberi da frutto e da semi eduli, Kaempfer inserisce l'illustrazione di un ra­
metto di ginkgo con le sue distintive foglie , con l'iscrizione «[B��' N.d.T.]
Ginkgo. Vel Gin an, vulgò Itsjò. Arbor nucifera folia Adiantino». Questa è la
prima illustrazione occidentale del ginkgo, probabilmente disegnata dallo
stesso Kaempfer. Il bozzetto originale si trova nel carteggio Kaempfer alla
British Library.
Decenni dopo, nel 1 775 , l'incarico di Kaempfer fu preso da Carl Pe­
ter Thunberg, un dotato e curioso allievo di Linneo. Incrementando i dati
pubblicati da Kaempfer, la Flora]aponica di Thunberg fu il primo resoconto

7 Citazione da KAEMPFER 1 690· 1 692. Kaempfer, come molti dei primi esploratori europei
in Giappone, descrive lo shogun come imperatore.
s Cfr. STEARN 1 948 per un resoconto dei viaggi di Kaempfer e anche l'accurato Forum En­
glebert Kaempfer (http: / / wolfgangmichel.web.fc2.com / serv l ek/ index.html); cfr. MICHEL 2009.

- 1 65 -
PARTE V - STORIA

dettagliato delle piante del Giappone . Pochi anni dopo, nel l 779, Isaac Ti­
tsiugh arrivò in qualità di Opperhoofd della stazione commerciale olandese.
In quanto chirurgo, studioso e commerciante egli divenne una figura chia­
ve nelle relazioni europee con Giappone e Cina del tardo XVIII - primo
XIX secolo.9
In tutta la sua storia, l'esportazione di ceramiche è un settore redditi­
zio del commercio che si svolgeva a Deshima e alcune di queste cerami­
che , dell'inizio del XVIII secolo, sono una prova diretta dell'interesse che le
potenzialità estetiche del ginkgo esercitavano sugli artigiani che creavano
porcellane di alta qualità. Le foglie di ginkgo compaiono occasionalmen­
te tra i molti motivi vegetali che decorano le straordinarie coppe, piatti e
molti altri oggetti creati nelle fornaci della regione di Arita come doni spe­
ciali per lo shogunato. Nel museo ceramico di Kyushu una di queste coppe
bianche mostra tre foglie di ginkgo disposte in cerchio. Ancor più sorpren­
dente è un grande piatto piano con due tozzi rami di ginkgo verticali, ben
identificabili sullo smalto blu cobalto dello sfondo e coperti con foglie di
ginkgo. Alcuni decisi elementi orizzontali, poco sopra il punto centrale,
rappresentano la nebbia che passa attraverso i rami. Questo manufatto è
stato prodotto nella fornace Okawachi di Hizen tra il 1 700 e il 1 730, non
molto tempo dopo il soggiorno di Kaempfer nella vicina N agasaki. Molti
grandi alberi di ginkgo che ancora vivono in quella regione del Giappone
erano certamente vivi al tempo di Kaempfer, Thunberg e Siebold. 1 0

9 Le raccolte di Thunberg giapponesi e di altra provenienza sono custodite all'Università


di Uppsala.
IO Il piatto di porcellana con ginkgo è illustrato alla Figura 1 84 del Catalogo Ohashi

(ÒHASHI 2006) e il disegno a p. 139 del presente volume.

- 1 66 -
. ,0/,,n,. f;. n.t' ,t',-,.
.. J;.;t,.-�,n.U�-,1,. . 'J;;./,,•rv ?" _4,., /',t,n,/ !J;('.rin.,
. • ly . , 1�r�lf"t«Arl,- .

. . .
27

Fig. 27. L'isola artificiale di Deshima nella baia di


Nagasaki, sede di E. Kaempfer, C. P. Thunberg e P.F.
von Siebold quando erano al servizio della Compa­
gnia Olandese delle Indie Orientah.
Fig. 28. Il disegno pubblicato da E. Kaempfer nel
1 7 1 2 . Si tratta della prima illustrazione di questa
pianta fatta da un botanico occidentale. In basso si
nota la scritta a matita "Ginkgo biloba L . " , aggiunta
in seguito.
Fig. 2 9 . Il campione d ' erbario che Linneo h a utiliz­
zato per creare il binomio Ginkgo biloba nel l 7 ì l .
Fig. 3 0 . Un ginkgo sagomato a spalliera all' Universi­
29 tà di Cambridge. Inghilterra.

30
li

32

Fig. 3 1 . G i m·ani g i n kgo presso i l \ l u s eo d i Storia :\ a tu r a l e d i L o n d r a .


Fig 3 2 G i n kgo m o n u m e n t a l i presso S e u i . C o re a del S u d .
Fig. 3 3 . C n elegante ginkgo in un parco della C orea del Sud.
26.

Scelta del nome

Se non si conosce il nome delle cose, anche la loro


conoscenza va perduta.
Carlo Linneo, Philosophia Botanica. 1

Forse la cosa più strana riguardo all'introduzione in occidente del gin­


kgo da parte di Kaempfer è la parola stessa, tanto che molto è stato scritto
per chiarire come abbia scelto questo nome apparentemente strano. Per
capire come e perché Kaempfer si è fissato sul nome ginkgo è importante
sapere come era chiamata la pianta in Giappone al tempo della sua perma­
nenza, alla fine del XVII secolo.
Quando il ginkgo fu introdotto in Giappone, nel XIII o XIV secolo,
probabilmente arrivarono anche i nomi che gli erano più comunemente
attribuiti in Cina. Tra questi vi è il nome "albicocca d'argento" , ancora in
uso oggi. In caratteri cinesi questo nome è scritto ��:=a e in giapponese si
scrive allo stesso modo con i sinogrammi (kanji). I caratteri devono essere
sembrati strani a Kaempfer ma li ha copiati accuratamente nel suo libro.
Egli scrisse '1\lbicocca d' argento" come :=a�� piuttosto che ��:=a perché a
quel tempo in Giappone si scriveva da destra a sinistra. Kaempfer quindi
riprese quei caratteri nella traslitterazione delle due parole che i suoi tra­
duttori giapponesi usavano per indicare l' albero : Gin e Itsjò.
Nelle prime menzioni che si trovano nei testi storici cinesi, il ginkgo ha
due nomi, ��:=a, albicocca d' argento, e '-�Htll , piede d' anatra. In epoca po­
steriore, a partire dalla dinastia Yuan, si cominciò a usare anche altri nomi:

l LINNAEUS 1 7 5 1 .

- 1 67 -
PARTE V - STORIA

a ;!f!:, frutto bianco; 01-*fM, albero nonno-nipote; a �lt occhio bianco.


Tra questi, pei kuo o baiguo, cioè frutto bianco, è il nome colloquiale più co­
munemente usato in Cina, sebbene ��-=a, albicocca d'argento, sia usato più
spesso nei testi scritti. Nel Giappone moderno, tuttavia, come al tempo di
Kaempfer, quando si scrive ginkgo in sinogrammi, ��:a, si può pronuncia­
re in due modi, icho e gin'nan. Shihomi e Terumitsu Hori hanno esaminato
l'origine di queste pronunce e suggeriscono che esse rappresentino un'al­
terazione della pronuncia originale dei due nomi cinesi del ginkgo, piede
d'anatra e albicocca d'argento. In cinese standard questi caratteri sono letti
yajiao e yinxin, ma nel dialetto deljiangsu meridionale e dello Zhejiang set­
tentrionale, la regione della Cina dalla quale proveniva la nave di Shinan e
con la quale il Giappone aveva forti legami commerciali, '-�gtp si pronuncia
ai cho e ��-=a nin an.2
I collegamenti tra le traslitterazioni di Kaempfer - "ltsjò" e "Gin an" - e
gli equivalenti in giapponese moderno, rispettivamente "icho" e "gin'nan" ,
sono abbastanza chiari, ma da dove deriva il termine ginkgo? Shihomi e
Terumitsu H ori hanno indagato attentamente questo problema con l'aiuto
di una caratteristica distintiva del linguaggio giapponese. Frequentemente,
quando si usa un sinogramma, esso può essere accompagnato da una sill a­
bazione fonetica, la cosiddetta kana.
Esaminando la kana associata ai caratteri cinesi ��:a, albicocca d' ar­
gento, in vari dizionari e libri giapponesi pubblicati tra il XV e il XVIII se­
colo, gli Hori fecero una scoperta straordinaria. In quasi tutti i lavori che
hanno studiato, la pronuncia di ��:a è generalmente data o come "icho" o
come "gin'nan" o come una ovvia variante di una delle due. Comunque, in
due dizionari illustrati giapponesi del XVII secolo, in uso nel periodo in cui
Kaempfer era in Giappone, la pronuncia è data come "ginkyo" . Nel Kaga­
ku-shu, un dizionario pubblicato tra il 1 6 1 7 e il 1 6 1 9 , la pronuncia di ��:a è
data come "icho" e "ginkyo" , mentre nel Kinmo Zui, pubblicato nel 1 666,
la pronuncia è data come "gin'nan" e "ginkyo" .
Nella decade del 1 940 A. C . Moule esaminò attentamente i manoscritti
di Kaempfer, conservati nella British Library, dove trovò una decina di ri­
ferimenti alla pianta alla quale Kaempfer dette il nome ginkgo e notò, in
particolare, che "Gin'nan 32" è descritta come Catalogus Plantarum Iaponi­
carum in Kin mo chjju i. Shihomi e Terumitsu Hori evidenziano che ciò si
riferisce quasi certamente al Kinmo Zui e fanno un ulteriore importante col­
legamento nel rendersi conto che Kaempfer, una volta in Giappone, ebbe
delle copie di questo libro. Non possono esserci molti dubbi che Kaempfer

z Per altre notizie sull'etimologia di Ginkgo cfr. Horu - Horu 1 997.

- 1 68 -
26. SCELTA D E L N O M E

si riferisse al Kinmo Zui sia quando era in Giappone, sia nella stesura delle
Amoenitatum Exoticarum, e che questa sia la fonte del nome ginkgo. Con
il successivo riconoscimento da parte di Linne o, questa è probabilmente
diventata la più internazionalmente riconosciuta tra tutte le parole giappo­
nesi del XVII secolo. 3
C'è un quesito finale, forse il più difficile: perché Kaempfer ha scritto
ginkgo anziché ginkyo? Questo è particolarmente affascinante perché nella
prefazione del suo libro Kaempfer spiega di avere posto particolare atten­
zione alla trascrizione più accurata possibile del linguaggio giapponese.
Egli ha attentamente ascoltato la pronuncia delle parole e dei suoni e ha
sviluppato un sistema di regole per trasferirle su carta. Visto che Kaemp­
fer era così meticoloso, Shihomi e Terumitsu Hori indicano che i nomi
di piante trascritti in alfabeto latino nelle Amoenitatum Exoticarum fissano
vividamente la pronuncia di quei nomi usata dalle persone che vivevano in
Giappone alla fine del XVII secolo. Quindi, se Kaempfer ha udito ginkyo,
perché lo trascrisse come ginkgo?
Alcuni hanno ipotizzato che la grafia di ginkgo fosse un banale errore
ortografico di Kaempfer o del tipografo, ma gli Hori pensano che ginkgo
sia la vera grafia voluta da Kaempfer. Essi suggeriscono che la misteriosa
seconda g di ginkgo sia un retaggio delle radici culturali di Kaempfer, svi­
luppatesi in Germania settentrionale. Nei dialetti di quei territori, il suono
della j è spesso trascritto con una g. Per esempio Kaempfer avrebbe potuto
dire "jut" ma lo avrebbe scritto "gut" . Shihomi e Terumitsu Hori sugge­
riscono, considerato il contesto delle sue origini, che Kaempfer abbia tra­
scritto "ginkyo" proprio come lo ha sentito.4
Qualunque sia l'origine della seconda g di ginkgo, il più ampio significa­
to del viaggio di Kaempfer in Giappone fu immediatamente riconosciuto
dopo la pubblicazione delle Amoenitatum Exoticarum. Dopo la sua morte,
avvenuta il 2 novembre 1 7 16, le sue raccolte furono messe in vendita e

3 Kaempfer possedeva due copie del Kimno Zui. Una è la prima edizione del 1 660, l'altra
una edizione posteriore lievemente diversa, pubblicata nel 1 668. Entrambe fanno parte della
Kaempfer's japanese Library nella British Library.
4 L'origine tedesca anziché orientale della seconda g di ginkgo è un'ipotesi affascinante,
ma Wolfgang Miche!, uno studioso di Kaempfer, mette in evidenza che Kaempfer trascrisse
con una y altre parole giapponesi, inclusi nomi di piante, contenenti le sillabe "kyo" o "kyo" .
Miche! ritiene più probabile che Kaempfer abbia commesso u n errore: cfr. l e sue note di ricer­
ca (MICHEL 2009). Un'ipotesi alternativa suggerisce che Kaempfer abbia seguito accuratamente
la pronuncia del suo interprete, Genomon Imamura (VAN DER VELDE 1 995), e abbia trascritto
ginkyo nella pronuncia del dialetto regionale parlato all'epoca a Nagasaki. Per esempio, la
parola fragola, ichigo, è tuttora pronunciata itzigo nel dialetto di Nagasaki e cos ì l'ha trascrit­
ta Kaempfer in Amoenitatum Exoticarum ( Toshiyuki N agata, Hosei University, comunicazione
personale).

- 1 69 -
PARTE V - STORIA

prontamente acquisite da Sir Hans Sloane, un ricco e avido mecenate del­


le scienze nel periodo illuministico. Fu Sloane che, più di ogni altro, assi­
curò che Engelbert Kaempfer e il suo lavoro non cadessero nell 'oblio e fu
grazie a Sloane che parti significative delle collezioni uniche di Kaempfer,
che documentano uno dei primi incontri occidentali con il ginkgo e con il
Giappone, sono state conservate per i posteri e sono pervenute a Londra.5
Sloane era un collezionista inveterato, con un interesse particolare
verso le piante. Ha raccolto piante in Inghilterra meridionale e i n Francia
meridionale, ma il suo nome sarà per sempre associato alle piante raccolte
nei 1 5 mesi di servizio come medico del governatore della Giamaica, n
duca di Albemarle. Sloane fece ritorno dalle Indie occidentali nel 1 689 con
una raccolta di 800 campioni di piante essiccate e osservazioni originali
sufficienti per un ponderoso libro in due volumi; egli scoprì anche che nel
frattempo il re cattolico Giacomo II era stato sostituito dal protestante
Guglielmo d 'Orange.6
Di ritorno a Londra, Sloane avviò un redditizio studio medico, situato
a Bloomsbury, che soddisfaceva le necessità sanitarie di alcune delle figure
più influenti e benestanti dell 'epoca. Di conseguenza, Sloane divenne a sua
volta famoso, benestante, e sempre più influente.
Fu ammesso alla Royal Society nel 1 685, ne divenne il segretario nel
1 69 3 e nel 1 69 6 pubblicò il suo Catalogus Plantarum, con l 'elenco di tutte le
piante incontrate in Giamaica. La sua opera più conosciuta in due volumi,
Natural History of ]amaica, apparve nel 1 707 e nel 1 725. n primo volume,
che tratta principalmente di piante, contiene la prima segnalazione in ingle­
se riguardo all'uso del cioccolato. Nel 1 7 19 Sloane divenne presidente del
Royal College of Physicians, carica che mantenne fino al 1 73 5 . Nel 1 727,
egli succedette a Sir Isaac Newton come presidente della Royal Society.7
Una delle grandi passioni scientifiche di Sloane er a l'acquisizione di
importanti collezioni di piante raccolte durante le esplorazioni europee
dell'epoca, condotte in diverse parti del mondo. Fu questa passione che
preservò il lascito di Kaempfer. La straordinaria raccolta di collezioni di
Sloane è la più vasta e storicamente importante raccolta di primi campioni
botanici di tutto il mondo e documenta lucidamente la rapida espansione
della conoscenza scientifica riguardo alla diversità vegetale nel XVII seco-

5 Per ulteriori notizie sulle collezioni di Kaempfer di manoscritti, disegni, note, mappe,
libri e altri materia li, inclusi 49 libri con xilografìe, cfr. HtiLS - HOPPE 1 982.
6 Per altre notizie sulla vita, le conoscenze e le collezioni di Sloane, cfr. DANDY 1 958 e
MACGREGOR 1 99 4.
7 Sloane fu presidente della Royal Society dal 1 727 al 17 41 e divenne uno dei più influenti
mecenati della scienza del suo tempo.

- 170 -
26. S C E LTA D E L N O M E

lo e all'inizio del XVIII. Complessivamente, la raccolta di Sloane consiste


di 337 collezioni separate, conservate in 265 enormi libri lussuosamente
rilegati con copertine di pelle verde, oggi ospitate nell'ex Dipartimento di
Botanica, ora sezione del Dipartimento di Scienze della Vita, nel Natural
History Museum a Londra. 8
La collezione 2 1 1 di Sloan è etichettata «H.S. 2 1 1 , ff Volumen Pianta­
rum in japonia collectarum ab Engelberto Kaempfero M.D. anni 1 69 1 et
1 692. Additae sub finem Plantae aliquote ab modem in Persia et Insula
Ceylan repertae». È uno degli erbari più consultati tra tutti quelli che si
trovano nella collezione Sloane. Nessun altro erbario contiene campio­
ni raccolti così presto in Giappone e, di conseguenza, esso è una risorsa
fondamentale per lo studio scientifico delle piante giapponesi. Per questo
motivo, l'erbario Kaempfer di Sloane è stato studiato da alcune delle più
grandi figure della storia della botanica, incluso Daniel Solander, che ac­
compagnò Banks nel primo viaggio di Cook in Australia, e Robert Brown,
il grande botanico che per primo osservò nelle cellule il moto browniano.
Fu consultato anche da Carl Peter Thunberg e Franz von Siebold, i succes­
sori di Kaempfer a Deshima.
La collezione Kaempfer era ben nota anche a j.E. Smith che nel 1 786,
in uno dei più strani episodi della storia dello studio scientifico del ginkgo,
si prese la responsabilità di rinominare il ginkgo Salis bu.ria adiantifolia, «in
onore di Richard Anthony Salisbury, Esq. , F.R.S. e F.L.S. , della cui acutezza
e infaticabile zelo a servizio della botanica nessuna testimonianza è neces­
saria in questa società [Linneana], o in qualsiasi luogo raggiunto dai suoi
scritti». Salis bu.ria è stato usato in luogo di Ginkgo in parte della letteratura
botanica del XIX secolo, ma non ha mai realmente fatto presa e secondo le
moderne regole internazionali di nomenclatura botanica il nome Ginkgo
ha la precedenza. Salis bu.ria è considerato un sinonimo invalido.9
Oltre a ottenere la collezione di piante di Kaempfer, Sloane ottenne
anche le sue carte; il manoscritto Sloane 29 14, ora nella British Library, è
intitolato di mano di Kaempfer «Delineato Plantarum Japonicarum manu
Engelberti Kempferi». È un volume di 2 1 7 disegni in folio di piante giap-

s Il materiale giapponese di Kaempfer è nel Volume 21 1 dell'Herbarium Sloane. I cam­


pioni di ginkgo raccolti da Kaempfer stanno su due pagine. Sul folio 91 ci sono campioni di tre
tipi di piante, tra i quali piccole parti di macroblasti di ginkgo e una singola foglia. Sul folio 1 03
ci sono nove diverse piante, una singola foglia, ben disposta, di ginkgo, forse di una plantula.
Sotto di essa, in inchiostro, in latino, nella grafia allungata e sottile di Kaempfer, vi è la scritta
<<Folium Itsjo arboris nucifera, folio adiantino». Per altre notizie sulle collezioni Sloane nel Na­
tura! History Museum di Londra, cfr. DANDY 1 958.
9 Per lo studio delle collezioni di Sloane da parte di Salisbury cfr. SALISBURY 1 8 1 7.

- 171 -
PARTE V - STORIA

ponesi, accompagnati da un elenco alfabetico di nomi in giapponese con


riferimenti alle Amoenitatum Exoticarum e ad altre opere.
Con piena comprensione del significato di ciò che Kaempfer aveva scrit­
to e anche di quanto aveva tralasciato nelle Amoenitatum Exoticarum, Sloane
passò le carte di Kaempfer a John Caspar Scheuchzer, il suo bibliotecario
personale, affinché le traducesse dal dialetto alto tedesco di Kaempfer. Il
lavoro che Kaempfer stava preparando per la pubblicazione, Storia del Giap­
pone, fu completato e pubblicato da Scheuchzer nel l 727.
Il ginkgo è specificamente menzionato nel capitolo nove di Kaempfer,
intitolato «la fertilità del paese riguardo alle piante», e insieme a brevi reso­
conti di alberi di gelso, gelsi da carta, alberi della lacca, lauri, piante del tè e
molti altri tipi di alberi e piante utili, Kaempfer arriva a una noce chiamata
"ginau" :
un'alt ro tipo di noce , chiama ta ginau , g rande quan to un grande pis tacchio alleva ­
to in g ran quantità quasi ovunque in Giappone , su un bell'albe ro alto , le cui foglie
non sono dissimili dalle grandi foglie di un Adianthum. I giapponesi lo chiamano
I tsionoki. Le noci danno abbondante olio , c he è mol to loda to per diversi usi. Per
quanto rigua rda una più accu rata desc rizione di questo albe ro , indi rizzo il letto re
alle Amoenitatum Exoticarum. 10

lO Cfr. KAEMPFER 1 690- 1 692, p. 1 8 1 . Al momento della pubblicazione di Amoenitatum Exo­

ticarum nel 1 7 12, Kaempfer aveva cambiato la grafia, che risultava "Gin an" .

- 1 72 -
27.

Ritorno

Al ritorno passate a visitar la nostra casa: rinfre­


scheremo l'antica amicizia.
William Shakespeare, Enrico Quarto, parte due. 1

Con le sue Amo enitatum Exoticarum, Kaempfer fu il primo a porre il gin­


kgo all'attenzione della scienza occidentale, ma è improbabile che sia stato
il primo a introdurre semi o piante vive in Europa. Forse, ciò non accadde
che molto dopo, probabilmente non prima della terza o quarta decade del
XVIII secolo. La prova di questo ritardo tra l'identificazione del ginkgo da
parte di Kaempfer e la sua coltivazione in Occidente è soprattutto negativa,
ma in questo caso poggia sulla più rispettabile fonte di informazione circa
tutte le piante note alla scienza a quell'epoca: il medico e botanico svedese
Carlo Linne o.
Linneo, uno dei più grandi catalogatori e descrittori di nuove piante,
trascorse alcuni anni in Olanda, dal 1 735 al 1 73 8 . A quel tempo, era un
giovane impiegato del ricco banchiere anglo-olandese, nonché grande me­
cenate delle scienze, George Clifford. Clifford era uno dei direttori della
Dutch East India Company, che a quell'epoca esisteva da oltre un secolo.
Qualche decennio prima, i predecessori di Clifford erano stati datori di la­
voro per Kaempfer. Clifford, Linneo e tutta la loro cerchia scientifica erano
strettamente connessi e pronti a intercettare piante esotiche interessanti,
specialmente dall'oriente, ma non si fa cenno al ginkgo nel catalogo, redat­
to da Linneo, delle piante coltivate nel giardino di Clifford, che fu pubbli­
cato nel 1 738. Né vi sono campioni di ginkgo nelle collezioni di Clifford, in

l SHAKESPEARE 1 623b, atto III, scena 2.

- 1 73 -
PARTE V - STORIA

seguito acquisite da Sir joseph Banks e attualmente conservate al Natural


History Museum di Londra.2
Il libro di Kaempfer fu pubblicato nel 1 7 1 2 e Linneo era certamente
consapevole della sua importanza. Egli ne possedeva una copia e ne com­
memorò l'autore dedicandogli il genere di uno zenzero tropicale. Tuttavia,
apparentemente anche nel 1 753 Linne o era ancora all'oscuro dell'esistenza
del ginkgo, o più probabilmente non aveva intenzione di mandarlo alle
stampe prima di vederne un campione con i propri occhi. Nella sua opera
monumentale Species Plantarum, una compilazione esauriente delle piante
di tutto il mondo a lui note a quel momento, non si fa cenno del ginkgo. 3
Nella cerchia di persone che all'epoca erano in corrispondenza con Lin­
neo, figura in un ruolo centrale john Ellis, scienziato di punta e membro
prominente della Royal Society. Nel 1 767, Ellis ricevette la medaglia Co­
pley, il premio più prestigioso della società, per il suo lavoro che dimostrava
per la prima volta che i coralli erano animali e non piante. Ellis fu anche
molto abile a sfruttare i suoi collegamenti per portare avanti sia la scien­
za, sia gli interessi commerciali inglesi. Nel 1 770 pubblicò un resoconto su
come trasportare oltremare semi e piante vive. Fu proprio Ellis che ebbe
un ruolo fondamentale nel porre il ginkgo all'attenzione di Linn e o. 4
In una lettera datata 25 aprile 1 758, Ellis scrive a Linneo :
S e volete qui un corrispondente che sia u n giardiniere curioso , i o raccoman­
derò a voi il nome di M r. James Gordon , giardiniere di Mile End , Londra. Costui
fu allevato da Lord Petre e dal Dr. Sherard e conosce da un punto di vista sistema­
tico tutte le piante che coltiva. Ha più conoscenze sul giard inaggio di tutti gli altri
giardinieri e scrittori di giardinaggio inglesi messi insieme ; ma è t roppo modesto
per pubblicare alcunché. Se gli mandate qualcosa di raro , egli vi darà in cambio
qualcosa di appropriato. Abbiamo ricevuto un raro gelsomino doppio (Gardenia
florida) dalla regione del Capo , non ancora descritto : costui l'ha allevato da talea ,
quando tutti gli altri giard inieri avevano fa llito. Più tardi gli procurai una strana
raccolta di semi delle Indie orientali , molti dei quali stanno crescendo ma sono
nuovi per noi. Egli ha ottenuto il gin kgo (Salisbùria ), che cresce bene , e quando
sarà cresciuto lo darà via.5

Il previsto arrivo del ginkgo richiese altri nove anni. In una lettera da­
tata 3 luglio 1 767, Ellis scrisse a Linneo <<]ames Gordon intende [donarvi]

2 Cfr. anche ]ARVIS 2007 per altre i nformazioni su Linneo e sul significato della sua opera.
3 Li nneo nomi nò un genere di zenzero Kaempferia.
4 ELLIS 1 770.

