Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
ABSTRACT: La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato, sin dalla sua celebre sentenza Mathieu-
Mohin et Clerfayt, che l’articolo 3 del primo Protocollo addizionale alla CEDU, il quale consacra il diritto a
libere elezioni, riveste un’importanza capitale nel sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Tale disposizione consacra, secondo la Corte, un principio caratteristico di un regime politico
effettivamente democratico, quest’ultimo voluto dallo stesso Preambolo della Convezione, sul quale riposa
essenzialmente la tutela delle libertà fondamentali. Il principio si rende applicabile non soltanto ai sistemi
elettorali nazionali, ma anche agli organi rappresentativi sovranazionali e non puramente interni, come l’ha
riconosciuto la Corte nei confronti del Parlamento europeo con occasione della sua nota
sentenza Matthews. Il presente lavoro ha per scopo quello di esaminare il trattamento che la
summenzionata Corte ha riservato negli anni a tale diritto, con particolare riguardo al diritto di voto, che
ne è una componente essenziale, sottolineando la significazione che la sua giurisprudenza ha conferito
alla serie di nozioni interdipendenti “libere elezioni – regime democratico – libertà fondamentali”. Saranno
esaminati i diversi casi che hanno maggiormente contribuito a dargli una definizione ed una precisa
portata, attraverso l’esame della nozione di diritto di voto, passivo e attivo, le condizioni di eleggibilità
nonché l’ineleggibilità, così come contornati dalla Corte, con riferimento anche agli standard stabiliti dalla
stessa in materia di sistemi elettorali. Particolare attenzione meriteranno, infine, i casi in cui, come nel
caso Partito comunista russo ed altri c. Russia, la Corte ha esaminato ricorsi in cui si eccepiva la disuguale
copertura mediatica che i media avevano dato ai diversi partiti politici durante la campagna elettorale.
PAROLE CHIAVE: libere elezioni; diritto di voto; eleggibilità; articolo 3 Protocollo 1 CEDU; pluralismo
Secondo gli enciclopedisti, il voto “è il diritto politico per eccellenza ed è strettamente legato alle
nozioni di democrazia, di sovranità popolare e di cittadinanza”. Si spiega anche nelle enciclopedie, che
esso esisteva anche nell’antichità e nel medioevo, ma che solo con l’affermazione del costituzionalismo
moderno e del principio di uguaglianza viene accolta l’idea del voto come diritto individuale.[1] Vi è stato
poi chi l’ha considerato prerogativa esclusiva del costituzionalismo. E così qualcuno ha provato, con
successo, a escluderlo dal testo del progetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950,
essendo il diritto a libere elezioni stato aggiunto soltanto con il Primo Protocollo addizionale del 1952.
Gli argomenti sostenuti da Sir Oscar DOWSON, rappresentante del Regno Unito, per escludere tale
riferimento dal testo della Convenzione (trattato internazionale) sono stati avanzati nell’emendamento che
“The United Kingdom Government desires the deletion of that part
of political opposition. It may be explained that the proposals in this Article relating to those matters, are
of a constitutional and political character, and, in the view of the United Kingdom Government, are not
appropriate for inclusion within the proposed Convention. The practical difficulties which would be raised
by the inclusion of such an Article are numerous. The following may be mentioned: a. The impossibility of
reaching agreement on what precisely are the fundamental principles of democracy; b. It is probable that
the suffrage is as wide in the United Kingdom as in any other country; yet even in the United Kingdom it is
inaccurate to speak of the suffrage as ‘universal’. In no State is the right to vote enjoyed even by citizens
without qualifications. The qualifications required differ from State to State, and it is our view that the
condition of the exercise of suffrage; c. Universal suffrage and secret ballot cannot always and of
necessity ensure that governmental action and legislation is an expression of the will of the people. The
Conviene sottolineare, tuttavia, che gli altri membri del Comitato di esperti ai quali era stato
sottoposto il progetto dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa erano, al contrario, dell’avviso che i
termini ‘suffragio universale’ avessero un senso sufficientemente chiaro e preciso nei Paesi d’Europa e che
gli stessi non escludessero restrizioni del diritto di voto che sono usuali, stimando anche che, sebbene il
suffragio universale e segreto non fosse una garanzia assoluta della democrazia, esso costituisse tuttavia
una garanzia importante degna di essere protetta dalla Convenzione.[3] Se sul piano dei principi il parere
della maggioranza dei membri del Comitato di esperti poteva essere oggi molto più condivisibile, resta il
fatto che, anche dopo una serie di opposizioni espresse principalmente dall’Assemblea consultiva, il
rappresentante del Regno Unito l’ebbe vinta, e il diritto di voto fu escluso dal progetto di Convenzione,
[4] essendo stato poi introdotto nel diritto della Convezione soltanto con il Primo Protocollo addizionale, il
cui articolo 3 impegna le Alte Parti contraenti “a organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a
scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta
del corpo legislativo”.
