Il campanile e la facciata
Restauri, analisi tecniche e nuove interpretazioni
a cura di
Francesco Butturini e Flavio Pachera
salesiani
sanzeno
Fabio Coden
Premessa1 des 29 Journées Romanes de Cuxa (Cuxa, 8-16 luglio 1996), in «Les Cahiers
de Saint-Michel de Cuxa», 28, 1997, pp. 237-258, risulta ad oggi il punto di
A Verona e nel vasto territorio della sua diocesi sopravvive partenza obbligato per l’elaborazione di una ricerca sui campanili medievali.
Vd., inoltre, l’inquadramento generale presente in D. Gillerman, N. Duval,
un numero davvero consistente di torri campanarie e di elementi s.v. Campanile, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, IV, Roma, Istituto della
verticali associati ad edifici ecclesiastici ascrivibili, con un certo enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, 1993, pp. 101-109, ma
margine di sicurezza, ad una cronologia compresa fra l’XI e il soprattutto l’approccio analitico di A. Segagni Malacart, La “Torre Civica”
XIII secolo, con qualche significativa sopravvivenza di epoca an- di Pavia e le torri campanarie padane del secolo XI, in «Arte medievale», s.
teriore:2 tale casistica consente di rintracciare, seppure con le ne- II, IV, 2, 1990, pp. 99-120.
cessarie cautele, alcuni caratteri generali riferibili a questa clas- 2. Le coordinate storiche di evoluzione di questi tipi di strutture nell’Occi-
dente medievale, con una ricca quantità di fonti analizzate nel dettaglio, sono
se di fabbriche e certe propensioni maturate nel comprensorio rintracciate da G. Trevisan, Campane e campanili nell’altomedioevo, in Del
atesino.3 Come si avrà occasione di esporre più avanti nel testo, fondere campane. Dall’archeologia alla produzione. Quadri regionali per l’I-
l’ampia regione in questione, lungi dal mostrarsi omogenea, di- talia settentrionale, Atti del convegno (Milano, 23-25 febbraio 2006), a cura
chiara inequivocabilmente di avere reagito in modo differenziato di S. Lusuardi Siena, E. Neri, Borgo S. Lorenzo (Firenze), All’Insegna del
sia agli influssi culturali esterni, sia alle novità elaborate al suo Giglio, 2007, pp. 135-148, al quale si rimanda anche per la ricca bibliografia
interno.4 Ne consegue, solo per citare un esempio, che il lessico di riferimento.
3. I risultati della ricerca che di seguito si vanno a presentare soffrono
adottato in città, luogo di ricercata sperimentazione,5 fu solo par- fatalmente di molte carenze, principalmente imputabili alla limitata quantità,
zialmente recepito nelle zone vallive del nord e lungo il margine rispetto alla condizione originaria, di episodi sottoponibili all’analisi. Il va-
gardesano, mentre altrove, nelle pianure protese verso meridione, sto territorio della diocesi, le modifiche che taluni corpi di fabbrica subirono
si mescolò variamente con gli influssi provenienti dalle esperien- in epoca post-medievale, ma soprattutto la perdita di gran parte delle testi-
ze mantovane ed emiliane.6 monianze riferibili all’arco cronologico sottoposto a valutazione sono alcuni
La verifica puntale dei campanili superstiti, inquadrabili degli aspetti da tenere in costante riferimento nel difficoltoso cammino di ri-
costruzione qui tentato.
nell’ampia stagione del romanico, impone nondimeno riflessioni 4. G.P. Brogiolo, Architetture in pietra lungo l’Adige tra X e XI secolo, in
assai prudenti, anche perché, nella maggior parte dei casi, per Tecniche murarie e cantieri del romanico nell’Italia settentrionale, Atti del
queste testimonianze non è possibile recuperare, se non in misura convegno di studi (Trento, 25-26 ottobre 2012), a cura di G.P. Brogiolo, G.
limitata, dati cronologici univoci;7 altresì, non è pensabile che le Gentilini, in «Archeologia dell’architettura», XVII, 2012, pp. 82-88.
relazioni con l’edificio ecclesiastico di riferimento possano con- 5. Come si avrà modo di specificare approfonditamente più avanti nel te-
tribuire a svelare prassi locali consolidate, né che le scelte esorna- sto, le varianti tipologiche nella predisposizione dei setti murari elaborate in
città a partire dall’epoca proto-romanica sono davvero consistenti: una det-
tive siano in grado di riflettere con assoluta certezza i complicati tagliata casistica è raccolta da C. Marastoni, Osservazioni su alcune tipo-
meccanismi di trasmissione dei modelli. logie di apparecchi murari a Verona, in L’arte di costruire a Verona. Studi e
ricerche su materiali e tecniche dell’edilizia storica, a cura di G. Castiglioni,
Verona, Scripta edizioni, 2012, pp. 87-100.
Città di campanili e di torri: Verona nelle fonti iconografiche 6. F. Flores d’Arcais, Per una lettura dell’architettura chiesastica nel ter-
medievali ritorio veronese tra alto e basso medioevo, in Chiese e monasteri nel territorio
veronese, a cura di G. Borelli, Verona, Banca Popolare di Verona, 1981, pp.
446, 448. Inoltre, il variegato sistema di relazioni culturali rintracciabile in
Nel corso dei secoli centrali del medioevo il profilo di Vero- territorio veronese è evidenziato da G. Trevisan, Verona e l’architettura lom-
na dovette essere di certo contraddistinto da un cospicuo numero barda nel secolo XI: l’importanza dei modelli, in Architettura dell’XI secolo
di strutture variamente slanciate, distribuite nel tessuto urbano nell’Italia del Nord. Storiografia e nuove ricerche, Atti del convegno interna-
con ordine solo apparentemente casuale:8 questa immagine della zionale di studi (Pavia, 8-10 aprile 2010), a cura di A. Segagni Malacart, L.C.
Schiavi, Pisa, Ets, 2013, pp. 57-68.
7. Questo tipo di problematica è ben sottolineata da S. Lomartire, Remar-
ques sur tours, pp. 242-243, 248-249, 250.
1. L’impianto metodologico elaborato da S. Lomartire, Remarques sur 8. Una prima ricognizione, seppure con intenti non specifici in tal senso,
tours et clochers préromans et romans dans l’Italie du Nord, in Les anges et con finalità interpretative si deve a E. Arslan, La pittura e la scultura veronese
les archanges dans Part et la société a l’époque préromane et romane, Actes dal secolo VIII al secolo XIII. Con un’appendice sull’architettura romanica
153
città, che può trovare nitidezza solo grazie ad un notevole sforzo torri e vari campanili, tutti definiti in modo molto sommario, con
interpretativo,9 è in parte recuperabile attraverso le testimonianze scarsa aderenza alla realtà.21
documentarie recentemente analizzate da Gian Maria Varanini, È quindi la città il luogo preferenziale per trarre alcune os-
per quanto attiene alle torri, alle casetorri e in genere alle fabbri- servazioni in merito al tema qui approfondito, poiché nelle testi-
che di pertinenza privata e pubblica,10 nonché indirettamente, per monianze sopra ricordate non è difficile scorgere l’aspetto che il
quanto riguarda l’ambito religioso, attraverso l’organizzazione e nucleo urbano ebbe in pieno Quattrocento, ovvero il punto di ar-
la distribuzione degli edifici ecclesiali entro e poco oltre le mura rivo delle progressive campagne costruttive avviate già a partire
cittadine.11 dall’XI secolo e quello di espansione verso una nuova stagione di
L’iconografia frastagliata di Verona è suggerita anche da
alcune rappresentazioni ancora di epoca medievale,12 una delle
quali, di notevole impatto visivo, è presente nella vela ovest della
seconda crociera occidentale della domenicana Santa Anastasia veronese, Milano, Fratelli Bocca editori, 1943 (Pubblicazioni della Facoltà di
(1437).13 Qui, san Pietro martire, ritratto a mezzobusto, regge lettere e filosofia della R. Università di Pavia, 2), pp. 203 sgg. Vd. anche G.
