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CRITERI TECNICO-SCIENTIFICI PER GLI INTERVENTI SULL'ARCHITETTURA


ED IL PAESAGGIO RURALE IN CAMPANIA a cura di Marina Fumo e Roberto
Castelluccio

Book · May 2021

CITATIONS

2 authors:

Fumo Marina Roberto Castelluccio


University of Naples Federico II University of Naples Federico II
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CRITERI TECNICO-SCIENTIFICI PER GLI INTERVENTI
SULL’ARCHITETTURA ED IL PAESAGGIO RURALE
IN CAMPANIA

a cura di Marina Fumo


e Roberto Castelluccio
Questo lavoro è una parziale sintesi dei contenuti del “Manuale per la realizzazione degli interventi per il recupero
dell’architettura e del paesaggio rurale in Campania - Area Vesuviana e Area Cilentana” prodotto su incarico del
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, sotto la guida della Regione Campania, dal gruppo
interdisciplinare di studiosi universitari del DICEA (Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale)
dell’Università degli Studi di Napoli Federico II così composto, secondo i settori scientifico disciplinari:

GEO 05/Geologia applicata: prof. geol. Alfonso Corniello, prof. geol. Paolo Budetta,
ICAR10/Architettura Tecnica: prof. arch. Marina Fumo, prof. ing. Francesco Polverino, prof. ing. Gigliola Ausiello, prof.
ing. Roberto Castelluccio
ICAR 11/Produzione edilizia: prof. ing. Maurizio Nicolella
ICAR14/Composizione architettonica e urbana: prof. arch. Francesco Viola, prof. arch. Francesca Bruni
ICAR17/Disegno: prof. arch. Lia Maria Papa, prof. arch. Maria Ines Pascariello, prof. arch. Pierpaolo D’Agostino
ICAR20/Tecnica e pianificazione urbanistica: prof. arch. Elvira Petroncelli, prof. arch. Marialuce Stanganelli

Il gruppo DICEA ha costituito un’associazione temporanea con il CUEBC (Centro Universitario Europeo per i Beni
Culturali) che si è avvalso degli studiosi ed esperti: arch. Camillo Crocamo, prof. ing. Ferruccio Ferrigni, arch. Alessandro De Masi

Alla ricerca hanno collaborato anche i professionisti, ingegneri, architetti e geologo:


ing. Chiara Barbieri, arch. Mariangela Buanne, PhD ing. Carmine Covelli, ing. Luisa Di Nardo, PhD geol. Giovanni Forte,
ing. Carlo Gerundo, dott. Adriana Luciano, ing. Francesco Pepe

Ha coordinato la ricerca in qualità di responsabile del corrispondente progetto POAT MiBACT presso la Regione
Campania la dottoressa Nadia Murolo, Dirigente di Staff alla DG e dell’ Unità Operativa Dirigenziale Promozione e
Valorizzazione dei Beni Culturali della Direzione Generale per le Politiche Sociali, le Politiche Culturali, le Pari
Opportunità e il Tempo Libero, coadiuvata dall’arch. Antonio Ranauro, già funzionario del UOD03, in quanto ideatore di
numerosi progetti regionali sul tema dell’architettura e del paesaggio rurale, e dalla dott.ssa Valeria Di Fratta, AT POAT
FESR Beni Culturali per gli aspetti connessi al programma operativo.

Un doveroso ringraziamento da parte di tutto il gruppo di ricerca universitario va all’architetto cilentano Camillo
Crocamo che, in maniera scientificamente rigorosa e sistematica, da oltre un trentennio studia con passione
l’architettura rurale del Cilento e ne ha costituito una preziosa banca dati. Il patrimonio di conoscenza da egli stesso
pubblicato negli anni, allo scopo di divulgare l’esistenza di tanti tipi di edifici spesso abbandonati, ma soprattutto di far
conoscere la cultura ed il sistema di vita dalle quali sono scaturiti per favorirne la conservazione, ha costituito una base
fondante per le riflessioni sui criteri e sulle tipologie di interventi proposti.

Gli autori dei capitoli seguenti sono rispettivamente:


0 | MARINA FUMO, ROBERTO CASTELLUCCIO
1 | LIA MARIA PAPA, MARIA INES PASCARIELLO, PIERPAOLO D’AGOSTINO, FRANCESCO PEPE
2 | ALFONSO CORNIELLO, PAOLO BUDETTA, GIOVANNI FORTE
3 | DOMENICO PIANESE, CARMINE COVELLI
4 | ELVIRA PETRONCELLI, MARIALUCE STANGANELLI, CARLO GERUNDO
5 | ALESSANDRO DE MASI
6 | FRANCESCA BRUNI, FRANCESCO VIOLA
7 | GIGLIOLA AUSIELLO
8 | MAURIZIO NICOLELLA
9 | FERRUCCIO FERRIGNI

Pubblicazione a cura di MARINA FUMO e ROBERTO CASTELLUCCIO


Impaginazione grafica e copertina | LUISA DI NARDO
IN COPERTINA | edifici rurali dell’area cilentana e dell’area vesuviana
INDICE
PREMESSE INTRODUTTIVE | PAG.5

CAPITOLO 1 | PAG.7
IL RILIEVO ARCHITETTONICO E PAESAGGISTICO
1.1 L’APPROCCIO PAESAGGISTICO
1.2 IL RILIEVO: FINALITÀ E PROCEDURE

CAPITOLO 2 | PAG.13
RECUPERO DELL’ARCHITETTURA RURALE IN CAMPANIA
DEFINIZIONE DEI CRITERI TECNICO-SCIENTIFICI DI INTERVENTO
2.1 L’APPORTO DELLE SCIENZE GEOLOGICHE APPLICATIVE

CAPITOLO 3 | PAG.17
IL RISCHIO IDRAULICO
3.1 IL RISCHIO IDRAULICO E LA PIANIFICAZIONE DI BACINO

CAPITOLO 4 | PAG.23
VADEMECUM PER LE OPPORTUNITA’ DI SVILUPPO E VALORIZZAZIONE
4.1 LOCALIZZAZIONE DELL’IMMOBILE
4.2 OPPORTUNITA’ DI USO E VALORIZZAZIONE
4.3 LIMITAZIONI ALL’USO DEL TERRITORIO
4.4 RISCHI NATURALI E ANTROPICI

CAPITOLO 5 | PAG.31
DOCUMENTAZIONE, RICONOSCIMENTO E VALUTAZIONE DEI CARATTERI IDENTITARI
DISCRETIZZAZIONE CRITICA, CONOSCENZA MULTISCALARE E MULTIDISCIPLINARE
5.1 INTRODUZIONE ED OBIETTIVI
5.2 IL CRBC E LA DISCRETIZZAZIONE DEL PATRIMONIO RURALE
5.3 PIATTAFORMA DIGITALE DI RILIEVO DEL SISTEMA COMPLESSO PER IL RICONOSCIMENTO E LA VALUTAZIONE DEI
CARATTERI IDENTITARI DEL PATRIMONIO CULTURALE RURALE

CAPITOLO 6 | PAG.39
CARATTERI DELL’ARCHITETTURA RURALE
6.1 TIPOLOGIE DEGLI INTERVENTI
6.2 MATERIALI
6.3 DISEGNO DEL PAESAGGIO E DEGLI SPAZI ESTERNI

CAPITOLO 7 | PAG.47
CONSERVAZIONE E PROGETTO. LA SCELTA DEI MATERIALI E DELLE SOLUZIONI TECNICHE
7.1 I PRINCIPI BASE DELL’APPROCCIO CONSERVATIVO
7.2 L’UNITARIETÀ NELLE FASI PROGETTUALI
7.3 CRITERI DI BASE: MINIMO INTERVENTO E REVERSIBILITÀ
7.4 COMPATIBILITA’, SOSTENIBILITÀ E DURABILITÀ
7.5 TECNICHE NUOVE E MATERIALI DELLA TRADIZIONE
7.6 I MATERIALI NUOVI E LA RICONOSCIBILITA’
7.7 I MATERIALI NATURALI E LA RISCOPERTA DI UN APPROCCIO SOSTENIBILE
7.8 RIPROPOSIZIONE E POTENZIAMENTO DEL MODELLO BIOCLIMATICO
7.9 LA PERMEABILITÀ DEL SUOLO E IL PROGETTO CON IL VERDE
7.10 L’APPROCCIO STRUTTURALE E IL CONSOLIDAMENTO

CAPITOLO 8 | PAG.53
LA MANUTENZIONE PROGRAMMATA DEGLI EDIFICI RURALI

CAPITOLO 9 | PAG.55
NUOVA DESTINAZIONE D’USO DELLE ARCHITETTURE RURALI: CRITERI GUIDA
9.1 CARATTERISTICHE DELLE NUOVE DESTINAZIONI D’USO
9.2 MAPPA DEI SAPERI ANTICHI
PREMESSE INTRODUTTIVE

Il patrimonio architettonico campano, prescindendo da quegli edifici emblematici i


cui caratteri - architettonici, artistici, paesaggistici o storici - ne fanno spesso
oggetto di particolare tutela, comprende un vasto patrimonio “minore” costituito
da una moltitudine di costruzioni ovvero di architetture spontanee tradizionali,
rappresentativa di un’espressione “colta” della produzione edilizia e
dell’adattamento delle comunità umane al territorio. Infatti, le relazioni che legano
le materie prime all'impiego che l'intelligenza umana ha saputo farne, per
migliorare le proprie condizioni di vita e quindi per realizzare tutte le architetture
tradizionali, sono testimonianza di una antica sapienza e di quella cultura del
costruire che fa parte della storia tramandata, purtroppo, solo verbalmente. Solo
con la manualistica dell'Ottocento, infatti, si cominciò a definire in maniera
scientifica tale materia prettamente tecnico-funzionale, facendola diventare colta e
quindi scientifica.
Partendo, quindi, dal presupposto che l'attività edilizia si sia perpetuata nei secoli,
prima del dirompente avvento del calcestruzzo armato, attraverso l'uso di materiali
e tecniche "tradizionali" ovvero in stretta correlazione al territorio, al suo clima e
alle sue risorse impiegabili in edilizia, ne consegue che particolarmente le
architetture rurali, dettate da condizioni economiche limitate, siano espressione di
organicità culturale e sostenibilità ambientale.
Se si eccettuano le differenze climatiche tra la zone costiere, quelle montane e
quelle di pianura, che determinano anche differenti condizioni di soleggiamento e
di riflessione e diffusione della luce solare, sono stati soprattutto i materiali lapidei,
le sabbie e le terre coloranti sottratti al territorio a determinare il volto delle nostre
dei nostri borghi rurali così come delle città piccole e grandi. Potremmo addirittura
affermare che, nei secoli, la natura geologica del suolo abbia condizionato l'aspetto
esteriore e cromatico degli edifici e le risorse ambientali climatiche ne abbiamo
determinato la forma ed i volumi condizionandone le masse murarie e le aperture,
ma questa sarebbe una verità parziale… Le sollecitazioni di carattere culturale,
molto incisive in alcuni casi (singoli edifici, paesi o intere aree territoriali), hanno
apportato un plusvalore alla tecnica, inducendo l'impiego di materiali e tecniche "di
importazione": ciò è avvenuto per le architetture rappresentative del potere
politico e religioso così come per l'influenza puntuale di dominazioni straniere su
alcuni territori e per l’emulazione di alcuni modelli architettonici simbolici.
Per lungo tempo, ovvero fino a quando la velocità di circolazione di prodotti ed
informazioni ha aumentato le opzioni di scelta possibili, la costruzione degli edifici
in muratura è stata fortemente connessa al territorio in cui questi venivano
edificati: la tradizionale attitudine a coniugare risorse disponibili, funzionalità e
qualità estetica delle architetture è una prerogativa importante dei territori
antropizzati e storicamente consolidati, il cui sviluppo è leggibile in chiave di
coerenza ambientale e sostenibilità anche relativamente alle finiture superficiali
delle costruzioni e quindi ai cromatismi artificiali ambientali che concorrono alla
5
definizione del costruito e valorizzano l’immagine paesaggistica di case sparse e
borghi rurali. Oggi, un corretto atteggiamento professionale finalizzato agli
interventi di adattamento funzionale delle costruzioni rurali dovrebbe comunque
partire dalla conoscenza dei materiali e delle tecniche costruttive tradizionali per
operare in modo consapevole, senza escludere l’innovazione tecnologica,
soprattutto se in chiave di sostenibilità ambientale. Interventi spregiudicati e non
rispettosi del bene culturale “architettura rurale” hanno già modificato la
percezione di molti edifici e contesti paesaggistici svilendone i caratteri di identità
e di riconoscibilità che, paradossalmente, se il processo dovesse continuare si
perderebbero lasciando il posto ad un appiattimento dei caratteri locali e alla
omologazione tipologica.

Si ritiene, pertanto, imprescindibile fornire i criteri tecnico-scientifici per il recupero


dell’architettura rurale che siano utili ad una nuova e più ampia visione
paesaggistica dell’area nella quale gli edifici ricadono, dando valore alla natura dei
terreni e della vegetazione, al controllo idrico, ai presidi tradizionali per il controllo
dei dissesti idrogeologici, alle ragioni economiche ed alla cultura materiale che ha
generato il paesaggio antropizzato: l’architettura rurale non può essere
considerata senza lo specifico contesto rurale che la ha generata. Nell'approccio
metodologico proposto il singolo manufatto rurale non è considerato quale
elemento isolato, ma quale parte di uno specifico contesto paesaggistico e
territoriale e in relazione sistemica con esso. Pertanto, il punto di partenza basilare
dell'azione di recupero dell'architettura rurale è l'inquadramento paesaggistico e
territoriale del manufatto. Attraverso la descrizione della particolare relazione che
si è creata tra uomo e natura, l'inquadramento paesaggistico ha l'obiettivo di
individuare quali siano, all'interno di una specifica area, i principali elementi di
riconoscibilità dell'architettura rurale intesi quali elementi irrinunciabili anche in un
contesto di cambiamento e trasformazione - elementi tipologici, materiali,
tecnologie, tessiture, cromatismi - e, per contro, quali possano essere gli elementi
di trasformabilità su cui operare per dotare gli edifici delle funzionalità necessarie
al loro utilizzo anche in caso di riuso.

Obiettivi principali del presente lavoro, ai fini della valorizzazione e la tutela del
patrimonio edilizio in quanto documento della cultura rurale che struttura la
maggior parte del nostro paesaggio regionale campano sono:

 la sensibilizzazione della collettività attraverso un inquadramento


paesaggistico che descriva la relazione uomo-natura;
 la piena conoscenza e la conservazione della cultura costruttiva locale da
parte dei tecnici operanti nel settore;
 il rispetto della tradizione architettonica ovvero degli elementi identitari e
tipologici che la costituiscono.