E furono necessari più di trent’anni perché, poi, nella sua celebre sentenza Mathieu-
Mohin e Clerfayt c. Belgio, del 1987, chiamata a pronunciarsi per la prima volta sull’articolo 3 del Primo
Protocollo addizionale, la Corte europea dei diritti dell’uomo affermasse che tale disposizione riveste nel
sistema della Convenzione un’importanza capitale, poiché consacra un principio caratteristico del regime
politico effettivamente democratico voluto dallo stesso Preambolo della Convenzione, sul quale riposa
essenzialmente la tutela delle libertà fondamentali, precisando inoltre che la stessa enuncia dei diritti
soggettivi di partecipazione, quali il diritto di voto e il diritto di candidarsi alle elezioni del corpo legislativo,
quest’ultimo inteso non necessariamente come il solo Parlamento nazionale, ma interpretato anche in
Già nella stessa sentenza, la Corte aveva anche ammesso che i diritti in questione non sono assoluti
e che delle “limitazioni implicite” possono esservi apportate, gli Stati potendo, nei loro rispettivi
ordinamenti interni, circondare il diritto di voto e di eleggibilità da condizioni alle quali l’articolo 3 del Primo
Protocollo non pone in principio ostacoli, purché tali condizioni non diminuiscano i diritti in questione al
punto di toccarli nella loro stessa sostanza e privarli della loro effettività, perseguano uno scopo legittimo e
sempre che i mezzi impiegati non si rivelino sproporzionati. Specialmente, tali limitazioni, non devono,
secondo la Corte, contrastare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo
legislativo.[6]
La stessa Corte ha ripetutamente osservato che, in materia, gli Stati godono di un ampio margine di
apprezzamento, anche se spetta alla Corte di statuire in ultima istanza sul rispetto delle summenzionate
esigenze.[7] Tale margine di apprezzamento, e ciò indipendentemente dalle statuizioni fatte dalla Corte
nella sua giurisprudenza, sembra ridursi notevolmente nei casi in cui la Corte rileva che vi è una reale
minaccia per la vigenza del regime democratico in questione. E la Corte, in questo senso, si è eretta in
qualche modo, in custode delle democrazie europee, per via della sua funzione di garante dei diritti umani
e delle libertà fondamentali. Orbene, nell’era globalizzata, la quale ha dato luogo alla formazione di una
società civile i cui poteri sono tanto o più importanti di quelli appartenenti allo Stato, tali minacce possono
derivare non soltanto da misure di restrizione delle pubbliche istituzioni (1) ma anche da situazioni create
dai privati, i quali hanno acquisito negli ultimi anni, e specialmente attraverso lo sviluppo delle tecnologie
di comunicazione, un ruolo altrettanto determinante per il normale esercizio del diritto di voto attivo e
passivo. Il diritto a libere elezioni va, nell’era della globalizzazione, dunque, re-interpretato e garantito,
non soltanto nei confronti degli atti delle pubbliche istituzioni, ma anche con riguardo alle azioni dei privati,
e ciò con particolare riferimento agli obblighi posti sugli Stati i quali devono, di conformità con
l’articolo 3 del Primo Protocollo, organizzare libere elezioni in condizioni tali da assicurare la libera
espressione dell’opinione del popolo. È possibile operare una tale re-interpretazione del diritto a libere
elezioni nel contesto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo poiché, come l’ha riconosciuto la Corte
europea dei diritti dell’uomo, l’articolo 3 del Primo Protocollo, pone a carico dello Stato non soltanto
obblighi negativi, ma anche degli obblighi positivi per organizzare delle elezioni democratiche,[8] obblighi
che, come è risaputo, si traducono talvolta, secondo la giurisprudenza costante della Corte, nell’obbligo
degli Stati di adottare delle misure anche in relazione alle azioni dei privati, al fine di evitare che delle
interferenze illegittime da parte di quest’ultimi vengano apportate ai diritti garantiti dalla Convenzione (2).
