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COMUNE DI VIETRI SUL MARE

PIETRO DOHRN

l’uomo, lo scienziato, l’ambientalista


TESTIMONIANZE

a cura di Aniello Tesauro

GRUPPO HABITAT - RAITO


2
Copertina: Pierpaolo Irno

Testo provvisorio in formato pdf , novembre 2019

Si ringraziano
per la documentazione: il Prof. Roberto Danovaro, Presidente della Stazione
Zoologica di Napoli, e la Dott.ssa Claudia Di Somma, Coordinatrice dell’unità MAB
della SZN
per le foto: le Dott.sse Paola Passalacqua e Christiane Groeben, la Sig.ra Angela
Caputo, il Sig. Raffaele Coppola
per le registrazioni: il Sig. Raffaele Coppola
per lo sbobinamento e trascrizione: la Dott.ssa Mariandrea Avallone
Il “dottore Dohrn”, come nella ufficialità si presentava a telefono, o
“don Pietro”, come gli amici e conoscenti gli si rivolgevano, fu ospite della
nostra cittadina tra gli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo, prendendo dimora in
una vecchia casa colonica sottostante Raito con invidiabile veduta panoramica.
A motivo della mia giovane età non ho potuto conoscere il dottore
Dohrn se non per quello che è stato riferito da quanti hanno avuto
l’opportunità ed il piacere di frequentarlo e di poterne apprezzare le doti di
“uomo, scienziato, ed ambientalista”, aspetti felicemente messi in evidenza nel
titolo di questo lavoro.
E’ stato per me motivo di legittima soddisfazione partecipare alla
seduta del Consiglio comunale che ha deliberato la concessione della
cittadinanza onoraria in memoria al dottore Dohrn, e sottoscrivere queste note
di presentazione al piccolo ma prezioso testo che raccoglie le testimonianze
rese nella stessa circostanza o comunque pervenute, per le quali mi preme
esprimere la gratitudine dell’Amministrazione comunale. Un grazie inoltre ai
curatori e collaboratori che si sono impegnati per la migliore resa del volume.
L’Amministrazione, della quale da alcuni mesi ho assunto la primaria
responsabilità, vuole manifestare la riconoscenza al Gruppo Habitat di Raito
che, facendo proprio l’auspicio dell’on.le Grazia Francescato, del sen. Alfonso 3
Andria e del dottor Aniello Tesauro, tre dei numerosi amici che don Pietro ha
avuto la capacità di “trascinare”, ha proposto di assumere una iniziativa in suo
ricordo (cittadinanza onoraria, incontro e pubblicazione) e si è fatto parte
attiva nella sua organizzazione.
Mi auguro che questa pubblicazione, da diffondere soprattutto tra gli
studenti, serva non solo per la conoscenza di una personalità che con la sua
rete di rapporti scientifici ha contribuito anche al prestigio alla nostra Vietri,
ma pure ad avvicinarsi alla realtà rappresentata dalla Stazione Zoologica
Anton Dohrn di Napoli, e soprattutto sia di stimolo ad accogliere il messaggio
del rispetto della natura e dell’ambiente, che abbiamo il dovere di custodire per
noi e per le generazioni future.

Dottor Giovanni De Simone


Sindaco di Vietri sul mare
“Don Pietro”, cittadino di Vietri, cittadino del mondo.
La concessione, seppure in memoria, della cittadinanza onoraria a
Pietro Dohrn e la pubblicazione di queste testimonianze vogliono
rappresentare un doveroso omaggio ad un ospite di Vietri dalla spiccata
personalità, caratterizzata non solo dalle conoscenze scientifiche e culturali,
ma anche dalla capacità di animazione e organizzazione di iniziative a favore
dell’habitat marino e ambientale tout court, e dalla entusiastica semplicità nei
rapporti umani.
Don Pietro ha completato l’apporto dei Dohrn alla Stazione Zoologica
di Napoli ‘Anton Dohrn’, istituzione scientifica fondata dal nonno Anton,
continuata dal padre Rinaldo ed evolutivamente potenziata da Pietro. La
fondazione è stata fin dall’inizio, e resta anche oggi, centro di eccellenza
internazionale nella ricerca sulla biologia marina.
Alcuni di noi hanno avuto l’onore di conoscerlo e frequentarlo; ogni
incontro è stato sempre occasione di gratificazione culturale e attestazione di
disinteressata amicizia.
“Don Pietro” portava nella borsa a tracolla una corposa agenda con
indirizzi e numeri di telefono di “mezzo mondo”, la rete scientifica ed umana
della quale era partecipe ed attivatore. Rete che ha mostrato la sua estensione e
4 validità in occasione dell’organizzazione del convegno internazionale sui
parchi marini di Castellabate del 1973, coinvolgendo più di 200 studiosi di
tutto il mondo.
La sua ultima scelta per la casa colonica con terreno a Colli sul Velino,
in provincia di Rieti, fu certamente motivata dal poter vivere più intimamente
con la natura, della cui sacralità aveva un profondo rispetto.
Come Gruppo sentiamo l’esigenza di ringraziare tutti gli amici di don
Pietro che hanno voluto contribuire all’evento, ed in particolare l’On.le Grazia
Francescato ed il Sen. Alfonso Andria che ci sono stati vicini nella ideazione e
nella preparazione.
Siamo riconoscenti alla SZN, nelle persone del Presidente Roberto
Danovaro e della responsabile del settore Archivio e Biblioteca dott.ssa
Claudia Di Somma, per la cortesia dimostrata nel mettere a disposizione
dell’iniziativa riferimenti e materiali che sono stati preziosi.
Per il caloroso sostegno testimoniato un grazie particolare alla vedova,
dott.ssa Paola Passalacqua, che ha condiviso con don Pietro il passionale
rapporto con la natura e resta custode della sua “eredità”.
E non dimentichiamo un saluto a Paola Princivalli, compagna di Pietro
nel soggiorno vietrese.

Dott. Silvestro Caputo


Presidente del Gruppo Habitat di Raito
“Io sono il portavoce dei pesci”

DON PIETRO

Pietro Dohrn, “don Pietro” per gli amici, nacque il 9 giugno 1917, a
Zurigo, ove la famiglia, tedesca, ma residente a Napoli, per ragioni politiche
legate alla Prima guerra mondiale, vi si era temporaneamente trasferita.
A Napoli, il nonno Anton, nel
1872, aveva fondato la Stazione
Zoologica, uno dei più importanti enti
di ricerca nei settori della biologia ed
evoluzione degli organismi marini e
dell’ecologia1. Anton era in contatto 5
con Charles Darwin, della cui teoria
evoluzionistica si era fatto estimatore.
La Stazione, che nei primi anni aveva
acquistato il ruolo di comunità
scientifica e di cenacolo artistico, è
stata un punto di riferimento di
ricercatori di livello internazionale2;
l’hanno frequentata ben 19 premi
Nobel.

1 La Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, retta da uno statuto adottato nel 2017, e
vigilata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dotata di personalità
giuridica di diritto pubblico, è Istituto Nazionale di Biologia, Ecologia e Biotecnologie Marine.
2 La Stazione Zoologica, che è dotata anche di un acquario, il più antico esistente d’Europa (in

fase di ristrutturazione), è sita nella Villa comunale, tra la Riviera di Chiaia e via Caracciolo;
ubicazione ritenuta dal fondatore ideale grazie alla ricchezza faunistica del golfo. L’istituto
divenne un punto di riferimento internazionale nella ricerca. Per finanziarsi fu utilizzata la
vendita di animali marini agli altri istituti ed applicato il “sistema Bench”, consistente nel fitto
degli spazi di ricerca (“tavoli di ricerca”) messi a disposizione degli studiosi. L’ente è dotato di
una propria imbarcazione di ricerca, la Vettoria. La stazione ha dato vita anche ad una
particolare attività di salvataggio e cura delle tartarughe, destinandovi un centro a Bagnoli ed
uno a Portici, il più grande del Mediterraneo. Tra le iniziative più recenti segnaliamo
l’istallazione di sei grandi laboratori sommersi nel Golfo di Napoli, a circa 15 metri di
profondità, per il campionamento delle "microplastiche" nelle acque marine campane.
6

Charles Darwin scrive ad Anton Dohrn


La Stazione Zoologica nell’originaria struttura 7

Rinaldo Dohrn

Lettera del Presidente Einaudi a Rinaldo


Il padre di Pietro, Rinaldo, proseguì le orme paterne nella direzione e
cura della Stazione. Nel 1913 sposò la russa Tatiana Romanova Zivago,
pittrice, in rapporti culturali con i maggiori esponenti della letteratura ed arte
russi, e prodiga verso la comunità degli esuli russi nella nostra regione. Lo zio,
Harald Dohrn, fu ucciso dai nazisti in Germania, pochi giorni prima della fine
della guerra, per le sue simpatie per la “Rosa bianca”, gruppo del quale faceva
parte il giovane Christoph Probst, marito della figlia Herta3. A Chistoph ed ai
compagni, quali martiri e/o testimoni della fede, ancorché non ancora
riconosciuti secondo le procedure canoniche, sono dedicate delle schede del
sito santi, beati e testimoni.
Giovane medico4, il dottor Pietro Dohrn fu chiamato al capezzale di
Benedetto Croce, colto da un malore, a cui prestò i primi soccorsi
indispensabili per la ripresa delle attività intellettive e motorie del filosofo.
La famiglia Dohrn era molto legata alla famiglia Croce: don Benedetto, quale
intellettuale e politico si era adoperato per preservare l’autonomia scientifica
ed organizzativa della Stazione.

La casa di Raito

Pietro Dohrn cominciò a lavorare alla Stazione Zoologica a febbraio


del 1945, e dal 1954 al 1967 ne assumerà la Direzione; del rapporto con la
Stazione si rinvia alla comunicazione pervenuta dalla Dott.ssa Claudia di
Somma, Coordinatrice del Museo, Archivio e Biblioteca della Stazione.

3 Cf. Wikipedia, voce Harald Dohrn.


4 La laurea “Magna cum laude” gli fu conferita dall’Università di Monaco di Baviera. Nel 1963
fu nominato socio ordinario residente della Società dei Naturalisti di Napoli.
Nella casa di don Pietro e della moglie Giovanna Astaldi si svolgevano
simposi tra scienziati letterati e musicisti5.
Il dottor Dohrn per diversi anni ha vissuto a Vietri, in un’abitazione
sottostante Raito nei pressi dell’albergo “Voce del mare”, assieme alla
compagna Paola Princivalli, pittrice ed
esperta, quale novella Penelope, di
tessitura. Fu iscritto nella nostra anagrafe
il 15.10.1970, da dove emigrò il
9.11.1977 per Contigliano (Rieti).
Acquistò subito a Colli sul Velino
(Rieti), un terreno con casale che
ristrutturò. Nel “retiro”, accompagnato
dalla futura moglie, Paola Passalacqua,
vi esercitò l’agricoltura biologica,
mantenendo in ogni caso i rapporti ed
impegnandosi nelle battaglie
ambientaliste; tra gli ultimi interventi
ricordiamo l’intervista sul futuro di
Bagnoli in occasione di una sua visita a
Napoli e alla sorella Antonietta6. A Colli 9
concluse i suoi giorni il 18 settembre
Pietro a Colli sul Velino (Rieti) 2007.

Pietro ed Antonietta Dohrn a Bagnoli (2005)

5 S. CALIFANO, Ricordo di Alessandro Ballio, Rendiconti Accademia Nazionale delle Scienze


detta dei XL, Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, 132° (“015), vol. XXXVII, Parte II, p. 310.
6 C. FRANCO, I Dohrn: l’idea vincente per Coroglio? Cura delle tartarughe e città della vela,

Corriere del Mezzogiorno, 12 maggio 2005.


Chi ha conosciuto Dohrn ricorda
le sigle M.A.M.B.O. (Mediter-ranean
Association for Marine Biology and
Oceanology), del quale è stato indefesso
Segretario, e Pacem in maribus,
organismo di promozione e
organizzazione di “colloqui” interna-
zionali per la protezione e ricerca
ambientale marina; e nel 1975 ne
10 sostenne a Castellabate la creazione
della sezione “Gruppo del Mediter-
raneo”, sotto la presidenza di Aurelio
Peccei, alla quale aderirono personalità
scientifiche ed istituzionali.
Pietro era una persona di una
cultura e di conoscenze scientifiche non
comuni; l’attività organizzativa, proget-
tuale e di animazione e di promozione
scientifica7 ne frenarono la ricerca pura,
e la possibilità di dedicasi diffusamente a pubblicazioni scientifiche8. Ci piace
ricordarlo nei suoi rapporti umani, in cui non mancavano momenti di reazione
spontanea e di impeto, ma che erano bilanciati dal carattere coinvolgente e
dalla semplicità e schiettezza, in dialogo con tutti.

7 Per questo si cita la tesi The echinoids arbacia lixula and paracentrotus lividus as indicators
of heavy metal levels in the Mediterranean environment, di Andrea Ulrico Psister, discussa nel
Dipartimento di Botanica della Facoltà di Scienze nell’Università di Durham nel 1978, dedicata
To Peter Dohrn, in greatfulness for those first, disconcerning, vital kicks.
8 Citiamo il saggio On the presence of a growth hormone in a decapod crustacean, lysmata

seticaudata risso di David Carlisle e Pietro Dohrn, in “La ricerca scientifica”, 23: 95-100, 1953,
alias Studies on Lysmata seticaudata Risso (Crustacea Decapoda) di D.B. Carlisle e P.F.R
Dohrn, in “Pubblicazioni della Stazione Zoologica” 1953, vol XXIV pp 69-83; P. Dohrn The
Zoological Station at Naples” AIBS Bulletin, Feb 1960; P. Dohrn, Le centrali elettronucleari e
la opposizione ecologia, in La civiltà del malessere, a cura di R. Raimondi, Guida, Napoli 1977,
pp. 193-200; Pesci segreti meraviglie, testi di Pietro Dohrn e Margherita Pantaleo, Giunti-
Mazzocco, Firenze 1978.
Pietro e il Cilento
11
Don Pietro lo ricordiamo, non solo quale uomo di cultura e scienziato,
dalla privilegiata postazione della Stazione Zoologica, ma anche quale
operatore sul campo, in particolare per la tutela e lo sviluppo sostenibile delle
risorse naturali nell’area del Cilento, da dover considerare “Giardino
d’Europa”, ove si spese per una serie di iniziative di particolare rilievo: le
azioni tese a promuovere il parco marino di Castellabate nell’ambito della più
vasta area del parco naturale terrestre; l’ideazione e la celebrazione del
Convegno internazionale di Castellabate sui parchi costieri del Mediterraneo;
la creazione di gruppi di volontariato antincendi con corsi e impegno sul
terreno.
Come è noto, tra i primi parchi nazionali istituti con la Legge quadro
sulle aree protette 6 dicembre 1991, n. 394 (art. 34), figurò quello del Cilento
e Vallo di Diano (Cervati, Gelbison, Alburni, Monte Stella e Monte
Bulgheria), nel cui ambito nel 2009 verrà istituita l’Area marina protetta di
Santa Maria di Castellabate9; provvedimento tardivo quest’ultimo10, se si tiene
conto del movimento culturale ed istituzionale che si era creato fin dalla fine
degli anni ‘60 tendente alla creazione sia del parco marino di Castellabate che
del parco terrestre del Cilento, che ebbe quale atto preliminare l’istituzione di
“una zona di tutela biologica” in S. Maria di Castellabate tra la baia del
9 Decreto Ministeriale 21 ottobre 2009, Gazzetta Ufficiale n. 82 del 9 aprile 2010.
10 Tra le aree marine di reperimento elencate nella citata legge 394/1991 (art. 36) figurava la
Costa degli Infreschi, ma non Castellabate. Anche nella precedente legge 31.12.1982 n. 979
(disposizione in difesa del mare), non figurava Castellabate tra le 20 aree marine protette,
previste all’art. 31.
Sambuco e punta dell’Ogliastro, entro le tre miglia dalla costa” (D.M.
25.8.1972, in G.U. n. 253 del 27.9.1972) 11. Valga ricordare inoltre che già nel
Progetto ‘80 nell’elenco dei parchi e delle riserve naturali di preminente
importanza nazionale fu incluso anche quello di “Santa Maria di Castellabate e
Punta Tresino”12. E per questo don Pietro ne aveva fatto proprio una sua
missione.
Al dottor Dohrn si deve una particolare attenzione alle potenzialità ed
alla conservazione dell’habitat cilentano: lo stimolo per la creazione della
riserva marina di Castellabate e l’ideazione del Convegno internazionale sui
Parchi costieri mediterranei (Castellabate, 18-22 giugno 1973), organizzato
dalla Regione Campania, che pose le basi per la legislazione italiana sui parchi
nazionali e sulle riserve marine, tra cui il Parco Nazionale del Cilento e Vallo
di Diano.
Il progetto del convegno fu prontamente accolto dall’Assessore al
turismo, Prof. Roberto Virtuoso, che impresse all’Ente Regione, da poco sorto,
la consapevolezza dell’importanza del turismo nello sviluppo socio-economico
del territorio e della necessità di un discorso intersettoriale. Al convegno
parteciparono studiosi e personalità di rilievo internazionale. Possiamo citare
tra gli altri Elisabetta Mann Borgese, Aurelio Peccei, Eugene Pora, Lord
12 Ritchie Calder, Tuyosi Tamura13. Si riuscì a mettere attorno allo stesso tavolo

11 Al parere favorevole del Comune di istituire un “Parco Nazionale Subacqueo” fece seguito
nel 1971 l’iniziativa del MAMBO e dell’A.M.TU.N. (Associazione Mediterranea per la tutela
della natura) di Salerno di organizzare a Castellabate un primo corso internazionale di “Gestione
dei Parchi Marini”. Con l’AMTUN collaborò anche la fondazione Dohrn, con l’apporto di Paola
Princivalli (compagna di don Pietro) e Sibilla von Haeften.
12 Il Progetto 80. Rapporto preliminare al programma economico nazionale 1971-75,

predisposto dal Ministero del Bilancio e della Programmazione economica, fu pubblicato nel
1969.
13 Il Convegno fu organizzato in collaborazione con il MAMBO, nell'ambito dei colloqui del

"Pacem in Maribus", e continuò a Malta dal 23 al 27 giugno. Il Convegno aveva come scopo
principale quello di approfondire le tematiche collegate alla istituzione dei "Parchi Marini"
nell'area mediterranea e nelle altre zone che avevano avuto esperienze del genere, per cui una
parte determinante fu riservata alle comunicazioni ed allo scambio di idee sulle iniziative già
avviate nei singoli Paesi, anche al fine di impostare la costituzione di una Federazione
Mediterranea dei Parchi Marini. La partecipazione di numerosi scienziati ed esperti di problemi
collegati alla costituzione e alla gestione dei Parchi Marini era premessa indispensabile per
l'acquisizione di esperienze per delineare le linee operative di azione per la realizzazione del
Parco Naturale Marino di Castellabate, in vista del quale era stata già istituita la "zona di tutela
biologica". Si auspicava che il Parco di Castellabate potesse costituire il movente per raccogliere
le forze e gli studi di tutto il Mediterraneo in una Federazione Mediterranea dei Parchi Marini
esistenti, in modo da creare una rete ben strutturata di iniziative per far fronte al dilagante
inquinamento col rischio di trasformare il Mediterraneo in un mare morto; ed anche una
occasione per rilanciare i motivi di solidarietà umana e culturale che da secoli intercorrono fra i
popoli del Mediterraneo. Il Convegno si proponeva anche di approfondire le tematiche aperte
dalla difesa dei valori ambientali in una logica di difesa attiva degli stessi, quale occasione di
vantaggi economici per le popolazioni interessate.
studiosi arabi ed israeliani. Un corposo volume degli atti rende testimonianza
della serietà dei lavori e dello spessore degli interventi.

13

Una pagina dell’elenco dei partecipanti


al Convegno di Castellabate annotata da don Pietro
Al convegno partecipò anche il Prof. Giorgio Nebbia, col quale don
Pietro curò poi la diffusione in Italia presso la Società Italiana degli
Economisti del “Manifesto per un’economia umana” redatto nell’ottobre 1973
negli Stati Uniti e firmato da oltre 200 economisti14.
Sempre nel Cilento Pietro Dohrn promosse la costituzione di gruppi di
volontariato antincendio, unitamente ad attività di rimboschimento, di didattica
e di indagini ambientale, cercando con insistenza risorse ed ogni utile
appoggio logistico15. Per questa attività, per gli anni 1973-74 e 75 ebbe
contributi da parte dell’E.P.T.: in particolare nel 1975 con la messa a
disposizione dei locali dell’Istituto “Conti Filomena e Francesco Matarazzo”
di Castellabate, che l’Ente in quel periodo ebbe in comodato, oltre
all’assunzione degli oneri per assicurazione e per buona parte della gestione
logistica.16.
Dohrn si prodigò per lo sviluppo dell’acquacoltura marina, con la
costituzione di cooperative ad hoc, facendo individuare anche nella nostra rada
di Fuenti una possibile stazione di allevamento di ostriche. Particolare
attenzione ebbe anche per l’area del Bussento, ove esercitò una “pressione”
sulle sorelle Clorinda e Modestina Florenzano per realizzare uno dei primi
esempi di museo di civiltà contadina17. Per i Monti Alburni suggeriva la
14 coltivazione di piante officinali. Non mancarono altre attenzioni, quale il
migliore sistema per preservare e valorizzare le varie raccolte bibliografiche
pubbliche e private disseminate nel Cilento.
Il 1975 fu particolarmente impegnativo per Pietro Dohrn. Il 7 febbraio
1975, caldeggiata anche dall’Assessore Roberto Virtuoso, si costituì per atto
notarile a Castellabate l’Associazione "Pacem in Maribus – Gruppo
Mediterraneo”, che purtroppo, nonostante la tempestiva redazione da parte di
don Pietro, in contatto con la Signora Elisabeth Mann Borgese, di un progetto
scientifico, non ebbe particolare seguito operativo18.