5 La corrispondenza di Ellis con Linneo è citata in LouooN 1 83 8 ( 1 : 77), che inserisce tra
parentesi i nomi botanici.

- 1 74 -
27. RITORNO

una pianta di Ginkgo di Kaempfer. Nell'occasione, vi manderò il campione


di Siren lacertina».6
james Gordon possedeva la allora famosa Mile End Nursery, un vivaio
sito nei quartieri orientali di Londra, che fu canale attraverso cui molte
nuove piante furono condotte nel settore dell'orticoltura. Secondo Smi­
th, già nel 1 754 Gordon stava coltivando il ginkgo nel vivaio di Mile End.
Ulteriori prove della precoce coltivazione di ginkgo da parte di james Gor­
don provengono dalle note del Dr. john Hope, botanico reale in Scozia e
professore di botanica a Edinburgo. Il suo viaggio a Londra dell'estate del
1 766 è una importante fonte di informazioni sulle piante che vi crescevano
a quel tempo. 7
Gordon fu non solo tra i primi a introdurre il ginkgo nell'orticoltura
inglese, ma fu anche il primo a fornire a Linneo una pianta viva, probabil­
mente sotto forma di talea anziché di seme. Fu probabilmente questo il
primo campione di ginkgo visto da Linneo.
Gordon scrisse a Linneo nel 1 769, appena pochi anni prima della sua
morte:
Lond ra , Mile End
26 ottob re 1769

Mio signo re ,
Quale ammi rato re da molti anni dell'ope ra molto ingegnosa e colta della Si ­
gno ria Vost ra , la p rego di accetta re le sottosc ritte piante. Se vi è qualcosa di pa rti ­
cola re che sia accettabile , che occo rre sulla mia st rada , sa rà pe r me un g randissi­
mo piace re ed ono re p rocu ra rla pe rla Signo ria Vost ra.
Io sono , mio signo re
Se rvo obbligato della Signoria Vost ra ,
James Go rdon

l Gin kgo kaempfe ri


l Magnolia acuminata
l And romeda ma riana
Queste stanno nel te rreno natu rale e soppo rtano le gelate più seve re dei no ­
st ri inve rni , senza danno.

Linne o rispose ringraziando Gordon per la pianta di ginkgo che gli


aveva in precedenza inviato quell'anno. Dato che la pianta non era anco-

6 La citazione da Ellis a Linneo appare in SMITH 1 82 1 , p. 207.


7 Il ginkgo de l vivaio di Mile End fu descritto come il più vecchio e «più be llo» de ll'Inghil­
terra; cfr. LYMAN 1 885 e LOUDON 1 838.

- 175 -
PARTE V - STORIA

ra matura, Linneo non poté assegnarla ad un definito rango sistematico.


Un campione, probabilmente ottenuto dalla pianta inviata da Gordon a
Linneo, prelevato dopo che la pianta aveva preso vigore a Uppsala, è ora
nell'erbario linneano della Linne an Society di Londra. Si tratta del campio­
ne sul quale Linneo ha basato il nome scientifico Ginkgo biloba. È un tipico
macroblasto con foglie profondamente bilobate, del tipo osservato molto
chiaramente su foglie vicine all'apice del ramo. Se il campione fosse stato
prelevato da una pianta più adulta, forse Linneo non avrebbe scelto l' epite­
to specifico biloba.
Linne o pubblicò per la prima volta il nome Ginkgo biloba nel 1 77 1 , quasi
al termine della sua vita, nel volume Mantissa Plantarum Altera. Linneo, che
a quell'epoca versava in cattive condizioni di salute, in seguito pubblicò ben
poco e morì a Uppsala nel 1 778. 8
Gordon fu manifestamente una figura centrale nella propagazione del
ginkgo a partire dai primi, scarsi materiali a disposizione per la propaga­
zione, ma per quanto mi consta la documentazione tenuta da Gordon non
esiste più, perciò non abbiamo contezza di come abbia ottenuto le piante
o da dove provenissero. È possibile che sia stato in grado di ottenere delle
talee di uno dei pochi alberi coltivati all'epoca in Europa, grazie ai collega­
menti con i suoi ricchi amici e clienti. Sembra meno probabile che abbia
potuto ricevere i semi dal Giappone. Comunque, è anche possibile che ab­
bia ricevuto materiale dalla Cina, nel qual caso il collegamento può essere
stato rappresentato di nuovo da john Ellis.9
Oltre ai campioni d'erbario di Linneo, le collezioni custodite dalla Lin­
nean Society di Londra comprendono la sua vasta biblioteca personale.
Sulla copertina della copia posseduta da Linneo delle Amoenitatum Exotica­
rum di Kaempfer, vi è incollato un foglio singolo di carta con l'intestazione
«Commenti alle Amonitat. [sic!] di Kaempfer di john Bradby Blake Esq.
Canton 1 770».
john Brady Blake, un londinese nato in una famiglia di naviganti, nac­
que nel novembre 1 745 , figlio del Capitano John Blake che era al servizio
della British East India Company e che in seguito gestì una popolare ditta
per la fornitura di pesce fresco ai mercati londinesi. Blake figlio seguì il
padre quando questi era al servizio della British East India Company e sal­
pò per la prima volta verso la Cina nel 1 766, all'età di ventuno anni, come

s Il campione essiccato della pianta di Uppsala è registrato come Campione 1 292.2 nell' er­
bario linneano, custodito nelle camere blindate della Linnean Society di Londra, sotto Burlin­
gton House a Piccadilly.
9 Una possibile fonte del materiale vivo di ginkgo di Gordon è il verusto albero ancora in
vita all'Orto Botanico di Utrecht, che probabilmente vi era già coltivato.

- 176 -
27. RITORNO

commissario di bordo. Una volta, tornando a casa, portò con sé il ragazzo


cinese dipinto da Sir Joshua Reynolds. All a fine, la compagnia lo fece risie­
dere perlopiù in Cina.
A Canton, Blake si dedicò a un'ampia gamma di interessi scientifici.
Inviò in patria campioni del caolino e della pegmatite usati per fabbricare le
ceramiche cinesi. Nel libro di esperimenti di Josiah Wedgwood ci sono ri­
ferimenti ai "materiali di porcellana cinesi inviati dalla Cina dal Sig. Blake" .
Secondo gli scritti di Henry Laurens del l 773 ,
il Sig. Blake, grazie all 'aiuto del figlio che ri siede come commi ssario di bordo a
Canton, ha un'eccellente opportunità di introdurre da quel pae se molte co se che
po ssono diventare peculiarmente bene fiche per la Carol in a del Sud. Egli sembrò
molto ben di spo sto a fare tutto il bene po ssibile in que sto sen so , e soltanto ri­
chiede l'a ssi stenza di menti pari alla sua , sulla no stra sponda dell'Acqua . . . Diver si
artico li del Sig. Elli s sono stati ottenuti tramite il Sig. Blake.

Tramite Ellis e i suoi collaboratori, sono giunte nelle Americhe molte


piante . Per esempio, «il raffinato riso della Cocincina» fu distribuito ai col­
tivatori in Giamaica, Carolina del Sud e nei territori della odierna Repub­
blica Dominicana. Sembra probabile che Blake abbia inviato anche semi
vitali di ginkgo. 10
La nota scritta da Blake nell770, ora inserita nella copia delle Amo enita­
tum di Linneo, elenca varie informazioni relative a otto piante, indicate con
i corrispondenti numeri del libro di Kaempfer.
811
Ginkgo vel Gin -na pronuciato Maulon ging :hang
Pao =Zuo
dalle zone ver so nord - si coltiva nei giar dini
ma non fio ri sce a Canton le noci si mangiano in
vari modi : e sono portate giù in grande quantità
e ssiccate al fuoco per e ssere vendute a Canton. Nel procurar si i semi
si deve alludere particolarmente a que sto con siglio, come anche
per molti altri semi.

Sembra improbabile che le piante originali di ginkgo coltivate da james


Gordon nel suo vivaio a Mile End provengano da john Bradby Blake . Blake
non fu inviato a Canton fino al l 766, otto anni dopo che la lettera di Ellis
a Linneo dimostra che Gordon aveva già in coltivazione il ginkgo, ma non

IO Le intenzioni di Bradby Blake «di procurare i semi di rutti gli alberi, arbusti, radici,

frutti, fiori etc. etc. prodotti da quel grande impero e usati o per la promozione dei commerci
o perché sono utili all'uomo» sono descritte nelle lettere di Henry Laurens (ROGERS et al. 1 980).

- 1 77 -
PARTE V - STORIA

si può escludere che Gordon avesse ricevuto campioni vivi di ginkgo nella
decade del 1 750 da uno dei corrispondenti di Ellis, forse perfino dal padre di
Blake. Qualche anno dopo, Gordon e forse anche altri inglesi possono aver
ricevuto tramite Ellis dei ginkgo raccolti in Cina da Blake. Dopotutto, sap­
piamo che Blake era stato inviato con l'esplicito scopo di raccogliere piante
vive e la nota incollata sulla copia di Linneo del libro di Kaempfer ci forni­
sce la prova diretta che egli era ben attento ad assicurarsi che i semi fossero
vivi. Una nota a margine del resoconto sul ginkgo vergata da Loudon nel
suo Arboretum et Fruticetum Britannicum; or, The Trees and Shrubs of Britain,
conferma che Ellis riceveva semi: «Il seme, esaminato da Sir J.E. Smith su
campioni in suo possesso, inviati dalla Cina al Sig. Ellis, fu giudicato più
grande di un pistacchio ...».
Da quanto esposto, sembra probabile che anche l'enigmatico pezzo di
carta con le osservazioni di john Bradby Blake, incollato sulla copia di Lin­
neo del libro di Kaempfer, provenga dalla corrispondenza di Ellis, da lui
poi donata alla Linnean Society di Londra. La nota di Blake inoltre rende
plausibile che le prime piante di ginkgo coltivate in Europa derivassero da
diverse e distinte introduzioni da diverse fonti, sia cinesi sia giapponesi.
L'introduzione del ginkgo in Europa quasi certamente ebbe luogo più di
una volta e si estese su un lungo periodo di tempo. Indipendentemente
dalla certezza della fonte dei primi alberi di ginkgo coltivati in Europa, l'e­
videnza suggerisce che i ginkgo vivi fossero rari almeno fino alla fine della
decade del 1 750, ma ampiamente diffusi appena una o due decadi dopo.
È chiaro anche che James Gordon ha avuto un ruolo chiave nella pro­
pagazione e diffusione del ginkgo. Fu probabilmente lui a fornire il ginkgo
piantato nella Royal Estate a Kew, che è ora il prezioso Vecchio Leone.
Gordon coltivava i ginkgo nel vivaio di Mile End già nel 1 75 4. Inoltre pare
che un albero del Castello di Blaize, Henbury, nei pressi di Bristol, sia stato
piantato nel 1 762 e un altro a Whitfield, Warmbridge nell'Herefordshire,
nel 1 776. Il vivaio di Gordon può averli forniti tutti quanti.

- 1 78 -
Parte VI

Uso
Pagina precedente: un grande ginkgo maschio in un frutteto di basse femmine, vicino a
Sobue, Giappone, all'inizio della primavera.
28.

Giardini

n giardino suggerisce l'idea che potrebbe esserci


un posto dove possiamo incontrare la natura a
metà strada.
Michel Pollan, Second Nature. 1

Il ginkgo deve la sua rinascita in tempi storici non soltanto alla sua uti­
lità, ma anche a un imprecisato, irresistibile carisma biologico che ha fatto
presa sia nelle culture orientali, sia in quelle occidentali. In oriente, il gin­
kgo può aver completato la transizione dal bosco nativo al giardino quasi
per caso. Da lungo tempo i sacerdoti buddhisti e taoisti custodiscono at­
torno ai templi tratti di foresta con alberi vetusti. In particolare, la dottrina
buddhista cinese e giapponese insegna che il raggiungimento del nirvana,
lo stato di liberazione spirituale, è possibile per tutte le forme di vita, in­
cluso gli alberi. Forse, con le loro insolite foglie e i bizzarri chi-chi, i vetusti
ginkgo incarnavano un elemento della natura di Buddha. Adottato anche
dal confucianesimo e dallo scintoismo, il ginkgo fu diffusamente adorato
come simbolo di vitalità, longevità e resilienza. 2
Nel XVIII secolo, il ginkgo estese la sua distribuzione dai boschi, dai
templi e dalle coltivazioni d'oriente fino ai giardini botanici e alle grandi
tenute dell'occidente. Solo pochi decenni dopo la prima descrizione di Ka­
empfer, cominciarono ad arrivare in Europa dei ginkgo vivi, probabilmente
sotto forma di semi o forse plantule o talee. Il momento esatto di questo

l POLLAN 1 99 1 , p. 64.

2 Per altri dettagli sulla "ecologia buddhista", cfr. SWEARER 200 1 .

- 18 1 -
PARTE VI - USO

evento è incerto, ma le evidenze di molte differenti fonti concordano nel


circoscriverlo tra il 1 700 e il 1 750. Ciò implica che non vi sono ginkgo vivi
più vecchi di trecento anni al di fuori della Cina, del Giappone e della Corea.
Dati i forti legami stretti tra Olanda e Giappone a partire dall'inizio
del XVII secolo, è possibile che le prime introduzioni di ginkgo in Europa
siano avvenute nei Paesi Bassi. Due alberi, distanti tra loro poco più di 1 50
krn, competono per il titolo di ginkgo più vecchio fuori dall'Asia. Il più
grande è un vecchio esemplare femminile che si erge vicino alla chiesa di
Geetbets, in Belgio, nei pressi di Hasselt. Col tronco di un metro e mezzo
di diametro, è stato piantato verso il 1 730, secondo alcune fonti. Si ritiene
che sia stato portato in Belgio da missionari di ritorno dalla Cina. Sfortu­
natamente questa informazione non è corroborata da altre evidenze, ma a
giudicare solo dalle dimensioni si tratta di un'introduzione precoce, certa­
mente del XVIII secolo. Non è così certo che sia arrivato nel 1 730 e un'età
così avanzata sarebbe insolita per un esemplare femminile. La maggior
parte dei ginkgo di precoce introduzione in Europa sono di sesso maschile,
probabilmente propagati da talee prelevate dallo stesso esemplare origina­
le o da pochi; la prima documentazione della produzione di semi di ginkgo
in Europa è del 1 8 1 4. Un esemplare femminile piantato nel 1 730 avrebbe
dovuto raggiungere la maturità nella decade del 1 760 o 1 770.3
Lo sfidante dell'albero di Geetbets per il titolo di più vecchio dell' oc­
cidente è il grande, vecchio albero del De Oude Hortus, il vecchio Orto
botanico nei pressi del centro di Utrecht. Si tratta di un esemplare maschile
con un tronco di circa l , 2 m di diametro, circa 30 cm meno di quello di Ge­
etbets, ma tuttavia grande. Senza dubbio è uno dei più vecchi alberi di gin­
kgo d'Europa, ma anche in questo caso l'età è incerta. Non è menzionato
da Linneo, che si trovava in Olanda tra il 1 735 e il 1 73 8 , che ha visitato quasi
certamente l'Orto di Utrecht e aveva occhio per le piante insolite. Non
se ne fa menzione neppure nel catalogo dell'Orto di Utrecht del 1 747, né
nell'elenco di piante coltivate a Utrecht inviato nel 1 780 a André Thouin al
Jardin de Roi di Parigi. Comunque, verso la fine del XVIII secolo il ginkgo
di Utrecht era fiorente. Nel 1 787 il naturalista svizzero Frederich Ehrhart,
in visita all'Orto, fa menzione dell'albero, alto quasi quattro metri.4

3 Per ulteriori informazioni sui primi missionari gesuiti in Cina, cfr. Hs iA 2009. È possibile
che questo vecchio esemplare femminile sia passato inosservato perché, in assenza di maschi
nelle vicinanze, non erano prodotti se mi e non si sarebbe manifestato il sesso femminile. Il
primo esemplare femminile riconosciuto in Europa non produsse semi finché sue talee furono
innestate su esemplari maschili in altri giardini; cfr. LouooN 1 838.
4 Dopo la Rivoluzione francese, il Jardin du Roi divenne noto come Jardin des Plantes.
EHRHART 1 787 nota anche il ginkgo coltivato ai giardini reali di Herrenhausen ad Hannover,
Germania.

- 1 82 -
28. GIARDINI

Nel 1 83 8 John Loudon, che aveva dato conto del ginkgo nel suo esau­
riente saggio sugli alberi e arbusti coltivati nelle Isole britanniche, cita il
direttore dell'epoca dell'Orto botanico di Utrecht:
Il Professar Kops ci informa, con una lettera datata 7 di cembre 1835, che è
un albero ramifi cato e an cora continua a cres cere vigorosamente. Aggiunge che
quando su ccede tte alpre cedente dire ttore dell' Orto nel 18 16, si cal colò che la sua
età fosse compresa tra 70 e 80 anni; e quindi, che ora (1837) ne abbia 90 -100 e che,
se ciò fosse vero, debba essere stato piantato a Utre cht prima de lla sua introduzio­
ne in Ing hilterra. 5

L'interpretazione letterale colloca l'impianto di questo ginkgo tra la


metà della decade del 1 730 e la metà di quella del 1 740, ma la sua assenza
dal catalogo del 1 747 può suggerire che esso risalga alla decade del 1 750
o 1 760, più o meno al tempo in cui sappiamo che James Gordon aveva
già il ginkgo in coltivazione nel suo vivaio londinese. Forse questo ginkgo
arrivò a Utrecht con raffinate ceramiche, in una delle spedizioni annuali
olandesi da Deshima, ma è anche possibile che sia stato inviato da Gordon
da Londra. Qualunque sia il vero pedigree di questo albero, si tratta di un
monumento vivente ai primi contatti degli olandesi con il Giappone e di
un ricordo del ruolo fondamentale di entrambi i paesi nella introduzione di
piante nei giardini del mondo. 6
In Inghilterra, la tradizione popolare del giardino vuole che il ginkgo
più vecchio di Kew fosse parte di un gruppo scelto di cinque esemplari, i
cosiddetti Vecchi Leoni, introdotti dalla tenuta del terzo Duca di Argyll, che
possedeva vasti vivai a Whitton, non lontano lungo il Tamigi, presso Twick­
enham. Narrano i racconti che alla morte del Duca, avvenuta nel 1 76 1 , il
nipote John Stuart, terzo Earl di Bute, trasferì alcuni dei migliori alberi gio­
vani alla tenuta reale di Kew, trasportandoli lungo il Tamigi su una chiatta.7
La realtà è meno romantica. Tra i Vecchi Leoni, solo una robinia e un
platano hanno collegamenti documentati con la tenuta Argyll. È improba­
bile che il grande olmo giapponese, piantato nel 1 760, sia stato acquistato
dalla Principessa Augusta, poiché si trova oltre i confini dell'arboreto ori­
ginario. Uno degli altri, la sofora del Giappone, pare sia arrivato a Kew nel
1 760, fornito dal vivaio di James Gordon, che aveva introdotto l'albero in

5 La citazione è tratta da LouDON 1 838, che esamina anche altri ginkgo piantati precoce­
mente in Europa.
6 Per altre informazioni sull'introduzione di piante giapponesi nei giardini europei, cfr.
FARRER 200 1 e CRANE- SALTMARSH 2003 .
7 Lord Bute era in relazione con la Principessa Augusta, fondatrice dei giardini a Kew nel
1 759. Egli fu anche mentore e primo ministro ( 1 762 -1 763) del giovane Re Giorgio III.

- 1 83 -
PARTE VI - USO

Inghilterra nel 1 753. Dato che Gordon è stato una fonte precoce di ginkgo
in Europa, sembra probabile che sia stato anche il fornitore del ginkgo Vec­
chio Leone di Kew. Può darsi che sia la sofora del Giappone, sia il ginkgo
facessero parte della stessa partita di semi che Gordon aveva ricevuto dalla
Cina o dal Giappone in modo non precisato, forse tramite John Ellis. 8
In Europa, all'inizio della seconda metà del XVIII secolo, il ginkgo era
già in fase di propagazione tramite talee e passò di giardino in giardino.
Nel 1 785 fu piantato un ginkgo all'Orto botanico di Leiden, il più vecchio
d'Olanda. Nel 1 787 Giorgio Santi, direttore dell'Orto botanico dell'Univer­
sità di Pisa, ne fece piantare uno nel nuovo arboreto, che ancora oggi re­
siste, ad appena cinque minuti di cammino dalla Torre Pendente. Conrad
Loddiges, che gestiva un rinomato vivaio inglese specializzato in piante
esotiche, nel 1 78 1 fornì una pianta alla tenuta reale di Schonbrunn, appena
fuori Vienna, che può essere l'origine del vecchio albero maschile dell'Or­
to botanico viennese.9
Il ginkgo si fece strada verso la Francia per la prima volta sul finire
della decade del 1 770. Loudon cita l'impianto di un esemplare a Rouen nel
1 776. Nella traduzione di un resoconto scritto dal botanico Francese André
Thouin, egli dà conto tra le altre cose della eccentrica introduzione del
ginkgo nei giardini di Parigi, il che per inciso spiega l'origine dell'insolito
nome francese dell'albero, l'arbre aux quarante écus:
Nel 1780, un amatore parigino, di nome P étign y, fe ce un viaggio a Londra
allo s copo di vedere i più importanti giard ini; nel novero di quelli che visitò vi
era quello di un giardiniere commer ciale, che possedeva cinque giovani piante
di Ginkgo biloba, che era an cora una rarità in Inghilterra, e che il giardiniere so­
steneva di possedere in es clusiva. Le cinque piante erano state propagate da semi
ri cevuti dal Giappone e il loro prezzo era alto. Comunque, dopo un abbondante
déjeuné copiosamente annaffiato da vino, il giard iniere vendette al Sig. P étigny i
giovani alberi di gin kgo, coltivati ne llo stesso vaso, per 25ghinee. L'amatore pari­
gino pagò immediatamente e non perse tempo a portarsi appresso il suo prezioso
a cquisto. Il mattino su ccessivo, dissipati gli e ffetti del vino, il giardiniere inglese
cer cò il cliente e gli o ffri 25 ghinee per una de lle cinque piante vendute il giorno
prima. L'o fferta fu tuttavia ri fiutata dal Sig. P étign y, che portò le piante in Fran cia;
e poi ch é ognuna delle cinque gli era costata cir ca 120 fran chi, o quaranta corone
(quarante écus), questa fu l'origine del nome attribuito a questo albero in Fran cia,
'Tarbre a ux quarante écus "; e non per ch éera stato venduto originariamente a 120
fran chi per pianta. 1 0

s Per la discussione sulla provenienza dei Vecchi Leoni, cfr. FERGUSSON 2006.
9 Per ulteriori notizie sulle prime coltivazioni di ginkgo in Europa, cfr. LouooN 1 838.
I O Il ginkgo di Pétigny delJardin des Plantes di Parigi fu dapprima coltivato in vaso e posto

- 1 84 -
28. GIARD INI

Secondo André Thouin, quasi tutti i primi ginkgo francesi furono pro­
pagati da queste cinque piante, una delle quali fu data al jardin cles Plantes
di Parigi. Ci sono, comunqe, altre ben documentate introduzioni, ad esem­
pio il ginkgo inviato da Sir joseph Banks a Pierre Marie Auguste Brousso­
net nel 1 788, che probabilmente derivava dallo stock di Gordon. Brousso­
net dette la pianta a Antoine Goiian, che la piantò al Jardin cles Plantes di
Montpellier. 1 1
Verso la fine del XVIII secolo, la prima generazione di ginkgo piantati
in Europa cominciò ad acquisire la maturità sessuale; detto in vernaco­
lo orticolturale, essi cominciarono a "fiorire" , sebbene il ginkgo non ab­
bia niente di simile a un fiore nel comune senso del termine. Si ritiene
che il primo sia stato il Vecchio Leone di Kew, che produsse coni maschili
nel 1 795. Esemplari maschili "fiorirono" a Pisa nel 1 807 e a Montpellier e
Rouen nel 1 8 1 2. Quando, nel 1 8 14, fu finalmente identificato in Europa
un esemplare femminile, forse sessanta anni dopo la sua introduzione, la
notizia fece sensazione. 12
Il botanico Augustine Pyramus de Candolle, dell'Orto botanico di Gi­
nevra, fu il primo ad accorgersi dei rami riproduttivi femminili del gin­
kgo coltivato alla tenuta Bourdigny, alle porte di Ginevra, ma in assenza
di esemplari maschili i semi non si svilupparono. Comunque, le talee di
questo esemplare femminile furono inviate agli Orti botanici europei e in­
nestati su molti alberi maschili, compresi quelli coltivati a Strasburgo e a
Kew. I primi semi vitali prodotti in Europa si svilupparono nel 1 835 su un
esemplare maschile dell'Orto botanico di Montpellier che era stato «rico­
perto . . . di innesti». 13
Il ginkgo fece il balzo attraverso l'Atlantico verso il Nuovo Mondo con
l'aiuto di William Hamilton, un ricco botanico, collezionista di piante e ar-

a svernare in serra. Nel 1 792 fu piantato in piena aria da André Thouin, ma la sua crescita era
stentata. Fu piantato in seguito un altro ginkgo, ottenuto tramite vernalizzazione di una delle
altre quattro plantule di Pétigny. La storia dell'arbre aux quarante écus proviene da LouooN 1 838.
1 1 Questi scambi di piante sono citati da Lou ooN 1 838 e Wn.soN 1 920, p. 56.
1 2 LOUDON 1 838.
1 3 I dettagli del primo ginkgo che ha prodotto semi in Europa sono forniti da LouDON
1 83 8 e WILSON 1 9 1 9, p. 1 47. Pare che l'esemplare femminile sia stato portato alla tenuta Bour­
digny nel 1 790, da un collezionista inglese di piante, di nome Blakie, che vi aveva soggiornato
nel 1 776, durante una campagna di raccolta di piante nelle Alpi. Successivamente egli fece
frequenti invii delle piante in surplus delle sue coltivazioni al proprietario di Bourdigny. il Sig.
Paul Gaussen de Chapeau-Rouge. Il ginkgo faceva parte di una collezione di alberi e arbusti
che Blakie allevava a Monceau per conto del Duca di Orleans e fu probabilmente propagato da
materiale importato dall'Inghilterra. Non si ha certezza del modo in cui il ginkgo ottenuto da
Blakie fosse arrivato in Inghilterra (LouooN 1 838).