Nel diritto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il voto si pone, in primo luogo (ma non
solo) come diritto suscettibile di essere rivendicato nei confronti dello Stato, il quale è obbligato “a
organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la
libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo”. In questo senso, il diritto di
voto si colloca come diritto reclamabile dinanzi alle pubbliche istituzioni, le quali esercitano la loro autorità
sulla base della sovranità popolare. L’esercizio di tale sovranità è dunque legittimato dal fatto che esso
deriva dalla libera espressione dell’opinione del popolo, e soltanto in tale misura esso è legittimo. Il voto è,
dunque, fattore di legittimazione del regime democratico, ma allo stesso tempo, in quanto diritto
fondamentale, fattore di limitazione dell’esercizio del potere da parte delle pubbliche autorità.
Quest’ultimo, in effetti, può espletarsi –apportando se del caso delle restrizioni a tale diritto- soltanto a
condizione che determinate esigenze vengano rispettate. Esigenze che vengono definite dagli stessi Stati
nell’esercizio della loro sovranità anche, come nel caso della CEDU, a livello convenzionale, e cioè,
internazionale.[9] Le libere elezioni legittimano dunque il regime democratico, e questo è limitato a sua
volta dalle esigenze di tutela dei diritti fondamentali. I tre concetti costituiscono dunque una serie di
1.1. Il diritto di voto nella serie di nozioni interdipendenti libere elezioni – regime democratico –
libertà fondamentali
La collocazione che il diritto di voto trova nella serie di nozioni concatenate libere elezioni, regime
democratico e libertà fondamentali, è stata illustrata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo già nella
comprende il diritto di voto attivo e passivo, consacra un principio caratteristico del regime politico
effettivamente democratico voluto dal Preambolo della Convenzione, e che su tale regime riposa
essenzialmente la tutela delle libertà fondamentali. Tale rapporto di interdipendenza è stato poi ribadito
nel più recente caso Ždanoka c. Lettonia, nel quale la Corte ha ricordato non solo che la democrazia
rappresenta un elemento fondamentale dell’ordine pubblico europeo, ciò che scaturisce dal Preambolo
della Convenzione, il quale stabilisce un vincolo molto chiaro tra la Convenzione e la democrazia, ma
anche che la Convenzione è destinata a salvaguardare gli ideali e i valori di una società democratica.[10]
I diritti garantiti dall’articolo 3 del Primo Protocollo si inseriscono poi in questa serie di concetti, dal
momento in cui la Corte li ritiene “cruciali per l’instaurazione e la preservazione delle basi di una vera
democrazia retta dalla preminenza del diritto”,[11] ma anche perché, come è stato osservato, la
protezione dei diritti dell’uomo generalmente dipende dalle libere ed eque elezioni, poiché è il governo così
costituito che avrà la responsabilità di rispettare gli obblighi nazionali ed internazionali in questo ambito.
[12]
Ciò non significa che spetta alla Corte europea dei diritti dell’uomo il compito di determinare, al
posto degli Stati, quale sistema elettorale debbano adottare. Nel già citato caso Mathieu-Mohin e Clerfayt,
la Corte ha infatti precisato che l’articolo 3 non ingenera l’obbligo di introdurre un sistema elettorale
determinato, come il proporzionale o il voto maggioritario a uno o due turni. La Corte riconosce, anche lì,
un ampio margine di manovra degli Stati “tenuto conto della diversità nello spazio e della variabilità nel
tempo, delle loro leggi in materia”[13] e comprende la difficoltà nella quale si trovano gli Stati nell’optare
per l’uno o l’altro sistema, poiché la stessa Corte ha riconosciuto che i sistemi elettorali “cercano di
rispondere a degli obiettivi talvolta poco compatibili tra di essi: da un lato, quello di riflettere in modo
approssimativamente fedele le opinioni del popolo, dall’altro, quello di canalizzare le correnti di pensiero
per favorire la formazione di una volontà politica di una coerenza e di una chiarezza sufficienti”.