14 Il manifesto fu presentato nel dicembre 1973 alla riunione annuale dell’American Economic
Association, e la traduzione italiana fu fatta circolare nella riunione annuale della Società
Italiana degli Economisti; il testo fu pubblicato in Saggi di economia dell’ambiente, a cura di G.
Cannata, Giuffré, Milano 1974, p. 239-244.
15 In questa attività vi fu la valida collaborazione della sorella Antonietta e dell’amica di

famiglia Sibilla von Haeften (cugina di Werner von Haeften, e fidanzata di un altro cospiratore,
entrambi fucilati, del fallito attentato ad Hitler) (S. ACAMPORA, La Capra, edito in proprio,
2016, p. 21).
16 Ai giovani venne chiesto un contributo per il vitto e l’alloggio nella misura di L. 1.000

giornaliere.
17 Il museo etnografico di Morigerati si è posto quale capofila della rete di musei di interesse

demo etno antropologico del Cilento e della Campania nell’ambito del progetto “Musei tra
locale e globale”.
18 L’Associazione sorse allo scopo di promuovere, nell’ambito del bacino del Mediterraneo la

gestione razionale degli spazi marini e delle fasce costiere che su di essi gravitano, con
particolare riguardo allo sviluppo delle zone deserte, mediante la diffusione e l’incremento a
tutti i livelli dei principi che regolano la migliore utilizzazione delle risorse umane e naturali,
senza scopo di lucro, favorendo la elaborazione di indagini e ricerche su temi specifici a cura di
In estate, in applicazione della legge regionale16.5.1975 n. 30, che tra
i vari interventi prevedeva anche le “opere e lavori di primo avviamento per la
realizzazione del parco marino di Castellabate”, don Pietro – che fu proposto
quale responsabile dell’Ufficio Studi del Parco di Castellabate – elaborò una
dettagliato programma che fu trasmesso sia alla Regione che al Comune;
suggerì inoltre all’E.P.T. di studiare e sottoporre al Comune di Castellabate
anche la bozza di statuto dell’Ente Parco19.
Nella primavera del 1975 don Pietro propose uno studio, per conto
della FAO, affidato ai signori Jean Alain Madec e Philippe Serene sulle
potenzialità di acquacoltura nel golfo di Salerno, le cui relazioni furono
inserite nel volume degli Atti del Convegno di Castellabate20. Tra gli sviluppi
di quella iniziativa vi fu la promozione di cooperative per l’acquacoltura: il
nostro Ovidio Gagliardi fu incaricato di promuoverne la costituzione, tra cui,
nel settembre 1975, quella di Capodifiume in territorio di Capaccio. Nello
mese di agosto la MAMBO invitò a Castellabate il Prof. Antonio Vallario,
docente di geologia, che presiedette una tavola rotonda dal tema “La geologia
ambientale delle zone costiere del Cilento”, in cui fu messa in luce la
deficienza idrica e l’inquinamento delle acque; e collaborò all’organizzazione
sempre a Castellabate del convegno su “giustizia e territorio”, iniziativa dei
Comitati di Azione per la Giustizia. 15
Nel dicembre 1975 don Pietro invitò il Prof. Giovanni Bombace,
direttore dell’Istituto di Ricerche sulla Pesca marittima di Ancona (CNR) ad
illustrare alla Commissione consultiva locale per la pesca marittima - che per
l’occasione la Capitaneria di Porto di Salerno, con l’appoggio logistico
dell’E.P.T. convocò ad Agropoli - l’argomento della immissione in mare di
manufatti in cemento al fine di realizzare un habitat naturale per il

studiosi ed esperti del settore. Si costituirono di persona o per delega Arturo De Maio (docente
universitario), Piero Grisetti (studente universitario), Gaetano Latmiral (docente universitario),
Umberto Leanza (docente universitario), Ivan Matteo Lombardo (Presidente di società
commerciale, già parlamentare), Michele Marra (Abate di Cava), Luigi Mendia (docente
universitario), Giorgio Nebbia (docente universitario), Paolo Pappone (universitario), Arvid
Pardo (docente universitario), Aurelio Peccei (presidente di Italconsult di Roma, fondatore del
Club di Roma), Michele Santopietro (dottore in scienze matematiche). Peccei assumeva la
carica di Presidente. Nel Comitato scientifico fu prevista la presenza, tra gli altri, dello stesso
Peccei, della Sig.ra Elisabetta Mann Borgese, del Prof. Roberto Vacca del Club di Roma, del
Prof. Giorgio Nebbia.
19 La bozza fu esaminata in un clima da caminetto, al di fuori del tran tran d’ufficio, a Vietri

nella casa di don Pietro, con il dottor Tommaso Cunego, Direttore dell’Ente, e dei funzionari
dottori Aniello Tesauro e Vito Caponigro. La normativa non fu attuata per difficoltà di copertura
finanziaria (mutui non contratti). Nell’ordinare carte personali ho ritrovato il testo di una
articolata comunicazione su “La riserva marina di Castellabate” presentata dal sottoscritto al
Seminario di studio sulla “Valorizzazione ambientale della Provincia di Salerno” (Paestum, 22-
24 aprile 1988).
20 L’indagine interessò, per lo sviluppo dell’ostricultura, anche la nostra rada di Fuenti;

collaborarono all’iniziativa il giovane Silvestro Caputo, quale interprete, il sub Enrico Bottero
ed i pescatori Vincenzo Avallone, Carlo De Simone e Franco Pisacane.
ripopolamento della fauna ittica. Prese posizione a febbraio del 1976, con una
nota al Presidente della Camera di Commercio, in ordine alla iniziativa di un
porto di pesca salernitana munito di mercato ittico, suggerendo un centro di
vigilanza e monitoraggio per la verifica del pescato, alla luce delle
malformazioni dovute all’inquinamento marino. Nel mese di aprile del 1976
don Pietro, nella qualità di “autista e interprete/esperto”, accompagnò in un
sopralluogo a Paestum e nel Cilento altri esperti FAO (dr. M. Mistakidis, dr. Z.
Shehader e consorte), per l’individuazione, lungo il corso e alla foce dei fiumi
(Mingardo, Calore, Alento, Sele, Capodifiume, Bussento), di allevamenti di
trote, cefali, anguille, spigole. Nell’autunno sollecitò la venuta di James
Dobbin dell’Associazione Oceanica di Alexandria, Virginia (USA), esperto
nello studio di programmazione e gestione dei parchi costieri e consulente
degli Organismi internazionali interessati al settore, che effettuò un
sopralluogo nella fascia destinata a Parco Marino e nell’entroterra21, per
sviluppare un piano strategico del Parco marino, di quello del Cilento ed
offrire agli organi centrali un supporto per la problematica dei parchi marini.
Dobbin redasse una carta dell’area di Castellabate collegata con il territorio
cilentano con le indicazioni grafiche delle proposte, e si fece interprete presso
il Ministero dell’Ambiente per l’inserimento di Castellabate nei suoi
16 programmi.

21 L’arch. Carla Maurano, ed i Dott. Alfonso Gambardella ed Aniello Tesauro, con una vecchia
Simca a gas di quest’ultimo, si inerpicarono fin quasi alla cima del Monte Gelbison.
SEDUTA DEL CONSIGLIO COMUNALE

Il Consiglio comunale di Vietri sul mare si è riunito il 22 settembre


2018, alle ore 10,25 nella sala delle adunanze per trattare l’argomento posto
all’ordine del giorno: Cittadinanza onoraria postuma al Dott. Pietro Dohrn.
Sono presenti i Signori: Vincenzo Alfano, Presidente, Luigi Avallone,
rag. Marcello Civale, Sindaco f.f., Dott. Giovanni De Simone, Dott. Mario
Pagano, avv. Antonietta Raimondi, Antonella Scannapieco, Dott.ssa
Annalaura Raimondi, avv. Massimiliano Granozi, Dott. Alessio Serretiello.
Ad apertura di seduta il Presidente ringrazia i consiglieri, i presenti in
aula ed in particolare l’On.le Grazia Francescato ed il Sen Alfonso Andria;
esprime i sentimenti di orgoglio per la “cittadinanza onoraria postuma”, giusta
deliberazione di Giunta n. 101 del 13.9.2018, che ha fatto propria la proposta
avanzata dal Gruppo Habitat di Raito con la nota del 31.08.2018, acquisita al
protocollo con n. 12462, della quale dà lettura; alla lettera è allegata una breve 17
biografia del dr. Dohrn (iscritto all’anagrafe dal 1970 al 1977), della famiglia,
delle iniziative scientifiche e della promozione ambientale. Dopo aver
illustrato gli aspetti giuridici della cittadinanza onoraria postuma cede la parola
ai consiglieri, che per l’età non hanno avuto modo di conoscere personalmente
il dottore Dohrn, ma ne hanno apprezzato la statura umana e scientifica grazie
alle testimonianze degli amici che sono stati a diretto contatto.
Interviene il Sindaco f. f. Marcello Civale che si associa al pensiero
espresso dal Presidente, sottolineando l’attività svolta in campo ambientale ed
in particolare per l’area di Castellabate. Antonella Scannapieco lancia un
monito sul reale impegno a favore dell’ambiente, che non deve limitarsi a
singoli episodi, come l’abbattimento del Fuenti, ma deve costituire una
responsabilità costante. Mario Pagano ripercorre le principali tappe
dell’impegno culturale e di animatore ambientale del Dott. Pietro Dohrn, la cui
carica umana, la semplicità nei rapporti in continuo dialogo vengono
evidenziate da Antonietta Raimondi. Alessio Serretiello si complimenta con il
Gruppo Habitat, promotore dell’iniziativa, giusto riconoscimento ad una
personalità di rilievo. Massimiliano Granozi, in qualità di delegato
all’ambiente, si associa ai sentimenti ed al riconoscimento di quanto il dottore
Dohrn ha espresso in campo scientifico ed ambientale.
Al termine degli interventi la proposta viene messa ai voti ed
approvata all’unanimità dei presenti. Il Presidente Alfano consegna poi la
pergamena e la targa commemorativa della cittadinanza onoraria al Sig.
Silvestro Acampora, storico amico della famiglia Dohrn, in rappresentanza
della Dott.ssa Paola Passalacqua, assente per motivi istituzionali.
18

Seduta consiliare

Consegna della targa


UNA LETTERA

Prima di dar corso alle testimonianze, su proposta del Sig. Silvestro


Acampora, viene data lettura di una missiva che il Dott. Dohrn il 15 luglio
1976 scrisse al Direttore dell’Azienda di Stato per le Foreste demaniali, per
ottenere un sostegno per le attività di volontariato ambientale ed antincendio;
un documento che rappresenta un chiaro esempio dell’approccio e della
carica con la quale don Pietro affrontava le problematiche delle quali si
faceva interprete. La lettera viene letta dalla Dott.ssa Severina Milito
Pagliara, quale storica Presidente dell’associazione “Servizio di protezione
ambientale”.

“Illustrissimo Signor Direttore Dr. Benvenuti


Abbiamo intrapreso lo studio delle zone più valide per la situazione 19
biologica silvo-pastorale della provincia di Salerno, con l’aiuto di docenti e
volontari dell’attività avvistamento precoce incendi boschivi - quest’anno
fortunatamente ridotti per l’estate così umida colla quale il Padreterno sembra
voglia premiare i nostri sforzi di cui Ella ha avuto la dettagliata
documentazione ulteriore (spedita come raccomandata espresso Lunedì scorso
12 luglio 76) .
Tale studio si appoggia all’Università di Napoli come Facoltà di
Agraria (Entomologia, Botanica, ecc. ecc.) e ai volontari più qualificati per
tipo di studio (Scienze Naturali, Agraria, Biologia, Veterinaria, ecc. ecc.)
nonché all’esistente tecnica dei Radio-Amatori per la ricetrasmissione dai posti
d’avvistamento precoce in siti molto esposti ai posti di ascolto presso la linea
telefonica viciniore. Siamo anche in possesso dello foto panoramiche
azimutate prese da tre dei suddetti posti di avvistamento precoce, coll’aiuto
delle quali il turno in vedetta può individuare con grande precisione la
ubicazione esatta dell’incipiente incendio per identificare naturalmente il
Comune di competenza, la stazione viciniore dei Militi Forestali e - prima di
passare ad altro, il Comando dei Carabinieri competente.
Ogni giornata in vedetta si fa gratis e con entusiasmo e si tengono i
registri del lavoro ecologico fatto in loco con cura ed intelligenza; ma
occorrono i gettoni del telefono, i panini col cacio, le batterie delle radioline, la
miscela negli scooter e la benzina per le macchinette private di qualcuno che si
presta a trasportatore . . . Il rimboschimento e la costruzione di muretti anti-
erosione, le raccolte di insetti, roditori, rettili e l’osservazione di uccelli ecc.
sono organizzate sempre in parallelo all’avvistamento precoce predetto.
La giornata del singolo ragazzo è pienissima e di grande
soddisfazione. Per ogni minorenne noi chiediamo ai genitori la dichiarazione
liberatoria di legge da parte del padre o di chi ne fa le veci. Molti dei volontari
hanno validamente aiutato anche e senza farne vanto negli spegnimenti dei
fuochi in anni precedenti, e sono interessantissimi alla rigenerazione dei boschi
da loro stessi protetti a suo tempo. Ci hanno anche fornito gratuitamente di
semi di pino d’Aleppo alcuni dei esperti - semi che andando per le zone
devastate si sono potuti mettere in terra previo opportuno contatto con
l’ispettore di zona della Forestale che ha anche fatto a richiesta nostra scuola di
come si semina ai volontari addetti a questo lavoro, e quest’anno conteremmo
di profittare della eccezionale piovosità per calcare molto più del passato su
questo tipo di azioni per le quali e in arretrato di vari decenni lo sforzo della
benemerita Azienda da Lei diretta, almeno nell’intero grandioso Cilento che
abbiamo come zona di lavoro da anni.
Pur facendo come sempre ogni sforzo da parte nostra non pare
possibile ottenere quest’anno il contributo di gestione della Casa di
Castellabate da parte dell’EPT o da parte del Comune omonimo: e si pensava
già di chiedere delle tende da campo e dislocarci nelle località di avvistamento
prescelte (Castellabate, Cicerale, Roccagloriosa, San Giovanni a Piro,
20 Stio/Gioi, Morigerati, S. Angelo a Fasanella, ed altri eventuali da stabilire
ancora meglio).
Eppure dobbiamo assicurare con polizza collettiva come sempre
contro infortuni tutti coloro che si prodigano come sopra, dobbiamo sostenere
le spese di corrispondenza perché il servizio sia garantito, e in ultima analisi
non possiamo chiedere ai ragazzi anche il digiuno. Ecco la motivazione della
richiesta di Lire sei milioni che sarà rendicontata minutamente alla fine
dell’estate, e che noi chiediamo sia versata come ha fatto il Comune l’anno
scorso e come ha fatto ripetutamente in passato l’Ente Turismo di Salerno, alla
Associazione di cui in testa, appoggiata alla Banca Commerciale Italiana
Agenzia sette, Piazza Amedeo 8, Napoli, sul Conto Corrente della Fondazione
Antonio e Rinaldo DOHRN, che amministra gratuitamente le attività della
MAMB0 dal primo giorno nel lontano 1973 .
Abbiamo pochi stivali e calzerotti, dobbiamo acquisire binocoli e
pagarci il noleggio dei ponteggi tubolari Innocenti per le torrette di
avvistamento, della loro messa in opera in siti anche lontani dalle strade
rotabili, e siamo senza divise per cui ci dobbiamo munire di camicie militari di
scarto con iscrizione indelebile “VOLONTARIO SERVIZIO
AVVISTAMENTO PRECOCE INCENDI E DIFESA ECOLOGICA DEI
BOSCHI”. E si deve ottenere il permesso per le lunghezze d’onda utili nel
regolare appuntamento tra vedetta e ascoltatore dal competente Ufficio presso
il M° dell’Interno. Chiediamo di essere aiutati come sopra per integrare
l’estate nella difesa attiva dei boschi.
(Dr. Dohrn)
Segretario M.A.M.B.O.”
TESTIMONIANZE

Severino Milito Pagliara

Pietro Dohrn, se fosse qui, chiederebbe la difesa del mare e anche


dell’entroterra marino. Il nostro mare è caratterizzato da grande biodiversità e
voglio ricordare che per questo motivo da Venezia vengono in costiera a
prendere gli avannotti e i pesci adulti per gli allevamenti. La biodiversità deve
essere protetta; ma non si può difendere se facciamo una cementificazione di
tutta la costa compresi gli alvei fluviali.
Se Pietro Dohrn, fosse qui sarebbe molto contrariato nel constatare che
questa cementificazione sta portando alla distruzione degli habitat marini. 21
Ci sono stati dati soldi dei fondi europei per la difesa della costa in
particolare per il ripascimento della sabbia che però porta solo ad uno
spostamento della sabbia da una parte all’altra ma non risolve il problema
della cementificazione. Conseguenza di ciò e che gli avannotti e le varie specie
che vivono sotto costa non possono più crescere e ciò porta ad impoverimento
di tutta la fauna costiera.
Inoltre è in progetto di fare tutta una serie di porticcioli, circa 40,
lungo tutta la costa della Campania. A Salerno hanno già fatto 4 porti e dove si
prendevano i cannolicchi adesso non se ne trovano più.
Scusate, ma anche io mi arrabbio su questo punto.

Silvestro Caputo

Quale Presidente del Gruppo Habitat, sento il dovere di ringraziare gli


Amministratori comunali di Vietri, che abbiamo visto tutti di giovane età, di
leva recente, e che quindi non hanno conosciuto direttamente il nostro caro
Don Pietro, ma che alla nostra proposta hanno subito aderito per il
riconoscimento di questa importante presenza che abbiamo avuto sul nostro
territorio e non solo come cittadino, ma come operatore appassionato sulla
protezione dell’ambiente. Naturalmente ringrazio innanzitutto l’onorevole
Grazia Francescato e il senatore Alfonso Andria che sono stati
appassionatamente convinti che questa iniziativa dovesse essere portata avanti
e quindi ci hanno motivato ancora di più a superare le difficoltà e le
complicazioni burocratiche che inevitabilmente abbiamo trovato. Ringrazio
tutti quelli che sono venuti dall’esterno e i cittadini vietresi che onorano questa
mattinata. Per dovere di continuità passo la parola al dottore Tesauro, amico di
famiglia per decenni del Dott. Dohrn; ma soprattutto perché dobbiamo essere
grati a lui giacché il seme che ci ha portato a questa realizzazione di stamattina
l’ha messo nel solco lui e da quel seme è nata la piantina che riusciamo a
presentare oggi. Nel rinnovare il grazie a tutti gli intervenuti passo la parola ad
Aniello Tesauro, che modererà i lavori.

Aniello Tesauro

Grazie Silvestro. In verità il seme è stato un prodotto a tre perché


come ricorderà l’onorevole Francescato, in occasione della presentazione in
questa sala dei suoi libri In viaggio con l’arcangelo e Lo sguardo dell’anima,
le feci omaggio del libro Raito marinara, Raito mariana, dove fu riservata
una breve scheda su Don Pietro e lei mi fece omaggio dei suoi libri. A seguito
di quell’incontro assieme al senatore Andria si pensò di organizzare qualcosa
di pubblico in memoria di Don Pietro ed assieme a questo momento si è
22 passati poi a prevedere un riconoscimento anche formale che rimanesse agli
atti del Comune: quindi la cittadinanza onoraria postuma, una formula non
solitamente praticata; infatti si pratica quando si è in un territorio non dalla
nascita, non cittadino, ma per i meriti che ha acquisito legati al territorio lo si
riconosce cittadino onorario. Siamo grati all’onorevole Francescato ed al
senatore Andria che immediatamente hanno condiviso la proposta e ci hanno
supportato perché andassimo avanti nell’organizzazione dell’evento.
Come primo intervento, rispettando la scaletta, prego l’On.
Francescato, per la quale ogni presentazione appare superflua, di prendere la
parola.