- 1 85 -
PARTE VI - USO

chitetto del paesaggio della fine del XVIII secolo. Ispirato da un anno tra­
scorso in Inghilterra, Hamilton scrisse a Thomas Parke il 24 settembre 1 785:
La verdura inglese è la sua più grande bellezza e i miei tentativi non trala ­
s ceranno di darne parvenza a Woodlands . . . Avendo osservato con attenzione la
natura, la varietà e la quantità delle piantagioni di arbusti, alberi e frutti e avendoli
conseg uentemente ammirati, io tenterò . . . di farla sorridere nella stessa utile e
bella maniera . 1 4

Il risultato del suo impegno fu l'Hamilton Woodlands, una tenuta rura­


le sul fiume Schuylkill a sud di Philadelphia, uno dei primi giardini ameri­
cani di paesaggio progettati nello stile "naturale" delle tenute inglesi dell'e­
poca. I boschi di alberi nativi ed esotici erano disposti tra sentieri, ruscelli
serpeggianti e prati tenuti con la massima cura. Possiamo essere grati a
Hamilton per l'introduzione in Nordamerica di molti alberi familiari: l'ele­
gante pioppo nero, il resistente acero riccio e, meno felicemente, l'invasivo
ailanto. Inoltre nel 1 784 Hamilton mise a dimora il primo ginkgo sul suolo
nordamericano dopo diversi milioni di anni di assenza di questa specie.
All'avvicinarsi dell'inverno del 1 785, il 2 novembre, un Hamilton piut­
tosto ansioso scrisse al suo segretario personale:
Metta le piante tènere a l riparo dai rigori del clima, a ltrimenti tutte le mie
pene non saranno servite a niente. I cisti, le eri che, gli eleagni , i ginkgo, gli allori,
le tameri ci, le Yucca gloriosa, l'albero dei rosari, Zanthoxylon sem.pervirens et c. , do­
vrebbero essere protetti con s chermi di paglia o altri mezzi, ma in nessun modo si
deve porre letame su lle loro radi ci, per ch é li u cciderà inevitabilmente. 1 5

Il ginkgo di Hamilton fu uno dei cinque ricevuti in dono da Peter Colliri­


san, scienziato e giardiniere inglese e membro della Royal Society. Tramite
la rete di conoscenze di Hamilton, le giovani piante di ginkgo arrivarono
nei giardini di alcuni tra i primi eminenti botanici americani. Ne dette una
al suo vicino e cugino, il famoso naturalista - tra i primi in America -John
Bartram, che era anche un corrispondente e amico di Collinson. Questo
esemplare maschile, ancora vivo nel giardino di Bartram a pochi km dalla
tenuta di Woodlands, è attualmente il più vecchio ginkgo del Nordamerica.
Un'altra delle talee di Hamilton andò al botanico e medico David Hosack.
È probabilmente questa la fonte originale del grande ginkgo della tenuta
Vanderbilt Mansion di Hyde Park, acquistata da Hosack nel 1 828 .16

14 L'ammirazione di Hamilton per i boschi inglesi è citata da MADSEN 1 989, p. 14.


15 Per la corrispondenza di Hamilton con il suo segretario, cfr. SMITH 1 905, p. 1 44 .
16 All'ultima misurazione del 1 98 1 , il ginkgo di Hamilton era alto quasi 2 1 m (DEL TRE­
DICI 1 98 1 , p. 1 55). Fu abbattuto a metà della decade del 1 980, insieme a un vicino esemplare

- 1 86 -
28. GIARD INI

Nel giro di pochi anni dall'arrivo del ginkgo negli Stati Uniti nord-o­
rientali, André Michaux, diplomatico e botanico al servizio del Re di Fran­
cia, introdusse l'albero anche nella parte meridionale degli Stati Uniti. Nel
1 787, dopo un primo tentativo di costituire un Orto botanico nel New jer­
sey, dove il clima si rivelò troppo rigido, Michaux si trasferì a Charleston,
nella Carolina del Sud, dove sviluppò un giardino che fu poi noto come
l'Orto botanico francese. Il clima gradevole di Charleston gli permise di
coltivare a curare le sue piante tutto l'anno e fu qui che egli introdusse in
America molte specie del vecchio mondo, come la mimosa o acacia di Co­
stantinopoli, la lagerstroemia e la camelia, e ne piantò molte altre, incluso
il ginkgo. Il giardino fu abbandonato allo scoppio della Rivoluzione france­
se, ma il figlio François, che vi ritornò nel 1 802, annotò:
Trovai in questo giardino una superba collezione di alberi e piante che erano
sopra vvissute in stato di quasi totale abbandono . . . al cune delle quali in pieno ri­
goglio. Notai prin cipalmente due Ginkgo biloba, piantati cir ca sette anni prima, che
superavano l'altezza di die ci metri. 17

Oltre agli interessi verso i giardini e le piante esotiche, i primi colti­


vatori di ginkgo negli Stati Uniti condividevano un'altra caratteristica: il
prestigio politico. André Michaux entrò nei circoli di Thomas Jefferson,
Benjamin Frank.lin e George Washington. john Bartram, con Frank.lin, fu
tra i co-fondatori della American Philosophical Society, nel 1 743 . Peter Col­
linson ebbe frequenti scambi di lettere con Frank.lin riguardo all'elettricità
e altri argomenti e sostenne l' American Philosophical Society con dona­
zioni di libri. David Hosack fu il fondatore e primo presidente della New
York Horticultural Society, la prima organizzazione americana di orticol­
tura, della quale erano membri onorari john Adams, Thomas jefferson e
James Madison. Il 4 luglio 1 788 l'accettazione ufficiale della Costituzione
degli Stati Uniti fu celebrata con una parata che culminò con il picnic di
diciassettemila cittadini della giovane nazione nella tenuta di Woodlands. 18

femminile di analoga qualità, dopo che il cane del custode si sentì male per essersi rimpinzato
di semi di ginkgo (MADSEN 1 989, p. 23). La data esatta di impianto del ginkgo nella tenuta Van­
derbilt Mansion non è nota, ma viene collocata tra il 1 799 e il 1 835 da Hosack o dal Dr. Samuel
Bard (Dave Hayes, Roosevelt-Vanderbilt National Historic Sites, comunicazione personale).
1 7 COTHRAN 1 995 tratta il giardino di Michaux a Charleston. François Michaux pubblicò
un resoconto dei suoi viaggi nel 1 805, col titolo Michaux's Travels to the West of the Alleghany
Mountains.
18 HAWKE - RusH 1971 descrivono la parata celebrativa della ratificazione della costitu­
zione. Per ulteriori notizie sugli interessi orticolturali dei padri fondatori degli Stati Uniti, cfr.
WULF 201 1 .

- 1 87 -
PARTE VI - USO

Dati i rapporti personali di alcuni dei primi coltivatori di ginkgo degli


Stati Uniti, non sorprende il ruolo che un altro eminente politico, Henry
Clay, ha probabilmente avuto nelle prime coltivazioni di ginkgo negli Stati
del Sud. Diversi maestosi ginkgo, che oggi crescono in Kentucky, sono ar­
rivati a Washington dal Giappone come plantule e - secondo alcune voci ­
inviate in seguito nel Kentucky da Clay. I tentativi di documentare questo
collegamento sono stati finora infruttuosi, ma un gruppo di grandi ginkgo
di prima introduzione sopravvivono nella ex tenuta Clay e danno il nome
al Ginkgo Tree Cafe della tenuta. Due simili alberi crescono anche nella
proprietà dell'ex Istituto Militare del Kentucky. Anche i grandi e stupendi
ginkgo del cimitero di Cave Hill a Louisville, già fattoria Cave Hill , sembra­
no di età equivalente e forse sono anch'essi collegati a Henry Clay. 19
Che i ginkgo dell'Istituto Militare del Kentucky provengano o meno
da Henry Clay, essi sono comunque significativi in quanto furono i primi a
produrre semi negli Stati Uniti. I vivai avevano distribuito talee di ginkgo
a partire dal 1 8 1 0, ma la abbondante disponibilità di semi permise una più
ampia coltivazione del ginkgo. L'Arno ld Arboretum di Harvard ricevette i
semi dal Kentucky il 7 gennaio 1 878. Nel 1 890 William R. Smith, curatore
dell'Orto botanico degli Stati Uniti a Washington, riportò che l'esemplare
femmina del Kentucky era la "principale fonte per la fornitura" di semi di
ginkgo dell'Orto: «Fino a poco tempo fa il ginkgo era un albero molto raro
e i vivaisti richiedevano a: per un esemplare. La prima ambasciata giappo­
nese portò qui alcuni semi e li donò all'Orto botanico; gli alberi propagati
da quei semi portano semi a loro volta».20
Alla fine del XIX secolo, il ginkgo era ben stabilito nei principali Orti
botanici degli Stati Uniti. Il Missouri Botanica! Garden fu fondato nel 1 859
da Henry Shaw, mercante inglese di Sheffield; egli piantò diversi ginkgo,
ora grandi alberi, nel suo magnifico giardino. Il New York Botanica! Gar­
den, fondato nel 1 8 9 1 nel Bronx a New York, vanta grandi vecchi ginkgo
che crescono vicino alla stazione dell'Orto botanico, una volta inclusa nella
proprietà del giardino. Il più grande, piantato nel 1 898, è alto 23 ,5 m e la
sua chioma si estende per 1 7 m. I documenti del giardino indicano che
nella decade del 1 890 il ginkgo si poteva reperire facilmente nei vivai come
piccolo albero.

1 9 Si ritiene che Clay abbi a acquisito i ginkgo come plantule, inviate dal Giappone a Wa­
shington, D.C . ; cfr. CLAXTON 1 940. I ginkgo dell a sua tenuta (Ashland a Lexington, Kentucky)
furono pi antati approssimativamente al tempo della Guerra Civile; cfr. AsHLAND 20 12.
z o Cfr. FALCONER 1 890 per la citazione di Smith. L'articolo fu pubblic ato da The Garden,

una pubblicazione inglese, il che spiega l'indicazione del costo in sterline britanniche. Per m ag­
giori dettagli sui ginkgo dell'Istituto Militare del Kentucky, cfr. FALCONER 1 890 e DEL TRED ICI
1 98 1 , p. 1 57.

- 1 88 -
28 . GIARDINI

Un'ulteriore ondata di entusiasmo per l'impianto di ginkgo seguì all'ec­


citazione riguardo il suo significato evolutivo, risultante dalla scoperta di
Hirase del l 896. Come icona delle scienze botaniche di fine secolo, fu pian­
tato in molti campus universitari. Risale a questo periodo l'elegante vec­
chio ginkgo della Università della California, a Berkeley, piantato vicino
alla Giannini Hall; è uno degli alberi più amati del campus. Il suo sfoggio
di rari colori autunnali tra i dominanti sempreverdi della California ha ispi­
rato i componimenti poetici dei professori che lo vedono dai propri uffici.
Al campus del City College della City University di New York, uno dei
college a maggiore diversità etnica dell'America, gli studenti si lamentano
in più di novanta lingue dei semi maleodoranti di numerosi vecchi ginkgo.
Alla Cambridge University, un ginkgo dall'insolito portamento a spalliera,
meticolosamente curato, riveste il lato meridionale dell'edificio di biologia
vegetale nel sito di Downing Street. 21
Il grande esemplare femminile che sorge accanto al Botany Pond all'U­
niversità di Chicago fu piantato quasi alla fondazione dell'Università ed è
impresso nella memoria di migliaia di studenti e personale dell'Università.
Recentemente, una scherzosa competizione di ex allievi dell'Università di
Chicago per il miglior haiku ha ricevuto molti contributi che riguardano il
Botany Pond e il ginkgo che lo sovrasta. Questo era uno dei migliori:
Frusciante ginkgo dorato,
languide koi sotto nuotano in cerchio
nel Botany Pond. 22

Come il significato del ginkgo è cambiato nei giardini del mondo, così
è stato per la pianta stessa. In natura, le nuove varianti che derivano da mu­
tazioni o insolite combinazioni genetiche sono rapidamente eliminate dalla
selezione naturale. Comunque, tali novità - per esempio, un portamento
insolito o foglie strane - sono agevolmente mantenute nei giardini, per
mezzo di talee o innesti. In questo modo, è emersa la sorprendente diver­
sità del pool genico delle poche popolazioni native di ginkgo sopravvissute
in Cina fino a tempi storici. Oggi sono documentate oltre 220 differenti va­
rietà coltivate, e di esse almeno 28 sono distinte in base a dettagli dei semF3

21 Patricia Colleran, che ha lavorato alla Giannini Hall nel campus di Berkeley, vinse il
primo premio in un concorso fotografico e letterario con un poema dedicato all'albero, che si
trova online: cfr. KELL 2005.
22 L'haiku sul ginkgo di Sem Sutter fu pubblicato dall'<<University of Chicago Magazine>>,
30 aprile 2007.
2 3 SANTAMOUR et al. 1 983b elencano ottanta varietà orticole di ginkgo, ma BEGOVIé BEGO
20 1 1 ne cita almeno 220. Per un elenco di cultivar di ginkgo ordinato in base a dimensione e
forma dei semi, cfr. SANTAMOUR et al. 1 983b, p. 9 1 .

- 18 9 -
PARTE VI - USO

Un giardiniere paesaggista raccomandò la cultivar Princeton Sentry per


il ristretto spazio del nostro giardino anteriore a Oak Park. Anche varietà
quali Mayfield e Tremonia, alte e slanciate, possono essere fatte rientrare in
spazi stretti. Le varietà Golden Globe e Globosa hanno la chioma rotonda
e piena come quella di un melo. La Fastigiata, dalla forma piramidale, ri­
corda vagamente un albero di Natale, mentre le varietà Pendula, Umbrella
e Horizontalis si spandono e piangono come i salici e gli aceri giapponesi.
La Mariken e la Troll, dense, basse e a portamento arbustivo, hanno ben
poca somiglianza con un albero. Sono molto ricercate anche cultivar dalle
foglie insolite. La Saratoga, che prende il nome dalla Saratoga Horticultu­
ral Research Foundation in California, dove la varietà è stata sviluppata,
ha foglie pendenti triangolari con margine sfilacciato come una palma o
come una coda di pesce. La Variegata ha straordinarie foglie variegate con
bande bianche. Le foglie della Tubifolia sono quasi completamente fuse a
formare imbuti a trombetta.
Anche i bonsai di ginkgo sono molto richiesti. Hanno gli stessi spet­
tacolari colori autunnali e la improvvisa perdita di foglie dei ginkgo di di­
mensioni normali e per questo motivo sono molto apprezzati. Ancor più
desiderati sono i bonsai di chi-chi di ginkgo, la cui vita ha inizio come talea
prelevata dai chi-chi legnosi discendenti di vecchi ginkgo. Piantati a rove­
scio, i bonsai di chi-chi assumono una insolita forma conica: la stalattite
diventa la stalagmite, ma con radici e rami sporgenti. Poiché ci sono pochi
ginkgo, fuori dall'Asia, abbastanza vecchi da produrre chi-chi, questi bon­
sai particolarmente strani sono disponibili in occidente solo importati e a
caro prezzo. 24

24 La pratica giapponese dei bonsai fu inizialmente posta all'attenzione dell'occidente


da Engelbert Kaempfer, cui si deve la,prima descrizione del ginkgo da parte di un botanico
occidentale.

- 19 0 -
29.

Semi

Dolce noce ha scorza asprigna.


William Shakespeare, As you like it. 1

Molto prima di diventare popolare nei giardini o come integratore che


migliora la memoria, il ginkgo era apprezzato per i suoi semi commestibili,
detti noci. Con una "carne" bianca polposa, in parte cremosa, in parte ce­
rosa non molto più grande di una nocciolina, la noce di ginkgo ha un gusto
variamente descritto come simile a "formaggio svizzero dolce" , "pinoli" ,
"patate incrociate con castagne dolci" , "piselli verdi incrociati con formag­
gio Lirnburger" , o semplicemente "che sa di pesce" . Oggi, nonostante il
loro sapore enigmatico, le noci di ginkgo sono comuni nelle cucine cinesi,
giapponesi e coreane e possono essere comprate praticamente in qualunque
luo&o del mondo dove ci siano insediamenti di immigrati di quelle nazioni. 2
E possibile che le noci di ginkgo siano state raccolte su alberi spontanei
per migliaia di anni . Tuttavia, i primi resoconti scritti riguardo al ginkgo e
alla sua utilità come albero da noci risalgono a tempi recenti. Durante la
dinastia Song, all'inizio dell'XI secolo, quando il poeta e storico Ouyiang
Hsiu donò le noci di ginkgo all'amico Mei Yao-Chen, furono profetiche le
sue parole sul probabile sviluppo del rapporto tra uomini e ginkgo:
Nel passato Chang Chien (II secolo a.C.) introdusse l'uva e il melagrana
(dall'Asia centrale). Possiamo immaginare che al loro arrivo queste piante siano

1 SHAKESPEARE 1 623a, atto III, scena 2.


2 Per i botanici, la cosiddetta noce di ginkgo è rigorosamente un seme e non si deve con­
fondere con le vere noci (frutti indeiscenti a singolo seme) dei mandorli, nocciòli e di molte
altre piante a fiore.

- 191 -
PARTE VI - USO

state altamente apprezzate, al pari di queste noci. Ma ora esse sono comuni in
tutta la Cina, crescono lungo le recinzioni e i muri. Le cose in sé sono ancora le
stesse, ma nel tempo cambia la natura umana. Qualcuno dovrebbe registrare l'i­
nizio affinché le generazioni future possano conoscerne l'origine. Perciò, questo
non è soltanto la continuazione dei tuoi versi ma anche un contributo alla storia. 3

Chun Chu Chi Wen, un'altra fonte antica, descrive quattro grandi alberi
a Kaifeng, l'antica capitale della Cina nella parte orientale della Provincia
di Henan, che ogni anno producevano quattro staia di noci di ginkgo. Un
esemplare femminile di ginkgo di grandi dimensioni può produrre enormi
quantità di semi e tanta abbondanza può avere inizialmente attratto l'at­
tenzione delle persone. Peter Del Tredici rammenta un albero, alto oltre
trenta metri, nel villaggio di Yang Tang, Provincia di Zhejiang in Cina, che
in una sola stagione produsse oltre tre quintali e mezzo di noci sgusciate.
Oggi, la produzione di noci di ginkgo è concentrata nei "frutteti" di gin­
kgo, dove gli alberi sono molto più piccoli. In Cina la produzione riguar­
da oltre venti province e città. Si stima che in Cina possono esserci fino a
800.000 alberi, che producono in media fino a settemila tonnellate annue
di noci essiccate.4
La raccolta di noci a scopo alimentare è una caratteristica che abbiamo
ereditato dai nostri ancestori non-umani. Le noci danno proteine, carboi­
drati, vitamine e minerali. I gusci duri, nelle mani di un primate intelligen­
te, ne rendono facile la conservazione e il trasporto. Alcuni dei primi uten­
sili dell'uomo sono forse serviti per sgusciare le noci. Allo stesso tempo,
sia consciamente, sia involontariamente gli uomini hanno diffuso le piante
da noci in tutti i luoghi da essi raggiunti. Il Vecchio Testamento ci dice che
i fratelli di Giuseppe portarono i pistacchi in Egitto. Pare che l'espansione
delle foreste di faggio in Spagna settentrionale dopo l'ultima glaciazione
abbia seguito gli insediamenti umani e l'uso delle noci di faggio nell'alleva­
mento degli animali domestici. È possibile che i nativi americani abbiano
usato il fuoco per mantenere e incrementare le popolazioni di importanti
alberi da noci quali castagni, noci pecan e querce e dopo i primi incontri
europei col Nuovo Mondo, le noccioline furono presto istradate verso la
Cina, che attualmente è il maggior produttore del mondo di arachidi. Il
ginkgo è solo una delle storie di successo tra le molte simbiosi tra noci
e uomini.

3 La citazione di Oujiang Hsiu si trova in LI 1 963 .


4 Il Chun Chu Chi Wen, dell'epoca della dinastia Song, è citato da FosTER - CHONGXI 1 992.
DEL TREDICI 1991 commenta la produzione di noci di un singolo grande ginkgo. La produzio­
ne stimata di noci essiccate in Cina è tratta da HE et al. 1 997.

- 1 92 -
29. SEMI

In termini strettamente botanici, una noce è un frutto con una parete


interna dura che circonda un singolo seme. Questa definizione non si può
applicare al ginkgo. Il ginkgo è differente: il guscio duro fa parte del seme
anziché della parete del frutto. Comunque, la funzione della "carne" dei
semi di ginkgo e delle vere noci di altre piante è la stessa: alimentare la
pianta embrionale. Riccamente provvista di carboidrati, grassi e protei­
ne, la "carne" aiuta a sostenere lo sviluppo della plantula finché diventa
autosufficiente. Le noci di ginkgo sono ricche di amido e proteine, ma
povere di grassi. In confronto con i pinoli, ad esempio, le noci di ginkgo
contengono circa un ventesimo dei grassi e un terzo delle calorie. Inoltre
contengono il 6% circa di saccarosio, che può spiegare la tenue dolcezza
del loro sapore.5
Uno dei nomi cinesi del ginkgo è kung sun shu, che significa "albero
nonno-nipote" . Questo nome allude alla pazienza necessaria per coltivare
il ginkgo da seme: l'albero che piantate oggi produrrà le noci al tempo
dei vostri nipoti. Comunque, il tempo che passa da seme a seme è di soli­
to molto inferiore, generalmente 20-30 anni. Ciò nonostante, i coltivatori
commerciali non sono disposti ad aspettare. L'innesto porta gli alberi in
produzione molto prima, spesso dopo soli dieci anni, e offre il vantaggio di
poter selezionare le marze degli alberi che producono noci grandi.
La maggior parte delle noci consumate in Cina, Giappone e Corea si
ricava da frutteti commerciali spesso gestiti da piccoli produttori, con me­
todi che non sono cambiati molto nei secoli. In Giappone, l'area circostan­
te Sobue, a ovest di Nagoya in Honshu centrale, è una delle tradizionali
regioni di produzione di noci di ginkgo. Vi andai in visita nel 2007, in un
luminoso e freddo giorno di inizio primavera. Il terreno attorno a Sobue
è pianeggiante, basso e spesso bagnato sotto i piedi. Vi sono case sparse,
campi di riso, piccole fattorie e, ovunque, alberi di ginkgo.
La vita di un albero di ginkgo nei frutteti intorno a Sobue ha inizio
con un portainnesto di tre o quattro anni propagato da seme, sul quale si
innestano diverse marze di esemplari femminili, di solito in marzo o apri­
le, appena prima della comparsa delle foglie . Un utile effetto collaterale
dell'innesto è che quando i rami dell'albero madre sono innestati sul selva­
tico, essi tendono a "ricordare" come crescevano e continuano a crescere
più o meno orizzontali. Hanno apparentemente perduto l'ambizione di
produrre la forte crescita verticale di un normale albero di ginkgo.

5 La parte commestibile della noce di ginkgo ha un contenuto di amido pari al 68%, un


bassissimo contenuto di grassi (3%) e un contenuto calorico di appena 207 calorie per 100g. Per
altre notizie sul valore nutritivo delle noci, cfr. DuKE 1 989 e Krus-ETHERTON et al. 1 999.