Benini, Le chiese di Verona. Guida storico-artistica, Verona, Rotary Club di
sulle spalle, con entrambe le mani, un ampio disco di terra da Verona Est-Banca Popolare di Verona, 19952 (I ed. Verona, Arte e Natura Li-
cui emerge la città,14 caratterizzata dalle maestose cinte con fitta bri, 1988), pp. 55-57; G. Benini, Le chiese romaniche nel territorio veronese.
sequenza di torrioni, dal percorso dall’Adige, con i suoi ponti, Guida storico-artistica, Verona, Rotary Club di Verona Est-Banca Popolare di
e in special modo dall’Arena e dal colle di San Pietro.15 Se per Verona, 1995, pp. 26-28.
molti aspetti, quindi, l’immagine del centro atesino è facilmente 9. Una ricostruzione dell’assetto urbano nell’alto medioevo è proposta da
identificabile, le svettanti strutture verticali distinguibili ai due C. La Rocca, “Dark Ages” a Verona: edilizia privata, aree aperte e strutture
pubbliche in una città dell’Italia settentrionale, in «Archeologia medievale»,
lati della testa aureolata, all’interno e appena fuori del peribolo, XIII, 1986, pp. 31-78.
sembrano ripartite con una scarsa verosimiglianza. Nonostante 10. Su questo argomento resta imprescindibile il lavoro di G.M. Varanini,
ciò, è indiscutibile che l’occhio del pittore seppe cogliere con Torri e casetorri a Verona in età comunale: assetto urbano e classe dirigente,
acuta maestria l’essenza di un paesaggio che era ritmato da nu- in Paesaggi urbani nell’Italia padana nei secoli VIII-XIV, Bologna, Cappelli
merose costruzioni dalla spiccata verticalità. Editore, 1988 (Studi e testi di storia medioevale, 15), pp. 173-250; G.M. Va-
ranini, Dal Castrum a «Veronetta»: lo sviluppo urbano di Verona (sinistra
Negli anni Sessanta del Quattrocento si pone la veduta
Adige) in età comunale, in Lo spazio nelle città venete (1152-1348). Espansio-
dell’Almagià,16 nella quale, in modo ancora più preciso, si coglie ni urbane, tessuti viari, architetture, Atti del II convegno nazionale di studio
la configurazione cittadina, con le contrade ben definite e sovente (Verona, 11-13 dicembre 1997), a cura di E. Guidoni, U. Soragni, Roma, edi-
contrassegnate dall’edificio religioso di riferimento e da eventua- zioni Kappa, 2002 (Storia dell’urbanistica. Veneto, 2), pp. 33-34.
li cappelle secondarie, quasi sempre affiancate dal campanile.17 11. M. Billo, Origine e sviluppo delle parochie di Verona e variazioni
Lungi dal voler sostenere che vi siano stati degli intenti di asso- nelle relative circoscrizioni territoriali, in «Archivio Veneto», s. V, LXXI, 57-
luto e manifesto realismo a ritrarre l’ambiente urbano, più nello 58, 1941, pp. 1-61; M.C. Rossi, Note sull’organizzazione parrocchiale e sulle
pievi urbane di Verona (secoli XII-XIII), in «Rivista di storia della Chiesa in
specifico a restituire con dovizia dati anche minimi delle fabbri- Italia», LVII, 1, 2003, pp. 3-28.
che sviluppate in alzato, talvolta con soluzione tridimensionale, 12. Vd. al riguardo la sintesi, puntuale, di S. Lodi, Verona: lo spazio urba-
è innegabile che molte delle chiese, soprattutto quelle di maggior no e le emergenze edilizie, in Verona e il suo territorio nel Quattrocento. Studi
rilievo, ricevettero da parte dei redattori attenzioni nient’affatto sulla carta dell’Almagià, a cura di S. Lodi, G.M. Varanini, Caselle di Som-
secondarie.18 Questa considerazione ha un’importanza tutt’altro macampagna (Verona), Cierre edizioni, 2014 (Nordest. Nuova serie, 122), pp.
che marginale se si valuta che alcuni degli edifici in questione 111-115, che analizza tutti i casi in questione.
13. T. Franco, Santi patroni dipinti. Il caso di san Zeno e di san Pietro
ebbero nel corso dei secoli seguenti trasformazioni tanto signifi- martire a Verona, in Medioevo: l’Europa delle cattedrali, Atti del convegno
cative da mutare in modo sostanziale l’aspetto primigenio; alcu- internazionale di studi (Parma, 19-23 settembre 2006), a cura di A.C. Quinta-
ni esempi ragguardevoli possono essere San Giorgio in Braida, valle, Milano, Electa, 2007 (I convegni di Parma, 9), pp. 480-482.
dove si nota la torre romanica inglobata nel fianco della chiesa, 14. F. Pietropoli, La decorazione pittorica nella chiesa di Santa Anastasia,
San Zeno in Monte, San Salvatore in Corte Regia e San Paolo in La basilica di Santa Anastasia a Verona. Storia e restauro, a cura di P. Ma-
in Campo Marzio non più esistenti nelle forme medievali, San rini, C. Campanella, Verona, Banco Popolare, 2011, p. 65.
15. In questa stessa chiesa sono conservate altre analoghe raffigurazioni
Procolo, vicino all’abbazia zenoniana, che mostra l’esile struttura della città, anche se più schematiche, una delle quali è associata ad una statua
accanto alla facciata, di cui ancora oggi è possibile rintracciare del santo patrono. Al riguardo, vd. D. Zumiani, Immagini quattrocentesche di
sulle murature qualche testimonianza. Verona nell’iconografia di San Pietro Martire: la “forma urbis” e l’identità
La pianta veneziana è utile anche per comprendere la con- storica, in «Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere di
sistenza numerica delle torri del contado, entro e appena fuori i Verona», s. VI, 1986-1987, pp. 385-400.
villaggi dell’esteso distretto diocesano, anche se in questo caso 16. S. Lodi, Verona: lo spazio urbano, pp. 136-139.
17. Ivi, pp. 129-131.
le evidenti semplificazioni grafiche sembrano rispondere più di- 18. Ivi, p. 129.
rettamente alla specifica funzione della carta.19 La definizione del 19. G. Mazzi, Governo del territorio e cartografia veneta tra quattrocento
territorio all’esterno delle mura urbiche cambia man mano che e cinquecento, in Verona e il suo territorio nel Quattrocento. Studi sulla carta
ci si allontana dalla città: quel tentativo sopra descritto di co- dell’Almagià, a cura di S. Lodi, G.M. Varanini, Caselle di Sommacampagna
gliere alcuni degli aspetti peculiari degli edifici lascia il posto a (Verona), Cierre edizioni, 2014 (Nordest. Nuova serie, 122), pp. 21-27, 41-55;
stereotipate raffigurazioni – il prospetto per lo più a capanna del- S. Vantini, Raffigurazione e realtà geografica, in Verona e il suo territorio nel
Quattrocento. Studi sulla carta dell’Almagià, a cura di S. Lodi, G.M. Varanini,
la facciata con a fianco il campanile –, che hanno l’unico scopo Caselle di Sommacampagna (Verona), Cierre edizioni, 2014 (Nordest. Nuova
di identificare l’attributo ecclesiastico della fabbrica.20 Neppure serie, 122), pp. 144-146, passim.
importanti realtà come quelle di Sant’Ambrogio di Valpolicella, 20. G.M. Varanini, C.A. Postinger, I. Lazzarini, Il territorio veronese,
di Bussolengo, di Legnago, di Valeggio, solo per citarne alcune, Trentino e mantovano, in Verona e il suo territorio nel Quattrocento. Studi
ricevettero minime attenzioni nelle raffigurazioni dei rispettivi sulla carta dell’Almagià, a cura di S. Lodi, G.M. Varanini, Caselle di Som-
complessi religiosi. macampagna (Verona), Cierre edizioni, 2014 (Nordest. Nuova serie, 122), pp.
69-70, 77, 78-79, 81, 82, 83-88, 105.
Lievemente più rarefatta è la poco posteriore carta Caval- 21. S. Lodi, Cristoforo Cavalcabò. Territorio veronese e mantovano, in
cabò, nella quale l’ordito urbano è variamente composto da ampi Mantegna e le arti a Verona. 1450-1500, Catalogo della mostra (Verona, 16
spazi aperti ed edifici isolati o raccolti in gruppi, ma mancano settembre 2006-14 gennaio 2007), a cura di S. Marinelli, P. Marini, Venezia,
completamente i tracciati viari: non è difficile scorgervi alcune Marsilio, 2006, pp. 476-477.
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fecondi cantieri che portò, nel corso di qualche decennio, a ricon- edizioni Kappa, 1997 (Storia dell’urbanistica. Veneto, 1), pp. 44-47; ma so-
figurare profondamente l’immagine del centro abitato.22 prattutto G.M. Varanini, L’espansione urbana di Verona in età comunale:
dati e problemi, in Spazio, società, potere nell’Italia dei Comuni, a cura di G.
Ma questa operazione di virtuale ricognizione della sago-
Rossetti, Napoli, Liguori Editore, 1986 (Europa mediterranea. Quaderni), pp.
ma cittadina non può prescindere dall’Iconografia Rateriana (fig. 1-25, e G.M. Varanini, Edilizia privata e licenze per l’occupazione di suolo
1), qualora si accolga la sua, più che probabile, cronologia entro pubblico a Verona nel Quattrocento, in Lo spazio nelle città venete (1348-
la seconda metà del X secolo.23 Non è questa la sede per aprire 1509). Urbanistica e architettura, monumenti e piazze, decorazioni e rappre-
una nuova discussione riguardo alle motivazioni che inducono a sentazione, Atti del I convegno nazionale di studio (Verona, 14-16 dicembre
ritenere il disegno eseguito su diretta committenza del vescovo 1995), a cura di E. Guidoni, U. Soragni, Roma, edizioni Kappa, 1997 (Storia
dell’urbanistica. Veneto, 1), pp. 56-70.