[14] Come l’osserva M. O’BOYLE, l’approccio della Corte rivela una certa cauzione o prudenza nell’imporre
un punto di vista su come l’ordine costituzionale nazionale debba funzionare, al posto di quello scelto dal
Ogni sistema elettorale deve essere valutato, dunque, “alla luce dell’evoluzione politica del Paese, in
modo che dettagli inaccettabili nel contesto di un sistema determinato possono giustificarsi in quello di un
altro purché il sistema adottato risponda a condizioni che assicurino ‘la libera espressione dell’opinione del
popolo sulla scelta del corpo legislativo’”.[16] Tale approccio ‘a geometria variabile’ che ammette differenti
gradi di evoluzione tra i diversi sistemi elettorali, è stato particolarmente seguito con l’ingresso delle nuove
democrazie europee dell’Europa centrale e orientale nel Consiglio d’Europa, nei confronti delle quali la
Corte ha posto delle esigenze specifiche che non si sono rivelate necessarie nei confronti delle più ‘vecchie’
caso Hirst c. Regno Unito (n. 2), la Corte ha dovuto valutare le ‘specificità’ di alcuni regimi democratici
dell’Europa occidentale, riconoscendo che “esistono numerosi modi di organizzare e di far funzionare i
sistemi elettorali e una moltitudine di differenze in seno all’Europa principalmente nell’evoluzione storica,
nella diversità culturale e nel pensiero politico, che spetta ad ogni Stato contraente di incorporare nella sua
propria visione della democrazia”, ma ponendo dei precisi limiti pur sempre entro ampi margini di
manovra, tra cui nel caso di specie, l’universalità del suffragio dal quale scaturisce il divieto di esclusioni
generali ed automatiche dal voto per determinate categorie di individui, nella specie quella dei carcerati.
[18]
E anche in tale contesto cui tiene conto dei diversi gradi di evoluzione dei sistemi, la Corte ha
precisato, riferendosi al Parlamento europeo nel suo celebre caso Matthews c. Regno Unito, che dal
momento in cui gli Stati contraenti organizzano strutture comuni o parlamentari attraverso trattati
internazionali, la Corte deve tener conto di tali cambiamenti strutturali reciprocamente accordati per
applicazione dell’articolo 3 del Primo Protocollo sulla base dell’argomento che si tratti di un organo
sovranazionale avrebbe rischiato, per la Corte, di compromettere uno degli strumenti fondamentali
attraverso i quali un regime effettivamente democratico può essere preservato.[20] Ciò che ha portato la
democratica nel sistema comunitario e che deve essere visto come la parte della struttura comunitaria che
In tale sistema la Corte si erige dunque in custode dei regimi democratici europei, ponendo come
limite per l’espletamento dei poteri pubblici in questo ambito, la salvaguardia del pluralismo politico tanto
caro ai regimi democratici e, di conseguenza, anche alla tutela dei diritti fondamentali. Orbene, tale ruolo
di guardiano delle democrazie europee implica anche l’ammissione, da parte della Corte, che delle
1.2. Le limitazioni all’esercizio del diritto di voto e le condizioni delle restrizioni: i limiti del pluralismo
politico
dell’universalità del suffragio, il quale è ormai per la Corte, come l’ha stabilito nella sentenza Hirst c.
Regno Unito (n. 2), il “principio di riferimento”.[22] Delle condizioni possono essere tuttavia stabilite per
l’esercizio del diritto di voto attivo e passivo, e in questo senso la Corte ha ammesso che dei requisiti di
età, di cittadinanza o di residenza, possano essere applicati dagli Stati,[23] i quali devono però conciliarsi
con i principi sottostanti all’articolo 3 del Primo Protocollo, poiché, come l’ha affermato la Corte, ogni
derogazione al principio di suffragio universale rischia di minare la validità democratica del corpo
legislativo eletto e delle leggi da esso promulgate.[24] Spetta alla Corte, “in ultima istanza di statuire
sull’osservanza delle esigenze del Protocollo n. 1”,[25] ed attraverso un tale controllo di ultima salvaguardia
Orbene, se il margine di manovra degli Stati è ampio in materia, lo stesso non è tuttavia
illimitato. La Corte non infierisce dunque sulla scelta del sistema politico degli Stati e lascia un ampio
margine di manovra nel porre delle condizioni per l’esercizio dei diritti sanciti dall’articolo 3 del Primo
Protocollo, ma vigila sul rispetto delle esigenze stabilite da tale disposizione e, nel valutare una restrizione
posta a tali diritti, tiene conto soprattutto di due criteri: da una parte, la Corte verifica se vi è stato un atto
arbitrario; dall’altra, valuta se tale restrizione ha pregiudicato la libera espressione dell’opinione del popolo.