- 1 93 -
PARTE VI - USO

Questo fenomeno, il cosiddetto effetto topofitico, è ben noto agli orti­


coltoci ed è stato sfruttato in alcune specie di conifere per produrre le for­
me basse e prostrate utili ai giardinieri. In ginkgo, esso accentua la usuale
forma appuntita dei giovani alberi e produce una forma caratteristica dei
frutteti di ginkgo: si tratta di alberi piccoli con rami bassi e allargati. Alberi
di questa forma non sarebbero molto adatti lungo strette vie con poco spa­
zio a disposizione, ma in un frutteto rendono più facile la raccolta dei semi.
Persino i più grandi frutteti di Sobue consistono di appena poche cen­
tinaia di alberi e la maggior parte dei semi è prodotta da piccoli produttori
che allevano poche decine di alberi in modesti appezzamenti vicino casa.
Gli alberi di un frutteto sono regolarmente potati e mantenuti in forma ob­
bligata. Per lo più non superano l'altezza di 9- 1 3 m e hanno una chioma di
rami puntuti che parte dall'estremità del tronco, a 2,5-4,5 m dal suolo. Ogni
albero è curato con somma attenzione e spesso poggia su un piccolo cu­
mulo di fertilizzante e suolo coperto da un tappeto di paglia per mantenere
il fertilizzante all'interno, ridurre le infestanti e mantenere umide le radici.
Su grande o piccola scala, l'obiettivo della produzione di noci di ginkgo
è lo stesso: ottenere buone rese dalle noci più grandi che spuntano i prezzi
migliori. In Cina e in Giappone, gli esemplari femminili che producono
semi più grandi del normale sono molto preziosi e spesso lasciati crescere
per raggiungere le grandi dimensioni loro proprie. La selezione di alberi
con noci più grandi ha prodotto, in diversi secoli, un modesto aumento di
dimensioni. Le noci della varietà cinese King of Donting Mountain sono
tipicamente lunghe poco più di 2,5 cm, mentre quelle di una normale fem­
mina di ginkgo raggiungono i 2 l 3 di questa lunghezza. Molte cultivar si
distinguono in base alla dimensione e forma delle noci. 6
Le noci cominciano a maturare sugli alberi in agosto e possono essere
raccolte a mano. Di solito, tuttavia, sono lasciate più a lungo per riempirsi
del tutto, per lasciare al guscio più tempo per indurirsi e per ridurre il rischio
di danneggiarle nella fase della raccolta. Il tempismo è critico; le noci non
possono essere lasciate sull'albero per troppo tempo: devono essere raccol­
te prima che il giovane embrione, al loro interno, diventi troppo grande.
Nella lavorazione tradizionale, i semi, dopo la raccolta, vengono se­
polti per favorire la decomposizione della maleodorante polpa, poi esu­
mati, lavati, asciugati al sole e preparati per la vendita. In alternativa i semi

6 La classificazione originale delle noci di ginkgo (TSEN 1935) distingueva tre varietà: quel­
la normale, detta typica, che comprende il gruppo Meihe-Ymxing o ginkgo a forma di nòcciolo
di prugna, con semi sferici; la huana, o ginkgo "dalle dita di limone" , con semi ellittici o oblun­
ghi; e la apiculata, i ginkgo Maling Ymxing o "a forma di ventre di cavallo" , con una piccola
punta all'apice dei semi.

- 1 94 -
29. S E M I

sono collocati in secchi pieni d'acqua, dove la polpa viene fatta decomporre
in parte finché si può rimuovere, cambiando l'acqua varie volte, fino alla
completa asportazione. Comunque, i coltivatori desiderosi di essere pagati
più velocemente usano sistemi ancor più diretti. Nelle campagne attorno
a Sobue, i semi vengono caricati in piccoli tini e rimestati con grandi lame
elicoidali, che disgregano e rimuovono il rivestimento carnoso del seme.
La polpa putrida è quindi lavata via con acqua, che forma una poltiglia
maleodorante e nauseabonda. La decorticazione attiva richiede estrema
attenzione per evitare danni ai gusci e spruzzi di succhi nocivi.
Quando la polpa è finalmente rimossa e il guscio esposto, le noci sono
smistate per calibro, velocemente essiccate al sole e il giorno dopo sono
inviate agli imballatori e ai distributori. Le noci non si possono conservare.
Spesso si toglie il guscio e si confeziona la "carne" sotto vuoto prima di
inviarle ai negozi. In modo più consono alla tradizione, le noci di ginkgo
sono essiccate in aria per una o due settimane, mantenute in luogo fresco
e spedite al mercato, talvolta dopo tostatura. 7
Ogni autunno, anche le famiglie asiatiche residenti in occidente fanno
la raccolta annuale di ginkgo, nelle strade e nei parchi da Montreal a San
Francisco. A New York, la proprietaria di una casa ad Harlem parla di una
nuova, sgradita tradizione: vedere, al risveglio nei mattini di inizio novem­
bre, persone arrampicate sullo smunto ginkgo di fronte a casa che tirano
giù i semi con lunghi bastoni. Altri residenti incontrano i raccoglitori di
semi sotto i vecchi ginkgo che adornano il confine settentrionale di Centrai
Park. Questi semi di città per lo più vanno a finire sui tavoli da pranzo della
zona anziché nei mercati di Chinatown.
Recentemente è apparso, a questi raccolti autunnali, un nuovo gruppo
di raccoglitori di ginkgo. In omaggio a un ethos che prevede di cibarsi di
prodotti locali e stagionali, questi incuriositi consumatori urbani sono in
cerca di nuove esperienze e narrano le loro imprese in riviste, blog ali­
mentari e alle loro cene. Sara Crosby, che scrive per la rivista «Gourmet»,
è andata porta a porta tra i ristoranti di Chinatown con una puzzolente
borsa piena di semi di ginkgo non puliti, a chiedere suggerimenti su come
cucinarli. Dopo che vari tentativi di bollitura, salatura e tostatura avevano
tutti prodotto uno snack troppo amaro per essere accettabile, il suo istinto
meridionale prese il sopravvento e la spinse a friggerli: come molte cose,
anche i semi di ginkgo suono buoni fritti. I cuochi più curiosi, riluttanti a
immergersi nella putrida polpa per provare un'esperienza completa, han-

7 Il giovane embrione, in sviluppo ali" interno del seme, ha un gusto amaro e talvolta vie­
ne rimosso facendo leva con uno stuzzicadenti.

- 1 95 -
PARTE VI - USO

no comunque la possibilità di visitare la Chinatown del luogo. Mezzo chilo


di polposi bai guo venduti a peso, sbiancati e color panna, o un pacchetto
sotto vuoto di "semen ginkgo" cucinati e sgusciati, si può avere per meno
di due dollari. 8
L'interesse verso le noci di ginkgo si è imperniato principalmente sul
loro valore alimentare, ma esse sono state usate anche per pratiche rituali
e in medicina. In Cina, nel XVI secolo, le noci erano usate spesso ai matri­
moni e alle feste, a volte tinte di rosso e in luogo di semi del fior di loto.
Nella medicina tradizionale cinese, si usano le noci di ginkgo non lavorate
per «mandare giù i chi che salgono in modo sfavorevole, eliminare sostanze
tossiche e distruggere i parassiti». Generalmente, comunque, non è con­
sigliabile mangiare le noci crude. Esse contengono delle tossine che sono
parzialmente degradate dal calore, perciò le noci di ginkgo di solito si man­
giano solo previa cottura. Anche in questo caso, non si devono mangiare
in quantità, come se fossero mandorle o noccioline. Quando sono cotte nel
guscio, ne emergono con una sfumatura gialla, una consistenza cerosa e
un gusto lievemente amaro.9
Come notò Engelbert Kaempfer nella Storia del Giappone, le noci di
ginkgo sono state usate in Giappone anche per produrre olio. Forse anche
in Cina sono state usate per questo stesso scopo. In passato, gli oli vegetali
erano una seria alternativa ai grassi animali per l'illuminazione e la cottura
e questo utilizzo può aver incoraggiato un'ampia diffusione della coltiva­
zione di ginkgo. L'uso moderno di oli minerali e l'introduzione di gas e
elettricità per cuocere i cibi e illuminare hanno messo da parte l'uso del
ginkgo per questi compiti domestici. Ciò nonostante, è ancora possibile
ottenere facilmente un lungo elenco di oli commestibili da frutti a guscio
quali mandorle, anacardi, nocciole, noccioline, pinoli e noci propriamente
dette, che si prestano a svariati usi culinari, manifatturieri e medicinali.
L'assenza dell'olio di ginkgo da questo novero suggerisce che fosse usato,
al tempo di Kaempfer, principalmente per scopi non culinari. 1 0
Gli usi culinari delle noci di ginkgo nelle cucine asiatiche variano in
funzione della regione e delle occasioni; le noci possono comparire in piat­
ti salati e in dessert, in banchetti formali e nelle vivande di tutti i giorni. In

s Cfr. CROSBY 2008.


9 Gli usi medicinali delle noci di ginkgo crude compaiono nel Bencao Gangmu, o Com­
pendio di Materia Medica, scritto da Li Shizhen ( 1 5 1 8- 1 593) durante la dinastia Ming; cfr. an­
che HoRI HoRI 1997 e FoSTER - CHONGXI 1 992, p. 256. YoSHIMURA et al. 2006 danno un reso­
-

conto del contenuto di ginkgotossine in semi crudi e cotti.


IO Molte noci e semi tradizionalmente usati per produrre oli stanno raggiungendo i mer­

cati di specialità gastronomiche, ma il ginkgo, finora, non è tra essi.

- 1 96 -
29. S E M I

Cina si possono gustare in molti piatti tradizionali, bolliti nelle minestre,


fritti con sedano e bulbi di giglio o serviti con zuppe dolci insieme a giug­
giole. A una cena a Singapore, non molto tempo fa, il menu dei dessert of­
friva la scelta di pasta di patata dolce Teochow con noce di ginkgo e fungo
della neve (Trem.ella fuciformis) ghiacciato con semi di fior di loto e noce di
ginkgo. L'ortografia non era proprio corretta, ma evidentemente il gusto
per queste noci ha seguito la diaspora cinese fino a luoghi molto distanti
da quelli dove il ginkgo può essere coltivato. Per lo più ho trovato noci di
ginkgo ancora in guscio, semplicemente cotte al forno su un vassoio o
tostate su un foglio di alluminio. Questa è la ricetta più facile per prepa­
rarle, ma è vitale che siano accuratamente pulite: come nel caso dell'edera
velenosa, le persone predisposte possono sviluppare una reazione allergica
se esposte al fumo.
In Giappone, come in Cina, gli usi culinari delle noci di ginkgo furono
documentati poco dopo la prima testimonianza scritta della pianta stessa.
Le noci di ginkgo sono elencate come frutti o teacake nel Shinsen Ruiju
Orai, un testo scritto in un anno non meglio precisato tra il 1 492 e il 1 52 1 ,
e le noci di ginkgo sono menzionate anche nei documenti sul cerimoniale
del tè scritti tra il 1 533 e il 1 596. Nel Miyoshi-tei Onariki del 1 56 1 , le noci
sono elencate tra i dolci e i dessert nel menu di un pasto servito allo Sho­
gun Ashikaga Yoshiteru e ai suoi seguaci. 11
Kaempfer, Thunberg e Siebold potrebbero aver mangiato le noci di gin­
kgo durante la loro permanenza a Deshima, forse in ricette tradizionali
leggermente diverse da quelle odierne. Edward Morse, archeologo e na­
turalista di Harvard e uno tra i primi occidentali con incarichi di docenza
all'Università di Tokyo alla fine della decade del 1 870, si considerava entu­
siasta del cibo tradizionale giapponese, ma dopo una cena in una casa da
tè annotò:
C'erano molte cose che ho assaggiato per la prima volta. Il bulbo o radice del
giglio sostituiva egregiamente la patata; c'erano varie piante acquatiche simili al
crescione; un preparato di pesce, simile a maccheroni; le noci di ginkgo, che non
mi piacquero, e un preparato di tè, che mi piacque. 12

In Giappone, già nel 1 785, un libro sulla cucina tradizionale giappone­


se, intitolato Kaiseki-ryori-cho, cita le noci di ginkgo quale contorno per i
bevitori di sakè, una tradizione ancora seguita. Vi è chi sostiene che i semi

1 1 Horu - Horu 1 997. Il tradizionale abbinamento di noci di ginkgo col sakè è descritto da
HAGENEDER 2005 .
12 La fonte della citazione è MoRSE 1 9 1 7, p. 365.

- 1 97 -
PARTE VI - USO

di ginkgo aiutano a prevenire lo stato di ebbrezza e sono efficaci nel curar­


ne i postumi. La scienza ha scoperto un piccolo indizio che suggerisce che
tanto ottimismo non è solo una pia illusione. Pare che un enzima contenu­
to nei semi acceleri la degradazione dell'alcol. In uno studio scientifico, fu
somministrato alcol ad animali da laboratorio, in quantità tale da renderli
ben inebriati: quelli che prima avevano mangiato le noci di ginkgo erano in
grado di smaltire meglio r alcol. 1 3
Forse il modo migliore di mangiare le noci di ginkgo è all'aperto, sotto
gli alberi stessi; le noci di ginkgo tostate si trovano spesso in vendita per
strada, come le tradizionali caldarroste in Europa o in Nordamerica. Ne
ricordano anche il sapore, secondo me. Le vidi in vendita un fine settimana
primaverile e soleggiato, al santuario Tsurugaoka Hachiman-gii di Kama­
kura, non lontano da Tokyo. La coloratissima bancarella all' aperto aveva
una grande insegna pubblicitaria con scritto, in giapponese, "delizioso" . Il
venditore stava tostando le noci in un grande wok, su una cucina a gas, e le
vendeva in pacchetti gridando in giapponese ai visitatori del santuario «Noci
di ginkgo appena tostate, da mangiare in un boccone, pronte da mangiare».
Comunque, sgusciare i semi tostati può diventare un supplizio per dita sen­
sibili al calore. A casa, i miei amici giapponesi le schiacciano con le pinze.
Durante la visita a Sobue, andammo a pranzo in un ristorante specia­
lizzato nell'uso di ginkgo nella cucina giapponese. Le nostre guide si entu­
siasmarono per i nostri assaggi dei prodotti locali. Le noci di ginkgo erano
praticamente in ogni portata del nostro pranzo tradizionale giapponese.
Comparivano come guarnitura del sashimi, per esempio, su un piatto di
polpo affettato fine. Nel nabe-ryori erano bollite con verdure, pesce e carne,
servite come zuppa calda simile al miso. Erano anche fritte nella pastella
della tempura insieme agli scampi. Comunque, il più memorabile era il
chawan mushi, un piatto salato, giallo chiaro, della consistenza della crema
pasticciera, con uno o due semi di ginkgo sul fondo. Questa zuppa d'uovo
cotta a vapore, leggermente addensata e contenente di norma pezzi di pol­
lo, pesce o verdure, è uno dei piatti più comuni in cui trovare noci di gink­
go. Il loro colore è simile a quello della zuppa e il loro sapore, come quello
complessivo del piatto, è delicato e sottile: non proprio dolce, ma neppure
del tutto salato. Questo piatto tipico giapponese, come molti altri del conti­
nente asiatico, accresce la normale esperienza dei palati occidentali. Come
lo stesso albero di ginkgo, la noce, versatile ma misteriosa, continua a ser­
vire più domande che risposte.

1 3 Per la supposta capacità del ginkgo di contrastare gli effetti dell'alcol negli animali, cfr.
DuKE 1 997.

- 1 98 -
_q

F1g. 3 -l . S e m i di gi n kgo cotti a l fo r n o i n u n n s t o r a n t e a '\ a n c h i n o . C i n a .


F i g . 3 5 . L n a b a n c a re l l a di s e m i arrosto di gi n kgo presso u n t e m p i o a K a m a ku r a . in G i a ppon e .
36 37

38

Fig. 3 6 . \i astri votivi a\·Yolti attorno ai chi-chi di un ve tusto ginkgo n e i pressi di Nanchino. C i n a .
F i g . 3 7 . Altare buddhista alla base di un ginkgo nel t e m p i o di Huij i . C i n a .
F i g . 3 8 . \i astri votivi appesi a un ginkgo nel tempio di Huij i . C i n a .
Fig. 3 9 . Il \ 'e c c h i o L e o n e . u n o Jegh alben p i ù wtusti e t;ml oSl d e l Regn o L' n i t o . piantato n e l l �ti l n e i RoYal
B c�tanic G a rd e n s eh Ke\\·.
F i � . -+0. Il G i ,z kg,> - .\ ! tt.<t'zmz a \\ "e i m a r. c i t t à di G o e t h e .
F i � -1 1 B r a cc i a l e t t o e c o l l a n a i s p i r a t i a l l a fo� l i a di g i n kgo
30.

Strade

Ho dovuto competere . Sull'asfalto, nella giungla.


Torre del Potere, "Un'altra volta per strada". 1

Il ginkgo è tra gli alberi più usati in tutto il mondo per le alberature
stradali. Dato che la popolazione mondiale vive per lo più in città, ogni
giorno milioni di persone vedono un ginkgo. Con altri alberi utilizzati allo
stesso modo, il ginkgo disimpegna la funzione di connettere le persone
col mondo della natura. Nei soli Stati Uniti, gli alberi coltivati nei giardini,
lungo le strade, nei parchi e nelle riserve urbane ammontano a circa 74,4
miliardi; costituiscono circa 1'8% di tutta la copertura arborea nazionale.
Questi alberi sono importanti per la vita di tre quarti degli americani, che
lavorano e vivono in aree metropolitane.2
L'interesse nei confronti della coltivazione di alberi in città non è mai
stato più alto. In appena cinque mesi, il progetto "Plant far the Planet: Bil­
lion Tree Campaign" del programma ambientale dell' O.N.U ha raccolto
promesse di donazione di più di un miliardo di nuovi alberi a livello globa­
le. Nel 2006, due anni dopo il lancio, erano già stati messi a dimora più di
1 . 8 miliardi di alberi. A Londra, l'ente benefico britannico "Trees far Cities"
organizza il proprio lavoro su cinque temi: Alberi da mangiare, Alberi per
imparare, Alberi per giocare, Alberi per le strade e Alberi per i volontari.
Negli ultimi anni, hanno piantato quasi un quarto di milione di alberi in

I Scritta da S. Kupka e E. Castillo e registrata da Tower of Power nel loro primo album,

East Bay Grease, 1 970 - San Francisco Records / Atlantic Records.


2 Per ulteriori notizie sulle foreste urbane negli Stati Uniti, cfr. McPHERSON 2003 .

- 1 99 -
PARTE VI - USO

tutto il mondo. A New York, Los Angeles, Memphis, Miami, Denver e Phi­
ladelphia sono partite iniziative per piantare milioni di nuovi alberi. Delhi
ha l'obiettivo di incrementare del l 3 % la copertura arborea urbana. Questi
impegni su grande scala sono stati favoriti dalla semplice considerazione
che l'impianto di alberi può essere un buon investimento. Le persone impe­
gnate in queste iniziative sentono di far bene all'ambiente e entro qualche
anno il ritorno economico e di altro tipo permette di recuperare e talvolta
superare i costi di impianto e manutenzione. 3
Gli alberi cittadini contribuiscono a ridurre gli allagamenti, a modera­
re la temperatura, ad abbattere gli inquinanti, a risparmiare energia e ad
aumentare il valore delle proprietà immobiliari. La chioma di un albero
maturo può intercettare fino a 3 75 m3 di precipitazioni annue e causarne
l'evaporazione, almeno in gran parte, prima che l'acqua entri nelle reti
fognarie sovraccariche. Inoltre gli alberi drenano sostanziali quantitativi
di acqua attraverso le radici e moderano la temperatura, interrompendo
e ombreggiando le superfici cementate e asfaltate che assorbono e inten­
sificano il calore . Nelle isole di calore urbane, la temperatura può essere
superiore di dieci gradi rispetto ai territori circostanti. Un albero ben po­
sizionato, che fa ombra in estate e protegge in inverno può ridurre di un
terzo il costo energetico di un'abitazione. Un albero isolato collocato nel
giardino di fronte alla casa può incrementarne del 6% il valore. Secondo
alcuni studi, siamo più disponibili a rimanere nei centri commerciali - e
aprire i portafogli - se vi sono piantati alberi, che ingentiliscono la durezza
del paesaggio e delle vendite.
Allo USDA Forest Service Center for Urban Forest Research, Greg
McPherson e il suo gruppo hanno misurato i benefici offerti dalle alberatu­
re urbane con il programma digitale di valutazione i-Tree Streets. Con que­
sto strumento, i proprietari immobiliari, i gruppi di studi forestali urbani e
le amministrazioni cittadine possono misurare i benefici e i risparmi offerti
dagli alberi. Il programma si basa sulle informazioni circa i diversi tipi di
alberi e la loro taglia insieme a informazioni locali e regionali sul clima, il
tasso di accrescimento delle specie, il valore del mercato immobiliare, il
prezzo dell'energia e dell'acqua, le emissioni di inquinanti atmosferici, i
costi derivanti dai nubifragi e quelli della manutenzione degli alberi.4
I risultati di i-Tree dimostrano che il ritorno economico del ginkgo
come albero stradale varia sostanzialmente in funzione del luogo. A Min­
neapolis, al momento del rilevamento, il valore medio annuo di ciascuno

3 Per altri dati su "Trees for Cities", cfr. www.treesforcities.org.


4 Per una spiegazione di come i-Tree Streets calcola i benefici, cfr. 1-TREE TooLS 20 10.

- 200 -
3 0 . STRADE

dei 5 . 002 alberi di ginkgo della città era 1 1 ,52$. A San Francisco i benefici
valevano il doppio, 23$, in accordo con la differenza nel mercato immobi­
liare e nei costi di energia e acqua. Con 1 6 . 1 84 esemplari alla data del rileva­
mento, i ginkgo della città di New York non sono solo più numerosi che in
ogni altra parte del paese, ma anche i più preziosi. Ciò nonostante, 82$ per
albero di ginkgo è un importo basso in confronto alla media di 209$ per
albero del verde urbano newyorkese. Il minor importo attribuito al ginkgo
riflette parzialmente la penalizzazione legata alla superficie fogliare, relati­
vamente modesta rispetto a quella di altri alberi di pari altezza e ampiezza
della chioma. L'aspetto positivo è che il ginkgo ottiene una alta valutazione
del suo valore estetico; le persone lo apprezzano. Greg McPherson, svilup­
patore di i-Tree Streets, ha subito confessato che «il ginkgo è il mio albero
da città preferito».5
Le alberature stradali ci aiutano anche in modi che non sono pron­
tamente monetizzabili. Gli alberi di quartiere permettono ai bambini di
passare più tempo a giocare all'aperto e di essere più sorvegliati. Il mag­
gior tempo trascorso all'aperto da genitori e figli aiuta a rinforzare i legami
nella comunità e a diminuire la criminalità, grazie all'aumentata vigilanza.
Le strade alberate contribuiscono anche a ridurre gli episodi di rabbia al
volante e aumentano l'attenzione degli automobilisti. Poiché producono
l'illusione ottica di restringimento della carreggiata, le alberature stradali
inducono gli automobilisti a ridurre la velocità. Inoltre gli alberi e in gene­
re gli elementi naturali hanno su di noi effetti psicologici che talvolta non
sappiamo neppure descrivere o spiegare. Un apposito studio ha dimostrato
che i pazienti ospedalieri le cui camere si affacciavano sulla vista di alberi e
corpi idrici venivano dimessi prima, con referti più favorevoli e con minor
necessità di farmaci antidolorifici rispetto a un analogo gruppo di pazienti
le cui finestre fronteggiavano un muro di mattoni. 6

' I rilevamenti di alberi nelle strade di città furono condotti dallo USDA Forest Service
Center for Urban Forest Research. Il numero di alberi di ginkgo a New York è aumentato dal
rilevamento del 2007. Nel 2008 l'iniziativa Million Trees NYC, una campagna per piantare e
prendersi cura di un milione di alberi a New York entro dieci anni, si impegnò a piantare al­
tri 5 . 1 90 ginkgo nel periodo. L'importo previsto dei benefici ottenuti, 82,40$ per albero, può
essere disaggregato e ordinato come segue: estetici / altro tipo: 3 8,98$; intercettazione di pre­
cipitazioni: 20, 13$; risparmio energetico: 19,40$; neutralizzazione di inquinanti atmosferici:
3 ,39$; sequestro di C02: 0,50$. Nel sistema i-Tree, il valore estetico rappresenta quasi la metà
del valore totale stimato del ginkgo come albero stradale.
6 Per altri dati relativi agli effetti degli alberi sulla velocità delle auto cfr. NADERI et al. 2008.
Per gli effetti sulle risposte degli automobilisti allo stress cfr. PARSONS et al. 1 998; per maggiori
informazioni sullo studio dei pazienti ospedalieri, cfr. ULRICH 1 984; cfr. anche Kuo 2003 , Kuo ­
FABER TAYLOR 2004 e Kuo - SuLLIVAN 200 1 . Per altre notizie sui benefici calcolati degli alberi
cittadini, cfr. USDA 2003 . WoLF 2003 riferisce i benefici economici delle alberature stradali in
distretti commerciali.

