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Il Decameron: Proemio, Introduzione alla I Giornata, e IV Giornata

Prologo:
E’ il primissimo brano del Decameron, in cui Boccaccio descrive il fine dell’opera: portare
conforto e consiglio alle nobili donne afflitte dalle pene d’amore. Eleggendo come pubblico
privilegiato il mondo femminile l’autore compie un gesto completamente inedito rispetto alla
tradizione cortese preesistente, tanto da attirarsi poi per questo motivo svariate critiche, da cui
si difenderà nell’Introduzione alla IV Giornata, tramite la Novella delle Papere. Nel Proemio
il poeta esordisce sostenendo con una domanda retorica che è più opportuno donare il
conforto dalle sofferenze d’amore alle donne piuttosto che agli uomini, poiché queste prime,
mentre gli uomini hanno la possibilità di svagarsi viaggiando, cacciando, giocando o
commerciando, sono socialmente e fisicamente limitate dal volere di padri, fratelli e mariti.
Dunque Boccaccio si dice desideroso di porre rimedio a questo svantaggio della sorte,
redigendo cento “novelle, o favole, o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in
diece giorni da una onesta brigata”. In questo modo le fanciulle potranno trovare diletto e
consiglio, e conoscere “quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare”. Per
concludere l’autore invoca l’aiuto di Dio e di Amore, in un binomio inedito di cristianità e
paganesimo.

Introduzione alla I Giornata:


La narrazione del Decameron si sviluppa su più livelli, e se il Proemio funge da introduzione
per il livello narrativo più esterno, in cui il narratore è l’autore stesso, l’Introduzione alla I
Giornata serve invece a delineare il contesto spazio-temporale in cui si svolge la vicenda
della “onesta brigata” nominata nel Prologo, in modo da passare successivamente alla
narrazione compiuta dai suoi membri. Quindi Boccaccio si sofferma a descrivere con
precisione il diffondersi della peste e la situazione di abominevole straordinarietà andatasi a
creare per via del morbo. L’autore inizia delineando lo spazio e il tempo della “cornice” in
modo semplice e diretto: siamo nella Firenze del 1348. Subito successivamente spiega
l’origine della peste dalle terre d’Oriente e ne esplicita il motivo; “Per operazion de’ corpi
superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata”. Poi
prosegue con un’accurata descrizione dei sintomi fisici della malattia. Dice che a differenza
dell’Oriente, dove faceva insorgere un’epistassi, in Occidente sia nei maschi sia nelle
femmine crescono, a livello delle ascelle e dell’inguine, dei rigonfiamenti, chiamati
comunemente “gavoccioli”. Questi poi si estendevano su tutto il corpo e successivamente
lasciavano spazio a macchie scure simili a lividi. La comparsa dei gavoccioli e delle macchie
erano indizio pressoché certo di morte sicura. Il testo continua con l’analisi della virulenza
della pestilenza, la cui diffusione era facilitata dall’incapacità dei medici e dalla velocità e
facilità del contagio, che avveniva “non altrimenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte
quando molto gli sono avvicinate”. In particolare ci si contagiava anche solo con il contatto
con qualunque oggetto fosse stato usato da un malato. E a dimostrazione dell’incredibile
capacità di contagio, Boccaccio racconta di due maiali che grufolando erano venuti a contatto
con degli stracci infetti, e che in breve tempo erano trapassati, come se avessero ingerito del
veleno.
Dopo il narratore si sofferma sui diversi modi in cui i cittadini di Firenze affrontavano la
pandemia: c’era chi cercava di isolarsi e di vivere in modo sobrio; chi al contrario si dava alla
pazza gioia; chi sceglieva una via mediana tra le prime due; infine chi, come i membri dell’
“onesta brigata”, credeva che la cosa più opportuna fosse fuggire. La narrazione si conclude
con la descrizione dello sconvolgimento della società causato dal terrore della peste. A causa
di questo, qualsiasi vincolo di solidarietà tende a sciogliersi, non solo tra vicini e conoscenti,
ma anche tra familiari: i genitori abbandonano i figli, fratelli e sorelle si separano, così come
mogli e mariti. L’unica possibilità era la rarissima carità degli amici o i servigi a pagamento
di servitori pieni di cupidigia. In questo senso la decisione delle sette ragazze e dei tre
fanciulli di fuggire dalla città dimostra la loro onestà, in quanto rifuggono la società allo
sbando in cerca di una rinnovata moralità e sicurezza.

