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L’arte del diritto.

Il diritto.

Arte e diritto sono due facce della medesima medaglia:


-entrambi fungono da ponte tra passato e futuro;
-il giudice, come il pittore che scruta un viso per poi dipingerlo, indovina e scruta nel volto dell’imputato, ma non
solo.
Per spiegare il diritto ( di ritto; retta-> i punti che la formano sono gli uomini), può essere utile iniziare dal concetto di
Stato (ciò che sta; popolo che raggiunge la fermezza) che Carnelutti paragona ad un arco il quale, senza un’armatura
(diritto) non può essere costruito. Ma Stato e diritto non sono sinonimi, in quanto lo Stato può essere tale anche
senza diritto (l’arco dopo esser stato costruito non ha più bisogno di armature), mentre è giuridico lo Stato che
mantiene lo ius.
Però, uno Stato senza diritto non esiste (al massimo esistono Stati con più o meno necessità di esso) e non esisterà
finché non ci sarà abbastanza forza interiore (amore) in grado di tener insieme l’arco senza armatura (Stato perfetto:
quello che non necessita di diritto).

Il punto di vista dei giuristi positivi, invece, percepisce e osserva il diritto come ordinamento del popolo: ciò che è
errato in questa considerazione è che il diritto non è soltanto ciò che ordina, ma è anche ciò che lega ed unisce,
nonché una forza. Ciò è dimostrato anche dal contrasto tra dinamica e statica riflettuto dal rapporto diritto/Stato.
Quando l’armatura (il diritto) diventa superflua, ciò che riesce a tenere insieme l’arco (lo Stato/la famiglia: piccolo
Stato) è l’amore e fin quando gli uomini non sapranno amare non ci sarà altro mezzo che obbligarli.
Però, un uomo obbligato è un uomo senza libertà: questo avviene perché il bene non può essere indirizzato al
singolo, bensì alla comunità.
Da una parte dell’arco troviamo l’economia, dall’altra la morale: si tratta di due poli opposti, di fatti tra di loro c’è un
abisso che l’uomo non può superare se non attraverso un ponte. Questa costruzione prende il nome di diritto.
Carnelutti parla di poesia perché quando al sapere si aggiunge il sapere di non sapere, allora la scienza si converte in
poesia, appunto.

*il diritto: deve mantenere l’equilibrio (aequitas) e garantire la giustizia (virtus).

1
La legge.

Differenza tra diritto e legge?


Entrambi hanno in comune l’idea del vincolo, ma il diritto è un concetto giuridico mentre la legge è compresa in più
campi.
Partiamo dalla relazione tra legge giuridica e legge naturale:

 Legge naturale-> ciò che è (concetto ontologico-> concetti fondamentali dell’uomo). Intendiamo per legge
naturale una legge morale non prodotta dalla volontà umana e valevole per ogni essere umano. S.Paolo
parla di legge a se stessi, come se dentro di noi vi fosse la misura ultima delle nostre azioni che dobbiamo
saper scoprire e interpretare. Ciò che è proprio dell’umanità non è scritto a priori in un codice eterno, ma si
va progressivamente scoprendo attraverso una ricerca conflittuale e spesso sanguinaria. Non di rado si
scopre che criteri che pensavamo “umani” con il senno di poi non lo sono (emblematico è il caso della
schiavitù). Ma la legge naturale è un metodo di ricerca del bene umano di cui nessuno ha il monopolio.

 Legge giuridica-> ciò che deve essere (concetto deontologico-> codice morale e comportamentale). E’ una
legge artificiale in quanto costituita dagli uomini.

Nonostante ciò, le due leggi si assomigliano molto, anche perché in entrambi c’è un prius ed un post (stato anteriore
e posteriore).
Tuttavia, anche nella legge naturale è presente il concetto di “dover essere” (es. un uomo nasce, e quindi deve anche
morire).
Nella legge morale, invece, non ci sono le premesse: il moralista si limita a prendere le conclusioni e lasciare le
premesse nel buio.
I concetti di morale e natura si uniscono nel diritto naturale:
Purtroppo non conosciamo realmente il bene ed il male, ma dobbiamo in ogni caso fare il bene e non fare il male e
quindi anche obbedire (ob audio: spontaneità dell’ascoltare).