[27] In alcune recenti sentenze la Corte si è inoltre riferita alla necessità della legalità di tali limitazioni.[28]
I limiti, come la Corte l’ha dimostrato, sono quelli posti dalla vigenza del pluralismo politico. Nel
caso Saccomanno e altri c. Italia, ad esempio, in nome dell’ampio margine di manovra dello Stato
interessato, la Corte, dichiarando il ricorso inammissibile, si è rifiutata di pronunciarsi sul sistema di “liste
bloccate” che non permetteva ai ricorrenti di esprimere una preferenza per un determinato candidato alle
democratico dello Stato in causa, la Corte le respinge, perché, come è stato osservato dalla dottrina,
l’esigenza del pluralismo politico la costringe anche a controllare il regime istituzionale della società
precisare che la Corte ha ritenuto nel caso Melnitchenko c. Ucraina che, sebbene gli Stati dispongano
di un ampio margine di apprezzamento per stabilire delle condizioni di eleggibilità in abstracto, il principio
di effettività dei diritti esige che la procedura che permette di determinare l’eleggibilità sia accompagnata
Anche l’esclusione dal mandato parlamentario costituisce talvolta una restrizione del diritto di voto,
la quale comporterà una violazione della Convenzione ogniqualvolta non sia proporzionata ad uno scopo
legittimo, come è accaduto, ad esempio, nel recente caso Partito per una società democratica (DTP) e altri
c. Turchia.[34] Tale esclusione risulta, in effetti, talvolta incompatibile con la sostanza stessa del diritto di
essere eletto e di esercitare il proprio mandato, riconosciuto dall’articolo 3 del Protocollo n. 1, e pregiudica
il potere sovrano dell’elettorato che ha eletto tale deputato.[35] Quanto a tale potere sovrano
dell’elettorato, la Corte ha precisato nel caso Riza e altri c. Bulgaria, che il diritto elettorale attivo non si
limita unicamente agli atti consistenti nella scelta del candidato favorito, nella segretezza della cabina
elettorale, ed a immettere la propria scheda nell’urna, ma implica ugualmente la possibilità per ogni
votante di vedere il suo voto influire sulla composizione del corpo legislativo, a condizione che le regole
stabilite dalla legislazione elettorale siano rispettate. Secondo la Corte, ammettere il contrario porterebbe a
svuotare della sua sostanza il diritto di votare, il processo elettorale e l’ordine democratico stesso.[36]
Ne è un altro chiaro esempio dei limiti ammissibili in materia, tenendo anche conto dei diversi gradi
di evoluzione dei sistemi elettorali, la recente sentenza Šlaku v. Bosnia and Herzegovina, nella quale la
Corte si è pronunciata sulle disposizioni della Costituzione secondo cui solo le persone che dichiaravano
affiliazione al “popolo costituente”, cioè le persone che dichiaravano affiliazione con i bosniaci, croati e
serbi, erano ammessi a candidarsi alle elezioni del Parlamento e della Presidenza di Bosnia e Erzegovina.