Grazia Francescato

I latini dicevano nomen omen . . . nel nome c’è il destino. Io mi


chiamo Grazia e come prima cosa ringrazio; non è un grazie formale ma dal
profondo del cuore, perché Don Pietro è stato per me una persona di
straordinaria importanza. Ringrazio quindi l’Amministrazione comunale, il
Consiglio e soprattutto il Gruppo Habitat, non soltanto per questa giornata, ma
per tutto quello che fate tutti i giorni sul territorio . . . e so bene quanto sia
difficile portare avanti la vostra missione di custodi del territorio e
dell’ambiente’.
Comincerò dai miei ricordi e vi garantisco – poiché io ho conosciuto
Pietro nel 1970, quasi 50 anni fa – i ricordi sono una folla: ne potrei
raccontare tremila, ma ne racconto solo tre da cui esce nitida e splendente la
personalità di Pietro Dohrn. Li dedico ai giovani qui presenti, nella speranza
che possano ricevere e portare alta la fiaccola di Pietro.
Ho incontrato Dohrn nel 1970, ad un convegno. Lui mia ha
immediatamente ‘rapito’ e mi ha portato qui a Vietri, in quel bellissimo
casale dove abitava, sulla collina di Raito. Ricordo con emozione la rampa
che saliva dalla strada costiera, poi il sentiero in mezzo a luminosi limoneti e
uliveti e l’antica dimora dove viveva con la sua compagna artista Paola
Princivalli. Mi ha dunque portato qui e mi ha detto, senza tanti preamboli:
”Dobbiamo andare nel Cilento per fare un parco marino . . .”. Era il 1970,
quando di parchi se ne parlava ben poco, figuriamoci dei parchi marini!
Andiamo nel Cilento, a Castellabate, mi innamoro del luogo, lui
immediatamente mi dà un compito da svolgere; perché Pietro era un grande
idealista, ma concreto, con i piedi per terra; sapeva che io conoscevo due o tre
lingue e quindi mi incarica, potrei dire mi ingiunge, di tradurre una gran pila di
documenti e materiali che dovevano servire per il grande, storico convegno
internazionale del 1973. Mi colloca in una stanza con vista a mare, ma fredda
assai . . . poiché si era nel cuore dell’inverno. Tenete presente che io ho
origini piemontesi e, come tutti i nordici, pensavo che al sud facesse sempre
caldo; quindi non mi portai un granché per coprirmi. Intirizzita e affamata,
quasi tutte le sere mi rifugiavo da una compassionevole famiglia di pescatori 23
miei vicini di casa . . . avevano quei bracieri che si usavano una volta, ci si
metteva tutti intorno e . . . grazie a loro, insomma, sono sopravvissuta. . .
Ogni 2 - 3 giorni arrivava Pietro con un gran cesto di arance, che
costituivano la mia dieta di base . . . Nonostante le difficoltà, il lavoro di
traduzione procedeva spedito . . . Ma ad un certo punto mi imbatto in una
scrittura stranissima: sembrava arabo. Chiamo Pietro. All’epoca si usavano i
gettoni, che i nostri ragazzi non hanno mai visto, gli spiego la situazione
chiedendogli se quella scrittura fosse araba: lui conferma “E’ arabo”. Ribatto
che io non lo conosco, dunque non posso tradurlo. Risposta di Pietro, con voce
tonante: “IMPARALO!!!”.
Questo era Pietro Dohrn. Ovviamente non ho imparato l’arabo, però
ho imparato la lezione: quando uno non sa una cosa, cerca di impararla.
Questo è il primo ricordo. . .
Il secondo ricordo significativo risale al viaggio che Pietro mi propose,
di andare insieme a Paola a Stoccolma, e partecipare alla prima conferenza
ONU su Ambiente e Sviluppo, che si teneva nella capitale svedese nel giugno
1972.
All’epoca avevo 24 anni e, grazie a Pietro, ho avuto il privilegio di
affacciarmi su un orizzonte planetario, sul mondo dell’ambientalismo globale
internazionale, un filone che è rimasto per sempre nella mia vita. Ancora oggi,
perché a fine ottobre starò negli Stati Uniti, per partecipare alle riunioni di
alcuni grandi network internazionali sul cambiamento climatico.
A Stoccolma eravamo ospiti di un’eccentrica artista teatrale: tenete
presente che il connubio arte-scienza era una costante nell’esistenza di Dohrn.
E che Pietro era un instancabile ricercatore e collezionista di documenti su
entrambe i fronti . . . Chi ha conosciuto Pietro sa bene che le sue case e il suo
ufficio alla Stazione Zoologica rigurgitavano di riviste, giornali, carte di ogni
genere . . . Nel suo soggiorno a Stoccolma, dunque, fece incetta di documenti
di cui riempì il nostro pullmino, al punto che ho dovuto sobbarcarmi tutto il
viaggio di ritorno sdraiata su un tappeto di documenti . . . . . . Questo era
Pietro.
Terza sequenza di questo breve ‘amarcord’. Si svolge alla Stazione
zoologica, dove ho imparato l’ecologia proprio grazie a lui. Come ho già
accennato, Pietro non aveva uno studio, ma una sorta di antro strapieno di
carte, di papiers, di riviste, di studi ecc. Ogni tanto smettevamo di lavorare e ci
facevamo “o’ café” . . . E come lo faceva lui il caffè? Con una Moka qualsiasi?
No! lui aveva una antica caffettiera di quelle con il beccuccio, regalatagli da .
. . Benedetto Croce!!!.
Questo vi dà la dimensione dell’uomo che era. Ed è per questo che
sono contenta che sulla targa commemorativa voi avete scritto, come prima
parola, “UOMO”.
Termino qui perché altrimenti potrei andare avanti per giornate intere.
Spero di aver contribuito a far capire cosa ci ha dato Pietro, cosa ci manca di
24 Pietro, e cosa manca al mondo odierno.
Pietro ci ha dato uno sguardo ‘planetario’, ci ha reso partecipi della
dimensione globale dei problemi dell’umanità . . . Lui viveva questa
dimensione internazionale in modo assolutamente naturale, spontaneo. . . Per
esempio: da qualunque posto del pianeta mi mandava cartoline scritte a mano.
Ne ricordo una che mi spedì dalla Patagonia Cilena “Vieni che dobbiamo
salvare le balene”; un’altra dalla Scandinavia “Vieni che dobbiamo salvare la
taiga”. Pietro era di casa ovunque, aveva amici in tutto il mondo, si avvaleva
di una incredibile rete di esperti internazionali. Oggi si parla molto di network
e di connessioni: lui ne aveva a josa, pur senza poter disporre dei nostri
strumenti tecnologici . . . Scriveva a mano, ognuno di noi conserva le sue
originalissime cartoline, i messaggi vergati con scrittura alta e decisa, oppure
battuti a macchina . . . . . .
Oggi si direbbe che Pietro era GLOCAL: guardava ad un orizzonte
planetario ma le sue radici erano profondissime, erano radicate qui a Vietri, in
costiera e a Napoli; quindi la dimensione locale si sposava senza sforzo, con
grande naturalezza, con quella globale.
Torno sul connubio ARTE-SCIENZA. Oggi c’è una folla di esperti
preparatissimo ognuno nel proprio settore, ma spesso privi di quella che un
tempo si chiamava ‘cultura generale’. Dohrn era invece un tipico ‘uomo
rinascimentale’, di passare dalla musica alla pittura, dalla letteratura alla
scienza.
Ricordo con commozione, e scusate se mi vengono le lacrime agli
occhi, le affollate riunioni di scienziati ed artisti nei saloni affrescati della
Stazione Zoologica di Napoli, con il grande samovar della mamma di Pietro
che troneggiava sul tavolo . . . Si prendeva il thè, c’erano scienziati che
suonavano il violino, si dibatteva di arti e scienza . . . un’atmosfera
irripetibile, oggi purtroppo perduta.
Un’altra qualità di Pietro e di cui sentiamo tantissimo la mancanza è il
suo idealismo generoso ma concreto, capace di tradursi in progetti tangibili ed
articolati, precisi e curati fin nei dettagli.
Generosità e idealismo, mancanza di calcolo e passione quasi
totalmente scomparsi dalla scena. Adesso nessuno fa niente per niente, molto
si fa per calcolo, per convenienza. Ecco, Pietro non coltivava interessi
particolari, la sua vita è stata dedicata al bene comune, in particolare alla
salvezza della Natura, del nostro maltrattato pianeta. Questo lo ha reso grande.
Era grande ieri, è grande oggi e sarà grande domani: è un esempio bellissimo
per i ragazzi.
Sono convinta che noi, appartenenti alle poche generazioni che hanno
valicato il confine del secolo e del millennio, siamo in un mondo nuovo, in
un’epoca nuova. Questo è in parte inquietante: non voglio qui fare l’elenco dei
problemi da fronteggiare, quali l’inquinamento, l’immigrazione, i
cambiamenti climatici, la crisi economica. Tuttavia, basandomi sulla mia
esperienza, posso affermare che ci sono ovunque nel mondo, in Italia, e anche
qui, quelli che chiamerei PUNTI LUCE. Si tratta di persone, gruppi, 25
movimenti, realtà che fanno bene le cose buone . . . Non si limitano a
predicare ed esortare, ma agiscono, perseguono quotidianamente, costruiscono
concretamente SOSTENIBILITA’ (concetto molto in uso, ma poco tradotto in
realtà).
Purtroppo questi PUNTI LUCE NON FANNO COSTELLAZIONE . .
. . spesso non si conoscono, non lavorano insieme, non creano sinergie
comuni, quindi non hanno la forza di cui avrebbero bisogno per affrontare le
grandi sfide del nostro tempo.
Ecco, io credo che ognuno di noi – anche in questo Consiglio
comunale lo avete fatto con questa concessione della cittadinanza onoraria –
possa aiutare i punti luce a fare costellazione. Pietro è stata appunto una
grande luce e continuerà ad esserlo per tutti noi.
Ora vorrei concludere mostrandovi un mio articolo scritto per la rivista
AIRONE quand’ero giornalista: è un approfondito, ricco reportage su Pietro e
sulla storia della dinastia Dohrn, e dunque della Stazione Zoologica di Napoli
che sono disponibile ad inviare per email a chi lo chiederà. L’allora direttore
di AIRONE, Salvatore Giannella, ha promesso che lo ripubblicherà insieme
alla notizia della cittadinanza onoraria. Anche Giorgio Nebbia, un noto
scienziato novantatreenne, antesignano dell’ambientalismo, mi ha confermato
che diffonderà la notizia di questa cittadinanza . . . e tanti altri lo faranno,per
onorare la memoria di Pietro.
Termino qui e vi ringrazio. Prima di concludere, però, vi leggerò la
testimonianza che mi ha affidato il mio compagno Giampiero Indelli, grande
amico di Pietro, naturalista ante litteram e anche fotografo di rango, che si
rammarica di non poter essere presente per motivi di salute.

Giampiero Indelli

Ho incontrato Pietro Dohrn per la prima volta nel Palazzo reale di


Persano. Mi colpì subito il suo aspetto fisico: era alto, atletico, con bellissimi
occhi azzurri, aveva al polso un bizzarro braccialetto, probabilmente di
lapislazzuli. Quando lo vidi pensai subito a Burt Lancaster nel Gattopardo. Mi
avvicinai a lui e gli dissi subito chi ero, mi fissò intensamente, mi strinse la
mano con vigore. Eravamo lì per una singolare circostanza: in quel periodo,
inizio anni ‘80, alcune cooperative di contadini chiedevano che i terreni della
tenuta militare di Persano venissero abbandonati dall’esercito e affidati a loro a
fini agricoli. C’era anche un contenzioso sul quel territorio sul quale i militari
esercitavano i tiri, sparavano cioè con le armi da guerra. Alcuni ufficiali
spiegarono ai presenti i loro programmi e poi per farci vedere di persona i
luoghi interessati ci fecero salire su un grande elicottero. Sorvolammo tutto il
Cilento interno, io e Pietro eravamo seduti l’uno a fianco all’altro. Il volo durò
26 a lungo in un pomeriggio corrusco di nubi, il portellone posteriore era
semiaperto, entravano rumore e vento. Parlammo poco io e Pietro, ma la
visione dei paesaggi aspri e sconfinanti in quel territorio amati da entrambi
cementò la nostra amicizia.
Ci siamo rivisti a Colli sul Velino dove Pietro era andato a vivere
quando lasciò Vietri sul Mare; il posto bellissimo, un dolce declivio conduceva
alla riva del fiume Santa Susanna, l’acqua limpidissima lasciava vedere la
vegetazione acquatica che ondeggiava mossa dalla corrente. Ma la vera
meraviglia era il casale in pietra, nel quale Pietro abitava. Era una antica villa
rustica del I sec a. C., della quale parlava anche Cicerone; sulla antica
costruzione spuntavano due enormi querce, l’interno era pieno di oggetti che
Pietro aveva portato con sé reduce dai suoi innumerevoli viaggi intorno al
mondo.
Nel corso degli anni sono ritornato molte volte a fargli visita, era
sempre molto affaccendato nei lavori agricoli. L’ultima volta che lo vidi mi
mostrò un campo nel quale aveva piantato il farro, prese dalla tasca della tuta
da lavoro una manciata di semi e me li regalò. Alcuni suoi amici genetisti
svizzeri gli avevano dato quei semi, dicendogli che erano uguali a quelli
piantati lì 2000 anni prima; li conservo ancora.
Si deve principalmente a Pietro Dohrn la nascita del parco nazionale
del Cilento, frequentò quei luoghi negli anni ‘60 e ‘70, quando i paesaggi
erano ancora incontaminati; si parlava in particolare di punta Licosa. Il motivo
per cui ho voluto che tutte le sezioni del mio libro sul Cilento avessero in
copertina una foto di Punta Licosa è stato un tacito omaggio da parte mia
all’antica passione di Pietro. Fu il primo ad intuire la straordinaria importanza
naturalistica di quell’immenso territorio, a quel tempo ancora più ignoto.
Lavorò con entusiasmo da visionario di quel luogo per farlo apprezzare e
conoscere. Nel ‘73 promosse a Castellabate l’importante convegno sui Parchi
costieri mediterranei; vi presero parte grandi esperti arrivati da tutto il mondo,
invitati personalmente da Pietro Dohrn. Fino a quel momento ci si era limitati
allo studio e proposta di limitati territori da salvaguardare. In quel convegno si
parlò per la prima volta di un unico grande parco che tutelasse la maggior
parte dei territori del Cilento, il sogno di Pietro cominciava a vivere.

S. Caputo - Ho avuto molto piacere che l’On.le Francescato ha


apprezzato e condiviso che sulla targa è stata apposto il termine uomo, che
precede ed affianca gli altri due di scienziato ed ambientalista. Con questa
scelta si è voluto rappresentare l’UOMO, a quattro lettere maiuscole, in tutti i
suoi rapporti personali, scientifici, istituzionali, e di approccio ai problemi
della natura.

A. Tesauro - Adesso la parola passa al Senatore Andria. Uno dei


primi impegni che ebbe quando cominciò a lavorare presso l’Ente Provinciale 27
per il Turismo fu proprio l’organizzazione e lo svolgimento del Convegno di
Castellabate, meritandosi l’apprezzamento già in sede dei colleghi, e
soprattutto di don Pietro, il quale lo chiamava anche “Fofò”. Ho ritrovato
nelle mie carte una breve lettera del 1997 per la quale don Pietro utilizzò
mezza pagina di un quadernone. In risposta all’invito alla presentazione del
mio libro San Giovanni di Vietri. Itinerario tra fede arte e storia, per la quale
era prevista la partecipazione del Senatore Andria, allora Presidente della
Provincia, Don Pietro, non essendo potuto venire, espresse il suo rammarico
“di non aver potuto ascoltare Fofò, di cui serbava vivace ricordo”. Ciò per dire
il rapporto che si era instaurato tra noi, colleghi di ufficio, con Pietro Dohrn.

Alfonso Andria

Grazie. Dico subito che una buona parte della mia testimonianza è
stata già ricompresa nell’introduzione del Dott. Aniello Tesauro, che
vivamente ringrazio. Ringrazio lui, Silvestro Caputo, il Gruppo Habitat di
Raito e naturalmente il Signor Sindaco, il Presidente del Consiglio comunale e
la Civica Amministrazione. La bell’idea di ricordare Pietro Dohrn è, come è
stato detto, del Gruppo Habitat ed è stata sostenuta convintamente dal Sindaco:
bisogna dare atto e merito della particolare sensibilità manifestata!
Personalmente ritengo che la cittadinanza onoraria di un Comune sia per la
persona che la riceve il riconoscimento più alto, qualunque sia la dimensione
del Comune, anche del più piccolo d’Italia. Qui non siamo in un piccolo
Comune, siamo in un piccolo Comune, grande per la sua tradizione culturale e
per la sua storia.
Nell’occasione odierna vi è un valore aggiunto: l’attribuzione di
“Cittadinanza onoraria postuma”, o meglio “in memoria” è un gesto di
significato assai pregnante. Direi meglio, è una Cittadinanza “in memoria”,
perché la parola “memoria” racchiude il senso di civiltà che un popolo
esprime: un popolo che non conserva la memoria non vive consapevolmente il
proprio presente e non si proietta responsabilmente verso il futuro. E noi
abbiamo bisogno di coltivare la memoria anche attraverso gli insegnamenti
delle figure migliori che hanno inciso nelle realtà locali.
Questo 2018 è l’Anno Europeo del Patrimonio Culturale, voluto dalle
Istituzioni europee; lo stiamo celebrando anche nel territorio del Salernitano.
Mentre ascoltavo Grazia Francescato - con la quale ho il privilegio di vantare
un antico rapporto di collaborazione e amicizia - mi veniva in mente che se
l’UNESCO, oltre a parlare di patrimonio materiale, di patrimonio immateriale
e oggi anche di patrimonio digitale, parlasse prima ancora di una Lista del
Patrimonio Umano della Cultura, che accogliesse tutto quello che il genere
umano ha prodotto in tali ambiti, nei primissimi posti di quella “virtuale lista”
dovrebbe figurare il nome di Pietro Dohrn.
28 Mi sia permessa una parentesi di ordine personale. Nello Tesauro, nel
darmi la parola, ha taciuto un particolare: io fui assunto all’Ente Provinciale
per il Turismo il 9 maggio del 1973 con la formula di rapporto a contratto. La
deliberazione fu adottata dall’allora Presidente, Avv. Mario Parrilli, una figura
di grande riferimento del Foro di Salerno. Tra le motivazioni dell’assunzione
si citava la circostanza che il Sig. Aniello Tesauro stava prestando servizio di
leva e, dunque, l’Ente aveva necessità di avvalersi di personale che si
dedicasse all’organizzazione di manifestazioni turistico-culturali secondo il
programma concordato con la Regione, in particolare la circuitazione degli
spettacoli negli ambiti monumentali ed archeologici. In realtà quel contratto
sarebbe stato prorogato fino alla stabilizzazione in servizio.
In quella primavera del 1973 era impegnata alla Regione per
l’organizzazione del Convegno “Pacem in maribus” che sarebbe stato
celebrato a Castellabate a metà giugno un’altra persona, la dottoressa Lidia
Tesauro, che fu poi assunta dall’E.P.T. e che in tempi più recenti sarebbe
diventata Direttore dell’Ente. Quindi al “tandem Tesauro” è legata parte della
mia storia personale, professionale e naturalmente anche affettiva.
Desidero precisare che Nello Tesauro, ancora militare, non poté
partecipare all’assise di Castellabate. Ma quale addetto in ufficio alle
problematiche ambientali ed a curare testi e pubblicazioni, fu vicino a don
Pietro nei rapporti con l’Ente; ed in seguito fu incaricato di seguire il lavoro
editoriale per la pubblicazione degli atti del convegno. Un corposo, vorrei dire
imponente, volume che raccoglie contributi ritenuti ancora attuali.
La sessione inaugurale del convegno ebbe luogo al Teatro Verdi in
Salerno con l’intervento dell’Assessore al Turismo della Regione Campania,
l’onorevole Roberto Virtuoso, che aveva fortemente voluto l’evento e la
allocuzione conclusiva, cinque giorni dopo, fu tenuta dal professore Aurelio
Peccei nel Bouleuterion a Paestum. I lavori si svolsero all’Hotel Punta Licosa
in Ogliastro Marina (Castellabate) con la partecipazione di scienziati
provenienti da tutto il mondo, praticamente il gotha dell’ambientalismo e della
cultura internazionale e della stampa specializzata. A proposito dei giornalisti
valga per tutti il nome di Antonio Cederna, che fu assiduo frequentatore
durante le giornate di lavoro e che dette anche un contributo di pensiero molto
significativo e importante.

29

Un momento della protesta dei pescatori di Castellabate durante i lavori del convegno

