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Condominio
COMUNIONE E CONDOMINIO
COMUNIONE E CONDOMINIO
Immobili e proprietà, 2011, 2, 73 (nota a sentenza)
Il presente contributo esamina l'ammissibilità e la disciplina del distacco del singolo condomino
dall'impianto di riscaldamento centralizzato e due questioni collegate, la disciplina delle spese
conseguente al distacco e le condizioni per l'eliminazione dell'impianto centralizzato.
È quesito ricorrente se sia possibile o meno e a quali condizioni il distacco dal servizio
condominiale centralizzato di riscaldamento. L'argomento è stato oggetto di ampie discussioni
sia dottrinali che giurisprudenziali. Spesso il condomino desidera distaccarsi dall'impianto di
riscaldamento cosiddetto "centralizzato" - in via temporanea o definitiva - per non sostenere le
relative spese (esemplificando, basti pensare al costruttore che non ha ancora venduto tutti gli
alloggi, al condomino che utilizza il suo bene solo pochi mesi all'anno oppure che non è riuscito
a locare l'appartamento di sua proprietà).
Ammissibilità e disciplina del distacco del singolo condomino dall'impianto di riscaldamento
centralizzato
Concretamente si vuole indagare se, sotto il profilo giuridico, il condomino può staccare i propri
elementi irradianti dai tubi dell'impianto che recano il calore nella sua unità abitativa, in modo
permanente e definitivo, con la creazione di un impianto autonomo, il quale - s'intende - dovrà
essere conforme alla vigente normativa in materia.
Un secondo quesito, collegato al primo, è quale sia la disciplina delle spese conseguentemente
al distacco in questione.
Un terzo quesito, anch'esso collegato pur nella sua peculiarità, è se e a quali condizioni possa
ammettersi la totale eliminazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento.
Ai sensi dell'art. 1117 cod. civ. sono definite come parti comuni dell'edificio tutte le opere che
servono all'uso e al godimento comune; in particolare gli impianti per il riscaldamento sono
considerati parti comuni "fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà
esclusiva dei singoli condomini".
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In base all'art. 1102 cod. civ. l'uso della cosa comune è consentito a ciascun partecipante alla
comunione, a patto che non ne venga alterata la destinazione e non venga impedito agli altri
partecipanti di farne parimenti uso.
Vediamo ora come può (rectius: deve) essere meglio inquadrato il distacco in questione.
Al contempo, però, il D.P.R. 26 agosto 1993 n. 412, art. 1 lett. l), prevede espressamente la
possibilità per il condomino di installare un impianto termico a risparmio energetico previo
distacco dall'impianto centralizzato.
Quindi, dal punto di vista ordinamentale, non può essere considerato un divieto assoluto
riguardo a materia indisponibile, bensì un divieto derogabile con il consenso di tutti i
condomini, dato che incide negativamente su una essenziale parte comune del condominio,
sulla destinazione oggettiva della cosa comune determinando uno squilibrio termico.
Squilibrio termico che può essere eliminato incorrendo,tuttavia, in un inevitabile aggravio delle
spese di esercizio e conservazione per tutti gli altri condomini che invece continuano a servirsi
dell'impianto centralizzato.
In questo senso, il distacco dall'impianto centralizzato deve ritenersi vietato qualora incida
negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune, ovvero determini "uno squilibrio
termico che può essere eliminato solo con un aggravio delle spese di esercizio e conservazione
per i condomini che continuano a servirsi dell'impianto centralizzato" (2).
Per tali motivi la Cassazione ritiene ammissibile il distacco in alcuni casi, che potremmo definire
tendenzialmente "tassativi" e che di seguito enunciamo:
1) rinuncia del condomino all'impianto centralizzato prevista in una clausola del regolamento
contrattuale, presupponendo quindi il consenso al distacco di tutti gli altri condomini;
3) rinuncia all'impianto in questione sempre che l'interessato provi che dal distacco deriverà
una effettiva proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà un pregiudizio
del regolare funzionamento dell'impianto centrale stesso (3).
Analogamente, si pone la pronuncia del Tribunale di Roma, sez. V, 19 maggio 2005, n. 11575,
in base alla quale: "Il distacco dei condomini dall'impianto di riscaldamento centralizzato,
laddove, come nel caso di specie, non sia consentito per espressa previsione del regolamento
condominiale ovvero non sia stato deciso all'unanimità dei condomini, può essere autorizzato
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dall'assemblea a maggioranza solo qualora sia stata preventivamente comprovata dal singolo
condomino l'assenza di pregiudizio per l'impianto e la mancanza di aggravio di spesa per il
condominio, ovvero quando l'eventuale aggravio di spesa determinatosi per gli altri condomini
ancora collegati all'impianto sia posto a carico di coloro che, distaccandosi, lo hanno
provocato".