- 20 1 -
PARTE VI - USO

Le campagne attualmente in corso a favore della forestazione urbana


non hanno precedenti in termini di scala, ma l'importanza degli alberi per
la salute delle città è un'idea con una lunga storia. Più di tremila anni fa, in
Egitto, Ramses III fece piantare alberi lungo le strade, per favorire il passeg­
gio e lo svago. Nell'antica Grecia si piantavano alberi per abbellire le città e
ombreggiare i percorsi che conducevano al mercato. Nel sedicesimo seco­
lo, in piena diffusione del Rinascimento italiano in tutta Europa, l'idea del
viale alberato fu largamente adottata nei giardini e presto trasferita alle cit­
tà. Amsterdam, nel 1 6 1 5 , divenne la prima città a incorporare ufficialmente
edifici, sistemi di trasporto e alberature nel proprio "Piano dei Tre Canali" .
Nel 1 670 il Re Luigi XIV ordinò che le mura cittadine di Parigi fossero
demolite per far posto ai nuovi boulevard alberati per pedoni e carrozze.
A parte il ruolo estetico e ricreativo, gli alberi urbani godevano della
reputazione di purificare l'aria cittadina e di prevenire i "miasmi" , ritenuti
causa di malattie. Negli Stati Uniti, la prima campagna pubblica di inver­
dimento ebbe luogo nel 1 700 a Philadelphia, dove fu decretato che ogni
proprietario di casa «sia obbligato a piantare uno o più alberi davanti alla
porta affinché la città possa essere ben protetta dalla violenza del sole . . . e
quindi resa più salubre». Nel 1 732 l'Assemblea stabili che «Si possono pre­
disporre delle passeggiate e piantare alberi per rendere [la città] più bella
e spaziosa». Nel 1 792 i cittadini di Philadelphia firmarono una petizione a
favore della messa a dimora di alberi in aree pubbliche perché «è un fatto
appurato che gli alberi e la vegetazione . . . contribuiscono a migliorare . . . la
salubrità dell'aria». A New York, nel 1 8 72, l'assessore comunale alla salute
dichiarò che si dovevano piantare le alberature stradali per mitigare il calo­
re e ridurre la mortalità infantile.
Nel 1 773 , Savannah aveva già un progetto di viali alberati con querce
della Virginia e nel 1 79 1 , quando George Washington incaricò il Maggiore
Pierre L'Enfant di progettare la capitale che avrebbe portato il nome del
primo presidente, si misero a dimora le alberature dei viali in tutta la città.
All'inizio della decade del 1 870, sui terreni che conducevano al Diparti­
mento di Agricoltura furono piantati novanta alberi di ginkgo che delimi­
tavano un viale: si tratta di uno dei primi, significativi utilizzi del ginkgo
nelle alberature stradali. Nel 1 929, fu pubblicato un articolo che sosteneva
apertamente l'uso del ginkgo nel Distretto di Columbia, che ne presagiva
l'ampia accoglienza in altre città del paese:
I visitatori di Washington D.C . sono sempre molto colpiti dalla bellezza dei
viali di ginkgo che fiancheggiano gli accessi al Dipartimento di Agricoltura e che
adornano molti altri luoghi della città. Non vi sono motivi per cui Washington
debba restare l'unica città del paese a godere dello speciale privilegio di questo

- 202 -
3 0 . STRADE

famoso albero, sacro per cinesi e giapponesi e coltivato da secoli nei cortili dei
loro templi. Vive molto bene in tutte le parti degli Stati Uniti dove gli inverni non
sono troppo rigidi e riesce quanto meno a sopravvivere verso nordest fino allo
Iowa centrale . . . Un grande pregio del ginkgo è la quasi totale insensibilità alle
malattie fungine e agli insetti nocivi che tormentano praticamente tutti i nostri
alberi ornamentali. 7

Un problema relativo all'uso del ginkgo nelle alberature stradali di Eu­


ropa e Nordamerica è rappresentato dall'odore sgradevole dei semi. Ho
saputo di diversi proprietari di case di città che hanno preso in mano la
questione, cercando di uccidere gli indesiderati esemplari femminili di gin­
kgo piantati vicino alle case. Ogni anno, gli addetti agli alberi di Washin­
gton D.C . spruzzano in grandi quantità il chlorpropham, un erbicida, sugli
esemplari femminili di ginkgo, per prevenirne la allegagione. 8
Oggi, i vivai degni di fiducia aggirano il problema degli esemplari fem­
minili maleodoranti, mettendo in vendita solo esemplari maschili propa­
gati da talea. Nel rispetto della normativa ufficiale, da venti anni il Diparti­
mento dei Parchi e Attività Ricreative di New York non pianta femmine di
ginkgo. Il ricorso a vivai che propagano solo maschi clonati assicura il ri­
spetto del divieto, ma l'esistenza di alberi più vecchi, messi a dimora prima
dell'emanazione del regolamento ed inclusi nelle normative sul patrimonio
arboreo cittadino, complica la rimozione di vecchi esemplari femminili in
perfetta salute. Per giunta, le femmine spesso riescono a intrufolarsi negli
impianti, vuoi attraverso i tentativi di residenti poco attenti, vuoi attraver­
so il rilascio di autorizzazioni.9
Comunque sia gestita la questione degli esemplari femminili, i gink­
go sono comuni nelle città, da Pechino a Berlino. Spesso sono il tratto di­
stintivo del panorama urbano. A Londra i ginkgo si trovano nell'impianto
circostante la Torre di Londra; dall'altra parte della città, adornano il pae­
saggio urbano nei pressi dell'Imperial College e fuori dal vicino Museo di
Storia Naturale . 11 10% delle foreste urbane di Manhattan è rappresentato
da ginkgo, che è il terzo albero più comune delle alberature stradali. Che ci
si trovi lungo le vie di Chelsea, la Quinta Strada, il limite settentrionale di

7 La citazione è tratta da THONE 1 929. Sfortunatamente, il celebre viale alberato di ginkgo


nei pressi del Dipartimento di Agricoltura è stato da tempo sradicato; molti alberi, giunti a
maturità, si rivelarono di sesso femminile.
8 Il Chlopropham trova il suo uso più comune nella prevenzione del germogliamento
delle patate; cfr. US EPA 2002.
9 Le informazioni sulla foresta urbana di New York City derivano da Andrew Newman
(Coordinatore di progetto, MillionTrees NYC, comunicazione personale).

- 203 -
PARTE VI - USO

Centrai Park, le strade di Harlem e di Washington Heights, il profilo spinu­


loso e le foglie distintive del ginkgo sono ubiquitarie. 10
In Giappone, il ginkgo rappresenta circa l' 1 1 % di tutti gli alberi stradali
ed è l'albero più diffus amente piantato nel paese. Il suo uso vi fu promosso
nel tardo XIX e inizio del XX secolo, nella fase di rapido ammodernamento
del paese. In particolare a Tokyo, un progetto del 1 907 metteva in evidenza
dieci alberi a crescita rapida e resilienti, uno dei quali era il ginkgo. Dopo
gli incendi conseguenti al grande terremoto di Kanto del 1 923 e dopo i
bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, che distrussero quasi la
metà dei 270.000 alberi piantati lungo le strade giapponesi, gli urbanisti
fecero nuovamente ricorso al ginkgo per ravvivare e addolcire le strade.
Oggi sono più di mezzo milione gli alberi di ginkgo piantati sul ciglio delle
strade giapponesi. 1 1
Gli stessi attributi che hanno consentito al ginkgo di sopravvivere per
migliaia di millenni possono aver contribuito al suo successo quale albero
cittadino rustico e resiliente. La vita degli alberi stradali è «sporca, rozza e
breve»: in media, la loro sopravvivenza varia da sette a tredici anni, in con­
fronto alla aspettativa di sessanta anni per le stesse specie coltivate in un
parco e alle centinaia di anni che esse vivono nelle foreste native. Deborah
Gangloff, direttrice esecutiva del gruppo non-profit American Forests di
San Francisco, spiega alcuni dei motivi di questa discrepanza: «Gli alberi
sono ficcati in scatole di cemento, servono per incatenarci le bici e per i
bisogni dei cani, vengono urtati dalle automobili . . . È una vita dura». Dal
sale che d'inverno attacca il loro sistema radicale all'ozono che assale le
loro foglie d'estate, il fuoco di fila dei prodotti chimici che devono essere
affrontati dagli alberi stradali va ben oltre il livello di maltrattamento che
l'evoluzione biologica li ha resi capaci di sostenere. 1 2
Anche sotto il livello del suolo gli alberi stradali vengono messi alla
prova. I suoli urbani sono spesso costituiti da detriti di discariche, materiali
edili e altri contaminanti. Si tratta di suoli altamente variabili in contenuto
di nutrienti, con scarsa materia organica, bassa fertilità e in genere privi dei
microorganismi del suolo necessari per il sano sviluppo delle piante. Gli

IO Le statistiche sulle foreste urbane di Manhattan sono tratte da PEPER et al. 2007. A tal

punto il ginkgo è parte delle strade di New York che Disneyworld lo usa nel paesaggio urbano
di New York City ricreato nel parco tematico degli Hollywood Studios.
1 1 Per altre informazioni sul ginkgo nei paesaggi giapponesi, cfr. HANDA et al. 1 997. L'uso
del ginkgo come albero stradale nella Corea del Sud è su grande scala, analogamente al Giap­
pone. In particolare, nel centro di Seui il ginkgo è l'albero stradale di gran lunga più comune.
1 2 «Sporca, rozza e breve>>, cfr. QuAMMEN 1 998, p. 7 1 , che prende in prestito da Hobbes
questa frase famosa. La citazione di Gangloff è tratta da BROWN 2006.

- 20 4 -
3 0 . STRADE

alberi di ginkgo incuneati nella pavimentazione del mio vecchio quartiere


del South Loop di Chicago spingevano le radici tra i resti della vecchia linea
ferroviaria che una volta entrava nella stazione di Dearborn, ma nonostan­
te tutto stavano bene. 1 3
Quando vedete un grande albero stradale dalla elegante chioma, prova­
te ad immaginare che aspetto può avere nel sottosuolo. In media la biomas­
sa sotterranea di un albero è solo un quinto o un sesto di quella aerea, ma
per un albero di buona taglia ciò significa comunque un' enorme quantità
di radici. Quando si trovano sotto una pavimentazione impermeabile che
si stringe intorno alla base del tronco, le radici ricevono solo una minuscola
frazione dell'ossigeno e dell'acqua piovana che riceverebbero in un conte­
sto naturale. Tipicamente, le radici dei popolari alberi stradali riescono a
cavarsela con poca acqua e poco ossigeno. Molti degli alberi più rustici e
più diffusamente piantati, quali il platano comune, lo storace americano, il
cipresso calvo e l'acero rosso sono piante di golena, con radici adattate alla
scarsa disponibilità di ossigeno. Anche il ginkgo può trarre vantaggio dalla
sua lunga associazione con i fiumi.
Sovente, la estesa rete formata dalle radici degli alberi sotto i marcia­
piedi, i vialetti di accesso e le strade costituisce un assillo per i proprietari
di case e le amministrazioni locali. Un ex collega britannico ebbe grande
successo come esperto nell'identificazione di radici arboree. La sua consu­
lenza era molto richiesta da parte di privati e compagnie di assicurazioni
intenzionati a scoprire i proprietari degli alberi che danneggiavano le fon­
damenta delle case. n problema si pone anche nell'altro senso: la maggior
parte del capillizio radicale, che è la parte più importante per l'assorbi­
mento di acqua e nutrienti, si rinviene nei primi trenta centimetri di suo­
lo. Quando il capillizio è schiacciato da cemento, veicoli e pedoni, le parti
aeree dell'albero cominciano a morire.
n ginkgo tollera il compattamento radicale meglio della maggior parte
degli alberi, ma in certi casi avere la meglio nello scontro di volontà con il
marciapiede può scatenare altre conseguenze. Nel 2007, a Everett, Penn­
sylvania, un pedone inciampò sulla pavimentazione rovesciata dalle radici
del ginkgo alto 20 m posto di fronte alla locale biblioteca. Il consiglio della
biblioteca raccomandò la rimozione dell'albero. Tuttavia, senza perdere
troppo tempo, i rappresentanti dei cittadini lanciarono una campagna per
salvare il ginkgo, sostenuta da una petizione fatta circolare dal liceo locale,

1 3 Secondo studi condotti in Inghilterra, il ginkgo può prosperare nelle estati calde e può
trarre benefici da condizioni più calde a patto che vi sia sufficiente disponibilità di acqua (FIELD­
HOUSE HITCHMOUGH 2004).

- 2 05 -
PARTE VI - USO

un concerto di beneficenza con tanto di magliette, ma anche da ciotole e


tappi per bottiglie di vino fatti con le cimature dei rami del ginkgo. I loro
sforzi sortirono il duplice effetto di salvare il pregiato ginkgo e di raccoglie­
re i 1 5 .000 $ necessari per ripristinare la pavimentazione. 14
Nelle corso della campagna, il rinnovato interesse nei confronti dell'al­
bero permise di scoprire che si trattava a tutti gli effetti di un sopravvissuto.
L'albero era l'ultimo di tre ginkgo piantati in onore dei tre figli del fondato­
re della città - allora chiamata Blood Run - nel 1 86 1 , allorquando partirono
per combattere nella Guerra Civile sotto la bandiera dell'Unione. L'albero
fu ritrovato anche in vecchie fotografie della parata del Quattro Luglio in
Main Street, scattate nella decade del 1 920, e in altre, nelle quali lo si ammi­
ra sovrastare le acque della famigerata inondazione che invase la città nel
giorno di San Patrizio del 1 936. Inoltre, si scopri che il ginkgo di Everett
era già stato salvato in passato, nel 1 985, quando l'amministrazione aveva
provato a allargare la strada dove esso vive. Un gruppo di anziane signore
aveva allora minacciato di incatenarsi all'albero. Può darsi che la resilienza
non sia che una parte della storia del successo del ginkgo e che il resto sia
dovuto al suo carisma.

14 I ginkgo danneggiati talvolta sono considerati lenti a isolare (compartimentalizzare) le


parti danneggiate dell'albero, ma il dendrochirurgo che ha lavorato sul ginkgo di Everett ha
riferito «L'albero aveva compartimentalizzato meglio di qualunque albero io abbia mai visto, e
faccio questo mestiere da 46 anni»; cfr. MALLOW 2008.

- 206 -
31.

Farmacia

In tutte le cose naturali c'è qualcosa di meravi­


glioso.
Aristotele, Le parti degli animali. 1

Un venerdì pomeriggio, a Kew, al termine di una settimana tormen­


tata, la mia segretaria - che mi sopporta da anni - mi confidò di far parte
dei dieci milioni di europei che si stima assumano regolarmente estratti di
foglie di ginkgo. «Oh sì», disse, «è da qualche tempo che prendo il ginkgo
per la memoria - quando me ne ricordo». In occidente, il ginkgo oggi è un
comune rimedio erboristico. In oriente, l'interesse per le proprietà salutari
del ginkgo risale a molto tempo fa. Si può dire che da quando sono apprez­
zate le noci di ginkgo, se ne riconosce anche il valore come medicamento.
Secondo alcune fonti, l'uso medicinale del ginkgo risale al 2800 a.C . ,
epoca della prima farmacopea della medicina tradizionale cinese, attribuita
alla figura - forse mitica - di Shen Nung. Comunque, la prima indiscussa
memoria scritta riguardo al ginkgo viene molto più tardi e nessun origi­
nale dell'opera di Shen Nung è arrivato fino a noi. La prima comparsa del
ginkgo si rileva in copie della farmacopea di Shen Nung dell'XI-XII secolo,
all'incirca lo stesso periodo in cui comincia ad apparire in altre fonti scritte.
Di sicuro il ginkgo è usato in medicina da quasi un mille nnio, ma probabil­
mente non da tre o quattro.
Nelle leggende e nel folclore cinese, coreano e giapponese, il ginkgo
è spesso associato a salute e longevità. Ad esempio, nella Corea del Sud la

l Aristotele, 350 a.C., in 0GLE 1 9 12.

- 207 -
PARTE VI - USO

leggenda dei due ginkgo di Myeoncheon si collega a Bokji-gyeom, uno dei


fondatori della dinastia Goryeo. La leggenda lo ritrae colpito da una malat­
tia incurabile, che ha spinto la figlia a inerpicarsi sul Monte Ami e pregare
per cento giorni. Sul monte, la ragazza incontra un eremita taoista, che
le dice «Prepara un Dugyeonju [vino fatto con fiori di azalea] . . . e bevi il
vino». Poi, dopo altri cento giorni, le dice «Pianta due ginkgo, dedica tutta
la tua mente alla preghiera e ciò curerà tuo padre». Dopo che la figlia ha
seguito scrupolosamente le istruzioni, Bokji-gyeom guarisce.2
Spesso il ginkgo è associato anche alla fertilità e in questo caso diven­
tano importanti specialmente i chi-chi, manifestazione orientale della
"dottrina delle segnature" degli erboristi. Talvolta, i chi-chi di forma fallica
diventano punti focali per i nastri rossi di preghiera, che spesso vengono
legati alle parti di vecchi alberi di ginkgo. Più frequentemente l'albero si
collega all'allattamento dei neonati. In Giappone, la parola chi-chi si riferi­
sce esplicitamente ai seni. Secondo una leggenda, il gigantesco ginkgo di
Nigatake, nella città di Sendai, fu piantato per esaudire l'ultimo desiderio
di Byakkonni, balia dell'Imperatore Shoumu. Le donne con difficoltà di
lattazione venerano ancora l'albero. 3
Nella medicina tradizionale cinese, s1 usano molto spesso i semi di gin­
kgo; si dice che i migliori siano «grandi, asciutti, bianchi, pieni e pesanti».
Sono considerati di qualità particolarmente alta i semi provenienti dalla
provincia di Guangxi, nella Cina sud occidentale. I semi si usano per cu­
rare malattie respiratorie e polmonari, talvolta in combinazione con parti
di altre piante, quali fusti essiccati di efedra, radici di liquirizia e scorze di
gelso. Sono stati usati anche per curare una vasta gamma di sindromi, dalle
polluzioni notturne e secrezioni vaginali a carie, tigna, scabbia e piaghe.
Oggi si continuano ad usare i semi di ginkgo come antitussivi, espettoranti
e antiasmatici, ma anche nel trattamento delle infezioni alla vescica.
I diversi usi medicinali richiedono diverse modalità di preparazione: i
semi secchi non preparati, in genere col nome di yin hsing (albicocca argen­
tata), si usano per schiarire il muco e uccidere i parassiti, mentre quelli sec­
chi, fritti o cotti al forno, noti come cha beii gua (frutto bianco abbrustolito)

2 Questa leggenda è tratta dai pannelli esplicativi del ginkgo di Myeoncheon. In un'altra
storia popolare, Lon po po, versione cinese di Cappuccetto Rosso, tre bambini sconfiggono in
astuzia un lupo che vuole mangiarli, convincendolo con l'inganno a buttarsi giù, in una caduta
mortale, da un albero di ginkgo; cfr. CA! 1 994.
3 Secondo la dottrina delle segnature, una pianta offre indizi della sua efficacia medicinale
tramite la somiglianza con le parti del corpo umano. A lungo si è creduto che i chi-chi dei gin­
kgo derivassero da eccesso di nutrienti e che le madri in allattamento avrebbero tratto benefici
da un infuso fatto con i trucioli. I segni dei trucioli sono evidenti su alcuni vecchi alberi, per
esempio su quello del tempio dijounichiji in Giappone; cfr. Himi City, "The Jounichiji Ginkgo".

- 208 -
3 1 . FA RMACIA

vengono ridotti in polvere e usati contro l'asma e le secrezioni vaginali.


Per curare le piaghe, i semi freschi vengono tagliati a metà oppure si fa un
cataplasma con i semi ridotti in polvere. Mi dice poi un collega di Singapore
che i semi di ginkgo migliorano la carnagione. 4
La chimica del ginkgo è oggetto di studi da quasi duecento anni e oltre
1 70 diversi composti chimici sono stati estratti, e descritti, dai semi e dalle
foglie. Alcuni composti sono alla base degli usi medici, mentre altri sono
responsabili di alcune delle caratteristiche meno desiderabili del ginkgo.
Nel 1 927 lo scienziato giapponese Kawamura isolò dal rivestimento car­
noso del seme tre nuovi composti chimici allergenici, l'acido ginkgolico, il
ginkgolo e il bilobolo, e ne riscontrò la somiglianza chimica con i composti
responsabili delle reazioni allergiche indotte dalla quercia velenosa (Toxico­
dendron diversilobum) e dall'edera velenosa (Toxicodendron radicans).5
Nel rivestimento carnoso del seme si trova anche l'acido butirrico, altra
fonte di problemi. È questo composto che ha dato al ginkgo il soprannome
"ginkgo stinko" (ginkgo puzzone), in voga tra alcuni cittadini americani, e
ha condotto al bando degli esemplari femminili in molte città occidentali.
Le descrizioni che accostano l'odore dei semi caduti al vomito e al burro
irrancidito sono del tutto accurate; l'acido butirrico è il principale compo­
sto volatile di tutte e tre le sorgenti odorose. Ciò nonostante in alcuni casi,
a dispetto dell'odore, il rivestimento carnoso dei semi di ginkgo ha trova­
to un proprio uso. Nell'antica Cina, esso era mescolato con la liscivia per
produrre un sapone e veniva usato dai pescatori per supplementare l'esca
per le carpe. Nel mese di febbraio del 2007, il gruppo di conservazione
marina "Sea Sheperds" , in segno di protesta contro una spedizione giap­
ponese di caccia alla balena, spruzzò dell'acido butirrico contro i balenieri.
Gli estratti della maleodorante polpa sono attivi contro funghi patogeni,
ceppi resistenti di batteri e perfino chiocciole ospiti del parassita fasciola. Il
vero valore dell'indesiderato prodotto di scarto della lavorazione dei semi
di ginkgo rimane da vedere.6

4 IL termine cinese per indicare l a polpa d i una singola noce d i ginkgo, bai guo, signifi­
ca letteralmente "frutto bianco" . Per una descrizione dei molti usi delle noci di ginkgo nella
medicina tradizionale cinese, cfr. FosTER - CHONGXI 1 992, p. 257. Le noci di ginkgo vengono
schiacciate e applicate localmente per schiarire la carnagione. Gli estratti delle foglie, ricchi
in flavonoidi, hanno evidenziato attività di rimozione di radicali liberi, che influenzano la pig­
mentazione. Ciò conferma i primi usi documentati dell'estratto di foglie nella medicina tra­
dizionale cinese, per la cura delle lentiggini; oggi si raccomanda l'estratto come trattamento
alternativo della vitiligine; cfr. SoNI et al. 20 10, ZHu - GAo 2008.
5 La prima indagine chimica del ginkgo (PESCHIER 1 8 1 8) descrisse l'acido butirrico dei semi.
6 Secondo LouooN 1 838, <<Thunberg dice che in Giappone si mangia anche la parte car­
nosa del frutto, benché sia insipida o amarognola; e che, se leggermente arrostito, buccia e

- 20 9 -
PARTE VI - USO

Malgrado i loro usi culinari e medicinali, è purtroppo vero che le noci


di ginkgo sono potenzialmente tossiche. L'avvelenamento da ginkgo è raro
negli adulti, perché in genere occorre mangiarne una gran quantità per
scatenare una reazione. Comunque, non vi è una dose sicura ufficiale e
sono riferiti casi di morte in seguito al consumo di appena 1 5 o fino a 5 74
noci di ginkgo. Si raccomanda specialmente che i bambini sotto sei anni
limitino il consumo di ginkgo. Tuttavia, il rischio di avvelenamento da gin­
kgo è minimo e personalmente mi sono goduto le noci di ginkgo preparate
in molti modi; sono una parte essenziale dell'esperienza di trovarsi in Asia
orientale e sudorientale.
Gli effetti dell'avvelenamento da semi di ginkgo sono noti almeno dal
1 709, quando il primo caso fu descritto nello Yamato-Honzo, una vecchia
scrittura giapponese. I sintomi variano da irritabilità e vomito a convul­
sioni e perdita di conoscenza, che possono insorgere da una a dodici ore
dall 'ingestione. La tossina interferisce con la capacità di assorbimento della
vitamina B6, essenziale per il mantenimento delle funzionalità del sistema
nervoso e di quello immunitario, così come di molti altri processi vitali. In
Giappone, durante le carestie che si sono succedute tra il 1 930 e il 1 960, i
casi di avvelenamento da ginkgo sono aumentati in modo significativo.
Nonostante un lungo percorso di selezione e coltivazione, la ginkgo­
tossina, nota anche come MPN, non è stata ridotta né eliminata. Ciò non­
dimeno, la tossina è solubile in acqua e può essere ridotta mediante am­
mollo. I livelli di ginkgotossina si possono ridurre anche tramite cottura; la
concentrazione nei semi crudi è fino a quaranta vote più alta che in quelli
cotti. Il gruppo etnico Naxi, della provincia di Yunnan, prima mette le noci
di ginkgo in ammollo, poi le fa rosolare con cipolla, aglio, aceto di sidro di
mele, salsa di soia, olio di sesamo, peperoncino, pepe nero e sale.7
Nella diffusione da oriente a occidente, l'uso medicinale di ginkgo ha
preso una traiettoria sorprendentemente diversa. In oriente sono i semi le
parti più usate, ma in occidente l'attenzione si è fissata quasi esclusivamen­
te sull'estratto delle foglie, pubblicizzato soprattutto come potenziatore di
memoria. In Cina vi sono antichi riferimenti agli usi medicinali delle foglie.
Il Dian Nan Ben Cao, scritto da Lan Mao nel 1 436, raccomanda di usare le

tutto, non sia sgradevole. Alcuni dei frutti maturati all'Orto botanico di Montpellier furono
assaggiati da M. Delille e M.M. Bonafous di Torino, che trovarono il loro sapore molto simile
a quello del granturco appena arrostito». LYMAN 1 885 nota «Il succo della spessa polpa esterna
alla noce è molto astringente e si usa per produrre una carta un po' impermeabile e resistente
e una pittura nera ad acqua, conservante per le recinzioni e gli edifici>>.
7 Le ricette Naxi sono state fornite da Selena Ahmed, Tufts University (comunicazione
personale, 20 1 1 ).