6
| CAPITOLO 1

IL RILIEVO ARCHITETTONICO E PAESAGGISTICO

1.1 L’APPROCCIO PAESAGGISTICO

Al fine di fornire un contributo operativo per il recupero delle testimonianze di


architettura rurale presenti in Campania, in particolare in area cilentana e in area
vesuviana, appare opportuno comprendere e comunicare il forte valore identitario
e di cultura materiale di tali manufatti, espressioni di una economia agro-pastorale
fortemente radicata nei contesti meridionali.
Da un lato, alcuni impianti rurali mantengono la maestosità degli edifici all’epoca
autosufficienti, con i loro ambienti e funzioni ancora percettibili, la stalla, la
colombaia e la rimessa per gli attrezzi. Intorno a essi solo campi coltivati e impianti
di colture specializzate facilmente irrigabili grazie alla presenza di impianti prossimi
alla costruzione. Dall’altro, alcuni manufatti erano usati solamente in ben precisi
periodi dell’anno, come il cosiddetto Casino o Casieddo, ed erano posti ai limiti
della proprietà al fine di permettere al padrone di poter controllare i coloni o
offrire il riparo ai contadini durante la giornata lavorativa.
Il territorio fagocita le architetture che sorgono disordinatamente nel contesto
orografico rendendo difficile una comprensione a tutto tondo delle scelte che
hanno portato nel tempo a fondare in un luogo piuttosto che in un altro; di certo è
interessante sottolineare come la presenza di un sito più o meno urbanizzato
andasse ad incidere sulla scelta delle architetture da realizzare.
La prima descrizione, seppur sintetica, dei vari insediamenti deve far intendere
come il territorio viene percepito nella sua concezione unitaria di paesaggio
scenico, sintesi di cultura materiale e di valori immateriali.
In entrambe le aree esemplificate, dal contesto culturale e orografico radicalmente
diverse, quella cilentana e quella vesuviana, ci si confronta con un’architettura,
quella rurale, che si caratterizza quale trait-d’union forte, che nel tempo è andato
scemando per trasformazioni spesso improprie, sia dal punto di vista culturale che
tecnico-costruttivo. Va tenuta presente, nel caso delle zone vesuviane, la vicinanza
con grossi centri urbanizzati, e di conseguenza fortemente industrializzati come
Napoli o Salerno, oltre alla crescita infrastrutturale (arterie stradali e autostradali)
di alcuni paesi; ciò a fatto sì che il loro carattere prettamente rurale venisse
gradualmente sostituito dal comparto industriale lasciando così spazio alla
cementificazione e ad un vigoroso addensamento demografico.

1.2 IL RILIEVO: FINALITÀ E PROCEDURE

Oltre al carattere prettamente architettonico è necessario sottolineare come questi


edifici, molte volte composti da sole due stanze, si mimetizzino nel contesto
naturale tanto che spesso, specie nelle stagioni più calde, è difficile riconoscerli in
mezzo alla vegetazione particolarmente rigogliosa.

7
Figura 1: quadro sinottico con indicazione dell’andamento del terreno per i manufatti in esame

Per rendere chiare le procedure di approccio a tali manufatti è opportuno far


riferimento alle cinque categorie tipologiche di seguito sinteticamente elencate:

• La casa colonica, situata appena al di fuori dell’abitato, era costruita di solito


lungo i corsi dei fiumi e si estendeva su una superficie compresa tra i due e i tre
ettari;
• Il casino, utilizzato in determinati periodi dell’anno e solo durante il giorno, era
posizionato al centro del fondo per permettere al proprietario di controllare le
attività dei contadini all’interno della sua proprietà;
• Il casieddo, utilizzato per offrire riparo al contadino e ai suoi animali durante la
giornata lavorativa; era raggiungibile in massimo un’ora di cammino
dall’abitato;
• La masseria, dimora autosufficiente che distava anche diverse ore dall’borgo;
era abitato di solito dal fattore che la gestiva per conto di un padrone. Di solito
era costruita in prossimità di corsi d’acqua al fine di rendere più agevole
l’approvvigionamento idrico sia per le colture che per gli animali;
• Gli stazzi, stalla che si trovava in zone scoscese e rocciose capace di accogliere
fino a cinquecento capi diversificati a seconda dell’allevamento praticato.

8
Una volta inquadrato il manufatto nel suo contesto territoriale e definita la
categoria tipologica è opportuno procedere alla raccolta di informazioni di tipo
metrico.
La spesso impervia condizione di avvicinamento dei casi selezionati ha condotto a
riflessioni in merito alle più adeguate forme di rilevamento.
Innanzitutto, si è scelto di operare all’interno del campo delle nuove tecniche, ossia
orientate preferibilmente ad ottenere un rilevamento metrico restituente una
nuvola di punti.
L’insieme delle informazioni derivate da procedure di rilevamento, sia mediante
operazioni di prese metriche dirette, che topografiche, che fotogrammetriche, può
trovare un compimento logico all’interno delle tecniche del disegno automatico.
Si consiglia comunque, come buona prassi, di configurare un reticolo geometrico di
riferimento, traducibile nelle diverse forme della rappresentazione grafica e
numerica, che consente di archiviare anche gli esiti di ricerca in relazione a vari
tematismi.
In questa fase vanno utilizzati prevalentemente software di correzione e
restituzione da fotogrammi ed è bene ricordare che la restituzione dei fronti deve
tener conto delle successive applicazioni delle texture.
È necessario infine accennare ad una ulteriore componente da approfondire
nell’elaborazione grafica, ossia la presenza dei fondali su cui “appoggia” sia
l’edificio isolato che la cortina oggetto di studio; fondali che possono essere sia
artificiali che naturali, o misti, e che contribuiscono alla caratterizzazione
ambientale delle architetture.

Per documentare un corretto rilievo architettonico finalizzato ad un Progetto di


recupero e di manutenzione architettonica, sono necessari i seguenti elaborati:

• la relazione tecnica di inquadramento, di individuazione tipologica ed


esplicativa dei criteri, delle procedure e dei metodi di rilevamento anche
strumentale scelti, con esplicitazione delle apparecchiature e delle tecnologie
utilizzate anche in fase di restituzione delle informazioni;
• la relazione bibliografica e storico-iconografica, e di documentazione
fotografica, che comprende:
• fotogrammi originali sia delle foto non metriche che di quelle metriche,
• la riproduzioni del materiale documentario raccolto;
• i grafici del rilievo gometrico con:
• lo stralcio planimetrico, in scala 1:2000;
• la planimetria generale dell’edificio, in scala 1:500 con individuazione del
Progetto di presa fotografico, relative al contesto di inquadramento
topografico, oltre che all’edificio, con indicazione dell’orientamento e delle
consistenze limitrofe, con quote planivolumetriche;
• le piante del piano tipo e dei piani anomali (es. terra, coperture), in scala non
inferiore a 1:200 con quotatura e coperture interne proiettate;
9
• i prospetti in numero e scala non inferiore a 1:200, adeguati a rappresentare lo
sviluppo dell’involucro d’ambito, nonché le caratteristiche architettoniche di
macroporatizione, le ricorrenze e le tipizzazioni formali;
• il repertorio degli elementi decorativi caratterizzanti, in scala non inferiore a
1:100, corredati di foto esplicative;
• i dettagli degli elementi architettonici caratterizzanti;
• le schede di sintesi delle caratteristiche geometriche, morfologiche,
tecnologiche, funzionali;
• repertorio degli elementi accessori dequalificanti, in scala 1:200, corredati di
foto esplicative;
• sintesi degli aspetti prevalenti di alterazione, corredati di foto esplicative.

Figura 2 : esempio di scheda di sintesi di un sopralluogo

Per facilitare la comprensione metrica del disegno originale anche in base ad una
eventuale riproduzione a dimensioni ridotte è opportuno indicare la scala di
rappresentazione secondo la norma UNI 936.
Comunque ogni grafico finale può essere inquadrato in un rettangolo, graduato su
almeno due lati adiacenti, in base al quale identificare ed utilizzare l’unità di misura
adottata, e la scala.

10
Figura 3 : esempio di grafico finale

Un repertorio accuratamente codificato di schede ed elaborati grafici, a varie scale


di definizione, consente la costruzione di una Banca Dati utile a documentare e
gestire, in output grafico fruizionale, un patrimonio di testimonianze materiali e
immateriali la cui significatività si sostanzia nella complessiva, unitaria
configurazione spaziale e topologica, espressione di una logica insediativa e
costruttiva ancora fortemente radicata nei territori analizzati.

11
PAESAGGIO CILENTANO

12
| CAPITOLO 2

RECUPERO DELL’ARCHITETTURA RURALE IN CAMPANIA


DEFINIZIONE DEI CRITERI TECNICO-SCIENTIFICI DI INTERVENTO

2.1 L’APPORTO DELLE SCIENZE GEOLOGICO-APPLICATIVE

L’architettura rurale campana, nel corso dei secoli, ha fatto ampiamente ricorso a
rocce di varia natura.
L’uso di materiali naturali da costruzione di provenienza locale è stato poi sovente
abbandonato (o ad esso si è fatto un ricorso assai meno frequente) a causa di molti
fattori tra i quali hanno avuto un peso significativo i costi di estrazione e
lavorazione, la reperibilità e, non da ultimo, le scelte legate al mutare del gusto
architettonico.
Tutte le rocce, ancorché con requisiti idonei all’uso, una volta messe in opera
subiscono inevitabili processi di alterazione che si sviluppano naturalmente e/o per
azione antropica, soprattutto in presenza di scelte non oculate nel posizionamento
dei materiali naturali nel corpo della costruzione. Questa alterazione comporta uno
scadimento delle caratteristiche tecniche dei materiali utilizzati. Ad esempio il Tufo
Giallo Napoletano, usato a “facciavista”, subisce alterazioni (dovute a
cristallizzazione di sali, umidità, temperatura etc.) che si traducono in
alveolizzazioni, scagliature, disgregazioni, efflorescenze etc.
Va inoltre considerato che, nel corso del tempo, il territorio può essere stato
interessato da fenomeni di dissesto, alluvionamenti od ancora da modifiche locali
nella normativa vigente, ad esempio per quanto riguarda i livelli di rischio sismico,
di pericolosità vulcanica etc.
E’ pertanto evidente come la progettazione degli interventi di recupero e
conservazione dell’edilizia rurale non possa prescindere da una solida conoscenza
geologico-applicativa non solo relativa al manufatto e al sito immediatamente
contermine, ma che va estesa anche ad un areale ben più vasto.
In primo luogo va considerato il contesto geologico generale in cui un manufatto si
colloca, così da avere una prima visione delle problematiche geologiche che,
ovviamente, saranno diverse per aree vulcaniche ovvero dominate da rocce
piroclastiche od altro.

A scala territoriale piccola, è dunque necessario tener conto dell’assetto


geomorfologico e geologico locale (anche attraverso l’allestimento di stralci
cartografici in planimetrie e sezioni) e di eventuali condizioni di instabilità
potenziali, od in atto, dei versanti e/o di erosione del suolo. Si tratta di evenienze
che di fatto potrebbero condizionare la scelta di insistere o meno nell’approfondire
le problematiche del manufatto. Il riferimento è a specifiche cartografie tematiche
quali:

13
• Carte geologiche (Cartografia ufficiale a scala 1/100.000 ed aggiornamenti
CARG, in via di realizzazione, a scala 1/50.000)
• Carte della pericolosità e del rischio da frana dei PAI (Piani di assetto
idrogeologico) delle Autorità di Bacino nazionale, regionali ed interregionali (cfr.
esempio in Fig. 1)
• Carte del rischio sismico (Ordinanza PCM 3519 del 28 aprile 2006; Norme
Tecniche per le Costruzioni; Decreto 14/01/2008 del Ministero delle
Infrastrutture; GU n. 29 del 04/02/2008)
• Carte della pericolosità vulcanica

(http://www.lavoripubblici.regione.campania.it/; http://www.protezionecivile.gov.it/ ).

Le ultime due sono particolarmente utili ai fini di un corretto ripristino strutturale


dell’edificio rurale.
In particolare poi, per manufatti ricadenti in settori di pianura e nelle aree di
conoide ulteriori approfondimenti vanno finalizzati ad individuare eventuali settori
soggetti ad allagamenti od a subsidenza nonché alla conoscenza della soggiacenza
della falda idrica.

Figura 4: Stralcio della Carta del rischio frana del Comune di Montano Antilio (Cilento)
all’intorno di un fabbricato rurale (quadratino); R1: Rischio basso, R2: Rischio moderato; R3:
Rischio alto; R4: Rischio molto alto

Con riferimento a questo ultimo aspetto, un utile contributo è dato dalle


cartografie piezometriche redatte per l’approntamento dei Piani di Tutela delle
Acque da parte delle Autorità di Bacino (ai sensi della legge 152/1999 e s.m.i.). E’
14
comunque utile, per i dati di falda, ricorrere anche a misure del livello idrico in
pozzi prossimi al manufatto di interesse (ove presenti). In molti casi, infatti, la
presenza di falde idriche a modesta profondità dal piano campagna può indurre un
significativo degrado in materiali lapidei porosi utilizzati in fondazione, degrado
tanto più significativo in ragione del livello di salinità delle acque interessate.
Una volta che è stata verificata la compatibilità del manufatto con l’ambiente
geologico in cui è inserito, si prende in considerazione il manufatto stesso con una
lettura approfondita dei seguenti elementi:

a. natura petrografia e geologico-tecnica dei materiali naturali utilizzati;


1
b. processi di degrado di tali materiali ( )
c. posizionamento degli stessi nell’ambito delle costruzioni e valutazione
delle sollecitazioni a cui sono sottoposti.

Ciò di fatto può portare ad individuare eventuali “errori” nell’uso e/o nel
posizionamento dei materiali naturali, errori da tenere in giusta considerazione in
una successiva fase di recupero dei manufatti.
Il riconoscimento puntuale delle litologie utilizzate consente altresì di risalire alle
cave di prestito più idonee cui far ricorso per le operazioni di ripristino
architettonico e strutturale dei manufatti. A tal fine il riferimento non può che
essere il “Piano Regionale delle Attività Estrattive” della Regione Campania del
2006.
Tutto ciò rende possibile il corretto ripristino di un manufatto che così rivive in
armonia col contesto paesaggistico in cui, a suo tempo, è strato realizzato.

1
Forme di degrado più frequenti:
• alveolizzazione (distacco di clasti o, nelle formazioni tufacee, di pomici)
• risalita capillare (nelle zone in prossimità di acque stagnanti o con una circolazione idrica sotterranea poco
profonda rispetto al piano di posa delle fondazioni)
• patine di polvere e particolato
• attività biologica (soprattutto nelle zone d’ombra)
• esfoliazione e scheggiatura (dovute all’azione delle acque piovane ed alla ricristallizzazione di sali solubili)
• disgregazione (infiltrazione di acqua e conseguente effetto di dissoluzione di talune fasi presenti nella roccia).

15
TIPICA MASSERIA VESUVIANA, BOSCOREALE

16
| CAPITOLO 3

IL RISCHIO IDRAULICO

PREMESSA
Gli Enti preposti alla protezione idraulica del territorio e alla tutela e gestione
ottimale delle risorse idriche sono le Autorità di Bacino (istituite con la legge 18
maggio 1989 n. 183) e gli Ambito Territoriali Ottimali (ATO) (istituite con la legge 5
gennaio 1994 n. 36 (Legge Galli), in seguito sostituita dal vigente D. Lgs. n. 152 del
2006).
In particolare, i suddetti Enti, mediante l’implementazione di dati e modelli a
supporto delle decisioni, hanno il compito di raccogliere in modo sistematico tutte
le conoscenze idrologiche e idrauliche che vengono prodotte all’interno del
territorio di un determinato bacino, effettuare le analisi necessarie e mettere a
punto i modelli previsionali finalizzati a supportare le scelte di gestione del
territorio stesso, sia in ordine alle piene e alla difesa del suolo, sia riguardo alla
corretta gestione delle risorse idriche e alla tutela degli ecosistemi acquatici.
Le domande alle quali debbono rispondere riguardano, come già accennato:
• la difesa del territorio e la protezione civile:
• qual è la portata di assegnato tempo di ritorno in un punto qualunque del
territorio?
• qual è il grado di sicurezza delle sezioni idrauliche in quel punto, in relazione
alla portata di assegnato tempo di ritorno?
• dove va l’acqua che eventualmente tracima?
• che rischio si può identificare di collasso delle arginature?
• se le arginature cedono, fin dove si deve ritenere che ci sia pericolo?
• quali volumi devo prevedere per mantenere l’invarianza idraulica se effettuo
una certa impermeabilizzazione dei suoli?
• la quantità e la gestione ottimale delle risorse idriche:
• qual è la pioggia che mi devo attendere in questo periodo dell’anno?
• qual è la portata che può derivare da questa pioggia e quale sua parte potrò
utilizzare per i vari scopi (irriguo, civile, industriale, idroelettrico)?
• qual è la portata massima che posso emungere dall’acquifero senza
comprometterne gli equilibri?