Raterio, probabilmente nel momento in cui egli lasciò definitiva-
23. X. Barral i Altet, Verona: l’immaginario della città intorno al Mille,
mente la sede episcopale sull’Adige,24 ma vale la pena comunque in «Verona Illustrata», 19, 2006, pp. 35-42.
di rilevare come le caratteristiche che segnano nel profondo l’i- 24. Le contrastanti teorie sulla datazione di questo documento sono emer-
dea sottesa a questo documento si pongano in diretta connessione se nel recente convegno di Verona, specificatamente dedicato all’Iconografia
con la concezione che sarebbe divenuta di lì a poco il fondamen- Rateriana. Vd. al riguardo S. Lusuardi Siena, L’origine dell’archetipo e il pro-
to della stagione del romanico.25 Il genuino e schietto interesse blema del palatium: una cronologia di VI secolo?, in La più antica veduta di
Verona: l’Iconografia Rateriana. L’archetipo e l’immagine tramandata, Atti
verso i monumenti antichi che connotano il nucleo urbano e ne
del seminario di studi (Verona, Museo di Castelvecchio, 6 maggio 2011), a
rappresentano la più intima essenza agli occhi di questo colto cura di A. Arzone, E. Napione, Caselle di Sommacampagna (Verona), Cierre
intellettuale proveniente dalle terre del nord Europa, alle quali si edizioni, 2012, pp. 59-60, 66-67, e le opposte posizioni di X. Barral I Altet,
stava apprestando a ritornare, suggerì – e richiese – un’attenzione Scelte iconografiche al servizio di un’idea autobiografica: la Verona di X se-
quasi archeologica nella loro riproduzione, mentre le altre fabbri- colo secondo il vescovo Raterio, in La più antica veduta di Verona: l’Icono-
che sono descritte con più sommarie attenzioni, poiché avevano grafia Rateriana. L’archetipo e l’immagine tramandata, Atti del seminario di
studi (Verona, Museo di Castelvecchio, 6 maggio 2011), a cura di A. Arzone,
unicamente lo scopo di definire l’essenza della città.26 Seppure
E. Napione, Caselle di Sommacampagna (Verona), Cierre edizioni, 2012, pp.
si tratti di una rappresentazione idealizzata, nella quale si scel- 133-134, 139, 144-146.
se consapevolmente di assegnare alle opere antiche un ruolo di 25. X. Barral i Altet, Scelte iconografiche, pp. 141-142, 144.
carattere emblematico, non sfugge che il tessuto urbano si trovi 26. F. Coden, Testimonianze architettoniche a Verona nell’epoca del ve-
cosparso di svettanti edifici che, lungi dal poter essere sicuramen- scovo Raterio, in La più antica veduta di Verona: l’Iconografia Rateriana.
te identificabili, contribuiscono a precisare la più che probabile L’archetipo e l’immagine tramandata, Atti del seminario di studi (Verona,
Museo di Castelvecchio, 6 maggio 2011), a cura di A. Arzone, E. Napione,
forma frastagliata della Verona altomedievale.27
Caselle di Sommacampagna (Verona), Cierre edizioni, 2012, pp. 154-155.
27. G. Cavalieri Manasse, D. Gallina, «Un documento di tanta rarità e
di tanta importanza». Alcune riflessioni sull’iconografia rateriana , in La più
22. G. Perbellini, Lo spazio del potere nella Verona viscontea, in Lo spa- antica veduta di Verona: l’Iconografia Rateriana. L’archetipo e l’immagine
zio nelle città venete (1348-1509). Urbanistica e architettura, monumenti e tramandata, Atti del seminario di studi (Verona, Museo di Castelvecchio, 6
piazze, decorazioni e rappresentazione, Atti del I convegno nazionale di stu- maggio 2011), a cura di A. Arzone, E. Napione, Caselle di Sommacampagna
dio (Verona, 14-16 dicembre 1995), a cura di E. Guidoni, U. Soragni, Roma, (Verona), Cierre edizioni, 2012, p. 81.
155
Considerazioni sulle cronologie Una lapide proveniente da San Michele a Mizzole (fig. 2)
conferma che l’edificio fu consacrato il 17 agosto 1060 e non
Com’è stato sovente rilevato, uno degli aspetti più proble- è escluso che alcune strutture residue, visibili soprattutto lungo
matici relativi alla valutazione delle torri campanarie di epoca il fianco meridionale, possano risalire proprio a questa fase edi-
medievale è indubbiamente quello connesso alla individuazione lizia.36 Fra queste, in prossimità dello spigolo sud-orientale, si
del momento preciso di fondazione.28 Di fatto, di questi corpi di intravedono i resti di un piccolo campanile interamente in pie-
fabbrica sussidiari, il più delle volte privi di testimonianze docu- tra calcarea, inglobato nel successivo sopralzo dell’oratorio, che
mentarie dirette, nonché soggetti a priorità e a dinamiche di can- sembrerebbe coevo alle murature più antiche; solo una accorta
tiere differenti rispetto a quelle dell’edificio di riferimento, risulta valutazione stratigrafica, tuttavia, potrà confermare eventuali
spesso impossibile precisare sia cronologie ad anno, come pure, rapporti di contemporaneità fra questi corpi di fabbrica.37
assai di sovente, generici ambiti temporali più dilatati. Nonostan- A distanza di pochi decenni da questo episodio s’iniziò, nel
te ciò, nel territorio dell’antica diocesi di Verona sopravvive una versante nord-orientale del nucleo abitato, appena al di fuori di
discreta casistica di torri datate o databili grazie ad epigrafi anco- una delle antiche porte urbiche, uno dei più innovativi cantieri
ra esistenti, o tradite dalle fonti,29 talvolta imputabili alla loro ere- della città,38 che prevedeva una cripta estesa quanto la chiesa,
zione, talaltra alla fondazione della chiesa cui si legano, infine, congiuntamente alla quale, fin dall’origine, fu pensata anche la
ad eventi esterni che si ritenne di consegnare in modo perpetuo torre campanaria.39 Nel 1065, a quanto documenta un’epigrafe
alla memoria collettiva.30 Questa fortunata circostanza costitui- tracciata su un concio di uno dei sostegni forti del vano ipogeo,40
sce quindi un passaggio imprescindibile per l’esame delle torri fu completamente riedificato il martyrium dei Santi Fermo e Ru-
nel veronese, seppure sia in grado di condizionare solo in parte stico (fig. 3), verosimilmente in relazione alla presenza della co-
l’identificazione di un modello atto a chiarire eventuali consuetu- munità benedettina appena giunta nel luogo.41 La data d’inizio dei
dini in ambiente diocesano.
Il più antico caso documentato ad oggi in terra atesina sem-
brerebbe riferibile al campanile zenoniano, più precisamente al 28. S. Lomartire, Remarques sur tours, p. 249.
suo zoccolo, nel quale una lunga epigrafe,31 distribuita su due 29. C. Cipolla, Appunti di Scipione Maffei sulle epigrafi medievali vero-
ampi conci affiancati a poca altezza dal piano di campagna, in- nesi e sul loro ordinamento paleografico-cronologico, in «Madonna Verona»,
VI, 2, 14, 1910, pp. 73-123.
forma che questo specifico corpo di fabbrica fu iniziato nel 1045, 30. S. Lomartire, Remarques sur tours, p. 248.
nel primo anno di abbaziato di Alberico.32 Spesso si è discusso in 31. Sull’epigrafe e sulle problematiche ad essa connesse si veda da ultimo
sede critica se il settore inferiore della torre costituisca l’effetti- il saggio di Silvia Musetti in questo volume.
vo avanzo della primitiva struttura o se piuttosto sia il risultato 32. L. Simeoni, La basilica di S. Zeno di Verona. Illustrazione su docu-
della generale risistemazione – con il conseguente riutilizzo dei menti nuovi, corredata da tavole fuori testo di C.A. e G. Baroni, Verona, C.A.
materiali antichi, fra cui la scritta – seguita ai danni causati dal Baroni & C. Libreria Editrice, 1909, pp. 12-13, 33-34, 47, 60.
