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Introduzione storica al diritto medievale - 

Ascheri

PARTE SECONDA

Diritto romano e università

Il contesto di grandi novità

Il secolo XI, il Mille, è ricco di eventi e di novità. Ma con esso si era solo agli inizi dell’ascesa europea e
di quella dell’Italia in particolare. Ma dagli anni intorno al 1100 c’è per la storia del diritto un evento
che condusse in pochi decenni a una novità  clamorosa:l’inizio di corsi di insegnamento superiore
incentrati sul Corpus iuris civilis. L’insegnamento fu elitario,svolto in modo informale e in poche sedi.
Ma dato che questa novità poté incrociarsi con una generale ripresa culturale, politico-istituzionale e
socio economica dell’Europa del tempo, in pochi  decenni, quello studio “scientifico” del diritto poté
avere effetti pratici. Ciò avvenne  in modo particolarmente forte nel nostro Paese, il più sensibile da
sempre  com’è ovvio al diritto romano e il più vicino al diritto canonico di nuova formazione.

La Riscoperta romanistica intorno al 1100. L’opera di Irnerio

I testi integri del diritto romano giustinianeo,tanto vasti e complicati, si erano in qualche modo
“perduti” nei secolo alto-medievali,dominati da  governanti germanici e da un forte degrado
dell’organizzazione sociale. I testi del diritto potevano anche essere venerati in alcuni ambienti, ma la
scrittura era così cara e rara che si preferiva riservarla ai testi teologico-filosofici classici o anche dei
Padri della Chiesa negli scrittoi monastici del tempo, Irnerio ha avuto il merito storico di rimettere in
circolazione in modo nuovo il diritto giustinianeo e il Digesto in particolare, solo sporadicamente
conosciuto qua e la prima di lui: rivedendo da un punto di vista filologico i testi. Al tempo stesso, egli
avrebbe iniziato l’insegnamento che noi oggi intendiamo di tipo universitario e anche detto dei
“glossatori”.

Irnerio avrebbe ricevuto i libri legales da Ravenna mentre insegnava “arti” a Bologna; questa l’idea
raccolta nel Duecento dal giurista Odofredo.

Irnerio cioè sarebbe stato un maestro di arti, di quella “grammatica” che faceva parte del vecchio
insegnamento del Trivium (grammatica,dialettica e retorica). Egli,in realtà, aveva sempre tenuto
acceso un minimo di interesse teorico per il diritto,perché lo si vedeva come una parte della retorica
(che com’è noto, fondava sulla lettura di Cicerone);il giurista deve convincere il suo interlocutore di
essere nel giusto e perciò, conoscere le arti del discorso retorico.

Per quanto riguarda invece il tipo di apporto di natura filologica che Irnerio apportò alle opere,
possiamo dire: quanto al Codex si sa pochissimo perché non sono conservati manoscritti  originali
dell’opera. Perciò, quelli che conosciamo recano già quindi, le tracce dell’operosità filologica dei
glossatori.
Per il Digesto invece, la tradizione ricorda che Irnerio avrebbe scoperto il testo in fasi
successive,perché fino ad allora non lo si conosceva,essendo stato messo da parte durante l’Alto
medioevo. Dapprima sarebbero emersi i 24 libri( Digestum Vetus) poi il Digestum Novum e solo alla
fine sarebbero emersi i libri intermedi. Di qui il nome medievale di Digestum Infortiatum per la parte
centrale del Digesto (che i glossatori diveisero pertanto in 3 distinti volumi). Già il manoscritto più
antico conservato (scritto entro il VI sec) fu diviso già originariamente in 2 parti soltanto. Si tratta di
uno dei manoscritti più famosi della storia occidentale,ossia la versione (littera) detta Pisana o
Florentina del Digesto, perché conservata prima a Pisa e poi a Firenze.

Un altro problema era quello delle “Novelle”(leggi) di Giustiniano che circolavano nella raccolta detta
Authenticum,cioè delle autentiche costituzioni di Giustiniano.Superate le obiezioni sulla
genuinità,Irnerio stesso avrebbe inserito estratti delle novelle nei luoghi competenti per materia del
Codex, ma pur sempre distinti dal testo. L’Authenticum fu smembrato in 9 collationes (parti) che
raccolsero solo 97 delle originarie 134 e passarono a costituire un volume a sé con le Istituzioni e i Tres
libri. In esso sarebbero stati aggiunti i Libri Feudorum come decima collatio. Il Corpus civilistico divenne
quindi di cinque volumi.

I  Glossatori

L’altro filone dell’attività scolastica di Irnerio fu l’apposizione di “glosse”,cioè di note al testo legale cui
si accostava,sia marginali che interlineari. Esse, ricopiate dagli allievi,sono identificabili per la sua
sigla:di solito”i” o”y”. Le sue glosse furono per lo più di accostamento al testo perché si trattava di
prendere finalmente conoscenza di quel mare normativo complesso fino ad allora mai considerato
unitariamente. Quindi esse risultano molto rispettose del significato interno dei singoli testi.

L’istituzionalizzazione delle università

L’opera di Irnerio portò a maturazione e migliore espressione ossia a maggiore “visibilità”,gli


orientamenti filologici già presenti nell’aria. Cominciò allora la grande esperienza universitaria di
Bologna,una sede fondamentale per la storia del diritto almeno fino al Trecento. Bologna divenne
presto modelle per le altre Università,centro verso il quale accorsero studenti di diritto da ogni parte
d’Europa,come avveniva contemporaneamente a Parigi per la teologia.

L’insegnamento e l’opera di Irnerio furono continuati dai suoi allievi,i famosi quattro dottori:
Bulgaro,Martino,Jacopo e Ugo. Essi diffusero la fama del maestro continuandone l’opera,ma anche
richiamando l’attenzione europea su Bologna grazie a clamorosi episodi. Il più recente consistette nella
partecipazione dei dottori bolognesi alla dieta di Roncaglia del 1158,quella in cui il Barbarossa,proprio
grazie all’alto consiglio tecnico dei dottori bolognesi,poté definire quali erano i diritti della corona,le
regalie (privilegi imperiali) e condannare le conventicole contrarie all’ordine pubblico. Lo scopo era
quello di recuperare i diritti dello Stato nel tentativo di costruire un rapporto chiaro di superiorità sui
vassalli imperiali,città comprese. Fu un fatto clamoroso,che connotò subito indelebilmente la scuola di
Bologna.
Come istituzione l’Università era allora senz’altro ai primi passi. Tra docenti e studenti si formava una
societas designata anche come comitiva,basata su un rapporto del tutto atipico. Il rapporto in base al
quale il docente veniva retribuito dai discendenti era avvicinabile piuttosto a quello cui dava vita il
contratto di apprendistato,avente ad oggetto il mestiere insegnato da un magister denominato
dominus dall’allievo. In base ad esso,il padre pagava proprio per procurare l’addestramento che
avrebbe portato all’inserimento del figlio nel mestiere.

Quanto all’universitas che ha poi dato il nome all’istituzione moderna,si costituì a Bologna appunto
come associazione di studenti, a differenza del modello parigino dei maestri di teologia “corporati” con
gli studenti.

Di certo sull’organizzazione interna  si sa solo che entro la fine del 1100 si svolgevano libere elezioni
dei rettori(studenti anziani e autorevoli)da parte degli studenti. I maestri,a cominciare da Giovanni
Bassiano, rivendicarono a sé tale diritto.

Università e poteri politici

Questo sviluppo,dell’insegnamento superiore,richiamò l’attenzione del Papato. Intorno al 1200


Innocenzo III,consentì ai doctores di costituire,come a Parigi per i teologi,delle universitates. Subito
dopo venne emanata la famosa bolla Super speculam di papa Onorio III. In essa si privilegiavano i
maestri e gli studenti di teologia,ammessi a continuare a godere delle loro prebende ecclesiastiche (su
licenza apostolica) nel divieto di studiare diritto civile e medicina.

Ora, di fronte all’attivismo pontificio, i civilisti,fino ad Accursio e Odofredo compresi( quindi fino a metà
200), erano ammutoliti:non parlarono di studio generale forse perché assai perplessi di fronte alla
novità. Nonostante le loro perplessità,si attivò una corsa al riconoscimento degli Studi da parte delle
autorità universali: senza di esso non si poteva conferire il titolo più ambito. L’Università era divenuta
un’istituzione pubblica. I vantaggi recati alla istituzionalizzazione  erano evidenti per studenti e
professori,ma il prezzo era l’abbandono del fertile sperimentalismo delle origini.

Capitolo II

La pietra angolare del diritto canonico: Il Decretum di Graziano

L’ interesse del Papato per l’università si spiega a seguito della diffusione dell’insegnamento teologico
da Parigi e soprattutto  il ritrovato accordo tra i due poteri universali con il Concordato di
Worms(1122). Tali condizioni ponevano il problema urgente per il Papato con aspirazioni centralistiche
di metter ordine in quel diritto canonico.

La lotta per la “libertas Ecclesiae” era ormai una fase chiusa dopo il C.di Worms. Il progetto di
consolidare la direzione della Chiesa da Roma richiedeva ora un salto di qualità. A Roma a promuovere
gli studi giuridici c’era allora il cardinale Aimerico,fu lui ad essere destinatario di un trattatello
processuale intitolato “excerpta legum”,che dimostra una sicura padronanza del Digesto e degli altri
testi giustinianei,utilissimi per introdurre al grande problema delle cause maiores che ora il Papato
voleva riservare alla sede romana.

La grande e nuova raccolta la si deve ad un certo Graziano. Si tratta di un misterioso magister,quasi


certamente monaco. Su di lui sono fiorite molte leggende che hanno lasciato un vuoto biografico
difficilmente colmabile. L’unica cosa certa è l’opera sua,importantissima. Questa  continua ad essere
assegnata al 1140-1142 però, il Decretum non contiene nessun riferimento al secondo concilio (1139)
quindi si ritiene che sia stato scritto tra il 1139 e il 1179(III concilio). Una decina di anni fa ,Anders
Winroth ritrovò alcuni manoscritti che non erano noti e racchiudevano copie parziali del decreto di
Graziano,ma osservò che erano copie preparatorie del Decreto stesso,datate successivamente agli anni
40. Oggi si pensa dunque che il Decreto sia stato redatto in più tappe e l’ultima redazione non ha visto
la luce prima degli anni 50-60.

Tale decreto, in realtà possiede un nome più articolato: Concordia Discordantium Canonum, questo
titolo suggerisce l’esistenza di norme in contrasto fra loro e così era in realtà; vi era una pluralità di
forme e contenuti, alle volte anche in netto contrasto tra loro.

Graziano non procede come i normali giuristi,infatti secondo Stephan kuttner si parla di armonia delle
dissonanze. Questo perché Graziano vuole realizzare la concordia tra i testi che appunto possono
sembrare in contrasto.

Infine, strutturalmente, il Decreto risulta essere diviso in:

-101 Distinctiones;divisi in canoni

-36 causae;divise in questiones, tranne la 33 divisa in distinctiones + il De Penitentia,dedicato al diritto


penale.

-5 distinctiones;divise in canoni.

Fino alle Decretali di Gregorio IX (1234)

Il Papato non recepì mai ufficialmente il Decreto come testo di legge ma la sua utilizzazione pratica gli
pose subito il problema di intervenire sulle soluzioni prospettate da Graziano. In più il Papato
riformatore del 1100 aveva propri e autonomi motivi per intervenire frequentemente nella vivace
litigiosità di vescovati ed abbazie con le lettere decretali sempre più frequenti a partire da Alessandro
III.

