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PIETRO DOHRN
Si ringraziano
per la documentazione: il Prof. Roberto Danovaro, Presidente della Stazione
Zoologica di Napoli, e la Dott.ssa Claudia Di Somma, Coordinatrice dell’unità MAB
della SZN
per le foto: le Dott.sse Paola Passalacqua e Christiane Groeben, la Sig.ra Angela
Caputo, il Sig. Raffaele Coppola
per le registrazioni: il Sig. Raffaele Coppola
per lo sbobinamento e trascrizione: la Dott.ssa Mariandrea Avallone
Il “dottore Dohrn”, come nella ufficialità si presentava a telefono, o
“don Pietro”, come gli amici e conoscenti gli si rivolgevano, fu ospite della
nostra cittadina tra gli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo, prendendo dimora in
una vecchia casa colonica sottostante Raito con invidiabile veduta panoramica.
A motivo della mia giovane età non ho potuto conoscere il dottore
Dohrn se non per quello che è stato riferito da quanti hanno avuto
l’opportunità ed il piacere di frequentarlo e di poterne apprezzare le doti di
“uomo, scienziato, ed ambientalista”, aspetti felicemente messi in evidenza nel
titolo di questo lavoro.
E’ stato per me motivo di legittima soddisfazione partecipare alla
seduta del Consiglio comunale che ha deliberato la concessione della
cittadinanza onoraria in memoria al dottore Dohrn, e sottoscrivere queste note
di presentazione al piccolo ma prezioso testo che raccoglie le testimonianze
rese nella stessa circostanza o comunque pervenute, per le quali mi preme
esprimere la gratitudine dell’Amministrazione comunale. Un grazie inoltre ai
curatori e collaboratori che si sono impegnati per la migliore resa del volume.
L’Amministrazione, della quale da alcuni mesi ho assunto la primaria
responsabilità, vuole manifestare la riconoscenza al Gruppo Habitat di Raito
che, facendo proprio l’auspicio dell’on.le Grazia Francescato, del sen. Alfonso 3
Andria e del dottor Aniello Tesauro, tre dei numerosi amici che don Pietro ha
avuto la capacità di “trascinare”, ha proposto di assumere una iniziativa in suo
ricordo (cittadinanza onoraria, incontro e pubblicazione) e si è fatto parte
attiva nella sua organizzazione.
Mi auguro che questa pubblicazione, da diffondere soprattutto tra gli
studenti, serva non solo per la conoscenza di una personalità che con la sua
rete di rapporti scientifici ha contribuito anche al prestigio alla nostra Vietri,
ma pure ad avvicinarsi alla realtà rappresentata dalla Stazione Zoologica
Anton Dohrn di Napoli, e soprattutto sia di stimolo ad accogliere il messaggio
del rispetto della natura e dell’ambiente, che abbiamo il dovere di custodire per
noi e per le generazioni future.
DON PIETRO
Pietro Dohrn, “don Pietro” per gli amici, nacque il 9 giugno 1917, a
Zurigo, ove la famiglia, tedesca, ma residente a Napoli, per ragioni politiche
legate alla Prima guerra mondiale, vi si era temporaneamente trasferita.
A Napoli, il nonno Anton, nel
1872, aveva fondato la Stazione
Zoologica, uno dei più importanti enti
di ricerca nei settori della biologia ed
evoluzione degli organismi marini e
dell’ecologia1. Anton era in contatto 5
con Charles Darwin, della cui teoria
evoluzionistica si era fatto estimatore.
La Stazione, che nei primi anni aveva
acquistato il ruolo di comunità
scientifica e di cenacolo artistico, è
stata un punto di riferimento di
ricercatori di livello internazionale2;
l’hanno frequentata ben 19 premi
Nobel.
1 La Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, retta da uno statuto adottato nel 2017, e
vigilata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dotata di personalità
giuridica di diritto pubblico, è Istituto Nazionale di Biologia, Ecologia e Biotecnologie Marine.
2 La Stazione Zoologica, che è dotata anche di un acquario, il più antico esistente d’Europa (in
fase di ristrutturazione), è sita nella Villa comunale, tra la Riviera di Chiaia e via Caracciolo;
ubicazione ritenuta dal fondatore ideale grazie alla ricchezza faunistica del golfo. L’istituto
divenne un punto di riferimento internazionale nella ricerca. Per finanziarsi fu utilizzata la
vendita di animali marini agli altri istituti ed applicato il “sistema Bench”, consistente nel fitto
degli spazi di ricerca (“tavoli di ricerca”) messi a disposizione degli studiosi. L’ente è dotato di
una propria imbarcazione di ricerca, la Vettoria. La stazione ha dato vita anche ad una
particolare attività di salvataggio e cura delle tartarughe, destinandovi un centro a Bagnoli ed
uno a Portici, il più grande del Mediterraneo. Tra le iniziative più recenti segnaliamo
l’istallazione di sei grandi laboratori sommersi nel Golfo di Napoli, a circa 15 metri di
profondità, per il campionamento delle "microplastiche" nelle acque marine campane.
6
Rinaldo Dohrn
La casa di Raito
7 Per questo si cita la tesi The echinoids arbacia lixula and paracentrotus lividus as indicators
of heavy metal levels in the Mediterranean environment, di Andrea Ulrico Psister, discussa nel
Dipartimento di Botanica della Facoltà di Scienze nell’Università di Durham nel 1978, dedicata
To Peter Dohrn, in greatfulness for those first, disconcerning, vital kicks.
8 Citiamo il saggio On the presence of a growth hormone in a decapod crustacean, lysmata
seticaudata risso di David Carlisle e Pietro Dohrn, in “La ricerca scientifica”, 23: 95-100, 1953,
alias Studies on Lysmata seticaudata Risso (Crustacea Decapoda) di D.B. Carlisle e P.F.R
Dohrn, in “Pubblicazioni della Stazione Zoologica” 1953, vol XXIV pp 69-83; P. Dohrn The
Zoological Station at Naples” AIBS Bulletin, Feb 1960; P. Dohrn, Le centrali elettronucleari e
la opposizione ecologia, in La civiltà del malessere, a cura di R. Raimondi, Guida, Napoli 1977,
pp. 193-200; Pesci segreti meraviglie, testi di Pietro Dohrn e Margherita Pantaleo, Giunti-
Mazzocco, Firenze 1978.