Durante le giornate di Castellabate vi fu anche una protesta silenziosa


di pescatori che così esprimevano la propria contrarietà all’istituzione della
zona di tutela biologica marina, presumendo di vedersi sottratti il lavoro.
Soltanto persone dotate di una speciale credibilità morale e di una grande
capacità di convincimento, come Pietro Dorhn e Roberto Virtuoso, potevano
interloquire con loro e farli riflettere sulle potenzialità che l’istituzione del
parco avrebbe potuto offrire, in particolare per le attività di manutenzione, di
vigilanza ecc.
Al convegno partecipò anche il Prof. Giorgio Nebbia, per il quale tre
anni fa nella Sala della Biblioteca Giovanni Spadolini in Palazzo della
Minerva a Roma, su mia richiesta – non ero più membro del Senato – ed
indicazione della Fondazione Micheletti, celebrammo il novantesimo
compleanno. E lì ci siamo incontrati anche con Grazia e lì abbiamo ricordato
alcune figure mitiche, tra le quali appunto Dohrn e Nebbia; entrambi curarono
la diffusione in Italia presso la Società Italiana degli Economisti del
“Manifesto per un’economia umana”, redatto negli Stati Uniti nell’ottobre
1973 e firmato da oltre 200 economisti.
Quando poco fa ho sentito pronunciare l’acronimo MAMBO
(Mediterranean Association for Marine Biology and Oceanology) la mia
memoria è andata ad Elisabeth Mann Borgese, una figura estremamente
autorevole di donna e studiosa che fu tra i grandi protagonisti dell’iniziativa.
Vi fu in effetti una grande intuizione politica in una stagione particolarmente
feconda e prodiga di attenzioni verso l’ambiente, la natura e la preservazione
del paesaggio diversamente da quanto sarebbe poi accaduto in epoca più
recente e ai nostri giorni. É arrivata dopo la definizione di “Paesaggio
culturale”, consacrata nella convenzione del Congresso dei Poteri Locali del
Consiglio d’Europa, sottoscritta a Firenze nel 2000. La stessa costituzione del
Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano che Grazia ha richiamato,
pure se “in nuce”, rappresentava una delle tante grandi idee di Pietro Dohrn.
Vi era, però in quei primi anni ‘70, altrettanta sensibilità nelle personalità
politiche, nei reggitori della cosa pubblica, amministratori locali e soprattutto
regionali: Roberto Virtuoso rappresentava l’incarnazione di quella acuta
sensibilità, tanto da avere quasi preteso una delega che non fosse solo ristretta
30
al Turismo, ma anche allargata al Commercio, ai Beni Culturali e
all’Ambiente. Perciò entrò in contatto con la Stazione Zoologica di Napoli
Anton Dohrn, conobbe Pietro Dorhn, che non era più direttore e rimase
affascinato, anzi calamitato da quella figura di animatore culturale. Qualcuno
giustamente ha definito Dohrn un “trascinatore”, un grande iniziatore oltre
che una persona capace di trasferire rapidamente, come se si trattasse di un
contagio, non la sua competenza, che era ineguagliabile, ma la passione. E
quindi chi aveva intelligenza politica era in grado di cogliere questo impulso e
di tradurlo in un gesto, appunto, politico, in un’azione di sostegno utile al
territorio come accadde. Incontrare Pietro Dohrn era sempre una grande festa.
Mi piace ricordare una bellissima cartolina che mi inviò: una cartolina
illustrata con sul retro scritto da tutte le parti anche intorno, tutto quello che
aveva da scrivere per aggiornami delle sue “scorribande”, delle varie location
nel Settentrione del Paese e da ultimo nell’Italia centrale. Ritorno su un
riferimento ancora una volta personale, molto personale! Ho detto innanzi
dell’inizio della mia attività professionale presso l’EPT e aggiungo qui che
l’assunzione in servizio avvenne 7 giorni dopo la tragica scomparsa di mio
padre, all’età di 54 anni, a causa di un incidente stradale. Mi trovavo, dunque,
in una condizione estremamente difficile, dovendo affrontare l’esperienza di
un dolore immenso e al tempo stesso incamminarmi in un percorso di nuove
responsabilità familiari e dell’improvviso impegno di lavoro. Certo la figura
del padre è insostituibile per ciascuno, ma trovare sulla propria strada una
persona che avesse dentro di sé anche la capacità di scrutare nell’intimo
dell’interlocutore, di dire una parola o di non dirla, e magari semplicemente
limitarsi ad uno sguardo, era per me in quel momento di straordinaria
importanza per ... ripartire! Tra le figure che mi accompagnarono vi fu anche
quella di Pietro Dohrn, anzi quella di don Pietro, come noi giovani di quel
tempo eravamo soliti chiamarlo, e lui, forse anche per manifestarmi
condivisione ed affetto, mi chiamava “Fofò”: ma era l’unico ad usare questo
diminutivo, che spesso utilizzava anche parlando di me ad altri verbalmente o
per corrispondenza.
A proposito di scritti e di messaggi, i suoi erano molto sintetici, come
ha già detto Grazia, e – dico – non solo autorevoli ma anche autoritari. Per
esempio ce n’era uno che ricorreva persino sulle lavagne, dove veniva
indicato, nella hall dell’hotel Punta Licosa, il programma della giornata di
convegno con le sue note tecniche: “fiumi di caffè” per indicare la pausa che a
una certa ora della mattina o nel pomeriggio bisognava fare per prendere fiato.
Scrivere quell’espressione sulla lavagna equivaleva ad un “ordine tassativo”:
se poi il caffè non arrivava nel momento indicato, c’era . . . qualche penalità
da pagare.
Pietro Dorhn era assolutamente lungimirante, pensava con grande
anticipo e realizzava con la stessa velocità, nel senso che se non era in grado di
realizzare direttamente obbligava, quasi in modo coercitivo, il decisore di
turno, sia che fosse l’Ente Provinciale per il Turismo od il Comune di
Castellabate o la Comunità Montana del territorio a realizzare. Un esempio: 31
l’azione di volontariato, la creazione di gruppi cosiddetti di volontariato civile
che presidiavano il territorio per difendere il patrimonio boschivo dagli incendi
è stata nel nostro territorio una grande idea di Pietro Dorhn, che poi abbiamo
cercato nel tempo di mettere in pratica e via via di migliorare, tanto che nel
1975 proprio con Roberto Virtuoso, che era ancora Assessore in quel periodo,
fu svolto ad Agropoli un raduno dei gruppi di volontariato civile dell’intera
provincia di Salerno e di gran parte della regione Campania, al fine di
omogeneizzare gli interventi sul territorio e di cominciare in piccolo a
costruire una rete di rapporti tra queste entità, perseguendo obiettivi di utilità
collettiva.
Questi ricordi fanno emergere che la figura di Pietro Dorhn, non è
soltanto quella di uno scienziato, di un medico, di un biologo, non solo - per
tanti di noi - un amico affettuoso e premuroso seppure talvolta camuffato da
“burbero benefico”, ma sostanzialmente disegnano l’identikit di un grande
anticipatore, un iniziatore di tante buone cose che hanno fatto bene all’
ambiente. Seguendo la traccia del suo impegno abbiamo ottenuto, nel tempo
più recente - quest’anno il 3 dicembre ne celebreremo il ventennale -
l’iscrizione nella Lista UNESCO del Patrimonio Mondiale dell’Umanità del
Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano e Alburni, con le emergenze
archeologiche di Paestum e di Velia e con la Certosa di Padula. Il dossier di
candidatura fu istruito per iniziativa della Provincia di Salerno, con il sostegno
e la collaborazione dell’E.P.T., del Comune di Capaccio Paestum, dell’Ente
Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Quest’ultima istituzione era in
quella delicata fase affidata alla saggia e operosa guida del Prof. Vincenzo La
Valva, una figura di speciale profilo, purtroppo troppo presto scomparso e, a
proposito di memoria, troppo presto dimenticato.
Lo scorso anno abbiamo ricordato con un Convegno a Furore lo stesso
traguardo raggiunto alla Costiera Amalfitana vent’anni prima (1997).
Dopo i citati riconoscimenti i tre quarti del territorio provinciale
salernitano sono Patrimonio dell’Umanità, il che richiederebbe anche
un’azione più determinata e costante da parte degli Amministratori locali nella
difesa, nella preservazione, nella tutela del territorio, ma anche naturalmente
nella sua valorizzazione.
Molto più recentemente, nel 2010, si è aggiunta la Dieta Mediterranea
nella Lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità.
Tutta questa mia narrazione dimostra che quando c’è un filo
sottilissimo, ma evidentemente molto robusto, che unisce le sensibilità
individuali e l’impegno assiduo di chi ricopre incarichi di responsabilità nei
territori, i risultati si producono naturalmente.
Quest’oggi tutti noi abbiamo fatto una cosa importante grazie alla
sollecitazione della Civica Amministrazione e del Gruppo Habitat, a quanto
hanno detto o scritto Grazia Francescato e il Direttore dell’Oasi del WWF di
Persano Giampiero Indelli: abbiamo ricostruito un pezzo di storia del
32 territorio, quella microstoria locale che concorre a scrivere la grande Storia del
nostro Paese e della Comunità nazionale.
È emerso dalle nostre testimonianze, anche da quelle dei giovani
Amministratori di questo Comune che non hanno conosciuto Dohrn ma che ne
hanno sentito parlare, il tratto distintivo di don Pietro che è la sua umanità. E
qualcuno dei giovani intervenuti, nel citarlo, lo ha chiamato come noi
confidenzialmente ci rivolgevamo a lui: don Pietro. Naturalmente lo
chiamavamo anche Professore, anche se quando parlava al telefono in una
delle tante lingue che conosceva, egli si presentava come il dottor Dorhn, forse
anche per ragioni più omogenee alla sua provenienza territoriale, alla radice
familiare, al suo ruolo di Ricercatore puro. Sì, nelle conversazioni telefoniche
esordiva dicendo: “dottor Dorhn”, poi aggiungeva il saluto.
Un grande uomo, Pietro Dohrn, prima che un grande scienziato, un
medico, un biologo, soprattutto uno “scienziato” delle relazioni umane! Perciò
mi auguro, come nelle premesse, in sintonia con Grazia, che l’iniziativa
odierna non debba considerarsi esaurita. Ho avvertito, per questo, dagli amici
del Gruppo Habitat e dai giovani Amministratori la determinazione che
l’odierna manifestazione venga seguita da ulteriori proposte sia per mantenere
vivo il ricordo di don Pietro, che soprattutto per attualizzare il suo messaggio
ed i suoi insegnamenti. La prevista pubblicazione degli atti di questo incontro
ed il coinvolgimento della scuola, con visite guidate alla Stazione Zoologica,
potranno costituire le prime tappe dell’auspicato percorso.
A. Tesauro - Dai rapporti epistolari di don Pietro, allacciandomi a
quanto detto dall’On. Francescato e dal Sen. Andria si potrebbe ricavare un bel
lavoro. Nel testo inseriva qualche parola e frase ad effetto, come in una
richiesta di attrezzature sollecitava un “piano da poter spaparanzare carte
con comodo”. Arricchiva poi i testi dattiloscritti o loro copie con simpatici
ed efficaci commenti o chiose. Tra questi cito la preghiera al destinatario (dr.
Cunego, Direttore dell’E.P.T.) “perché voglia predisporre una lettera di
appoggio che dica pane al pane e vino
al vino e acqua al fuoco dei boschi”;
un altro appello sotto forma di
“S.O.S. !!!”. Ad una risposta negativa
dal parte del Ministero
dell’Agricoltura e delle Foreste di
mettere a disposizione un pulmino
per i volontari antincendio il
commento “E ALLORA CHI CI
AIUTA?”.
Avevo dimenticato di dire
che il senatore Andria ha rinunciato
33
oggi dal partecipare ad un importante
iniziativa fuori regione per essere qui
presente ed offrici una testimonianza
particolarmente sentita.
Prima di passare la parola alla
Dott.ssa Christiane Groeben, mi corre
l’obbligo di aggiungere a quanto
detto da Andria sul volume degli atti del convegno di Castellabate, che la
preziosa collaborazione editoriale prestata dalla Signora Groeben,
successivamente al lavoro della Signorina Lilli Martinez, fu risolutiva per la
stampa del libro, per il quale avemmo anche uno sguardo di particolare
competenza da parte del Prof. Ugo Montcharmont, che ci dimostrò una
signorile e disinteressata dedizione. La dottoressa Groeben, della quale ho
potuto allora apprezzare la disponibilità, l’impegno e la squisita cortesia, ha
lavorato per anni alla Stazione Zoologica, quindi ha conosciuto molto bene il
dottor Dohrn. Ha curato, con Silvia Caianiello il volume Anton Dohrn e il
darwinismo a Napoli (Napoli, Denaro Libri, 2010); questo catalogo The
Naples Zoological Station at the time of Anton Dohrn, anch’esso sulla storia
della Stazione nel periodo del fondatore, stampato dalla Di Mauro e la cui
copertina fu ideata dall’amico Pietro Amos. Oggi la dott,ssa Groeben riveste il
delicato incarico di Vice Presidente della Federazione delle Chiese
evangeliche italiane, ed è quindi impegnata nel cammino ecumenico.
Christiane Groeben

Pietro Dohrn – Cenni biografici

Peter Roman Dohrn, che preferiva essere chiamato Pietro, anche per
distinguersi da suo cugino omonimo Peter Dohrn, figlio di suo zio Harald, è
nato a Zurigo il 9 giugno 1917 come secondo figlio di Reinhard o Rinaldo
Dohrn e sua moglie Tatiana (Tania) née Givago (1884-1952) di una benestante
famiglia di Mosca. Dal nonno paterno ha preso, infatti, il suo secondo nome,
Roman. Antonietta, sua sorella maggiore, allora aveva 1 anno e mezzo. La
sorella più piccola, Amarillis o Rilke nascerà tre anni dopo, l’11 settembre
1920.
Suo nonno, Felix Anton Dohrn nel 1872 aveva fondato a Napoli la
Stazione Zoologica che oggi porta il suo nome: Stazione Zoologica Anton
Dohrn di Napoli.
Dopo studi di medicina Pietro ha lavorato durante la guerra come
medico militare. Mi ricordo che mi ha raccontato una volta, divertendomi, che
34 durante i bombardamenti a Napoli, da medico militare in uniforme tedesca
voleva aiutare qualche napoletano ferito, che rifiutava dicendogli “che fai qui,
vattene” e lui rispondeva in napoletano “ragazzo ma io sono uno di voi” e così
veniva accettato e poteva insomma aiutare anche i suoi concittadini.
Il 1 febbraio 1945 Pietro iniziò a lavorare come assistente alla Stazione
Zoologica, diretta dal 1909 da suo padre Rinaldo. Dal 1951 al 1955 era
responsabile del reparto di zoologia, e dal 1 maggio 1955 fino al 1967 –
dunque per 12 anni – è stato direttore e consigliere delegato della Stazione
Zoologica. È stato il terzo ed ultimo Dohrn in questa funzione.
In una lettera del 1954 a Theodor Heuss, suo amico di lunga data,
autore di una splendida biografia di Anton Dohrn e primo presidente delle
Repubblica Federale di Germania, Rinaldo caratterizza in modo conciso le tre
generazioni Dohrn alla guida della Stazione Zoologica: Anton – il creatore,
Rinaldo – il conservatore, Pietro – l’innovatore, aggiungendo: “Ora è il
momento di lavorare sui contatti scientifici e politici, di re-inserire la Stazione
nel sempre più complicato mondo scientifico senza per questo sacrificarne
l’intima essenza. Questo è il compito di Pietro”1.

1Citato in K. J. Partsch, Die Zoologische Station Neapel, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen
1980, p. 90.
Pietro Dohrn e la Stazione Zoologica

Era il momento di fare una scelta tra il ripristino della tradizionale e


collaudata operatività dell’Istituto e una apertura verso la “big science”. Con
enorme entusiasmo ed energia Pietro ha cercato di rispondere alle aspettative
di suo padre, avviando la Stazione per strade innovative. In un periodo di
grandi difficoltà si è adoperato per garantire alla Stazione Zoologica non solo
la sopravvivenza, ma anche l’internazionalità che dall’inizio era – ed ancora
oggi è – una caratteristica fondamentale dell’istituto.
Sulla linea del padre, ma non sempre in comune accordo – infatti,
memorabili sono stati i loro fortissimi scambi d’opinione – Pietro Dohrn
imbastisce un’operazione di rilancio dell’Istituto molto ambiziosa, fondata su
tre cardini:
1. alleggerimento del contributo (e del controllo) italiano;
2. adeguamento della struttura all’incremento degli ospiti ed alle nuove
esigenze della ricerca;
3. consolidamento di una rete quanto più ampia possibile di finanziatori e
sostenitori istituzionali.
Tra il 1956 e il 1967, la Stazione 35
era un cantiere permanente grazie ad
iniziative che dopo più di 50 anni ha
riportato l’attenzione e la partecipazione
internazionale alla Stazione Zoologica. A
Pietro Dohrn si devono la costruzione di
sei nuovi laboratori e della nuova
biblioteca (1956-59); la creazione di un
laboratorio attrezzato per l’uso di
radioisotopi (1957), finanziata dalla
Commissione americana per l’energia
atomica; un servizio di microscopia
elettronica – il secondo a Napoli (1965);
Pietro (18 agosto 1967) la modernizzazione del laboratorio per la
biochimica (1960-66) e soprattutto la
trasformazione di Villa Dohrn a Ischia da foresteria in laboratorio di ecologia
marina (1963-65), in un’epoca in cui di ecologia si iniziava solo a parlare. Fu
il primo ad aprire la SZN a programmi moderni di ricerca e ricerca di gruppo
gettando così le basi per il suo futuro come centro moderno di ricerca
scientifica.
Per questo ha promosso insieme a suo padre e sua sorella Antonietta la
creazione della “Fondazione Antonio e Rinaldo Dohrn“ (FARD, 1955) con lo
scopo di raccogliere e gestire fondi internazionali per programmi di ricerca e
borse di studio per ricercatori di paesi in fase di sviluppo o provenienti da
paesi senza legami contrattuali con l’istituto, dall’Africa o dalle nazioni
sovietiche, per esempio, continuando così il ruolo tradizionale della Stazione
come centro per la diffusione del sapere e degli ideali della scienza.
Pietro Dohrn ha lasciato un marchio indelebile nella biografia delle
Stazione Zoologica che attende ancora il suo dovuto riconoscimento. Verrà il
momento – mi auguro in tempi non troppo remoti – che il periodo tumultuoso
“fine e dopo-Dohrn” troverà la sua giusta valutazione storica e con questo
anche del ruolo di Pietro Dohrn.
I suoi interessi per l’ecologia marina e la sua cultura cosmopolita lo
hanno poi spinto ad essere coinvolto in progetti ambiziosi di collaborazione
internazionale come la MAMBO (Mediterranean Association for Marine
Biology and Oceanology - 1964), della quale è stato poi il primo segretario.
Ma è compito di altri di parlare delle tante iniziative che Pietro Dohrn
ha creato o seguito dopo aver lasciato l’impegno diretto alla Stazione
Zoologica.

36

Pietro Dohrn e Frediano Frediani,


l’architetto della biblioteca della Stazione Zoologica (1956-59)

Ricordi

Permettetemi di concludere con un ricordo molto personale e nello


stesso tempo molto collegato alla Stazione Zoologica. Ho conosciuto Pietro
ancora direttore, tramite il mio futuro marito, allora bibliotecario alla SZN. Lui
e Antonietta sono stati ospiti al mio matrimonio nel 1967. All’epoca, la
famiglia Dohrn iniziava a pianificare iniziative per il centenario della
fondazione della Stazione Zoologica (1872) e stavano cercando una persona
qualificata a sistemare le carte che riguardassero la fondazione e l’attività
amministrativa e scientifica dell’Istituto dai tempi della sua fondazione per
facilitare in un secondo momento lo studio, la valutazione e la pubblicazione
di questo patrimonio. Serviva qualcuno in grado di leggere calligrafie ormai
fuori uso e sapesse soprattutto il tedesco e l’inglese. Il mio impegno per la
Stazione Zoologica nacque da questa necessità e dalla domanda a sorpresa di
Pietro: “Christiane, cosa ne faresti con una valigia piena di lettere di Charles
Darwin?”. “Vabbè, dissi, questa valigia la voglio prima vedere poi decido cosa
farne”. La valigia non era piena solo di lettere di Darwin, ne erano solo 12, ma
conteneva comunque corrispondenza con tutti ricercatori e scienziati con i
quali Anton Dohrn aveva avuto rapporti e io dovevo trovare un sistema come
catalogarli e che cosa farne e quindi trovare un metodo per valutarli. Grazie a
Pietro e Antonietta Dohrn e alla FARD ed a fondi internazionali è nato
l’Archivio storico della Stazione Zoologica – oggi fonte di ricerca inestimabile
per studi in biologia marina dalla fine dell’800 in poi.

37

Pietro all’UNESCO a Parigi (1975)

È stato anche grazie all’entusiasmo, ai contatti e all’iniziativa


di Pietro che una mostra sulla storia della Stazione Zoologica ai tempi di
Anton Dohrn è stata presentata nel 1975 all’UNESCO a Parigi e 5 anni dopo al
Marine Biological Laboratory di Woods Hole nel Massachussetts (USA).
38

Procida (1985) - acquerello di Pietro Dohrn

Ricordo Pietro Dohrn come amico premuroso nelle poche volte che ci
siamo potuto vedere, creativo e sempre pronto per nuove iniziative,
trascinando con sé chi gli stava intorno. Aveva la modestia dei grandi che non
si rinchiudono in ferite subite, ma continuano a condividere con il mondo il
loro amore per il creato e per la creatività umana che ne fa parte.

A. Tesauro - Chiede di parlare l’amico Silvestro Acampora, amico di


vecchia data di don Pietro e della sorella Antonietta. Alcune importanti
informazioni sul vissuto della famiglia Dohrn le ha citate nel suo libro La
Capra, edito in proprio nel 2016.

Silvestro Acampora

Molto semplicemente voglio dire questo: abbiamo parlato di quello


che è stato Pietro, come lo abbiamo conosciuto tutti quanti; ma anche se non
c’è, Pietro è ancora il futuro. Si è accennato ai giovani, quindi invito tutti
quanti a pensare a quello che possono significare per le generazioni future gli
insegnamenti di Pietro, a partire dal coinvolgimento delle scuole, e ciò è una
cosa importantissima. Si è parlato prima anche della possibilità di gemellare il
Comune di Vietri con quello di Colli sul Velino. Nella casa di Pietro a Colli
c’è ancora la porta affrescata che era qui a Raito, quindi lui ha conservato
legami del passato, portando il mare in montagna. E dove si è stabilito è
riuscito a creare comunque delle aree verdi che sono protette; c’è la riserva dei
laghi Lungo e Ripasottile che sono visitabili. Quindi questo gemellaggio può
servire a portare le scolaresche a visitare queste zone umide, queste zone che
sono tra l’altro molto lussureggianti, piene e zeppe di fauna migratoria.
Ieri con Silvestro Caputo siamo stati in giro per alberi monumentali da
tutelare; anche Pietro ha lasciato una antichissima quercia che necessita di
essere protetta e salvaguardata e quindi quasi ogni anno necessita di intervento
di controllo della stabilità, di potatura e agli ancoraggi. Io spero che si riescono
a creare le basi perché questo possa concretizzarsi in futuro per i giovani,
anche se qui per la verità ne vedo pochissimi. Quindi inviterei tutti quanti ad
operare in tal senso; e penso che questo possa essere il pensiero di Pietro.
Mi è stato chiesto della iniziativa che Isabel Trasancos ha avviato per
la conoscenza dei Dohrn. Isabel sta lavorando a un film su incarico avuto da
Antonietta Dohrn, sorella maggiore di Pietro; e ha cominciato a lavorarci
quando erano ancora in vita. Il lavoro è lungo e complesso e per questo non è
ancora giunto a termine. Dalle notizie che ho, immagino sarà completato entro
qualche mese e quindi avremo un altro bel contributo. Io ho visto alcuni 39
spezzoni di questo film; ci sono documenti che appartenevano a Pietro e
Antonietta e sono molto commoventi oltre ad essere molto belli e sono degli
spaccati della loro vita come quelli che abbiamo visto grazie a Christiane e ci
dovrebbero essere, tra l’altro, i primi filmati fatti al microscopio con le
attrezzature e le tecnologie di quasi 100 anni fa. E una cosa che Christiane
potrà confermare è quella che i Dohrn oltre ad essere degli innovatori e
sperimentatori, riuscivano a fare arrivare alla Stazione Zoologica tutti i
macchinari all’epoca all’avanguardia, assumendo informazioni per poterli
migliorare tecnologicamente; per esempio i microscopi di Carl Zeiss, con i cui
fondatori si conoscevano ed erano amici. Ciò ha permesso alla Stazione di
essere all’avanguardia in tanti campi e portarvi a studiare tantissimi personaggi
che poi hanno coronato le loro ricerche con il successo del Premio Nobel.

G. Francescato - Però io devo aggiungere ancora una cosa, su


Silvestro Acampora . . . E’ una persona di poche parole e di grande modestia,
ma è un grandissimo cultore degli alberi, un dendrologo illustre che si occupa
di benessere delle piante e del verde, in particolare a Milano, dove vive e
lavora. Grazie anche a lui sono state curate e mantenute in vita le splendide
querce del casale dove ha vissuto Pietro Dohrn a Colli sul Velino . . .