Secondo il giudice romano, "la suddetta delibera risulta dunque viziata da nullità, deducibile dal
condomino dissenziente o assente senza limiti temporali, perché tale da incidere sui diritti
soggettivi dei condomini".
A ciò peraltro consegue - in via inevitabilmente riflessa - l'annullamento della delibera assunta
nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135 n. 2 cod. civ. e applicativa dei
criteri di riparto delle spese di gestione del riscaldamento già illegittimamente adottati (5).
Interessante, al fine di una migliore comprensione della fattispecie del distacco dall'impianto
centralizzato, più in generale, è il seguente esempio pratico formulato da attenta dottrina (6) su
una questione, quella in rilievo, che non può essere risolta teoricamente se non si considera al
contempo il suo risvolto pratico.
"Se le spese relative all'uso dell'impianto ammontano a 100 e 10 sono i condomini con uguali
quote, il distacco di un condomino sarà legittimo soltanto qualora le spese di esercizio si
riducano da 100 a 90. Ulteriore requisito richiesto è che l'impianto non subisca, in conseguenza
del distacco, uno squilibrio che lo danneggi, ovvero è necessario che questo, costruito per
servire 10 appartamenti, ne possa servire un numero inferiore senza subire alcun pregiudizio".
Peraltro, anche nell'ipotesi in cui il distacco non sia vietato dall'ordinamento, il passaggio
all'impianto di riscaldamento autonomo deve essere autorizzato dall'assemblea condominiale
con le maggioranze, necessariamente contestuali, di cui all'art. 1136, comma 5, cod. civ. - la
maggioranza dei partecipanti al condominio e, in più, i due terzi del valore millesimale
dell'edificio - poiché, come già detto, il distacco delle derivazioni dall'impianto principale è da
considerarsi "innovazione" ex art. 1120 cod. civ.
Nel caso in cui il regolamento consenta il distacco - secondo un certo indirizzo (7) - sarà poi
necessario accertare se lo stesso preveda anche se il condomino sia di poi tenuto a contribuire
ed in che modo alle spese di gestione dell'impianto stesso (in tale fattispecie il condomino
potrebbe/dovrebbe presentare una domanda scritta all'amministratore che conseguentemente,
sulla base del regolamento condominiale, calcolerà le eventuali quote di spesa a suo carico).
Nel caso in cui il regolamento condominiale non preveda nulla sul punto specifico,
l'amministratore, ricevuta la domanda di distacco da parte del condomino, la inserirà
nell'oggetto della delibera dell'assemblea condominiale.
Tale decisione comunque, alla luce della più recente giurisprudenza, come si è visto, non sarà
rilevante qualora il distacco non rappresenti un pregiudizio per il bene comune.
In particolare, la Corte di Cassazione, con la sentenza 30 marzo 2006 n. 7518, stabilisce che:
"Il condomino può rinunciare all'uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni
della sua unità immobiliare dall'impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione o
approvazione degli altri condomini … .se, e nei limiti in cui, il suo distacco non si risolva in una
diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini".
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In ogni caso, i condomini, che invece siano contrari a introdurre modifiche al proprio impianto
di riscaldamento, in base al disposto dell'art. 1121 cod. civ. (il quale prevede l'ipotesi di
un'innovazione "molto gravosa che consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di
utilizzazione separata"), possono considerarsi esonerati da qualsiasi contributo nella relativa
spesa.
In tal caso, i singoli altri condomini, e tanto più l'amministratore anche senza autorizzazione
assembleare trattandosi di materia relativa alla conservazione e al funzionamento di un
impianto condominiale, potranno agire nei confronti dell'autore dell'abuso non solo per il
ripristino della centralizzazione dell'impianto, ma anche per il risarcimento dei danni di vario
tipo eventualmente verificatisi.
Consideriamo ora il profilo di disciplina delle spese nel caso di distacco unilaterale del
condomino.