Le lettere venivano conservate poiché si riteneva che in un futuro, casi analoghi potevano verificarsi e
poteva essere utile ricorrere ad esse. Perciò, in pochi decenni si cominciò a raccoglierle. In
particolare,una prima raccolta avvenne ad opera di un canonista, Bernardo da Pavia, che attinse
probabilmente ai registri papali e potè concluderla nel 1190, la cosiddetta Compilatio. Tali testi
vennero raccolti in 5 libri sotto questi grandi temi: iudex,iudicium,clerus,connubia,crimen, ossia relativi
alle autorità, al processo,agli ecclesiastici,al matrimonio e al diritto penale.

Successivamente fu il tempo della Compilatio(poi detta III) ad opera di Innocenzo III, messe assieme da
Pietro di Benevento, cui fece seguito la Compilatio detta II. La Compilatio IV ,ad opera del grande
Giovanni Teutonico,accoglie sia canoni sia altri testi di Innocenzo III.

Infine si ebbe la Compilatio V dovuta al canonista Tancredi,redatta su ordine di Onorio III. Perciò, entro
un disegno consapevole di governo di tutta la Cristianità, il Papato doveva allora fare un passo
ulteriore:coordinare le quattro compilazioni non ufficiali con la quinta e aggiornarle secondo un piano
complessivo dando ai suoi singoli pezzi uno stesso valore di legge.

Il Liber Extra

Fu il progetto che papa Gregorio IX affidò al giurista catalano Raimondo di Penafort,incaricato,come i


compilatori giustinianei di sette secoli prima, di raccogliere ma anche tagliare il superfluo e il
contraddittorio e aggiungere se del caso il nuovo materiale normativo necessario per armonizzare il
tutto:un lavoro di codificazione in senso stretto.

Il lavoro terminò nel 1234 e la raccolta fu chiamata anche Liber extra Decretum Gratiani oppure,
Decretali di Gregorio IX.

La legislazione viene impiegata come consapevole strumento di governo come manifesto per
esprimere la propria volontà politico-culturale.

Le Decretali gregoriane esprimono quindi a chiare lettere il. primato conseguito dal Papato del tempo
proteso al controllo degli apparati pubblici, laici ed ecclesiastici,e della società tutta. Il diritto è
pienamente colto nella sua funzione di regolamentazione sociale. Il papato non rivolge le proprie
Decretali solo agli ecclesiastici ma a tutta la società  dei fedeli

Per questo motivo, le norme canonisti che ora si incrociano e talvolta si scontrano con le norme
dettate dai poteri laici.

Una raccolta importante:il trionfo articolato del diritto

L’ autorità di questo volume era indiscutibile, e lo fu tanto più in un momento di assolutismo pontificio
trionfante. Poco dopo salì al soglio pontificio Innocenzo IV,il Sinibaldo Fieschi,il quale non solo fu
appunto studioso insegne di decretali ma anche papa legislatore,autore di molte decretali e grande
regista del fondamentale Concilio di Lione del 1245. Là si ritornò su temi giuridici importanti:sulla fase
iniziale del processo , su dolo,contumacia,giudicato,appello,omicidio politico e scomunica.

Questo periodo si conclude quindi con i pilastri del diritto canonico ormai sistemati: il Decreto con il
suo ius vetus tradizionale basato su una pluralità di fonti di produzione e le Decretali di Gregorio IX con
il suo ius novum,direttamente espressivo della volontà pontificia.
La giuridicizzazione investì anche le articolazioni periferiche e le categorie che vengono inquadrate
all’interno della chiesa. Confraternite di laici, ordini mendicanti( domenicani e francescani) ordini
militari erano in gara nel darsi statuti e regole con normative che precisavano i propri
fini,l’organizzazione interna e i rapporti con la superiore autorità ecclesiastica che,da quest’epoca
ritiene utile e necessario approvare la loro istituzione in modo da avere un quadro complessivo di ogni
realtà attiva nella societas cristiana.

Ad ogni modo, numerose furono le fondazioni, e associazioni (fonti normative minori) che possiamo
dire di diritto canonico particolare rispetto al diritto generale.

CAPITOLO III

I PROTAGONISTI DELLA TEORIA E DELLA PRASSI

I protagonisti della università:

L’operosità di Irnerio,dei suoi quattro dottori e di qualche altro maestro del tempo,ci ha consentito di
abbozzare nelle linee generali in che cosa sia consistita la rivoluzione universitaria svoltasi in questo
periodo. Le opere prodotte in questo periodo dai giuristi ebbero luogo in un  contesto di trionfo della
religiosità cristiana,da conciliare con la cultura antica tramandata all’operosità degli scriptores
monastici. Quel sapere era un patrimonio dei giganti,col quale i “nani” del tempo,secondo una famosa
metafora,dovettero fare i conti selezionando e assorbendo il meglio. Ma sempre con l’aiuto di Dio.
Bisognava essere “illuminati” per capire  quei complicati testi. Nel primo Duecento,di fronte a un
difficile passo giustinianeo ,un glossatore Jacopo Baldovini,pose le due leggi,umana e divina sull’altare,
e vi rimase inginocchiato davanti tutta la notte per avere aiuto da Dio.

Tipologia delle opere dei glossatori: le Glosse

L’insegnamento universitario ebbe come grande novità la riscoperta del Digesto,ma in un primo tempo
si lessero più intensamente i testi più “semplici”,ovvero le Istituzioni e il Codice e solo poi ci si
concentrò sul Digestum Vetus; mentre erano poche le lezioni sull’Inforziato e il Novum, i Tres libri e le
Novelle. I canonisti non ebbero invece di questi problemi,dovendosi concentrare su un unico testo: il
Decreto grazianeo.

Le Glosse

La lettura del testo normativo era fondamentale. Il maestro  leggeàva il testo e “traduceva” il lessico
speciale delle fonti in un latino più comprensibile per il tempo (latino scolastico). Poi doveva collegare
il “frammento” letto con gli altri vicini per analogia o opposizione. Si trattava cioè di ricordare dove la
stessa materia anche trattata e se il testo attualmente letto confermasse o derogasse alla disciplina
presente altrove.

L’idea, era quella di eliminare le contraddizioni insanabili le quali appunto non dovevano\potevano
esserci e, a questo proposito, il buon interprete avrebbe spiegato come sanarle. Sono Glosse anche
brevissime ma che possono presupporre una presupporre una comprensione profonda dei testi.

Le allegationes facevano rilevare anche i passi contrari , i contraria,ma facilitavano comunque


l’emersione delle soluzioni: diversa sunt,non adversa. Ci doveva essere un modo di comporre le
divergenze in modo armonico.

Se la glossa riguardava solo una parola, per spiegarne il significato in latino medievale,poteva essere
anche solo “interlineare”, scritta cioè tra gli stessi righi. Se invece era più complessa,con molte
allegazioni o addirittura con un discorso aveva bisogno di spazio e perciò veniva scritta sui margini del
codice;glossa marginale appunto. Se scritta direttamente dal professore si diceva glosa redacta ed era
chiusa dalla sigla dell’autore, se invece era opera dell’allievo che riportava il pensiero del maestro si
diceva glosa reportata.

Ci sono anche i reticoli,ossia più glosse a un testo,che sono state aggiunte successivamente.

Questa fase di crescita disorganica delle glosse si supera quando esse sono costituite in un apparato.
Apparato indica infatti uno strato o un insieme di strati successivi fusi consapevolmente, grazie al
lavoro da parte di un giurista,che utilizza glosse precedenti anche di altri maestri e aggiunge anche
glosse scritte ex novo per dare coerenza al tuto.

La Glossa ordinaria

L’apparato di un maestro poté essere considerato conclusivo del suo approccio esplicativo ad un testo
e ritenuto definitivo. Ciò non significa che non si potesse dire altro sui testi ma, semplicemente che
quella glossa diveniva il testo ordinario.

Il Corpus Iuris Civilis e i Libri Feudorum  ebbero le loro glosse ordinarie da parte di un celebre maestro
Accorso,meglio noto come Accursio. Basandosi  sul lavoro dei suoi predecessori: Azzone e Ugolino egli
predispose un apparato continuo riportando anche le glosse altrui con tanto di sigla. Fece un lavoro
incredibile ( quasi 100mila glosse) dando origine appunto alla Glossa accursiana anche detta Magna
Glossa.

Nel frattempo si consolidò anche la glossa ordinaria al Decreto grazianeo,dovuta all’apparato di


Giovanni Teutonico poi riveduti da Bartolomeo da Brescia e contemporaneamente si completava
quella sulle Decretali di Gregorio IX, dovuta a Bernardo da Parma.

L’idea di “glossa ordinaria” fu una trovata di straordinaria efficacia per imporre un certo filtro di lettura
dei testi. Ad ogni modo, questa stessa aveva però anche un profilo fortemente negativo. Da un lato era
il risultato di una selezione che poteva essere stata per certi versi arbitraria, e dall’altro,essa avrebbe
fatto mettere da parte rapidamente gli altri apparati circolanti,anche di valentissimi giuristi:come i
civilisti romanisti avevano fatto accantonare i longobardisti,ora i glossatori “ordinari” scelti
dall’Università stessa,mettevano da parte  gli altri universitari.

I manoscritti universitari

Intorno al 1200 si venne perfezionando un validissimo e ingegnoso apparato per la riproduzione dei
testi. Esso era basato sulle botteghe degli stationarii,cui facevano capo gli scriptores controllati
dall’università stessa. Quest’ultima faceva redigere dei fascicoli ufficiali dei singoli testi
insegnati(exemplaria)  dietro compenso dagli “stationarii” ai copisti. In questo modo costoro potevano
lavorare nello stesso tempo s ricoprire la stessa opera,le cui copie finivano così per dipendere da un
medesimo originale controllato dall’università.

Le altre “forme letterarie” principali

La glossa è un genere neutro,caratterizzato dalla sua collocazione materiale nel codice. Nel senso che
quelle note marginali sono sempre di origine dottrinale,ma poi possono contenere scritti di un
carattere assai diverso. Ecco quindi che da un punto di vista contenutistico si danno altre designazioni.

Distinctiones

Testi in cui il giurista “distingue” fattispecie appartenenti simili o opposte dando una solutio. Messe
dapprima materialmente dentro le glosse marginali,esse furono poi anche raccolte a sé.

Questiones

Nelle più antiche “questioni” enunciato il problema,si indicavano solo i testi legali usati per
argomentare in un senso o nell’altro e la soluzione era secca: sic o non. Poi invece le argomentazioni
divennero assai più complesse sia nel pro che nel contra.

Quelle civilistiche prima si dissero legittimae  e nacquero dalla tecnica delle solutiones contrariorum,
perché con esse si trattava di impostare e risolvere problemi teorici. Poi, successivamente,grazie
all’intervento di Giovanni Bassiano e di Pillio, si passò alle questiones de facto prospettando casi
concreti.

Consilia

Genere che comincia a circolare allora ma che ha lasciato poche testimonianze. In questa categoria
vanno ricompresi due tipi di pareri molto diversi dati dai giuristi del tempo: a) una consulenza pro
parte,diretta a sostenere con sofisticati argomentazioni tecniche la posizione processuale di una parte;
b) il cosiddetto consilium sapientis in senso stretto,cioè quello richiesto dal giudice al giurista esterno
al tribunale.
 

Dissensiones dominorum

Ebbero la funzione di preservare la memoria delle dottrine dei maestri su un punto specifico
controverso; ovvero pro o contra una certa solutio. Fu uno strumento egregio per tramandare il
ricordo di certi autori.

Casus

Sono brevi trattazioni che indicano ipotesi concrete,create per semplificare la fattispecie prevista dalla
legge,quasi un modo per esporre con altre parole l’ipotesi astratta prevista dal testo legislativo.

Brocarda - regulae iuris

Opere con cui si individuano spunti in contraddizione tra di loro su certi principi giuridici per farne
emergere dei ragionamenti;si cerca il probabile anziché il certo, e ci si basa quindi sulle “presunzioni”
facilitando la discussione e l’apprendimento. Il genere era nato infatti nell’ambito degli studi di retorica
e maturò intorno al 1180.