Nella specie, la Corte ha ritenuto che, sebbene le disposizioni costituzionali impugnate fossero state
adottate per porre fine ad un brutale conflitto marcato dal genocidio e dalla ‘pulizia etnica’ tale da rendere
necessaria l’approvazione di tali disposizioni per assicurare la pace, ora, più di diciotto anni dopo la fine del
tragico conflitto che interessò tale Paese, non vi era più ragione per mantenere le contestate disposizioni
Tuttavia, anche il pluralismo politico trova dei limiti, e la Corte li consente al fine di proteggere la
democrazia da atti che tendano a distruggerla. Già nella citata sentenza Hirst, i giudici di Strasburgo
avevano ricordato che tale standard di tolleranza non impedisce ad una società democratica di adottare
delle misure per proteggersi da attività che mirano a distruggere i diritti e le libertà sanciti dalla
Convenzione. L’articolo 3 non impedisce dunque che delle restrizioni siano apportate ai diritti elettorali di
un individuo che ha, ad esempio, abusato di una posizione pubblica o la cui condotta abbia minacciato di
Tale principio è valutato dalla Corte alla luce degli specifici problemi che ogni regime democratico
trova nel proprio ordinamento interno. Così, nel citato caso Ždanoka, la Corte ha considerato che la misura
legislativa la quale impediva al ricorrente di candidarsi alle elezioni del Parlamento lettone perché aveva
partecipato attivamente alle attività del partito comunista che aveva organizzato e orchestrato un colpo di
Stato, non era arbitraria o sproporzionata, non rilevando quindi una violazione del diritto a libere elezioni,
ma i giudici di Strasburgo circoscrivono tale valutazione ad un singolo sistema politico precisando che, se
tale restrizione non può essere assolutamente ammessa nel contesto di un sistema politico determinato
come quello di un Paese che si è dotato di un quadro stabile di istituzioni democratiche da decine di anni o
da diversi secoli, la stessa può essere ritenuta accettabile in Lettonia, tenuto conto del contesto storico-
politico che ha portato alla sua adozione e della minaccia che rappresenta per il nuovo ordine democratico
lasciasse che queste guadagnassero terreno. Misura che, tuttavia –aggiunge la Corte- deve fare l’oggetto
In effetti, la protezione dell’ordine democratico è per la Corte, come l’ha stabilito nel
caso Etxeberria e altri c. Spagna, un obiettivo legittimo per la restrizione del diritto di voto, ma occorre
inoltre, che al fine di essere conforme alla Convenzione, tale limitazione sia proporzionata a detto scopo.
Nella specie, le autorità spagnole avevano annullato le candidature dei ricorrenti i quali intendevano
alla violenza e alle attività dell’organizzazione terrorista ETA.[40] Nella specie la Corte ha notato che
“il contesto politico esistente in Spagna, vale a dire la presenza di partiti politici indipendentisti negli organi
di governo di alcune comunità autonome e in particolare nel Paese basco, testimonia che la misura
contestata non rispondeva a una volontà di vietare ogni manifestazione di idee separatiste” e, ricordando
la sua giurisprudenza, secondo cui “l’espressione di punti di vista separatisti non implica di per sé una
minaccia all’integrità territoriale dello Stato e alla sicurezza nazionale”, ha ritenuto che tale giurisprudenza
sia stata nel caso di specie rispettata, concludendo che la restrizione in questione fosse proporzionata al
legittimo scopo perseguito e che, in assenza di arbitrio, essa non ha violato la libera espressione
dell’opinione del popolo”, senza che vi sia stata violazione dell’articolo 3 del Primo Protocollo.[41]
2. Il diritto di voto dinanzi agli atti dei privati
In un’era globalizzata nella quale la società civile ha acquisito più che mai un
ruolo determinante per l’andamento dei regimi democratici e per il rispetto dei diritti dell’uomo,[42] la
Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto, come d’altronde l’ha fatto costantemente dal caso X. e
Y. c. Paesi Bassi,[43] che gli Stati devono assicurare una protezione concreta ed effettiva dei diritti
garantiti dalla Convenzione e i suoi Protocolli, anche dinanzi agli atti dei privati. Sul rapporto tra
democrazia e obblighi positivi, è stato affermato che un governo che si definisce democratico avrà, in
relazione ai diritti umani fondamentali, obblighi di non facere e obblighi di facere.[44] In particolare, con
carico dello Stato, un obbligo di adottare misure positive per ‘organizzare’ elezioni democratiche.[45]
Orbene, è stato osservato con accortezza che, in materia, la Corte sarebbe dinanzi alla possibilità di
una graduale espansione della portata delle garanzie offerte dall’articolo 3 del Primo Protocollo,
includendo, tra l’altro, il processo elettorale in un senso più ampio che comprenda, in particolare, la
campagna pre-elettorale nei media e lo statuto legale dei partiti politici nell’area di controllo europeo.
[46] Una tale espansione della portata del diritto a libere elezioni, situata nel contesto dell’era della
globalizzazione, dovrebbe portare a tener sempre più presenti gli obblighi positivi che pesano sugli Stati in
questa materia e, in particolare, quelli che si pongono, secondo la giurisprudenza costante della Corte, nei
confronti degli Stati anche con riguardo alle azioni dei privati. Il diritto a libere elezioni va dunque
riesaminato anche in tale chiave, e cioè, quella delle interazioni tra gli eleggibili e privati e tra gli stessi
elettori o candidati, e degli obblighi che, a partire da tali interazioni, possano sorgere per gli Stati, i quali
sono tenuti ad assicurare una protezione concreta ed effettiva del diritto di voto.