3.1 IL RISCHIO IDRAULICO E LA PIANIFICAZIONE DI BACINO

La pianificazione di bacino si differenzia dalla pianificazione generale, in cui la


conoscenza e la decisione intrattengono un rapporto dialettico, per il fatto che
dallo studio dei sistemi fisici, a prescindere dalle decisioni politiche, si estraggono le
indicazioni sul buon governo del territorio.
In particolare, la Direttiva 2007/60/CE, recepita con Decreto Legislativo n. 49/2010,
pone l’obiettivo, agli enti competenti in materia di difesa del suolo, di ridurre le

17
conseguenze negative, derivanti dalle alluvioni, per la salute umana, per il
territorio, per i beni, per l’ambiente, per il patrimonio culturale e per le attività
economiche e sociali.

In tal senso, la Direttiva disciplina le attività di valutazione e di gestione dei rischi da


alluvione, prevedendo la redazione di mappe di pericolosità e mappe di rischio da
alluvione con indicazione degli abitanti coinvolti, delle infrastrutture strategiche,
dei beni ambientali, storici e culturali di rilevante interesse presenti nelle aree
interessate, delle attività economiche insistenti sulle aree, nonché degli impianti
che potrebbero provocare inquinamenti accidentali.

I fiumi del territorio campano sono da tempo oggetto di attenzione, così che le
Autorità di Bacino competenti hanno concentrato studi specifici sul problema
‘rischio idraulico‘, mediante la redazione dei Piani di Bacino che mettono a sistema
la conoscenza dei fiumi e, costruendo dei particolari modelli scientifici,
permettono, entro certi limiti, di mettere in relazione le cause con le loro
conseguenze, e di indicare così le problematiche e criticità esistenti.
I suddetti Piani di Bacino ovvero i Piani Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PSAI),
redatti dall’Autorità di Bacino Regionale di Campania Sud, per quanto riguarda
l’area Cilentana e dall’Autorità di Bacino della Campania Centrale per quanto
riguarda l’area Vesuviana, hanno il compito di dare le regole per il corretto uso del
territorio e la ricostruzione della sua sicurezza idrogeologica sempre più
compromessa da numerosi fattori che, in riferimento alla situazione specifica dei
Bacini Regionali Campani e alle problematiche di tipo idrologico e idraulico, sono di
seguito sintetizzabili:

• l’urbanizzazione, spesso con distribuzione dispersa e favorevole al consumo di


territorio con frequente edificazione sparsa;
• le trasformazioni nelle tecniche agronomiche, che hanno portato alla graduale
riduzione dei volumi di invaso nei campi attraverso la soppressione o la
limitazione del reticolo di drenaggio minuto in pianura, e all’accelerazione dei
deflussi e dei processi erosivi a causa della dismissione di molte pratiche di
regimazione delle acque in collina e montagna;
• la realizzazione di manufatti idraulici (ponti, soglie e traverse, tratti tombati) di
cui non si è verificato con sufficiente cautela il comportamento in relazione alle
portate di progetto, e che oggi creano ostacolo ai deflussi in più punti;
• la cattiva manutenzione degli alvei, dovuta in gran parte alla mancanza di
finanziamenti regolari e alla impossibilità pratica dei Servizi preposti di
programmare su periodi medio-lunghi gli interventi;
• la cattiva gestione dello sfruttamento degli alvei, attraverso scavi e
asportazione di materiali litoidi che hanno avuto ripercussioni pesanti sui profili
longitudinali e sulle caratteristiche ecologiche dei corsi d’acqua, nonché la

18
realizzazione di manufatti pesantemente invasivi che hanno compromesso in
varie occasioni le condizioni ambientali dei fiumi.

Un piano di bacino si pone l’obiettivo di superare l’approccio contingente di


gestione dell’emergenza, che ha contraddistinto la difesa del suolo fino a questi
anni, ponendo a base delle decisioni la lettura integrata delle diverse componenti
del ciclo delle acque con particolare attenzione alla dinamica delle piene dei corsi
d’acqua e conseguentemente alle aree inondabili.
A tal fine, è stato messo a punto un sistema di supporto alle decisioni che
consentisse di individuare con buona affidabilità i punti critici e le priorità di
intervento sui corsi d’acqua. In parallelo, si è sviluppato lo studio dei fenomeni
idrologici che ha portato alla definizione delle curve di probabilità di ricorrenza di
piogge e portate, nei limiti di affidabilità dei dati disponibili e, infine, sono state
definite le aree a RISCHIO di inondazione secondo l’approccio dettato anche dalla
normativa nazionale in materia (Legge n. 267/98), per cui il RISCHIO (R) è
rappresentato dal prodotto di tre/quattro fattori: la pericolosità (P) (ovvero la
probabilità di accadimento di un evento calamitoso di una certa entità), il danno
atteso (D) (inteso come perdita di vite umane o di beni economici pubblici e privati),
la vulnerabilità (V) (ovvero la condizione di esposizione al danno in funzione
dell’intensità di un fenomeno naturale); il valore esposto (E) (ovvero il valore che
può essere espresso in termini monetari o di numero o quantità di unità esposte
della popolazione, delle proprietà e delle attività economiche, inclusi i servizi
pubblici, a rischio in una data area.
Di conseguenza:
R=P×E×V
ovvero:
R=P×D
dove:
D=E×V

Dalle relazioni riportate discende che il rischio da associare a un determinato


evento calamitoso dipende dalla intensità e dalla probabilità di accadimento
dell’evento, dal valore esposto degli elementi che con l’evento interagiscono e dalla
loro vulnerabilità.

Esistono, in particolare, tre zone distinte del territorio (A, B, C) caratterizzate dal
poter essere interessate da eventi di alluvione corrispondenti ad uno dei tre livelli
di pericolosità:
A. piene dei corsi d’acqua maggiori con tempo di ritorno 30 anni (ZONA A): aree
molto pericolose e nelle quali le attività antropiche fisse non sono compatibili
con la dinamica dei corsi d’acqua, è vietata l’edificazione e si deve tendere a
disincentivare la localizzazione di ogni attività che comporti un’occupazione
permanente del territorio (per esempio, la classificazione di una golena o di
un’ansa fluviale come area di tipo A implica che è assolutamente da evitare
19
l’insediamento in quell’area, dal momento che essa serve per la dinamica del
fiume);
B. piene dei corsi d’acqua maggiori con tempo di ritorno 200 anni, oppure
esondazioni più frequenti ma di minore entità quali quelle derivanti dal reticolo
di bonifica o dai corsi d’acqua minori (ZONA B): occorre che i manufatti e gli
insediamenti abbiano particolari caratteristiche, tali da renderli compatibili
senza eccessivi danni con l’allagamento che, in casi eccezionali, può comunque
verificarsi;
C. piene di entità catastrofica corrispondenti a tempi di ritorno di 500 anni dai
corsi d’acqua maggiori (ZONA C): occorre che si sappia come intervenire nel caso
tali calamità si verifichino, e quindi devono essere predisposti piani di
protezione civile che, a fortiori, si estendono anche alle zone A e B.

portata Portata
massima nel
fiume

Volume complessivo
che esce dal fiume
durante la piena
tempo

Figura 1. Calcolo del volume potenziale esondato in corrispondenza di una data area

Figura 2. Schema di propagazione dell’esondazione per nei territori di pianura

20
Caso 2: la sezione non contiene la portata di
progetto, per cui si esegue il calcolo del
livello come se l’acqua crescesse
verticalmente , e successivamente si estende
il livello calcolato fino al limite morfologico

Caso 1: la sezione contiene la


portata di progetto

Figura 3. Schema di calcolo delle fasce di esondazione in collina-montagna

Un Piano di Bacino segnala, inoltre, la necessità degli interventi di manutenzione


ordinaria degli alvei. La manutenzione, in generale, dovrà riguardare il taglio della
vegetazione nei tratti arginati dove non sia possibile mantenere una sezione
officiosa in presenza di tronchi nella corrente, mentre potrà essere limitata alle
sole esigenze di sicurezza idraulica per non compromettere lo sviluppo di
ecosistemi ampi e ben diversificati ove questo è possibile.
Infine, non deve essere assolutamente trascurato il fatto che, nel processo di
trasformazione urbanistica, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo di
insediamenti come quelli rurali oggetto del presente studio, il territorio
dell’Autorità di Bacino si presenta estremamente dinamico. Tant’è che, per limitare
gli effetti dovuti all’impermeabilizzazione dei suoli, il Piano di Bacino hanno
introdotto il principio dell’invarianza idraulica: ogni progetto di trasformazione
dell’uso del suolo che provochi una variazione di permeabilità superficiale deve
prevedere misure compensative volte a mantenere il coefficiente udometrico (la
portata di massima piena di assegnato tempo di ritorno per unità di superficie)
costante. In linea generale, le misure compensative sono da individuare nella
predisposizione di volumi di invaso che consentano la laminazione delle piene.
L’Autorità di Bacino adotta una metodologia per la prescrizione del volume minimo
di invaso (espresso in mc per ettaro) da adottare nelle trasformazioni urbanistiche,
in funzione dell’indice di fabbricazione previsto nell’espansione. In pratica, una
volta scelto l’indice di fabbricazione per un determinato comparto, il Piano
Urbanistico Comunale dovrà adottare anche i valori di volume di invaso minimi
richiesti, valutati con il metodo proposto.
Quindi, ogni qualvolta si interviene sul territorio bisogna seguire le seguenti linee di
azione per il mantenimento della sicurezza idraulica:
• adeguamento di manufatti critici;
• eventuale adeguamento di tronchi fluviali di pianura;
• attività conoscitiva di approfondimento su tutti i corsi d’acqua, soprattutto in
merito alla caratterizzazione del rischio da collasso arginale;
• mantenimento delle aree esondabili di collina e montagna;
• indirizzo a una gestione dei suoli agricoli adeguata in termini di regimazione
delle acque;
• prescrizione dell’invarianza idraulica delle trasformazioni urbanistiche.

21
MASSERIA CILENTANA, CELLE DI BULGHERIA

22
| CAPITOLO 4

VADEMECUM PER LE OPPORTUNITA’ DI SVILUPPO E VALORIZZAZIONE DEL


PATRIMONIO EDILIZIO RURALE

PREMESSA
Le indicazioni contenute nei paragrafi seguenti hanno un duplice obiettivo: da un
lato sono volte a guidare il personale tecnico e amministrativo nell'accertamento
della compatibilità di un intervento edilizio su un immobile con le prescrizioni della
pianificazione urbanistica e territoriale e con i rischi naturali e antropici
eventualmente presenti nell'area in esame; dall'altro ad individuare linee
strategiche e condizioni di sviluppo entro cui l'intervento sull'architettura rurale si
può utilmente inquadrare.

4.1 LOCALIZZAZIONE DELL'IMMOBILE

L'identificazione dell'ubicazione dell'immobile all'interno del territorio in esame e


delle sue caratteristiche (destinazione d'uso, relazione con l'urbanizzato circostante,
accessibilità) rappresenta una fase necessaria per la lettura della strumentazione
urbanistica e territoriale. Per un più rapido ed efficace svolgimento delle operazioni
successive si consiglia di utilizzare un software GIS.
1. individuazione dell'immobile e delle sue coordinate altimetriche e
planimetriche (preferibilmente in sistema di riferimento cartografico UTM WGS
84 - Zona 33N);
2. individuazione della tavoletta della Carta tecnica regionale (Ctr), edizione 2004,
in cui è rappresentato l'immobile, consultando il geoportale della Regione
Campania (http://sit.regione.campania.it/WebGisOD/mapviewer.jsf);
3. valutazione dell'accessibilità dell'immobile (distanza dal centro abitato, distanza
dalle principali vie di comunicazione, tipo di strada di accesso al lotto);
4. identificazione dei riferimenti catastali dell'immobile (foglio, particella,
eventuali subalterni) e delle attuali destinazioni d'uso.

4.2 OPPORTUNITÀ DI USO E VALORIZZAZIONE

L'analisi della strumentazione urbanistica, a tutti i livelli gerarchici previsti dalla


normativa vigente, consente di valutare, da un lato, l'appropriatezza dell'intervento
previsto relativamente alle strategie di sviluppo territoriale e di tutela ambientale e
paesaggistica delineate dalla pianificazione sovraordinata e, dall'altro, la
compatibilità dello stesso con le normative di uso e di trasformazione del territorio
di livello locale.

23
i. PIANI URBANISTICI GENERALI DI AREA VASTA

1. Consultazione del Piano territoriale regionale (Ptr):


• identificazione del Sistema territoriale di sviluppo (Sts) in cui ricade il
Comune in cui è sito l'immobile e della relativa dominante;
• individuazione degli interventi programmati per il miglioramento
dell'accessibilità per il Sts in esame;
• individuazione degli Indirizzi strategici prioritari per il Sts in esame e
accertamento delle azioni e delle politiche da porre in essere per ognuno di
essi.
2. Consultazione del Piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp):
• verifica dell'appartenenza del Comune in cui è sito l'immobile a eventuali
sottosistemi definiti dal Ptcp e individuazione delle strategie ad essi relativi,
ovvero verifica dell'appartenenza dell'immobile a specifiche zone
individuate dal Ptcp e delle prescrizioni normative per le stesse;
• individuazione di eventuali vincoli di carattere paesaggistico e/o ambientale
che insistono sull'area in cui ricade l'immobile (Cfr. C).

ii. PIANI DI SETTORE DI AREA VASTA

L'esame dei piani di settore di area vasta che hanno effetti sul territorio in cui è sito
l'immobile è indispensabile per comprendere se l'intervento previsto sia conforme
con le strategie di tutela ambientale e paesaggistica; tale verifica è da effettuarsi
mediante consultazione delle tavole di analisi del Ptcp.
1. Consultazione del Piano di assetto idrogeologico (Pai) dell'Autorità di Bacino
competente:
• verifica dell'appartenenza dell'immobile a zone interessate da rischio
idraulico e/o rischio frane, nonché controllo degli interventi ammessi per le
zone in questione dalle Norme tecniche d'attuazione (Nta) del Pai (Cfr. C);
2. Consultazione del Piano paesaggistico o del Piano territoriale paesistico (Pp),
ove presente:
• verifica dell'appartenenza dell'immobile a zone di tutela paesistica e
controllo degli interventi ammessi per le zone in questione dalle Nta del Pp;
3. Consultazione del Piano del parco (PdP), ove presente:
• verifica dell'appartenenza dell'immobile a zone di tutela dei valori
naturalistici del Parco e controllo degli interventi ammessi per le zone in
2
questione dalle Nta PdP ;

2
Qualora l'immobile ricadesse in un Parco nazionale o regionale, ma il PdP non fosse stato approvato,
sarà necessario valutare la compatibilità degli interventi sull'immobile con le norme di salvaguardia del
Parco.
24
iii. STRUMENTAZIONE URBANISTICA COMUNALE
L'inquadramento urbanistico comunale è definito da:
1. individuazione della zona territoriale omogenea in cui ricade l'immobile nel
Piano comunale vigente;
2. Estratto dalle Norme Tecniche di Attuazione della relativa normativa in termini
di: categorie di intervento ammesse, destinazioni d'uso consentite e modalità di
attuazione previste;
3. Verifica del Regolamento edilizio comunale per la disciplina degli aspetti
tecnico-estetici, igienico-sanitari, di sicurezza e vivibilità dell'immobile e delle
sue pertinenze.

4.3 LIMITAZIONI ALL'USO DEL TERRITORIO

VINCOLI PAESISTICI
Ente preposto
Riferimento
Tipologia alla tutela del Azione
normativo
vincolo
art. 136 e 157 Per tutti gli interventi che alterano lo
Cose immobili di
DLgs 42/2004 e stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli
interesse paesistico
s.m.i
edifici ricadenti nelle aree vincolate è
necessario inoltrare al comune istanza di
Soprintendenza per i
autorizzazione paesaggistica di cui all'art.
Beni
Architettonici,Paesa 146 del Dlgs 42/2004 e s.m.i.
art. 143 ggistici Storici,
Aree individuate dal Ai fini dell'accertamento circa l'esistenza
DLgs 42/2004 e Artistici ed Etno-
Piano paesaggistico
s.m.i antropologici di un vincolo paesaggistico è possibile
consultare le tavole di analisi del Ptcp
oppure il sito http://sitap.beniculturali.it/
a cura del Ministero dei Beni e delle
Attività Culturali e del Turismo.