- 210 -
3 1 . FARMACIA

foglie per la cura delle lentiggini ma anche per le piaghe della pelle e della
testa. Poco dopo, il Ben Cao Pin Hue ]ing Yaor, un testo di medicina, racco­
manda le foglie di ginkgo per uso interno. In questo ed altri trattati cinesi
di materia medica, le foglie sono descritte come utili per la cura della dis­
senteria, asma e problemi cardiovascolari. Tuttavia, questi usi non hanno
trovato ampia diffu sione nei testi classici di medicina tradizionale cinese. 8
I principi attivi delle foglie di ginkgo provengono da un'impressionante
batteria di composti chimici, regolarmente prodotti nel corso del normale
sviluppo della pianta, che includono due classi principali di composti, i ter­
peni e i flavonoidi. I flavonoidi sono composti diversificati, responsabili dei
pigmenti colorati di alcuni fiori, dell'assorbimento di radiazione ultravio­
letta potenzialmente nociva, della protezione contro i patogeni e di molte
altre funzioni. Si ritiene che i flavonoidi abbiano effetti salutari poiché sono
un importante fonte di antiossidanti alimentari.9
Le foglie di ginkgo contengono più di quaranta tipi di flavonoidi. Di
solito le foglie sono raccolte appena cominciano a virare verso il colore
autunnale, quando il contenuto di flavonoidi è massimo. Le foglie verdi e
gialle raccolte in autunno contengono un flavonoide chiave in quantità tre
volte superiore a quella delle foglie primaverili e estive. D'altro canto, le
foglie verdi primaverili e estive hanno un contenuto più forte di altri flavo­
noidi e terpeni rispetto a quelle gialle e inoltre in Cina spuntano un prezzo
più alto come infuso. 10
In Europa, le principali condizioni per le quali si prescrive l'estratto di
foglie di ginkgo sono le malattie vascolari periferiche o il restringimento
delle arterie che riforniscono il cuore e il cervello, che causa una riduzione
dell'afflusso di sangue. In particolare, l'estratto di foglie di ginkgo si usa
ampiamente nel caso di sintomi di "insufficienza cerebrale" , osservati spes­
so in persone anziane, che comprendono difficoltà di concentrazione e me­
moria, distrazione, stato confusionale, mancanza di energia e altri sintomi.
Gli estratti standardizzati di foglie di ginkgo sviluppati dai laboratori far­
maceutici Schwabe, con sede in Germania, sono apparsi per la prima volta
nel 1 964. La standardizzazione è importante specialmente per i prodotti
derivati da una pianta, come il ginkgo, il cui contenuto e concentrazione di
flavonoidi e altri composti può variare in modo significativo durante la sta­
gione vegetativa oppure in funzione del luogo di crescita. Il procedimento

s Per stime sull'uso globale di estratto di foglie di ginkgo, cfr. PÉREZ 2009.
9 I flavonoidi sono inclusi in una classe di composti chimici noti come polifenoli e si ri­
tiene che la loro abilità di annientare i radicali liberi conferisca loro utili attività antibatteriche,
antivirali, antitumorali, antinfiammatorie e antiallergeniche.
IO YoSHITAMA 1 997 fornisce una esauriente rassegna dei flavonoidi di ginkgo.

- 21 1 -
PARTE VI - USO

di estrazione consiste di venti o più passi per arricchire l'estratto dei princi­
pi attivi desiderati e contemporaneamente eliminare o ridurre al minimo i
composti inattivi o potenzialmente nocivi. Il primo prodotto commerciale
di ginkgo fu distribuito nel 1 973 in Francia, dai Laboratoires Beaufour, e
messo sul mercato nel 1 975 dalla sussidiaria IPSEN, col nome registrato
"Tanakan" . Poco dopo, INTERSAN e i laboratori Schwabe lanciarono sul
mercato tedesco i prodotti a base di ginkgo denominati Rokan e Tebonin
forte. 1 1
In Germania, nel 1 988, le ricette mediche per farmaci contenenti estrat­
ti di ginkgo erano più numerose di quelle relative a qualunque altro far­
maco di origine vegetale. L'uso per il trattamento sintomatico di deficit di
memoria, di concentrazione e di alcuni tipi di depressione è autorizzato dal
sistema sanitario pubblico. Attualmente gli estratti di foglie di ginkgo sono
tra i medicinali prescritti in maggior quantità sia in Germania, sia in Fran­
cia, dove rappresentano l'uno e l'uno e mezzo percento, rispettivamente,
sul totale delle vendite di farmaci soggetti a prescrizione medica. 12
Nell'ultima parte della decade del 1 990, il commercio globale annuo di
estratti grezzi di foglie di ginkgo ammontava a circa un miliardo di dolla­
ri, principalmente per effetto della vendita in Germania, ma anche in altri
paesi europei, Stati Uniti ed Asia. Si stima che negli ultimi venti anni se ne
siano usate due miliardi di dosi giornaliere. Negli Stati Uniti il ginkgo è
recentemente divenuto il rimedio erboristico più venduto, nonostante che
l'estratto purificato e standardizzato non abbia ancora ricevuto l'approva­
zione dello U.S. Food and Drug Administration. Attualmente i prodotti a
base di estratti di ginkgo si contano a decine, in diverse forme, da assumere
per via endovenosa, per ingestione o come pastiglie. 13
Secondo alcuni studi, gli effetti clinici del ginkgo, assunto come estratto
standardizzato e purificato, comprendono il miglioramento della memoria

I l Per ulteriori informazioni sulla storia della commercializzazione dell'estratto di gink­

go, cfr. VAN BEEK 2000, p. 3 1 6.


IZ Prima della riforma del sistema sanitario pubblico tedesco, avvenuta nel 2004, quasi

tutti i rimedi erboristici erano considerati rimborsabili. Tuttavia, la riforma abolì il rimborso di
qualsiasi rimedio erboristico eccetto le preparazioni standardizzate di ginkgo, erba di San Gio­
vanni e vischio; cfr. BoNAKDAR 2010, p. 96. Per altre notizie sul mercato dell'estratto di foglie di
ginkgo, cfr. CAMPONOVO - SOLDATI 2002 e 0IAMOND et al. 2000.
1 3 Il commercio globale dell'estratto di ginkgo eccede un miliardo di dollari l'anno; cfr.
VAN BEEK 2000. Nel 1 997 le vendite annuali in dollari, raggruppate per paese, sono state 280
milioni in Germania, 200 milioni nel resto d'Europa, 205 milioni negli Stati Uniti e 200 milioni
in Asia (PÉREz 2009). Quasi tutti i prodotti usano il rapporto 50: l in peso: cinquanta kg di foglie
sono ridotte a un kg dell'estratto che ne risulta. Per l'uso come integratore alimentare, la dose
giornaliera raccomandata, secondo The Physician's Desk Reference for Herbal Medicines, è di 1 20
mg di estratto secco, in dosi suddivise; cfr. DIAMOND et al. 2000 e CHABRIER - Ro uBERT 1988.

- 212 -
3 1 . FARMACIA

e delle capacità di apprendimento, l'aumento della tolleranza cerebrale alle


basse concentrazioni di ossigeno e il miglioramento del circolo e microcir­
colo. Sembrano pochi gli effetti collaterali negativi e alcuni di quelli riferiti
sporadicamente, quali reazioni cutanee e disturbi di stomaco, possono es­
sere collegati a residui di acidi ginkgolici. In certi casi l'aumentato afflusso
di sangue può determinare mal di testa. Negli studi che hanno riportato
miglioramenti significativi di uno o più degli esiti quantificati, il dosaggio
solitamente usato era compreso tra 120 e 300 mg al giorno per un periodo
compreso tra tre e dodici settimane. Quando l'estratto veniva assunto in
relazione a funzioni fisiologiche quali memoria o umore, quattro-sei set­
timane erano necessarie per osservare risultati positivi. Un esame di 1 88
ricerche condotte con uomini e animali e in laboratorio ha evidenziato che
l'estratto di ginkgo ha promettenti potenzialità di dimostrare una vasta
gamma di miglioramenti neurologici e fisiologici, inclusi alcuni che posso­
no avere effetto in poche ore. 14
Malgrado queste indicazioni positive e il suo ampio uso, l'efficacia
dell'estratto di foglie di ginkgo è ancora un tema controverso. Come si
verifica con tutti i rimedi erboristici, l'uso dell'estratto di foglie di ginkgo
provoca lo scetticismo dei ricercatori che si rifanno a una tradizione scien­
tifica più analitica. Essi richiedono prove basate su esperimenti dettagliati,
condotti agli stessi livelli stringenti richiesti per i farmaci di sintesi. Negli
Stati Uniti, dove l'estratto di ginkgo è classificato come rimedio erboristi­
co, i produttori non sono obbligati alla sperimentazione della sicurezza ed
efficacia del farmaco, come dovrebbero fare se l'estratto di foglie di ginkgo
fosse regolato dalla FDA. Il titolo di testa di un articolo di Scientific Ameri­
can del 2003 , Le ultime novità su Ginkgo bilo ba, usava il tipico tono dell' estre­
mità ortodossa dello spettro dei medici professionisti: «Questo popolare in­
tegratore erboristico può migliorare lievemente la memoria, ma lo stesso
effetto si può ottenere mangiando una barretta di cioccolato».
Comunque, nel testo che seguiva, la valutazione dell'efficacia dell'e­
stratto di foglie di ginkgo era equilibrata, corretta e basata sulla rassegna
pubblicata da tre eminenti neuroscienziati su una rispettata rivista scien­
tifica. Essi scoprirono «la prova che in certe condizioni il ginkgo potenzia

1 4 L'estratto standardizzato e purificato di foglie di ginkgo è comunemente indicato come


EGb76 1 . Pochi gli effeni collaterali; in uno studio su 739 pazienti, il 2,6% ha riferito disturbi
gastrointestinali, lo 0,9% ha sofferto di mal di testa, lo 0,4% ha riferito disturbi del sonno o
capogiri e lo 0,3% ha sofferto di eruzioni cutanee. Ci sono alcuni rapporti di attività antipia­
strinica che ha indotto l'aumento di emorragie in pazienti sono terapia anticoagulante; una
recente rassegna ha concluso che le prove che il ginkgo riesca a potenziare gli effetti degli
anticoagulanti sono scarse; cfr. BONE 2008. I tranamenti a base di ginkgo sono trani da LETZEL
et al. 1 996 e 0IAMOND et al. 2000. Per le potenziali controindicazioni, cfr. MEDLINE Pws 20 1 1 .

- 2 13 -
PARTE VI - USO

le funzioni cognitive, sebbene piuttosto debolmente». Nel complesso però


ritennero che servivano maggiori informazioni «per affermare in modo
conclusivo che il ginkgo migliori o meno le facoltà cognitive». Gli autori
evidenziarono che erano stati condotti troppo pochi esperimenti del giusto
tipo, e in genere su una scala troppo piccola per fornire risultati definiti­
vi. La loro percezione sul corrente stato della ricerca relativa all'efficacia
dell'estratto di foglie di ginkgo fu sintetizzata come segue: «Ci sono suffi­
cienti evidenze positive per mantenere alto l'interesse per ulteriori ricerche
su ginkgo», ma con una precisazione importante.
Molti anni di esperienza nello studio di nuovi farmaci hanno dimostrato che
i risultati iniziali positivi, ottenuti da ricerche con un limitato numero di soggetti,
tendono a scomparire quando i farmaci sono saggiati con un più alto numero di
soggetti provenienti da popolazioni diverse, cosìcché la vera prova dell'efficacia
del ginkgo è ancora di là da venire. 1 5

1 5 Per un'attenta valutazione della probabile efficacia dell'estratto di ginkgo quale poten­
ziatore delle funzioni cognitive, cfr. GoLD et al. 2003 e GoLD et al. 2002. Cfr. anche la tesi di
dottorato di YoRK 2006 per la meta-analisi di oltre mille studi clinici.

- 2 14 -
Parte VII

Futuro
Pagina precedente: statue di legno di ginkgo, scolpite dal sacerdote buddhista Mokujiki
Shonin all'inizio del XIX secolo nel tempio di Ojiya, Giappone.
32.

Rischio

In molti casi osserviamo . . . che la rarità precede


l'estinzione; e sappiamo che questo appunto fu il
progresso degli eventi in quegli animali che furo­
no distrutti pel fatto dell'uomo o in una determi­
nata località, o nel mondo intero.
Charles Darwin, On the Origin of the Species by Me­
ans of Natura! Selection. 1

Forse più di ogni altro, Dave Raup e Jack Sepkoski, che nelle decadi del
1 980 e 1 990 lavoravano all'Università di Chicago, hanno avviato i moderni
studi quantitativi delle estinzioni nei reperti fossili. Quando arrivai là, nel
1 982, Dave era a capo del settore scientifico del Field Museum, ma pochi
mesi dopo si trasferì all'Università di Chicago, dando un nuovo impulso
allo sviluppo della autorevole tradizione paleontologica di quella sede, che
continua tuttora.
Anche Jack era un pensatore creativo e brillante e molti dei suoi migliori
lavori sono derivati dalle analisi della vasta banca dati da lui stesso svilup­
pata in oltre due decenni. In effetti, Jack costruì una tabella gigante con la
sintesi della presenza di quasi ogni specie animale in tutta la documenta­
zione fossile basata su campioni raccolti in ogni parte del mondo. Grazie a
questa monotona compilazione, egli fu in grado di registrare e analizzare
la comparsa e la scomparsa di diversi tipi di animali negli ultimi 550 milioni
di anni. La banca dati era incentrata sulla storia della vita negli antichi ocea­
ni e alla fine conteneva i dati sul destino di circa 3 .500 famiglie di animali
marini. Fu un'impresa erculea, ma l'ambizione di jack si spinse oltre. Infatti

1 DARWIN 1 859, pp. 392·393. Traduzione di G. Canestrini, 1 875 .

- 217 -
PARTE VII - FUTURO

egli sviluppò una seconda banca dati con la sintesi degli arrivi e partenze di
1 1 . 800 generi di animali nello stesso vasto intervallo di tempo geologico. 2
Dalla sintesi diJack arrivarono prove decisive, assemblate con un nuovo
rigore e analizzate con una nuova visione, di modelli a grande scala nella
storia della vita e quando Dave Raup contribuì con la sua competenza,
ciò che emerse fu il primo comprovato tentativo di quantificare i mutevoli
livelli di estinzione e di origine nel tempo geologico. Un risultato di affasci­
nante semplicità, ma sostenuto da una grande mole di dati e da un enorme
impegno, fu un grafico a barre che mostrava la prima e l'ultima apparizio­
ne di famiglie di animali fossili in diverse epoche del passato. Il grafico svelò
molti alti e bassi nella storia della vita, ma spiccavano in esso cinque inter­
valli, che davano l'idea di momenti catastrofici, nei quali un gran numero
di famiglie scompariva, per non ricomparire mai più.
Uno di questi spasmi di estinzione ebbe luogo intorno al limite tra l'Or­
doviciano e il Siluriano, circa 444 milioni di anni fa; il secondo si verificò
circa 75 milioni di anni dopo, nel Tardo Devoniano, e fu seguito dal terzo e
più drammatico di tutti alla transizione tra Permiano e Triassico, circa 25 1
milioni di anni fa. La quarta grande estinzione avvenne alla fine del Triassi­
co, circa 200 milioni di anni fa, e la quinta, la cosiddetta estinzione K-T che
sterminò i dinosauri e della quale molto è stato scritto, ebbe luogo al limite
tra Cretaceo e Cenozoico, circa 65 milioni di anni fa. Jack e Dave distinsero
questi cinque episodi di estinzione dalla estinzione "di fondo" , che è una
parte inevitabile del processo evolutivo, e dimostrarono anche che mentre
ci sono stati dodici eventi di estinzione significativi negli ultimi 250 milioni
di anni, i "grandi cinque" erano di un ordine totalmente diverso.3
Gli antenati dei ginkgo viventi, forse piante come le glossopteridi, evi­
dentemente sopravvissero all'estinzione di massa della fine del Permiano.
Questa estinzione, la cosiddetta Grande Moria, che cancellò forse il 96% di
tutte le diverse forme di vita animale che popolavano gli oceani, potrebbe
rappresentare il punto più prossimo alla completa estinzione di tutti i vi­
venti. Piante molto simili al ginkgo superarono anche l'estinzione al limite
Triassico-Giurassico, così come quella al termine del Cretaceo. Nonostante

z La compilazione di dati di Jack Sepkoski continuò anche durante la fase di analisi.


RAuP - SEPKOSKI 1 984 analizzarono i dati di 3 . 500 famiglie. RAuP - SEPKOSKI 1 986 analizzarono
i dati di quasi 1 1 . 800 generi.
3 Secondo alcuni commentatori, attualmente ci troviamo nel mezzo della sesta estinzio­
ne di massa, di magnitudine simile a quelle passate, che è indotta dagli uomini e dalla loro
impronta ecologica sempre più grande. Questa può essere una descrizione appropriata della
attuale crisi della biodiversità, ma i dati in nostro possesso riguardano principalmente l' estin­
zione di vertebrati terrestri, quali uccelli e mammiferi, anziché gli invertebrati marini sui quali
poggia in gran parte l'idea delle "cinque grandi" estinzioni.

- 2 18 -
3 2 . RISCHIO

ciò e malgrado la sua resilienza, è mancato poco che il ginkgo soccombes­


se alla estesa riorganizzazione ecologica che ha avuto luogo negli ultimi
milioni di anni e specialmente durante le glaciazioni dell'era Quaternaria.
Per un soffio il ginkgo non è diventato una di quelle piante che, come tante
altre, oggi conosciamo soltanto grazie ai fossili che ci hanno lasciato.
I fossili ci danno la prova diretta che il trauma climatico degli ultimi
milioni di anni ha determinato la scomparsa del ginkgo sia dalla parte occi­
dentale del Nordamerica, sia dall'Europa; analoga perdita è probabilmente
avvenuta anche nella parte orientale del Nordamerica, sebbene ciò non sia
dimostrato dai fossili. La causa fu probabilmente complessa. Un problema
può essere sorto per l'inaridimento del clima. Un altro problema è stato
determinato dai ripetuti assalti di temperature più fredde, inverni più rigidi
ed estati più corte, culminati con l'avanzata dei fronti glaciali da nord.
Probabilmente le giovani plantule di ginkgo sono state le prime a soc­
combere, stroncate prima di potersi ben radicare e di avviare la propria
produzione di semi. Anche gli alberi maturi di ginkgo possono essere stati
uccisi mentre tentavano di trovare acqua, oppure possono essere stati finiti
da inverni implacabilmente freddi, stagioni vegetative abbreviate, gelate
tardive consecutive, forse anche da temperature occasionalmente così bas­
se da uccidere le giovani foglie dentro le loro stesse gemme. Se questa au­
mentata mortalità era abbinata, come sembra probabile, a limitate capacità
di dispersione, l'effetto complessivo sarebbe stato da un lato la graduale
riduzione dell'estensione geografica entro cui il ginkgo poteva crescere e
dall'altro il costante impoverimento del numero di alberi vivi. Quando il
mondo è emerso dall'ultima era glaciale, le popolazioni di ginkgo rimaste
in Cina devono essere state davvero molto ridotte.4
Quando parlava di estinzione, Dave Raup usava spesso una memorabi­
le fiorettatura retorica. Domandava: «Si sono estinti a causa di cattivi geni
o di cattiva sorte?». Era una garbata obiezione al comune presupposto che
gli animali o le piante diventano estinti perché sono poco competitivi e
cedono il passo ad altre specie che sono avversari ecologicamente più forti.
Il punto sollevato da Dave era che questi gruppi non necessariamente era­
no meno competitivi, ma potrebbero essere stati solo sfortunati: forse una
popolazione piccola nel luogo sbagliato al momento sbagliato, oppure una
popolazione grande che ha avuto uno sfortunato incontro con un asteroi­
de. Nel caso del ginkgo, anche la perdita degli animali che ne disperdevano
i semi può essere ritenuta un esempio di "cattiva sorte" . 5

4 Cfr. il capitolo 2 1 per maggiori informazioni sulle possibili popolazioni relitte di ginkgo
viventi in Cina.
5 Luis Alvarez e il figlio Walter sono stati i primi a suggerire che l'impatto di un asteroide

- 219 -
PARTE VII - FUTURO

Come fu chiarito da Darwin, sottolineato da Dave Raup e riconosciu­


to dai conservazionisti dei giorni nostri, il rischio di estinzione per mera
"cattiva sorte" è amplificato nel caso in cui la specie sia ridotta a solo pochi
individui. Il rischio aumenta ulteriormente se queste ultime sacche di re­
sistenza rimaste vivono in un solo posto o in pochi, dove possono essere
cancellate da un singolo evento catastrofico. La Unione Internazionale per
la Conservazione della Natura (IUCN) dà veste formale a questo concet­
to nelle proprie categorie di minaccia, che riconosce nelle cosiddette Li­
ste Rosse. Per rientrare nello schema IUCN come gravemente minacciata,
cioè esposta a «un rischio molto alto di estinzione in natura», una specie
deve soddisfare diversi criteri formalmente definiti, che essenzialmente si
riducono a valutare se la specie è nota soltanto per un piccolo numero di
individui o per una o poche località in un territorio limitato. 6
Nell'attuale Lista Rossa IUCN, i dati più completi si hanno per le 5 .488
specie note di mammiferi, tutti accuratamente valutati sulla base di criteri
stringenti; 1 88 sono gravemente minacciati. Più di una specie su dieci tra
tutti i mammiferi è minacciata o gravemente minacciata; 76 sono ritenute
estinte a partire dal 1 500. L' orice dalle corna a sciabola e il cervo di Padre Da­
vid sono estinti in natura e sopravvivono soltanto in cattività. La situazione
è simile per tutti gli altri vertebrati e anche - per quanto ne sappiamo - per
le piante. La recente valutazione di tutte le 800 specie di conifere e cicadofite
del mondo ne individua più di un terzo come minacciate di estinzione.
Un'altra considerazione importante nelle valutazioni della Lista Rossa
riguarda l'evidenza o meno del declino della dimensione della popolazione
di una specie. La misura di un simile declino è fondamentale per il Living
Planet Index, un metodo diverso per valutare lo stato di salute della diver­
sità biologica. Questo indice, sviluppato dal WWF, si basa sulla compila­
zione di dati sulle mutevoli dimensioni delle popolazioni di 1 .3 1 3 specie
animali, inclusi pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi. Dal 1 970 il Living
Planet Index è scivolato del 30%, in sintonia col tetro quadro raffigurato
nella Lista Rossa IUCN. In qualunque modo si guardi l'attuale stato della
biodiversità, le notizie non sono buone; molta diversità è già stata perduta
e la tendenza è sistematicamente negativa. La situazione è urgente e solle­
va questioni della massima importanza circa le priorità di conservazione e
i metodi più efficaci da adottare.

possa aver determinato !"estinzione al limite Cretaceo·Terziario (circa 65 milioni di anni fa);
cfr. ALVAREZ et al. 1 980.
6 La Lista Rossa IUCN classifica le specie in diverse categorie di minaccia che variano da
gravemente minacciata a minacciata fino a vulnerabile. Per dettagli aggiuntivi sulle categorie
e i criteri formali sui quali si basano, cfr. www.iucnredlist.org.

- 220 -
33.

Assicurazione

Presero tutti gli alberi


E li misero nel museo degli alberi
E chiedevano a tutte le persone
Un dollaro e mezzo solo per entrare a guardarli,
Non sembra andare sempre così,
Che non sai cos'hai finché non c'è più?
Joni Mitchell, Big Yellow Taxi. 1

Aldo Leopold, il più noto laureato della Scuola di Scienze Forestali e


Studi Ambientali di Yale, affermò con una famosa frase di A Sand County
Almanac:
Se il biota, nel corso di secoli, ha costruito qualcosa che ci piace ma che non
comprendiamo, chi se non uno stupido butterebbe via ciò che sembra inutile?
La prima precauzione nel disassemblaggio intelligente è tenere da parte ogni
ingranaggio.

Il messaggio per la conservazione moderna è chiaro, ma troppo spesso


siamo costretti a fare scelte e la precisa modalità per determinare le priori­
tà della conservazione è una questione complicata, in merito alla quale vi
sono molte opinioni differenti. Nonostante ciò, rivolgere l'attenzione sulle
specie a più alto rischio è una scelta di buonsenso e significa dedicare un im­
pegno particolare per le specie di cui sono note solo popolazioni piccole e

1 Big Yellow Taxi, dall 'album Ladies of the Canyon di ]oni Mitchell, parole e musica di joni
Mitchell, © 1970 (rinnovato) Crazy Crow Music. Tutti i diritti amministrati da SONY l ATV
Music Publishing.

- 22 1 -
PARTE VII - FUTURO

minacciate. Fare quanto è in nostro potere per proteggerle nei luoghi dove
vivono, ridurre il tasso di scomparsa e incoraggiare la loro riproduzione
sono tutti passi critici verso lo stesso obiettivo di base: stabilizzare o aumen­
tare il numero di individui vivi di quelle specie nelle condizioni naturali.
Da molto tempo gli zoo hanno riconosciuto che le minacce verso alcuni
animali nei loro ambienti naturali sono così serie e così alta è la probabilità
di soccombere alla mera "cattiva sorte" o ai fucili dei bracconieri, che la spe­
ranza più fondata è quella di allevarli in cattività. In alcuni casi si è rivelato
possibile re-introdurre gli animali negli ambienti naturali. Allo stesso modo,
per le piante, la conservazione per mezzo della coltivazione è una parte im­
portante della cassetta degli attrezzi necessari per preservare per il futuro la
varietà della vita vegetale. Dovrebbe essere fatto il possibile per conservare
le piante laddove esse crescono, parte del più ampio ecosistema nel quale
si sono evolute e dei più ampi processi ecologici in cui esse stesse hanno
un ruolo; questo dovrebbe sempre essere l'obiettivo principale. Tuttavia,
come in altre sfere della vita in cui è alto il rischio di perdita irreversibile, è
sensato richiedere un'assicurazione. Nel mondo vegetale, sono istruttive le
azioni intraprese per assicurare la conservazione a lungo termine del pino
di Wollemi. Come il ginkgo, il pino di Wollemi è una di quelle specie che
l'incontro con l'uomo ha aiutato a rendere più sicure, non più minacciate.2
Nel 1 994, la scoperta del pino di Wollemi nelle Blue Mountains, appena
a Ovest di Sidney, fu drammatica. David Noble, un guardaparco al servi­
zio del New South Wales National Parks and Wildlife Service, si calò con
una fune in una gola altrimenti inaccessibile e si trovò di fronte un albero
peculiare, con foglie dall'aspetto strano e corteccia "spumeggiante" . Gli
specialisti del Royal Botanic Gardens di Sidney si accorsero subito che si
trattava di una specie nuova, ma quasi allo stesso tempo si resero conto
che era una specie sensibile alla "cattiva sorte" , per usare il termine coniato
da Dave Raup. La popolazione infatti consisteva di 1 1 0 individui in totale,
ubicati in tre località molto vicine tra loro. La "cattiva sorte" , rappresentata
da un incendio boschivo nel posto sbagliato o dall'arrivo di un patogeno
vagante sugli scarponi di un escursionista, poteva essere sufficiente a cau­
sarne l'estinzione. Per le autorità del New South Wales, le conseguenze
catastrofiche di simili eventi casuali determinarono, in modo convincente,
la necessità di rapide azioni di conservazione.
Il primo passo fu la protezione dell'area. La località esatta della popola­
zione di pino di Wollemi è mantenuta segreta e l'accesso alla zona, sia pure

z Analogamente al ginkgo, il pino di Monterey oggi sopravvive in tre popolazioni native,


tutte minacciate dal cancro resinoso. Come albero da legname è coltivato in tutto il mondo per
almeno sette milioni di acri in totale (Conifer Specialist Group, 1 998).