Summae

Ad un certo punto, le summae entrarono in crisi nella didattica universitaria. Esse costituirono però per
tanto tempo un genere di grandissima importanza, un po’ come la glossa ordinaria,ma concorrente
con la glossa perché dovevano scriversi a parte.

Furono libri che consentivano grande libertà nella selezione del materiale di una parte dei corpora
iuris. Ci sono così Summae del Codice, o del Decreto e del Liber Extra, soprattutto, per sottolineare
l’importanza di certi problemi.

Tractatus

Forma letteraria che nasce e si diffonde separato dal testo legale (ordinario). Il trattato consisteva in
un’esposizione concentrata su un istituto giuridico e il suo dato caratteristico era identificato dalla sua
esaustività potenziale.

Ordines iudiciari - arbores actionum - libelli

Particolare categoria di trattati,incentrati sulle varie fasi dello svolgimento del processo risultano
essere i cosiddetti Ordines che vanno spesso accompagnati dagli arbores actionum, cioè trattazioni
relative alle varie possibilità di azione(giudiziaria), come ancora oggi si dice tecnicamente, da
presentare in una corte per soddisfare una propria pretesa ritenuta giuridicamente fondata, o che si
confondono con i Libelli, trattazione relative alla parte iniziale del processo indicante le proprie pretese
avverso la controparte.
I  notai

Per quanto riguarda l’importanza del ruolo dei notai bisogna ricordare il profondo nesso da noi
particolarmente sentito con la romanità. Perciò la nostra fu una cultura connotata dall’ars dictandi,la
dottrina della scritturazione degli atti.

Fatto sta che in questo ambiente si diffonde la scrittura “pubblica” e i notai divennero la munus
pubblica che dava affidamento non solo per la scrittura degli atti ma anche a livello politico-
organizzativo.

Il notariato assume così un prestigio crescente,in modo circolare col Comune: sono istituzioni che si
accreditano a vicenda e che danno vita,ad esempio,alla figura emblematica del cancelliere del
Comune,il notaio “ufficiale”.In particolare,i notai bolognese si incentrarono dapprima sui quattro
“istrumenti”. Instrumentum è il termine tecnico per “atto giuridico”; i più utilizzati per iscritto,ossia la
compravendita,il testamento la donazione e l’enfiteusi.

Un salto di qualità si ebbe però con l’Ars notaria di Raniero da Perugia,staccata ormai dalla teoria dei 4
“istrumenti”.

CAPITOLO IV

DIRITTI DI CATEGORIE SOCIALI E DIRITTI LOCALI

Una distinzione introduttiva

Abbiamo parlato di diritti “particolari” ,non comuni;tutti specifici di determinate categorie. Si apre,a
questo proposito, il campo vastissimo dei diritti diversi da quello romano e canonico. Non ci fu centro
di potere che non fosse anche un centro di raccolta di tradizioni pregresse e\o di nuova produzione
normativa. Il pluralismo dei poteri e delle culture basso-medievali si tradusse anche in una tavolozza di
norme incredibilmente ricca. Dai grandi regni”nazionali” o meno,ai Comuni piccoli e grandi,di valli
remote e umili,oppure di città prepotenti,ogni centro di potere,individuale o collettivo ebbe dunque le
sue normative. Il mondo rurale e urbano in pieno sviluppo richiedeva normative plurime,ai più diversi
livelli della vita associata e la mancanza di uno stato accentrato e onnipresente come quelli
contemporanei favoriva e consentiva il consolidarsi di comportamenti entro aree determinate o entro
categorie sociali e professionali.

Dunque, la tipologia di questo universo normativo è pertanto molto variegata. La distinzione da fare
comunque sta senz’altro tra complessi normativi:

a) a sviluppo territoriale,cioè di normative destinate a disciplinare tutti gli abitanti di territori


determinati.
b) normative settoriali,per categoria,di religiosi,monaco o regolari,di mercanti o studenti, ecc..

I due criteri non si escludono ma in realtà complicano la loro stessa identificazione poiché spesso le
finalità da loro perseguite possono sovrapporsi.

Esiste poi un’altra complicazione,data da un testo “intermedio” ossia il diritto feudale,che arrivò nelle
aule universitarie. Questo nasce come diritto applicabile solo ai feudatari e ai loro concedenti ma si
può fare il caso di un mercante titolare di un feudo e perciò non sottratti alla disciplina feudale. Status
personali e reali s’intrecciavano e complicavano la realtà.

La sistemazione del diritto feudale:dopo Corrado II.

Si assiste in questo periodo alla modificazione e “aggiornamento” delle classiche procedure di diritto
feudale. Un esempio può essere espresso dalla discussione sulla divisibilità del feudo. Se esso era
ereditario, per legge, seguendo le norme successorie ordinarie doveva pervenire ai figli ed essere tra
loro diviso. Mentre invece per la giustizia feudale si stabiliva,quando si parlava di conflitto territoriale
tra due vassi, che il conflitto tra i due per un feudo andasse risolto dal signore del bene stesso, mentre
quando la controversia riguardasse il signore e il vasso fosse allora necessaria la corte dei pari. In
questo modo l’ordine pubblico e politico dell’Impero sarebbe stato tutelato e il feudo non avrebbe
costituito elemento di disgregazione dello Stato.

In realtà però, le cose non andarono così poiché,man mano, i signori ed il loro diritto formarono un
ceto a se destinato a rimanere solo un ricordo;le situazioni locali era molto differenziate e davano vita
a diverse consuetudini locali di sfruttamento di persone e cose.

 MANCANO : L’IMPEGNO DELLA DOTTRINA, I LIBRI FEUDORUM & DIRITTI FEUDALI LOCALI E LIBER
AUGUSTALIS.

Il diritto marittimo comune.

Il diritto romano non aveva sviluppato questo diritto come un diritto a sé per i mercanti operanti nel
Mediterraneo ma si ricorderà ch e alcune esigenza potevano essere soddisfatte dal praetor peregrinus;
destinato ad occuparsi delle cause interessanti i forestieri.

Ad ogni modo, nell’ampia area mediterranea già nell’antichità vennero formandosi delle regole;si
parla,a questo proposito della cosiddetta lex Rhodia de iactu, un complesso di regole disciplinanti il
caso della avaria che costringesse a disfarsi delle merci,riportate come origine all’isola di Rodi;inoltre
ricordiamo il foenus nautucum (prestigio marittimo)ovvero quel particolare prestito che fosse
effettuato specificatamente per un’impresa commerciale marittima.

Nel Mediterraneo si circolava senza grandi ostacoli.

Venezia già prima del Mille, aveva rapporti commerciali regolari. Lo sviluppo del suo business
commerciale fu così favorevole che essa finì poi per detenere una posizione addirittura monopolistica.
Pisa nel 1081 ebbe il riconoscimento imperiale per cui nessuno avrebbe potuto vietare loro la
navigazione.

I Genovesi non erano da meno,intorno al 1100 inoltre diedero alla luce un Liber Gazarie con norme
apposite a disciplina dell’attività mercantile dei propri sudditi in Oriente.

Le regole locali non escludevano naturalmente le regole comuni. Il testo più importante da questo
punto di vista,del diritto marittimo comune mediterraneo, è il Consolato del mare. Esso risultò dalla
fusione delle regole elaborate nelle varie corti di giustizia istituite nei porti da
Venezia,Pisa,Genova,Valenza, Maiorca ,Barcellona dal 1000 in poi per risolvere le questioni attinenti
alla navigazione marittima.

In realtà,successivamente,tra Duecento e Quattrocento gli Aragonesi s’impiantarono ai quattro angoli


del Mediterraneo e finirono per favorire la consolidazione delle norme barcellonesi. Esse infatti
vennero a questo poposito raccolte e tradotte in varie lingue già entro il Quattrocento.

Il problema del diritto commerciale: tra storia e storiografia.

Oltre al diritto feudale e a quello marittimo c’è un altro diritto di categoria che ebbe grande importanza
ma che, a differenza del feudale,rimase in realtà ai margini della vita universitaria. Mancava una
normativa speciale per i rapporti mercantili. Dalle università i mercanti non potevano aspettarsi un
grande aiuto. Un piccolo problema fu quello dell’acquisto a non domino cioè all’acquisto di un bene
che fosse stato sottratto al suo legittimo proprietario. In diritto romano e germanico l’originario
proprietario potesse rivendicarlo,ossia pretenderne il riconoscimento di proprietà. Per i beni mobili
acquistati in buona fede però, si formò la consuetudine per cui l’acquirente doveva restituirlo se il
proprietario originario gli rifondesse il prezzo pagato.

Oltre che a creare un nuovo diritto,i mercanti crearono anche una nuova razionalità che fu elemento
fondamentale del tardo Medioevo. La recente storiografia tende a ridimensionare la tesi Max Weber,
secondo cui sarebbe stata l’etica protestante del Cinquecento a favorire lo sviluppo del capitalismo.

Questo diritto nelle fonti dottrinali del Tardo Medioevo fu detto lex mercato ria o mos mercatorum. In
realtà, tra gli storici moderni circola l’idea che si tratti di un diritto tipicamente consuetudinario,perché
prodotto dal concreto e quotidiano operare dei mercanti.

A differenza del diritto mercantile, largamente riconosciuto in qualità di mera formazione è il diritto
commerciale che, a quel tempo, racchiudeva anche le nozioni fondamentali del diritto del lavoro sui
rapporti contrattuali tra datori di lavoro e prestatori d’opera. Importanti statuti comunali (Venezia,
Genova e Pisa) o redazioni di consuetudini, raccoglievano norme importanti su questa materia.

Il diritto commerciale dunque fu più che una creazione peculiare del tardo Medioevo: molte furono le
innovazioni da esso apportate in questo periodo e non solo a livello teorico. Basti pensare
all’introduzione dei numeri arabi (o meglio indiani), alla partita doppia e a tutte quelle tecniche
mercantili di cui fu espressione un primo capolavoro scritto da Leonardo Fibonacci, il Liber abaci, che
illustra il libro mastro dell’azienda i tipi di società e di monete (1201).

Il mercante e la Chiesa.

La società mercantile aveva problemi di esecuzione delle operazioni e di previsione degli eventi del
tutto inediti per la società agricola tradizionale. Il mercante operatore nei grandi spazi economici
tendeva a confrontarsi con la realtà in modo positivo,per cambiarla. Perciò nuovi schemi
contrattuali,modificati ed aggiornati, ed elaborati con una duttilità sconosciuta al diritto tradizionale e
alle università,privi talora di forme (semplici patti) e fondati soltanto sulla buona fede delle parti.
Perciò  si dice che i mercanti dovettero vivere una dorma di dissociazione psico- culturale.

Il mercante era solo colui che poteva realizzare lautissimi guadagni in poco tempo speculando
abilmente sui differenti corsi delle monete e delle merci in piazze diverse,insomma colui che poteva
dimostrarsi valentissimo sul piano degli affari,ma era poi debolissimo quando doveva rispondere della
propria moralità davanti a Dio e al confessore che gli ricordava la necessità di saldare il conto con il
peccato commettendo quel peccato di “usura” che era sempre in agguato nel mondo degli affari.

“Usura”  allora era un peccati gravissimo presente ogniqualvolta si chiedesse un interesse qualsiasi
rispetto al capitale prestato.

Di qui ansie e sensi di colpa profondi, angosce che i mercanti tentarono di controllare mediante una
pratica testamentaria evidentemente sollecitata dai confessori,che dava larga parte ai lasciti mediante
corposi legati per opere pie. Fondazioni di ospedali, dotazioni di cappelle,ecc..