Pietro e il Cilento
11
Don Pietro lo ricordiamo, non solo quale uomo di cultura e scienziato,
dalla privilegiata postazione della Stazione Zoologica, ma anche quale
operatore sul campo, in particolare per la tutela e lo sviluppo sostenibile delle
risorse naturali nell’area del Cilento, da dover considerare “Giardino
d’Europa”, ove si spese per una serie di iniziative di particolare rilievo: le
azioni tese a promuovere il parco marino di Castellabate nell’ambito della più
vasta area del parco naturale terrestre; l’ideazione e la celebrazione del
Convegno internazionale di Castellabate sui parchi costieri del Mediterraneo;
la creazione di gruppi di volontariato antincendi con corsi e impegno sul
terreno.
Come è noto, tra i primi parchi nazionali istituti con la Legge quadro
sulle aree protette 6 dicembre 1991, n. 394 (art. 34), figurò quello del Cilento
e Vallo di Diano (Cervati, Gelbison, Alburni, Monte Stella e Monte
Bulgheria), nel cui ambito nel 2009 verrà istituita l’Area marina protetta di
Santa Maria di Castellabate9; provvedimento tardivo quest’ultimo10, se si tiene
conto del movimento culturale ed istituzionale che si era creato fin dalla fine
degli anni ‘60 tendente alla creazione sia del parco marino di Castellabate che
del parco terrestre del Cilento, che ebbe quale atto preliminare l’istituzione di
“una zona di tutela biologica” in S. Maria di Castellabate tra la baia del
9 Decreto Ministeriale 21 ottobre 2009, Gazzetta Ufficiale n. 82 del 9 aprile 2010.
10 Tra le aree marine di reperimento elencate nella citata legge 394/1991 (art. 36) figurava la
Costa degli Infreschi, ma non Castellabate. Anche nella precedente legge 31.12.1982 n. 979
(disposizione in difesa del mare), non figurava Castellabate tra le 20 aree marine protette,
previste all’art. 31.
Sambuco e punta dell’Ogliastro, entro le tre miglia dalla costa” (D.M.
25.8.1972, in G.U. n. 253 del 27.9.1972) 11. Valga ricordare inoltre che già nel
Progetto ‘80 nell’elenco dei parchi e delle riserve naturali di preminente
importanza nazionale fu incluso anche quello di “Santa Maria di Castellabate e
Punta Tresino”12. E per questo don Pietro ne aveva fatto proprio una sua
missione.
Al dottor Dohrn si deve una particolare attenzione alle potenzialità ed
alla conservazione dell’habitat cilentano: lo stimolo per la creazione della
riserva marina di Castellabate e l’ideazione del Convegno internazionale sui
Parchi costieri mediterranei (Castellabate, 18-22 giugno 1973), organizzato
dalla Regione Campania, che pose le basi per la legislazione italiana sui parchi
nazionali e sulle riserve marine, tra cui il Parco Nazionale del Cilento e Vallo
di Diano.
Il progetto del convegno fu prontamente accolto dall’Assessore al
turismo, Prof. Roberto Virtuoso, che impresse all’Ente Regione, da poco sorto,
la consapevolezza dell’importanza del turismo nello sviluppo socio-economico
del territorio e della necessità di un discorso intersettoriale. Al convegno
parteciparono studiosi e personalità di rilievo internazionale. Possiamo citare
tra gli altri Elisabetta Mann Borgese, Aurelio Peccei, Eugene Pora, Lord
12 Ritchie Calder, Tuyosi Tamura13. Si riuscì a mettere attorno allo stesso tavolo
11 Al parere favorevole del Comune di istituire un “Parco Nazionale Subacqueo” fece seguito
nel 1971 l’iniziativa del MAMBO e dell’A.M.TU.N. (Associazione Mediterranea per la tutela
della natura) di Salerno di organizzare a Castellabate un primo corso internazionale di “Gestione
dei Parchi Marini”. Con l’AMTUN collaborò anche la fondazione Dohrn, con l’apporto di Paola
Princivalli (compagna di don Pietro) e Sibilla von Haeften.
12 Il Progetto 80. Rapporto preliminare al programma economico nazionale 1971-75,
predisposto dal Ministero del Bilancio e della Programmazione economica, fu pubblicato nel
1969.
13 Il Convegno fu organizzato in collaborazione con il MAMBO, nell'ambito dei colloqui del
"Pacem in Maribus", e continuò a Malta dal 23 al 27 giugno. Il Convegno aveva come scopo
principale quello di approfondire le tematiche collegate alla istituzione dei "Parchi Marini"
nell'area mediterranea e nelle altre zone che avevano avuto esperienze del genere, per cui una
parte determinante fu riservata alle comunicazioni ed allo scambio di idee sulle iniziative già
avviate nei singoli Paesi, anche al fine di impostare la costituzione di una Federazione
Mediterranea dei Parchi Marini. La partecipazione di numerosi scienziati ed esperti di problemi
collegati alla costituzione e alla gestione dei Parchi Marini era premessa indispensabile per
l'acquisizione di esperienze per delineare le linee operative di azione per la realizzazione del
Parco Naturale Marino di Castellabate, in vista del quale era stata già istituita la "zona di tutela
biologica". Si auspicava che il Parco di Castellabate potesse costituire il movente per raccogliere
le forze e gli studi di tutto il Mediterraneo in una Federazione Mediterranea dei Parchi Marini
esistenti, in modo da creare una rete ben strutturata di iniziative per far fronte al dilagante
inquinamento col rischio di trasformare il Mediterraneo in un mare morto; ed anche una
occasione per rilanciare i motivi di solidarietà umana e culturale che da secoli intercorrono fra i
popoli del Mediterraneo. Il Convegno si proponeva anche di approfondire le tematiche aperte
dalla difesa dei valori ambientali in una logica di difesa attiva degli stessi, quale occasione di
vantaggi economici per le popolazioni interessate.
studiosi arabi ed israeliani. Un corposo volume degli atti rende testimonianza
della serietà dei lavori e dello spessore degli interventi.