Sullo specifico punto, è intervenuta una rilevante sentenza della Suprema Corte ad affermare
che: "Quando alcuni condomini decidono, unilateralmente, di distaccare le proprie unità
immobiliari dall'impianto centralizzato di riscaldamento, i medesimi non possono sottrarsi al
contributo per le spese di conservazione del predetto impianto, non essendo configurabile una
rinuncia alla proprietà dello stesso, ma, ove i loro appartamenti non siano più riscaldati, non
sono tenuti a sostenere le spese per l'uso (ad esempio, quelle per l'acquisto del carburante), in
quanto il contributo per queste ultime è adeguato al godimento che i condomini possono
ricavare dalla cosa comune" (8).
a) uno o più condomini possono decidere, come e quando vogliono, di distaccare le proprie
diramazioni dall'impianto centralizzato di riscaldamento;
In realtà, però, non va trascurato che anche la sentenza suindicata presuppone comunque che
il distacco deve avvenire "per ragioni obiettive".
Ciò precisato, può dirsi che il condomino che si voglia staccare deve pagare le spese di
manutenzione e conservazione dell'impianto, e ciò si fonda su precisi dati normativi.
Anzitutto, viene in rilievo l'art. 1117 cod. civ., che annovera fra le "parti comuni" anche il locale
caldaia e l'impianto di riscaldamento.
Inoltre, l'art. 1118, comma 2, cod. civ. prevede che il condomino non può, rinunziando al
proprio diritto sulle parti comuni dell'edificio, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro
conservazione.
Poi l'art. 1123 cod. civ., comma 1, stabilisce che le spese per la conservazione ed il godimento
delle parti comuni dell'edificio e per la prestazione dei servizi nell'interesse comune devono
essere sostenute proporzionalmente da tutti i condomini in rapporto al valore delle singole
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proprietà.
La Corte di Cassazione, elaborando tale principio normativo, ha statuito che: "il singolo
condomino non può sottrarsi all'obbligo di concorrere, secondo la ripartizione risultante dalla
tabelle millesimali, alle spese di erogazione del servizio centralizzato di riscaldamento
distaccando la propria porzione immobiliare dal relativo impianto senza che rilevi in contrario la
legge 29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi energetici" (10).
Tale indirizzo in particolare ritiene che una volta "autorizzato dall'assemblea dei condomini il
distacco delle diramazioni di alcune unità immobiliari dall'impianto centrale di riscaldamento -
sulla base della valutazione che dal distacco sarebbe derivata un'effettiva riduzione delle spese
di esercizio e, per contro, non sarebbe stato determinato uno squilibrio in pregiudizio del
regolare funzionamento dell'impianto - e venuta meno la possibilità che i medesimi locali
fruiscano del riscaldamento, i proprietari di queste unità abitative non devono ritenersi tenuti a
contribuire alle spese per un servizio che nei confronti dei loro immobili non viene prestato"
(11).
Quindi, il condomino in questione - almeno in linea teorica - può essere esonerato dalla spese
di gestione dell'impianto (comprese quelle per il gasolio, etc.) dato che non se ne serve e non
ne trae alcuna utilità economica.
In questo senso, viene in opportuno rilievo il disposto dell'art. 1123, comma 2 cod. civ.,
secondo cui le spese per la conservazione di cose che servono in maniera diversa i vari
condomini sono comunque ripartite in proporzione dell'uso che ogni singolo ne può fare.
Sempre più diffuso è l'orientamento giurisprudenziale in base al quale: "In ipotesi di avvenuto
lecito distacco di una singola unità del condominio dall'impianto centralizzato di riscaldamento il
proprietario di tale unità, non usufruendo del servizio è esonerato dalla contribuzione alle spese
di esercizio, ma quale comproprietario dell'impianto, rimane obbligato a partecipare alle spese
straordinarie e di ricostruzione dello stesso" (14).
Sempre in quest'ottica differenziatrice, può essere ragionevole anche sostenere, in base a una
ulteriore opzione ermeneutica, che il condomino che ha rinunciato al servizio deve pagare
solamente le somme ordinarie che non vengano non risparmiate, cioè gli importi di spesa
rimasti invariati nonostante il distacco.
In realtà, nella maggior parte dei casi, le utilità che i vari condomini possono trarre dalle cose
comuni sono interdipendenti e quindi la rinuncia ad una di esse non è in grado di alleviare le
spese per gli altri condomini, tanto più se si considera che un sistema di riscaldamento
centralizzato vale a fornire un servizio più razionalizzato ed economico.
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Non è detto che nel caso di distacco da un impianto di riscaldamento centralizzato di uno o più
locali diminuisca proporzionalmente la spesa per gli altri locali, che anzi potrebbe anche
aumentare.
Non a caso la legge n. 10/91 non contempla quali ipotesi sul contenimento dei consumi
energetici il distacco dal sistema centralizzato e la posa in opera di impianto autonomo.