S. Acampora - La quercia di Montale non è altro che un albero


morente, molto vecchio ma anche gli alberi morenti sono qualcosa di
importante. Questo in particolare è un albero che da solo ospita una trentina di
specie di funghi; in primavera ci vanno ancora le cinciarelle a caccia di insetti,
c’è la colonia di lucertole; nella parte sotterranea, come in un condominio, al
di sotto del colletto di radici marcescenti c’è anche una colonia di ratti, dette
zoccole a Napoli, e la cosa importante è che quest’albero ha conservato la
capacità di attirare le persone.
Pare che il poeta Montale, Premio Nobel per la letteratura nel 1975,
quando lavorava al Corriere della Sera, pochissimo distante dal parco più
vecchio, più piccolo e storico di Milano, che sono i Giardini Montanelli,
amava rilassarsi passeggiando in questo parco; si fermava sotto questo albero e
forse può essere che abbia avuto ispirazione per articoli o poesie che ha scritto.
Ancora oggi, malgrado sia veramente un albero morente, come potreste notare
dalle mie foto, è particolarmente attenzionato. Sabato prossimo ci sarà una
cerimonia promossa dalla scrittrice Paola Pastacaldi, che si è fatta carico delle
spese di divulgazione della storia di quest’albero, e quindi lo presenterà in
maniera diciamo così culturalmente più evoluta; è un albero morente e anche
gli alberi che muoiono possono insegnarci, come dicevo prima, qualcosa.
Tra l’altro il ciclo continuo della vita, perché i funghi che sono
sull’albero, ed Annibale Barca, nella sua depravazione biochimica ce lo può
40 confermare, hanno la possibilità e la caratteristica di degradare tutte le cose
viventi e non, rendendo assimilabili per le forme di vita future. Noi siamo
composti di atomi, di molecole, che magari qualche milione di anni fa hanno
formato i primi essere viventi che hanno colonizzato qualche bacino lacustre o
qualcosa del genere. In realtà questa cosa è veramente l’eternità, noi siamo
composti da materiale che è eterno, e si ricicla continuamente; tantissimi
esseri viventi diversi, siano essi alberi, insetti, persone, magari tra un miliardo
di anni in qualcos’altro.

S. Caputo - La dottoressa Passalacqua, con la quale avevamo anche


concordato la data, purtroppo è stata impedita a partecipare a questo incontro
per motivi legati alla sua attività professionale. Comunque aveva mandato in
anticipo la relazione che voleva presentare oggi, e mi ha autorizzato
telefonicamente a leggerne qualcosa. Siccome ci sono due punti che mi hanno
colpito, voglio citarli molto velocemente. A parte i ringraziamenti per il
Sindaco e per tutti quelli che hanno contribuito a questa iniziativa, la sua
testimonianza incomincia così: “Se si volesse visualizzare il concetto del
genius loci dobbiamo rivolgere il nostro sguardo, e ormai il nostro ricordo, alla
figura di Pietro che è stata identificazione reale di questa idea di essenza
interiore per lui. Con ogni luogo nel quale ha vissuto, prima il mare di Napoli e
di Vietri, poi la campagna reatina, Pietro ha saputo intessere una relazione
intima e profonda. Ovunque si è posto in una situazione di ascolto. Ha tentato
di percepire l’invisibile che sta dietro il visibile per entrare in contatto con
l’essenza, con il piccolo frammento di terra sul quale è stato chiamato o ha
scelto di fermarsi. Con la sua cultura essenzialmente classica aveva compreso,
come gli antichi, l’importanza e la complessità che racchiude lo spirito del
luogo, perché i luoghi chiamano, evocano e ci inseguono, e quando vogliono
sanno farsi scoprire anche intimamente. E qui intendo genius loci da una parte
il genio che sta nel luogo, ma anche la persona che riesce ad entrare in contatto
con l’essenza del luogo e ne diventa il genius in comunione ininterrotta. E
l’ultima cosa che voglio citare, e quasi nella conclusione, Paola dice “la
persona colta e umile quale era Pietro, non ha mai gridato vittoria nei momenti
in cui gli enti governativi hanno dichiarato parco e riserva quei territori che lui
ha amato e vissuto intensamente. Forse per la consapevolezza che questi beni
del creato sono poi gestiti dall’uomo che contrariamente alla natura si pone
obiettivi spesse volte antitetici con le misure necessarie per proteggerla e
tramandarla al futuro. In merito al futuro Pietro non aveva illusioni forse
neanche speranze, di fronte agli accadimenti locali e, consentitemi di dire, che
aveva enormemente ragione.

A. Tesauro - Secondo il programma da manifesto doveva essere con


noi stamattina anche la Dott.ssa Claudia Di Somma, funzionaria della Stazione
Zoologica, incaricata in particolare dell’archivio e biblioteca, che purtroppo 41
per sopraggiunti impegni improcrastinabili non ha potuto essere presente. La
Dott.ssa Di Somma ci è stata di valido aiuto per acquisire informazioni sui
Dohrn e la Stazione ed anche documentazione che abbiamo potuto utilizzare
nei pannelli all’ingresso. Ci ha inviato una comunicazione che riporteremo
negli atti di questo incontro.

S. Caputo - Noi siamo grati alla Dott.ssa Di Somma per la


disponibilità dimostrata e per il materiale che ci ha preparato; ma anche lei si è
sentita enormemente grata a noi perché, non avendo conosciuto don Pietro,
grazie alle ricerche da noi provocate ha potuto meglio focalizzare l’umanità e
la portata della sua personalità rispetto a quanto circolava negli ambienti
dell’istituto.

A. Tesauro - Prima di dare la parola agli amici di Vietri, chiudiamo


questa prima parte con la testimonianza di Giovanni Capasso.

Giovanni Capasso

Ho conosciuto Pietro ed Antonietta Dohrn grazie a Silvestro


Acampora, e vi voglio raccontare due aneddoti che mi hanno colpito. Pietro
amava l’ambiente e l’ambiente lo ricambiava. Un giorno Silvestro mi chiamò
per andare con urgenza a Colli sul Velino perché la quercia di don Pietro
stava male e stava male anche Pietro. Ci recammo là e Silvestro, esperto in
potatura di alberi, intervenne con un cestello aereo sistemando la chioma
dell’albero. Dopo pochi giorni la quercia si riprese, e, quasi per magia anche
Pietro si sentì meglio.
Io e Silvestro andavamo spesso a trovare Pietro; Silvestro per don
Pietro era come un figlio, era come se avesse compensato la scomparsa del suo
unico figlio maschio prematuramente mancato.
D’estate ci accoglieva su un tavolo fuori la casa, per meglio godere
della natura. Nelle serate della tarda primavera, fino a luglio, le lucciole ci
avvolgevano: sembrava di vivere in una favola.
Nella sua campagna c’erano fagiani, falchi, di tutto di più. Io i fagiani
in libertà prima non li avevo mai visti, c’erano fagiani ovunque. Pietro
rispettava la natura e la natura rispettava lui, ricambiandolo.
Volevo raccontarvi un’altra cosa di Pietro. Con Grazia Francescato
organizzammo una festa a sorpresa in onore dei f.lli Dohrn in occasione
dell’inaugurazione della sezione ‘Mare vivo’ a casa mia a Casoria.
Facemmo fare anche delle targhe di ringraziamento, per la regione a
firma di Antonio Bassolino, per il comune di Napoli a firma di Rosa Russo
42 Iervolino. Quella per il comune di Casoria la facemmo io e Silvestro
Acampora, inserendo una frase di una poesia di Eduardo De Filippo ‘O mare:
“Io quanno ‘o sento, specialmente ‘e notte, cumme stevo dicenno, nun è ca
dico: “‘O mare fa paura”, ma dico: “‘O mare sta facenno ‘o mare”. Dopo
alcuni giorni Pietro mi chiamò e disse: “Giogiò – così mi chiamava – ti
ringrazio per la targa, ma erano 20 anni che non lo sognavo”. Aveva sognato
il figlio che era morto tanti anni prima in apnea. Era un ottimo apneista, ed
anche un futuro bravo medico. Quella frase glielo fece ricordare.
Vorrei ricordare anche la sorella Antonietta. Lei non era evidente
come Pietro, era molto riservata; io li paragonavo ad una barca a vela, Pietro
era la vela, grande appariscente, Antonietta il timone senza il quale non si
procede. Lei come il padre era grande conservatrice, a casa sua c’erano
tantissimi ricordi di famiglia; diciamo che la casa di Antonietta era la casa dei
Dorhn. Antonietta è stata indispensabile per me e Silvestro quando
organizzammo un campo antincendio sul Vesuvio; infatti ci mise a
disposizione tutte le attrezzature per poter operare.
Mio padre aveva una falegnameria ed io avevo fatto aggiustare una
sedia di Antonietta. Quando gliela portai, Antonietta mi trascinò in silenzio
nel suo salone, dove c’era un pianista russo e una soprano ucraina che
eseguivano dei brani di musica classica; mi mise a sedere sulla sedia che avevo
portato, al centro della stanza. Avevo la macchina fuori posto, in doppia fila
ma non riuscii ad allontanarmi fino alla fine del pezzo.
A 90 anni guidava ancora l’auto e ogni anno doveva sottoporsi alla
visita medica. Un giorno arrabbiata entrando a casa infilava e toglieva
velocemente e ripetutamente la chiave nella toppa dicendo “Vorrei vedere una
ventenne fare ciò”.
Antonietta ogni anno invitava me e mia moglie ad andare ad agosto in
Germania, nella Foresta Nera (purtroppo non ci siamo mai andati), dove
diceva sempre che doveva andare a trovare una vecchia zia. Una volta
incuriosito le chiesi “ Scusa Antonietta, tu hai 90 anni, ma quanti anni ha la
vecchia zia?”. Lei sorridendo rispose: “Hai ragione la zia è molto più giovane
di me, ma è sempre stata ammalata per cui per me è sempre stata la vecchia
zia”.

A. Tesauro - A questo punto ritengo doveroso rendervi partecipi delle


adesioni a questo incontro ed alla iniziativa da parte di amici e conoscenti che
per varie motivazioni non hanno presenziato.
Guido Picchetti esperto e protagonista del Centro subacqueo di
Castellabate, molto legato ai Dohrn. Luigi ed Alessio Accardi, marito e figlio
di Daniela Dohrn, figlia di don Pietro, docente universitaria in matematica,
prematuramente scomparsa. Gianluca Frediani, autore del libro sulla ceramica
Solimene, dal titolo Paolo Soleri e Vietri; nipote di Frediano Frediani, che
progettò la Biblioteca della Stazione Zoologica durante la direzione di don 43
Pietro. Gianluca purtroppo lamenta la prevista trasformazione della biblioteca.
Una toccante testimonianza ci ha mandato Eva Willburger, vedova di Peter
Willburger, coppia austriaca per molti anni residente a Raito e vicina a casa
Dohrn che frequentavano spesso. Eva ha voluto ricordare l’episodio che non
dimenticherà mai del giorno in cui Jan Palach si diede fuoco in piazza per
protestare contro l’invasione russa a Praga. Stavamo da Pietro e Paola e si
abbracciarono piangendo.
Sono riuscito a mettermi in contatto proprio ieri con Renata D’Elia,
negli anni ‘70 in contatto con don Pietro quale giornalista ambientalista
d’assalto nel Cilento. Renata vive nella foresta amazzonica brasiliana, ai
confini con Perù e Colombia, e vi ha creato un centro di accoglienza per
ricerche nella riserva naturale del Rio Javarì e del Lago Santa Cruz; invierà
una breve testimonianza che inseriremo agli atti. Allo stesso modo farà
pervenire una testimonianza Michele Santopietro, allora volontario di
protezione civile, molto legato a Dohrn, che da padre spirituale laico, puntava
molto su Michele. Un saluto da parte del Professore di filosofia Giuseppe
Cacciatore, e dal docente di Geografia Vincenzo Aversano.. Agli atti
inseriremo anche una pagina di mio cognato Giuseppe Pinto che da studente di
ingegneria si confrontava con don Pietro anche su problematiche scientifiche;
ci ha aiutato nella fase preparatoria di questo incontro anche con apposite
ricerche. Un’altra testimonianza ci è pervenuta dalla signora Angela Caputo,
funzionaria della segreteria dell’Ente Provinciale del Turismo, che collaborò
sia nella fase preparatoria che durante il Convegno di Castellabate; e che
anche in seguito fu disponibile a venire incontro alle esigenze che poneva don
Pietro.
I figli del dottore Cunego, Direttore dell’Ente Provinciale per il
Turismo con il quale don Pietro interloquiva; per un problema di indagini
cliniche non sono potuti venire. La persona del dottore Tommaso Cunego è
stata insostituibile per Dohrn, prezioso interlocutore per tutto il tempo della
sua permanenza in zona, affiancandolo e assecondandolo. Don Pietro nella
corrispondenza usava il termine “caro Tom” in alternativa a signor direttore. I
loro rapporti erano improntati a reciproca stima e possiamo dire anche di
affetto, pure se di scontro in qualche momento dovuto ai vincoli istituzionali e
di bilancio. Ricordo che una mattina, di buon ora, don Pietro passò da casa
nostra perché gli dovevo consegnare una nota d’ufficio in merito ai corsi dei
volontari a Castellabate. Per questi don Pietro si rivolgeva agli enti, come
abbiamo letto in quella lettera, per avere sostegno logistico e contributi. La
linea dell’E.P.T., abbastanza prodiga quell’anno, era anche quella di
coinvolgere nel sacrificio finanziario ed economico gli stessi ragazzi, pure se
con una cifra simbolica giornaliera. Come gli accennai di questa richiesta si
prese le carte e borbottando in modo plateale si allontanò, con sorpresa
disappunto di mio padre che aveva sperimentato la sua disponibilità ed
44 affabilità.
A proposito di mio padre, di professione ebanista: dopo la sua morte
don Pietro mi chiese se eravamo disposti a cedergli tutte le attrezzature, che
avrebbe utilizzato e custodito nella casa a Colli sul Velino. La scelta della mia
famiglia fu di tenerle con noi considerato anche che mio fratello per hobby si
dedicava a questa attività. Ma fu molto contento quando, in occasione di una
visita che gli feci, gli portai alcuni attrezzi, come ricordo. Era allora una tappa
importante per don Pietro: i lavori di ristrutturazione della casa a Colli sul
Velino erano al punto quasi conclusivo, tanto che organizzò il pranzo con le
maestranze, al quale ebbi modo di partecipare.
Devo riferirvi circostanze emblematiche della spontaneità del
comportamento. Un giorno che venne in ufficio lo invitammo a casa nostra e
mia madre, alla quale facemmo la sorpresa, cucinò un bel polpettone pieno di
sugo. Don Pietro alla fine fece la “scarpetta”, cosa che suscitò un poco di
stupore da parte nostra, ritenendo il gesto un atteggiamento prosaico ed egli
giustificò l’azione spiegando che la mollica di pane serve per attutire i grassi in
modo che non vanno direttamente nel sangue. Sempre in merito al cibo, di
fronte alla preoccupazione di servirgli qualche mela un po’ bacata, rispondeva
che in quel caso la mela non aveva subito un trattamento chimico, per cui era
stata toccata da “ospiti”. In un’altra visita prese sulle ginocchia nostro figlio
bambino e lo faceva dondolare in modo lento o veloce recitando “Il cavallo del
contadino va pianino, va pianino; il cavallo del cavaliere va corriere, va
corriere”.
Si è parlato della sua cultura non legata solo al settore della sua
professione. Un esempio lo verificai quando gli feci vedere il mio libro Fonti e
documenti per la storia di Vietri. Si soffermò sul toponimo medievale Staffilo,
che indicava grosso modo il nostro capoluogo, e che riportavo, seguendo la
precedente storiografia, quale termine di origine longobarda, che stava a
significare area di confine. Don Pietro al solo leggere il titolo del paragrafo
che citava il toponimo esclamò: “un luogo dove vi era una vigna”; ed infatti
nel greco bizantino significa grappolo o vigna. Fino ad allora non mi risulta
che chi aveva trattato la storia di Vietri avesse dato questa interpretazione. La
supposizione di Don Pietro mi è stata confermata anche dalla bizantinista Vera
von Falkenhausen, che lo ritiene un toponimo conservato dai Longobardi.

G. Francescato - Scusate, volevo solo aggiungere delle testimonianze


che sono arrivate questa mattina i saluti di Flegra Bentiveglia, grande esperta
della vita marina che mi ha dato una grossa mano a Bagnoli a stabilire il
Centro per il recupero di tartarughe; di Rosetta Russo Iervolino che avrebbe
voluto essere qui ma non sta molto bene ma è vicina con tutto il cuore. Anche
Marco Boato che è stato un grande esponente dei Verdi ha mandato un saluto
particolare. Per questo vi ricordo che alla radice del Parco del Cilento c’è
Pietro Dohrn, e per quella riunione che si tenne nell’82 per lanciare il comitato
– e spero che nel 3 dicembre lo ricordino – ci fu l’intervento di Alex Langer 45
del Parlamento europeo che contribuì con 5 milioni di lire sue personali, per
fare in modo che questa avventura parco del Cilento cominciasse, e penso che
sia importante ricordarlo. E poi Gianfranco Bologna del WWF, e Anna
Durante dei Verdi, e tantissimi altri che avrebbero voluto essere accanto a noi
in questo incontro.

A. Tesauro - Passiamo ora la parola ai vietresi. C’è il geometra Cesare


Marciano, che è stato Sindaco di Vietri per 9 anni; il primo sindaco eletto per
due consiliature dopo la riforma degli enti locali, che ha garantito maggiore
stabilità nel governo del territorio rispetto alle precarietà precedenti.

Cesare Marciano

Sono stato sindaco dal 1995 al 2004; in quel periodo abbiamo


demolito l’albergo Fuenti con i fondi dei proprietari Mazzitelli, senza attingere
ai fondi statali che il Ministro Ronchi aveva fatto iscrivere addirittura nel
bilancio dello Stato. Sono stato l’ultimo a dover seguire la procedura ed ora
Mazzitelli sta operando, anche se con difficoltà, il ripristino ambientale
dell’area.
Ho avuto l’opportunità di avvicinare Pietro Dohrn grazie sia all’amico
Pietro Amos, sia alla conoscenza che feci con la sua compagna artista Paola
Princivalli. Paola aveva un laboratorio, La Sirenetta, di fronte all’albergo Voce
del Mare. La scelta di trasferirsi a Vietri fu dettata sia per la facilità dei
collegamenti con Napoli, sia con l’esigenza da parte di Paola di poter fare
esperienza con gli ultimi esponenti del periodo tedesco, che si dedicavano oltre
che alla ceramica anche ai tessuti (Doelker, Kowaliska e per ultimo
Hannasch). Ebbe modo poi di frequentare quel cenacolo artistico che aveva
come punto di riferimento la ceramica RIFA, ai cui titolari ero molto vicino.
Vi erano di casa tra gli altri Ugo Marano, Eduardo Sanguineti, Filiberto Menna
ed anche Carlo Giulio Argan.
Incontrai Dohrn anche tramite i coniugi Willburger, che si erano
trasferiti a Vietri da Acciaroli, inizialmente per fare esperienza nella ceramica.
Come è noto abitavano in una casa in fitto nei pressi della casa Dohrn.
Voglio ricordare in questa occasione un’altra personalità che Vietri ha
avuto l’onore di ospitare: mi riferisco a Paolo Soleri, che scelse la nostra
cittadina per confrontarsi con la nostra realtà e che progettò la Ceramica
Solimene.

A. Tesauro - La casa Dohrn era della Signora Mazzarella di Salerno,


verso la quale don Pietro aveva qualche recriminazione da fare. Quando si
46 trasferì a Colli, don Pietro si portò anche delle mattonelle del periodo tedesco,
che collocò sia nel bagno che in cucina, in modo da poterle sempre vedere. Le
mattonelle gli erano state dare quale omaggio da un amico per il quale si era
prodigato nel risolvere un caso patologico in famiglia. Come vi è noto don
Pietro non esercitava e dopo avermi riferito questa circostanza aggiunse “Ho
fatto il medico qualche volta . . . e me ne vanto . . .”.

C. Marciano - Si è accennato al ripascimento del paesaggio;


certamente l’amico Andria sa benissimo l’iter che sta facendo adesso la
regione Campania per rifare un disegno del paesaggio. Noi come territorio
siamo ancora soggetti al piano urbanistico territoriale e quindi, per la
salvaguardia del paesaggio i futuri finanziamenti saranno per un
consolidamento idro geologico, ma non per nuove opere. Dobbiamo
riconoscere all’amico Andria, allora Presidente della Provincia ed io Sindaco,
l’impegno messo per far inserire la Costiera Amalfitana nel patrimonio
dell’Unesco. Un’altra battaglia fu condotta per la difesa dell’ambiente marino
contro la ricerca petrolifera della Elf nel mare antistante la nostra costa.
Notevole per questo fu l’impegno dell’amico Donato Cufari, storico
presidente della Comunità Montana, nonché Sindaco del comune di Vietri.
Diciamo che la salvaguardia del territorio e dell’ambiente sulle indicazioni del
professore Dohrn noi abbiamo tentato di farla, forse poco, e mi auguro che gli
attuali giovani amministratori non siano da meno.
A. Tesauro: Sono presenti in sala, e li salutiamo, gli amici Pietro
Amos e Ovidio Gagliardo. Come molti di voi sanno essi sono stati storici
collaboratori di Don Pietro. Del gruppo c’era anche Alfonso Gambardella,
oggi assente per pregressi impegni di famiglia. Alfonso agli inizi degli anni
‘70 era in Regione, e da vietrese ed esperto amministratore, non fece mancare
il suo appoggio giuridico ed organizzativo all’amico Dohrn. A loro, ad
Antonietta Manchia, con la consulenza scientifica di Pietro Dohrn si deve la
pubblicazione del “pro memoria” Il Parco Naturale Marino di S. Maria di
Castellabate, del maggio 1973. Vi mostro inoltre la copertina del programma
del convegno di Castellabate, e sempre a Pietro Amos, che possiamo definire
il decano dei grafici campani, si deve il manifesto per l’odierna giornata, che
vi abbiamo inviato con l’email, e vi invito a conservarlo. Ad Ovidio Gagliardo
abbiamo riservato nelle bacheche sul pianerottolo d’ingresso un documento
relativo al suo incarico di promotore della costituzione di cooperative per
l’acquacoltura.