13
14 Il manifesto fu presentato nel dicembre 1973 alla riunione annuale dell’American Economic
Association, e la traduzione italiana fu fatta circolare nella riunione annuale della Società
Italiana degli Economisti; il testo fu pubblicato in Saggi di economia dell’ambiente, a cura di G.
Cannata, Giuffré, Milano 1974, p. 239-244.
15 In questa attività vi fu la valida collaborazione della sorella Antonietta e dell’amica di
famiglia Sibilla von Haeften (cugina di Werner von Haeften, e fidanzata di un altro cospiratore,
entrambi fucilati, del fallito attentato ad Hitler) (S. ACAMPORA, La Capra, edito in proprio,
2016, p. 21).
16 Ai giovani venne chiesto un contributo per il vitto e l’alloggio nella misura di L. 1.000
giornaliere.
17 Il museo etnografico di Morigerati si è posto quale capofila della rete di musei di interesse
demo etno antropologico del Cilento e della Campania nell’ambito del progetto “Musei tra
locale e globale”.
18 L’Associazione sorse allo scopo di promuovere, nell’ambito del bacino del Mediterraneo la
gestione razionale degli spazi marini e delle fasce costiere che su di essi gravitano, con
particolare riguardo allo sviluppo delle zone deserte, mediante la diffusione e l’incremento a
tutti i livelli dei principi che regolano la migliore utilizzazione delle risorse umane e naturali,
senza scopo di lucro, favorendo la elaborazione di indagini e ricerche su temi specifici a cura di
In estate, in applicazione della legge regionale16.5.1975 n. 30, che tra
i vari interventi prevedeva anche le “opere e lavori di primo avviamento per la
realizzazione del parco marino di Castellabate”, don Pietro – che fu proposto
quale responsabile dell’Ufficio Studi del Parco di Castellabate – elaborò una
dettagliato programma che fu trasmesso sia alla Regione che al Comune;
suggerì inoltre all’E.P.T. di studiare e sottoporre al Comune di Castellabate
anche la bozza di statuto dell’Ente Parco19.
Nella primavera del 1975 don Pietro propose uno studio, per conto
della FAO, affidato ai signori Jean Alain Madec e Philippe Serene sulle
potenzialità di acquacoltura nel golfo di Salerno, le cui relazioni furono
inserite nel volume degli Atti del Convegno di Castellabate20. Tra gli sviluppi
di quella iniziativa vi fu la promozione di cooperative per l’acquacoltura: il
nostro Ovidio Gagliardi fu incaricato di promuoverne la costituzione, tra cui,
nel settembre 1975, quella di Capodifiume in territorio di Capaccio. Nello
mese di agosto la MAMBO invitò a Castellabate il Prof. Antonio Vallario,
docente di geologia, che presiedette una tavola rotonda dal tema “La geologia
ambientale delle zone costiere del Cilento”, in cui fu messa in luce la
deficienza idrica e l’inquinamento delle acque; e collaborò all’organizzazione
sempre a Castellabate del convegno su “giustizia e territorio”, iniziativa dei
Comitati di Azione per la Giustizia. 15
Nel dicembre 1975 don Pietro invitò il Prof. Giovanni Bombace,
direttore dell’Istituto di Ricerche sulla Pesca marittima di Ancona (CNR) ad
illustrare alla Commissione consultiva locale per la pesca marittima - che per
l’occasione la Capitaneria di Porto di Salerno, con l’appoggio logistico
dell’E.P.T. convocò ad Agropoli - l’argomento della immissione in mare di
manufatti in cemento al fine di realizzare un habitat naturale per il
studiosi ed esperti del settore. Si costituirono di persona o per delega Arturo De Maio (docente
universitario), Piero Grisetti (studente universitario), Gaetano Latmiral (docente universitario),
Umberto Leanza (docente universitario), Ivan Matteo Lombardo (Presidente di società
commerciale, già parlamentare), Michele Marra (Abate di Cava), Luigi Mendia (docente
universitario), Giorgio Nebbia (docente universitario), Paolo Pappone (universitario), Arvid
Pardo (docente universitario), Aurelio Peccei (presidente di Italconsult di Roma, fondatore del
Club di Roma), Michele Santopietro (dottore in scienze matematiche). Peccei assumeva la
carica di Presidente. Nel Comitato scientifico fu prevista la presenza, tra gli altri, dello stesso
Peccei, della Sig.ra Elisabetta Mann Borgese, del Prof. Roberto Vacca del Club di Roma, del
Prof. Giorgio Nebbia.
19 La bozza fu esaminata in un clima da caminetto, al di fuori del tran tran d’ufficio, a Vietri
nella casa di don Pietro, con il dottor Tommaso Cunego, Direttore dell’Ente, e dei funzionari
dottori Aniello Tesauro e Vito Caponigro. La normativa non fu attuata per difficoltà di copertura
finanziaria (mutui non contratti). Nell’ordinare carte personali ho ritrovato il testo di una
articolata comunicazione su “La riserva marina di Castellabate” presentata dal sottoscritto al
Seminario di studio sulla “Valorizzazione ambientale della Provincia di Salerno” (Paestum, 22-
24 aprile 1988).
20 L’indagine interessò, per lo sviluppo dell’ostricultura, anche la nostra rada di Fuenti;
collaborarono all’iniziativa il giovane Silvestro Caputo, quale interprete, il sub Enrico Bottero
ed i pescatori Vincenzo Avallone, Carlo De Simone e Franco Pisacane.
ripopolamento della fauna ittica. Prese posizione a febbraio del 1976, con una
nota al Presidente della Camera di Commercio, in ordine alla iniziativa di un
porto di pesca salernitana munito di mercato ittico, suggerendo un centro di
vigilanza e monitoraggio per la verifica del pescato, alla luce delle
malformazioni dovute all’inquinamento marino. Nel mese di aprile del 1976
don Pietro, nella qualità di “autista e interprete/esperto”, accompagnò in un
sopralluogo a Paestum e nel Cilento altri esperti FAO (dr. M. Mistakidis, dr. Z.