Anche secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, la rinuncia unilaterale al
riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino mediante il distacco del proprio
impianto dalle diramazioni dell'impianto centralizzato è da ritenersi legittima quando
l'interessato dimostri che, dal suo operato, non derivano né aggravi di spese per coloro che
continuano a fruire dell'impianto, né squilibri termici pregiudizievoli per l'erogazione del servizio
(15).
- graverà, comunque, sul condomino distaccatosi l'onere partecipativo alle sole spese per la
conservazione dell'impianto, ai sensi dell'art. 1118 cod. civ. e con esclusione di dovere
contributivo alcuno per gli esborsi afferenti l'utilizzo del servizio comune (19).
Approfondendo quanto già detto sopra, va ben distinto dal caso del condomino che chieda il
distacco dall'impianto del condomino il caso del condomino che voglia rinunciare alla proprietà
del predetto.
In tale evenienza, anche a parere dello scrivente, va considerata nulla la delibera assembleare
che autorizza detta rinuncia, configurando questa non una semplice modifica, bensì una
radicale alterazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, tale da
violare il limite invalicabile posto dall'art. 1120 cod. civ. in tema di divieto di innovazioni.
Diversa ancora è la posizione del condomino che sia stato escluso dal servizio di riscaldamento
centralizzato per scelta del condominio, anche al di là della sua volontà e iniziativa, allo scopo
di procedere alle riparazioni o per ovviare ad una dispersione di calore altrimenti lesiva degli
altri condomini. Pare ragionevole ritenere che, il condomino, che si trovi a soggiacere alla
volontà assembleare, se conseguentemente non può usufruire del servizio, non può ritenersi
vincolato a contribuire alle spese relative all'impianto.
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Sul punto viene in rilievo anzitutto l'art. 1120 cod. civ., il quale consente ai condomini di
disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior
rendimento delle cose comuni, ma a patto di osservare la seguente condizione: che tali
innovazioni non rendano le parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di
un solo condomino.
Sulla base di tale norma può dirsi che l'assemblea dei condomini non può, neanche disponendo
delle maggioranze previste per le innovazioni, deliberare di eliminare l'impianto di
riscaldamento centralizzato, perché, altrimenti, si lederebbero i diritti di quei condomini che,
viceversa, intendono continuare ad usufruire di detto impianto.
Per effettuare questa trasformazione, è necessario previamente, ai sensi dell'art. 28 della legge
n. 10/91, provvedere a far redigere una consulenza tecnica, che attesti i seguenti elementi:
- l'utilizzo, da parte degli impianti autonomi, delle energie alternative prescritte dagli artt. 1 e 8
della legge medesima;
Attualmente, però, essendo stato eliminato, dal disposto dell'art. 26, il richiamo all'art. 8,
concernente la trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti autonomi
a gas, parrebbe che la dismissione non possa essere più disposta se non con l'unanimità dei
consensi.
Occorre comunque tenere presente, più in generale, che i regolamenti condominiali, ai sensi
dell'art. 1138 cod. civ., possono prevedere una disciplina diversa da quella contenuta nel codice
civile con riferimento alle norme ritenute contrattualmente derogabili.
Risulta, dunque, utile verificare, caso per caso, il contenuto delle clausole contenute nel
regolamento condominiale, se si vuole avere un quadro esaustivo dei diritti e tutele azionabili
dai singoli condomini qualora uno di loro abbia deciso di staccarsi dall'impianto centralizzato di
riscaldamento o abbia concretamente così provveduto.
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(10) V. Cass. n. 4278/1994; così anche Cass., sez. II, 25 marzo 2004, n. 5974.
(14) Così expressim Trib. Milano, 10 marzo 1997, in Gius, 1997, 1757.
(18) Cfr. Cass. 30 marzo 2006, n. 7518; Cass. 21 maggio 2001, n. 6923.
(19) Così riprendendo quanto già statuito da Cass. 25 febbraio 2004, n. 5974.
(20) "Per gli interventi in parti comuni di edifici, volti al contenimento del consumo energetico
degli edifici stessi ed all'utilizzazione delle fonti di energia di cui all'art. 1, ivi compresi quelli di
cui all'art. 8 sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali".
(21) Al riguardo si nota che il D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412 prevede, all'art. 5, comma 9, che
nel caso di trasformazione di impianto centralizzato in impianti individuali, l'edificio deve essere
dotato di appositi condotti di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto
dell'edificio alla quota stabilita dalle norme tecniche.
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