47

a cura di Pietro Amos, Ovidio Gagliardo, Alfonso Gambardella


ed Antonietta Manchia, con la consulenza scientifica di Pietro Dohrn
S. Caputo: Voglio aggiungere che Pietro Amos è stato coinvolto da
noi da quando abbiamo messo sul tappeto questa iniziativa, ed una cosa che mi
colpi la prima volta che ci siamo incontrati fu la sua risposta: “ma io potrei
dire di Pietro Dohrn che ogni volta che ci trovavamo nella sua casa c’era
sempre un Premio Nobel che girava per casa” e questo rappresenta un gran bel
ricordo.

A. Tesauro - Un altro aneddoto riguarda il rapporto della famiglia


Dohrn con Benedetto Croce. Vi era l’aspetto istituzionale e il rapporto umano.
Benedetto Croce ha aiutato politicamente e giuridicamente la fondazione per
poter operare in periodi particolari senza intoppi burocratici. Quando Croce
ebbe un malore, penso una forma di ischemia, le figlie, non trovando il medico
di famiglia disponibile, corsero ben volentieri da don Pietro, il bello di Napoli,
che prestò al filosofo le prime cure, cosa che lo aiutò a poter riprendere le sue
facoltà indispensabili per l’attività culturale e di scrittura. Di questo particolare
don Pietro, stimolato da Alfonso Gambardella ne parlò chiaramente gratificato
a tavola con noi amici. Uno di noi, che non condivideva il pensiero di
Benedetto Croce, fece una battuta di spirito: “e male faceste”. Don Pietro lo
48 fulminò con lo sguardo. Dopo di allora quando don Pietro mi incontrava fuori
ufficio mi chiedeva del nostro amico apostrofandolo quale scotolaprune e
stutacannele. A proposito di Croce dobbiamo ricordare che la famiglia da
decenni ha scelto il nostro territorio, in particolare Albori e Dragonea come
luogo di vacanza. Ed ha affidato in gestione al WWF un appezzamento di terra
nell’area della sorgente del Cesare ad Albori, che è stato battezzato “L’oasi del
Filosofo”. E’ auspicabile che il WWF operi con più sollecitudine per la sua
cura ed usufruizione. Una testimonianza di come Elena Croce scelse Albori ce
la fornì la figlia Benedetta Craveri e la pubblicai nel mio libretto Albori
villaggio remoto. Cesare Marciano mi rammenta inoltre che nei viali
dell’Oratorio salesiano, qui a Vietri, Paola Princivalli partecipò a mostre di
ceramica2. E’ il turno di Lidia Tesauro, che ci porta la sua testimonianza.

Lidia Tesauro

Ancora adolescente, avevo sentito parlare in casa del Prof. Pietro


Dohrn con grande stima, perché era stato vicino alla mia famiglia in un
momento molto triste, grazie alla sua amicizia con un grande neurochirurgo.

2 Si tratta della “I mostra della ceramica vietrese”, organizzata dalla Pro–loco nell’estate 1967,
inaugurata dalla duchessa di Carosino, alla presenza di autorità ed estimatori, tra cui il
Presidente dell’E.P.T. avv. Girolamo Bottiglieri. Paola partecipò anche all’edizione dell’anno
successivo (A. TESAURO, Da 60 anni con Don Bosco a servizio dei giovani di Vietri, Unione
exallievi/e di Don Bosco, Oratorio Centro giovanile salesiano, Villa Carosino, Vietri sul mare
2012, p. 168).
Ma posso dire che il mio primo incontro con il Prof. Pietro Dohrn è
avvenuto il 7 maggio 1973 a Napoli presso la sede della Regione Campania, in
via S. Lucia. E’ un ricordo ancora vivido ed ormai indelebile.
E’ coinciso infatti anche con il mio primo giorno di lavoro: ero stata
chiamata a collaborare nella segreteria organizzativa del Convegno di
Castellabate, prima con l’Assessorato regionale al Turismo e poi
successivamente con l’Ente Provinciale per il Turismo di Salerno, dove poi ho
lavorato per ben 43 anni e 8 mesi, prima di andare in pensione.
Ero una giovane universitaria, ansiosa di entrare nel mondo del
lavoro, ma non avrei mai immaginato di trovarmici catapultata già il primo
giorno.
Entrata nella stanza che mi venne indicata, mi rassicurai un poco
perché trovai una persona amica: era impegnato nel progetto infatti anche il dr.
Alfonso Gambardella; quando fui presentata a Don Pietro (da allora l’ho
sempre chiamato così), mi trovai di fronte ad una persona semplicissima, che,
entusiasta come un bimbo, mi aprì una cartellona straripante di fogli,
praticamente la corrispondenza con centinaia di scienziati che, contattati,
avevano assicurato o meno la propria partecipazione al convegno. Con la mia
conoscenza scolastica dell’inglese, avrei trovato qualche difficoltà a dare
almeno un ordine cronologico e poi catalogare quegli scritti. Ma per Don 49
Pietro che problema c’era? Oltre al tedesco e all’italiano (compreso il dialetto
napoletano), parlava correntemente l’inglese, il francese, lo spagnolo, mentre il
russo, come confessò, lo stava ancora imparando . . .
Quella giornata fu lunghissima e, ripeto, non la dimenticherò mai. Don
Pietro volle portarci per il pranzo da “Ciro a mare”, a Mergellina, dove
mangiammo le alicette fritte. Lui era così: amante delle cose semplici,
genuine. Ed io rimanevo incantata a sentirlo parlare: era tutto interessante,
nuovo per me, e la sua dizione, con la particolare erre, mi è rimasta per sempre
impressa nella memoria, come i suoi pantaloni al ginocchio portati con scarpe
e calzini, rigorosamente alla tedesca.
Don Pietro ci riportò a Vietri, me e Alfonso Gambardella, alle undici
di sera, a bordo della sua auto, di cui non ricordo il tipo, ma la rivedo, grande,
grigio scura. E ricordo anche come i miei stavano in pensiero (allora non
c’erano i cellulari). Non parliamo poi del mio fidanzato, che mi aspettava
percorrendo il corso di Vietri avanti e indietro, fino a che non mi vide
scendere da quella macchina!
Lavorammo per circa un mese presso la sede della Regione Campania
a S. Lucia, poi la segreteria del convegno si trasferì all’Ente Provinciale per il
Trismo di Salerno, che ne curava la fase attuativa.
Che dire della gioia di Don Pietro quando si rese conto che l’ufficio
destinato al nostro lavoro affacciava direttamente sulla “Rotonda”, dove si
teneva un affollato e vivacissimo mercato?
Il suo entusiasmo era contagioso e le frasi da lui pronunciate rimasero
impresse a lungo nella memoria dell’Ente. Dopo l’inaugurazione al Teatro
Verdi il Convegno si spostò a Castellabate, dove si affrontarono le questioni
scientifiche ed ambientalistiche, che provocarono, con grande soddisfazione di
don Pietro, anche la “rivolta” dei pescatori della zona. Per i relatori, Don
Pietro chiedeva “fiumi di caffè”!
L’amicizia di Don Pietro verso di me e verso mio fratello Nello si era
estesa all’intera famiglia. Si è fermato spesso a pranzo, graditissimo ospite,
ma considerato uno di casa. Nostra madre non si preoccupava di cucinare cose
particolari perché aveva capito che per Don Pietro andava benissimo quello
che c ‘era, la pasta e fagioli o il baccalà o le alici alla scapece.
Mi ricordo che nostro padre lo ascoltava con grande piacere, onorato
di godere della familiarità di una persona così illustre. Don Pietro rispettava
molto la nostra mamma, le baciava la mano e ci fece sentire la sua vicinanza
quando ci venne a trovare dopo la perdita di nostro padre.
L’assidua frequentazione e la stima reciproca ci aveva portato ad una
familiarità tale da svelare anche sentimenti più intimi.
Quando ho avuto il piacere di entrare nella casa che si trovava sulla via
della costiera, sono rimasta affascinata dalla semplicità e dalla originalità
dell’arredo, opera in buona parte della Sig.ra Paola, sensibile artista, e dagli
oggetti particolari, ricordi dei loro viaggi. Don Pietro mi mostrò le fotografie
50 degli “avi”, poste in ordine su un ripiano, confessando che quello era il loro
altare, rivelandomi un tratto religioso che era rimasto ancora nascosto.
E poiché ero prossima al matrimonio, Don Pietro prese un oggetto di
rame, una grande caraffa con coperchio proveniente dalla Tunisia, e me la
porse, così semplicemente, come regalo di nozze. E’ sempre situata sul camino
nella mia cucina, continuamente bisognosa di essere lucidata e ancora oggi, a
guardarla, rivedo con piacere la figura di Don Pietro, un uomo straordinario
che ha significato tanto nella mia vita.

A. Tesauro - Anche io posso aggiungere qualcosa a proposito del


mercato della Rotonda, uno dei mercati rionali del centro storico. Noi
dall’ufficio vedevamo se c’era qualcosa di interessante, sì scendeva e si
andava a comprare. Loro erano preoccupati che Don Pietro si sarebbe
lamentato di una stanza in certo qual modo periferica, lontano dai funzionari
più legati alla sua attività, e per giunta sul mercato; ma quella era l’unica
stanza in quel momento. In una successiva corrispondenza don Pietro mi
scrive “sei sempre nell’ufficio sopra quell’indimenticabile mercato ricco di
ogni ben di Dio; te lo invidio veramente perché qui per trovare un po’ di sarde
mezze marce ce ne vuole”. E’ ora il turno dell’amico Giovanni Cioffi, che è
venuto da Venezia.
Giovanni Cioffi

Io ho conosciuto "Don Pietro" quando avevo 14 anni (50 anni fa),


poiché abitavo nelle valle sovrastante il ponte di Marina d’Albori dove lui
veniva a fare passeggiate nei boschi insieme a sua sorella Antonietta. A
quell’epoca io, essendo portato nel disegno e consigliato dalla Prof.ssa Del
Basso, frequentavo il Liceo Artistico a Salerno e dopo aver conosciuto Pietro
ho iniziato a frequentare sia il Laboratorio “La Sirenetta” della sua compagna
Paola Princivalli, situato sopra l’Hotel “La Voce del Mare”, sia la loro
abitazione in posizione sovrastante, e sotto l’abitato di Raito. Mi capitava di
passare da loro anche due volte a settimana; la loro casa era molto ospitale,
bella, ricca di opere artistiche loro e di amici artisti che avevano lavorato nelle
ceramiche vietresi, come Carlos Carlè; c’era una continua frequentazione di
amici vecchi e nuovi, come il violoncellista danese Morten Zeuten, la cara
amica Marianna Amos con i figli Veronica e Pietro, i coniugi Willburger, già
miei amici; tutti venivano accolti cordialmente e spesso invitati a mangiare
insieme le cose buone preparate da Paola, con l’aiuto di Tonino Siani, con il
quale avevano un rapporto filiale.
Condividevo con Pietro anche la conoscenza di due miei amici
discendenti da una sua vecchia amicizia napoletana: Paola Cammarano e 51
Benedetto Herling nipoti del filosofo Benedetto Croce. Don Pietro era molto
ospitale ed affabile; veniva molto apprezzato dai negozianti di Vietri poiché lui
si fermava prima di ritornare a casa ed acquistava da loro intere cassette di
frutta e di verdura ed altri prodotti per le necessità della sua casa.
In verità Pietro aveva un carattere duro e deciso sulle sue posizioni ed
era senza mezze misure, dovuto alle sue ascendenze nordiche; io invece ero
differente, adolescente ed influenzato dalle esperienze del ‘68, per cui alcune
volte lo accettavo ma altre volte mostravo la mia contrarietà apprezzando e
riconoscendo le cose positive che mi trasmetteva e che devo riconoscere
formative per il mio futuro. Della mia frequentazione ricordo un momento
triste a cui ero presente insieme a Marianna Amos quando giunse la notizia
della morte del figlio Marco, vittima di un incidente subacqueo, della quale
Pietro fu molto provato e fu molto confortato della nostra presenza e della
condivisione del suo dolore.
Frequentando la sua casa apprezzavo di Pietro non solo il suo interesse
scientifico a sostegno dell’Acquario di Napoli fondato dal nonno, e
dell’impegno svolto da lui nei frequenti viaggi all’estero per convegni e ricerca
di finanziamenti, ma soprattutto io riuscivo ad apprezzare anche molte sue
opere pittoriche, molto belle nella scelta e nel contrasto di colori. Le opere
erano molto apprezzate anche da Paola Princivalli che mi riferì che Pietro
aveva frequentato corsi di pittura con Oskar Kokoschka a Monaco. La sua
compagna era molto stimolata da queste sue capacità artistiche che però lui
poteva praticare non con continuità visti i suoi impegni con Napoli.
Lui era molto impegnato nella difesa dell’ambiente ed io ricordo che
per la costituzione del Parco marino di S. Maria di Castellabate sono stato da
lui coinvolto insieme a Benedetto Herling a trascorrere una settimana a S.
Marco di Castellabate come volontario antincendio, alloggiando in grandi
tende insieme ad altri volontari italiani e tedeschi, fra cui Andrea Fister e
Misha Wegner, con i quali si condividevano pasti frugali e molte arance. Fu
davvero una bella esperienza che ricordo con piacere durante la quale avrò
sicuramente incontrato anche Grazia Francescato in qualche incontro che
Pietro organizzava con un vecchio amico scienziato, in una casa sul lungomare
di S. Marco dove si discutevano tutte le problematiche organizzative.
Ricordo un’altra bellissima esperienza avuta quando Pietro: organizzò
una mostra alla Ceramica “La Faenzera” di Via Scialli a Vietri, appartenuta in
precedenza a Giovannino Carrano, allora di Biagino Cassetta e Antonio De
Rosa. In questa vecchia fabbrica era presente un vecchio forno a legna che fu
attivato durante tutta una notte per la cottura di vasi dipinti da Pietro & Paola,
con dei risultati bellissimi sui colori dovuti a questo sistema di cottura, un
risultato che entusiasmò tutti. Per l’occasione Pietro preparò dei bellissimi
dipinti a “batik” su strisce di tessuti molto lunghi che lui srotolò e sospese
verticalmente sulla facciata di un palazzo ai lati della “Faenzera”, cosa che
52 risultò molto bella e scenografica.
L’ultima volta che incontrai Pietro fu durante un viaggio in treno da
Napoli a Salerno; lui mi riconobbe, era un po’ invecchiato, ma sempre una
bella persona. Fu un incontro breve, lui era pieno della soddisfazione di vivere
da agricoltore vicino Rieti e di coltivare il farro nella sua campagna; mi invitò
a passare a trovarlo, ma purtroppo non riuscii a poterlo accontentare.
Frequento ancora la sua ex compagna Paola Princivalli che vive tra
Roma e la Maremma che ha saputo con piacere della vostra bella iniziativa,
sperava di riuscire ad esserci anche lei.

A. Tesauro - Mi aggancio a questo aspetto della vita di don Pietro, che


è stato un po’ sottaciuto. Lui è diventato agricoltore in età adulta. Mia moglie
ed io abbiamo sperimentato questa sua vocazione durante il nostro viaggio di
nozze, quando gli facemmo visita e ci fece dono di prodotti, soprattutto
pomodori, che ci furono utili nella pausa meridiana durante i tour de force
turistici. Ad esempio ricordo il sapore e la gradevolezza della merenda a
Firenze nel giardino di Boboli al Palazzo Pitti. Qualche anno dopo, una
domenica pomeriggio di passaggio da Firenze ci fermammo alla piazza
dell’Annunziata, doveva essere in occasione della Fiera del pane, e lo
incontrammo a fianco ad un banchetto con esposte le bottiglie di pomodoro,
come si facevano in casa anche da noi, . . .
Anna Guarracino

. . . e il farro da lui prodotto in sacchetti, con degustazione del pane.


Fu l’occasione per scambiarci informazioni sulla metodologia di fare il pane,
considerato che io avevo lunga esperienza del pane fatto in casa. La compagna
Paola Passalacqua aveva una scodella di terracotta che teneva ben protetta in
un tovagliolo. Noi avevamo conosciuto anche la prima Paola, Princivalli, nei
suoi atteggiamenti creativi; la sera si scioglieva i capelli e si raccoglieva come
una Penelope a tessere le sue opere. Ci fece dono di una di queste tessiture.

53

Paola Princivalli e Anna Guarracino Mostra ad Amalfi del 1976

Ricordo che negli anni ‘70 fu organizzata una mostra con le sue opere
negli Arsenali di Amalfi. Di lei conserviamo un altro bel regalo, di altro
genere, un bassorilievo in cotto poco smaltato raffigurante la Casa delle Tette
di Venezia.
Provenendo io da famiglia contadina mi sono trovata subito in sintonia
con la nuova vocazione di don Pietro che, come esponeva le sue metodologie,
aveva anche interesse con modestia a conoscere l’idea altrui. Godeva di ogni
cosa e aveva questa umiltà di sapere accogliere tutti; e questo rapporto umano
ci colpiva. Come un bambino mi raccontava che aveva recuperato il grano
saraceno e poi per la coltivazione aveva usato solo metodi tradizionali. La
mietitura era stata fatta a falcetto, al posto della trebbiatrice aveva utilizzato
semplici bastoni e un grosso “cernicchio” per la spulatura; convenimmo sui
costi che comportava questo metodo lavorativo. Gli feci pure notare che i
trattamenti chimici dei terreni confinanti in parte si riversavano anche sul suo;
quindi la vantata integrità biologica subiva giocoforza delle contaminazioni.

Domenico Cascone

Ho avuto modo di conoscere quello che ha lasciato Pietro Dohrn dai


discorsi di Silvestro Acampora. Quale esperto in materia, su suggerimento e
invito di Silvestro, ho avuto la fortuna da un paio d’anni di collaborare al
mantenimento della quercia a Colli sul Velino. Nel casale, dove sono stato
ospite della Paola, si vive un’atmosfera quasi irreale. Sono stato tanto contento
di aver partecipato a questo incontro ed ho avuto conferma di quello che mi ha
raccontato in questi anni. Grazie a Silvestro.

A. Tesauro - Penso che l’incontro possa avere termine; ringrazio i


presenti ed in particolare gli ospiti, ai quali Silvestro Caputo, Presidente del
Gruppo Habitat, farà omaggio di un volume sulla frazione Raito, ove ha sede il
Gruppo. Al libro, dal titolo Raito marinara, Raito mariana, curato dal
54 sottoscritto, pubblicato dal Comune in collaborazione col Gruppo nel 2014, è
abbinato anche il catalogo della Mostra dallo stesso tema, allestita tra la sede
del Gruppo e la chiesa parrocchiale di Santa Maria delle Grazie.
55

Istantanee del tavolo di presidenza


Paola Passalacqua

Invio il mio contributo per la pubblicazione che seguirà la giornata


organizzata in ricordo di Peter Felix Roman Dohrn, meglio noto come Pietro e
Don Pietro, quale testimonianza dei nostri 27 anni di vita condivisi nella
proprietà del “Casale San Nicola”, sita nel Comune reatino di Colli sul Velino,
ma anche del suo instancabile e amoroso impegno per la difesa dell’ambiente
inteso come “Creato”. Quando negli ultimi tempi di inevitabile riposo gli
chiesi se volesse dialogare con un religioso, mi rispose che non ne aveva
necessità in quanto da sempre colloquiava con la “Natura”.
Ringrazio il Sindaco del Comune di Vietri sul Mare, il Gruppo Habitat
e tutti coloro che hanno voluto e realizzato questa iniziativa.

56 La quercia e la terra dopo il mare

Se si volesse visualizzare il concetto del Genius Loci, dobbiamo


rivolgere il nostro sguardo e, oramai, il nostro ricordo, alla figura di Pietro, che
è stata identificazione reale di quest’idea di “essenza interiore” del luogo.
Con ogni luogo nel quale ha vissuto, prima il mare di Napoli e di
Vietri, dopo la campagna reatina, Pietro ha saputo intessere una relazione
intima e profonda. Ovunque si è posto in una situazione di ascolto, ha tentato
di percepire l’invisibile che sta dietro al visibile per entrare in contatto con
l’essenza di quel piccolo frammento di Terra sul quale è stato chiamato o ha
scelto di fermarsi.
Con la sua cultura essenzialmente classica aveva compreso, come gli
antichi, l’importanza e la complessità che racchiude lo spirito del luogo
scegliendo questo piccolo frammento di terreno sovrastato dalla grandezza
della vecchia quercia1, perché i luoghi chiamano, evocano, ci inseguono e,
quando vogliono, sanno farsi scoprire, anche intimamente.
E proprio qui, dopo tanto girare per terre e per mari, ha percepito che
era il suo luogo, dove costruire una nuova esperienza di vita, consapevole che
fosse stata conclusiva del suo percorso materiale con noi.