Shehader e consorte), per l’individuazione, lungo il corso e alla foce dei fiumi
(Mingardo, Calore, Alento, Sele, Capodifiume, Bussento), di allevamenti di
trote, cefali, anguille, spigole. Nell’autunno sollecitò la venuta di James
Dobbin dell’Associazione Oceanica di Alexandria, Virginia (USA), esperto
nello studio di programmazione e gestione dei parchi costieri e consulente
degli Organismi internazionali interessati al settore, che effettuò un
sopralluogo nella fascia destinata a Parco Marino e nell’entroterra21, per
sviluppare un piano strategico del Parco marino, di quello del Cilento ed
offrire agli organi centrali un supporto per la problematica dei parchi marini.
Dobbin redasse una carta dell’area di Castellabate collegata con il territorio
cilentano con le indicazioni grafiche delle proposte, e si fece interprete presso
il Ministero dell’Ambiente per l’inserimento di Castellabate nei suoi
16 programmi.
21 L’arch. Carla Maurano, ed i Dott. Alfonso Gambardella ed Aniello Tesauro, con una vecchia
Simca a gas di quest’ultimo, si inerpicarono fin quasi alla cima del Monte Gelbison.
SEDUTA DEL CONSIGLIO COMUNALE
Seduta consiliare
Silvestro Caputo
Aniello Tesauro
Grazia Francescato
Giampiero Indelli
Alfonso Andria
Grazie. Dico subito che una buona parte della mia testimonianza è
stata già ricompresa nell’introduzione del Dott. Aniello Tesauro, che
vivamente ringrazio. Ringrazio lui, Silvestro Caputo, il Gruppo Habitat di
Raito e naturalmente il Signor Sindaco, il Presidente del Consiglio comunale e
la Civica Amministrazione. La bell’idea di ricordare Pietro Dohrn è, come è
stato detto, del Gruppo Habitat ed è stata sostenuta convintamente dal Sindaco:
bisogna dare atto e merito della particolare sensibilità manifestata!
Personalmente ritengo che la cittadinanza onoraria di un Comune sia per la
persona che la riceve il riconoscimento più alto, qualunque sia la dimensione
del Comune, anche del più piccolo d’Italia. Qui non siamo in un piccolo
Comune, siamo in un piccolo Comune, grande per la sua tradizione culturale e
per la sua storia.
Nell’occasione odierna vi è un valore aggiunto: l’attribuzione di
“Cittadinanza onoraria postuma”, o meglio “in memoria” è un gesto di
significato assai pregnante. Direi meglio, è una Cittadinanza “in memoria”,
perché la parola “memoria” racchiude il senso di civiltà che un popolo
esprime: un popolo che non conserva la memoria non vive consapevolmente il
proprio presente e non si proietta responsabilmente verso il futuro. E noi
abbiamo bisogno di coltivare la memoria anche attraverso gli insegnamenti
delle figure migliori che hanno inciso nelle realtà locali.
Questo 2018 è l’Anno Europeo del Patrimonio Culturale, voluto dalle
Istituzioni europee; lo stiamo celebrando anche nel territorio del Salernitano.
Mentre ascoltavo Grazia Francescato - con la quale ho il privilegio di vantare
un antico rapporto di collaborazione e amicizia - mi veniva in mente che se
l’UNESCO, oltre a parlare di patrimonio materiale, di patrimonio immateriale
e oggi anche di patrimonio digitale, parlasse prima ancora di una Lista del
Patrimonio Umano della Cultura, che accogliesse tutto quello che il genere
umano ha prodotto in tali ambiti, nei primissimi posti di quella “virtuale lista”
dovrebbe figurare il nome di Pietro Dohrn.
28 Mi sia permessa una parentesi di ordine personale. Nello Tesauro, nel
darmi la parola, ha taciuto un particolare: io fui assunto all’Ente Provinciale
per il Turismo il 9 maggio del 1973 con la formula di rapporto a contratto. La
deliberazione fu adottata dall’allora Presidente, Avv. Mario Parrilli, una figura
di grande riferimento del Foro di Salerno. Tra le motivazioni dell’assunzione
si citava la circostanza che il Sig. Aniello Tesauro stava prestando servizio di
leva e, dunque, l’Ente aveva necessità di avvalersi di personale che si
dedicasse all’organizzazione di manifestazioni turistico-culturali secondo il
programma concordato con la Regione, in particolare la circuitazione degli
spettacoli negli ambiti monumentali ed archeologici. In realtà quel contratto
sarebbe stato prorogato fino alla stabilizzazione in servizio.
In quella primavera del 1973 era impegnata alla Regione per
l’organizzazione del Convegno “Pacem in maribus” che sarebbe stato
celebrato a Castellabate a metà giugno un’altra persona, la dottoressa Lidia
Tesauro, che fu poi assunta dall’E.P.T. e che in tempi più recenti sarebbe
diventata Direttore dell’Ente. Quindi al “tandem Tesauro” è legata parte della
mia storia personale, professionale e naturalmente anche affettiva.
Desidero precisare che Nello Tesauro, ancora militare, non poté
partecipare all’assise di Castellabate. Ma quale addetto in ufficio alle
problematiche ambientali ed a curare testi e pubblicazioni, fu vicino a don
Pietro nei rapporti con l’Ente; ed in seguito fu incaricato di seguire il lavoro
editoriale per la pubblicazione degli atti del convegno. Un corposo, vorrei dire
imponente, volume che raccoglie contributi ritenuti ancora attuali.
La sessione inaugurale del convegno ebbe luogo al Teatro Verdi in
Salerno con l’intervento dell’Assessore al Turismo della Regione Campania,
l’onorevole Roberto Virtuoso, che aveva fortemente voluto l’evento e la
allocuzione conclusiva, cinque giorni dopo, fu tenuta dal professore Aurelio
Peccei nel Bouleuterion a Paestum. I lavori si svolsero all’Hotel Punta Licosa
in Ogliastro Marina (Castellabate) con la partecipazione di scienziati
provenienti da tutto il mondo, praticamente il gotha dell’ambientalismo e della
cultura internazionale e della stampa specializzata. A proposito dei giornalisti
valga per tutti il nome di Antonio Cederna, che fu assiduo frequentatore
durante le giornate di lavoro e che dette anche un contributo di pensiero molto
significativo e importante.
