La ricorrente aveva partorito una bambina affetta da patologia nonostante
avesse in precedenza eseguito esami di indagine diagnostica prenatale proprio al fine di evitare tale eventuale patologia. Il primario aveva inviato la paziente al parto omettendo colposamente ulteriori approfondimenti, resi necessari da valori non corretti risultanti dagli esami. Il primario negava la propria responsabilità sostenendo che i risultati degli esami non erano tali da far nascere il sospetto della presenza della patologia. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute sulla questione dell’onere della prova nelle azioni risarcitorie per il danno da nascita indesiderata e sull’annoso e complesso tema della legittimazione ad agire per c.d. "wrongful life” (vita ingiusta). La III sezione civile della Corte di Cassazione rinviava alle Sezioni Unite la decisione circa due questioni fondamentali relative all’accertamento del danno da nascita indesiderata. I motivi dedotti nel ricorso in Cassazione erano: 1. la violazione delle disposizioni del codice civile e dell’art. 6 della legge n. 194/1978 nel riversare sulla gestante l’onere della prova del grave pericolo per la sua salute dipendente dalle malformazioni del nascituro. 2. la violazione degli artt. 2, 3, 31 e 32 Cost nella negazione, alla figlia minore, del suo diritto a un’esistenza sana e dignitosa. Quanto al primo motivo del ricorso (onere della prova): l’impossibilità, per la madre, di compiere la propria scelta e di autodeterminarsi circa il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, imputabile a negligente carenza informativa da parte del medico curante, è fonte di responsabilità civile. Tuttavia, occorre che ricorrano i presupposti per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, ossia che siano accertabili mediante appositi esami clinici rilevanti anomalie del nascituro e il loro nesso causale con un grave pericolo per la salute psico-fisica della madre. La prova verte anche su un fatto psichico: l’intenzione di abortire della donna. Secondo le SS.UU la donna deve provare attraverso una serie di circostante la propria volontà abortiva in caso di gravi malformazioni del feto. Tuttavia, sul professionista ricade l’onere della prova contraria che la donna non si sarebbe determinata comunque all’aborto. Secondo le SS.UU., è da escludersi l’esistenza di un danno in re ipsa, ma occorre che la situazione di grave pericolo per la salute psico-fisica della donna si sia poi tradotta in un danno effettivo, verificabile anche mediante CTU. Sul secondo motivo del ricorso (wrongful life): Il tema del secondo motivo del ricorso verte sulla legittimazione ad agire di chi, al momento della condotta del medico (in ipotesi antigiuridica), persona ancora non era. Richiamandosi ad un proprio precedente del 1993, la Cassazione ricorda che: «una volta accertata l’esistenza di un rapporto di causalità tra un comportamento colposo, anche se anteriore alla nascita, e il danno che ne sia derivato al soggetto che con la nascita abbia acquistato la personalità giuridica, sorge e dev’essere riconosciuto in capo a quest’ultimo il diritto al risarcimento>>.<<Si può dunque concludere per l’ammissibilità dell’azione del minore, volta al risarcimento di un danno che assume ingiusto, cagionatogli durante la gestazione>>.Secondo la Cassazione bisogna, tuttavia, esaminare a fondo la natura del diritto che con una tale azione si assume leso e il rapporto di causalità tra condotta del medico ed evento di danno. Quanto al concetto di danno, la Corte rileva che esso è identificabile nella vita stessa e l’assenza di danno nella morte del bambino. E ciò conduce ad una contraddizione insuperabile: dal momento che l’assenza di danno è la non- vita, questa non può essere considerata un bene della vita, tanto meno dal punto di vista del nato, per il quale il bene leso diverrebbe l’omessa interruzione della sua stessa vita. Non si può quindi parlare di un diritto a non nascere. L’ordinamento dunque non riconosce il diritto alla non vita. Il ricorso viene quindi accolto limitatamente al primo motivo e rinviato alla Corte d’appello per un nuovo giudizio.
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