Per tutti gli interventi non ricompresi


all'art. 3 del Regolamento regionale
1/2010 è necessario effettuare
Regione Campania o Valutazione di Incidenza secondo le
i Comuni che modalità stabilite dal medesimo
Siti di Interesse Direttiva abbiano richiesto
regolamento Le mappe e le
Comunitario e Zone 92/43/CEE; l’attribuzione delle
perimetrazioni dei Siti di Interesse
di Protezione Direttiva competenze in
Speciale 79/409/CEE materia di Comunitario e delle Zone di Protezione
Valutazione di Speciale possono essere acquisite al
Incidenza seguente link:
ftp://ftp.dpn.minambiente.it/Natura2000/Tras
missioneCE_2014/schede_mappe/Campania/

25
VINCOLI PER LA TUTELA DEI BENI CULTURALI
Ente preposto
Riferimento
Tipologia alla tutela del Azione
normativo
vincolo

Il rilascio di concessioni o autorizzazioni


relative ad interventi impianti ed opere
all'interno del parco è sottoposto al
Aree naturali legge preventivo nulla osta dell'Ente parco
Enti parco o enti di
protette non 394/1991;
gestione delle aree L’elenco delle aree protette della
tutelate dalla legge Legge regionale
protette
431/1985 33/1993 Campania possono essere acquisite al
seguente link:
http://www.regione.campania.it/assets
/documents/areeprotette.pdf

Se l’immobile è soggetto a tale vincolo,


per qualsiasi intervento che ne altera
l’aspetto è necessario inoltrare al
comune istanza di autorizzazione
paesaggistica di cui all'art. 146 del Dlgs
42/2004 e s.m.i.
Soprintendenza per i
L’elenco degli immobili vincolati è
Beni Architettonici,
Vincoli per le cose art. 10 e 128 conservato presso la competente
Paesaggistici, Storici,
immobili d’interesse DLgs 42/2004 e Soprintendenza per i Beni Architettonici
Artistici ed
artistico e storico s.m.i
Etnoatropologigi e Paesaggistici. Oltre agli immobili
riconosciuti di interesse con apposito
provvedimento di vincolo, sono
sottoposti alle disposizioni di tutela gli
immobili costruiti da oltre 50 anni che
appartengono allo Stato, alle Regioni o
ad altri Enti Pubblici, ovvero a persone
giuridiche private senza fini di lucro.

26
VINCOLI PER LA TUTELA DEI BENI CULTURALI
Ente preposto
Riferimento
Tipologia alla tutela del Azione
normativo
vincolo
Sulle zone boscate e sui pascoli i cui
soprassuoli siano stati percorsi dal
fuoco, è vietata per 10 anni la
realizzazione di edifici nonché di
strutture e infrastrutture finalizzate ad
insediamenti civili ed attività
Aree percorse dal legge 353/2000 produttive, e per 15 anni il cambio della
Comune
fuoco e s.m.i.
destinazione d’uso preesistente
all’incendio

Il Catasto degli incendi boschivi è


consultabile sul Geoportale della
Regione Campania al seguente indirizzo:
http://sit.regione.campania.it/portal

FASCE DI RISPETTO
Riferimento
Tipologia Azione
normativo

Le aree ricadenti entro un raggio di 10m dalle opere


di captazione e derivazione dell’acqua (Pozzi e
Pozzi e Sorgenti di
Approvvigionamento Sorgenti) ad uso potabile costituiscono zone di tutela
DLgs 152/2006 assoluta
Idropotabile

http://www.ildistrettoidrograficodellappenninomerid
ionale.it/tav%204.1-campania.jpg

È vietato costruire nuovi edifici ed ampliare


significativamente quelli preesistenti entro il raggio
Regio Decreto
di 200 metri dal perimetro del cimitero stesso.
Zone di rispetto dei 1265/1934;
Nell’ampliamento di cimiteri esistenti è possibile
cimiteri Dpr 803/1975;
Dpr 285/1990 ridurre la fascia di rispetto da 200 fino a 100 m per i
Comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti
e fino a 50 m per gli altri Comuni

27
FASCE DI RISPETTO
Riferimento
Tipologia Azione
normativo
Le limitazioni e i divieti riguardano una fascia di
terreno definita come Distanza di prima
approssimazione (Dpa). Essa riguarda solo gli
Dm 449/1988;
Zone di rispetto di impianti di distribuzione di maggiore importanza e si
DM 16/01/1991;
Elettrodotti
Dm 29/05/2008 computa come distanza del bordo della fascia dal
centro della proiezione al suolo dell’impianto

Il tracciato dei metanodotti è riportato nella Ctr 2004


Le limitazioni si applicano a tutte le strade pubbliche,
intendendo per queste non solo le strade statali,
Zone di rispetto delle regionali e comunali (inserite in appositi elenchi
DLgs 285/1992;
strade pubbliche e depositati presso la Prefettura), ma anche alle strade
Dpr 494/1992
delle autostrade
vicinali che siano, o per uso o per averne le
caratteristiche, assimilabili alle strade pubbliche

I divieti e le limitazioni riguardano una fascia di 30 m


dalla linea della più vicina rotaia. Tale distanza
Zone di rispetto delle concerne le sole ferrovie, ad esclusione dei servizi di
Dpr 753/1980
ferrovie pubblico trasporto assimilabili (tramvie, ferrovie
metropolitane e funicolari su rotaia). Per questi
ultimi la distanza è ridotta a 6 m
Nelle direzioni di atterraggio non possono essere
costituiti ostacoli a distanza inferiore a 300 m dal
perimetro dell’aeroporto; nelle altre direzioni e fino
ai 300 m dal perimetro non possono essere costituiti
ostacoli che superino l’altezza di 1 m per ogni 7 m di
Regio Decreto
Zone di rispetto degli distanza dal perimetro stesso. Le limitazioni, con
327/1942;
aeroporti e aerodromi
DLgs 96/2005 diversa normativa, possono estendersi sino a 30 km
dal perimetro dell’aeroporto.

Tali ultime limitazioni sono indicate dal Ministero


della Difesa su apposte mappe custodite nell’archivio
comunale

Le limitazioni sono indicate per ogni singola zona e


per ogni singola opera tramite un decreto del
Comandante militare territorialmente competente.
Zone di rispetto legge 898/1976; Tali decreti vengono pubblicati presso i Comuni
delle opere militari Dpr 780/1979 interessati e di essi chiunque può prenderne visione
in ogni momento. Opere in deroga alle limitazioni
fissate con il predetto decreto possono essere
autorizzate dal Comandante territoriale

28
FASCE DI RISPETTO

Riferimento
Tipologia Azione
normativo
Tale zona è individuata dalla legge nella fascia di 30
m dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni
elevati sul mare. In tale zona, l’esecuzione di nuove
Zone di rispetto del opere di qualsiasi genere è sottoposta al nulla osta
Regio Decreto 327/1942
demanio marittimo del Capo del Compartimento. Non è richiesta alcuna
autorizzazione quando le costruzioni in tali zone di
rispetto sono previste in strumenti urbanistici già
approvati dall’autorità marittima.

4.4 RISCHI NATURALI E ANTROPICI

Tipologia di Riferimento
Azione
rischio normativo

Qualora l’immobile ricada in un’area a rischio idrogeologico, così


come classificata dal Pai, il Comune è tenuto a verificare la
legge compatibilità dell’intervento previsto con quelli consentiti dal Pai.
Rischio 183/1999;
legge Per la consultazione dei Pai delle Autorità di Bacino della Campania
idrogeologico
183/1999; si faccia riferimento al seguente indirizzo web del Servizio Geologico
Nta del Pai e Difesa del Suolo della Regione Campania contenente i link utili allo
scopo
http://www.difesa.suolo.regione.campania.it/content/view/194/38/

Nei comuni classificati sismici si applicano le disposizioni di cui alla


Deliberazione legge 64/1974 e s.m.i. e le Norme tecniche per le costruzioni in zone
di Giunta sismiche, di cui al Dm 14 gennaio 2008, integrate con la Circolare
Rischio
Regionale applicativa n. 617 del 2 febbraio 2009, diramata dal Consiglio
sismico
Campania Superiore dei Lavori Pubblici
5547/2002
La classificazione sismica del Comune, è reperibile all'indirizzo:
http://goo.gl/3pbLMw.

Nei comuni appartenenti alla zona ad alto rischio vulcanico del


Legge
Rischio Vesuvio (zona rossa) non è consentito l’incremento dell’edificazione
regionale
vulcanico a scopo residenziale, mediante l’aumento dei volumi abitabili, e dei
21/2003
carichi urbanistici derivanti dai pesi insediativi nei rispettivi territori

29
Tipologia di Riferimento
Azione
rischio normativo

La prossimità con un'azienda a rischio di incidente rilevante


potrebbe incidere nella valutazione della destinazione d'uso
dell'immobile. Qualora lo strumento urbanistico non sia dotato di un
elaborato tecnico "Rischio di incidenti rilevanti", relativo al controllo
dell'urbanizzazione nelle aree in cui sono presenti stabilimenti, i
Rischio da titoli abilitativi sono rilasciati qualora il progetto sia conforme ai
Dm 9 maggio
Incidente requisiti minimi di sicurezza
2001;
Rilevante
Dlgs 105/2015 Per l'individuazione delle aziende RIR l'elenco del Ministero è
(RIR)
reperibile all'indirizzo:
http://www.minambiente.it/pagina/inventario-nazionale-degli-
stabilimenti-rischio-di-incidente-rilevante-0
Utile anche il rapporto dell'ARPAC :
http://www.arpacampania.it/documents/30626/0/Rapporto_RIR_2
014.pdf

30
| CAPITOLO 5

DOCUMENTAZIONE, RICONOSCIMENTO E VALUTAZIONE DEI CARATTERI IDENTITARI DEL


PATRIMONIO CULTURALE RURALE
DISCRETIZZAZIONE CRITICA, CONOSCENZA MULTISCALARE E MULTIDISCIPLINARE

5.1 INTRODUZIONE E OBIETTIVI

La Campania presenta un modello di territorio ottimale per lo sviluppo di nuove


piattaforme scientifiche di documentazione sia per la qualità, che per la varietà del
suo patrimonio Culturale-paesaggistico. Infatti, il patrimonio Culturale presente
uniformemente in Campania rispecchia pienamente il concetto di sviluppo
perseguito dalla civiltà romana che ha teso sempre a costruire un elemento
identitario tra i luoghi e la cultura storica e sociale dei popoli. Da questa premessa
è nata la realtà del paesaggio costruito in rapporto alla natura, alla morfologia, alle
vie d’acqua e all’uso del suolo. D’altra parte, il concetto di identità dei luoghi,
nell’accezione contemporanea, appartiene alla cultura sociale e favorisce la
comunicazione del patrimonio, costituito dal paesaggio materiale e immateriale.
L’UNESCO World Heritage Centre (WHC), ha individuato nel territorio campano sei
3
properties con diversificate categorie tipologiche . Tra queste rientra l’area del
Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, di grande qualità culturale e
paesaggistica. Ritengo pertanto che, a conclusione dello studio, si dovrebbe porre
attenzione, oltre che al recupero dei manufatti rurali, alla possibilità di iscrizione
dei suoi beni più significativi nella UNESCO World Heritage List.
Purtroppo, il grande patrimonio storico-culturale rurale versa, da decenni, in uno
stato di elevato degrado, presenta numerosi dissesti e soprattutto è poco
valorizzato (De Masi, 2006) a causa dell’indifferenza mostrata dalla classe dirigente
locale e nazionale ad individuare linee di sviluppo culturali-turistiche per la
Campania. Ciò ha determinato un grave danno sia culturale, che d’immagine per il
territorio campano sul piano internazionale e una scarsa resa economica dei suoi
beni culturali. Quindi, “documentazione” e “tutela” del patrimonio rappresentano i
punti di partenza per la realizzazione di iniziative di valorizzazione durature nel
tempo. In quest’ottica, ovviamente, la natura culturale ed economica del
patrimonio non potranno essere separate. Difatti, una visione lungimirante del
concetto di patrimonio culturale determinerà (Novelli, 2012):

• una “valenza economica” dei beni per i costi legati alla sua salvaguardia e alla
sua comunicazione;
• “politiche di sviluppo” della sua conoscenza e fruizione che richiedono investimenti;
• “attività imprenditoriali” che possono generare occupazione e benessere, come
le attività legate al turismo culturale.

3
per lo studio verificare il sito http://whc.unesco.org/en/list/
31
La necessità di acquisire dati, documentazioni ed effettuare relative valutazioni
inerenti le architetture significative del patrimonio rurale è provata dall'esistenza di
organizzazioni internazionali che hanno, come principale obiettivo, la definizione di
specifiche rigorose per la documentazione adeguata dei monumenti (Pavlidis et al.,
2007). L’obiettivo principale è connesso alla crescente domanda di documentazione del
patrimonio culturale al fine di supportarne la fase di valorizzazione, rigenerazione e
restauro degli edifici rurali delle aree esaminate. Secondo l’ICOMOS ogni
organizzazione nazionale ed internazionale è responsabile sia dei monumenti creati
dall'uomo, che della realizzazione di appropriati metodi di documentazione degli
stessi.
La documentazione da acquisire potrà includere descrizioni scritte e analisi,
fotografie (aree o terrestri), la rettificazione fotografica, la fotogrammetria,
l’indagine geofisica, le mappe, i disegni e gli schizzi, altre tecnologie tradizionali e
moderne (Sormann, 2004). Inoltre, la necessità di tecniche appropriate per
l'interpretazione, la presentazione e la documentazione digitale costituisce un
elemento importante per consentire a tutti i paesi la creazione, la diffusione, la
conservazione del loro patrimonio e la continua accessibilità digitale allo stesso
(Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, 2003). Da
questo punto di vista l'uso di modelli computerizzati 3D del patrimonio culturale
apre verso applicazioni aggiuntive e consente nuove analisi, interpretazioni,
politiche di conservazione e, soprattutto, la conservazione digitale oltre al restauro
dei beni esaminati.
In tale quadro di ricerca è stato elaborato un “Sistema di Riconoscimento e
Valutazione dei Caratteri Identitari" delle fabbriche rurali dell’area cilentana e
vesuviana (SRV) che rientra nella procedura di supporto istituita dal Centro
Universiatrio Europeo per i Beni Culturali (CUEBC). La procedura, proposta nel
presente studio, consente una conoscenza multiscalare, multidisciplinare e
multidimensionale del Patrimonio Culturale Rurale censito dal gruppo di ricerca
nella piattaforma digitale del Centro Regionale Beni Culturali della Campania
(CRBC). La suddetta conoscenza, fattore indispensabile per una tutela attiva, è stata
raggiunta attraverso la definizione di un database “critico” che si configura come
“Piattaforma Digitale di Rilievo del Sistema Complesso” (PDRSC) relativo al
patrimonio rurale censito dal Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile ed Ambientale
(D.I.C.E.A.) dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. L’infrastruttura del
database assume un ruolo di primo piano nella gestione integrata dei beni
architettonici rurali al fine di individuare una rigenerazione e un piano di
valorizzazione della stessa architettura rurale distribuita uniformemente sul
4
territorio esaminato. Pertanto, il cluster propone di conseguire alcuni valori
aggiunti:

4
Con il termine cluster si intende generalmente un gruppo; il sostantivo, invariante, viene utilizzato
prevalentemente in ambito scientifico e tecnico. Nell'ambito scientifico, con il termine cluster si intende
un gruppo di unità simili o vicine tra loro, dal punto di vista della posizione o della composizione. Un
cluster è un insieme di computer connessi tramite una rete telematica (v. https://it.wikipedia.org/wiki/Cluster).
32
• l’attivazione di scambi di informazioni per i diversi utenti a differenti scale;
• l’apertura a collaborazioni interdisciplinari sulla base di una riconosciuta
identità scientifica.