29
Un momento della protesta dei pescatori di Castellabate durante i lavori del convegno
Peter Roman Dohrn, che preferiva essere chiamato Pietro, anche per
distinguersi da suo cugino omonimo Peter Dohrn, figlio di suo zio Harald, è
nato a Zurigo il 9 giugno 1917 come secondo figlio di Reinhard o Rinaldo
Dohrn e sua moglie Tatiana (Tania) née Givago (1884-1952) di una benestante
famiglia di Mosca. Dal nonno paterno ha preso, infatti, il suo secondo nome,
Roman. Antonietta, sua sorella maggiore, allora aveva 1 anno e mezzo. La
sorella più piccola, Amarillis o Rilke nascerà tre anni dopo, l’11 settembre
1920.
Suo nonno, Felix Anton Dohrn nel 1872 aveva fondato a Napoli la
Stazione Zoologica che oggi porta il suo nome: Stazione Zoologica Anton
Dohrn di Napoli.
Dopo studi di medicina Pietro ha lavorato durante la guerra come
medico militare. Mi ricordo che mi ha raccontato una volta, divertendomi, che
34 durante i bombardamenti a Napoli, da medico militare in uniforme tedesca
voleva aiutare qualche napoletano ferito, che rifiutava dicendogli “che fai qui,
vattene” e lui rispondeva in napoletano “ragazzo ma io sono uno di voi” e così
veniva accettato e poteva insomma aiutare anche i suoi concittadini.
Il 1 febbraio 1945 Pietro iniziò a lavorare come assistente alla Stazione
Zoologica, diretta dal 1909 da suo padre Rinaldo. Dal 1951 al 1955 era
responsabile del reparto di zoologia, e dal 1 maggio 1955 fino al 1967 –
dunque per 12 anni – è stato direttore e consigliere delegato della Stazione
Zoologica. È stato il terzo ed ultimo Dohrn in questa funzione.
In una lettera del 1954 a Theodor Heuss, suo amico di lunga data,
autore di una splendida biografia di Anton Dohrn e primo presidente delle
Repubblica Federale di Germania, Rinaldo caratterizza in modo conciso le tre
generazioni Dohrn alla guida della Stazione Zoologica: Anton – il creatore,
Rinaldo – il conservatore, Pietro – l’innovatore, aggiungendo: “Ora è il
momento di lavorare sui contatti scientifici e politici, di re-inserire la Stazione
nel sempre più complicato mondo scientifico senza per questo sacrificarne
l’intima essenza. Questo è il compito di Pietro”1.
1Citato in K. J. Partsch, Die Zoologische Station Neapel, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen
1980, p. 90.
Pietro Dohrn e la Stazione Zoologica
36
Ricordi
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Ricordo Pietro Dohrn come amico premuroso nelle poche volte che ci
siamo potuto vedere, creativo e sempre pronto per nuove iniziative,
trascinando con sé chi gli stava intorno. Aveva la modestia dei grandi che non
si rinchiudono in ferite subite, ma continuano a condividere con il mondo il
loro amore per il creato e per la creatività umana che ne fa parte.
Silvestro Acampora
Giovanni Capasso
Cesare Marciano
47
Lidia Tesauro
2 Si tratta della “I mostra della ceramica vietrese”, organizzata dalla Pro–loco nell’estate 1967,
inaugurata dalla duchessa di Carosino, alla presenza di autorità ed estimatori, tra cui il
Presidente dell’E.P.T. avv. Girolamo Bottiglieri. Paola partecipò anche all’edizione dell’anno
successivo (A. TESAURO, Da 60 anni con Don Bosco a servizio dei giovani di Vietri, Unione
exallievi/e di Don Bosco, Oratorio Centro giovanile salesiano, Villa Carosino, Vietri sul mare
2012, p. 168).
Ma posso dire che il mio primo incontro con il Prof. Pietro Dohrn è
avvenuto il 7 maggio 1973 a Napoli presso la sede della Regione Campania, in
via S. Lucia. E’ un ricordo ancora vivido ed ormai indelebile.
E’ coinciso infatti anche con il mio primo giorno di lavoro: ero stata
chiamata a collaborare nella segreteria organizzativa del Convegno di
Castellabate, prima con l’Assessorato regionale al Turismo e poi
successivamente con l’Ente Provinciale per il Turismo di Salerno, dove poi ho
lavorato per ben 43 anni e 8 mesi, prima di andare in pensione.
Ero una giovane universitaria, ansiosa di entrare nel mondo del
lavoro, ma non avrei mai immaginato di trovarmici catapultata già il primo
giorno.
Entrata nella stanza che mi venne indicata, mi rassicurai un poco
perché trovai una persona amica: era impegnato nel progetto infatti anche il dr.
Alfonso Gambardella; quando fui presentata a Don Pietro (da allora l’ho
sempre chiamato così), mi trovai di fronte ad una persona semplicissima, che,
entusiasta come un bimbo, mi aprì una cartellona straripante di fogli,
praticamente la corrispondenza con centinaia di scienziati che, contattati,
avevano assicurato o meno la propria partecipazione al convegno. Con la mia
conoscenza scolastica dell’inglese, avrei trovato qualche difficoltà a dare
almeno un ordine cronologico e poi catalogare quegli scritti. Ma per Don 49
Pietro che problema c’era? Oltre al tedesco e all’italiano (compreso il dialetto
napoletano), parlava correntemente l’inglese, il francese, lo spagnolo, mentre il
russo, come confessò, lo stava ancora imparando . . .