Il soggetto (sub jacet: colui che sta sotto un altro) è colui che, appunto, si assoggetta (obbedendo). Le leggi sono
insieme di ragioni per agire che sono oggettive (quindi in certo senso non provengono da noi, ma dall’esterno), ma
che devono essere introiettate o fatte nostre per governare le nostre azioni. Queste ragioni da esterne si fanno
interne, cioè devono essere interiorizzate per guidare le nostre azioni. Se usiamo la ragione siamo vincolati da
qualcosa che trascende la nostra particolare soggettività cosicché anche di fronte agli altri possiamo mostrare di fare
l’azione buona o giusta, quella che tutti dovrebbero fare se si trovassero nella nostra stessa situazione. Ma la
ragione, dice Tommaso, è una misura che è a sua volta misurata dall’oggetto delle nostre azioni (mensura mensurans
et mesurata). Nel caso dell’uomo l’oggettività della ragione sta nel conformarsi all’umanità che è in ogni uomo.

Il mezzo di rappresentazione della legge morale è la parola:


Praeceptum-> concetto discorsivo. Il precettore è colui che ha afferrato (ceperunt) prima (prae) ciò che raccontano
agli altri. Quindi, sotto quest’ottica, anche in legge giuridica è parola, la quale però non basta a guidare la comunità:
Diversamente dalla legge morale (che è solo parola), la legge giuridica non si limita al parlare della conseguenza di un
male passato, bensì la anticipa trasformando in presente il male futuro (e quindi rappresenta).
La rappresentazione è un’estensione del presente a qualcosa che è passato o futuro: questo è quello che fa il
legislatore.
Quindi leggi naturali e giuridiche rappresentano insieme ciò che è e ciò che deve essere. In aggiunta al naturale c’è
l’artificiale (artificiale=arte, la quale è compito dell’uomo).

2
Il fatto.

Fatto e Cosa si usano con indifferenza; cosa e fatto sono aspetti di uno stesso concetto, cioè l’oggetto. Oggetto è quel
tanto che nel mondo possiamo guardare.
Il diritto, inoltre, rappresenta la sintesi tra fatto e legge.
Fatto e cosa-> oggetto.
Fatto: cosa che si muove;
Cosa: fatto che sta fermo.
Così come il fotogramma che è immobile (cosa) ed il film che si muove (fatto).
Species: ciò che si vede; l’oggetto di una visione istantanea, appunto il fotogramma. Alla parola species si
contrappone…
Genus: ciò che genera e si genera.
Dunque, la specie è ed il genere diviene. La specie come il fotogramma è un momento; il genere è uno sviluppo
come il film.
La legge, al fine di adempiere al suo compito, deve comprimere il fatto in una specie.
Il fatto, per essere rappresentato, deve ridursi a una cosa ma, mentre il fatto si muove, la legge sta e dunque il diritto
è lotta ed interpretazione e, in quanto tale, è anche arte.
Dunque, l’interprete è un’artista che tenta di esprimere ciò che indovina, tentando di rappresentare ciò che c’era
prima e ciò che ci sarà in futuro (il fluire del tempo). Nell’interpretazione, così come nell’arte, c’è un contrasto tra
l’illimitatezza del fine e la limitatezza del mezzo rappresentativo.

Il giudizio.

Il diritto, però, non può limitarsi alla lotta tra fatto e legge, bensì deve tentare di superarla, intento assente nella
scienza:
La scienza si limita a separare gli elementi del diritto senza chiedersi come debbano essere combinati.
Il giudizio esprime l’idea di unione, ovvero la necessità di unire così come avviene nel processo:
Durante quest’ultimo, le parti lottano per convincere il giudice, il quale ascolta prima di giudicare ed il suo giudizio
nasce dal dubbio (dubium: duo, duellum-> duello delle parti).
Il suo giudizio, però, non può limitarsi all’osservazione del presente “illuminato” ed infatti il processo serve proprio a
mettere sotto la lente d’ingrandimento il presente, dunque di dilatarlo attraverso l’interrogazione per passare dal
noto (ciò che è evidente, “illuminato”) all’ignoto (passato e futuro).
In particolare, il passato non è del tutto un’incognita, in quanto è passato dalla possibilità di esistenza e, al limite,
può essere ignoto per una delle due parti (il passato dell’uno può non essere il passato dell’altro); ma ciò che è certo,
è che il futuro è un’incognita per entrambe le parti.
E’ quindi compito del giudice fare questo “salto nel vuoto” ed unire, attraverso il presente, passato e futuro.