Introduzione alla IV Giornata:


Nell’Introduzione alla IV Giornata il poeta si occupa di difendersi dalle critiche che gli erano
state mosse a seguito della diffusione delle precedenti giornate, che evidentemente erano già
in circolazione prima della conclusione definitiva dell’opera intorno al 1351. Le accuse
mosse a Boccaccio sono quattro: la prima è di badare troppo alle donne; la seconda è di non
concentrarsi troppo sulle donne del mondo terreno e troppo poco sulle muse; la terza è di
parlare di argomenti troppo frivoli per la sua età; la quarta di trascurare scioccamente il
guadagno. Alla prima l’autore obietta che non è saggio ignorare le pulsioni naturali e le
persone che rappresentano; alla seconda che sono le donne stesse il suo motivo di ispirazione;
per quanto riguarda la terza sostiene semplicemente di seguire l’esempio di altri autori che
avevano scritto d’amore in tarda età, ovvero Cavalcanti, Dante e il suo maestro, Cino da
Pistoia; infine sulla quarta afferma che se se vuole vivere più a lungo bisogna rinunciare alla
bramosia di denaro, e che quindi è anche disposto ad affrontare eventualmente la miseria. Per
rispondere alle critiche Boccaccio si serve di una novella, la Novella delle Papere, raccontata
dall’autore stesso. Pertanto per un istante si esce dalla cornice e si ritorna al livello narrativo
esterno che rappresenta l’incipit dell’opera con il Proemio. Questa novella è ad ogni modo
non conclusa, ma volutamente, poiché l’autore non voleva superare il numero perfetto di
cento novelle. Il racconto narra di un certo Filippo Balducci, ricco borghese affiliato alla
banca dei Bardi (come il padre dello stesso Boccaccio). Costui era sposato con una donna, e i
due coniugi si amavano molto. Tuttavia un giorno la moglie ebbe a mancare, lasciando
l’uomo da solo con il figlio di pochi anni. Filippo, distrutto dal lutto, decise di farsi eremita e
di vivere nella lode del Signore, come eremita sul monte Asinaio, i giorni che gli rimanevano,
educando nel frattempo il figlio ad essere un timorato di Dio. Gli anni passarono e talvolta il
padre si recava a Firenze per sbrigare delle faccende, per poi rientrare nella sua cella solitaria.
Un giorno il figlio gli fece notare che ormai era divenuto grande (diciott’anni), mentre il
padre si faceva sempre più anziano. Quindi gli propose di andare lui a Firenze per sbrigare i
suoi affari, e lo pregò di andare in città con lui un’ultima volta, per mostrargli la strada e la
città stessa. Filippo acconsentì con gioia, e una volta entrati in città il figlio, meravigliato da
tutti i palazzi, le case e le chiese, continuava a porgli domande su tutto ciò che vedeva. Ad un
certo punto passarono di fianco a un gruppo di giovani fanciulle, e il padre avvisò il figlio di
nn guardare, poiché “elle son mala cosa”. Al che il figlio chiese come si chiamassero, e il
padre, riluttante a rivelargli la verità, disse che quelle erano papere.
Nonostante gli avvisi del padre e il tentativo di repressione del desiderio, il fanciullo restò
incantato dalle gentildonne, e disse al padre che “a me non è ancora paruta vedere alcuna
cosa così bella” e che “se vi cal di me, fate che noi ce ne meniamo una colà su di queste
papere”. Il padre quindi, dopo aver rifiutato, si rese conto che la natura era più forte del suo
ingegno. Pertanto la morale è che è inutile tentare di rifuggire le pulsioni naturali, e che
quindi le critiche mosse a Boccaccio sono inutili.

La IV Giornata:
La IV Giornata è dedicata alle storie d’amore infelici, e non a caso ha come re Filostrato,
nome erroneamente interpretato dall’autore di Certaldo come “vinto d’amore”. In particolare
la tragicità della giornata è data dal trittico formato da I, V e IX Novella. In particolare
l’autore cerca qui di celebrare la fierezza d’animo delle donne, facendo prendere la via del
suicidio a tre eroine tragiche -Ghismunda, Ellisabetta e la moglie di messer Rossiglione-
distrutte dall’assassinio dei propri amanti da parte dei familiari. Con la V Novella viene anche
introdotto il carattere democratico dell’amore, che nobilita anche i non-nobili di sangue.
Motivi comici e d’avventura sono introdotti dalla II e dalla III Novella, con le storie di frate
Alberto (che per sedurre una donna si finge un angelo), e di tre coppie di amanti che si
rifugiano a Creta (una sola sopravviverà alle macchinazioni per gelosia, e si ritroverà
costretta a fuggire a Rodi). Infine la X Novella, di Dioneo, narra di come un amante può
scampare alla forca. Si verifica quindi una conclusione lieta in una giornata che altrimenti
sarebbe completamente dominata dalla tragedia.

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