Quella giornata fu lunghissima e, ripeto, non la dimenticherò mai. Don
Pietro volle portarci per il pranzo da “Ciro a mare”, a Mergellina, dove
mangiammo le alicette fritte. Lui era così: amante delle cose semplici,
genuine. Ed io rimanevo incantata a sentirlo parlare: era tutto interessante,
nuovo per me, e la sua dizione, con la particolare erre, mi è rimasta per sempre
impressa nella memoria, come i suoi pantaloni al ginocchio portati con scarpe
e calzini, rigorosamente alla tedesca.
Don Pietro ci riportò a Vietri, me e Alfonso Gambardella, alle undici
di sera, a bordo della sua auto, di cui non ricordo il tipo, ma la rivedo, grande,
grigio scura. E ricordo anche come i miei stavano in pensiero (allora non
c’erano i cellulari). Non parliamo poi del mio fidanzato, che mi aspettava
percorrendo il corso di Vietri avanti e indietro, fino a che non mi vide
scendere da quella macchina!
Lavorammo per circa un mese presso la sede della Regione Campania
a S. Lucia, poi la segreteria del convegno si trasferì all’Ente Provinciale per il
Trismo di Salerno, che ne curava la fase attuativa.
Che dire della gioia di Don Pietro quando si rese conto che l’ufficio
destinato al nostro lavoro affacciava direttamente sulla “Rotonda”, dove si
teneva un affollato e vivacissimo mercato?
Il suo entusiasmo era contagioso e le frasi da lui pronunciate rimasero
impresse a lungo nella memoria dell’Ente. Dopo l’inaugurazione al Teatro
Verdi il Convegno si spostò a Castellabate, dove si affrontarono le questioni
scientifiche ed ambientalistiche, che provocarono, con grande soddisfazione di
don Pietro, anche la “rivolta” dei pescatori della zona. Per i relatori, Don
Pietro chiedeva “fiumi di caffè”!
L’amicizia di Don Pietro verso di me e verso mio fratello Nello si era
estesa all’intera famiglia. Si è fermato spesso a pranzo, graditissimo ospite,
ma considerato uno di casa. Nostra madre non si preoccupava di cucinare cose
particolari perché aveva capito che per Don Pietro andava benissimo quello
che c ‘era, la pasta e fagioli o il baccalà o le alici alla scapece.
Mi ricordo che nostro padre lo ascoltava con grande piacere, onorato
di godere della familiarità di una persona così illustre. Don Pietro rispettava
molto la nostra mamma, le baciava la mano e ci fece sentire la sua vicinanza
quando ci venne a trovare dopo la perdita di nostro padre.
L’assidua frequentazione e la stima reciproca ci aveva portato ad una
familiarità tale da svelare anche sentimenti più intimi.
Quando ho avuto il piacere di entrare nella casa che si trovava sulla via
della costiera, sono rimasta affascinata dalla semplicità e dalla originalità
dell’arredo, opera in buona parte della Sig.ra Paola, sensibile artista, e dagli
oggetti particolari, ricordi dei loro viaggi. Don Pietro mi mostrò le fotografie
50 degli “avi”, poste in ordine su un ripiano, confessando che quello era il loro
altare, rivelandomi un tratto religioso che era rimasto ancora nascosto.
E poiché ero prossima al matrimonio, Don Pietro prese un oggetto di
rame, una grande caraffa con coperchio proveniente dalla Tunisia, e me la
porse, così semplicemente, come regalo di nozze. E’ sempre situata sul camino
nella mia cucina, continuamente bisognosa di essere lucidata e ancora oggi, a
guardarla, rivedo con piacere la figura di Don Pietro, un uomo straordinario
che ha significato tanto nella mia vita.
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Ricordo che negli anni ‘70 fu organizzata una mostra con le sue opere
negli Arsenali di Amalfi. Di lei conserviamo un altro bel regalo, di altro
genere, un bassorilievo in cotto poco smaltato raffigurante la Casa delle Tette
di Venezia.
Provenendo io da famiglia contadina mi sono trovata subito in sintonia
con la nuova vocazione di don Pietro che, come esponeva le sue metodologie,
aveva anche interesse con modestia a conoscere l’idea altrui. Godeva di ogni
cosa e aveva questa umiltà di sapere accogliere tutti; e questo rapporto umano
ci colpiva. Come un bambino mi raccontava che aveva recuperato il grano
saraceno e poi per la coltivazione aveva usato solo metodi tradizionali. La
mietitura era stata fatta a falcetto, al posto della trebbiatrice aveva utilizzato
semplici bastoni e un grosso “cernicchio” per la spulatura; convenimmo sui
costi che comportava questo metodo lavorativo. Gli feci pure notare che i
trattamenti chimici dei terreni confinanti in parte si riversavano anche sul suo;
quindi la vantata integrità biologica subiva giocoforza delle contaminazioni.
Domenico Cascone
1 La famosa quercia di San Nicola, esemplare di quercus pubescens, di età superiore a 375 anni,
sita nella Riserva naturale dei laghi Lungo e Ripasottile, in omaggio a don Pietro, è stata
adottata dallo Studio tecnico di Arboricultura del Dott. Rocco Sgherzi e da Grandi Trapianti
Italiani, nell’ambito del progetto “Adozione alberi”.