La chiesa del diritto abituava del resto a questa contabilità,ch si sarebbe ancora perfezionata con la
pratica delle indulgenze,collegata alla compiuta teorizzazione del Purgatorio.

La questione dell’usura.

In questo periodo si svolsero una serie di dibattiti che la teologia del tempo impostò in generale sulla
liceità del guadagno e dell’impiego dedicato al denaro.

Dibattiti che non potevano non avere conseguenze sul piano giuridico, perché era evidente che certi
guadagni erano stati realizzati sulla pelle della controparte,sulla rovina di quello che era un “fratello” in
Cristo. Finché si fosse trattato di infedeli come i Saraceni oppure di Ebrei,non ci sarebbero stati
problemi di guadagno. Ma il “prossimo” che fosse cristiano creava problemi insormontabili. Nel
Vangelo si leggeva,ad esempio,”date a mutuo senza a nulla sperarne”e quel mutuo venne inteso non
come elemosina ma in senso giuridico, come un prestito in senso tecnico,con la conseguenza che
l’affidamento al fratello cristiano di danaro doveva essere ritenuto gratuito per essere lecito.

Furono i primi concili ecumenici e in particolare il Lateranense II e III a tuonare contro l’usuraio,la cui
degna compagna veniva  individuata nell’avaritia:egli non doveva esser4e ammesso all’altare né alla
sepoltura  cristiana.
Tutto questo perché, come fondamento a questa teoria,  vi era il principio secondo cui solo il lavoro
doveva essere fonte di ricchezza. Ma i canonisti in Italia  e i teologi a Parigi intorno al 1200
cominciarono a distinguere, individuando più ipotesi in cui un guadagno doveva essere lecito per
compensare del lavoro e del rischio subito nell’investimento. Rimaneva la condanna del prestito ad
interessi,ribadita da Gregorio IX con tanto di scomunica per l’usuraio abituale, e del prezzo superiore al
valore della cosa venduta.

Il rischio quindi che il debitore non fosse riconosciuto,perché usuraio, era sempre presente. Perciò la
pratica si incaricò di elaborare una serie di cautele per evitare di incorrere nell’usura:

1) il riconoscimento di un debito superiore a quello effettivamente prestato.

2) il cosiddetto patto commissorio,con cui si garantiva l’ammontare desiderato per la restituzione


vendendo apparentemente un proprio bene al creditore che, se insoddisfatto della somma promessa,si
rifaceva appunto del bene ceduto.

3) si ricorreva a complicati coordinamenti,come con il contratto trino (un gioco di tre atti distinti ma
tendenti allo stesso fine di garanzia usuraia).

Nonostante tali clamorosi rifiuti le attività mercantili continuarono, tanto quanto quelle acclesiastiche.
Entrambe rappresentarono due vocazioni profonde dell’Europa del tempo, tendenzialmente in
contrapposizione,ma con forti tendenze a convergere. Le contraddizioni c’erano e creavano problemi
anche strettamente giuridici.

Fonti normative di tipo pattizio: introduzione.

Abbiamo poi il problema dell’ambiguità in relazione ad una distinzione portante:tra norme pattizie e
norme unilaterali. Le prime sarebbero il risultato di un accordo tra parti contraenti,le seconde invece
imposte da una parte all’altra. La distinzione,molto importante e chiara sul piano teorico, è però assai
meno facile di quanto non possa pensarvi.

Vediamo:

1) Patti internazionali tipici, sono quelli tra soggetti sovrani o aspiranti come gli Stati attuali. Pensiamo
agli antichi accordi tra Bisanzio e Venezia o a quelli redatti in occasione delle crociate. Ma anche i
trattati che riuscivano a strappare le città marinare italiane nei centri portuali d’Oriente, erano specie
di trattati internazionale con cui i nostri Comuni si assicuravano privilegi territoriali,fiscali,giudiziari e
commerciali. Creavano aree privilegiate in base a precisi accordi messi per scritto.

2) anche i concordati,a partire dal prototipo di Worms erano dello stesso tipo.

3) stesso discorso per gli accordi commerciali tra un re e un comune italiano per la disciplina fiscale e
giudiziaria dell’import-export,o di un conte con un Comune avevano lo stesso carattere.
Norme pattizie dunque che verranno più tardi detti dottamente foedera, l’antichissima denominazione
romana dei patti con le popolazioni germaniche che è rimasta nel linguaggio politico-giuridico attuale
grazie all’isituto della federazione.

4) ma i foedera  come potevano stringersi tra soggetti ugualmente sovrani,potevano anche aver luogo
tra soggetti formalmente disuguali.

Tali furono gli accordi tra il Barbarossa e i Comuni italiani raggiunti a Costanza nella famosa pace del
1183 il primo come dominus mundi non poteva certo acconsentire a  porsi sullo stesso livello giuridico
dei Comuni. Ma sul piano sostanziale,l’accordo era tra uguali o se mai,tra disuguali ma in senso
opposto perché era il primo ad essere stato sconfitto e i secondi a risultare vincitori.

5) In realtà, come si vede questo è un comparto molto variegato;ma lo diviene ancora di più se si
affrontano gli accordi tra sovrani ed enti soggetti entro il proprio dominio. Facciamo il caso delle carte
di libertà.

Ogni nuova fondazione di castello che fosse il risultato di dissodamento di aree nuove ne provocava
una,come ne provocava il rapporto tra sovrano e città emergenti,proprio per disciplinare il rapporto tra
i due soggetti. Pensiamo ai privilegi concessi dai re d’Italia alle città e vescovi nei secoli X-XI per
renderseli amici e fedeli.

Sono tutte fonti più o meno sostanzialmente pattizie che ebbero un significato costituzionale
evidente,perché davano forma al territorio fissando lo status delle sue diverse aree.

Erano comunque patti diseguali,cui la città dominante di fatto costringeva l’ente dominato
politicamente,ma, allo stesso modo, del suo consenso non poteva fare completamente a meno se
voleva una fedeltà cristallina.

I canoni dei concili ecclesiastici hanno anch’essi un profilo pattizio,risultando dall’esame e


dall’approvazione congiunta da parte di autorità diverse di certe norme.

Il particolarismo territoriale: normative locali urbane.

Un’altra vera grande novità del 1100 è costituita dalla crescita esponenziale delle normative cittadine
scritte. L’XI secolo era stato ricco di riferimenti a consuetudini ma, man mano che ci si avvicina alla
metà del secolo si accellerò la loro redazione scritta.

Nelle città,la redazione scritta divenne necessaria anche per tutelarsi nei confronti dei nuovi ufficiali
comunali,i consoli. A questo proposito, più in particolare, le città operarono su tre fronti per questa
crescita normativa. In primo luogo,per le norme consuetudinarie tradizionali del loro territorio. Fu un
fatto non solo italiano (anche francese). La motivazione fu probabilmente la stessa: difendere un
patrimonio che si sentiva minacciato dalle novità politiche sopravvenute. In secondo luogo,la
scritturazione riguardò gli impegni giurati assunti dai titolari delle massime cariche cittadine che
potevano essere anche assai complessi,proprio perché indicavano in dettaglio il programma delle
attività d’ufficio,gli obblighi che ci si assumeva nei confronti dei consociati.

Infine,la scritturazione riguardò la legge in senso stretto,la normativa emanata appositamente per
innovare nel patrimonio giuridico corrente,per coprire nuovi bisogni o per contrastare consuetudini
affermatesi in passato e ora ritenute poco commendevoli.

Un caso classico è dato dalle consuetudini di Amalfi che sono tra l’altro un testo con molte norme di
diritto marittimo notevoli,imitate in altre città portuali. Un’atra città da ricordare accanto a questa è
Trani, Bari,Venezia, Genova e Pisa.

MANCA : UNA STORIA STATUARIA COMPLESSA : PISA – ALTRI DIRITTI CITTADINI.

La pace di Costanza.

Ad ogni modo, queste codificazioni locali, risultano testi anteriori alla pace di Costanza del 1183,che
venne giustamente interpretata e difesa dai Comuni come fondamento della potestà legislativa
comunale anche quando venne revocata dall’irato Federico II,e che infatti stimolò enormemente i
Comuni a emettere statuti.

La pace riconosceva le “consuetudini” cittadine ed ammetteva addirittura che gli appelli più importanti
si decidessero “secondo gli usi e leggi della città”.

È proprio attraverso gli statuti che i Comuni introducevano quelle conduetudines che l’imperatore
sconfitto fu costretto a riconoscere a Costanza nel 1183 appunto.

La normativa locale dopo Costanza non dovette più essere nascosta sotto le spoglie della
consuetudine,cioè della tradizione. Ora, si poteva finalmente dichiarare per quello che era e voleva e
poteva essere.

Per tutta questa serie di ragioni, questi anni segnarono un momento di particolare maturazione delle
istituzioni comunali, come abbiamo detto, i quali videro perciò l’introduzione di novità che favorirono
la redazione scritta degli statuti.

Il governo del podestà e il ruolo dello statuto.

Dopo Costanza, furono i Comuni a scegliere liberamente di passare dal governo (annuale,di regola) dei
consoli, cioè di cittadini eminenti,a quello dei podestà,sempre forestieri,cavalieri o dottori di diritto.

Il podestà era un ufficiale “condotto” a tempo (sempre un anno). Egli, in relazione allo statuto, doveva
giurare di rispettarlo all’inizio del mandato a nome anche dei membri della propria èquipe: giudici,
notai, berrovieri(poliziotti) .
La scritturazione dello statuto non era solo opportuna per questo motivo,ma anche necessaria perché
esso doveva essere letto periodicamente in assemblea dal podestà,di modo che non se ne potesse
allegare l’ignoranza.

In un epoca di scarsa alfabetizzazione e di prevalente cultura orale,questa cautela era non solo
giuridica,ma anche politica;in questa fase della storia comunale,caratterizzata dai primi scontri tra
nobiltà e popolo.

In pochi anni le redazioni vedono così moltiplicarsi le loro norme,che cominciarono allora a venir divise
in libri seguendo grosso modo le ripartizioni autorevoli del Digesto e Codice.

Statuti rurali.

Nonostante questi significativi cambiamenti di natura anche innovativa nel campo della legislazione,
bisogna comunque ricorda che la maggior parte della popolazione viveva ancora in larghe aree rurali e,
anche qui in campagna si parla certo di Comuni e anche qui di affacciano i consoli come controparte
del signore, ma il Comune cosiddetto rurale o di castello non è comunque un soggetto politico di
rilievo.

Ad ogni modo,esso rimane espressione di autonomia organizzativa e centro di gestione del territorio
costituito anche nell’interesse del signore.

Al di là della semplice normativa sull’articolazione del Comune gli statuti presentano norme peculiari
che possono tuttavia essere di grande interesse,oltre che a quelle penali che danno sempre un’idea dei
“beni” ritenuti più preziosi:sull’allevamento del bestiame e sulla transumanza per esempio.

Le normative di categoria:fondamento del particolarismo “soggettivo”.

Le normative territoriali precedenti sulle quali ci siamo fin qui intrattenuti non esauriscono affatto
l’esplosione normativa che caratterizzò l’effervescente secolo XII.

Dare nuova formazione significa rispondere a un bisogno profondo di questi anni: cercare nuovi
equilibri rispetto a quelli precedenti,individuare le procedure per risolvere i conflitti.

A questo proposito ricordiamo come le normative dovevano essere sempre più sottoposte al controllo
del potere superiore della categoria cui si apparteneva. Per gli ecclesiastici è ovvio che era il vescovo il
referente per le fondazioni o per le nuove associazione. Ma non appena un fenomeno avesse una
dimensione che si proiettava al di là della diocesi,ecco che il papato se ne interessava ed era necessaria
la sua approvazione.