L’infrastruttura così progettata consente la comparazione degli elementi funzionali,


tipologici, storici, strutturali, nonché fotografici dell’edificio o di sue parti
significative, con la documentazione riportata nelle Schede di Censimento (SC) o
nelle Schede d’Intervento (SI) per valutare il recupero del complesso in un contesto
di paesaggio culturale (Ferrigni, 2015). Il SRV potrà essere utilizzato da singoli
progettisti al fine di identificare gli elementi documentali presenti nei manufatti sui
quali individuano l’intervento di progettazione e consente loro di riferirli
correttamente a quelli analizzati nell’Abaco. L’intervento, fornisce una Procedura di
supporto capace di stimolare gli stakeholders al fine di effettuare interventi di
restauro dell’architettura rurale, convenienti per la collettività e per la società
civile. Il SRV consente di soddisfare due condizione per il “Piano di Riuso e Tutela
Attiva dell’edilizia rurale di pregio” (PRTA) (Ferrigni, 2015):
• sistematizzare gli elementi documentali ricavati dalle SC (già prodotte) e
consente di confrontare i dati del manufatto architettonico da recuperare con
quelli archiviati sulla piattaforma del Centro Regionale per i Beni Culturali
(CRBC) della Campania;
• caratterizzare l’intervento di recupero del manufatto con le indicazioni tecniche
presenti nel Manuale delle Buone Pratiche (MBP) e nell’Abaco degli Elementi
Documentali (AED).
Con queste prerogative è stato possibile creare una “rete di relazioni e di
conoscenze” tra le fonti documentarie e il censimento del patrimonio culturale
rurale del Cilento e dell’area vesuviana acquisite dai ricercatori del D.I.C.E.A.
all’interno del database del CRBC. I dati e la documentazione grafica raccolta nella
piattaforma del CRBC, messa a punto dal gruppo di ricerca del CUEBC, consente
una molteciplicità di letture e valutazioni dello straordinario patrimonio culturale
rurale della Campania. Dati e documentazione in costante integrazione e
modificazione, definiscono una piattaforma di riferimento per la ricerca, la tutela e
la valorizzazione del territorio della Campania. La piattaforma consentirà all’utente
di estrapolare dal database CRBC le informazioni più opportune per scopi di
valorizzazione e recupero dei manufatti. Questo rappresenta un fatto
assolutamente innovativo per la Campania e per il territorio studiato.
Il database è inteso “critico” in quanto permette di individuare:
1. le criticità del patrimonio rurale documentato;
2. le modificazioni intervenute nel tempo;
3. lo stato di conservazione delle architetture rurali;
4. i punti di forza per la valorizzazione e il restauro;
5. gli indirizzi di recupero e di gestione dei beni.

33
Il lavoro di ricerca, così discretizzato nel CRBC della Regione Campania contempla
tre ambiti:
1. multiscalare in quanto si fonda su di uno studio a più scale di rappresentazione
dei manufatti rurali con analoghi livelli di restituzione delle informazioni
documentate;
2. multidisciplinare in quanto integra diverse discipline;
3. multidimensionale perché opera contemporaneamente su diversi piani di
lavoro ed è in grado di confrontare ed integrare rapidamente più “layer di
informazione”.

Gli ambiti descritti hanno consentito di discretizzare il patrimonio rurale in parti per
individuare aspetti dimensionali, costruttivi, tipologici, funzionali e, quindi,
successivamente delle “linee guida” e dei “criteri di lettura” per la documentazione
del patrimonio culturale rurale esistente. L’impiego di un metodo di lettura
multidisciplinare si fonda sulla conoscenza del paesaggio, sul disegno e sul rilievo,
sulla successiva rappresentazione, la ricerca delle fonti storiche e culturali, sulle
prescrizioni in merito alla tutela delle architetture e del paesaggio ed assolve ad
una funzione importante per gli utenti e gli studiosi. Da questo punto di vista l’iter
seguito richiama il procedimento di “Rilevamento” che rappresenta l’operazione
del rilevare, nella concretezza dell’osservare, del misurare e ragionare con somma
cura su un certo organismo architettonico (Docci & Maestri, 2009) per averne la
piena conoscenza. Lo scopo della procedura del Rilevamento è quello di offrire una
documentazione eccellente, ineccepibile, ricettiva di tutte le sollecitazioni e i riflessi
psicologici e di tutti i ricordi che l’opera architettonica può suggerire (Zander,
1893).
Gli ambiti di ricerca multiscalare, multidisciplinare e multidimensionale, sono stati
oggetto di applicazione da parte dell’autore in precedenti progetti di ricerca quali:

• “Rural Vernacular Heritage 2007-14”, istituito dall’UNESCO WHC, Parigi;


• “Open Source in use for the Cultural Heritage Communication Process" (2012),
istituito dall’ICOMOS-CIPA (Comitato Internazionale per Fotogrammetria
architettonica) con la Task Group 2;
• “Architettura Rurale tra Villa Literno e Carinola (Ce)” presso il Dipartimento di
Cultura del Progetto della Seconda Università degli Studi di Napoli, confluito
5
nell’omonima pubblicazione edita nel 2006 da Alinea Editrice .

La piattaforma messa a punto potrà offrire risvolti pratici per il modello di smart
Cultural Heritage inteso come identità dei luoghi supportato dall’implementazione
di tecnologie intelligenti, dalla conoscenza e inclusione sociale per la partecipazione

5
La pubblicazione è stata patrocinata da 17 Istituzioni internazionali e nazionali tra cui il Consiglio
d’Europa, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Campania, Provincia di Caserta e il
CUEBC.
34
attiva degli utenti nella promozione del patrimonio culturale. Il pensiero corrente
sull'intelligenza urbana e sulla costruzione di smart cities e smart territories sta
generando un nuovo concetto di territorio, in cui il rapporto tra la realtà
contemporanea e il tessuto storico diventa un fattore importante di ripensamento
degli smartnes urbani attraverso lo studio del patrimonio storico artistico
all'interno della città virtuale (Caragliu et al., 2009). In futuro con applicazioni open
source si potrà concettualizzare un servizio personalizzato e contestualizzato di
esplorazione dei Beni Culturali rurali per la pubblica amministrazione, per cittadini
e turisti al fine di coinvolgere tutti i soggetti interessati in materia di innovazione
sociale. Ciò con l’obiettivo di favorire:
• un’analisi esperienziale del territorio;
• un modello di incubatore di cultura e attività turistiche della Campania;
• azioni relative ad una mobilità intelligente;
• destinazioni turistiche che interconnettano sistemi di beni, servizi ed esperienze
all'interno di un complesso set di relazioni.

Il territorio dovrà configurarsi come modello di produzione di beni e servizi di


qualità attraverso una “piattaforma di dialogo” in cui la documentazione del
patrimonio culturale costituisce il punto di partenza. Organizzazioni internazionali
quali ICOMOS CIPA, ICOMOS ICIP, si stanno occupando di questo già da tempo. Per
detto obiettivo, però, occorre un “modello condiviso di rigenerazione” del
patrimonio culturale rurale al fine di individuare le preesistenze, la vocazione
agraria dei siti, l’identità dei luoghi e garantire la loro tracciabilità per le future
generazioni.

5.2 IL CRBC E LA DISCRETIZZAZIONE DEL PATRIMONIO RURALE

Il CRBC, istituito nell’ambito del PON Ricerca 2000-2006 che ha finanziato


l’omonimo progetto di Ricerca e Sviluppo del Consorzio Glossa, è scaturito dal
protocollo d’intesa tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Direzione
Regionale per la Campania) e la Regione Campania (Assessorato al Turismo e ai
Beni Culturali) con la “Costituzione del Centro Regionale Campano per la
Catalogazione e Documentazione dei Beni Culturali e Paesaggistici”.

Il CRBC, progettato come organismo tecnologico all’avanguardia è stato realizzato


con l’obiettivo di far confluire tutti i dati e la documentazione relativa ai beni
culturali catalogati in Campania in un’unica banca dati regionale per le diverse
tipologie di patrimonio culturale.
6
Esso realizza e fornisce i seguenti servizi :
1. garantisce il governo e la gestione del territorio e dei beni culturali, ambientali e
paesaggistici in esso presenti per la Regione Campania;
2. supporta e ottimizza l’attività di catalogazione e documentazione per il

6
cfr. http://www.campaniacrbc.it.
35
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ICCD, Dir. Regionale e
Soprintendenze;
3. garantisce l’amministrazione del proprio territorio per gli Enti Locali, Provincia,
Comuni della Campania;
4. consente di accedere e di fruire delle informazioni catalogate del patrimonio
ambientale e culturale con evidenti ricadute anche dal punto di vista turistico
per il cittadino/gli studiosi;
5. consente di rafforzare l’offerta e renderla competitiva sul piano nazionale e
internazionale per il settore turistico-culturale;
6. consente di organizzare in maniera gerarchica, funzionale ed economica, le
informazioni di base per l’Istruzione e il mondo della Ricerca Scientifica.

Il database del CRBC consente di discretizzare la complessa realtà dei beni


architettonici ed ottenere una lettura delle parti costituenti l’edificio secondo il
modello “scheda di catalogo A” di censimento dei beni architettonici dell’Istituto
Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD). Ciò avviene attraverso lo
studio dei seguenti dati: CD_Codici; AC_Altri Codici; OG_Oggetto; LC_Localizzazione
Geografico-Amministrativa; CS_Localizzazione Catastale; AU_Definizione Culturale;
RE_Notizie Storiche; PE_Preesistenze; SI_Spazi; IS_Impianto Strutturale; PN_Pianta;
FN_Fondazioni; SV_Strutture Verticale; SO_Strutture di Orizzontamento;
CP_Coperture; SC_Scale; PV_Pavimenti e Pavimentazioni; DE_Elementi Decorativi;
LI_Iscrizioni, Lapidi, Stemmi; EA_Elemento Architettonico; CO_Conservazione;
RS_Restauri; US_Utilizzazioni; LB_Lettura Bioclimatica; IR_Ipotesi di Recupero;
DO_Fonti e Documenti di Recupero; CM_Compilazione; AN_Annotazioni. (Fig. 1 - 9)

La struttura così articolata consente la catalogazione dei beni censiti, la


documentazione degli elementi di particolare interesse architettonico, mentre non
soddisfa la necessità di interrelazione e confronto dei dati censiti. Per tale motivo il
CUEBC ha avviato, come già detto, la procedura di supporto che prevede, tra l’altro,
un progetto di valutazione dei caratteri identitari del patrimonio rurale censito.

5.3 PIATTAFORMA DIGITALE DI RILIEVO DEL SISTEMA COMPLESSO PER IL RICONOSCIMENTO E LA


VALUTAZIONE DEI CARATTERI IDENTITARI DEL PATRIMONIO CULTURALE RURALE

Il gruppo di ricerca del CUEBC per rispondere agli obiettivi enunciati


precedentemente ha messo a punto un’infrastruttura sulla piattaforma tecnologica
esistente del CRBC della Campania. Le voci descritte nel paragrafo precedente,
relative alla scheda di catalogo A dell’ICCD e già contenute nel database del CRBC,
sono state raggruppate per le diverse categorie tipologiche individuate nel
sottocampo “Fattori di Riconoscimento e Valutazione dei Caratteri Identitari del
Patrimonio Rurale” (Dati dell’Unità Architettonica Rurale, Dati di Tipologia
dell’Unità Architettonica Rurale, Elementi di Particolare Interesse dell’Unità
Architettonica Rurale, Dati di Restauro dell’Unità Architettonica Rurale).

36
Inoltre, sono stati individuati nuovi layer di ricerca quali:
• “Fattori Generali dell’Unità Architettonica Rurale” per una lettura comparata
dei dati localizzativi, geografico-amministrativi con la documentazione
cartografica di riferimento dell’I.G.M.I.;
• “Fattori Fisici, Identitari e di Conoscenza del Paesaggio” per comprendere gli
aspetti relativi alla documentazione fotografica del paesaggio rurale, gli ambiti
di paesaggio su cui insistono le diverse unità di paesaggio in relazione agli studi
evidenziati dal Piano Territoriale Regionale della Campania (PTR) del 2006;
• “Prescrizioni per il Recupero del Patrimonio Rurale”;
• “Fattori di Catalogazione” con eventuali annotazioni.

37
DETTAGLIO SCALA ESTERNA, AREA CILENTANA

DETTAGLIO FINESTRA, AREA CILENTANA

38
| CAPITOLO 6

CARATTERI DELL’ARCHITETTURA RURALE

L’architettura residenziale-produttiva contadina va interpretata «come risultato di


rapporti di produzione e di organizzazione agronomica» e «ogni evoluzione dei rapporti
e dell’organizzazione che generano una determinata forma di abitazione, porta
inevitabilmente ad una modifica di quella forma». Tale caratteristico tipo
architettonico, infatti, anche nei casi più strettamente legati alle esigenze di uso,
presenta sempre delle connotazioni formali di valore da salvaguardare e da conservare.
La tipologia, la tecnica costruttiva, l’uso dei materiali e la conformazione morfologica
della casa contadina, non dipendono soltanto dalle condizioni ambientali esterne, dalla
facilità di reperimento delle risorse locali, dai metodi di coltivazione delle terre, ma
soprattutto dalla componente culturale o di costume che si figura come una struttura
che regola tali componenti e determina, in riconoscibili habitat antropogeografici, la
selezione delle forme specifiche attraverso cui si configurano gli elementi dell’esistenza
quotidiana. Solo un’analisi che tenga conto da un lato della conformazione ambientale
del contesto agricolo e dall’altro dello sguardo retrospettivo sulla genesi storica delle
forme stesse, può fornire strumenti di valutazione adatti a tale indagine.
La casa contadina si mostra spesso modulata su schemi compositivi comprensibili solo
in relazione ai cicli agrari propri di epoche superate: così l’architettura diventa il segno
tangibile che lascia leggere le tracce delle antiche culture dell’abitare. In tal senso il
territorio agricolo si presenta come un «grande deposito di memoria collettiva, una
sorta di mosaico le cui tessere sono testimonianze tutt’oggi visibili delle principali tappe
dello sviluppo storico della regione».
Tra le tipologie di architetture contadine, si trova la “casa rurale” e la “masseria”, di cui
le presenti Linee Guida intendono occuparsi.
La casa rurale in Campania tradizionale è generalmente ad un solo piano, oltre il
pianterreno, con il sottotetto adibito il più delle volte a fienile. Al piano terra vi si trova il
focolare ove, di solito, è collocata una grande cappa addossata al muro, all’interno della
quale si apre la canna fumaria. Il comignolo è costituito talvolta da due tegole
combacianti a vertice appena emergenti dal tetto, altre volte è formato da tasselli di
tufo disposti ad edicola, con finestrelle su ogni lato e copertura a cupola. La scala è
prevalentemente esterna, a una o due branche in piena muratura senz’arco di volta o
pilastri di sostegno: da essa è ricavato un piccolissimo vano adibito a legnaio o pollaio, la
cosiddetta “fornella”. Altre volte la scala è interna di legno e meno ingombrante. Spesso
il pianerottolo che dà accesso al piano superiore è coperto da una tettoia in tegola e
una piccola finestra dà luce a ciascun vano e talvolta a più vani, mentre nei solai si può
trovare l’occhio di areazione detto “occhio di bue”. Le finestre che danno luce ai piani
superiori si aprono sulla verticale della porta di ingresso mentre le finestre minori sono
spesso caratterizzate da delle inferriate costituite da grate a scacchi, e talvolta semplici
croci in legno proteggono i finestrini e gli “occhi di bue”.