33. G. Valenzano, La basilica di San Zeno in Verona. Problemi architetto-
terremoto del 1117.33 All’esterno, la consistente differenza fra la nici, Vicenza, Neri Pozza, 1993 (Ars et fabrica, 1), p. 26.
maniera di predisporre il parato del basamento rispetto a quella 34. G. Valenzano, San Zeno tra XII e XIII secolo, in G. Lorenzoni, G. Va-
del muro della soprastante canna, fino alla cella inferiore, pare lenzano, Il duomo di Modena e la basilica di San Zeno, S. Giovanni Lupatoto
avallare la prima delle due ipotesi, che sembra ulteriormente con- (Verona), Banca Popolare di Verona-Banco S. Geminiano e S. Prospero-EBS,
fermata all’interno, nella camera al piano terra, dove sono palesi 2000, p. 210.
le discrepanze fra il modo di posare i conci mal squadrati dell’XI 35. Ciò che avanza della prima torre zenoniana pare costituire, infatti, poco
più dell’antico settore basamentale e, nonostante ci sia stata senza dubbio
secolo e quello di apparecchiare la muratura nelle manomissioni qualche manomissione al parato allorquando si riedificò il campanile, forse
e negli aggiustamenti del XII.34 qualche traccia dell’antica articolazione non andò completamente cancellata.
La pressoché totale mancanza di documentazione archeo- Viene il sospetto, quindi, che il campanile dell’XI secolo avesse tutte quattro
logica, infine, non permette di comprendere con certezza quali le facce lisce, almeno fino alla zoccolo, e sopra a questo forse due specchia-
soluzioni decorative siano state utilizzate nella primitiva torre – ture, ma non è possibile più verificare se vi fossero anche dei marcapiano o
sicuramente molto meno slanciata rispetto all’attuale –, ma non archetti pensili.
36. R. Canova dal Zio, Le chiese delle Tre Venezie anteriori al Mille, Pa-
è improbabile che le facce prevedessero qualche tipo di articola- dova, Antoniana, 1987, p. 185 (con fotografia della lapide ora al Museo di
zioni.35 Castelvecchio).
37. A.M. Romanini, L’arte romanica, in Verona e il suo territorio, II, Vero-
na, Istituto per gli studi storici veronesi, 1964, p. 588.
38. G. Trevisan, La chiesa di San Fermo Maggiore a Verona tra Venezia,
Lombardia ed Europa e alcune considerazioni sulla scultura veronese di se-
colo XI e XIII, in Medioevo. Arte lombarda, Atti del Convegno Internazionale
di Studi (Parma, 26-29 settembre 2001), a cura di A.C. Quintavalle, Milano,
Electa, 2004 (I convegni di Parma, 4), pp. 247-260.
39. G. Trevisan, L’architettura, in I Santi Fermo e Rustico. Un culto e
una chiesa in Verona, a cura di P. Golinelli, C. Gemma Brenzoni, Verona,
Parrocchia di San Fermo Maggiore, 2004, p. 172; G. Valenzano, s.v. Verona,
in Enciclopedia dell’Arte Medievale, IX, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana fondata da Giovanni Treccani, 2000, p. 566.
40. A. Da Lisca, San Fermo Maggiore di Verona. Studi e ricerche originali
sulla Chiesa con le notizie dei restauri recentemente compiuti opera corre-
data da 40 illustrazioni fuori testo, Verona, Baroni, 1910, pp. 8-9; P. Sartori,
Appunti sulle iscrizioni romaniche della chiesa di San Fermo Maggiore, in I
Santi Fermo e Rustico. Un culto e una chiesa in Verona, a cura di P. Golinelli,
C. Gemma Brenzoni, Verona, Parrocchia di San Fermo Maggiore, 2004, pp.
156-157.
41. G. Vedovato, La presenza benedettina a San Fermo Maggiore (inizio
secolo XI-1260), in I Santi Fermo e Rustico. Un culto e una chiesa in Verona,
a cura di P. Golinelli, C. Gemma Brenzoni, Verona, Parrocchia di San Fermo
Fig. 2: Mizzole (Verona), San Michele. Maggiore, 2004, pp. 95, 97-98.
156
stituisce uno snodo cruciale per la comprensione del linguaggio
architettonico di piena età romanica nella provincia veronese.47 È
evidente, infatti, che all’inizio del XII secolo la città e una parte
del territorio circostante possedevano repertori di forme e solu-
zioni decorative oramai maturi, destinati a perdurare per lungo
tempo, cristallizzandosi come distintivi di questa specifica area
della Pianura Padana.48
Solo un decennio più tardi si colloca un’altra nodale atte-
stazione che, oltre a fissare in modo preciso la cronologia di un
manufatto di mole davvero consistente nel territorio a sud della
città, ricorda pure i nomi dei suoi artefici. Sulla faccia occidentale
del campanile di Santo Stefano a Isola della Scala49 (fig. 4), su un
157
unico concio in fase con la muratura nella parte superiore dello
zoccolo, un’epigrafe ricorda che nel 1130 quest’opera architetto-
nica fu iniziata dai fratelli Guariento ed Anno.50
Assai difficile è invece comprendere se Borgo e Malfatto,
provenienti da Verona, menzionati in qualità di costruttori in una
scritta del 1143,51 un tempo presente a San Michele a Belfiore,
meglio conosciuta come Madonna della Stra’ (fig. 5), possano es-
sere anche gli esecutori dell’adiacente possente torre.52 Certe di-
scontinuità murarie, alcune soluzioni di parato che si discostano
con quelle della vicina chiesa e la presenza di un sistema di buche
pontaie poco organico – e solo nella sommità – potrebbero essere
indice, infatti, di cronologie distinte.53 Ma non è escluso, pure,
che le specifiche esigenze tecniche richieste da un organismo di
tali proporzioni abbiano obbligato a metodologie differenti per
garantire una corretta stabilità.
L’abate Uberto, della famiglia comitale dei Sanbonifacio,54
viene ricordato come fondatore del campanile dell’abbazia di San
Pietro apostolo presso Villanova di San Bonifacio (fig. 6) in una
memoria epigrafica del 1149,55 tracciata sulla faccia di un grande
concio nel prospetto orientale della torre, posto ad una conside-
revole altezza dal suolo.56 Si tratta, anche in questo caso, di una
testimonianza rilevante nel panorama della regione, in quanto as- Fig. 6: Villanova (San Bonifacio), San Pietro apostolo.
socia a scelte costruttive di particolare pregio un preciso momen-
to storico, in un contesto monastico di primordine, nell’estremo
lembo orientale del territorio veronese, lungo la via Postumia. relativi al riscatto da parte del clero locale del censo annuo dovu-
Sulla faccia meridionale della torre di San Martino di Negrar to ad alcuni cittadini veronesi, che lo detenevano su concessione
(fig. 7), unica fabbrica conservata dell’antica pieve,57 è presente del vescovado.58 Seppure i caratteri epigrafici siano concorde-
una lunga iscrizione, composta di ben 64 righe di testo, concer- mente assegnati al medesimo torno d’anni,59 rimane assai diffici-
nente alcuni atti stipulati fra il 3 maggio e il 4 giugno del 1166, le comprendere quanto tempo fosse passato fra l’esecuzione del
campanile e la trascrizione dei testi di quei negozi giuridici; di
certo, comunque, appena oltre la metà del secolo la torre doveva
esistere e non è un caso che sia stata scelta come luogo più idoneo
cui destinare questa importante testimonianza di autonomia della
comunità.60
158
suete tradizioni maturate in ambito padano,66 ma sovente declina-
te secondo un gusto locale, fatta eccezione per pochissimi episo-
di, per la comprensione dei quali è necessario volgere lo sguardo
oltre i confini della diocesi.67
Strutture verticali a pianta circolare sono davvero rare nella
regione atesina in età medievale, al punto che, allo stato attuale
delle ricerche, quelle di San Lorenzo a Verona (fig. 8) risultano
159
ta ricercata in sede critica in varie direzioni, talvolta evocando
la mutuazione dai campanili cilindrici di area adriatica, talaltra
richiamando alcune chiese centroitaliane contraddistinte da ana-
loghe soluzioni,72 infine, istituendo un nesso diretto con la morfo-
logia delle porte urbiche romane, come, ad esempio, quelle della
stessa città di Verona.73 Sembra opportuno, tuttavia, segnalare
come in epoca romanica questo tipo di prospetto possa essere
stato, ancorché eccezionale, meno occasionale di quanto le testi-
monianze conservate sembrino attestare.74 Oltre ai più significa-
tivi casi del nord delle Alpi, territori da cui la diocesi veronese
sembra aver attinto in più occasioni, pure nella vicina Brescia è
possibile annoverare un episodio di non trascurabile rilievo. Alla
sommità del colle Cidneo, entro il perimetro del castello, un edi-
ficio religioso, conosciuto soprattutto grazie ad alcune campa-
gne archeologiche, identificabile forse con Santo Stefano in arce,
sembra proporre fra l’XI e il XII secolo un’analoga soluzione di
facciata, con due strutture cilindriche, particolarmente possenti
Fig. 8: Verona, San Lorenzo. e svettanti,75 anche se in questo caso tangenti agli spigoli.76 La
ragione della presenza a Verona di un prospetto a doppia torre
cilindrica potrebbe trovare giustificazione con una precisa richie-
esserne il più rilevante esempio.68 Due slanciate torri cilindri- sta della committenza, con le potenzialità funzionali che questa
che, di grandezza lievemente differente,69 incorniciano il fronte tipologia di edificio era in grado di garantire, nonché, infine, a
principale dell’edificio, dando vita ad una speciale interpretazio- seguito dell’adozione di modelli aulici facilmente circolanti nel
ne della facciata armonica: sistemate in prossimità degli spigoli nord della penisola.