Tale approvazione superiore consente di rilevare quando si cominciò a porre il problema di un


controllo sull’iniziativa. Il fatto poi che il potere di approvazione si facesse sentire effettivamente o
meno in concreto,ci darà la misura dell’efficienza del soggetto,della sua “effettività” come centro di
potere.
Capitolo V

LA GIUSTIZIA E LE SUE ISTITUZIONI.

Il processo nella transizione.

Il processo,ancora nel 1100 inoltrato fu caratterizzato da grandi incertezze procedurali: dalle difficoltà
per i giudici a muoversi entro le normative ,differenziate e stratificate ereditate dal passato ,che
avevano dato vita a quello che ormai pareva un vero “perverso rito processuale” ora complicate dalle
nuove normative territoriali.

L’incertezza e le difficoltà spiegano l’interesse fortissimo dei glossatori per i problemi del processo.
Anche a prescindere da un trattatello scritto da Bulgaro intorno al 1100,lo dimostrano anche i
numerosi ordini giudiziari,ossia trattazioni che illustravano ordinatamente le varie fasi del processo.
Ricorrendo a metafore significative e usuali in quello stesso 1100,il Piacentino racconta che fu una
donna bellissima incontrata a donargli un libretto  sulla varietà delle azioni processuali (de actionum
varietatibus).

Una differenza fondamentale.

C’è da fare una differenza fondamentale tra processo nelle corti ecclesiastiche,dipendenti dal diritto
canonico ormai unificato dalla raccolta di Graziano e del Papato,rispetto alle corti laiche. Nelle prime
non ebbe difficoltà ad imporsi entro il 1100 il processo romano-canonico e perciò, i giudici non
dovevano che rifarsi ai testi canonistici:fu questo il primo di un diritto unito europeo.

Sulle ordalie per esempio,Graziano aveva raccolto testi a favore e contro,pur sembrando
personalmente contrario. Il concilio lateranense III poi, aveva condannato definitivamente i tornei.

Quindi,giuristi,decretali e deliberati conciliari tesero a formulare un processo non più pubblico,orale e


basato su prove di Dio come il duello,ma un processo scritto,riservato ai “tecnici”,fondato su prove
razionali e testimoniali.

Il nuovo processo romano-canonico fu applicato dapprima dai vicari dei vescovi.

Per questa via,il diritto romano giustinianeo divenne oggetto di attenzione e di studio anche se non
sempre oggetto di applicazione concreta nelle corti laiche. Ma era un modello,e al momento giusto
poteva essere adottato.

La deviazione inglese e gli altri ordinamenti monarchici.

In realtà,questi precetti e insegnamenti non penetrarono né subito né ovunque nella pratica delle corti
laiche dove le tradizioni locali furono molto tenaci,come avvenne in Germania. In Inghilterra ,con
Enrico II nella seconda metà del 1100,cominciò a delinearsi il processo di common law basato su writs
concessi dal re. Nelle università inglesi si insegnava inoltre anche il diritto romano:ciò non solo per
formazione culturale,ma perché esso aveva una funzione educativa diretta nella formazione del buon
giurista che dovesse operare come giudice o avvocato nelle corti della Chiesa.Il  nuovo processo scaturì
corti centrali negli ordinamenti europei a cominciare dal Regno di Sicilia, specie con le riforme di
Federico II i Liber Augustalis, ove i giudici erano designati esperti che curavano la giustizia del Re. A
Roma, oltre alle corti del Comune, il Papa s diede una struttura  giudiziaria distinta. Il Papa a motivo dei
molteplici impegni, non potendo più occuparsi personalmente dei processi, delegava uditori: auditores
capellani domini papae, che studiavano e decidevano sugli appelli e le suppliche pervenute. Dunque a
seguito dello stimolo della nuova dimensione europea, assunta dal pontefice (papa imperator), il Papa
istituzionalizzò tribunali specializzati come la corte delle carte contestate(Audientia litterarum
contradictarum), che accertava la validità dei documenti in particolare quelli papali, la Penitenzieria
Apostolicacompetente ad amministrare centralmente il Perdono Liberatorio, in passato competenza
dei Vescovi.

Situazione italiana.

Le nostre corti laiche inizialmente riscontrarono difficoltà essendo prive di un Re riformatore che
imponesse riforme, infatti, nonostante i divieti canonistici,gli statuti comunali continuarono a
prevedere il duello giudiziario. La stessa fine incontrò anche il divieto canonistico di contrarre mutui
onerosi ( usura) che non fu granchè efficace. Ma la presenza di schiere di notai favorì indubbiamente
l’adozione del processo scritto condotto da giudici esperti,seguendo l’ordo iudiciarius dotto;specie
quando i consoli lasciarono il passo ai podestà.

Processo inquisitorio.

Un’altra novità processuale del primissimo Duecento si ebbe grazie ad alcune decretali che
promossero la persecuzione dell’eresia con commissioni speciali in luogo dei consueti tribunali
diocesani, per risolvere la questione dei Valdesi e dei Catari nel Midi della Francia dove da Albi furono
detti albigesi, con ciò si sviluppò il processo inquisitorio e la sua accettazione da parte dei Comuni. La
cosiddetta Inquisizione fu appunto un modo moderno di prosecuzione del reato per il tempo, ove il
giudice operava d’ufficio contro il reo, prescindendo dalla accusa formale del danneggiato.

Questa era stata,fino ad allora, la base del processo penale che,perciò si riduceva ad un Il confronto tra
l’accusa e la difesa in cui il giudice rimaneva terzo super partes venne sostituito dal processo diseguale
ove la difesa era limitata o annullata e dove l'accusato incorreva nel pericolo giustamente temuto di
subire eccessi e sviamenti di potere come peraltro avvenne anche nel triste periodo relativo
all'inquisizione ecclesiastica.

L'accusa di eresia fu ritenuta dal Papato un male tale da doversi predisporre un’organizzazione ad hoc
per perseguirla per lesa maestà divina, indipendentemente dalle accuse private, e con una pena
terribile se provata; il rogo e la confisca dei beni dell’eretico con conseguente responsabilità dei figli
per l’infamia ed una capitis deminutio , ossia la privazione di ogni diritto civile. Fu detta la punizione
degli innocenti, in quanto il Processo Inquisitorio,venne usato come stumento deterrente e repressivo
di eventuali comportamenti criminosi, strumento nuovo anche in sede laica.
.L'inqusitore procedeva ex officio,assumendo le vesti di Procuratore e Giudice al tempo stesso, sia pur
interpellando prima della sentenza, consu-lenti in materia teologica e canonistica.

Punto debole evidente;questo perché le accuse non venivano presentate o venivano lasciate cadere
per paura di ritorsioni o minacce da parte dei delinquenti. I molti reati prima rimasti impuniti,venivano
repressi o almeno condannati perché l’ufficio pubblico si assumeva il compito di perseguire il crimine
in prima persona.

Venne poi riesumato un istituto che non fu colpito dalle condanne ecclesiastiche contro le ordalie:
la tortura giudiziaria ufficiale, alla quale dipendeva pur sempre dal favore divino resistere o meno. La
tortura, veniva condotta dal potere pubblico laico o ecclesiastico per favorire la confes-sione del reo in
assenza di mezzi di prova o del test ritenuto reticente, dun- que apparentemente l'istituto non veniva
usato nell'intento di infliggere una pena, il quale comunque venne arginato dalle cautele, per evitare
abusi della propria funzione precostituita.

Il Papa stesso, a metà del 200 ,preoc-cupato degli eccessi, intevenne, ma finì con l'ammonire
semplicemente a non lasciar sul fisico dei torturati, danni permanenti.

Il consiglio del giurista.

L'Inquisizione, non fu l’unica novità processuale importante, infatti si avviò intorno al 1200 nelle corti
laiche dei comuni, una nuova tecnica sul ruolo del giurista, e pur nello sfavore papale, anche in molte
corti ecclesiastiche.

Si tratta dell’uso prontamente codificato negli statuti, per cui il giudice si rivolgeva ai giuristi accreditati
delle università chiamati doctores  per avere lumi su uno o più punti di diritto incerti della causa che
stava discutendo: i consilia, forme di attività di glossatori, civilisti e canonisti.

I pareri ufficialmente richiesti divennero vincolanti , in quanto non venne considerato semplicemente


un parere sollecitato dal giudice quale consulenza di parte, ma alla stregua di un oracolo del dotto
super partes esterno al tribunale, quindi estraneo alla contesa. Pratica che si amplificò enormemente
con l’avvento del tribunale podestarile.

Essi, conoscevano il diritto locale che i podestà giuravano di osservare,ma che lo scarso tempo a
disposizione certo non consentiva loro di approfondire.

I giudici del podestà,per parte loro, avevano tutto l’interesse a questa procedura perché in tal modo
potevano trincerarsi dietro il consilium in sede di processo di sindacato,quando,alla fine del loro
ufficio,chiunque poteva rimproverare loro ingiustizie o eccessi di potere.

Tanta fu l’autorità di questi consulenti allora che abbiamo visto vari esempi di pareri giudiziari del
tempo che sono privi di motivazione.
Il consulente dichiara di aver preso visione delle carte necessarie o di aver comunque studiato il
quesito e pertanto si pronuncia,senza spiegazione esplicita.

Il giudice,ci dicono i verbali giudiziari, pronunciava la sentenza “secundum consilum domini”.

Capitolo VI

FONDAMENTI DEL SISTEMA DI DIRITTO COMUNE.

La recezione e le funzioni del diritto comune

In Italia prima di altrove, vi fu la recezione delle dottrine elaborate da professori, senza che vi fosse una
legge di attuazione anche solo circa il Corpus iuris civili e al Decretum, e si impose per validità ed
opportunità. Solo nel corso del XII secolo la recezione fu ufficiale, conseguentemente alle professioni
collettive di diritto istituite a favore del diritto romano.

In una costituzione (la Puritatem) inclusa nel Liber Augustalis di Federico II si disse che,per quanto in
esso non disposto,i giudici dovessero ricorrere ai diritti comuni,cioè al diritto romano e a quello
longobardo.

La previsione  ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro:come fanno ad esserci due diritti comuni in uno
stesso ordinamento?la domanda è naturalmente fondata in ordinamenti come quelli moderni dove
sembra inconcepibile,ma allora,con diritti profondamente radicati nelle varie aree del vasto
regno,c’erano effettivamente rapporti giuridici che potevano risolversi sia con l’uno o con l’altro diritto
in base  al tipo di rapporti.

Ad esempio,per  le obbligazioni in genere facilmente si pensava di ricorrere al ricco diritto romano,ma


per i rapporti di famiglia al diritto longobardo in base ai territori considerati.

Quindi,come si vede, l’opera delle università e del “legislatore universale” papale avevano prodotto
una duplicità di diritti:da un lato uno generale,romano-canonico, quello dei corpora,e dall’altro la mass
variegata di “diritti propri” territoriali o di categorie.

Il diritto comune universitario ebbe queste funzioni:

1) fu elemento di formazione culturale per i giuristi;sulla base romanistica,in sede laica ed ecclesiastica.

2) fu un modello di legislazione scritta superiore,ineguagliabile perchè  corroborata dall’antichità e da


una saggezza plurisecolare a disposizione dei poteri pubblici per lo sviluppo della propria legislazione.
3) fu uno stimolo per il processo di tecnicizzazione e scritturazione delle normative locali.

4) fu un criterio di interpretazione delle legislazioni locali.

5) fu un mezzo di integrazione,di completamento dei diritti locali,ogni qualvolta mostrasseron una


lacuna.

Alla fine del periodo considerato( a metà ’200, il diritto comune si può ritenere ormai interamente
costituito ed operante, e non è un caso perciò che l’età dei glossatori sia detta anche “l’età classica”
del diritto comune.

Diritto comune e diritti propri nei giuristi.