- 222 -
3 3 . ASS I C U RAZ I O N E

per le più legittime motivazioni, è fortemente limitato. Si decise inoltre di


non intervenire nell'habitat incontaminato, apparentemente intatto e non
soggetto alla diretta influenza dell'uomo. Inoltre, sin dall'inizio fu messa in
atto una poderosa sperimentazione per avviare la coltivazione del pino di
Wollemi e poterlo così distribuire ad altri Orti. Alcune tra le prime piante
di questa specie fuori dall'Australia furono coltivate a Kew e Wakehurst
Place. Decine di migliaia di pini di Wollemi, in definitiva tutti cloni del
centinaio di alberi della popolazione naturale, furono distribuiti dalla Na­
tional Geographic Society al prezzo di 99.95$ l'uno. Grazie alla abbondante
disponibilità di plantule di diversa origine, questo albero unico e distintivo,
sconosciuto una ventina di anni fa, è sempre più comune nei giardini di
tutto il mondo. Nei prossimi decenni e secoli, anche se i pochi alberi ri­
masti nelle Blue Mountains dovessero soccombere a incendi, patogeni o
al cambiamento climatico, la specie sarà al sicuro. La sua sopravvivenza a
lungo termine è assicurata dalla combinazione di una efficace propagazio­
ne vegetativa, un'abile strategia commerciale e una campagna pubblicitaria
di alto profilo. 3
Alla fine dell'ultima era glaciale, il numero di alberi di ginkgo sopravvis­
suti in Cina può non essere stato così basso come quello dei pini di Wollemi
nelle Blue Mountains, ma probabilmente la sua situazione era altrettanto
precaria. Comunque, anche il ginkgo è stato fortunato; grazie alla sua as­
sociazione con l'uomo, la popolazione di alberi di ginkgo che crescono in
tutto il mondo è largamente aumentata. Sebbene tra gli alberi di ginkgo
coltivati molti siano simili dal punto di vista genetico e quindi ugualmente
suscettibili a nuovi parassiti o malattie, oggi la diffusione del ginkgo è così
ampia che la sua estinzione per mera "cattiva sorte" è assai poco probabile.
Portando l'albero in coltivazione in grandi quantità e in molte parti del
mondo, abbiamo aumentato di molto le sue probabilità di sopravvivenza
a lungo termine, a beneficio di tutti. Questo tipo di strategia ex situ per la
conservazione delle piante è necessario, perché gli alberi sono minacciati
in tutto il mondo. Secondo la responsabile della Global Trees Campaign,
Sara Oldfield del Botanic Gardens Conservation International, più di otto­
mila specie, approssimativamente il 1 0% di tutti gli alberi conosciuti, sono
minacciate di estinzione. Più di settanta sono ritenute estinte, una ventina
sono note soltanto in coltivazione e queste cifre deprimenti sono quasi
sicuramente una sottostima. Come il ginkgo, ognuno di questi alberi ha la

3 Nel 2005, nonostante lo stretto regime di protezione, su alcuni pini di Wollemi fu ri·
scontrata un'infezione da Phytophthora cinnamomi, un patogeno fungino potenzialmente de·
vastante, probabilmente introdotto da escursionisti che erano riusciti a penetrare nella zona
riservata. Per ulteriori informazioni cfr. SALLEH 2005.

- 223 -
PARTE VII - FUTURO

propria storia da raccontare; ognuno contribuisce a riempire una parte del


grandioso puzzle evolutivo.4
Ci sono molti esempi analoghi. La Franklinia, dedicata a Benjamin Fran­
klin e scoperta nel l ? 65 in Georgia, all'epoca colonia inglese in America, da
john e William Bartram, è un altro albero ampiamente coltivato ma non
più esistente allo stato spontaneo. Dell'albero del cotone hawaiano, solo
quattro esemplari vivono nel loro habitat originale, ma molti di più sono
conservati negli Orti botanici. Si tratta di un piccolo albero con spettacolari
fiori rossi simili all'ibisco; circa tre milioni di anni fa, per pura buona sorte
i suoi antenati raggiunsero le Hawaii; un turno di cattiva sorte potrebbe
facilmente cancellarlo dall'Arcipelago. Negli anni 1 980, l'albero del cavolo
di Robinson Crusoe, che si trova soltanto nell'Arcipelago Juan Fernandez,
era ridotto a tre individui. Il caffè marrone, esclusivo delle isole Rodrigues,
sopravvive in natura con un singolo esemplare; dell'ebano di Sant'Elena
sopravvivono solo due individui; l'albero di Toromiro, dell'Isola di Pasqua,
è estinto in natura. Tutti hanno trovato un rifugio sicuro nelle collezioni
botaniche coltivate a Kew e in altri Orti botanici di tutto il mondo.
Questi esempi rappresentano casi di riuscita assicurazione contro l'e­
stinzione ottenuta tramite la messa in coltivazione, talvolta combinata con
la protezione delle specie nelle banche semi. La conservazione ex situ, di
per sé, non è certamente sufficiente. Non può conservare i processi che
mantengono le specie negli habitat naturali, né può sostenere i servizi eco­
logici forniti dalle comunità di cui le specie fanno parte. Comunque, la
conservazione ex situ è un metodo fondamentale per conservare a lungo
termine la diversità vegetale. Conservazione in situ ed ex situ sono entram­
be necessarie e devono essere integrate per assicurare la sopravvivenza a
lungo termine di specie che altrimenti rischiano di scomparire per sempre. 5
Alcuni asseriscono che l'impegno nei confronti della conservazione ex
situ indebolisca gli sforzi per conservare le piante negli habitat nativi o pos­
sa drenare fondi altrimenti destinati alla conservazione in situ. Tali consi­
derazioni sono comprensibili, ma non riescono a inquadrare la realtà della
difficile situazione nella quale ci troviamo o le diverse opportunità di finan­
ziamento della conservazione; dobbiamo evitare, nell'ambito della conser­
vazione come in molti altri settori, che il perfetto diventi nemico del buono.
Come a lungo riconosciuto negli zoo, la conservazione ex situ è una
pratica meritevole di attuazione, che porta anche altri benefici. Attira

4 La Global Trees Campaing è condotta in partenariato da Fauna and Flora International,


Botanic Gardens Conservation International, UNEP World Conservation Monitoring Centre
e altri: cfr. www.globaltrees.org.
5 Per un esame della conservazione ex situ di piante, che comprende una efficace integra­
zione con la conservazione in situ, cfr. GuERRANT et al. 2004.

- 224 -
3 3 . ASSI C U RAZIONE

l'attenzione sulle difficoltà delle specie minacciate, crea opportunità per


valutare lo stato delle popolazioni negli habitat naturali e contribuisce a
costruire in tutto il mondo una competenza collettiva per la conservazio­
ne della diversità biologica. Il ginkgo e il pino di Wollemi sono eccellenti
esempi rappresentativi del mondo delle piante. Ambedue sono conosciuti
dai reperti paleontologici, ma siamo tutti certamente d'accordo nel rite­
nerci fortunati a poterli osservare come alberi vivi anziché soltanto come
fossili. In quanto organismi vivi, possiamo continuare a goderne, a studiarli
e a meglio comprenderne i segreti intimi.
Il ginkgo e altre piante dal simile destino illuminano la storia mondiale
alla scala più grandiosa, che alcuni definiscono la Grande Storia. Proprio
come è incompleto l'insegnamento della storia in una prospettiva esclusi­
vamente occidentale, la storia limitata entro un ristretto orizzonte tempo­
rale registra solo in parte gli eventi che hanno dato vita al nostro mondo
moderno. Non si tratta solo del nostro piacere e del nostro svago; lo studio
dei viventi e della loro origine è una delle più importanti finestre che ci
consentono di capire il mondo in cui viviamo e il posto che vi occupiamo.
Si è detto talvolta che le ragioni per conservare una specie biologica
sono poco differenti da quelle per salvare una grande opera d'arte. È una
analogia utile, che ci ricorda ciò che siamo destinati a perdere quando una
specie si estingue. Sottolinea la dimensione culturale, emotiva ed etica del­
la conservazione di animali e piante. Ma è anche incompleta. La conserva­
zione delle specie non è solo una gratificazione per i tree hugger che apprez­
zano la natura selvaggia.
Per me, c'è una differenza fondamentale tra perdere un prodotto del
genio umano, creato nell'arco di giorni, settimane o anni e perdere qualcosa
creato dalla natura nell'arco di millenni. Si tratta in entrambi in casi di una
perdita tragica, ma nel confronto tra perdita di specie biologiche e perdita
di imprese umane e nell'equiparazione tra la creatività umana e quella della
natura sfugge completamente l'enormità della situazione che abbiamo di
fronte. Personalmente preferisco un'altra analogia, anche questa discussa di
tanto in tanto: abbandonare le specie all'estinzione quando abbiamo i mezzi
per intervenire è come lasciare bruciare una biblioteca proprio quando stia­
mo imparando a leggere i libri. È uno spreco di informazioni e una perdita di
conoscenza relativa al nostro mondo. La perdita delle specie è un'occasione
mancata di comprendere meglio il nostro passato, mentre sappiamo che la
conoscenza del passato sarà indispensabile per gestire il futuro. Conservare
il ginkgo e altre specie significa conservare le informazioni sulla nostra stes­
sa origine, la nostra stessa storia e la storia dei sistemi biologici e geologici
dei quali facciamo parte. L'estinzione distrugge le prove di come il nostro
mondo, con tutto ciò che contiene, è diventato come lo vediamo oggi.

- 225 -
34.

Dono

Nelle comunità sorrette dallo scambio di doni,


"stato" , "prestigio" e "stima" sostituiscono la re­
munerazione in denaro.
Lewis Hide, The Gift.

Nel mese di giugno del l 992, le nazioni di tutto il mondo si riunirono


a Rio de janeiro per il primo Summit della Terra. Con la partecipazione
di 1 72 paesi, più di cento capi di stato e 2400 rappresentanti di organizza­
zioni non governative, fu una delle più grandi conferenze mai convocate
delle Nazioni Unite. La conferenza aveva lo scopo di affrontare la crescente
preoccupazione riguardo il deterioramento ambientale a livello globale. La
consapevolezza circa l'inquinamento e il peggioramento della qualità am­
bientale, così come delle loro conseguenze sulla salute umana, era in fer­
mento sin dalla decade del l 950. Rio rappresentò il culmine di quel processo
e un momento chiave nella crescita del movimento ambientalista globale. 1
A Rio, un elemento di attenzione fu la desertificazione, cioè la perdi­
ta di vegetazione nelle zone aride del pianeta, e la minaccia che essa po­
neva alle popolazioni indigenti dei paesi in via di sviluppo. Un altro fu il
cambiamento climatico, tanto che proprio a Rio fu presentata al mondo
la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici; il
suo testo portò al protocollo di Kyoto e - molto dopo - alle conferenze sul
cambiamento climatico di Copenhagen, Cancun, Durban e di altre sedi.
Venne inoltre aperta alla firma la Convenzione sulla Diversità Biologica

l HYDE 1 983, p. 1 0 1 .

- 226 -
3 4 . DONO

e nel mese di dicembre del 1 993 , novanta giorni dopo la ratifica da parte
del trentesimo paese, la Convenzione entrò in vigore. Oggi, tutti i paesi
del mondo, ad eccezione di Andorra, Città del Vaticano, Sud Sudan e Stati
Uniti d'America, sono parti della Convenzione.2
La Convenzione sulla Diversità Biologica ha come obiettivo la conser­
vazione e l'uso sostenibile della diversità biologica. Rappresentò una rispo­
sta ai crescenti sospetti circa il destino di animali e piante con cui condivi­
diamo il pianeta. A partire dall'allarme di Rachel Carson per le devastanti
conseguenze dell'uso diffuso di pesticidi di sintesi, fino alla attenzione sol­
lecitata da Chico Mendes nei riguardi della perdita delle foreste pluviali
e dei soprusi di cui erano vittima i loro abitanti, per concludere con l'in­
venzione del termine stesso biodiversità verso la metà degli anni 1 980, la
Convenzione fu l'espressione ultima di un processo che si era prolungato
per decenni e l'occasione nella quale le nazioni del mondo cercarono una
strategia condivisa per ridurre la distruzione e il degrado della biodiversità.
Fin dalle prime fasi delle trattative che hanno portato alla Convenzione,
fu chiaro che la diversità biologica non era distribuita in modo omogeneo
sulla superficie del pianeta. I luoghi più ricchi del mondo di specie vegetali
sono le regioni tropicali di America centrale e meridionale, specialmente
alle pendici delle Ande in Colombia ed Ecuador, e le foreste pluviali di Afri­
ca centrale e Asia sudorientale, specialmente la Malesia.
Ne emerge un peculiare schema, nel quale molti paesi che hanno una
biodiversità relativamente ricca hanno un'economia relativamente povera
e lottano contro enormi problemi quotidiani per migliorare la qualità del­
la vita dei loro abitanti. Ne risulta che la preoccupazione per il destino di
animali o piante, che scaturisce specialmente dai paesi più ricchi del mon­
do, sembra spesso in conflitto con le preoccupazioni più immediate per
il benessere degli abitanti dei paesi più poveri. In conseguenza di questa
tensione, le trattative per definire la Convenzione divennero molto tese e
profondamente politicizzate.
Questa realtà politica si manifestò specificamente nella percezione di
un conflitto tra la conservazione della diversità biologica e il suo uso da
parte dell'uomo. Se da un lato si temeva per il destino a lungo termine di
specie animali e vegetali, dall'altro si ponevano questioni critiche su aspet­
ti fondamentali di giustizia umana - povertà, malnutrizione, mortalità in­
fantile e i molti pressanti problemi evidenziati ad esempio nel Millennium
Development Goal - che devono essere affrontate. Tuttavia, mentre è fa-

z Le informazioni ufficiali in merito alla Convenzione sulla Diversità Biologica si trovano


all'indirizzo www. cbd.int.

- 22 7 -
PARTE VII - FUTURO

cile rappresentare questa tensione nei termini di una semplice dicotomia,


natura contro uomo, la realtà è ben più complessa. I destini degli uomini e
quelli del loro ambiente sono inestricabilmente connessi.
La Convenzione non aveva il compito di elaborare una risposta definitiva
a una questione così complicata, ma in ogni caso tentò una mediazione con
la approvazione del principio in base al quale la conservazione e l'uso della
diversità biologica sono due facce della stessa moneta: la conservazione della
diversità biologica ci consente di usarla in modo sostenibile. Questo princi­
pio contiene implicitamente l'idea che considerare conservazione e uso qua­
li attività complementari rafforza le argomentazioni a favore della conserva­
zione poiché ne sottolinea il valore. Questa posizione si fonda su un punto
molto semplice: la diversità biologica deve essere conservata perché utile.
In termini generali, queste considerazioni sono molto sensate: mante­
niamo ciò che usiamo e siamo più propensi a conservare ciò che apprez­
ziamo. Tuttavia, al di là di questi princìpi, il contesto politico delle trattati­
ve per la Convenzione fu agitato dalle argomentazioni di conservazionisti
troppo zelanti, secondo cui il motivo fondamentale per proteggere gli ha­
bitat naturali - e più emblematicamente le foreste pluviali - era l'enorme
ricchezza - un vero Eldorado - contenuta nelle specie che le abitano, un
tesoro in attesa di essere sfruttato. Questa argomentazione fu messa sul
tavolo delle trattative con le migliori intenzioni, ma le sue conseguenze
furono del tutto impreviste. La promessa di futuri e sostanziali profitti fece
montare, nei negoziati sul futuro della vita sulla Terra, le tendenze più na­
zionalistiche e protezionistiche, sviandole dai princìpi più elevati ai quali si
sarebbero dovuti auspicabilmente ispirare.
In conseguenza di questa complessità, mentre il testo della Convenzio­
ne riconobbe che la conservazione della diversità biologica "è un impegno
comune dell'umanità" , purtuttavia esso sancì per la prima volta nella legisla­
zione internazionale il principio che le risorse biologiche presenti nel territo­
rio di un paese ne costituiscono un patrimonio nazionale. Per un verso, ciò si
limitò a confermare delle pratiche già adottate da molti paesi, dove l'uso di
animali e piante presenti entro il proprio confine era soggetto a leggi nazio­
nali, ma quando fu sollevata la questione nelle trattative internazionali per
la Convenzione, salirono di nuovo alla ribalta le considerazioni circa i ter­
mini in base ai quali regolamentare la condivisione delle risorse biologiche
a livello internazionale. Inevitabilmente, il dibattito alimentò una rinnovata
sensibilità nazionalistica e complicò ulteriormente il panorama politico. 3

3 A norma della Convenzione, la diversità biologica è considerata patrimonio nazionale


di ciascun paese, ma è evidente che la distribuzione delle specie non rispetta i confini nazio·

- 228 -
3 4 . DONO

Lo scontro con tali complessità produsse un'altra disposizione chiave


della Convenzione: "la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti
dall'uso delle risorse genetiche connaturate agli organismi viventi." An­
che in questo caso, ne seguì una discussione apparentemente ragionevole
sull'opportunità che i paesi impegnati nella conservazione e uso sosteni­
bile della diversità biologica entro i propri territori ricevessero una parte
dei benefici derivanti dal suo uso. Poi, le accresciute aspettative di ritorni
finanziari, le apprensioni per possibili atti di 'biopirateria" e la generale
mancanza di fiducia spinsero il testo della Convenzione ben più avanti su
questa strada, fino al punto di legare la condivisione dei benefici non solo
agli usi commerciali della biodiversità ma anche all'accesso ad essa. Tra le
conseguenze vi furono gli «accordi per l'accesso e la condivisione dei bene­
fici» legalmente vincolanti.
In questo contesto, la Convenzione cercò di imporre alle nazioni la
responsabilità della conservazione della diversità biologica all'interno dei
propri confini, tentando allo stesso tempo di prevedere incentivi economici
tramite il mantenimento dell'opzione per l'uso sostenibile e l'introduzio­
ne del principio di condivisione dei benefici. Apparentemente si trattava
di una proposta sensata, la cui sostanza implicava però una fondamentale
conseguenza: le piante e gli animali, che l'evoluzione planetaria, sviluppa­
tasi in 4,6 miliardi di anni, ha lasciato in eredità a tutti, non facevano più
parte del patrimonio comune dell'umanità; al contrario, divennero beni di
proprietà delle nazioni. Alberi, uccelli, fiori e tutti gli altri tipi di organismi,
dagli insetti ai batteri, e il loro materiale genetico, entrarono in possesso
delle popolazioni umane che abitavano entro i confini delle singole nazioni.
Per il futuro del ginkgo, la Convenzione sulla Diversità Biologica non
è stata di alcun aiuto, ma neppure di intralcio. La Convenzione non ha va­
lore retroattivo e il ginkgo era già ubiquitario prima dell'avvio della nostra
maldestra strategia per la conservazione della varietà di organismi animali
e vegetali. Ciò nonostante, la domanda interessante è: se oggi, in qualche
zona remota, fosse scoperto un "nuovo ginkgo" , la Convenzione lo rende­
rebbe più sicuro o più vulnerabile?
La risposta dipende totalmente dalla mentalità del paese nel quale av­
viene la scoperta. Nell'attuale sistema attuativo della Convenzione e nell'at­
mosfera che essa ha prodotto in molti paesi, un "nuovo ginkgo" sarebbe
controllato a vista. Sfortunatamente, ciò non implicherebbe la sua efficace

nali, i confini dei paesi solo raramente sono definiti in base a criteri biologici o ecologici e le
strategie di conservazione, per essere sensate, richiedono una forte integrazione anziché la
definizione sulla base delle esigenze di singole nazioni.

- 229 -
PARTE VII - FUTURO

protezione o la sua sicurezza nel lungo periodo. In altri paesi, comunque,


la questione sarebbe probabilmente affrontata in modo più illuminato e
il pino di Wollemi offre un esempio incoraggiante, che aiuta a esplorare i
possibili esiti di un simile esercizio mentale.
L'Australia, o più rigorosamente il governo del New South Wales al
quale è delegata l'attuazione della Convenzione nell'ordinamento federale
australiano, ha adottato un comportamento sensato e pragmatico per as­
sicurare il futuro a lungo termine del pino di Wollemi. In effetti il governo
ha inteso ottenere un ritorno finanziario a breve termine da investire nella
conservazione della specie e allo stesso tempo ha provato a replicare ciò
che è accaduto al ginkgo grazie alla sua interazione con l'uomo. Infatti,
oltre a proteggere l'albero nel suo ambiente naturale, le autorità del New
South Wales decisero che era indispensabile diffonderne la coltivazione e
non solo in Australia, con un impatto determinante. I responsabili del pro­
gramma non hanno mai nutrito illusorie aspettative di vantaggi economici
a lungo termine.
In primo luogo, fu stipulato un contratto con una ditta per gestire la
propagazione e la distribuzione del pino di Wollemi. La ditta mise in pro­
gramma la propagazione di migliaia di giovani piante, che al momento op­
portuno furono immesse nelle reti commerciali dei paesi di tutto il mondo.
Quindi, il governo condusse una campagna pubblicitaria di grande succes­
so e molto ben coordinata, che contemplava la vendita delle prime piante
ottenute nel programma di propagazione tramite un'asta internazionale di
alto profilo, tenuta a New York da Sotheby's. I fondi raccolti grazie all'asta
e alle vendite furono incanalati, tramite la ditta, verso la conservazione
della piccola popolazione rimasta nell'habitat naturale.
Il pino di Wollemi rappresenta un eccellente esempio di strategia inte­
grata per la conservazione di una pianta rara. Da un lato è stata potenziata
la protezione della popolazione in natura, dall'altro questa specie unica è
stata assicurata contro la "cattiva sorte" grazie alla sua diffusione in colti­
vazione. Oggi il pino di Wollemi è coltivato con successo nei giardini di
tutto il mondo e senza dubbio altri ne continueranno la propagazione nei
prossimi decenni e secoli. Passo dopo passo, il pino di Wollemi, coltivato
in giardini lontano dalla sua "casa" in natura, si congiungerà ai molti altri
meravigliosi doni fatti al mondo dall'Australia.
Nella misura in cui la Convenzione ostacola questo efficace strumento
di conservazione ex situ, o è percepita come un impedimento o peggio
ancora viene utilizzata per motivare il divieto di simili scambi di materiale
vegetale, essa può fare più male che bene. Nel mondo del giardinaggio cir­
cola un detto, trito e ritrito: «Se avete una pianta rara, regalatela». L'idea è
semplice: così si aumenta il numero di piante in coltivazione e si elimina il

- 23 0 -
3 4 . DONO

rischio di perdere qualcosa di prezioso per mera "cattiva sorte" . Disgrazia­


tamente la Convenzione ci guida in direzione opposta, lontano da questo
semplice principio di buon senso.
Un'altra considerazione interessante è il vero significato della Conven­
zione per piante come il ginkgo. Sarebbe difficile confutare l'idea che il
ginkgo appartiene in un certo senso alla Cina, ma è ugualmente sensato
sostenere che il ginkgo appartiene a tutti noi. Quale ultimo discendente di
un lignaggio vegetale che una volta era molto più diversificato e che cresce­
va in tutti i continenti, esso fa parte del patrimonio naturale condiviso che
lega tutti i popoli. Il ginkgo è sia un dono del mondo alla Cina, sia un dono
della Cina al mondo. Quando si vede un ginkgo lungo le vie di Londra,
New York o Tokyo, si dovrebbe capire che si tratta di un dono del quale
tutti dovremmo sentirei grati. È un dono che aumenta la stima che altri
hanno della Cina, tanto più che è un dono offerto gratuitamente.
Questa linea di pensiero ci richiede di guardare oltre la scienza e l'e­
conomia per cercare di indirizzare la nostra visione dei sistemi naturali,
di cui siamo parte, e i nostri tentativi di gestirli. Ci porta in una sfera nella
quale entrano in gioco princìpi etici, valori morali, relazioni spirituali e una
visione più aperta del posto che occupiamo nel mondo, anzi nell'univer­
so. In molte parti del mondo, le religioni sono al centro della concezione
sviluppata dagli uomini su questi terni e hanno un ruolo di primo piano
nell'edificazione dei canoni morali che guidano le nostre interazioni con
altre persone e con l'ambiente. 4
In alcune religioni, tuttavia, le idee che riguardano il mondo naturale
non sono centrali ma periferiche. Ad esempio, lo storico delle culture Tho­
mas Berry suggerisce che il cristianesimo, con la sua attenzione all'indivi­
duo e alla relazione dell'individuo con il suo Dio, ci guida in molti modi in
senso introspettivo. Ci predispone a una visione del mondo fondamental­
mente imperniata sulla relazione tra uomo e Dio, che troppo spesso volta
le spalle al mondo naturale . Allo stesso tempo, Berry sostiene che una vi­
sione puramente secolare, meccanicistica e scientifica ha ristretto la nostra
prospettiva e smussato la nostra capacità di meravigliarci. Fortunatamente,
per molte persone in tutto il mondo e non solo per botanici, giardinieri o
conservazionisti, gli alberi mantengono intatta la capacità di generare ispi­
razioni, suscitare stupore e sollevare lo spirito. Essi incarnano i valori in­
trinseci della natura. Thomas Berry direbbe che in un certo senso essi sono

4 Dal l 996, il Forum su Religione ed Ecologia, organizzato dai miei colleglù di Yale Mary
Evelyn Tucker e John Grimm, evidenzia i ruoli importanti che le religimù svolgono nel con­
tribuire a indirizzare l'interazione tra uomo e ambiente; per ulteriori informazioni, cfr. www.
religionandecology.org.