esterni del fronte, fra due contrafforti a sperone,70 ovvero in asse Solo dubitativamente si può invece ascrivere il campanile
con le navatelle nella cui controfacciata si trovano le porte di circolare di San Dionigi a Parona, chiesa oggi entro un complesso
accesso, furono di certo pensate fin dall’origine per contenere le
scale a chiocciola che mettono in comunicazione il piano terra
della chiesa e quello delle soprastanti logge.71 68. Il dibattito critico su questa soluzione di torre è assai denso e risulta
La motivazione di una scelta icnografica così peculiare è sta- problematico darne conto in questa sede. Vd., comunque, G. Fiocco, L’arte
esarcale lungo le lagune di Venezia, in «Atti del reale Istituto veneto di scienze
lettere ed arti», XCVII, II, 1937-1938, pp. 589-590, 596-597 che citata pure
San Lorenzo, ma soprattutto G. Battistini, L. Bissi, L. Rocchi, I campanili di
Ravenna. Storia e restauri, a cura di R. Fabbri, Ravenna, Longo editore, 2008,
pp. 15, 97-120, 135-140.
69. L. Rapelli, Un gioiello del romanico veronese: la chiesa di San Loren-
zo, Vago di Lavagno (Verona), La Grafica, 1999 (Arte e documento. Quaderni,
5), pp. 22-23.
70. Questa soluzione ha fatto sovente ritenere che le torri scalari fossero
state inserite in una seconda fase del cantiere. Vd. da ultimo G. Suitner, Le
Venezie, p. 281.
71. A.K. Porter, Lombard Architecture, III, Monuments. Mizzole-Vol-
torre, New Haven-London-Oxford, Yale University Press-Humphrey Mil-
ford-Oxford University Press, 1917, p. 500; G. Trevisan, San Lorenzo a Vero-
na, in Veneto romanico, a cura di F. Zuliani, Milano, Jaca Book, 2008 (Patri-
monio artistico italiano), pp. 169, 173.
72. Fra i casi più emblematici nella penisola italiana, oltre a quello di San
Vitale a Ravenna, vi sono San Claudio al Chienti, San Vittore alle Chiuse, for-
se Santa Croce a Sassoferrato; H. Sahler, San Claudio al Chienti e le chiese
romaniche a croce greca iscritta nelle Marche, Ascoli Piceno, La Musa, 2006
(Saggi Lamusa, 2) (ed. italiana a cura di F. Cappelli, I ed. Münster 1998),
passim, ma si vedano soprattutto le considerazioni a pp. 87 nota 71, 198-200,
part. p. 199 nota 12; P. Piva, Marche romaniche, Milano, Jaca Book, 2003
(Patrimonio artistico italiano), pp. 27, 42-56, 95-106, 239-242.
73. G. Trevisan, Verona e l’architettura lombarda, pp. 61, 62.
74. E. Arslan, L’architettura dal 568 al Mille, in Storia di Milano, II,
Dall’invasione dei barbari all’apogeo del governo vescovile (493-1002), Mi-
lano, Fondazione Treccani degli Alfieri, 1954, p. 576.
75. Una di queste due torri, precisamente quella meridionale, conosciuta
come Torre Mirabella, è ancora esistente. G. Panazza, Cenni sull’Arce di Bre-
scia e la sua chiesa, in Miscellanea di studi bresciani sull’Alto Medioevo, Bre-
scia, Apollonio, 1959, p. 19; R. Salvarani, P. Panazza, Il castello, in Intorno
alle mura. Brescia medievale, Brescia-Roma, Ubi Banca di Brescia-Edizioni
Studium, 2014, pp. 158, 160, 162.
76. A. Breda, Brescia, Castello. Scavo nel piazzale Mirabella, in «Notizia-
rio della Soprintendenza Archeologica della Lombardia», 1987, pp. 107-110.
Vd., inoltre, G.P. Brogiolo, Brescia altomedievale. Urbanistica ed edilizia
dal IV al IX secolo, Mantova, Sap, 1993 (Documenti di archeologia, 2), pp.
68-71, e S. Mazzocchi, Insediamenti romani a Brescia: un progetto di Carlo
Scarpa, in «Agathón», 2, 2010, p. 10, che a ragione istituisce un confronto fra
Fig. 9: Verona, Santo Stefano. l’episodio bresciano e quello veronese.
160
privato, all’età romanica.77 Sistemato a sud-est, a fianco del cati-
no, è di dimensioni invero esigue e si eleva di poco oltre i livelli
dei tetti, mostrando chiaramente i segni di modifiche che rendono
problematica la corretta lettura dell’insieme.78
Nella città sull’Adige e nella sua diocesi sopravvive sola-
mente una struttura verticale a sezione poligonale, il tiburio di
Santo Stefano79 (fig. 9), impostato all’incrocio degli assi in una
delle ultime campagne romaniche che portarono alla radicale
trasformazione dell’edificio paleocristiano, ancora pressoché in-
tegro fino all’altezza dei tetti, per aggiornarlo alle sopraggiunte
esigenze liturgiche.80 La torre d’incrocio, sottocupolata o forse
in origine a soffitto ligneo, eseguita quasi per intero in mattoni, a
differenza di tutti gli altri interventi che la precedettero, esprime
con la propria slanciata verticalità – accentuata anche dal sotto-
stante corpo trasverso di poco emergente rispetto alle falde della
nave principale81 – un’innegabile novità stilistica in quest’area,
che tuttavia non trovò altre imitazioni.82 A otto lati, poggiata su Fig. 11: San Pietro in Valle (Gazzo Veronese), San Pietro in Monastero.
quattro possenti arconi retti da piloni che oltrepassano il piano
del presbiterio per giungere a quello della cripta, all’esterno si
sviluppa su due piani sovrapposti, ciascuno con un’ampia bifora
77. F. Segala, Monasteriorum memoria. Abbazie, monasteri e priorati di
su ogni faccia, divisi da coppie di eleganti oculi, mentre all’inter- osservanza benedettina nella città e diocesi di Verona (secc. VII-XXI). Atlante
no lo spazio è aperto fino al tetto piramidale.83 storico-topo-bibliografico, Verona, Archivio Storico Curia Diocesana, 2004
Nonostante nella provincia ecclesiastica veronese sopravvi- (Studi e documenti di storia e liturgia, XXX), pp. 125-126; L. Rognini, La
vano numerose chiese ascrivibili con certezza all’epoca medieva- chiesa di San Dionigi di Parona, in G.M. Varanini, La Valpolicella dal Due-
le, solamente pochissimi altri tiburi possono essere documentati, cento al Quattrocento, Verona, Centro di documentazione per la storia della
Valpolicella, 1985, p. 149; L. Rognini, Ancora su San Dionigi, in Parona.
seppure con soluzioni e cronologie assai differenti.
Storia di una comunità, a cura di P. Brugnoli, R. Nicolis, G. Viviani, Verona,
Il più antico, probabilmente altomedievale, potrebbe essere Centro di documentazione per la storia della Valpolicella, 1988, p. 74; L. Ro-
quello presente nel sacello delle Sante Teuteria e Tosca, profon- gnini, La chiesa e il priorato di San Dionigi a Parona, in «Annuario Storico
damente restaurato all’inizio del Novecento, predisposto all’in- Zenoniano«, 9, 1992, pp. 61-70; G. Benini, Le chiese romaniche, pp. 118-122.
crocio degli assi principali dell’edificio.84 Nonostante il piccolo 78. Per G. Benini, Le chiese romaniche, p. 122 è sicuramente del XII seco-
oratorio abbia subìto notevoli trasformazioni in epoca romanica e lo. Vd. inoltre A. Pomello, San Dionisi (villa Cuzzeri) con quindici illustrazio-
ni, Verona, Stabilimento Tipo-lit. G. Franchini, 1909, pp. 16-19, 21-24.
gotica, le volumetrie originarie sono facilmente intuibili: la pic-
79. A. Da Lisca, La basilica di S. Stefano in Verona, Verona, La Tipografi-
cola torre cubica, coperta con una crociera dalla speciale tessitura ca Veronese, 1936, pp. 81-83.
muraria e illuminata da una stretta finestra in ciascuna faccia, è 80. W. Arslan, L’architettura romanica, pp. 42, 50-51, 162.
retta da quattro arconi che risultano impostati allo stesso livello 81. Una struttura trasversale di questo tipo è documentata anche nel vicino
delle volte a botte che coprono i bracci. Si crea in questo modo duomo di Verona, ed è ricordata nelle fonti come «cuba magna«: viene da
un’organica relazione fra i volumi, che contribuisce a trasmettere chiedersi se anche in quel caso reggesse un tiburio, smontato nel corso della
seconda metà del Quattrocento, quando si rinnovò radicalmente l’aspetto dalla
uno squisito senso di equilibrio.