Per quanto riguarda il rapporto tra ius proprium e ius commune diciamo che nel 1100 il problema d’un
diritto locale che derogasse da quello imperiale fu impostato come un problema di consuetudine;senza
perciò conflitto tra le due fonti.

Ciò comportava un riesame nel “conflitto” stesso e le distinzioni furono molto sottili.

Boncompagno da Signa, fiorentino e professore a Bologna, rilevò che in Italia, i comuni si dotavano di
statuti anche contrari alle leggi, definendoli per questo, arbitrium conditorum ossia l'arbitrio
legislativo senza freni. Nella seconda metà del 200,Odofredo, definì il diritto statutario un diritto
asinino, in quantoprodotto da pseudolegislatori comunali, definiti da Odofredo “ignoranti”, e che
Accursio trascurava il problema dello ius proprium , ed il suo rapporto con il diritto di rilievo
universitario, ma invece fu sensibile al problema del conflitto tra statuti di comuni differenti nella
pretesa di applicazione ai cittadini reciproci. Merito dei glossatori,aver creato la premessa del diritto
internazionale privato.

Non si deve pensare ad un’opposizione dei giuristi al diritto locale per il solo fatto che non lo
insegnassero ufficialmente. In realtà era poi il diritto comune che autorizzava certe operazioni e che
consentiva perciò di salvare degli statuti che si sarebbero altrimenti potuti ritenere nulli o invalidi.

Parte III

CAPITOLO I

PERFEZIONAMENTO E CONSOLIDAMENTO DEL SISTEMA.

Alcune novità dottrinali e legislative del secondo ‘200.

Alla metà del 200, si entra in una nuova fase della storia giuridica basso-medievale, pur essendo le
premesse, ormai poste nel ricchissimo e complesso diritto romano-canonico.
Tra le novità vi fu la fine degli Svevi, la cui assenza imperiale si colmò solo all'ascesa degli Asburgo con
Rodolfo 1273. x  il Regno d'Italia si dissolse, mentre si consolidarono i governi cittadini e le monarchie
europee nell'ambito di un era fiorente anche dal punto di vista economico

Unitariamente ai diritti locali e di categoria,il diritto dotto universitario diede vita ora a quello che gli
storici chiamano “sistema” del diritto comune per dare l’idea di quell’insieme complesso  ma tuttavia
armonico nelle sue articolazioni. Esso metteva finalmente un punto alla lunga transizione cominciata
intorno al 1100.

Questa del diritto comune fu quindi una vittoria su tutto i fronti. Esso diviene “sistema”  nel senso che,
i protagonisti della vita giuridica – dottori delle università,legislatori e giuristi- si conoscono nella
comune koinè europea. Il diritto universitario romano-cattolico ormai pressocchè conchiuso e i diritti
locali in crescita esponenziale rinviano ora  gli uni agli altri anche implicitamente.

L’età ad essa precedente, è chiamata dagli storici di diritto comune classico,per il poderoso lavoro di
fondazione del diritto dotto da parte dei glossatori,ora invece entriamo nel periodo di un vero e
proprio trionfo del sistema.

È dunque con l’avvento del ‘300 che diviene normale parlare di diritto comune ma, in realtà, esso siste
nei fatti già molto tempo prima.

Coevi dell’ormai consolidato declino del potere centrale imperiale,questi secoli assistono così allo
sviluppo rigoglioso della legislazione di diritto “proprio” cioè quella locale sollecitata dalla generale
diffusione della cultura giuridica universitaria e notarile nelle istituzioni.

Il prestigio del giurista e la gestione del sistema giuridico.

I giuristi seppero acquisire un altissimo prestigio sociale per se e per la propria famiglia soprattutto nel
‘200- 300.

Il professore famoso era allora circondato da un alone di saggezza mitizzata. Dominava l’idea del diritto
come ratio scripta,come un diritto frutto di ragione,da seguire in mancanza di norme esplicite di diritto
locale:seguito non perché romano, ma perché  Diritto quasi per antonomasia.

Un diritto comune,ormai,come patrimonio giuridico in cui è indifferente la fonte legislativa del


precetto,sia essa romanistica o canonistica. I giuristi sono riusciti a far trionfare la integrale gestione
del sistema; essa è ormai quasi integralmente “giurisprudenziale”;la legge e il giudice intervengono
solo eccezionalmente  a contrastarla.

Rapporto tra diritto comune e diritto locale: tra “dottore” e “legislatore”

Il diritto comune,in quanto tale ha una funzione interpretativa ed integrativa;ma non solo queste.
Posto che esso è diritto saggio per definizione,i diritti propri devono presupporre il diritto comune in
quanto tale. Nella cultura fatta prevalere dai giuristi,essi sono solo e sempre deviazioni dall’ordine
razionale disegnato dal  diritto comune.

La conseguenza gravissima di questa impostazione fu che i giuristi riuscirono a far prevalere la loro
idea che i diritti propri andassero interpretati restrittivamente. Il diritto locale ha la doverosa priorità
applicativa certo,ma sarà applicata in modo da ledere il meno possibile il patrimonio giuridico
“comune”.

Da fine ‘200 negli statuti compaiono infatti delle formule singolari,che più o meno dispongono che essi
vadano applicati alla lettere,semplicemente così come sono,senza interpretazione.

Gli statuti esigono di essere applicati prioritariamente;essi dispongono che venga applicata:

1) dapprima la norma statutaria,poi(di solito)


2) la consuetudine,e solo in ultima istanza
3) il diritto comune o la “ragione”

Ma questo è solo un aspetto della questione perché la proclamata sussidiarietà del diritto comune era
in realtà di fatto smentita dalla superiorità del diritto comune nella lettura del diritto locale,che veniva
interpretato dagli operatori in esso educati in modo che meno “ledesse”il diritto comune.

Perciò si trovano non poche testimonianze di un disagio tra dottori e diritto locale. I primi a lamentarsi
dell’eccesso di legislazioni locale e i secondi a lamentarsi a loro volta che i giuristi distruggevano il
diritto locale. I giuristi continuavano a prevalere facendo pensare che ci poteva essere un diritto
perfetto, e quindi immobile.

Ma la legge locale non fu indebolita solo da questi argomenti. Superata l’obiezione che non dovesse
configgere con il diritto imperiale (corpus iuris civilis) c’era un’alta categoria oltre al diritto canonico
con le sue scomuniche in agguato.. quella del diritto naturale.

Il completamento del Corpus Canonistico.

Dopo il 1234,anno del Liber Extra,il papato trionfante in Europa continuò ad usare delle decretali per
definire il disegno delle grandi compilazioni di Gregorio IX,integrandolo con i deliberati dei concili di
Lione I e II.

Queste nuove norme circolavano in appendice alla raccolta di Gregorio IX come “Novelle” che
crearono presto il bisogno di un riordinamento. A fine secolo Bonifacio VIII diede l’incarico ad una
commissione di mettere ordine nel materiale come al solito in 5 libri,composte da una serie di regulae
iuris.

Il risultato prese il nome di Liber sextus e,solennemente promulgato nel 1298,fu invitato secondo la
tradizione alle Università di Bologna e Parigi per assicurargli la massima diffusione.
Successivamente lo stesso Bonifacio sarebbe stato coinvolto  nel conflitto con Filippo il Bello re di
Francia,per cui fu condotto nel 1302 alla emissione della celebre bolla Unam sanctam,un vero
manifesto dell’assolutismo ierocratico pontificio.

Siamo di nuovo al conflitto di sovranità tra Stato e Chiesa perché si trattava di definire i limiti
d’intervento del potere laico e dei privilegi ecclesiastici. Il conflitto ebbe anche dei momenti
spettacolari,con lo schiaffo al papa più insolente e noto della storia e si concluse con quella che deve
considerarsi la cosiddetta “cattività” avignonese. Ma fu qui che il papato poté riordinare il proprio
apparato. Inoltre la città si abbellì di artisti e ospitò poeti. Qui il papato realizzò l’ultima raccolta
ufficiale del corpo canonistico. Il concilio di Vienne aveva emesso dei decreti che il papa Clemente V
volle fossero suddivisi secondo la tradizione e uniti con altre costituzioni recenti nei consueti  titoli
raccolti in 5 libri.

La raccolta fu promulgata nel 1317 da Giovanni XXII anche se conservò nel nome il ricordo di chi
l’aveva commissionata:le costituzioni clementine.

L’attivissimo Giovanni XXII predispose proprie costituzioni raccolte dopo il 1325 ma non vennero
promulgate ufficialmente. Uno sconosciuto infine raccolse una serie di decretali emesse dal Papato tra
il 1295 e il 1483 che furono dette Extravagantes comunes. Nel loro complesso i testi canonistici furono
designati come Corpus iuris canonici solo nell’anno 1500 ,quando così furono chiamati da un loro
editore parigino, Jean Chappuis.

Gli sviluppi nel mondo universitario.

Lo sviluppo qualitativo e quantitativo delle Università è il primo dato impressionante del periodo. Si
consolida la nozione di licentia docendi e di studio “generale” che lascia spazio ai poteri universali nel
riconoscimento delle Università. Esse tendono a divenire normalmente di “stato” seguendo
l’anticipazione partenopea – quando cioè Federico II obbligò gli studenti regnicoli a recarsi nella prima
università di Stato in Europa,fondata a Napoli nel 1224,per evitare che si recassero fuori,a Bologna in
particolare.

Ad ogni modo le università francesi ebbero parte importante nello steso sviluppo delle dottrine e dei
metodi di insegnamento in Italia,essendo i due Paesi molto connessi sotto il profilo economico e
religioso..ed ora anche politico per via del papato avignonese.

Quanto ai maestri ,essi si mossero sempre con relativa libertà da una sede all’altra nonostante i
contratti già stipulati;il rettore poi doveva essere uno studente liberamente eletto dalle “nazioni”
presenti nello Studio, e che egli dovesse avere una giurisdizione sugli studenti.

Un altro aspetto interessante fu quello degli esami, di cui se ne distingueva la fase “privata”,sul merito
della preparazione del candidato svolta in sacrestia e di cui erano responsabili i professori, e una fase
“pubblica” ,quella della laurea solenne in  cattedrale, che divenne presto una cerimonia sfarzosa come
quella per le nomine cavalleresche. Comprensibilmente costosissime,erano talvolta evitate per
necessità economica.
Le scritture dei “commentatori”.

In questo periodo si moltiplicarono le lecturae nelle aule a intere parti dei due corpora iuris,presto
anche dette commentaria. In essi passo dopo passo interi titoli dei testi più studiati – Digesto, Codice e
Decretali – venivano spiegati partendo di solito dall’analisi già fatta dalla Glossa ordinaria. Si esponeva
prima il contenuto con o senza l’insegnamento della glossa e si proseguiva poi con l’esame analitico dei
molti problemi che il testo e la sua connessione con altri poneva. Se ne sciorinavano cioè le
quaestiones, attraverso il cosiddetto metodo scolastico dei pro e contra.

Ma si poteva anche basare l’insegnamento sulle “lecturae per viam additionum” cioè che si svolgono
come una serie continua di “addizioni” (aggiunte) alla glossa.

Moltissimi manoscritti sono ricoperti di queste minutissime additiones  poste in margine alla glossa. Da
questo insegnamento in margine i giuristi operosi in questo senso,dalla metà del 200 al primo
300,prendono tipicamente il nome di post-glossatori o post-accursiani. Sono molti ed importanti ma il
loro insegnamento,tramandato in questo modo così disorganico,è difficilmente ricostruibile mentre è
divenuto più famoso e noto quello dei commentatori successivi, attuato cioè attraverso organiche
opere di commento ai testi.

Al di là delle lecturae e addictiones ,alcuni passi civilistici e canonistici più importanti formarono
oggetto di trattazione specifica in sede di repetitio per l’analisi di certe problematiche.