- 23 1 -
PARTE VII - FUTURO

parte di noi e noi di loro. Gli alberi soddisfanno la fondamentale esigenza


di biofilìa che è profondamente annidata in noi, un'esigenza ereditata dai
nostri progenitori ma sempre meno alimentata nella nostra esistenza prin­
cipalmente urbana e perlopiù al chiuso. 5
Le trattative internazionali che hanno prodotto la Convenzione, con la
sua attenzione campanilistica ai benefici e alla commercializzazione, met­
tono nitidamente a fuoco le questioni fondamentali sulla relazione, attual­
mente insoddisfacente, che intratteniamo col mondo naturale. Siamo certi
che sia sensato gestire l'ambiente globale in base alle esigenze di singole
nazioni? Siamo soddisfatti di un punto di vista nel quale si afferma chia­
ramente che la natura esiste solo per il beneficio che possono trame gli
uomini? È giusto, moralmente o eticamente, che le esigenze degli uomini
siano sempre superiori alla sopravvivenza a lungo termine di piante o ani­
mali? Infine, è davvero nel nostro interesse, nel lungo periodo, estendere
senza limiti la nostra egemonia sulla natura? Il modo in cui queste doman­
de troveranno risposta sarà importante per il futuro dell'intera umanità.
Se proviamo ad ampliare la nostra visione della storia del pianeta e rico­
nosciamo che ci siamo evoluti, in migliaia di anni, come componenti di un
sistema globale complesso, di cui abbiamo tuttora una scarsa conoscenza,
allora potremmo ammettere che sembra arrogante e poco lungimirante
porvi così apertamente al centro il genere umano. Potrebbe anche essere
rischioso. Per dirla con le parole del mio amico Paul Falkowski, «Il nostro
destino sta nel comprendere che l'umiltà conduce all'illuminazione, la hy­
bris all'estinzione».

s Per ulteriori informazioni sulla filosofia di Thomas Berry, cfr. BERRY 2009. Per altri det­
tagli sulla teoria della biofilia, cfr. KELLERT - WILSON 1 993.

- 23 2 -
35.

Lascito

Nell'impero degli usurai il sentimentalismo degli


uomini dal cuore tenero ci interpella perché ci
parla di ciò che è andato perduto. 1

Tony Kirkham, che gestisce l'arboreto di Kew, è divenuto quasi una


celebrità. È comparso in ruoli di primo piano nel programma della BBC
A year at Kew, trasmesso dalla televisione inglese tra il 2004 e il 2006. Si
è poi specializzato con una serie televisiva tutta sua: The Trees That Made
Britain. Con il collega john Hammerton, ha esplorato il contributo degli
alberi alla storia, al paesaggio e alla cultura britannica, passando dalla con­
servazione degli antichi tassi nei cimiteri rurali all'uso del loro legno per la
costruzione dell'arco lungo medievale. Ha assaggiato il sidro prodotto con
mele inglesi del Somerset, navigato su coracle con intelaiatura di frassino
e indagato le ordinate sommerse della nave da guerra britannica del XVI
secolo, la Mary Rose.
Comunque, il lavoro quotidiano di Tony è la cura dei quasi quindicimi­
la alberi della tenuta di Kew. Egli deve accertarsi che siano in perfetta salu­
te, che crescano bene e che la documentazione della loro messa a dimora,
coltivazione e trattamenti sia sempre aggiornata nella copiosa banca dati
che consente di tenere traccia delle collezioni di piante vive di Kew. Tra i
compiti di Tony vi è anche la responsabilità di assicurarsi che nessuno dei
suoi alberi costituisca un pericolo per i visitatori di Kew. Tutti gli anni, ogni
albero è sottoposto ad attento controllo. Tony è anche un esperto arram-

l HYDE 1 983, p. 1 82.

- 23 3 -
PARTE VII - FUTURO

picatore di alberi - un'operazione potenzialmente pericolosa - e ha rivisto


di recente il classico libro sulla potatura di alberi e arbusti scritto da uno
dei suoi predecessori all'arboreto. Ai giorni nostri, è il suo team a occuparsi
delle imbracature necessarie per rimuovere i rami secchi dalla parte alta
della chioma.
Tony è anche responsabile dell'incremento delle collezioni di alberi vivi
di Kew. È ben consapevole di dover piantare molti più alberi di quanti ne
toglie, in previsione delle perdite che i giovani alberi subiranno, a causa di
malattie o tempeste, prima di raggiungere la maturità. Nel 2009, in occa­
sione del 250° anniversario della fondazione dei Royal Botanic Gardens
Kew, supervisionò l'impianto di 250 nuovi alberi nei terreni di Kew. Gli
ultimi due, piantati nel mese di maggio, furono un pino di Wollemi, messo
a dimora dal Duca di Edinburgo, e un ginkgo, piantato da Sua Maestà la
Regina. Tony guarda lontano: comprende molto bene che i suoi impianti
serviranno per coloro che verranno a Kew tra cento o duecento anni o
forse più.
Il Vecchio Leone è uno degli oltre cinquanta alberi di ginkgo affidati
alle cure di Tony Kirkham. Li controlla tutti a vista, ma il Vecchio Leo­
ne è speciale. Negli ultimi anni, Tony ha rimosso gli arbusti che prima gli
crescevano intorno, non reputando necessaria la competizione di piante
di minore importanza. Ha tolto il prato circostante e lo ha sostituito con
una pacciamatura disposta in un ampio cerchio tutto intorno alla base del
tronco. Ha asportato una parte del viale asfaltato che passava sotto l'albe­
ro, per migliorare la circolazione di aria e acqua verso le radici, e ha usato
microcariche di azoto compresso per sgretolare il suolo compattato che
circondava le radici.
Le cure che Tony presta ai suoi alberi e la preoccupazione che sente
per il Vecchio Leone e per altri esemplari dalla lunga vita affidati alla sua
custodia, trovano delle somiglianze non solo in Inghilterra, ma in ogni par­
te del mondo. A Oak Park, alle porte di Chicago, quando il ginkgo che
vive fuori dalla casa e studio di Frank Lloyd Wright cominciò a mostrare
segni di stress, furono subito chiamati i dendrochirurghi, che rimossero
i rami secchi ed eseguirono una meticolosa potatura, dalla quale la pian­
ta emerse ringiovanita. Per l'ansia che il ginkgo di Yongmunsa, in Corea,
potesse essere colpito da un fulmine, le autorità del tempio, per scongiu­
rare questa eventualità, fecero costruire una torre d'acciaio parafulmini.
Quando le forti precipitazioni del marzo 20 1 0 causarono il crollo del gran­
de ginkgo del Santuario Tsurugaoka Hachiman-gii di Kamakura, Giappo­
ne, fu immediatamente avviata l'opera di propagazione affinché l'albero
potesse continuare a vivere nello stesso punto. Infine, quando il ginkgo
di Mizufuki, nel tempio di Nichi Honganji a Tok:yo, Giappone, evidenziò

- 2 34 -
3 5 . LASCITO

segni di declino, una accurata potatura, seguita da rinnovamento del suolo


e dalla protezione contro il calpestio causato dalle migliaia di visitatori del
tempio, lo riportò in piena forma. 2
A metà del XIX secolo, quando l'antico tempio di Huiji nella contea di
Tang-Quan, non lontano da Nanchino, Cina, cadde in rovina e andò per­
duto, furono i due grandi ginkgo piantati nei pressi a mantenerne vivo il
ricordo. Inoltre essi presidiarono l'impianto del piccolo frutteto di ginkgo
disposto successivamente sotto di essi. Quando vi feci visita, nel 2008, il
tempio era in ricostruzione e entrambi i ginkgo erano avvolti da nastri ros­
si, su alcuni dei quali erano scritti desideri di ogni tipo. Altri visitatori, più
diretti, avevano espresso i loro auspici in ordinate colonne verticali di carat­
teri cinesi, scritte sulle piccole chiazze nude di legno che affioravano dove
la corteccia era consunta. Questi alberi sono importanti per la comunità:
i residenti del luogo vi si recano tuttora a pregare. Nel tardo pomeriggio,
mentre partivamo per rientrare a Nanchino, arrivò una giovane donna.
Dopo aver guardato ansiosamente dietro di sé per accertarsi che stessimo
partendo, si accostò a uno dei due grandi ginkgo e lì rimase in piedi, sola,
per alcuni momenti di quieta contemplazione. Prima di lei, molti altri, di
generazioni precedenti, avevano seguito lo stesso rituale.3
Nella prefettura rurale di Aomori, nell'Honshu settentrionale, il gink­
go di H6ry6 occupa una sottile striscia di terreno non coltivato, incastrata
tra foreste da reddito e campi agricoli. Ci si avvicina ad esso con reverenza,
lungo una passatoia di pietre strettamente appressate tra loro e coperte di
muschio. I residenti del luogo vi fanno visita regolarmente. Con amore,
ripuliscono il terreno dai rami e rametti fatti cadere dalle nevicate inver­
nali, si prendono cura della corda di paglia di riso che circonda il tronco,
spiegano agli alunni delle scuole le leggende legate all'albero e si impegna­
no a divulgare la sua importanza. L' albero era un amico dei loro nonni e
probabilmente sarà un amico dei loro nipoti.
Scene come questa si ripetono molte volte, in molti modi, in molte
parti del mondo; in particolare i vecchi alberi sono oggetto di affetti e si
sono guadagnati e meritano il nostro amore e il nostro rispetto. A dispetto
dell'andare e venire delle nazioni, dei tempi di guerra e di pace, degli anni
di ristrettezze e di abbondanza, i grandi ginkgo asiatici e altri antichi alberi
in tutto il mondo danno continuità alle comunità nel passaggio delle gene­
razioni. Non sono solo gli "amanti delle piante" ad essere commossi dalla

2 Il crollo del grande ginkgo del santuario Tsurugaoka Hachiman-gii di Kamakura, Giap­
pone, fu riportato dall' <<Economist»; cfr. ]apan's favourite tree: An Easter story from]apan (20 1 0).
Per altri dettagli sul restauro del ginkgo di Mizufuki, cfr. HANDA 2000, p. 32.
3 Cfr. il capitolo 22 per altre notizie sul tempio di Huiji.

- 23 5 -
PARTE VII - FUTURO

magnificenza di una sequoia gigante o a sentirsi umili di fronte alla vetustà


dei pini dai coni setolosi. Questi sentimenti risuonano in tutti coloro che si
riservano il tempo per riflettere sul reale significato delle piante che hanno
avuto una lunga vita. In tutte le culture del mondo, gli alberi pongono nella
corretta prospettiva la nostra stessa effimera esistenza.
La crescita degli alberi è lenta, ma la loro perdita può essere rapida e
facile. Ci vuole appena un momento per far esplodere un ettaro della ricca
foresta degli Appalachi, per poi saccheggiare il carbone sottostante. Servo­
no solo poche ore per abbattere i dipterocarpi giganti delle foreste pluviali
del Borneo, o le vecchie tsughe che vivono sulla costa dell'Oceano Pacifico,
negli Stati Uniti nordoccidentali. Alberi e foreste che hanno resistito per se­
coli agli assalti ripetuti della natura non hanno scampo alle nostre effimere,
ma spesso devastanti, attenzioni.
Queste scale temporali - ore, giorni o anche qualche anno - contra­
stano con le scale temporali della biografia del ginkgo. Centinaia, miglia­
ia, milioni, decine di milioni, centinaia di milioni di anni: non possiamo
comprendere facilmente questi intervalli temporali, che sono comunque
pertinenti, in misura rilevante, allo sviluppo di una riflessione su noi stessi
e sul nostro vero posto nel mondo. Essi dovrebbero indurci a una pausa. Gli
alberi aiutano a calibrare la velocità degli attuali cambiamenti ambientali:
offrono un contesto più in accordo col ritmo del pianeta Terra. Ci fanno
rallentare, ci insegnano la virtù della pazienza e ci ricordano di pensare a
quanto è accaduto prima e a ciò che è ancora di là da venire; all'eredità
ricevuta e a quella che lasceremo. n mantra dei giorni moderni, "di più,
meglio, più in fretta" , va benissimo: ma può essere la ricetta per un disa­
stro, se lo si segue in modo acritico. Gli alberi, specialmente quelli come il
ginkgo, che ci collegano alla storia profonda del nostro pianeta, ci chiedo­
no di riflettere più spesso e di pensare con più attenzione a tutto ciò che
va perduto quando il nostro mondo e tutto ciò che vi è contenuto viene
governato dalla miopia.

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Indice

Presentazione di Fabio Garbari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. V


Prefazione )) IX

Parte I - PROLOGO
l . Tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 3
2 . Alberi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 7
3 . Identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 15

Parte I I - L'ALBERO VIVENTE


4. Energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 27
5. Crescita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 35
6. Statura. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 41
7. Sesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 50
8. Genere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 57
9. Produzione di semi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 64
10. Resilienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 70

Parte III - ORIGINI E PREISTORIA


11. Le origini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 79
12. Riconoscimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 87
13. Proliferazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 92
14. Vagliatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 97
15. Persistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> l 02
16. Prosperità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 1 07

Parte IV - DECLINO E SOPRAVVIVENZA


1 7. Vincolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 1 15
18. Regresso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 121
19. Estinzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 125
20. Resistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 131
21. Retaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . >> 136

- 25 3 -
INDICE

Parte V - STORIA
22. Antichità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 141
23 . Tregua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1 48
24. Viaggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1 55
25 . Rinnovamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1 60
26. Scelta del nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 167
27. Ritorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1 73

Parte VI - Uso
28. Giardini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 181
29. Semi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 191
3 0 . Strade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1 99
3 1 . Farmacia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 207

Parte VII - FUTURO


32. Rischio )) 217
33. Assicurazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . )) 22 1
34. Dono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . )) 226
35. Lascito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . )) 233

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . )) 23 7

- 254 -
FINITO DI STAMPARE
PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE
PRESSO ABC TIPOGRAFIA • CALENZANO (FI)
NEL M ESE DI GIUGNO 2020
GIARDINI E PAESAGGIO

l . FEDERICO MANIERO, Fitocronologia d 'Italia. 2000, VI-290 pp. Esaurito. Vedi


nuova edizione aggiornata. 20 1 5 , n. 40.
2. GIOVAN BAITISTA FERRARI, Flora overo cultura di fiori. Riproduzione in
facsimile a cura e con introduzione di L. Tongiorgi Tomasi. Testi di A.
Campitelli e M . Zalum. 200 1 , LVI-566 pp.
3. ERCOLE SILVA, Dell'arte de' giardini inglesi. Nuova edizione a cura di G.
Guerci, C . Nenci, L. Scazzosi. 2002, XXXIV-288 pp. con 4 0 ili. n. t.
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1 3 . La cultura del paesaggio. Le sue origini, la situazione attuale e le prospettive
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1 4 . Giardini, contesto, paesaggio. Sistemi di giardini e architetture vegetali nel pa­
esaggio. Metodi di studio, valutazione, tutela. A cura di L.S. Pelissetti, L.
Scazzosi. 2005, 2 tomi di complessive xiv-840 pp. con 1 89 figg. n. t. e 20
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1 5 . LUIGI ZANGHERI , 8RUNELLA LORENZI , NAUSIKAA M. RAHMATI, n giardino
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e M. Bencivenni. 2006, 2 tomi di complessive xxiv- 1 1 70 pp. con 63 7 figg.
n. t. e 4 tavv. f. t.
1 7. Per un giardino della Terra. A cura di A. Pietrogrande. 2006, xn-43 0 pp.
con 4 figg. n.t. e 52 tavv. f.t. di cui 3 7 a colori.
1 8 . MARIA PrA CuNICO, PAOLA MusCARI, Giardini nell'Isola d 'Elba. Collabora­
zione di A. Contiero, foto di A. Marchese. 2006, xrr- 1 88 pp. con 287 figg.
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19. C HIARA SANTINI, n giardino di Versailles. Natura, artiftcio, modello. 2007,
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20. Bibliografta del giardino e del paesaggio italiano (1 980-2005). A cura di L.
Tongiorgi To masi e L. Zangheri, 2008, xn- 1 72 pp. con CD- Rom accluso.
2 1 . CHARLOTTE DE LATOUR, n linguaggio dei fiori. Traduzione di G. Garufi.
2008, x- 1 40 pp. con 12 tavv. f.t. Ristampa 20 1 1 .
22. MARGHERITA ZALU M CARDON, Passione e cultura deifiori tra Firenze e Roma
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23 . GABRIELE CAPECCHI, Cosimo II e le arti di Boboli. Committenza, iconografta
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24. La cultura del paesaggio in Europa tra storia, arte e natura. Manuale di teoria
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25. Giardini storici: a 25 anni dalle Carte di Firenze: esperienze e prospettive. Vol .
I: Bilanci a 25 anni dalle Carte di Firenze. Vol . II: Competenze e prospettive di
gestione. A cura di L.S. Pelissetti e L. Scazzosi. 2009, 2 tomi di comples­
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26. MASSIMO DE Vrco FALLANI, n vero giardiniere coltiva il terreno. Tecniche
colturali della tradizione italiana. 2009, xvr- 1 78 pp. con 1 09 figg. n. t. di cui
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27. RrTA PANATIONI, San Rossore nella storia. Un paesaggio naturale e costrui­
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2 8 . KOJI KuwAKINO, L'architetto sapiente. Giardino, teatro, città come schemi
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29. Le paysage sacré. Le paysage comme exégèse dans l'Europe de la première mo­
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Sous la direction de D. Ribouillault et M . Weemans. 2 0 1 1 , xxxn-3 68 pp.
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3 0 . PAOLA RoNCARATI, RossELLA MARcuccr, Filippo de Pisis, botanico fldneur:
un giovane tra erbe, ville, poesia. Ricostruita la collezione giovanile di erbe
secche. 2 0 1 2 , xvr-208 pp. con 43 figg. n. t. di cui 36 a colori.
3 1 . MrcHAEL RoHDE, La cura dei giardini storici. Teoria e prassi. Edizione ita­
liana a cura di M. de Vico Fallani. 20 1 2 , xvm-590 pp. con 625 figg. n. t. di
cui 4 1 8 a colori.
3 2 . PAOLA Dr FELICE, L'universo nel recinto. I fondamenti dell'arte dei giardini e
dell'estetica tradizionale giapponese. I. Con la traduzione di Sakuteiki (An­
notazioni sulla composizione dei giardini) . 20 1 2 , XLVI-206 pp. con 65 figg.
n.t. e 8 tavv. f. t. a colori.
3 3 . PAOLA Dr FELICE, L'universo nel recinto. I fondamenti dell'arte dei giardi­
ni e dell'estestica tradizionale giapponese, I I . Con la traduzione di Sansui
narabini yagyo no zu (fllustrazioni delle forme di montagne, pianure e corsi
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e 4 tavv. f. t . a colori.
34. Pietro Porcinai a Pistoia e in Valdinievole. A cura di C . M . Bucelli e C. Mas­
si. 20 1 2 , xrv-378 pp. con 268 figg. n. t . e 1 5 tavv. ft. a colori.
3 5 . MARIA ANTONIETIA BREDA, n Tempio della Notte. Architettura ipogea nei
giardini paesaggistid. 20 1 2 , xx- 1 1 2 pp. con 1 06 figg. n. t.
3 6 . PAOLA MuscARI, MARIA PrA CuNrco, Arcipelago nascosto. Giardini, arance­
ti, carceri, torri e fortezze delle isole dell'Arcipelago toscano. Collaborazione
di Alessandra Contiero. Foto di Marco Gulinelli e Ennio Boga. 2 0 1 2 ,
x- 1 86 pp. c o n 2 6 5 figg. n. t .
3 7 . GIACOMO LORENZINI, CRISTINA NALI, n Pino domestico. Elementi storici e
botanici di una preziosa realtà del paesaggio mediterraneo. 20 1 3 , vr-98 pp.
con 1 2 0 figg. n. t. a colori.
3 8 . SERGE BRIFFAUD, OLIVIER DAMÉE, EMMANUELLE HEAULMÉ, Chantilly au
temps de Le Notre. Un paysage en projet. 20 1 3 , xrr-224 pp. con 43 figg. n. t.
39. PAOLA RoNCARATI, RossELLA MARcuccr, Codid e rose. L'erbario di Piero Cala­
mandrei tra storia, fiori e paesaggio. Prefazione di Enrico Alleva e postfazio­
ne di Francesco Cocozza. 20 1 5 , 1 9 8 pp. con 23 figg. n. t. e 24 ill . a colori.
40. FEDERICO MANIERO, Cronologia della flora esotica italiana. 20 1 5 , vr-4 1 6 pp.
4 1 . ANGIOLO Puccr, I giardini di Firenze. I. I giardini dell'Occidente dall'Antichi­
tà a oggi. A cura di M . Bencivenni e M. de Vico Fallani. 20 1 5 , xxrr-404 pp.
con 3 3 1 figg. n.t.
42. ANGIOLO Puccr, I giardini di Firenze. II. Giardini e passeggi pubblici. A cura
di M. Bencivenni e M. de Vico Fallani. 20 1 5 , xrv-552 pp. con 1 60 figg. n. t.
43 . ANGIOLO Puccr, I giardini di Firenze. III. Palazzi e ville medicee.
A cura di M. Bencivenni e M. de Vico Fallani . 20 1 6 , xxxn-642 pp. con
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44. ANGIOLO Puccr, I giardini di Firenze. IV. Giardini e orti privati della città.
A cura di M. Bencivenni e M. de Vico Fallani. 2 0 1 7, xxx- 598 pp. con 1 62
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45. AN GIOLO Puccr, I giardini di Firenze. V. Suburbio vecchio e nuovo di Firenze.
A cura di M. Bencivenni e M. de Vico Fallani. 20 1 9 , xvrn-442 pp. con 1 3 0
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46. ANGioLO Puccr, I giardini di Firenze. VI. Comuni della cintura di Firenze. A
cura di M. Bencivenni e M. de Vico Fallani. In preparazione.
47. De la peinture au jardin. Sous la direction de H. Brunon et D. Ribouil­
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48. FABIO CAPPELLI, Il bosco. Storia, selvicoltura, evoluzione nel territorio fioren­
tino. 2 0 1 7, vrrr- 1 90 pp. con 86 figg. n.t.
49. ULRIKE GAWLIK, Raffaele De Vico. I giardini e le architetture romane dal 1 908
al 1 962 . Traduzione di Marco Mataloni, con contributi di Massimo de
Vico Fallani e Simone Quilici. 20 1 7, xvrrr-444 pp. con 1 74 figg. n.t. e l
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50. Ville e Giardini Medicei in Toscana e la loro influenza nell'arte dei giardini.
Atti del Convegno Internazionale, Accademia delle Arti del Disegno,
Firenze, 8 novembre 2 0 1 4 . A cura di L. Zangheri. 20 1 7, x-208 pp. con
l 00 figg. n. t. a colori.
5 1 . MARCO T ru s cru o G u o, L'architetto nel paesaggio. Archeologia di un'idea.
20 1 8 , x-228 pp. con 9 figg. n. t.
52. La botanica de' fiori dedicata al bel sesso. A cura di S. Verrazzo, Introdu­
zione di L. Tongiorgi Tomasi e L. Zangheri, Premessa di D. Tongiorgi.
20 1 8 , XXVI- 1 02 pp. , con 14 ili. a colori.
5 3 . La cura dei giardini monumentali. Fondamenti della conservazione dei giardi­
ni storici e degli spazi verdi. A cura di Dieter Hennebo. Edizione italiana a
cura di Maria Letizia Accorsi, Massimo de Vico Fallani, Giada Lepri. In
preparazione.
54. PETER CRANE, Ginkgo. L'albero dimenticato dal tempo. Traduzione di Gian­
ni Bedini. Presentazione di Fabio Garbari. 2020, x-25 6 pp. con 8 figg.
n. t. e 24 tavv. f. t. a colori.
5 5 . LUIGI ZANGHERI, Nel Giardino cinese della Luminosità Peifetta. ��8}3 ZfJ! :

:ff cp OO!m;f;t\ Z cp . Preambolo di C armen Afi.6n FeliU. 2020, XVI-234 pp.


con 1 85 figg. n. t. e 56 tavv. f. t. a colori.

GIARDINI E PAESAGGIO
I POMI DELLE ESPERIDI
(cm 24 X 3 1 , rilegato)
I. La villa medicea di Careggi. Storia, rilievi e analisi per il restauro . 2006,
156 pp. con 104 figg. e 26 tavole a colori n. t. Esaurito.
II. fl giardino del Pa lazzo Reale di Torino. 1 5 70-1 9 1 5 . A cura di Paolo
Cornaglia. 20 1 9, XIV-240 pp. con 2 15 figg. n.t. a colori e 16 tavv.
f. t. a colori.

http: l l giardini.olschki.it

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