Quando in questo luogo di incontro tra due essenze, quella interiore
del luogo appunto e quella interiore di Pietro, sono giunta a farne parte anche
io, gli ho chiesto perché avesse scelto proprio questo tra i tanti possibili che
aveva conosciuto fino ad allora. In fondo la casa, nel lungo abbandono, era
diventata un rudere, contrapposto all’altro, più imponente, della rovina
romana, ancora eretta a testimoniare una grande civiltà; il terreno circostante la
casa era invaso dai rovi e gli alberi da frutto erano sfuggiti alle regole del buon
raccolto; le vecchie strade usate dai contadini e dagli animali rimaste segnalate
solo per l’allineamento frontale delle querce e dei ciliegi; niente acqua
potabile, né corrente elettrica. Ma allora perché doversi tanto impegnare
economicamente e fisicamente proprio per quel luogo? Forse per la romanità
che ancora lo pervade? Forse per un ritorno alle origini? La risposta di Pietro è
sempre stata la stessa: per la vecchia e grande quercia! Diceva che mentre
maturava l’idea di fermarsi in questa zona geografica aveva visionato molti
casali col terreno attorno, anche ben messi e in buona posizione finché era
giunto a valutarne due di proprietà dell’anziano veterinario del luogo, entrambi
abbandonati e semidiroccati: l’uno costruito sul promontorio e dominante il
paesaggio tutt’intorno, l’altro accostato a un antico residuo di una villa romana
antecedente la nascita di Cristo. Scelse quest’ultimo perché vicino ad esso
viveva da tanto tempo un albero maestoso di quercia, che faceva tante foglie, 57
tante grandi ghiande. Una motivazione che per molti abitanti del luogo era
incomprensibile al punto tale che
Pietro veniva chiamato “il tedesco”,
ovvero lo straniero, un po’ pazzo e
stravagante. Pertanto Pietro decise
all’età di 55 anni di prendere in cura
questo luogo, governandolo non
secondo i modi della cultura agricola
del momento ma assecondandone il
naturale decorso, accarezzandolo; il
che significava che tutto doveva
crescere e convivere secondo le leggi
della natura, per soddisfare le
esigenze dell’uomo e di tutti gli
animali del posto. Vari episodi
accaduti negli anni vissuti con Pietro
attestano questa sua filosofia del
luogo come il suo disappunto
nell’utilizzo da parte mia di detersivi
e di insetticidi, di qualunque attrezzo
dotato di motore necessario per
tagliare l’erba, le siepi, pulire la casa,
ecc.
La sua gestione del terreno, da quello agricolo a quello intorno
all’abitazione, era per lui un esperimento continuo da studiare per meglio
capire le leggi della natura, la sua divinità, per cui le patate le interrava lontano
dalla casa e puntualmente i cinghiali le facevano scomparire la notte stessa,
l’orto era “diffuso” in ogni pezzo di terreno che si lasciava vangare, per cui le
lumache e gli altri beneficiari notturni spazzolavano ogni piantina appena
interrata. Anche i fiori facevano parte di questo esperimento, così crescevano
tulipani e zinnie ovunque e in profusione; solo le rose, quelle “Papa Meilland”,
di velluto porpora e dal profumo inebriante, avevano il privilegio di stare
vicine alla casa, anche appoggiandosi ai suoi muri.
In questo studio continuo il ruolo principale lo svolgevano i semi, tutti,
e un grande piano da lavoro approntato all’esterno con tavole e chiodi;
accoglieva una moltitudine di vasetti di vetro etichettati per conservare i tanti
semi che trovavano alloggio negli altrettanti vasi e vasetti del suo semenzaio
“volante” affinché le lumache non potessero raggiungerlo. Aveva messo a
punto un sistema di lotta biologica delle lumache che era sgradevole ma
efficace: una volta raccolte in grande quantità all’interno di un secchio
coperto, le faceva bollire in un grande pentolone insieme alla segatura di legno
e questo brodo con i gusci oramai vuoti e galleggianti, lo distribuiva sul
58 terreno che accoglieva la giovane piantina di ortaggio, dai carciofi all’insalata,
motivando il buon esito della sopravvivenza della piantina con la frase “la
lumaca viva quando si avvicina e vede la sorella morta si spaventa e arretra!”.
La sperimentazione aveva il suo spazio anche nel modo di alimentarsi,
cominciando dal pane che faceva con le sue mani e di cui andava fiero perché
composto con il suo grano intero che non aveva “visto i veleni”, al quale
aggiungeva il miele delle sue api con in più quel tocco esotico del pepe e del
coriandolo che documentava il suo carattere cosmopolita del grande
viaggiatore fin dalla nascita.
Il risparmio energetico era la sua fede e, stanziandosi in questo luogo,
si era affidato ai primi modelli di pannelli solari con i quali l’acqua del pozzo,
da lui scavato, si riscaldava e alimentava i lavaggi della lavatrice con le scaglie
di sapone di Marsiglia; anche il gas della bombola usato in cucina, quando
sostituiva la fiamma del fuoco nel camino, era gestito con il criterio del
risparmio per cui le cotture avvenivano gradualmente impilando le pentole una
sull’altra, con ottimo successo.
Ma il suo più grande ed emozionante esperimento è stato rivolto alla
coltura del farro. Un intenso e variegato capitolo che meriterebbe una sede più
ampia di queste pagine ma che voglio ricordare brevemente con due episodi: il
primo è stato l’arrivo del seme al casale grazie a una famiglia di amici danesi
composta da madre, padre e cinque figli, dei quali ognuno ha portato il suo
sacco di cereale di peso e grandezza proporzionati all’età; il secondo è stato
quello della esposizione e della vendita del farro e dei suoi derivati alla storica
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. . . e la difesa
Fiera del pane, che si tiene nella Piazza della SS. Annunziata in Firenze. In
mezzo ai due eventi, tanti momenti vissuti per la ricerca e lo studio, in modo
da affrontare con cognizione il lavoro di semina, raccolta e lavorazione di
questo antico cereale riesumato da Pietro.
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Bigliettini da visita
dai principi Hitachi del Giappone come ringraziamento per la visita effettuata
alla Stazione Zoologica.
E ancora cartoline dai più svariati angoli del mondo, la corrispondenza
con Nunzia Sasso in cui Pietro chiede notizie su Ischia, sulla possibilità di fare
delle lenzuola grezze o di trovare una donna per le pulizie della casa, e perché
no, anche dei bei conigli di fosso da mangiare a Ischia. Da tutte le lettere,
purtroppo non ancora disponibili integralmente, si evince un uomo deciso e
impetuoso ma disponibile, molto impegnato nella costruzione della “nuova
SZN” da non fermarsi neanche durante le festività, mentre ad esempio la
famiglia era nel Natale del ‘63 a Cortina, oppure durante il ferragosto quando
lui continua a dedicarsi alla costruzione dell’Istituto.
Un anno così impegnativo e stressante per cui gli amici che hanno a
cuore il futuro della Stazione, ma ancor di più la sua salute, gli scrivono di
riposarsi per poter continuare con gioia e molta più forza. In una lettera
un’amica ricorda la calda atmosfera della casa al Faito [Raito?], il mare e tutta
la costa che sogna quando dorme ma anche quando è sveglia . . .