La “ripetizione”  aveva luogo durante un pomeriggio prefissato della settimana;vi venivano invitati tutti
gli studenti dando luogo così ad una riunione generale del corpo studentesco interessato. Essa
costituiva un momento di maturazione complessiva e perciò ne veniva organizzata almeno una
all’anno.

Vi erano poi,le dispute davanti a tutti gli studenti dove ogni professore, tra le Ceneri e la Pentecoste
doveva preparare un quesito sul punto di diritto  che sarebbe stato posto al centro della discussione.

Questo procedimento contribuì molto allo sviluppo del diritto comune perché si partiva di solito da un
fatto della vita quotidiana non regolato esplicitamente dalle norme scritte.

Un altro genere letterario che continua in questo periodo è il tractatus sui temi di attualità;mentre una
forma che invece declina rapidamente per scomparire praticamente all’inizio del 300 è quella della
summa,che era stata in passato così importante.

Novità in ambito processuale poi viene rappresentata dallo Speculum iudiciale  una specie di
enciclopedia di diritto processuale romano-cattolico appunto, predisposta da Guglielmo Durante. Oltre
a questo abbiamo il documento guarentigio,una fondamentale novità italiana del 200:l’atto notarile
attestante un obbligo e perciò stesso facente piena prova in modo da condurre subito il processo
esecutivo sui beni del debitore.
Il diritto comune produsse ugualmente un altro nuovo genere,quello delle contrarietates o
differentiae;le prime ad esempio per rilevare le diverse opinioni espresse entro le proprie opere da un
autore che divenne subito “ classico” come Bartolo da Sassoferrato;le seconde per evidenziare le
diverse soluzioni normative tra diritto civile e canonico.

Ritornando invece all’utilizzo dei consilia,questi potevano essere dati s richiesta del giudice (pro
veritate) oppure solo pro parte cioè a favore del litigante che voleva rafforzare la propria pretesa
assunsero una diffusione capillare incredibile e furono praticamente previsti ovunque dagli statuti.

I giuristi dai post glossatori ai commentatori: dalla communis opinio al “bartolismo”.

Questo in esame,fu un periodo di massimo splendore per la dottrina giuridica italiana, maestra al
mondo europeo,così come lo era stata anni prima la giurisprudenza romana.

Un dotto giurista,Tommaso Diplovatazio si premurò di preparare in ordine cronologico dei giuristi di


diritto comune precisandone,di ognuno, filiazioni accademiche ed opere.

Cio che si coglie a livello tecnico,in relazione alle opere è un sempre maggiore distacco dalle opere
stesse. Distacco inteso in senso fisico dato che i commentari ad esempio non si sviluppano più
materialmente al margine del testo originale ma in volumi distinti.

Le opiniones di diritto comune invece risultano essere delle ipotesi di soluzione di un problema
giuridico ma, nel corso del 300,comincia a parlarsi sempre più spesso di communis opinio,per indicare
l’opinione-guida entro un tormentato dibattito giuridico. Essa diviene la norma di creazione dottrinale
per definizione,quella sicura maggiormente condivisa.

Ma questa della communis opinio era naturalmente una soluzione indicata dagli stessi dottori e quindi
discutibile perché non legislativa,non vincolante di per se come ogni opinione. Gli stessi dottori ne
fecero circolare un’altra  omogenea ad essa. Invece di indicare per ogni questione l’opinione
preferibile di questo o di quell’autore,l’alternativa fu di dare una valutazione in generale positiva
dell’opera di un autore ritenuto più valido di ogni altro. L’opinione che trionfò fu così quella di Bartolo
da Sassoferrato, il maestro che può essere considerato l’emblema del sistema.

La sua opera,già verso la fine del 300,fu considerata testimonianza diretta della coimmunis opinio
doctorum,ossia assistita da una presunzione di verità. Seguire Bartolo diviene una tradizione
vincolante salvo provare l’esistenza di opinioni migliori. Questo è il cosiddetto Bartolismo,la tendenza
cioè a riferirsi a lui in modo sostanzialmente acritico. Bartolo fu in questo modo motivo di unificazione
della dottrina e della pratica del diritto in Europa. Le prove di questo trionfo sono molte;in primo luogo
il fatto che alcune sue opere vennero presto tradotte anche nei volgari nazionali, secondo,nel 400 gli
studenti tedeschi portarono le sue opere con se ritornando in Germania,dopo appunto lo studentato
italiano.

MANCA : I GIURISTI Più NOTEVOLI.


Costituzionalismo medievale.

Il problema di scussissimo in questi secoli riguarda la cosiddetta “plenitudo potestatis”: di quella


pienezza del potere  che i papi fin dal primo 200 rivendicarono sulla terra in virtù di un diretto
conferimento da Dio.

Siamo così alle origini di quello che viene chiamato anche costituzionalismo medievale,perché ci fu una
discussione vivacissima sui limiti del potere politico,laico o ecclesiastico che fosse. Se il princeps,che
nel linguaggio nostro potremmo tradurre con “potere politico” è “sciolto dalle leggi” come dicono le
fonti studiate nelle università e come ripetevano i papi,come può vivere secondo diritto,cioè sub lege?
Quand’è che questo esercita secondo il giusto potere e quando invece diviene un tiranno?

Fu una discussione che ebbe sviluppi diversi in sede laica e in sede ecclesiastica. Nella prima si discusse
soprattutto del “buon re”,egli era quello rispettoso di ceti e di giusti privilegi. Nella seconda sede,si
discusse della sovranità papale tenuto conto del doveroso rispetto nei confronti del diritto divino e
naturale e del giusto consenso della chiesa tutta prima di adottare atti impegnativi.

Per quanto riguarda la libertà di movimento del papa in relazione alle Scritture e alla tradizione, ci si è
chiesto anche fino a che punto egli debba sentire il parere e consenso della societas cristiana.

Proprio a questo proposito, è di questi anni una risposta:il parlamentiamo. I comuni davano una
risposta concreta con le loro talora vitalissime assemblee cittadine. Quando erano città-stato le
assemblee veniva indicate come depositarie dell’autorità ultima a livello locale perché rappresentanti
del “popolo”.quando non lo fossero,le assemblee erano rappresentanti legittime della città presso i
principi in base ai vari privilegi strappati alla corona nei momenti di debolezza. Tutto questo perché
non vi era una legge generale sulle città che disegnasse i margini della autonomia cittadina.

Il principio fondante del parlamentiamo lo ritroviamo in un passo del Digesto che,in realtà,parlava di
tutt’altro. “dovevano essere approvati da tutti gli interessati”,quindi da una tipica fattispecie
privatistica ne venne ricavato il principio che,trasposto in sede pubblicistica,riguardava l’ottenimento
del consenso di tutti i consociati ai fini di porre in essere i provvedimenti stabiliti. Questo non voleva
dire proprio da tutti ma da rappresentanze del popolo tutto,che per il tempo erano nobili, ecclesiastici
e abitanti delle città.

Con i nomi concreti più vari,cortes in Spagna, parliaments in Inghilterra,stati generali e provinciali in
Francia, i parlamenti ebbero larghissima diffusione proprio in questo periodo ma rimase pur sempre
estranea al Papato- Chiesa universale,una volta superato il periodo conciliare alla metà del 400.

I paradossi veneziani.

Intorno al 1300 maturò anche il distacco del sistema giuridico veneziano dal diritto comune. Mano a
mano che nel corso del 200 Venezia si integrava nel sistema,cresceva anche entro il suo ceto dirigente
un grido d’allarme. I suoi mercanti  avvertirono il pericolo d’una cultura  giuridica legata troppi e a
Roma e all’Impero.
Il giurista di diritto comune era una presenza troppo ingombrante. Perciò, senza rifiutare il diritto
canonico naturalmente, Venezia rifiutò il diritto comune in sede laica nel momento in cui trionfava
altrove.

Dopo le leggi e consuetudini locali,il giudice avrebbe fatto ricorso all’equità,al prudente
apprezzamento,come si dice oggi e in sostanza alla saggezza politica e umana.

A Venezia fu un modo per evitare che prendesse spazio una cultura incontrollabile agli occhi d’una
èlite attenta a ogni possibile prevaricazione esterna. La giustizia interna doveva rimanere sotto stretto
controllo locale e perciò amministrata dai saggi politici-mercanti veneziani.

All’inizio del 300 comparve un’opera descrittiva del diritto locale che prescrive di giudicare secondo il
diritto locale,la consuetudine o l’analogia senza alcun cenno al diritto comune. Ma i paradossi non
sono finiti, poiché Venezia diventerà nel 500 una vera e propria capitale della tipografia giuridica di
diritto comune.

Autunno legislativo medievale.

Si assiste ora allo sviluppo  dei diritti locali e di categoria. Chi vuole affermare la propria individualità
politica,predispone un testo legislativo solenne,ad imitazione dei grandi modelli in circolazione,da
Giustiniano a Gregorio IX.

La Costituzione della Santa Madre Chiesa  c’è tramandato il diritto generale dello stato pontificio,cioè
quello da applicare dove non esistessero privilegi locali. Si tratta di norme essenzialmente
organizzative del federalismo pontificio,forzatamente rispettoso delle variegate autonomie locali.

Le città e il loro diritto.

Per quanto riguarda gli statuti,diciamo che questi conoscono da metà 200 in poi la loro vera stagione,
quando si manifestava più pienamente la sovranità delle città stato.

Lo statuto copriva ogni possibile area del disciplinabile:dal diritto costituzionale a quello
civile,amministrativo,penale e processuale.

Perciò in questo periodo cominciò la cosiddetta legislazione suntuaria,cioè disciplinatrice del lusso
(sumptus)  su richiesta un po’ dei padri predicatori che infiammavano le città e che bollavano il lusso
come peccaminoso;ma si pensi anche alla legislazione antimagnatizia o a quella sulla liberazione dei
servi e sul loro inurbamento.

Lo statuto urbano rimane quello rifatto in quel primo secolo che potremmo proprio dire “degli statuti”
con una certa frequenza sia perché lo sviluppo economico-sociale era impetuoso e prospettava sempre
nuovi problemi giuridici,sia perché la cultura giuridica stessa trionfando ovunque prospettava nuove
soluzioni. Perciò si facevano allora commissioni di statutari che annualmente aggiornavano lo statuto
inserendovi nei luoghi appropriati le novità deliberate dai consigli cittadini.
Regno di Sicilia al di qua e al di là del faro.

Vi era un livello intermedio nel Regno di Sicilia e nello stato Pontificio,dove oltre al diritto comune
romano-canonico  c’era anche un livello normativo locale: lo consuetudini approvate nel regno e gli
statuti nello stato della Chiesa sottoposto anche alla legislazione territoriale del principe (il Liber
Augustalis).

Anche il Mezzogiorno era sottoposto al regno di Sicilia;qui si può senz’altro ammettere che non ci si
trovò di fronte ad un fenomeno dilagante come al centro- nord. Basterà accennare alla ricchezza del
Liber Augustalis ma anche alla mancanza delle città-Stato e dei loro problemi politici.

In più si potrebbe citare la relativa scarsità degli uomini di legge dovuta anche alla assenza quasi totale
di università fino al 400.

Ci fu comunque un altro fenomeno importante e durevole,che ha condotto le città del Mezzogiorno a


darsi dei codici di diritto urbano (variamente denominati,libri verdi,rossi e così via),gelosamente
custoditi. Ad ogni modo, si tratta di testi di scarso impegno normativo,essenzialmente di diritto privato
ed espressione di costumi radicatissimi nel tempo.

CAPITOLO II

L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA.

Una premessa e le corti ecclesiastiche.

In questo ambito è bene riprendere il concetto di giustizia ma non inteso come presupposto di
concordia,ossia come legame autentico dell’umana società;né è quella del biblico “amate la giustizia
voi che reggete il mondo”.