principale chiesa della città. Vd. al riguardo A. Bartoli, Il complesso romani-
Il secondo esempio si trova nella piccola chiesa di San Zeno co, in La cattedrale di Verona nelle sue vicende edilizie dal secolo IV al secolo
a Bardolino (fig. 10) e, con ogni probabilità, va ascritto al perio- XVI, a cura di P. Brugnoli, Venezia, Arsenale, 1987, pp. 111-119; P. Brugnoli,
do carolingio, quando la cappella fu fondata grazie all’intervento La rifabbrica quattrocentesca, in La Cattedrale di Verona nelle sue vicende
dell’omonimo monastero cittadino:85 all’esterno si mostra come edilizie dal secolo IV al secolo XVI, a cura di P. Brugnoli, Venezia, Arsenale,
un robusto corpo a pianta quadrangolare, ampio quanto la cam- 1987, pp. 186, 188, 194; Valenzano, Introduzione, in Veneto romanico, a cura
di F. Zuliani, Milano, Jaca Book, 2008 (Patrimonio artistico italiano), p. 22.
pata d’incrocio e lievemente slanciato; all’interno rompe la con-
82. Una soluzione analoga, il doppio spiovente privato della parte cuspi-
tinuità delle volte a botte dei quattro bracci, per spingersi in alto dale, era stata già sperimentata a Milano a Sant’Ambrogio; vd. P. Verzone,
creando uno spazio assai angusto, concluso con una crociera e il- Questioni santambrosiane, Atti del III congresso nazionale di archeologia
luminato solo da una finestra di piccole dimensioni aperta a sud.86 cristiana (Trieste, 27 maggio-2 giugno 1972), Trieste, Lint, 1974 (Antichità
altoadriatiche, 6), pp. 297-298.
83. L. Franzoni, Cenni storici per la chiesa di S. Stefano, in Piccoli e gran-
di interventi per salvare Santo Stefano, Verona, Cevi, 1993 (Quaderni di studi
veronesi, 1/1993), p. 11.
84. P. Brugnoli, Il dibattito sulle presenze edilizie paleocristiane e roma-
niche, in La venerabile pieve dei Santi Apostoli in Verona. Ricerche storiche
nell’ottavo centenario della consacrazione, a cura di P. Brugnoli, Verona, Par-
rocchia dei Santi Apostoli, 1994, pp. 148; ma si vedano soprattutto le consi-
derazioni di S. Lusuardi Siena, C. Fiorio Tedone, M. Sannazaro, M. Motta
Broggi, Le tracce materiali del Cristianesimo dal tardo antico al Mille, in
Il Veneto nel Medioevo. Dalla “Venetia” alla Marca Veronese, a cura di A.
Castagnetti, G.M. Varanini, II, Verona, Banca Popolare di Verona, 1989, pp.
124-128.
85. R. Canova dal Zio, Le chiese delle Tre Venezie, pp. 191-193; M. Ib-
sen, La produzione artistica, in Archeologia a Garda e nel territorio (1998-2003),
a cura di G.P. Brogiolo, M. Ibsen, C. Malaguti, Firenze, All’Insegna del Giglio,
2006, pp. 262-263.
86. P.L. Zovatto, La chiesa altomedievale di S. Zeno di Bardolino, in «Pal-
ladio», n.s. V, 1-2, 1955, pp. 2, 4; F. Moscardo, San Zeno di Bardolino nei
resoconti delle visite pastorali: nuovi spunti di ricerca, in «Annuario Storico
Fig. 10: Bardolino, San Zeno. Zenoniano», 21, 2011, pp. 87, 88, 92.
161
pria volta da un ambiente con trama muraria non continua, di cui
sopravvivono quattro elementi angolari; i notevoli danni seguiti
probabilmente ad un crollo, richiesero pesanti risarcimenti della
muratura e il tamponamento di tutte le aperture; infine, sopra a
tutto, fu eretta una snella torre, con una feritoia in basso e una
cella aperta con una bifora su ciascun lato, conclusa con un tetto
piramidale e quattro esili pinnacoli sugli spigoli. In questa fase
fu approntata una cupola, su cuffie angolari, a livello dell’estesa
ricomposizione della muratura precedente.
Ritornando alla questione più strettamente legata alla pla-
nimetria dei corpi architettonici a sviluppo ascensionale, tutti gli
altri esempi rintracciati in area veronese adottarono la più cano-
nica soluzione quadrangolare. In aggiunta, si possono fare alcune
considerazioni relativamente al rapporto fra la sezione e l’altezza
della torre, poiché è evidente che in epoca romanica sopravvis-
sero in questa regione distinte sensibilità al riguardo, anche se è
doveroso ricordare che molte scelte furono di certo subordinate
alle risorse economiche e alla materia prima a disposizione della
committenza.
In linea generale si nota che prevalsero torri di forma svet-
tante – particolarmente significative sono in tal senso quelle del
comprensorio a nord della città89 –, talvolta anche di notevoli di-
Fig. 13: San Peretto (Negrar), San Pietro. Fig. 14: Valgatara (Marano di Valpolicella), San Marco al Pozzo.
162
mazioni significative riguardo ad eventuali prassi invalse, più o
meno diffusamente, in una determinata area, come pure ad iden-
tificare consuetudini costruttive pertinenti ad uno specifico arco
temporale.92 In altri termini, l’assetto lungo i fianchi, in facciata
o nel versante absidale in aderenza alla chiesa o a qualche distan-
163
za da questa, ma anche la fusione dei corpi in questione in un
medesimo organismo, possono essere assunti come informazioni
esclusivamente di carattere accessorio.93 Nonostante ciò, è utile
non tralasciare questi dati, poiché talora la scelta dell’ubicazione
può avere influenzato l’icnografia adottata in uno specifico conte-
sto, nonché viceversa esserne stata la più evidente conseguenza.
In queste valutazioni restano altresì sottintesi tutti quegli aspetti
che si legano invece alle più comuni dinamiche della fabbrica
medievale, come, ad esempio, il condizionamento di corpi ar-
chitettonici adiacenti, la conformazione del territorio circostante
al complesso, e via discorrendo.94 Né va scordato che l’esigua
casistica giunta fino ad oggi, solo marginalmente è in grado di
consentire la costituzione di un modello statistico.
A seguito di questo doveroso preambolo metodologico è
bene rilevare come in terra veronese la maggior parte delle torri
campanarie medievali sopravvissute, in qualità di elemento auto-
nomo, sia disposta in prossimità del prospetto absidale, lungo il
fianco nord della chiesa,95 mentre solo in misura minore è attesta-
ta a sud-est.96 All’opposto, quando si scelse la posizione in conti-
164
guità con il fronte, fu privilegiato il lato meridionale97 in luogo di
quello a tramontana.98
Un episodio assai caratteristico è invece costituito da San
Giorgio di Valpolicella (fig. 26), che ha la torre situata lungo
il fianco sud, in un punto che sembra rispondere ad una logica
tutt’altro che casuale, forse diretta a rimarcare la cesura fra lo
spazio presbiteriale e l’antistante spazio ad uso laicale.99 Il cam-
panile, che s’insinua all’interno della navatella minore, costitui-
sce perciò solo in apparenza un elemento di disturbo delle volu-
metrie basilicali, poiché fu il prevalere dell’aspetto funzionale a
suggerire ai costruttori la posizione e il rapporto con l’invaso.100
Dentro all’edificio, in corrispondenza della faccia occidentale
della torre, si svolge un’ideale cesura che contrassegnava i due
poli liturgici, probabilmente un tempo anche per mezzo di un dia-
framma in elevato:101 nella porzione posteriore dell’edifico, dove
si scelse di adottare il sistema alternato dei sostegni,102 si trova la
porta di accesso al campanile e poco oltre quella per il chiostro,
in affaccio al quale si dispongono gli edifici del clero plurimo,103
qui documentato già nella seconda metà dell’XI secolo (1078).104
Ai fedeli era destinata, invece, una porta disposta nel medesi-
mo versante, ma ad occidente della torre, poiché San Giorgio si
configurava come realtà adiabasica prima dello sfondamento del
Maria Consolatrice a Verona; Santa Maria delle Vergini a Verona; Santa Maria
in Chiavica a Verona; Santa Maria Matricolare a Verona; San Zeno Maggiore a
Verona. R. Brenzoni, Cenni storici, archeologici, artistici sulla terra di Bren-
zone del Garda, in «Atti e Memorie della Accademia di Agricoltura Scienze
e Lettere di Verona», s. VI, XXI, 1969-70, pp. 303-311; F. Flores d’Arcais,
Corrubbio, chiesa di San Martino, in A. Castagnetti, La Valpolicella dall’al-
165
mati a sud della chiesa.105 L’imponente struttura, tutta in conci
ben squadrati ed apparecchiati con notevole maestria, si situa in
prossimità dell’area orientale del tempio e prevede al piano terra
un ampio portico,106 aperto ad est e ad ovest, esattamente sulla
porta che conduce al presbiterio; poco innanzi a questa si trovava
un’altra più maestosa apertura centinata, ora tamponata, che con-
sentiva l’accesso allo spazio ad uso laicale. Anteriormente alla
torre, adeguato verosimilmente all’articolata liturgia delle pro-
cessioni,107 vi si addossava un lungo ambulacro – protetto da un
tetto ad unica falda e cadenzato da arcate su eleganti colonnine
binate poggiate su un basso parapetto –, al quale si accedeva tra-
mite ampie porte centinate sia dalla corte a fianco della chiesa,
sia da occidente. Questa struttura di protezione continuava anche
a est del campanile – sono visibili sulla parete della navatella i
segni della pietra frangi pioggia alla medesima quota di quelli an-
teriori –, garantendo un percorso riparato verso la maestosa casa
canonicale, sede evidentemente di un clero assai numeroso.108 Per
Fig. 21: Assenza (Brenzone), San Nicola.