1 La famosa quercia di San Nicola, esemplare di quercus pubescens, di età superiore a 375 anni,
sita nella Riserva naturale dei laghi Lungo e Ripasottile, in omaggio a don Pietro, è stata
adottata dallo Studio tecnico di Arboricultura del Dott. Rocco Sgherzi e da Grandi Trapianti
Italiani, nell’ambito del progetto “Adozione alberi”.
Quando in questo luogo di incontro tra due essenze, quella interiore
del luogo appunto e quella interiore di Pietro, sono giunta a farne parte anche
io, gli ho chiesto perché avesse scelto proprio questo tra i tanti possibili che
aveva conosciuto fino ad allora. In fondo la casa, nel lungo abbandono, era
diventata un rudere, contrapposto all’altro, più imponente, della rovina
romana, ancora eretta a testimoniare una grande civiltà; il terreno circostante la
casa era invaso dai rovi e gli alberi da frutto erano sfuggiti alle regole del buon
raccolto; le vecchie strade usate dai contadini e dagli animali rimaste segnalate
solo per l’allineamento frontale delle querce e dei ciliegi; niente acqua
potabile, né corrente elettrica. Ma allora perché doversi tanto impegnare
economicamente e fisicamente proprio per quel luogo? Forse per la romanità
che ancora lo pervade? Forse per un ritorno alle origini? La risposta di Pietro è
sempre stata la stessa: per la vecchia e grande quercia! Diceva che mentre
maturava l’idea di fermarsi in questa zona geografica aveva visionato molti
casali col terreno attorno, anche ben messi e in buona posizione finché era
giunto a valutarne due di proprietà dell’anziano veterinario del luogo, entrambi
abbandonati e semidiroccati: l’uno costruito sul promontorio e dominante il
paesaggio tutt’intorno, l’altro accostato a un antico residuo di una villa romana
antecedente la nascita di Cristo. Scelse quest’ultimo perché vicino ad esso
viveva da tanto tempo un albero maestoso di quercia, che faceva tante foglie, 57
tante grandi ghiande. Una motivazione che per molti abitanti del luogo era
incomprensibile al punto tale che
Pietro veniva chiamato “il tedesco”,
ovvero lo straniero, un po’ pazzo e
stravagante. Pertanto Pietro decise
all’età di 55 anni di prendere in cura
questo luogo, governandolo non
secondo i modi della cultura agricola
del momento ma assecondandone il
naturale decorso, accarezzandolo; il
che significava che tutto doveva
crescere e convivere secondo le leggi
della natura, per soddisfare le
esigenze dell’uomo e di tutti gli
animali del posto. Vari episodi
accaduti negli anni vissuti con Pietro
attestano questa sua filosofia del
luogo come il suo disappunto
nell’utilizzo da parte mia di detersivi
e di insetticidi, di qualunque attrezzo
dotato di motore necessario per
tagliare l’erba, le siepi, pulire la casa,
ecc.
La sua gestione del terreno, da quello agricolo a quello intorno
all’abitazione, era per lui un esperimento continuo da studiare per meglio
capire le leggi della natura, la sua divinità, per cui le patate le interrava lontano
dalla casa e puntualmente i cinghiali le facevano scomparire la notte stessa,
l’orto era “diffuso” in ogni pezzo di terreno che si lasciava vangare, per cui le
lumache e gli altri beneficiari notturni spazzolavano ogni piantina appena
interrata. Anche i fiori facevano parte di questo esperimento, così crescevano
tulipani e zinnie ovunque e in profusione; solo le rose, quelle “Papa Meilland”,
di velluto porpora e dal profumo inebriante, avevano il privilegio di stare
vicine alla casa, anche appoggiandosi ai suoi muri.
In questo studio continuo il ruolo principale lo svolgevano i semi, tutti,
e un grande piano da lavoro approntato all’esterno con tavole e chiodi;
accoglieva una moltitudine di vasetti di vetro etichettati per conservare i tanti
semi che trovavano alloggio negli altrettanti vasi e vasetti del suo semenzaio
“volante” affinché le lumache non potessero raggiungerlo. Aveva messo a
punto un sistema di lotta biologica delle lumache che era sgradevole ma
efficace: una volta raccolte in grande quantità all’interno di un secchio
coperto, le faceva bollire in un grande pentolone insieme alla segatura di legno
e questo brodo con i gusci oramai vuoti e galleggianti, lo distribuiva sul
58 terreno che accoglieva la giovane piantina di ortaggio, dai carciofi all’insalata,
motivando il buon esito della sopravvivenza della piantina con la frase “la
lumaca viva quando si avvicina e vede la sorella morta si spaventa e arretra!”.
La sperimentazione aveva il suo spazio anche nel modo di alimentarsi,
cominciando dal pane che faceva con le sue mani e di cui andava fiero perché
composto con il suo grano intero che non aveva “visto i veleni”, al quale
aggiungeva il miele delle sue api con in più quel tocco esotico del pepe e del
coriandolo che documentava il suo carattere cosmopolita del grande
viaggiatore fin dalla nascita.
Il risparmio energetico era la sua fede e, stanziandosi in questo luogo,
si era affidato ai primi modelli di pannelli solari con i quali l’acqua del pozzo,
da lui scavato, si riscaldava e alimentava i lavaggi della lavatrice con le scaglie
di sapone di Marsiglia; anche il gas della bombola usato in cucina, quando
sostituiva la fiamma del fuoco nel camino, era gestito con il criterio del
risparmio per cui le cotture avvenivano gradualmente impilando le pentole una
sull’altra, con ottimo successo.
Ma il suo più grande ed emozionante esperimento è stato rivolto alla
coltura del farro. Un intenso e variegato capitolo che meriterebbe una sede più
ampia di queste pagine ma che voglio ricordare brevemente con due episodi: il
primo è stato l’arrivo del seme al casale grazie a una famiglia di amici danesi
composta da madre, padre e cinque figli, dei quali ognuno ha portato il suo
sacco di cereale di peso e grandezza proporzionati all’età; il secondo è stato
quello della esposizione e della vendita del farro e dei suoi derivati alla storica
59

. . . e la difesa
Fiera del pane, che si tiene nella Piazza della SS. Annunziata in Firenze. In
mezzo ai due eventi, tanti momenti vissuti per la ricerca e lo studio, in modo
da affrontare con cognizione il lavoro di semina, raccolta e lavorazione di
questo antico cereale riesumato da Pietro.

60

La quercia di San Nicola

Certo, la quercia era il suo zenit; quando la guardava sembrava che


l’abbracciasse con l’amore ma anche con l’occhio vigile di chi è abituato,
come medico, a studiare e registrare i mutamenti segnati dal trascorrere del
tempo e dal clima. L’ho visto preoccupato quando le ghiande davano minor
raccolto, quando le foglie si accartocciavano per la poca acqua piovana; una
volta uscì con la sua vecchia Mercedes passando sotto la quercia e me lo vidi
tornare in casa poco dopo, sbiancato in volto, perché aveva schivato per un
pelo un enorme ramo dell’albero improvvisamente caduto sulla strada e il suo
sgomento non era dovuto allo spavento per lo scampato pericolo ma per la
quercia che aveva mandato, in questo modo, un segnale di malessere. Così si
attivò, come per tutto ciò che riguardava la salvaguardia della natura e
dell’uomo, per capire cosa stava accadendo nella vita del grande albero, con
l’aiuto degli amici, di quelli che hanno a cura gli alberi e le foreste e di chi
potesse ricordare la storia dell’albero, a cominciare dal vecchio contadino che
lo aveva preceduto nel casale.
Tante fotografie e tante lettere scritte con la sua Olivetti e con copia in
velina, documentano questa sua attività di comunicazione col mondo intero, le
sue osservazioni e preoccupazioni sui cambiamenti climatici, la sua amarezza
per la cecità dei potenti rispetto a questi fenomeni, le sue proposte di azione
per cambiare percorso “prima che sia troppo tardi”.
E accanto alla quercia di San Nicola, il suo Santo protettore fin da
quando era bambino, il suo campo di interesse, di riflessione e anche di azione
si estendeva molto oltre, all’ambiente intero, dall’aria all’acqua, dall’uomo
agli animali e alle piante.

61

Pietro con la moglie Paola e l’amico d’infanzia Otto

Contro la pratica della caccia, aveva piazzato un grande pannello di


compensato sulla facciata del casale, abbandonato, soprastante la rovina
romana con scritto di “lasciare vivere in pace anche noi” riferito agli uccellini
tanto ambiti dai cacciatori, i quali gliela avevano promesse di fucilate! Di
contro lui, all’alba delle mattine dedicate alla caccia, usciva battendo con un
legno un secchio o un barattolo metallico in modo da avvisare gli uccellini
dell’imminente pericolo di vita.
Difendeva anche le siepi che bruciavano usualmente insieme ai campi
prima della nuova aratura, raggiungendo i conduttori dei trattori per
convincerli del grave errore che stavano compiendo. Allo stesso modo
denunciava l’uso dei pesticidi, raccogliendo gli involucri di plastica lasciati
vuoti come documento del crimine compiuto.
Era attivo su ogni fronte del territorio ogni qual volta vedeva abusi e
violenze contro la natura o ne presagiva il rischio. Conscio della bellezza e
delle particolarità ambientali e naturali del luogo, non solo quello da lui
abitato, e forte dell’esperienza già vissuta per la difesa del territorio marino del
Cilento, poi diventato Parco con sua grande soddisfazione, Pietro ha maturato
l’idea di trasformare questo territorio in una riserva naturale, come poi si è
verificato; sottrarre dall’uccisione gli animali, dagli uccelli alle volpi, abolire
l’uso dei diserbanti che causano l’inquinamento delle acque e restituire invece
al creato le molteplici ricchezze che la natura gli aveva conferito, è diventato il
suo impegno quotidiano negli ultimi anni, finché ha potuto sostenerlo con il
fisico.
Quante riunioni avvenute al grande tavolo di noce, quante carte sono
state scritte sul suo piano, quante persone si sono sedute attorno per incontrarsi
e scambiarsi pareri in merito ai passi da intraprendere per tutelare questo pezzo
di territorio, quante persone sono state raggiunte col telefono fisso diventato
mobile grazie al lunghissima prolunga e quanti bicchieri di vino hanno
accompagnato le alicette sott’olio messe sul pane che Pietro non faceva mai
mancare!
62 Da persona colta e umile che era, Pietro non ha mai gridato vittoria nei
momenti in cui gli enti governativi hanno dichiarato Parco e Riserva quei
territori che lui ha amato e vissuto intensamente, forse per la consapevolezza
che questi beni del creato sono poi gestiti dall’uomo, che, contrariamente alla
natura, si pone obiettivi spesse volte antitetici con le misure necessarie per
proteggerla e tramandarla al futuro.
In merito al futuro Pietro non aveva illusioni, forse neanche speranze
di fronte agli accadimenti locali e planetari. Negli ultimi anni non leggeva più
il suo Manifesto, non voleva guardare e ascoltare i telegiornali, se ne stava in
silenzio disteso sul divano con i suoi ricordi e i pensieri che suppongo velati
di tristezza e taciuti. Soleva dirmi, in riferimento alle sorti del casale, che la
sopravvivenza per gli esseri umani è legata alla terra e pertanto mi lasciava
questa grande ancora di salvezza nel caso le sorti fossero peggiorate....”tu hai
la terra!”.
Prima di lasciare il suo Genius Loci, quella mattina del 20 settembre
2007, Pietro ha sostato per l’ultima volta sotto il grande albero. Grazie, Pietro,
per l’esempio che hai dato e lasciato a tutti noi con questa tua “affacciata ‘e
fenesta”.
Claudia Di Somma

Pietro Dohrn: breve biografia (1917-2007)

Secondogenito di Rinaldo Dohrn e Tatiana Zivago, nasce a Zurigo il 9


giungo 1917. Muore a Colli sul Velino (Rieti) il 18 settembre 2007. Il nonno,
Anton Dohrn, aveva fondato nel 1872 la Stazione Zoologica di Napoli dove
Pietro iniziò a lavorare il 1 febbraio 1945, dopo la maturità conseguita a
Napoli e gli studi di medicina.
Dal 1951 al 1955 è capo del reparto di Zoologia della Stazione
Zoologica. Durante il quinquennio 1953-58 sarà membro rappresentante della
famiglia Dohrn all’interno del Consiglio di Amministrazione della SZN. Il 1
maggio 1954 viene nominato direttore e consigliere delegato della Stazione
Zoologica incarico che lascerà nel 1967.
Pietro Dohrn, fu quindi l’ultimo Dohrn a capo della Stazione
Zoologica, e con lui l’istituto aumentò ancora di più la sua vocazione
internazionale aprendosi anche ai Paesi africani e a quelli del blocco sovietico,
rilanciando il tradizionale ruolo della Stazione come centro di diffusione delle
conoscenze e degli ideali della scienza.
Non a caso il padre in una lettera all’amico Theodor Heuss datata 63
1955, definì le tre generazioni della famiglia, che si erano succedute alla guida
della Stazione come: Anton il “creatore”, Rinaldo il “conservatore”, Pietro
l’innovatore. Scriveva Rinaldo: ”ora è tempo di occuparsi dei legami
scientifici e politici, di perseguire il reinserimento della Stazione in un mondo
della ricerca sempre più difficile, senza per questo sacrificarne l’intima
essenza. Questo è il compito di Pietro”.
Lo stesso Pietro in una lettera a Reverberi si descrive come l’ultimo da
potersi imputare di mancanza di spirito nuovo, e d’incapacità a sbarazzarsi di
complessi di mondi passati e si riserva di scegliere tra i molti o troppi consigli
di oggi e di domani quelli che gli sembrino essere i migliori per salvaguardare
la Stazione Zoologica da possibili insuccessi e relative facili critiche
rivendicando tutte le responsabilità di un Direttore che non possono essere
cedute ad amici, che per quanto bene intenzionati, in casi avversi non
sarebbero poi responsabili delle conseguenze.
Pietro Dohrn visse in un periodo di grandi difficoltà per la Stazione,
che sebbene non paragonabile a quello delle due guerre che pure avevano
messo a dura prova l’esistenza della Stazione, verrà attraversato da conflitti e
spinte contrastanti. Durante l’epoca di Pietro entra in crisi il modello stesso di
Stazione Zoologica e possiamo dire che in quegli anni la Stazione vive
appieno il contrasto tra una corrente conservativa e una forte spinta innovativa
che con il boom economico e la ricostruzione caratterizzò il dopoguerra
italiano. Egli ebbe quindi il duro compito di salvaguardare, non solo la
semplice sopravvivenza della SZN, ma anche quel carattere di internazionalità
fondamentale dell’istituto. In una sua lettera Pietro ironicamente chiede
all’amico di scusarlo se resta “con i piedi sulla terra” e da questa trae le forze
per realizzare “il possibile” con la massima energia e anzi spericolatezza.

Pietro Dohrn: uomo


“Siamo al 5° cielo”

A lui ci si poteva rivolgere “per


trasformare la figlia in mare” per il
carnevale del ‘63 chiedendo stelle marine
e cavallucci oppure per avere notizie sul
pavimento di Vietri da inserire nella casa
di Milano . . . e a tutte le lettere lui dava
risposta, anche se a volte in ritardo dovuto
alle poste o ai mille impegni.
Nella documentazione dell’archi-
vio storico si conservano tracce di vita:
inviti a matrimoni, corrispondenza con
amici interessati al futuro della Stazione
Zoologica, ma convivono biglietti scritti
64 con grafia incerta dal “maestro Luigi” che
ha messo da parte per “don Pietro” un
ciclo di 12 episodi raffiguranti Don
Chisciotte insieme al biglietto di ac-
compagnamento al portasigarette donato

Bigliettini da visita

dai principi Hitachi del Giappone come ringraziamento per la visita effettuata
alla Stazione Zoologica.
E ancora cartoline dai più svariati angoli del mondo, la corrispondenza
con Nunzia Sasso in cui Pietro chiede notizie su Ischia, sulla possibilità di fare
delle lenzuola grezze o di trovare una donna per le pulizie della casa, e perché
no, anche dei bei conigli di fosso da mangiare a Ischia. Da tutte le lettere,
purtroppo non ancora disponibili integralmente, si evince un uomo deciso e
impetuoso ma disponibile, molto impegnato nella costruzione della “nuova
SZN” da non fermarsi neanche durante le festività, mentre ad esempio la
famiglia era nel Natale del ‘63 a Cortina, oppure durante il ferragosto quando
lui continua a dedicarsi alla costruzione dell’Istituto.
Un anno così impegnativo e stressante per cui gli amici che hanno a
cuore il futuro della Stazione, ma ancor di più la sua salute, gli scrivono di
riposarsi per poter continuare con gioia e molta più forza. In una lettera
un’amica ricorda la calda atmosfera della casa al Faito [Raito?], il mare e tutta
la costa che sogna quando dorme ma anche quando è sveglia . . .
Gli impegni in questi anni erano tali da non consentirgli di allontanarsi
neanche un minuto dal lavoro quotidiano per parlare di argomenti non
pertinenti, come leggiamo nella lettera a Dargut Kamali in cui si scusa per
l’“irruenza” della sua risposta.
In questo stesso anno gli auguri di Pasqua vengono dati in risposta ad
auguri di Natale ricevuti, a testimonianza dell’anno faticosissimo, il 1963, in
cui ai mille impegni si era aggiunta anche la morte del padre.
La frase siamo al 5° cielo è riportata in una lettera dei figli che
trascorrono appunto con la mamma il Natale a Cortina, ed è quella che più mi
è piaciuta perché la trovo delicata dolce e poetica. Spiega anche che non sono
al 7° cielo perché la neve è pesante e bagnata!
65
Pietro Dohrn: l’uomo, lo scienziato e la SZN

In una lettera dell’agosto del ‘70 firmata da “Zia Maria” alla nipote si
parla della difficile situazione in cui si trova la Stazione Zoologica, e Pietro
Dohrn viene descritto come un uomo che ha sentito il dovere morale di
continuare l’opera meravigliosa dei suoi avi, dedicando tutto se stesso alla
SZN, nonostante il triste episodio della morte del figlio avvenuta pochi mesi
prima. Vediamo come la vita personale non ha il sopravvento sulla vita
istituzionale limitandone l’operato, neanche in questa tragica circostanza.
E ancora la laurea in medicina conseguita presso l’Università di
Monaco “Magna cum laude”, gli estratti dei verbali del Consigli di
Amministrazione della SZN che lo nominano Direttore della Stazione nel 1954
e il conferimento dell’incarico di direttore emerito al padre Rinaldo Dohrn da
parte del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
Un estratto di una pubblicazione del febbraio 1960 e un articolo sulla
SZN pubblicato su AIBS Bullettin nel febbraio 1960; il bilancio di quello
stesso anno; la ricevuta della sartoria Caggiula per completi di lino e completi
invernali; il suo biglietto da visita sobrio ed essenziale ancora conservato nella
tasca interna di una delle rubriche telefoniche dove sono conservate 30 anni di
contatti dai quali potrebbe ricostruirsi la storia della biologia di quegli anni; la
nomina a socio ordinario residente della Società dei Naturalisti di Napoli del 5
marzo 1963; articoli di giornali sulla vita alla SZN.
66

Corrispondenza con l’Ambasciata del Giappone (aprile 1966)


Pietro Dohrn: la Biblioteca e i nuovi laboratori della SZN

Pietro fu forse il più innovatore della famiglia Dohrn. A lui spettò il


non facile compito di traghettare la Stazione Zoologica in un periodo difficile,
proiettandola nel futuro come un centro di ricerca scientifica moderno.