Gli impegni in questi anni erano tali da non consentirgli di allontanarsi
neanche un minuto dal lavoro quotidiano per parlare di argomenti non
pertinenti, come leggiamo nella lettera a Dargut Kamali in cui si scusa per
l’“irruenza” della sua risposta.
In questo stesso anno gli auguri di Pasqua vengono dati in risposta ad
auguri di Natale ricevuti, a testimonianza dell’anno faticosissimo, il 1963, in
cui ai mille impegni si era aggiunta anche la morte del padre.
La frase siamo al 5° cielo è riportata in una lettera dei figli che
trascorrono appunto con la mamma il Natale a Cortina, ed è quella che più mi
è piaciuta perché la trovo delicata dolce e poetica. Spiega anche che non sono
al 7° cielo perché la neve è pesante e bagnata!
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Pietro Dohrn: l’uomo, lo scienziato e la SZN
In una lettera dell’agosto del ‘70 firmata da “Zia Maria” alla nipote si
parla della difficile situazione in cui si trova la Stazione Zoologica, e Pietro
Dohrn viene descritto come un uomo che ha sentito il dovere morale di
continuare l’opera meravigliosa dei suoi avi, dedicando tutto se stesso alla
SZN, nonostante il triste episodio della morte del figlio avvenuta pochi mesi
prima. Vediamo come la vita personale non ha il sopravvento sulla vita
istituzionale limitandone l’operato, neanche in questa tragica circostanza.
E ancora la laurea in medicina conseguita presso l’Università di
Monaco “Magna cum laude”, gli estratti dei verbali del Consigli di
Amministrazione della SZN che lo nominano Direttore della Stazione nel 1954
e il conferimento dell’incarico di direttore emerito al padre Rinaldo Dohrn da
parte del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
Un estratto di una pubblicazione del febbraio 1960 e un articolo sulla
SZN pubblicato su AIBS Bullettin nel febbraio 1960; il bilancio di quello
stesso anno; la ricevuta della sartoria Caggiula per completi di lino e completi
invernali; il suo biglietto da visita sobrio ed essenziale ancora conservato nella
tasca interna di una delle rubriche telefoniche dove sono conservate 30 anni di
contatti dai quali potrebbe ricostruirsi la storia della biologia di quegli anni; la
nomina a socio ordinario residente della Società dei Naturalisti di Napoli del 5
marzo 1963; articoli di giornali sulla vita alla SZN.
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Angela Caputo
Renata D’Elia
Non saranno certamente le mie poche righe a dare più lustro alla figura
di Pietro Dohrn.
So soltanto che l’incontro con lui, avvenuto nel ‘74 in S. Maria di
Castellabate, quando io stavo portando avanti per il quotidiano napoletano
“Roma” un servizio giornalistico sugli “Scempi edilizi della Costa Cilentana”
e quando all’epoca, Pietro Dohrn sognava la realizzazione del Parco del
Cilento, non si trattò certamente di una convergenza di forze casuali.
In breve Pietro Dohrn mi illustrò il suo Progetto del Parco Marino di
Castellabate e mi spiegò del perché proprio quelle acque andassero
salvaguardate. Quelle acque sono permanentemente calde, godono di una
temperatura alta, proprio come nei mari tropicali e, guarda caso, la fauna
72 sottomarina che si incontra è, in buona parte, quella dei mari tropicali. Una
volta interdetta la pesca, l’unica attività consentita sarebbe stata la fotografia
sottomarina.
Nel giro di dieci anni di incontri importanti e meno importanti di
Pietro Dohrn con politici, sindaci, studenti e docenti con simposi, dibattiti e
conferenze, incontri e scontri su tutto il territorio cilentano, questo grande
studioso è riuscito a realizzare il suo progetto del Parco del Cilento.
Non sono mancati momenti di sconforto e di profonde delusioni: al
suo fianco, però, Pietro Dohrn aveva soprattutto i giovani e seppe dar vita alla
O.N.G. “Italia Nostra” di Sapri, me Presidente, trovandosi ad insegnare la
sottoscritta proprio nel Cilento, nel piccolo Comune limitrofo, di Rofrano.
Per anni la Sezione “Italia Nostra” di Sapri scatenò, grazie anche ad un
giovane studente in legge di Sapri, appunto, Franco Maldonato, oggi brillante
penalista, una feroce battaglia attraverso la stampa e conferenze, ma
soprattutto puntuali denunce alla Magistratura dei responsabili dei Comuni
degli scempi edilizi che si consumavano sulla costa per abusivismo e cattivo
gusto. All’epoca anche Maria Gerarda Sorrentino, studentessa in legge di S.
Giovanni a Piro, si associò al mare di denunzie nel suo Comune e “Italia
Nostra”; proprio in questo Comune, riportò una grande vittoria: fermò le ruspe
sul Promontorio della “Masseta”, gioiello paesaggistico della Costa Cilentana,
minacciato da ulteriori, squallidi progetti di costruzioni, cosiddette “estive”.
Pietro Dohrn non trascurò di interessarsi anche per altri comuni del
Cilento, vedi Caselle in Pittari, Torre Orsaia, Morigerati, e credo proprio che la
visita di questo straordinario uomo preoccupato per la preservazione e
valorizzazione delle risorse della natura e, nello specifico, del patrimonio
ambientale e storico di tutto il territorio al di qua del fiume Alento, rimarrà
nella memoria dei Cilentani probabilmente come il passaggio di quell’unica
persona che seppe renderli protagonisti su tutto il territorio nazionale.
Oggi, a distanza di più di trenta anni, il Parco Nazionale del Cilento è
una realtà. Spetta ai suoi abitanti mantenere fermo il traguardo.
Gerardo Moscariello
a Pietro Dohrn
Luigi Nicolao
Giuseppe Pinto
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Pietro in cucina
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Presentazioni . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3
Don Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 5
Testimonianze . . . . . . . . . . . . . . . . p. 21
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