39
Nell’architettura rurale tradizionale non sono presenti balconi, loggiati, terrazze, fregi:
l’arco è usato di rado a sostegno delle scale e l’unico elemento di decorazione nelle case
più evolute è il portale di ingresso, costruito in pietra locale, che in alcuni casi reca nel
colmo un elemento ornamentale. Quasi sempre la casa è bianca quando non grezza.
Nella campagna di Napoli si evolve il tipo della casa rustica campana con un più intenso
uso dell’arco, la comparsa di passaggi pensili, balconate, poggioli su mensole, terrazzini.
Il cornicione diventa elemento comune e vistoso come le cornici e il fregio; si possono
notare anche motivi decorativi ottenuti con l’alternanza dei mattoni. La terrazza diventa
la copertura delle case coloniche costituite da un solo vano al piano terra, negli orti
irrigui di Napoli (padule) e nella zona Vesuviana. Il materiale da costruzione è in ogni
caso locale: tufo vulcanico a Napoli, argilla a Pozzuoli, pietra lavica vesuviana e laterizi
nel Casertano.
Le tipologie insediative che si riscontrano nell’area Cilentana sono riconducibili a due
sistemi principali: il primo è quello degli abitati storici, organizzati in forme unitarie e
compatte sui rilievi collinari; il secondo è dato dalle costruzioni rurali sparse nella
campagna. I fabbricati rurali costruiti in aperta campagna assumono sempre forme
geometriche regolari e indipendentemente dalla loro posizione geografica o dal
contesto morfologico, propongono schemi semplici riconducibili a impianti planimetrici
rettangolari o quadrangolari. Le forme-tipo insediative sono prevalentemente tre: i
borghi urbani inerpicati, che disegnano il paesaggio montano con tessuti costruttivi
molto fitti e compatti, appena solcati da strade strette e mal lastricate; i complessi
rurali, come le masserie, prevalenti nelle aree collinari e pianeggianti, contraddistinte
da un impianto compositivo austero, spesso dominato dalle torri colombaie
quadrangolari e cilindriche; le dimore rurali semplici sparse, diffuse soprattutto nella
fascia costiera, realizzate spesso con pietra in forme elementari e coperte da tetti a due
pioventi leggermente inclinati.
Gli elementi costruttivi – formali, tecnici e tipologici – di un’abitazione rurale come il
tetto, il comignolo, il cornicione, le finestre, i portoni, erano il segno distintivo che
permetteva di ricondurre al proprietario del fabbricato a una determinata classe
sociale. Le particolarità ornamentali, ove presenti erano estremamente semplici e
dettate da ragioni funzionali: intonacatura grezza della facciata principale; talvolta
fascia di intonaco tinteggiata a calce a segnare i riquadri delle finestre e delle porte;
cornicione del tetto aggettante in coppi e mattoni oppure in pietra. Quanto più il fondo
era produttivo, tanto più curata era la casa, sia sotto l’aspetto formale che per quanto
riguarda le dotazioni accessoriali.
Per quanto riguarda l’area Vesuviana sul piano tipologico, nella definizione delle
modalità compositive degli agglomerati rurali, è possibile distinguere la fascia costiera
da quella urbana interna. Il modello prevalente sulla fascia pianeggiante costiera è
costituito da volumi prismatici isolati coperti a volta (a vela, a padiglione o a botte,
raramente a crociera) articolati da scale esterne su archi rampanti e da
terrazzi a più livelli. Nella maggior parte dei casi è presente un’aia antistante alla casa,
mentre risultano quasi assenti le stalle. Caratteri fortemente segnati e riconoscibili

40
mostrano infine le case Terzigno, Boscoreale e Poggiomarino, composte da una
sommatoria di monovani quadrangolari spesso comunicanti solo attraverso l’aia
esterna e contraddistinte dalla volta a botte del portone di ingresso, dagli archi ribassati
del telaio sovrastante alle aperture esterne dei locali e dal tipico cellaio seminterrato.
Una morfologia diversa mostrano, invece, le case sul versante orientale dove prevale la
copertura con tetti di tegole e l’adozione del tufo giallo come materiale da costruzione.
In quest’area si distinguono due forme insediative prevalenti: quella data dalle case
sparse, con tendenziale sviluppo verticale, diffuse nelle zone medio-montane e quella a
grande accorpamento orizzontale che ricalca il modello delle masserie con ampio
cortile e stalle, tipica delle zone pedomontane contigue alla pianura interna.
Per quanto riguarda gli elementi tettonici prevalenti, nella sub-zona da Boscoreale a
Portici vi è senza dubbio la copertura a volta che domina nell’edilizia locale. Elementi
tettonici specifici delle case vesuviane sul versante occidentale sono i rivestimenti di
intonaco composti di sabbie vesuviane che danno alle case un’impronta cromatica
cinerea, l’uso del lapillo per pavimentazioni e per strati di impermeabilizzazione delle
volte e l’uso della lava per la realizzazione delle strutture portanti. Quasi costante è la
presenza di cellai, per la coltura della vite, e di pozzi per l’approvvigionamento idrico.

6.1 TIPOLOGIE DEGLI INTERVENTI


Gli approcci progettuali per la definizione della volumetria e della forma delle
architetture rurali, sono così definiti:
• Adeguamento e conservazione attraverso innesti
• Ampliamento
• Nuova costruzione
Tali interventi non dovranno stravolgere l’immagine d’insieme del complesso rurale e
dovranno mettere in evidenza l’idea di continuità con la preesistenza, attraverso un
linguaggio e un disegno contemporaneo e minimalista che interpretati i caratteri
tipologici del manufatto secondo nuove declinazioni.
Le forme e le tipologie dovranno appartenere al repertorio tradizionale ricorrente
reinterpretato attraverso una semplificazione formale dei volumi.

a. INNESTI
ADEGUAMENTO E CONSERVAZIONE ATTRAVERSO INNESTI
Gli interventi di adeguamento non dovranno stravolgere l’impianto planimetrico
caratteristico del manufatto rurale.
Sono previsti innesti all’interno del volume esistente, per la realizzazione di nuovi
servizi e spazi al fine di ospitare funzioni aggiuntive relative alla nuova destinazione
d’uso del complesso rurale.

SUDDIVISIONI DEGLI SPAZI INTERNI E MODIFICHE INTERNE


All’interno degli ambienti esistenti saranno, dunque, possibili suddivisioni - in pianta
e/o in alzato - a patto che siano realizzate secondo un principio di distinguibilità e
rimovibilità dell’intervento.

41
MODIFICHE DI FACCIATA
Le modifiche di facciata non dovranno alterare il disegno originario delle cortine e
dovranno denunciare la presenza degli elementi innestati attraverso l’utilizzo di
materiali contemporanei che dialoghino con quelli esistenti (pietra, legno, acciaio
corten). Si prevederà inoltre l’adeguamento degli impianti di risalita, delle coperture
e degli elementi accessori non costituenti volume: balconi, logge, terrazze, pensiline,
tettoie. In nessun caso sarà possibile modificare la morfologia delle caratteristiche
torri, dei tetti a falda e delle scale interne.

RICOSTRUZIONE E COMPLETAMENTO
In caso di architetture rurali parzialmente crollate o con parti mancanti sarà possibile
ricostruire tali parti: l’intervento prevederà il rispetto della presistenza attraverso
l’uso di materiali compatibili e distinguibili dagli originali; attraverso un disegno dei
giunti che denunci le parti di contatto tra la preesistenza e i nuovi corpi; attraverso un
linguaggio contemporaneo che dialoghi con quello tradizionale senza emularlo ma
astraendone le forme archetipiche.Non si prevede aumento di volumetria.

42
b. AMPLIAMENTO
CREAZIONE DI NUOVI CORPI IN CONTINUITÀ CON LA PREESISTENZA
Gli interventi di ampliamento dovranno essere progettati in base al principio della
compatibilità delle trasformazioni edilizie e delle destinazioni d’uso: tali
ampliamenti potranno essere eseguiti solo se compatibili con lo stato di fatto
dell’edificio e del suo contesto rurale. Il nuovo corpo dovrà essere subordinato alla
preesistenza e in maniera non competitiva si distinguerà da essa per i materiali
adottati e le tecnologie costruttive.
La presenza di questi nuovi volumi dovrà essere tale da non stravolgere nè
l’immagine d’insieme del manufatto rurale nè il morfotipo edilizio, mettendo in
evidenza l’idea di continuità del corpo architettonico, sebbene attraverso un
linguaggio e un disegno contemporaneo: questo sarà possibile attraverso l’uso di
materiali compatibili e distinguibili dagli originali, attraverso un disegno dei giunti
che denunci le parti di contatto tra la preesistenza e i nuovi corpi, attraverso un
linguaggio contemporaneo che dialoghi con quello tradizionale senza emularlo ma
astraendone le forme archetipiche.
La sagoma planimetrica del nuovo volume deve essere accostata a quella
dell’edificio esistente in modo tale da assicurare il rispetto dello schema
aggregativo del morfotipo originario.
La sagoma altimetrica del nuovo volume deve essere accostata a quella dell’edificio
esistente assicurando la continuità delle fronti edilizie, dei loro elementi
architettonici (cornici, cornicione, marcapiani, aperture, ecc) e delle quote di
imposta di orizzontamenti e coperture. Non sono ammessi ampliamenti in
sopraelevazione, se non a saturazione, totale o parziale, della sagoma rettangolare
che inviluppa i prospetti dell’edificio; in ogni caso l’altezza del manufatto esistente
non può essere superata.
Aumento della volumetria: < 30% a quella esistente.

43
c. NUOVA COSTRUZIONE
NUOVI CORPI AUTONOMI ANNESSI AL COMPLESSO RURALE
I nuovi volumi prevedranno l’utilizzo di materiali visivamente compatibili con quelli
dei corpi già esistenti e si caratterizzeranno per un disegno contemporaneo e
minimalista, interpretando i caratteri tipologici del manufatto rurale secondo
nuove declinazioni (falde, ingressi, bucature, ecc).
La realizzazione dei nuovi volumi non dovranno favorire processi di saturazione
edilizia lungo le strade, evitando in tal modo la frammentazione ecologica e
l’effetto barriera delle visuali.
Il nuovo corpo dovrà recuperare la tradizione costruttiva e tecnologica locale
sperimentando l’uso di materiali e tecniche contemporanee: materiali, tecniche,
forme, tipologie e relative aggregazioni dovranno appartenere alle forme
tradizionali ricorrenti (es. semplificazione formale dei volumi, impianti distributivi a
corte interna, esclusione della formazione di balconi, dimensioni delle bucature
ridotte rispetto ai “pieni” murari, limitazione delle altezze al minimo indispensabile,
realizzazione di infissi in legno, scialba ture a base di calce, ecc). Considerando,
inoltre, i materiali e le tecnologie attualmente in uso, è opportuno utilizzare i
sistemi costruttivi metallici, lignei o misti secondo la loro intima natura e capacità
fisica e strutturale, anche con risultati formali del tutto diversi dalle preesistenze,
ed evitare di introdurre sovrastrutture e orpelli, “arricchimenti” che il paesaggio
rurale non possiede.
Dovranno essere adottate soluzioni cromatiche compatibili con la realtà del
manufatto e dell’intorno, evitando forti contrasti, privilegiando i colori prevalenti
nei luoghi, utilizzando preferibilmente pigmenti naturali.
I nuovi volumi dovranno essere autonomi a livello energetico e prevedere l’uso di
strategie sostenibili.
Aumento della volumetria: < 50% a quella esistente.

44
6.2 MATERIALI
I nuovi volumi prevedranno l’utilizzo di materiali visivamente compatibili con quelli
dei corpi già esistenti e si dovrà privilegiare l’uso di materiali rinnovabili.
Dovranno essere adottate soluzioni cromatiche compatibili con la realtà del
manufatto e dell’intorno, evitando forti contrasti e privilegiando i colori prevalenti
nei luoghi, utilizzando preferibilmente pigmenti naturali.
Considerando, inoltre, i materiali e le tecnologie attualmente in uso, è opportuno
utilizzare i sistemi costruttivi metallici, lignei o misti secondo la loro intima natura e
capacità fisica e strutturale, anche con risultati formali del tutto diversi dalle
preesistenze, ed evitare di introdurre sovrastrutture e orpelli, “arricchimenti” che il
paesaggio rurale certamente non possiede.

45
6.3 DISEGNO DEL PAESAGGIO E DEGLI SPAZI ESTERNI
A questa categoria appartengono tutti i componenti che caratterizzano lo spazio
esterno e che mettono in relazione il manufatto o il complesso rurale con il
paesaggio circostante, come:
• la perimetrazione dell’area di pertinenza: utilizzo dei materiali tradizionali
(muretti a secco, paletti in legno ecc.)
• il rapporto del complesso con le strade di accesso e i percorsi rurali esterni/interni
al lotto
• i nuovi spazi esterni: utilizzo dei materiali e delle tecniche tradizionali (battuti,
lastricati, pietre, lapilli, ecc.)
• il recupero delle acque piovane negli spazi esterni
• il ridisegno degli spazi verdi piantumati e coltivati
• le zone d’ombra e zone attrezzate nel verde (pergolati, ombracoli, ecc)
• le zone d’acqua e strutture pertinenti (abbeveratoi, fontane, ecc)
• lo studio della composizione dei volumi preesistenti e dei volumi aggiunti
Gli interventi dovranno seguire i seguenti principi:
• le aree a parcheggio saranno posizionate preferibilmente in zone defilate, in
modo da non interferire visivamente con le costruzioni;
• le nuove pavimentazioni di aree di soggiorno all’aperto e i camminamenti
pedonali e carrabili saranno ridotti al minimo indispensabile e realizzati
preferibilmente con materiale drenante (terra battuta, ghiaino, pietra locale con
giunto aperto, ecc.), al fine di evitare ulteriore impermeabilizzazione del suolo;
• sarà evitato l’espianto di esemplari arborei o arbustivi, e comunque, ad ogni
eventuale espianto seguirà il relativo reimpianto nelle immediate vicinanze;
l’eventuale nuova piantumazione sarà realizzata con essenze autoctone provenienti
da ecotipi locali.

46
| CAPITOLO 7

CONSERVAZIONE E PROGETTO. LA SCELTA DEI MATERIALI E DELLE SOLUZIONI TECNICHE

7.1 I PRINCIPI BASE DELL’APPROCCIO CONSERVATIVO


La conservazione del patrimonio culturale rurale è affidata, nella sua propositività,
a linee guida e strategie di piano strutturate alla scala territoriale, che rimandano
ad altri livelli progettuali, orientati in misura ancor maggiore a garantire
materialmente la salvaguardia dell'intero paesaggio. Pertanto, le azioni progettuali
alla scala edilizia, e poi a quella del dettaglio, sono quelle maggiormente
responsabili della conservazione tangibile e concreta di documenti irripetibili, che
vantano, oltre a valori culturali intrinseci, legati al costruire secondo tradizione,
valori testimoniali del paesaggio rurale, in quanto luogo costruito e abitato
dall’uomo nel tempo.
Il progetto deve perseguire l’obiettivo di conservare la costruzione rurale, in quanto
documento irripetibile, e di renderla costruito attivo nella società contemporanea.
Risulta quindi necessario, per questi singolari beni culturali, prevedere usi che
sottendano la fruizione, in modo da limitare effetti di emarginazione e degrado
indotti da misure di salvaguardia che non considerino altro uso se non quello
culturale.
Nell’approccio alla scala dell’edificio, la capacità della cultura tecnica attuale deve
esprimersi nel ridurre al minimo l’intervento, senza variare l’originaria concezione
costruttiva dell’opera che si vuole conservare. Oggi la cultura della conservazione,
rigenerata negli ultimi trent’anni come reazione all’invasività delle azioni
cementificanti, si fonda sul rispetto della concezione costruttiva per tutti i beni
culturali in generale, fino ad imperniarsi sull’uso di materiali e tecniche capaci di
coniugare la reversibilità. La definizione delle specifiche scelte, dunque, va
strutturata in modo da non mortificare o stravolgere la struttura originaria.
I criteri di scelta, di seguito illustrati, vanno innanzitutto assunti quali riferimenti
metodologici e, pur nella consapevolezza che possono incontrarsi non poche
difficoltà nella pratica applicativa, essi devono fondare sia i progetti di
conservazione, che i programmi di manutenzione.