67

In questa direzione vanno intese le opere architettoniche da lui


fortemente volute:
- la costruzione della Biblioteca e dei nuovi laboratori(1956-1960);
- la trasformazione della villa Dohrn a Ischia in un laboratorio di Ecologia
marina aperto alla moderna ricerca programmata e d’équipe (1963-1967).
Fra il 1956 e il 1967, l’Istituto fu quindi un cantiere sempre aperto,
ricco di iniziative che, dopo cinquant’anni, per la prima volta riuscivano a
catalizzare attenzione e partecipazione da tutto il mondo. Non a caso alla
costruzione della Biblioteca fortemente voluta da Pietro e la cui costruzione
durò dal 1956 al 1960, parteciparono oltre 9 paesi del mondo intero, dal
Giappone alla Danimarca, passando per la Svezia, l’America e ovviamente la
Germania e l’Italia.
Pietro pensò ad una Biblioteca in grado di conservare l’ingente
patrimonio bibliografico della Stazione Zoologica consentendone l’espansione
futura. Insieme al progettista Frediano Frediani, e grazie all’impresa Girardi, il
corpo di fabbrica fu costruito nel cortile tra i due vecchi edifici ottocenteschi
preesistenti con tecniche innovative e all’avanguardia. La struttura di 5 piani
fu costruita interamente in metallo se si esclude il I piano di cemento armato
su cui poggiava l’intera intelaiatura della Biblioteca. Anche l’uso dell’amianto
come isolante era perfettamente in linea con i tempi ignorandosene all’epoca la
pericolosità. Pietro Dohrn fu totalmente assorbito dalla costruzione di questo
edificio e dalla costruzione dei 6 nuovi laboratori all’interno della Stazione
68 Zoologica, che nonostante le critiche e le difficoltà economiche incontrate
portò avanti tenacemente.
Anche la trasformazione in laboratorio di Ecologia marina della villa
Dohrn a Ischia è di questi anni (1963-1965). In un periodo in cui l’ecologia
muoveva i primi passi in tutto il mondo Pietro fu il primo ad aprire la Stazione
Zoologica, rompendo con la tradizione esistente dalle origini dell’istituto e
delineandone il suo futuro in un centro di ricerca scientifica moderno. Il suo
precoce interessamento alla ecologia marina, l’impegno per la conservazione e
la protezione dell’ambiente marino e la sua cultura cosmopolita lo spinsero ad
impegnarsi in ambiziosi progetti di cooperazione internazionale, come
M.A.M.B.O. (Mediterranean Association for Marine Biology and Oceanology
- 1964), di cui fu il primo segretario. Convocato a Bellagio dalla Fondazione
Rockefeller di New York, il MAMBO incaricò Pietro Dohrn, quale
rappresentante della SZN, la più antica stazione marina del Mediterraneo, a
svolgere i passi per la fondazione ufficiale con l’obiettivo di sviluppare la
cooperazione interdisciplinare degli studi riguardanti il mare Mediterraneo e
promuovere a tutti i livelli l’approfondimento della biologia marina e della
oceanografia.
Terminato il suo impegno alla Stazione, dalla fine degli anni Sessanta
Dohrn si dedicò interamente alla salvaguardia della natura, soprattutto degli
ambienti marini contribuendo alla fondazione della riserva marina di
Castellabate all’interno di quello che sarà il Parco Nazionale del Cilento.
In quell’occasione Pietro Dohrn disse di sè: “Io sono il portavoce dei
pesci”.
La Stazione Zoologica oggi

69
Angela Caputo

Prima del Convegno “Pacem in Maribus”, avevo preso parte alla


redazione degli atti di altri eventi del genere, anche rilevanti, chiamata dagli
enti organizzatori in quanto stenografa, ma questo di cui parliamo è stato per
me tutto particolare, vissuto “dal di dentro”, perché nel frattempo ero stata
assunta all’Ente Provinciale per il Turismo.
Non ho memorie molto dettagliate sugli argomenti del Convegno di
Castellabate perché non avevo, e non ho conoscenze scientifiche in proposito,
benché in seguito abbia letto quasi tutte le relazioni che vi sono state
presentate; ciò che ricordo molto bene, invece, e che ha caratterizzato il
periodo preparatorio – piuttosto lungo, considerato anche il notevolissimo
numero degli scienziati partecipanti – erano le doti di simpatia, di cordialità e
di semplicità del Professor Pietro Dohrn, che tutti chiamavamo Don Pietro,
come un amico da lunga data, cosa che mi ha confermato nella convinzione,
che avevo già allora, che le persone più sono grandi più sono semplici nei
rapporti umani.
I miei compiti al Convegno consistevano nella partecipazione alle
riunioni per prendere nota degli adempimenti da attuare e della corrispondenza
da redigere, e i giorni successivi a porre in opera gli appunti presi.
All’epoca mi trovai di fronte a notevoli difficoltà pratiche, affrontate
comunque di buon grado con l’aiuto determinante di mio marito, se si pensa
che i nostri due figli Maurizio e Paola avevano, nell’inverno 1972/73,
rispettivamente circa cinque anni e tre e mezzo, e il loro papà li faceva cenare
e poi, impacchettati nei cappottini, li portava con sé in macchina sotto la sede
dell’E.P.T., intrattenendoli con giochi e giochini fino al mio arrivo. Spesso,
però, le riunioni erano lunghissime: non di rado si andava avanti fino a
mezzanotte, e qualche volta anche oltre.
Dello svolgimento del Convegno vero e proprio ho soltanto ricordi di
fatti che mi hanno riguardato personalmente, anche banali, a sprazzi, perché il
mio lavoro non mi consentiva di distogliere l’attenzione per seguire ciò che mi
accadeva intorno; si tratta di episodi scollegati fra loro, ma vividi, come se li
avessi vissuti ieri, e sono trascorsi ben quarantacinque anni. Ne riferirò solo
alcuni.
Al termine della lunga fase organizzativa, giunse l’atteso e temuto
giorno della cerimonia inaugurale, svoltasi al Teatro Verdi dove mi recai,
trepidante e con grande anticipo, per disporre, in un modo che consentisse il
più agevole ritrovamento possibile, le circa mille cartelle nominative
contenenti il materiale da consegnare a ciascun partecipante all’atto della
registrazione. A questo fine, considerato che ogni criterio per trovarle, anche il
più soggettivo, poteva essere valido, purché ve ne fosse uno, le disposi nel
modo, credo, più semplice e comodo per tutti noi della segreteria, in stretto
ordine alfabetico, indipendentemente dal Paese di appartenenza. Ciò ci
consentì di far fronte rapidamente a gran parte delle richieste, d’informazioni o
70 di altro genere, che ci piovvero addosso.
Poiché non mi ero sentita di “mollare” la mia famiglia per un’intera
settimana, avevo deciso, d’accordo con mio marito che aveva dovuto prendere
una parte delle sue ferie, di spostarci tutti a Castellabate, ma in un albergo
diverso da quello dove si svolgeva il Convegno, per evitare che i miei figli,
vedendomi tutta presa da altri impegni, mi corressero incontro e richiedessero
la mia attenzione nel corso dei lavori.
Fra i miei compiti rientrava l’assistenza logistica ai partecipanti; uno
di loro, la Prof. Letizia Marini, che svolgeva le sue attività scientifiche e
didattiche in Iran, mi chiese una volta di trasferirla in un altro albergo, non ne
ricordo il motivo, e due o tre volte di cambiare la data e l’ora del volo di
ritorno, a seconda delle notizie circa i cambiamenti nei suoi impegni che le
giungevano dal Paese di provenienza. Io feci del mio meglio per accontentarla,
e al momento di andare via ella mi venne a salutare, mi ringraziò per la mia
disponibilità e mi lasciò in suo ricordo una bella pietra di malachite tagliata a
goccia, con la raccomandazione di farla montare in argento e di indossarla con
una catenina dello stesso metallo, “…perché in Iran è ritenuta una pietra
portafortuna che, con il suo potere rafforzato dal contatto con l’argento, aiuta a
raggiungere traguardi importanti nella vita”. Per vari motivi, compreso un
trasloco realizzato in occasione del ponte dell’Immacolata, riuscii a farla
montare solo pochi giorni prima di Natale; andai a festeggiare il Capodanno a
casa dei miei suoceri, ad Amalfi, ma al ritorno trovai la porta scassinata e
dovetti denunciare il furto di macchine fotografiche, della cinepresa (denaro
non ne avevamo volutamente lasciato per il timore di sorprese del genere,
quali nuovi abitanti) e di tutti gli oggetti d’oro, compresa la malachite. Io non
ho mai creduto alle proprietà benefiche delle pietre, e voi?
Al Convegno partecipò anche un gruppo di scienziati provenienti
dall’Africa, molto abbronzati, per dirlo alla berlusconiana, e simpaticissimi;
ricordo ancora il nome di uno di loro, Mr. Njiri del Kenia, che si fece notare
per il suo inglese molto colorito.
Il venerdì sera, sulla grande terrazza dell’albergo, si svolse, come
d’uso in eventi del genere, la serata d’intrattenimento degli ospiti con
l’esibizione della Nuova Compagnia di Canto Popolare, all’epoca molto
famosa; allo spettacolo si aggiunse il divertentissimo excursus storico di un
partecipante, un militare di alto grado, in divisa bianca, triestino, forse il
Comandante di quella Capitaneria di Porto, che illustrò l’invasione dei
Saraceni nella zona di Castellabate utilizzando, a beneficio dei convegnisti, un
inglese italianizzato o un italiano anglicizzato a seconda delle parole che
conosceva nell’una o nell’altra lingua, al chiaro scopo, ben raggiunto, di
alleggerire le notizie storiche con battute di spirito.
Quella sera l’atmosfera allegra e rilassata consentì all’amica e collega
Lidia Tesauro di intrattenersi a lungo con i miei bambini, che avevano già
avuto modo di conoscerla e le erano molto affezionati, ma che fino a quel
momento non avevano potuto ottenere la sua attenzione: rimasero tutto il 71
tempo, contentissimi, con lei, rafforzando la reciproca conoscenza e gettando
basi che durano tuttora, anche senza assidue frequentazioni.

Ricordo per i partecipanti al Convegno di Castellabate


Una delle ultime cose fu la consegna ai partecipanti di un oggetto
ricordo: un piccolo vaso della ceramica RIFA di Vietri sul Mare. Io ne ebbi
due, il secondo me lo regalò un collega che sapeva quale destinazione avrei
dato al primo, e da allora ornano entrambi il davanzale interno di un finestrone
situato piuttosto in alto nella cucina della nostra casa. Ogni volta che sollevo lo
sguardo, essi mi richiamano alla mente l’esperienza di un evento unico,
irripetibile, che mi ha consentito di avere un contatto significativo con
scienziati di alto livello e, soprattutto, di conoscere la profondità di un
grandissimo Uomo, Don Pietro Dohrn, che con la sua cultura ha costituito, e
costituisce ancora, un insuperato punto di riferimento nelle scienze ambientali
o, più semplicemente, nell’amore totale per il mondo in tutte le sue
espressioni, rappresentando per me un gratificante, insuperabile momento di
arricchimento personale.

Renata D’Elia

Non saranno certamente le mie poche righe a dare più lustro alla figura
di Pietro Dohrn.
So soltanto che l’incontro con lui, avvenuto nel ‘74 in S. Maria di
Castellabate, quando io stavo portando avanti per il quotidiano napoletano
“Roma” un servizio giornalistico sugli “Scempi edilizi della Costa Cilentana”
e quando all’epoca, Pietro Dohrn sognava la realizzazione del Parco del
Cilento, non si trattò certamente di una convergenza di forze casuali.
In breve Pietro Dohrn mi illustrò il suo Progetto del Parco Marino di
Castellabate e mi spiegò del perché proprio quelle acque andassero
salvaguardate. Quelle acque sono permanentemente calde, godono di una
temperatura alta, proprio come nei mari tropicali e, guarda caso, la fauna
72 sottomarina che si incontra è, in buona parte, quella dei mari tropicali. Una
volta interdetta la pesca, l’unica attività consentita sarebbe stata la fotografia
sottomarina.
Nel giro di dieci anni di incontri importanti e meno importanti di
Pietro Dohrn con politici, sindaci, studenti e docenti con simposi, dibattiti e
conferenze, incontri e scontri su tutto il territorio cilentano, questo grande
studioso è riuscito a realizzare il suo progetto del Parco del Cilento.
Non sono mancati momenti di sconforto e di profonde delusioni: al
suo fianco, però, Pietro Dohrn aveva soprattutto i giovani e seppe dar vita alla
O.N.G. “Italia Nostra” di Sapri, me Presidente, trovandosi ad insegnare la
sottoscritta proprio nel Cilento, nel piccolo Comune limitrofo, di Rofrano.
Per anni la Sezione “Italia Nostra” di Sapri scatenò, grazie anche ad un
giovane studente in legge di Sapri, appunto, Franco Maldonato, oggi brillante
penalista, una feroce battaglia attraverso la stampa e conferenze, ma
soprattutto puntuali denunce alla Magistratura dei responsabili dei Comuni
degli scempi edilizi che si consumavano sulla costa per abusivismo e cattivo
gusto. All’epoca anche Maria Gerarda Sorrentino, studentessa in legge di S.
Giovanni a Piro, si associò al mare di denunzie nel suo Comune e “Italia
Nostra”; proprio in questo Comune, riportò una grande vittoria: fermò le ruspe
sul Promontorio della “Masseta”, gioiello paesaggistico della Costa Cilentana,
minacciato da ulteriori, squallidi progetti di costruzioni, cosiddette “estive”.
Pietro Dohrn non trascurò di interessarsi anche per altri comuni del
Cilento, vedi Caselle in Pittari, Torre Orsaia, Morigerati, e credo proprio che la
visita di questo straordinario uomo preoccupato per la preservazione e
valorizzazione delle risorse della natura e, nello specifico, del patrimonio
ambientale e storico di tutto il territorio al di qua del fiume Alento, rimarrà
nella memoria dei Cilentani probabilmente come il passaggio di quell’unica
persona che seppe renderli protagonisti su tutto il territorio nazionale.
Oggi, a distanza di più di trenta anni, il Parco Nazionale del Cilento è
una realtà. Spetta ai suoi abitanti mantenere fermo il traguardo.

Gerardo Moscariello

a Pietro Dohrn

Un grande amore per la natura,


frutto di grandi studi e di passione,
che trasmetteva con assidua cura
con precetti e dogmi come religione . . .
Semplice, umile, silente e sincero
visse per studi fra arte e scienza
riversandone il geniale pensiero
a quanti ne bramavan conoscenza . . .
73
Lo conobbi mentre zappava la terra,
come giammai, da esperto contadino!
Presi un abbaglio! L’orto era la serra
che gli offriva un raccolto genuino!

Da giramondo ne divenni amico,


gli descrivevo ogni mio viaggio,
ma ne ignoravo 1’orizzonte aprico
che nascondeva sì grande personaggio . . .

Frequentarlo era ottima occasione


per scoprirne ricerche, studi, iniziative
tese a migliorar vita alle persone,
ambiente, fauna, flora con prospettive . . .

Vasti ed ininterrotti i suoi orizzonti


fra terra, cielo, mare ed universo,
difesa coste, parchi marini, fonti
di energia dallo zenit al sommerso . . .

Trovò ampio ascolto in tutto il mondo!


da Vietri solo un ricordo flebile e tardivo,
cui umilmente partecipo con un profondo
grazie per quanto profuso in ogni obiettivo!
Angela De Rosa

Anzitutto una premessa: grazie a Enzo Rispoli, mio marito, incontrai


l’amico Pietro all’età di diciotto anni.
I miei ricordi, brevemente: Pietro, uomo di cultura, passava spesso ad
ammirare i capolavori d’arte della Ceramica RIFA, il cui promotore è stato
Matteo Rispoli, mio suocero. La domenica, di tanto in tanto, andavo con Enzo
a casa di Pietro, quando ancora abitava a Raito: da quella casa si godeva di una
vista stupenda su un tratto di costiera. I modi di Pietro furono sempre cordiali e
le sue parole sincere.
I ricordi che ho riferito, così vivi seppur lontani nel tempo, sono
quanto resta nella mia memoria di quelle persone così speciali, la cui vita è
stata piena di arte e cultura.

Luigi Nicolao

Ho conosciuto Pietro Dohrn verso la metà degli anni ’70, in


compagnia dell’amico Nello Tesauro, quando abitava in una casa sotto Raito,
74 con una straordinaria veduta panoramica su Marina di Vietri e sul golfo di
Salerno.
Dalla prima occhiata emergeva la sua remota discendenza di quella
folta generazione di “nordici”, che dai primi decenni del ‘700 si avviava verso
il Sud dell’Italia alla ricerca delle origini della Civiltà Europea ed Occidentale:
da Roma alla Magna Grecia prima, alla Grecia vera e proprio dopo la
liberazione dai turchi poi.
Il suo aspetto severo teutonico-napoletano rivelava immediatamente
una costante conflittualità fra le due componenti, quella tedesca e quella
napoletana. Prevaleva comunque il rigore quasi “luterano” della prima, a
discapito della necessaria leggerezza ed ironia della seconda, rendendo a volte
non facili i rapporti con opinioni e giudizi diversi dai suoi.La sua immagine
resta comunque connotata da una forte tensione etico-civile che lo rendeva
severo innanzitutto verso se stesso.

Giuseppe Pinto

Come richiestomi, invio qualche personale testimonianza riguardante


i miei contatti col dr. Pietro Dohrn durante la sua permanenza a Vietri. Contatti
che hanno rappresentato per me ben più che una semplice serie di incontri: essi
sono stati, in realtà, indimenticabili lezioni “dal vivo” sia di vita che di sapere
scientifico.
Don Pietro, per un giovane prossimo alla laurea negli anni ‘65-’70 è
stato opportunità di apprendimento, di motivazione e di stimolo a girare il
mondo.
Il suo girovagare per diffondere sapere e organizzare eventi di grande
valenza scientifica insieme alle sue partecipazioni a dibattiti televisivi pacati e
comprensibili, su argomenti che si sono rivelati di fondamentale importanza
nello sforzo di protezione dell’ambiente a livello mondiale, erano già
sufficienti a suscitare stima, ma la sua straordinaria spontaneità, quasi
familiare con tutti, ne faceva, ai miei occhi, addirittura “un personaggio”.
Ecco solo alcuni episodi personali che significarono per me, oltre che
una palese rappresentazione della sua profonda cultura sia umanistica che
scientifica, soprattutto tratti di una evidente genialità che scorreva nelle sue
vene per ragioni di eredità genetica.
Era uno scienziato, eppure, quando passeggiava per le stradine del
paese, si comportava come un vietrese comune. Il suo modo di vestire
semplice, consisteva quasi sempre di scarponi da montagna, pantalone di
velluto a costa larga e camicia di flanella a quadri.
La mattina lo si incontrava mentre, a piedi, risaliva la via costiera dalla
sua abitazione fino a Vietri dopo essersi fermato a riempire alla fontanina sita
all’inizio del ponte una piccola damigiana che portava sotto braccio: molti 75
erano scettici sulla potabilità dell’acqua ma il fatto che don Pietro la beveva
con piacere e gusto, era motivo di rassicurazione per tutti.
Capitava spesso che avesse da pormi domande su problematiche di
idraulica e finiva con assegnarmi compiti da discutere al Politecnico con
colleghi studenti o con assistenti, ma subito dopo mi invitava a prendere
qualcosa al bar; ricordo che una volta lasciò tutti attòniti chiedendo ad alta
voce al cameriere “vogliamo una cosa verde”: il giovanotto al banco rimase
perplesso, poi presosi il tempo necessario a riflettere e senza profferire parola,
ci servì, alle nove di mattina, due bicchieroni di sciroppo alla menta.
Il giorno della vigilia di Natale del 1969 ci incontrammo in piazza e
dopo le informazioni di rito sull’andamento degli studi, mi chiese di
accompagnarlo all’ufficio postale: “andiamo a fare un telegramma di auguri a
Ciccio” mi disse. Si trattava del Prof. Francesco Castellano, suo compagno di
Università, suo amico fraterno e neurochirurgo di fama internazionale,
primario al Cardarelli. Telegramma ed auguri: una decina di minuti in tutto,
pensai. Invece dopo mezz’ora eravamo ancora nell’ufficio postale; vedevo che
aveva già riempito due moduli e si accingeva a richiederne un altro
all’impiegato. Allora gli ricordai degli auguri da inviare. Senza guardarmi e
concentrato sui fogli mi rispose ”li sto scrivendo” e aggiunse che a Ciccio non
si potevano scrivere solo auguri di Natale. In effetti gli aveva riassunto tutto
quello che non si erano potuto dire dal loro ultimo incontro o dalla ultima
telefonata.
Michele Santopietro

Mi accingo a scrivere queste brevi note, riguardo la mia collaborazione


con Pietro Dohrn, su invito del fraterno amico Aniello Tesauro, che è stato
anche testimone diretto di molti degli episodi che vado a riferire.
Per meglio inquadrare la genesi e la conseguente evoluzione del
rapporto con don Pietro è opportuno che tracci una breve cronistoria
propedeutica al nostro primo incontro.
Si era nell’anno settanta ed io, giovane ventenne, mi trovavo a capo di
un gruppo di 22 giovani, provenienti dall`esperienza scout, desiderosi di dare
un valido contributo sociale. Mi misi in contatto con la segreteria
dell`onorevole Roberto Virtuoso che accettò di buon grado di incontrarci. Il
nostro primo incontro avvenne in una sala della parrocchia di Battipaglia.
L`onorevole, accompagnato da un giovanissimo Alfonso Andria, ci suggerì di
costituirci in gruppo di protezione civile e di dar vita anche ad una proloco
cittadina. Entrambe le cose, col suo aiuto e degli amici dell`EPT di Salerno,
furono realizzate in breve tempo. E proprio durante la prima fase addestrativa
presso la caserma dei VVFF di Salerno che ci trovammo in mezzo a noi,
quest’omone dal nome tedesco e dai modi napoletani, che tutti chiamavano
76 don Pietro.
Fu un periodo di attività molto frenetico. Ricordo che ho macinato
molti chilometri con lui in quel Mercedes diesel che guidava come un matto.
Hai voglia di dirgli “don Piè più piano per favore”. Macché.
Spesso quando rientravo a casa dall`università`, lo trovavo seduto a
chiacchierare con mia madre, sfogandosi per le difficoltà burocratiche che
incontrava sul suo cammino, poi dopo una frugale cena, via di nuovo a
macinar chilometri.
Finalmente riuscì a farsi affidare l`istituto Matarazzo, in quel di
Castellabate, ove ci insediammo io e la mia squadra con altri volontari
provenienti da varie parti come gruppo MAMBO. Istituimmo una catena di
avvistamento per prevenire gli incendi e ricordo dei tanti interventi fatti anche
di notte, armati solo di frasche reperite in loco, per domare le fiamme al loro
primo sorgere. Ricordo che spesso c’erano gruppi di abitanti che dal ciglio
della strada assistevano allo spettacolo, guardandoci divertiti ed un tizio, forse
lo scemo del paese (o forse no), che gridava “pesciaci sopra, pesciaci sopra”.
Di certo eravamo una novità per quei tempi, ove la parola ecologia era
un vocabolo poco noto per non dire estraneo.
Eppure sotto la guida del vulcanico don Pietro riuscimmo a preservare
molti ettari di bosco. Inoltre l`Istituto Matarazzo era luogo di incontri con
personaggi di rilievo; ricordo Aurelio Peccei, Roberto Vacca, ospiti giapponesi
interessati al progetto che don Pietro varò, penso il primo esperimento in Italia,
di area marina protetta.
Poi subentrarono altri personaggi, non sempre con spirito ecologistico,
direi affaristico, per cui ci trovammo, noi volontari e don Pietro a percorrere
altre strade.
Ma l´amicizia con don Pietro rimaneva viva. Spesso, quando ero libero
dal lavoro, lo andavo a trovare a Raito. Un giorno, allora avevo una moto
Ducati Scrambler, mi presentai a Raito con quella che poi sarebbe stata mia
moglie. Don Pietro mi quasi fulminò con lo sguardo e mi disse “ti sei
imborghesito anche tu” per poi sciogliersi in un sorriso ed invitarci a cena.
Il lavoro, gli impegni familiari, mi resero quelle visite sempre più rare,
ma tramite l’amico Tesauro mi tenevo sempre informato su don Pietro,
dov’era, cosa faceva, fino all’ultimo.
Grazie Pietro, grazie di tutto, hai dato la possibilità a me e a tanti altri
di essere operativi contribuendo in solido e non con fatui discorsi, a migliorare
la realtà che ci circonda. Non ti dimenticheremo mai.

77

Pietro in cucina
78

Lo stile di Pietro nella corrispondenza


INDICE

Presentazioni . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3

Don Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 5

Don Pietro e il Cilento . . . . . . . . . . . . p. 11

Seduta del Consiglio Comunale . . . . . . . . . . . p. 17


79
Una lettera . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 19

Testimonianze . . . . . . . . . . . . . . . . p. 21
80

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