166
salire al piano superiore della canna fu predisposto uno stretto ed
alto varco sulla facciata est, sopra al livello dei tetti del portico.
In tutto il territorio diocesano, com’è stato ampiamente trat-
tato sopra, solo a San Lorenzo a Verona è documentato il fronte
a doppia torre, come pure esclusivamente nell’oratorio dei Santi
Faustino e Giovita a Trezzolano (fig. 28) compare il campanile
al centro del prospetto principale.109 In questo caso il piano ter-
ra, voltato con una botte, funge anche da vano di transito verso
la piccola aula, mentre sopra al disimpegno si sviluppa la canna
a cui si accede per mezzo di una porta ricavata ad una certa al-
tezza, sul lato settentrionale. Questa specifica soluzione, rara nel
distretto atesino, è attestata in numerosi esempi alpini, contrad-
distinti spesso da esili torri molto slanciate, che incorporano il
varco d’entrata all’aula.110
Un solo caso, Santa Maria Antica a Verona (fig. 29), ebbe il
campanile impostato direttamente sopra alla cappella mediana, la
quale, adottando una tipologia di testata ben conosciuta in area
altoadriatica, presenta all’interno la conca ricavata in spessore di
muro e all’esterno un setto rettilineo, lievemente emergente, in
continuità con il soprastante fusto.111 In realtà, quest’ultimo non
occupa tutto lo spazio dell’ampia cappella maggiore, ma si col-
loca solo sul suo spigolo sud-orientale, poiché, essendo di esigue
dimensioni ed elevandosi non di molto sopra al livello dei tetti, fu
sufficiente una pianta di sviluppo contenuto: per tali motivi la sua
presenza all’interno della chiesa è completamente dissimulata,
non entrando in alcuna relazione con gli altri elementi strutturali
della basilica.112
Oltre a questo, nella diocesi non sono molto frequenti altri
esempi di fusione fra la canna e l’invaso, anche se, invero, fu spe-
167
mente a questa, condizionò non poco la configurazione del pro-
spetto:115 l’unione dei due corpi rese necessario sacrificare una
porzione della decorazione ad archetti pensili a sinistra della fac-
ciata,116 nonché impostare la loro quota ad un livello inferiore ri-
spetto a quello dell’altra parte. Sul lato settentrionale una piccola
scarpa lievemente emergente dal fianco, sicuramente originaria,
contribuisce a controbilanciare le spinte dell’esile, ma elegante,
struttura. 117
Una soluzione analoga fu adottata anche nella piccola chiesa
binavata, ma triabsidata, di San Zeno a Castelletto di Brenzone118
(fig. 31), anche se qui la facciata dovette adattarsi in toto alla con-
sistente volumetria della torre, impiegando una piccola falda ad
unica pendenza e a paravento, in corrispondenza del vano prin-
cipale.119 All’interno, il campanile occupa l’intera larghezza della
navata minore nord, determinandone così la minore profondità
rispetto a quella adiacente.120 Alla torre oggi si accede dalla prima
arcata longitudinale, ma forse un tempo il piccolo spazio qua-
drangolare ricavato al piano terra era soltanto di servizio, poiché
il varco che conduceva alla canna, tamponato, si trovava ad una
certa altezza sulla sua faccia orientale, ancora entro la navatella.
Pure la piccola San Giorgio a Soave (fig. 32) mostra un’esile
torre di facciata, ma allestita nello spigolo meridionale, che a li-
vello dei tetti restringe lievemente la propria sezione, contribuen-
do a rendere poco omogeneo il prospetto: solamente una serie
di feritoie molto strette, in posizione mediana a mezza altezza,
scandisce il fusto prima di giungere alla sommità, dove l’angusta
cella prevede differenti tipi di aperture; all’interno, un alto e slan-
ciato pilastro angolare, spinto fino a circa la quota delle capriate,
sorregge i due muri sud ed est.121
In pochi casi, viceversa, si scelse di includere il campanile
nel versante absidale. Fig. 29: Verona, Santa Maria Antica.
168
terrompendo la logica coloristica pensata per ciascuna porzione
omogenea dell’edificio:122 in questo modo l’opera listata che per-
corre la parte superiore della navatella continua fino all’innesto
del catino. Il robusto e svettante campanile, interamente eseguito
in opera quadrata, conserva ancora l’originaria cella, di cui sono
indicatori i quattro setti angolari, tamponata in epoca francescana
quando ci fu una generale soprelevazione della fabbrica.123
Identica definizione dei volumi e organizzazione delle su-
perfici si notano nella più tarda San Silvestro, sempre a Verona,
dove l’unico elemento di discontinuità nella parete, pianificata
cromaticamente allo stesso modo dalla facciata al prospetto ab-
sidale, è il piccolo contrafforte a sperone, che controbilancia la
spinta dell’organismo verticale. Il fusto si erge dallo spigolo con
un lineare e monocromatico paramento in cotto fino alla cella,
oggi nascosta.124
La torre fu ricavata in aderenza della zona presbiteriale an-
che nella piccola chiesa di San Michele a Mizzole,125 dove solo
lievi segni in corrispondenza dello spigolo sud-est permettono di
rintracciarne l’esistenza.126 Di certo dovette essere di dimensioni
contenute e non molto elevata, a giudicare dall’apertura centinata
ancora visibile sul fianco meridionale, che potrebbe essere appar-
tenuta alla primitiva cella.
Inconsueta è la soluzione icnografica adottata a San Miche-
le di Gaium, dove il rapporto fra le fabbriche che componevano
l’insediamento religioso è stato messo in luce solo nei recenti
scavi. La torre, unica parte integra della fase romanica, si trovava
nella testata della seconda navatella, sistemata a nord, e il piano
terra prevedeva un vano di servizio direttamente collegato all’a-
diacente catino semicircolare, evidentemente deputato a funzioni
di carattere liturgico.127
Assai complesse furono piuttosto le operazioni richieste
nella pieve di Sant’Andrea a Sommacampagna (documentata
169
tetti:130 le facce sud ed ovest della torre, ricadendo nell’invaso, del laterizio; l’utilizzo di ciottoli di fiume – talvolta spaccati, ma
definirono dei tamponamenti a scavalco della navatella minore, più spesso lasciati integri e posati a spina di pesce – è attestato
in senso trasversale, e dell’ultima arcata est della navata princi- diffusamente a sud della zona montana.134
pale, in senso longitudinale, con la conseguente creazione di una La maggior parte delle torri campanarie della diocesi, sia
cappellina in corrispondenza del catino laterale.131 quelle di dimensioni modeste, sia quelle particolarmente esili e
svettanti, come pure quelle di mole imponente, presenta tutti i
prospetti privi di articolazioni e decorazioni:135 di conseguenza le
Soluzioni decorative e annotazioni sulle tecniche
Fig. 32: Soave, San Giorgio. Fig. 33: Verona, Santa Cecilia.
170
facce risultano lisce dal piano di campagna fino alla cella campa-
naria, a prescindere dal tipo di parato che fu impiegato per la loro
realizzazione.136
Solo in pochissimi casi, rispetto ai circa settanta rintracciati,
è stato possibile verificare l’adozione di accorgimenti di vario
tipo per movimentare le superfici a vista, per mezzo di articola-
zioni verticali, come lesene angolari e mediane, talvolta con fasce
orizzontali marcapiano, sempre arricchite con archetti pensili, o
ricavando delle specchiature su un livello arretrato.137 Il primo
aspetto che è necessario evidenziare riguarda però la presenza
di un basamento nella parte inferiore della fabbrica, che sempre
si mostra piano e spesso di cospicua altezza;138 sovente, al suo
interno vi si cela una camera di servizio, voltata e dotata, il più
delle volte, di un accesso centinato, mentre il varco per la canna
si colloca più in alto nel prospetto ed era raggiungibile solo con
una scala di legno.