7.2 L’UNITARIETÀ NELLE FASI PROGETTUALI


La conservazione della consistenza materiale del singolo manufatto rurale può
essere ottenuta attraverso le fasi progettuali previste dalla legge, (preliminare,
definitivo ed esecutivo), purché queste fasi siano concepite unitariamente e
strutturate secondo criteri di fattibilità e obiettivi di sostenibilità ambientale, nel
rispetto del valore dell’intero paesaggio e di un costruito storico in armonia con il
luogo, sia per quanto attiene i materiali naturali (la pietra, il legno e l’argilla), sia
per quanto attiene l’approccio intrinsecamente bioclimatico.
I principi che governano le azioni progettuali sono trasversali rispetto alle specifiche
fasi e si relazionano, dal progetto preliminare fino a quello esecutivo, alla
definizione dei materiali e delle soluzioni tecnico-costruttive.
47
7.3 CRITERI DI BASE: MINIMO INTERVENTO E REVERSIBILITÀ
Il compito di conservare la consistenza materiale del bene rurale è affidato al
progetto definitivo che individua gli interventi da realizzare, nel rispetto dei criteri e
delle indicazioni previste nel progetto preliminare.
La logica del principio del “minimo intervento” accomuna tutti i criteri orientati alla
conservazione del bene rurale nel tempo e, conseguentemente, esclude azioni
mirate ad abbellire e ammodernare la costruzione.
Continuità e discontinuità di materiali e tecniche costruttive sono scelte linguistiche
perseguibili per articolare, in maniera puntuale, interventi di ripristino, di
miglioramento o di ricostruzione, tutti congruenti all’azione conservativa.
La loro definizione deve essere organizzata con strumenti, materiali e tecnologie
reversibili e non invasivi, secondo parametri conoscitivi appartenenti al manufatto
rurale da salvaguardare.
Il concetto di reversibilità, pur non essendo perseguibile appieno, individua un
criterio da sviluppare nella massima misura possibile. In tal modo, tutte le opere
effettuate dovranno essere in linea con il principio secondo il quale si può
migliorare nel tempo e che è meglio aggiungere che eliminare. Ciascun singolo
intervento non potrà mai considerarsi un’azione finita o definitiva; la sua
definizione materiale e tecnica deve lasciar spazio a possibili interventi futuri che,
avvalendosi di materiali e soluzioni meno impattanti, possano essere più
performanti e più rispettosi della preesistenza.
La reversibilità degli interventi è uno dei codici cardine della conservazione dei beni
culturali in generale, che, in ambito rurale, non preclude ulteriori azioni mirate alla
rigenerazione dello spazio e ad eventuali arricchimenti di nuove qualità spaziali.

7.4 COMPATIBILITÀ, SOSTENIBILITÀ E DURABILITÀ


La peculiarità di ciascun intervento è la continuità con il contesto materico
preesistente, sia in quanto costruito, che in quanto luogo antropizzato. Ne
conseguono scelte ordinate secondo un codice di appropriatezza della soluzione
tecnico-costruttiva, che sottende impieghi di materiali della tradizione. Continuità e
appropriatezza sono due qualità che confluiscono nel criterio di compatibilità, che,
per quanto attiene alle scelte materiche e tecniche, presuppone uguaglianza e
affinità con il contesto preesistente, in modo che i materiali aggiunti siano, sia dal
punto di vista meccanico e chimico-fisico, uguali a quelli antichi o dotati di
caratteristiche simili, per garantire nel tempo un’omogeneità di comportamento.
Allinearsi alla tradizione determina la scelta di materiali a “chilometro zero”, o
quasi, e dunque sostenibili per l’ambiente, in un contesto come quello rurale che,
nella sua continuità con l’ambiente naturale, ha da sempre condiviso questa scelta.
Naturale prosecuzione è l’impiego di materiale di riciclo, ricavabile dallo stesso
manufatto. Ed è la stessa organizzazione del cantiere che deve prevedere, già in
sede di progetto esecutivo, operazioni di dismissione, di trattamento di materiale
di risulta e centri di stoccaggio, in vista del loro reimpiego.

48
Ad esempio, materiale lapideo di riciclo, eventualmente ridotto in elementi di
piccole dimensioni, può essere impiegato nel ripristino delle murature per ricucire
lesioni con la tradizionale tecnica dello scuci e cuci, e ancora nella realizzazione di
un’intercapedine per impedire la risalita dell’umidità in corrispondenza del primo
calpestio. La valenza è duplice, perché si impiega materiale lapideo riciclato e, nel
porlo in opera con una soluzione meno industrializzata, si recupera un’artigianalità
nell’esecuzione degli interventi di ripristino in un’ottica di salvaguardia di
professionalità e mestieri che rischiano di scomparire.
Inoltre, scelte in termini di continuità e appropriatezza pongono a confronto la
durabilità dei materiali del passato con i termini attuali e non essendo ancora
disponibili dati sperimentali sull’impiego di svariati materiali nuovi, il loro
comportamento nel tempo è un’incognita che rischia di compromette la qualità
dell’intervento.

7.5 TECNICHE NUOVE E MATERIALI DELLA TRADIZIONE


Il progetto alla scala del dettaglio deve saper guardare all’innovazione,
specialmente per quanto attiene alle tecniche che rigenerano l’uso di materiali già
consolidati nella storia del costruire, purché ordinate secondo criteri di minimo
impatto e massima reversibilità.
Uno degli esempi più emblematici è senz’altro l’impiego dell’acciaio,
intrinsecamente capace di infinite riproposizioni all’insegna della reversibilità. Le
recenti applicazioni per realizzare cordoli di piano, in luogo dei consueti cordoli in
calcestruzzo armato, consentono interessanti e valide alternative alla
cementificazione. Altra tecnica innovativa, che ripropone un materiale ancor più
antico come il legno, è quella che si avvale della precompressione delle vecchie
travi portanti mediante inserimento di elementi lignei.

7.6 I MATERIALI NUOVI E LA RICONOSCIBILITÀ


Il progetto alla scala del dettaglio non deve bandire neppure i materiali nuovi,
purché impiegati secondo parametri conoscitivi congruenti e riconoscibili.
L’interazione dei materiali nuovi con quelli originari deve essere chiara ed evidente,
in maniera che le nuove aggiunte siano ravvisabili a vista, senza sacrificare l’unità
figurativa d’insieme del manufatto.
Al requisito della reversibilità si aggiunge, dunque, la riconoscibilità, carattere
identificativo essenziale connesso alla presenza di elementi nuovi in modo non
conflittuale, che, senza equivoci, né contaminazioni, instaurino un rapporto
dialettico con il manufatto preesistente. Anche l’inserimento all’interno della
compagine di nuove unità tecnologiche, in risposta ad esigenze di
funzionalizzazione legate tanto alla riqualificazione, quanto alla nuova destinazione
d’uso, può essere perseguito in termini di discrezione e di minimo impatto
percettivo.

49
7.7 I MATERIALI NATURALI E LA RISCOPERTA DI UN APPROCCIO SOSTENIBILE
La scelta dei materiali nuovi deve guardare anche nella direzione dei materiali
naturali, da prediligere in quanto più compatibili con quelli già presenti.
L’obiettivo della sostenibilità e del basso impatto, sotteso dall’azione che predilige i
materiali naturali, ricalca i criteri di scelta che il fruitore-costruttore, architetto
autodidatta, ha compiuto a suo tempo. Dunque, materiali naturali per integrare
quelli preesistenti, in una logica interattiva che migliori la funzionalità ed elevi i
livelli prestazionali.

7.8 RIPROPOSIZIONE E POTENZIAMENTO DEL MODELLO BIOCLIMATICO


L’approccio bioclimatico ha guidato le scelte alla base della costruzione di molti
manufatti rurali, ad esempio con attenzione all’esposizione, o semplicemente
realizzando fronti ciechi a nord e finestrati a sud, per sfruttare al massimo la
radiazione solare. Questa matrice bioclimatica va colta, ristudiata e rispettata fino a
riproporne il ripristino nei casi di sicura riconoscibilità, eliminando anche eventuali
superfetazioni non vincolanti funzionalmente. Ad esempio, la razionalizzazione
delle aperture oppure il ripristino delle mazzette murarie in corrispondenza degli
infissi sono tutte attenzioni che, in sede di progetto esecutivo, acquistano un peso
rilevante.
Una volta individuata con chiarezza questo approccio in sintonia con il clima, gli
interventi sulle unità tecnologiche che individuano le superfici di confine possono
essere orientati al potenziamento di un comportamento passivo, in linea con le
attuali politiche di efficientamento energetico, che riducono i consumi a vantaggio
del comfort. E l’impiego di materiali naturali o di riciclo costituisce, ancora una
volta, un valore aggiunto. E tra le soluzioni bioclimatiche di tipo passivo potrebbero
essere incentivate nei contesti rurali, quelle fondate sull’impiego di materiali
naturali, a cominciare dalla pietra fino all’acqua.

7.9 LA PERMEABILITÀ DEL SUOLO E IL PROGETTO CON IL VERDE


Particolare attenzione deve essere posta agli spazi esterni che costituiscono la
naturale prosecuzione degli ambienti confinati, sia quelli con vocazione lavorativa,
che quelli residenziali.
Rimuovere superfici molto impermeabili e cementate, che modificano
sensibilmente il naturale deflusso delle acque piovane e provocano un
riscaldamento della massa d'aria sovrastante, si pone come un intervento di
ripristino ecosostenibile, in continuità con le soluzioni materiche originarie.
L’obiettivo è quello di conservare o ripristinare la permeabilità del suolo, per
garantire la tutela dell’acqua, la freschezza del clima e la purezza dell’aria. In questa
logica, l’impiego del verde come materiale di progetto, riduce l’impatto ambientale
e persegue anche l’obiettivo del potenziamento dell’approccio bioclimatico, in
quanto materiale naturale che, per tradizione appartiene al luogo e al contesto
costruito. La politica è conservare il verde e progettare con il verde.

50
7.10 L’APPROCCIO STRUTTURALE E IL CONSOLIDAMENTO
Il progetto esecutivo prevede la conservazione dei manufatti rurali in tutta la loro
integrità spaziale e strutturale.
Il principio del minimo intervento e della massima reversibilità devono
sovrintendere anche l’approccio strutturale, nel rispetto del dettato normativo,
spaziando tra miglioramento e adeguamento, nella consapevolezza della qualità e
della natura dell’antica struttura.
La comprensione del comportamento statico strutturale è fondamentale per poter
“misurare” l’intervento, nel rispetto dei principi e dei codici di base già enunciati.
L’obiettivo di non alterare la concezione costruttiva, consente di conservare la
distribuzione degli stati tensionali e di rispettare la durabilità pluricentenaria della
struttura e dell’intero manufatto rurale.
Tuttavia, può essere presa in considerazione la possibilità di ricostruire alcune parti
necessarie al miglioramento strutturale, qualora non sussistano dubbi sulla forma e
sulla tecnica originaria.

51
MASSERIA CARAFA, SANT’ANASTASIA

52
| CAPITOLO 8

LA MANUTENZIONE PROGRAMMATA DEGLI EDIFICI RURALI

La manutenzione programmata si è affermata in Italia, negli ultimi 20 anni,


soprattutto grazie alle spinte di carattere legislativo, che l’hanno imposta per gli
edifici di maggiore importanza e l’hanno resa opportuna per i patrimoni immobiliari
quantitativamente più rilevanti.
In particolare, in tutti i recentissimi bandi di gara per il restauro dei più importanti
monumenti italiani, il Ministero e le Soprintendenze stanno puntando in larga
misura su richieste di piani di manutenzione, premiando le proposte dei
concorrenti su questo tema quasi sempre con il punteggio più alto in assoluto, a
testimonianza di una notevole sensibilità sull’argomento anche per il patrimonio
storico-monumentale.
E’ da circa 10 anni, poi, che la svolta culturale impressa dall’imposizione del piano
di manutenzione sta trovando larga applicazione anche per edifici di piccola
dimensione, con destinazioni d’uso anche molto differenti, di proprietà privata.
In realtà le metodologie con le quali è possibile controllare l’obsolescenza dei
fabbricati mediante attività programmate di controllo/intervento hanno validità di
carattere generale, ed è possibile redigere efficacemente una pianificazione della
manutenzione per qualsiasi tipologia e/o destinazione d’uso con pochi distinguo,
connessi prevalentemente a discorsi di carattere tecnologico.
Per gli edifici rurali, pertanto, è senz’altro ipotizzabile una politica di gestione
basata sulla manutenzione programmata, che può consentire di:
• conservare i livelli prestazionali scelti in fase di progetto, consentendo adeguati
livelli di fruizione;
• scongiurare episodi di interruzione della agibilità o di guasti di notevole entità;
• programmare budget di spesa per la gestione, con la possibilità di adeguarli alle
possibilità e/o alle intenzioni della committenza/utenza.
Appare, per di più, di notevole interesse lo studio delle modalità di adattamento di
una strategia generale di programmazione della manutenzione per questa
particolare categoria di edifici, caratterizzata da una sostanziale semplicità
costruttiva che sembrerebbe renderli particolarmente suscettivi di applicazioni
nella sfera della manutenibilità, intesa come requisito di progetto e dunque come
guida, nella fase ideativa, dal punto di vista delle caratteristiche tecnologiche da
conseguire.
E’ a tutti evidente che anche una semplice operazione di manutenzione delle
facciate ovvero di pitturazione con vernici non idonee per i materiali e/o le tinte,
ha il potere di stravolgere il paesaggio rurale. Perciò il progetto cromatico è
fondamentale nell’architettura rurale e la pianificazione del colore, incoraggiata
dalla Regione Campania grazie alla legge 26, può svolgere l’importante azione di
dare alle comunità la consapevolezza dei caratteri di identità e di riconoscibilità
degli edifici nel loro aspetto esteriore. E' questa consapevolezza, che si diffonde tra
53
i cittadini attraverso un'intelligente comunicazione del piano, l'unica reale garanzia
di conservazione di un patrimonio culturale fatto non solo e non tanto di edifici, ma
della conoscenza delle motivazioni pratiche che li hanno prodotti in quello specifico
modo. Ciò non significa continuare ad usare le pietre di un tempo (molte cave sono
dismesse) o adoperare solo ed esclusivamente materiali del posto, in totale
autarchia, ma pur adoperando altri materiali essere in grado di scegliere tra quelli
congruenti alla tradizione, con un atteggiamento culturale innovativo,
energeticamente "conservativo" come quello dei nostri avi che, a causa delle
difficoltà economiche e logistiche, trovavano la soluzione migliore al minor costo
energetico. Questa era il buon senso, se preferiamo la sostenibilità, della cultura
edilizia tradizionale e questa dovremmo riscoprire.

54
| CAPITOLO 9

NUOVA DESTINAZIONE D’USO DELLE ARCHITETTURE RURALI: CRITERI GUIDA

Unitamente alla conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico


rurale, l’obiettivo di queste Linee Guida è quello di promuovere il “ripopolamento
rurale” attraverso la salvaguardia e il rinnovamento delle filiere agro-alimentari
regionali, per uno sviluppo sociale ed economico compatibile con il territorio.
Pertanto, l’individuazione degli usi compatibili degli edifici rurali dovrà rimanere
prevalentemente agricola ovvero legata alle attività agro-silvo-pastorali e
strettamente connesse con lo sviluppo della filiera agro-alimentare locale.

L’individuazione di destinazioni d’uso compatibili ha l’obiettivo strategico di:


• individuare “le misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di
trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico” (v. D.Lgs. 42/2004, art.
143 c. 3 lett. g);
• individuare quelle trasformazioni del territorio che non alterino “le regole
statutarie che costituiscono l’identità di lunga durata dei luoghi e dei loro
paesaggi”, cioè le invarianti strutturali;
• individuare quelle trasformazioni del territorio che consentano la conservazione
e la tutela dell’identità rurale, morfologica e paesaggistica;
• consentire uno sviluppo compatibile del turismo rurale e di tutte le attività
legate all’agricoltura e alla filiera agroalimentare locale.