La differenza tra giudice e storico, sta nel fatto che lo storico si limita a giudicare il passato, mentre per il giudice il
passato è un mezzo attraverso la quale può conoscere il futuro (da giudizio storico a giudizio critico, nonché “il
giudizio che veramente serve a giudicare”).
Per giudizio critico, inoltre, si intende il giudizio del bene e del male sopra la quale (e a causa della quale) agisce il
futuro:
L’unica ragione che l’uomo ha di giudicare se stesso o un altro uomo, è quella di regolare la sua vita futura.
Il problema nasce però nel momento in cui bisogna applicare la legge al fatto, combinando astratto e concreto.
Giudizio è, quindi, unione del presente al passato e al futuro, tramite un presente che viene allargato.
Inoltre, il giudizio converte la specie in genere ma l’attività del giudicare deve essere effettuata tramite il buon senso
(presupposto del giudizio).
La giustizia, spesso, non si lascia formulare in una legge, eppure il diritto ha bisogno di una legge per guidare gli
uomini. Per questo motivo c’è sempre un contrasto tra fatto e legge, e quindi anche tra giudice e legislatore.

3
La sanzione.

Le leggi giuridiche si impegnano ad aggiungere alla conseguenza naturale del fatto una conseguenza artificiale
(pena).
Sanzione sta per sacer-> una cosa consacrata da Dio (vendetta divina).
Essa viene utilizzata come misura per assicurare il giudizio e può essere distinta in:
• esecuzione-> meglio detta restituzione, la quale ha carattere satisfattorio;
• pena-> ha carattere afflittivo.

I civilisti vedono la pena sotto il punto di vista repressivo, ovvero vedendo soltanto una cosa che viene portata via
ad un individuo e data ad un’altro che la deve godere.
Oltre alla funzione repressiva della restituzione, c’è anche la funzione preventiva:
Il timore del risarcimento del danno stimola ad evitare l’inadempimento dell’obbligazione.
La pena invece non può essere cancellata in alcun modo:
La scienza che studia la pena è la disciplina penitenziaria, la quale si trova a metà tra scienza e tecnica.
La pena (reclusione) è da una parte mutilazione (vengono “mutilati” i contatti col mondo esterno) e dall’altra
umiliazione (il recluso non ha più nome, individualità).
In qualche modo, al reo viene tolto ciò che non ha amato (il delitto è mancanza di amore verso se stesso e verso gli
altri) in modo tale che ne soffra e che, però, riacquisti l’amore verso ciò che ha perduto.

La differenza sostanziale tra restituzione e pena è che la restituzione toglie ad un uomo per dare all’altro, mentre la
pena toglie ad un uomo soltanto per dare a quell’uomo stesso.
Quindi, nel primo caso il beneficato è un altro uomo, mentre nel secondo caso è lo stesso uomo alla quale è stato
tolto.
Dunque, la pena è volta non a togliere, bensì a dare la libertà.

Lo Stato non può reggersi senza diritto (armatura), il quale è però imperfetto.
Questo avviene perché l’uomo è più intenzionato ad avere (riva dell’economia) che ad essere (riva della morale) ed è
per questo motivo che il meccanismo penale è meno avanzato rispetto al meccanismo civile.
Si è passati, in ambito penale, dalla pena fisica a quella spirituale; eppure la prigione viene ancora concepita come
gabbia anziché come la “cella di un monaco”.
Il diritto, sì, deve castigare, ma non per godere della sofferenza altrui, bensì per insegnare, ed è in quest’ottica che
emerge la spiritualità del diritto penale.

Il dovere.

La legge dice che due fatti si susseguono necessariamente.


Necessità: nec esse.
Non c’è un creditore senza debitore, né un marito senza moglie e così via.
Le parti sono necessariamente due e sono necessariamente opposte.
Questa “necessità” è la condizione della parte, riflessa anche nel bisogno dell’altra parte.
Dunque, il dover essere esprime la tendenza della parte al suo compimento.
Anche gli uomini sono parti e l’esistenza stessa consiste nell’essere della parte:
Questa condizione equivale alla prigione dalla quale nessun uomo può evadere se non attraverso il dovere (vincolo
che da libertà).
Si parla quindi di costrizione per la libertà: il diritto impone il dovere, alla quale, quindi, corrisponde il potere.
Solamente perché gli uomini non sanno amare, vi è bisogno di tutto ciò:
Anche il diritto è un surrogato, mentre l’unità del mondo è l’amore.
Il mondo è bello e l’ufficio dell’uomo è di fare che sia sempre più bello.
Un ufficio che lo converte, veramente, in collaboratore di Dio. Ma in luogo di far quanto può per ringraziarlo, l’uomo
finisce per credersi il padrone.
Di fatti, a causa della confusione tra creazione ed invenzione nasce la nostra superbia.

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In conclusione, forse, l’amore prende la forma del diritto per operare tra gli uomini. “E’ non è lo stesso dell’arte?”.

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