Questo ammonimento era stato dipinto nella sala del governo,laddove si decidevano le questioni
politiche della società,non le singole cause. Era rivolto ai politici che dovevano prendere decisioni
giuste,perché i giudici in senso stretto non operavano in quel grande salone. Era rivolto a chi doveva
pensare in grande,alla giustizia per tutti.

Processo ordinario, sommario e mercantile.

Anche la giustizia laica era ora ispirata al diritto comune ma,ciononostante, si distingueva quella della
città da quella della campagna e/o della montagna.

In città la giustizia era raffinata e, in questo ambito,erano state ripudiate le ordalie condannate anche
dalla Chiesa. Un’infinità di documenti che lo attestano,a partire dalle prime perizie mediche diffuse
ormai nel 300.
Tutto era scritto dal notaio assistente,anche le domande e le risposte date durante la eventuale
tortura. Questa poi era possibile giuridicamente solo come extrema ratio quando c’erano indizi seri e
in mancanza di altri mezzi di prova.

Il processo divenne un continuo scambiarsi di scritture- almeno quello civile.

Si partiva con la petitio, la domanda dell’attore seguita dai libelli in cui si precisavano i termini
dell’azione esercitata e si definivano le prove:ci si scambiavano gli “articuli”,le “positiones” sulle quali
voleva condurre l’interrogatorio.

Se si accertavano dei debito,era presto fatto se il documento era guarentigiato, cioè un documento
notarile con la formula relativa (di garanzia) pertanto provvisto di esecutività immediata. Col visto del
giudice si passava al decreto di sequestro che preludeva alla vendita per soddisfare col ricavo il
creditore. Per i debiti senza guarentigia la procedura era ben più lunga. In ogni caso, il mancato
pagamento poteva condurre al carcere, anche in questo caso punitivo ma per soddisfare il creditore
più che la società.

Se si trattava di società,la soddisfazione di un credito era più complessa ma per quella, in nome del
bene collettivo,si poteva procedere verso chiunque.

Se imprenditore,il convenuto poteva opporre l’incompetenza del giudice ordinario,visto che i Comuni
riconoscevano gli statuti  corporativi e mercantili. Di regola quindi ci si rivolgeva alla sua “arte” o alla
Mercanzia,che aveva un proprio tribunale fatto da mercanti che si vantavano di assicurare un processo
più snello. Anche allora la durata del processo dunque, era un problema molto sentito. Infatti le leggi
dirette a trovare strumenti per accelerare  i processi risultano essere un’invenzione della nostra storia
tardo-medievale.

Il bersaglio è la procedura solenne ordinaria,quella dell’ordo iudiciarius. Perciò gli statuti e lo stesso
diritto canonico tentarono di riservare molti processi al rito sommario,quello da condurre senza
formalità. Era un modo per evitare carte e spese ma per quanto lo si disponesse nella legge (ad
esempio per le persone deboli e/o povere) i risultati raramente pare fossero conseguiti.

La giustizia medievale poi, aveva escogitato uno strumento terribile pe ri casi di degenerata giustizia
allo straniero. Il cittadino che si riteneva leso e dimostrava di non aver ricevuto giustizia  nella città del
responsabile del danno,si rivolgeva al proprio governo e /o alla Mercanzia,che accertata la verità della
denuncia chiedeva soddisfazione al Comune interessato,oppure ordinava che fossero levate le
rappresaglie sui beni di cittadini di quel comune inadempiente. Inutile dire i danni imprevisti che si
potevano subire per provvedimenti del genere e i trattati che furono spesso stipulati per ovviarvi.

Nonostante i buoni propositi è dubbio però che la giustizia mercantile sia riuscita ad assicurare i fini
che si prefiggeva in larga misura. Se poi ci fosse riuscita, probabilmente sarebbe divenuta un modello
difficilmente evitabile per ogni altra corte. Ma anche a prescindere da questa, anch’essa ebbe i suoi
problemi: per Genova ad esempio sono segnalati consilia per cause mercantili,ossia elaborazioni dotte
che non depongono certo per soluzioni equitative e rapide,come i mercanti avrebbero voluto. Stesso
discorso vale per la città di Firenze,Siena, Venezia, Pesaro e Ancona.

Non furono tanto le esigenze mercantili ad essere recepite dalla giustizia normale,ma piuttosto
quest’ultima,quella di diritto comune per intenderci,a  impadronirsi di quella mercantile.

E si ritorna così all’eterno problema:il diritto comune che, ovunque arrivi complica inevitabilmente le
cose,anche il processo sommario. Quel diritto comune che era il diritto che imponeva gli appelli e che
non si accontentava neppure di questo,dato che addirittura  prevedeva quella in integrum restitutio
(che restituiva la parte). Ma poi soprattutto era la teoria delle nullità che poteva colpire qualsiasi atto o
fase processuale e far ricominciare da zero.

MANCA IL CASO ECCEZIONALE : VENEZIA.

Tribunali centrali e raccolte di giurisprudenza.

Nel mondo del diritto comune c’era anche più evidente la compilazione del possibile eccesso di potere
del legislatore”proprio”. La Chiesa per parte sua già aveva chiarito che laddove la norma fosse
contraria alle libertates ecclesiae dovesse considerarsi nulla.

I vari trattati o questioni sugli statuti sono spesso incentrati proprio su questi temi,in cui l’egemonia del
giurista svetta con chiarezza. Perciò, i tribunali centrali erano sommersi di ricorsi per cause che si
ritenevano mal giudicate.

Le questioni erano cresciute già nel 200 tanto che durante la fase avignonese, Giovanni XXII istituì un
tribunale destinato a grandissima fortuna: la Sacra Rota, detta “romana”. Questa fu da subito un
tribunale collegiale formato da più auditore, per di più dotti come richiedeva il pubblico selezionato di
cardinali e vescovi con cui avevano spesso a che fare. Tanto dotti che in pochi decenni la Rota cominciò
a dotarsi di una propria giurisprudenza. Nascono così le raccolte:le Decisiones.

Queste sono riflessioni nate per certe cause e intorno a certe cause di grande successo a giudicare dai
manoscritti conservati. Da esse si poteva pensare di avvicinarsi all’orientamento che la stessa corte
avrebbe preso in futuro su un caso simile; sono infatti raccolte di giurisprudenza in senso stretto.

Bisogna ricordare poi quelle di una corte napoletana,del Sacro Real Consiglio,l’organo centrale di
giustizia di Napoli riordinato a metà del 400.

Tuttavia si deve specificare il fatto che queste siano comunque “decisioni” e non sentenze, cioè non vi
si trova ciò che i giudici decisero  in concreto sul caso esaminato.

Giustizia e politica, ovvero: giurisdizione e legislazione.

Già allora, a quel tempo si distingueva tra potere legislativo,di emettere nuove norme formali e potere
giudiziario,come ad esempio quello conferito dal papa ai suoi uditori e ai suoi giudici ordinari.
Era attraverso la legislazione e le grandi scelte politiche che si faceva giustizia occupandosi del Paese,
nel fare o non fare una guerra e/o un’alleanza commerciale. Anche i re ebbero al loro fianco, in questo
tempo,oltre ai consiglieri, quelli che noi oggi identifichiamo come “ministri”, ossia dei consiglieri
speciali nel confronti dei quali vengono affidati affari di giustizia. Dunque possiamo osservare come
ovunque si manifestò tale tendenza,ad istituire cioè organi specializzati per la trattazione degli affari di
giustizia,Consigli di Giustizia di regola composti da togati (giuristi laureati). Ma non è tutto, vi erano poi
organi che di regola possono ritenersi sovrani nell’interpretazione, e che perciò possono operare in
deroga al diritto stretto.

La separazione tra politica e legislazione da un lato e giustizia dall’altro non implicava anche
l’estraneità,l’alterità delle attività di governo dei politici e di giustizia dei giudici.

Perciò, il governo che si intromettesse nella giustizia più di tanto era avvertito come tiranno;così come
il giudice non era ritenuto ufficialmente un legislatore,ma solo esecutore della legge. Questo implicò
dunque tale distinzione e separazione tra i poteri e le competenze.

Nelle campagne.

Nelle campagne i fatti andavano probabilmente in modo assai diverso. In genere la giustizia,quando
era amministrata,lo era in modo intermittente ed approssimativo da vicari o notai spesso mal pagati.
Inoltre, i frammentari statuti rurali e di castello,quando c’erano, lasciavano aperta la strada ad abusi ed
arbitri di  ogni genere. Nei casi in cui poi non si trovava il colpevole,la comunità era considerata
responsabile “solidalmente” e oggettivamente dei reati che vi venivano commessi.

Solo dove in campagna c’erano Comuni di una certa robustezza per la presenza di proprietari
interessati alla vita amministrativa e alle tasse che essa comportava,si hanno i presupposti materiali e
indizi di un certo controllo sui giusdicendi, sin da quando si insediavano nella carica,giurando il rispetto
del testo statutario.

Peraltro, gli stessi organi comunali potevano intervenire per commutare le pene inflitte,oppure
dovevano esser chiamati ad autorizzare l’applicazione della tortura.

Essere in campagna,in un villaggio o quasi città non voleva dire però vivere in un mondo
completamente diverso. Certe città hanno svolto anche la funzione storica  di “civilizzare” a fondo la
campagna,evitando di limitarsi al puro sfruttamento della forza lavoro.

Giustizia civile e giustizia penale: un’ammissione significativa.

Il diritto romano e i suoi dottori furono da sempre un filtro indispensabile. E’ ad esso che appartiene la
massima condivisa “è nella giustizia civile che bisogna essere scrupolosi,legati alla ricerca attenta della
verità, mentre in quella penale si poteva “largheggiare”.

L’interpretazione estensiva delle norme penali era consigliata espressamente dunque;altro che
tassatività delle pene e dei reati,come è della nostra civiltà attuale.
Dal primo 200 fino al primo 300 i papi ritornarono più volte sul problema dello speciale processo
inquisitorio previsto contro i sospetti di eresia.

Le tecniche inquisitorie raggiunsero infatti livelli di perfezione rara,con manuali che educavano nelle
cautele da usarsi,dovendosi presumere la colpevolezza dell’inquisito e la sua pericolosità. Se c’è
dunque un tempo in cui ci fu una discrasia evidente,drammatica  e molto profonda tra il livello
dell’elaborazione culturale e quello della pratica ,questo fu proprio quello della repressione penale.

Le leggi poi erano molte e durissime,spesso disattese e non applicate. La stratificazione delle fonti nel
tempo produceva evidenti ingiustizie che per lo stesso crimine si poteva ricevere una piccola multa,
oppure addirittura la pena di morte.

Bisognava colpire, dare dimostrazione di esercitare la giustizia;anche perché lasciar impuniti dei delitti
era un peccato grave per un governante, e la sua colpa si sarebbe estesa alla comunità tutta
provocando pesti,carestie o comunque sciagure. Tollerare il male, si diceva,era come farlo.

Come in sede civile le normative stesse favorivano gli arbitrati,tra parenti,soci d’impresa o tra vicini, in
penale si tendeva  a giungere a tregue giurate tra famiglie per porre fine a faide senza fine.,oppure a
vere e proprie paci giuridicamente vincolanti,che comportavano,con il risarcimento della parte lesa,
anche la fine dell’azione penale.

In genere comunque,nonostante le forze impegnate,fu un mondo violento (almeno fino al 300) tenuto
sotto controllo solo in modo molto imperfetto da parte dell’autorità pubblica.

Così, in questo scenario, il Medioevo finiva ma il mondo del diritto consegnava all’età moderna un
sistema giuridico saldamente strutturato, che avrebbe esercitato un’eredità pesante soprattutto in
Italia e che si sarebbe protratto a lungo.

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