È opportuno che gli interventi di riconversione delle destinazioni d’uso degli


immobili rurali da un lato consentano di recuperare funzionalmente strutture
edilizie esistenti, anche se prive di specifico interesse architettonico, ma
documento di storia locale, e dall’altro favoriscano lo sviluppo di servizi legati alla
fruizione e alla promozione agro-turistica sostenibile, di aziende agricole
multifunzionali e di fattorie didattiche.
In tal senso sarebbe auspicabile che si attribuisca al recupero una funzione
pedagogica di sensibilizzazione alla cura eco-compatibile del paesaggio, anche
mediante la promozione, a scala locale o regionale, di laboratori di progettazione
partecipata, workshop e iniziative pubbliche in genere.

In via preliminare si possono essere considerate compatibili con i caratteri degli


edifici esistenti le seguenti destinazioni d’uso:

• Strutture di Supporto ad Attività Agricole ad alto valore aggiunto (cantine


sociali, frantoi, prodotti alimentari home made)
• Centri di Produzione e Distribuzione di Artigianato
• Ristoranti
• Country houses
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• Strutture ricettive - Agriturismo
• Strutture ricettive - Turismo rurale
• Residenza secondaria
• Annessi rurali
• Opifici agro-alimentari
• Commercio dei prodotti agricoli all’origine
• Residenze rurali permanenti
• Residenze rurali stagionali
• Attività eno-gastronomiche
• Attività di ricerca e sperimentazione agraria
• Strutture a destinazione culturale legate al mondo rurale locale

Altre destinazioni, comunque connesse alla ruralità dei territori quali, ad esempio
alberghi e centri benessere, edifici legati ad attività culturali, ecc. dovranno essere
valutate con massimo rigore.
Si rimanda pertanto alle Matrici di Valutazione delle Destinazioni d’Uso presenti
nell’ALLEGATO B - TUTORIAL PER LA SELEZIONE DELLE DESTINAZIONI D’USO PRIORITARIE, del Manuale.

9.1 CARATTERISTICHE DELLE NUOVE DESTINAZIONI D’USO


Per verificare la compatibilità della nuova destinazione d’uso dei complessi rurali,
occorrerà caso per caso misurare l’impatto ambientale che quella data
destinazione d’uso prevista in progetto comporta.
Si elencano di seguito le famiglie di caratteristiche con cui la destinazione d’uso di
progetto dovrà confrontarsi.

A. Caratteristiche di compatibilità paesaggistica che la nuova destinazione d’uso


dovrà valorizzare, in relazione agli aspetti architettonici, paesaggistico naturali,
tecnologici, di sostenibilità, di conservazione della Biodiversità, di
mantenimento dei caratteri di ruralità e di ripopolamento rurale.
Queste caratteristiche sono:
• Conservazione dell’impianto tipologico edilizio originario
• Conservazione dei caratteri costruttivi originari
• Conservazione dell’unità architettonica
• Conservazione delle “Visuali di Paesaggio”
• Incremento degli impianti vegetazionali autoctoni
• Reversibilità delle modificazioni
• Conservazione dell’assetto morfologico ed idrogeologico del sito

B. Caratteristiche di compatibilità storico culturale, che la nuova destinazione


d’uso darà alla conservazione, alla tutela e al radicamento dei valori identitari
del luogo e delle persone che lo abitano.
Queste caratteristiche sono:
• Incremento della base insediativa rurale

56
• Promozione della cultura locale
• Ripopolamento rurale

C. Caratteristiche di compatibilità economica, che la nuova destinazione d’uso


riattiverà promuovendo nuova produttività, nei settori agricolo, produttivo
agroalimentare, turistico- residenziale, turistico, terziario, culturale, ecc.
Queste caratteristiche sono:
• Promozione e sviluppo di nuove attività produttive legate all’agricoltura
• Promozione e sviluppo di nuove attività della filiera agroalimentare locale
• Promozione e sviluppo di nuove attività attività silvo-pastorali
• Promozione e sviluppo di nuove attività legate alla valorizzazione del
Patrimonio Rurale locale.

9.2 MAPPA DEI SAPERI ANTICHI

INTRODUZIONE
Il valore dell’architettura rurale storica non è solo edilizio, deriva anche dall’essere
documento di una specifica organizzazione delle produzioni agricole. Manufatti e
colture alle quali erano di supporto diventano quindi da un lato elementi costitutivi
del paesaggio, dall’altro documenti della trasformazioni antropiche apportate nei
secoli. Possiamo quindi definire il paesaggio rurale come parte del “territorio
storico”.
A parte il valore documentale, il "territorio storico" ha anche un’altra caratteristica
che ne rende opportuna la tutela: è necessariamente rispettoso degli equilibri
ambientali. Se un'architettura vernacola, una sistemazione dei terreni, delle
coltivazioni sono diventate "tipiche" di un sito è solo perché sono - e sono sempre
state - compatibili con l'ecosistema locale. Edifici e sistemazioni tradizionali del
suolo sono stati concepiti sulla base di una consolidata conoscenza dei caratteri del
sistema locale ed in previsione di una manutenzione permanente. Una
impostazione "tecnica" che si inseriva in un contesto economico in cui la risorsa più
abbondante e a buon mercato era la mano d'opera. Oggi invece la manutenzione
viene considerata come inutile, o troppo costosa. Salvo poi a riconoscere che il
costo della riparazione è di gran lunga superiore a quello della manutenzione
preventiva. Ma, anche quando si decide di fare investimenti preventivi, non si
rinuncia alla logica dell’intervento risolutivo, quello che rafforza il manufatto una
volta per tutte, lo protegge per i secoli a venire, liberando proprietari,
amministratori e tecnici del fastidio della manutenzione.
Ed è in tale ottica che si sono sviluppate le moderne tecnologie della costruzione.
Queste, tuttavia, non sempre sono compatibili con quelle tradizionali. Non è solo
per esigenze filologiche che si richiede che negli interventi di restauro vengano
adoperati materiali e tecniche omogenei con quelle presenti nel manufatto. Una
esigenza tecnica e culturale che però si scontra con il sistema delle produzioni edili,

57
che privilegia materiali a basso costo e di facile utilizzazione. E che, oltretutto,
risente delle carenze della formazione in materia, a livello sia professionale sia
universitario.
Nella formazione dei tecnici chiamati ad intervenire nell’edilizia, infatti, non c’è
molto spazio per i saperi tradizionali, quasi sempre empirici. Da un lato perché, in
genere, tutto ciò che è antico viene considerato di grande interesse per la ricerca,
ma sostanzialmente obsoleto per la sua utilizzazione. Dall’altro perché tecniche
empiriche e materiali tradizionali mal si adattano a verifiche numeriche, le uniche
che permettono di validarne le prestazioni.
Altro fattore che scoraggia l’uso delle tecnologie tradizionali è il loro maggior costo
rispetto a quelle contemporanee. In verità non sempre la comparazione viene fatta
con rigore. Al costo iniziale va infatti sempre sommato quello della manutenzione.
E con tale criterio si scopre spesso che il maggior costo iniziale è ampiamente
compensato dalla durata dell’intervento effettuato con tecnologie tradizionali.
Sono tutti aspetti ben noti a chi si occupa di recupero e restauro, ma che molti
progettisti tendono a tralasciare. E non si può chiedere ai tecnici che interverranno
per il recupero dell’edilizia rurale di fare un corso di restauro prima di affrontare il
progetto. Oltretutto, per affrontare questioni che i loro committenti ignorano.
D’altra parte se si vuole che la tutela diventi “attiva” – se cioè l’uso di tecnologie di
riparazione appropriate divenga pratica corrente – è necessario che i tecnici le
conoscano e sappiano come utilizzarle e che sia facile trovare chi sa metterle in
pratica.
Per dare taglio operativo alle Linee guida promosse dalla Regione è quindi apparso
opportuno supportare i tecnici con le indicazioni tecniche e metodologiche fornite
con l’“Abaco degli elementi documentali” e con il “Manuale delle Buone Pratiche”.
Per facilitare tecnici e proprietari a realizzare interventi appropriati, anche sotto il
profilo di tecniche e materiali, si è deciso di aggiungere una “Mappa dei Saperi”,
cioè una lisata ragionata delle imprese operanti nei due comprensori specializzate
in interventi di restauro.
Purtroppo la ricerca effettuata sui data base ufficiali (Camere di Commercio, Pagine
gialle) non ha dato risultati utili. Tutte le imprese reperibili sotto la voce “restauri
edili” e simili sono state contattate, ma il riscontro ha mostrato che in realtà non
hanno competenze specifiche. È stata quindi utilizzata la lista delle imprese incluse
nella categoria OG 2 (Restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela
ai sensi delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali ) e accreditate
presso le Soprintendenze BAP di Salerno e Avellino e di Napoli (cfr. All. 1). La lista è
di grande utilità. Seleziona infatti le imprese delle quali la Soprintendenza si serve
per gli interventi di restauro che effettua.
Va osservato, tuttavia, che molte di tali imprese hanno dimensioni e organizzazione
che le rendono poco interessate ad interventi di limitata entità, quali quelli
presumibili per il recupero dei manufatti rurali. Per promuovere un recupero
corretto del patrimonio rurale è quindi necessario recuperare anche il patrimonio

58
di regole e di esperienze di cui alcuni artigiani sono depositari per averle ricevute
dai loro maestri e applicate in decenni di lavoro. D’altra parte essi hanno vissuto un
periodo che ha visto profonde modifiche del mestiere, sia per le tecniche, sia per le
macchine immesse sul mercato, sia per i nuovi materiali. Essi ricordano gli
insegnamenti della gioventù ed il modo nel quale si lavorava allora. Pur costretti a
modificare i loro procedimenti, sono gli unici in grado di stabilire un confronto tra
due culture. La loro testimonianza ha, pertanto, un grande valore.
Per trasformare questo sapere depositato in una risorsa per interventi di recupero
appropriati gli artigiani presenti nei due comprensori vanno intervistati per
raccogliere e sistematizzare le loro conoscenze relative a:
• le tecniche impiegate nell’edilizia antica in Cilento e in area vesuviana.
• l’uso e la preparazione dei materiali.
• le fonti di approvvigionamento.
• l’evoluzione delle tecnologie del settore dalla metà del XIX sec ad oggi.

Il format di seguito riportato fornisce il supporto per la realizzazione delle


interviste.

59
FORMAT PER L’INTERVISTA

1. IDENTIFICAZIONE INTERVISTATO
1.1. Cognome e Nome____________________________________________________
1.2. Attività: Titolare impresa edile □, Mastro Muratore □, Aiuto Muratore □, Carpentiere □
1.3. Anni di attività _________
1.4. Luoghi dove si svolge prevalentemente l’attività (Comune e Provincia):
_______________________

2. ATTIVITÀ
Le volte:
2.1. Quali tipologie di volte Lei conosce?
2.1.1. a cupola □
2.1.2. a vela □
2.1.3. a botte □
2.1.4. a gaveta □
2.1.5. a crociera □
2.1.6. a ogiva □
2.1.7. a lunetta □
2.1.8. a padiglione □
2.1.9. a schifo □
2.1.10. a creste e vele □

2.2. Nella sua attività quali volte ha realizzato o riparato più frequentemente?
2.2.1. a cupola □
2.2.2. a vela □
2.2.3. a botte □
2.2.4. a gaveta □
2.2.5. a crociera □
2.2.6. a ogiva □
2.2.7. a lunetta □
2.2.8. a padiglione □
2.2.9. a schifo □
2.2.10. a creste e vele □
2.3. In base alla Sua esperienza può descrivere brevemente le fasi per la realizzazione della volta?
preparazione

messa in forma

disarmo

2.4. Quali materiali Lei utilizza per la costruzione delle volte e da dove provengono?

2.5. Quali strumenti Lei impiega nelle varie fasi della costruzione?

2.6. Quali tipi di danno ha riscontrato più spesso nelle volte per le quali l’attività prevista è il
recupero?
2.6.1. cedimenti dei muri portanti □
2.6.2. lesioni in chiave □
2.6.3. lesioni sulle reni □
2.6.4. degrado dei materiali □
2.6.5. altro

60
2.7. Quali soluzioni Lei applica (perché le ritiene di maggiore utilità)?
2.7.1. utilizzo di catene di ferro o barre filettate dotate di piastre di acciaio e bulloni □
2.7.2. realizzazione di cordoli

2.7.3. lesioni colmate con lapillo fine misto a calce

2.7.4. contrafforti all’esterno

2.7.5. altro

I solai
2.8. Quali tipi di solai Lei conosce?
2.8.1. battuti di pomice sabbia e calce spenta □
2.8.2. battuto di lapillo bianco misto a calce □
2.8.3. solaio in legno □
2.8.4. solaio in laterizio □
2.9. Durante la Sua attività quali tipi di solai Lei realizza o ripara più spesso?
2.9.1. battuti di pomice sabbia e calce spenta □
2.9.2. battuto di lapillo bianco misto a calce □
2.9.3. solaio in legno □
2.9.4. solaio in laterizio □
2.10. Da dove provengono i materiali che Lei utilizza e qual è la motivazione prevalente per la scelta
della provenienza?

2.11. Quali strumenti sono impiegati nella costruzione dei solai?

Gli archi
2.12. Quali tipi di arco Lei conosce?
2.12.1. arco a sesto acuto □
2.12.2. arco a tutto sesto □
2.12.3. arco a sesto ribassato □
2.13. Quali tipi di arco Le viene più spesso chiesto di realizzare o riparare?
2.13.1. arco a sesto acuto □
2.13.2. arco a tutto sesto □
2.13.3. arco a sesto ribassato □
2.14. In base alla Sua esperienza quali sono le fasi costruttive per la realizzazione dell’arco (breve
descrizione)?
Preparazione

messa in forma

disarmo

rifinitura

2.15. Quali tipi di danno ha riscontrato più spesso negli archi per i quali l’attività prevista è il
recupero?
2.15.1. cedimenti ai muri portanti □
2.15.2. lesioni in chiave □
2.15.3. lesioni alle reni □
2.15.4. degrado dei materiali □
2.15.5. altro

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2.16. Quali soluzioni ha adottato?
2.16.1. utilizzo di catene di ferro o barre filettate dotate di piastre di acciaio e bulloni □
2.16.2. realizzazione di cordoli

2.16.3. lesioni sarcite con lapillo fine misto a calce

2.16.4. contrafforti esterni

2.16.5. altro

I muri a secco (macere)


2.17. Le viene richiesto di eseguire/riparare le macere di sostegno nei terreni agricoli?
sì □
no, mai □
2.18. Se sì, quante richieste all’incirca ha ricevuto negli ultimi 5 anni?
2.18.1. meno di 5 all’anno □
2.18.2. più di 5 all’anno □
2.18.3. più di 30 nell’intero periodo □
2.19. Come struttura la realizzazione della macera (breve descrizione)?
preparazione
costruzione

disarmo

A quali trattamenti sottopone le pietre prima della messa in opera e da dove provengono (breve
descrizione)?

Le malte e gli intonaci


2.20. Quali tipi di malta Lei maggiormente utilizza soprattutto nei recuperi di strutture preesistenti?
2.20.1. calce + sabbia □
2.20.2. pomice +terra+argilla+calce □
2.20.3. sabbia di fiume + turece □
2.20.4. calce+arena+pozzolana o turece □
2.21. Per la realizzazione degli intonaci nei recuperi delle strutture preesistenti prevede recupero
conoscitivo della composizione dell’intonaco già esistente?
sì □
no, mai □

3. CONOSCENZE
3.1. Queste Sue conoscenze sono, a Suo parere, un elemento valorizzante dell’attività che svolge?
a) sì, perché lavorando su strutture antiche è bene conoscerne le tecniche costruttive □
b) si perché
c) no, perché comunque i materiali moderni per l’edilizia non richiedono tutte queste
conoscenze □
d) no, perché

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ISBN: 978-88-6026-166-3

http: //www.lucianoeditore.net
e-mail: info@lucianoeditore.net

Finito di stampare
nel mese di novembre 2015
per conto della Luciano Editore - Napoli
dalla Graficart - Formia (LT)

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