Il più semplice sistema di movimentazione della parete è
presente nel campanile di San Severo a Bardolino (fig. 36) e in
quello di Sant’Andrea a Incaffi (fig. 37), entrambi invero assai
171
problematicamente ascrivibili all’epoca romanica:139 vi si adottò
una semplice partitura rientrante, nel primo caso per gran parte
dell’altezza della torre, nel secondo unicamente all’apice.
Una specchiatura arretrata terminante con archetti pensili è
presente a San Pietro a Torbe di Negrar (fig. 38) e in modo più
esteso a San Vito a Negrar (fig. 39), dove sotto alla doppia cella
campanaria si sviluppano fasce singole e multiple di mattoni po-
sati a denti di sega.140
Una sottile lesena mediana e due paraste negli spigoli ritma-
no l’imponente campanile di Santa Maria Elisabetta a Grezza-
na141 (fig. 40) – smontato e fedelmente ricostruito con i materiali
originari a metà del Novecento –, nel quale unicamente sotto alla
cella campanaria furono previsti i consueti archetti pensili.142
Una soluzione affine fu adottata, a quanto è possibile vede-
re, anche a Santo Stefano a Isola della Scala: quando la torre nel
1411 fu sopraelevata,143 la delicata membratura centrale fu demo-
lita non molto sopra allo zoccolo, a quote differenti sulle quattro
facciate; i muri con le larghe paraste angolari, invece, vennero
risparmiati fino alla vasta area tamponata con mattoni più chiari,
la primitiva cella campanaria, presente su tutti i prospetti appe-
na sotto alla quota dell’orologio; le larghe spalle su cui doveva
in origine poggiare il tetto sopravvivono quindi per circa metà
dell’altezza originaria. Questa situazione non consente di imma-
ginare archetti pensili a mezza altezza, né peraltro se ne intravede
l’esistenza a fianco delle grandi aperture otturate.
Sistemi decorativi più ricercati, con nervatura verticale me-
diana e cornici marcapiano ad archetti, sono attestati solo in pochi
esempi, il più antico dei quali sembrerebbe essere San Giorgio a
San Giorgio di Valpolicella, ascrivibile quasi certamente all’ul-
172
timo quarto dell’XI secolo. Il campanile, costruito con bozzette
malamente squadrate, materiale che comunque non compromise
un allestimento rigoroso del sistema decorativo, prevede tre cop-
pie di specchiature di misure differenti, delle quali quella media-
na si sviluppa per una considerevole altezza.144
Decisamente più maturo e sofisticato è l’impianto ornamen-
tale della torre di San Zeno a Verona, relativamente alla fase ascri-
vibile intorno al 1120, sia per l’estrema regolarità della partitura
muraria, sia per l’equilibrio d’insieme che trasmette l’organizza-
zione delle nervature verticali ed orizzontali risaltate sulle quattro
facce. In particolare, le fasce ad archetti pensili, a coppie di cin-
que su ogni marcapiano, sormontate da un fregio a denti di sega,
grazie alle dimensioni piuttosto contenute, s’inseriscono con di-
screzione, quasi dissimulando la loro presenza nella muratura.145
Un espediente simile fu ricercato anche nella Santissima Tri-
nità a Verona (fig. 41), seppure qui le maestranze non siano riu-
scite a risolvere con la stessa padronanza il rapporto fra la parete
e l’allestimento ornamentale:146 i differenti litotipi utilizzati nello
zoccolo e variamente nella canna, nonché l’incapacità a prevede-
re l’impiego del medesimo materiale costruttivo in porzioni omo-
genee della fabbrica, impediscono di percepire compiutamente il
rigore con cui fu in realtà pianificata ogni facciata.
Fig. 40: Grezzana, Santa Maria Elisabetta. Fig. 41: Verona, Santissima Trinità.
173
Fig. 42: San Floriano di Valpolicella (San Pietro in Cariano), San Floriano. Fig. 43: Bussolengo, Santa Maria Maggiore.
174
e i primi due settori superiori appartengono alla fase tardo-roma-
nica, se non addirittura già gotica:152 la foggia dei peducci con
protomi animali e l’ordinata tessitura muraria sembrano infatti
spingere in avanti la cronologia entro il XIII secolo. Le testimo-
nianze grafiche precedenti alla trasformazione confermano che
appena sopra alla seconda cornice orizzontale si trovava la cel-
la campanaria, sottolineando anche in questo caso come ad un
aspetto assai possente corrispondesse una non altrettanto accen-
tuata verticalità. L’esempio zenoniano e gli altri più significativi
monumenti cittadini sono la chiave per la corretta comprensione
di questa torre, che però dimostra un ulteriore stadio di matura-
zione rispetto ai modelli di ispirazione.
Risulta difficile invece stabilire se a Santa Maria a Ronco
all’Adige, ma non è escluso pure a San Zeno a Verona (1045),
fosse prevista una soluzione con lesena mediana e due specchia-
ture arretrate fino alla cella campanaria, come a Grezzana, oppu-
re se vi comparissero in aggiunta dei marcapiano arricchiti con
archetti pensili, come nei più elaborati esempi veronesi. Analoga
sorte ebbe il campanile di Santa Maria Matricolare (fig. 44), con-
cepito per essere il più imponente della diocesi con i suoi oltre
11 m di lato e circa 40 m di altezza, che fu smontato poco sopra
allo zoccolo, risparmiando solo una piccola porzione della canna,
allorché se ne decise la trasformazione nella seconda metà del
Quattro e nel Cinquecento:153 ne sono chiari indizi le due ampie
lesene laterali e le due più sottili mediane che contribuiscono a
creare tre specchi, sopravvissuti per un breve sviluppo.
L’altro aspetto che si deve necessariamente tenere in consi-
derazione, in special modo nei territori lungo l’Adige, concerne
il rapporto fra i parati sottoposti alla vista e il colore dei materiali Fig. 46: Cerea, San Zeno.
175
presenta il primo settore interamente in mattoni di diverso spes-
sore, alternati con ritmo sempre differente e talvolta posati anche
di taglio;160 a non molta altezza da terra interviene un parato a
176
file di ciottoli e conci di calcare, delimitato negli spigoli da un’o-
pera quadrata di forte impatto; all’incirca a livello dei tetti della
chiesa la canna adotta un sistema murario tutto in mattoni.161 A
San Floriano di Valpolicella lo zoccolo e un’estesa porzione della
canna sono in bozzette, mentre gli spigoli esibiscono un’ordina-
ta tessitura di evocazione romana in conci squadrati; quindi il
paramento muta in opera listata, poi in opera laterizia e, infine,
in blocchi ben tagliati e posati con cura, senza che sia possibile
rinvenire la logica che generò questa suddivisione.162 Santa Maria
di Cisano (fig. 47) ha gran parte del fusto in possenti blocchi ben
posati – nella metà inferiore prevalentemente di colore grigio,
sopra di colore candido163 –, mentre il settore sommitale adotta
il consueto sistema a fasce alternate di cotto e di conci. Infine, il
rapporto fra le diverse parti della torre è più regolare, ad esempio,
ai Santi Apostoli a Verona (fig. 48) e a San Pancrazio (fig. 49),
appena fuori dalla città, dove la canna è completamente in opera
listata, con abbondante uso di ciottoli di fiume, e la soprastante
cella è un possente blocco monocromatico in conci ben squadrati
di calcare giallo.164
177
OPERE EDITORIALI PRESENTAZIONE
DELL’ISTITUTO SALESIANO “SAN ZENO”
37138 Verona - Via don Minzoni, 50 A conclusione di un impegno ultradecennale, costante-
Tel. 045.8070.352 - Fax 045.8070.353 mente sostenuto dalla Banca Popolare di Verona, il volume
documenta in modo puntuale le scelte compiute in occasio-
ne dei lavori di restauro della facciata e del campanile della
Aspetti e figure dell’arte veronese e veneta basilica di San Zeno.
Restauro ha significato ripristino e risistemazione del
rosone, e importanti interventi di consolidamento statico
• La chiesa di Santa Maria del Degnano al Vajo di Fuma-
del campanile: ma anche una serie di interventi minuti di
ne (Verona) di Pierpaolo Brugnoli (esaurito).
manutenzione e di pulitura di tutti i materiali in opera nella
• Fra Semplice da Verona, pittore del Seicento di Luigi
facciata (che ha ripreso i colori originari dei materiali).
Manzato. Restauro ha significato anche in questo caso (come
• Il trittico di Andrea Mantegna per la Basilica di San sempre) progresso delle conoscenze sulla storia del manu-
Zeno in Verona di Lionello Puppi (esaurito). fatto, per la possibilità di osservare da vicino, e in condi-
• Tomaso, Andrea Porta e Agostino, paesisti Veronesi del zioni migliori rispetto al passato, le tecniche costruttive,
ISBN: 8889112093
9 788891 120939