Le interazioni tra eleggibili e privati, comprese le corporazioni societarie, sono state oggetto di
esame soprattutto nei casi riguardanti il finanziamento dei partiti politici e la copertura mediatica delle
della Convenzione.[47] Più avanti, nel caso Ekoglasnost c. Bulgaria, la Corte ha ammesso che la misura in
questione, la quale, tendeva ad “assicurare la trasparenza del finanziamento dei partiti politici, ciò che
riveste un’importanza fondamentale per il buon funzionamento di ogni sistema democratico”, non
oltrepassava il margine di manovra di cui godeva lo Stato, ammettendo che si potesse dunque apportare
una limitazione all’articolo 3 del Primo Protocollo, dunque, in questo ambito, al fine di garantire tale
trasparenza.[48]
La questione si è posta anche, notevolmente, nell’ambito del ruolo che i privati ricoprono nella
copertura mediatica delle campagne elettorali. In tali casi, i ricorrenti lamentavano il trattamento che i
media avevano riservato loro durante la campagna elettorale. Già nel caso Partito «Jaunie Demokrāti» e
Partito «Mūsu Zeme» c. Lettonia, facendo riferimento ad alcune decisioni della Commissione, la Corte
aveva ammesso che potrebbe effettivamente porsi un problema se in circostanze eccezionali, ad esempio,
in periodo elettorale, si rifiutasse ad un partito politico ogni specie di possibilità di emissioni, mentre ad
Ma è nel caso Partito comunista di Russia e altri c. Russia che, più che la decisione della
Corte, risultano soprattutto rilevanti gli argomenti dei ricorrenti, i quali non vengono, in abstracto, ma
soltanto nei fatti, smentiti dalla Corte. Infatti, questi lamentavano che la copertura dei media nelle elezioni
del 2003 era stata viziata, che la stessa era stata sfavorevole ai partiti e ai candidati di opposizione,
considerando che, a causa dell’ineguale copertura mediatica, le elezioni non erano state ‘libere’ e dunque
incompatibili con l’articolo 3 del Primo Protocollo. I ricorrenti arguivano che tale disposizione faceva
implicitamente pesare sul Governo un obbligo di adottare misure positive per assicurare ‘la libera
circostanze l’adozione di misure restrittive sulla libertà di espressione poteva essere considerata necessaria
durante un periodo elettorale al fine di assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo nella scelta
della legislatura.[50]
Orbene, al di là della conclusione della Corte nel caso citato, è dato rilevante che i giudici di
Strasburgo si siano posti la domanda se, nella specie, lo Stato fosse tenuto ad un obbligo positivo derivato
dall’articolo 3 del Primo Protocollo per assicurare che la copertura mediatica da parte dei mass media
(seppur controllati dallo Stato) fosse bilanciata e compatibile con lo spirito delle libere elezioni, anche se
alcuna prova diretta di manipolazione deliberata non era stata trovata, e che la Corte abbia infine
accettato di addentrarsi nella questione, al fine di valutare se tale obbligo positivo fosse stato nella specie
adempiuto. Due sono i criteri di valutazione che la Corte ha deciso di utilizzare per rispondere a tale
domanda: l’ampio margine di manovra degli Stati e il principio secondo cui lo Stato è soltanto obbligato ad
adottare le misure che sono “ragionevolmente disponibili”.[51] Importante è anche il fatto che la Corte
abbia precisato che pesava sullo Stato “un obbligo di intervenire al fine di aprire i media a differenti punti
di vista”,[52] questione che, sebbene si fosse già posta in relazione alla libertà di espressione, si
proponeva ora con riguardo al diritto a libere elezioni. La conclusione della Corte nel caso, altro non fa che
confermare tale obbligo nei confronti dello Stato, poiché, nel decidere che nella specie lo Stato non avesse
inadempiuto tale obbligo, essa non nega la presenza di quest’ultimo nel diritto della Convenzione.[53]
Può accadere inoltre che delle azioni tendenti a limitare l’esercizio del diritto di voto siano anche
effettuate da parte dei privati nei confronti degli elettori, e non soltanto nei confronti dei candidati. Nel
caso Namat Aliyev c. Azerbaijan, il ricorrente allegava che i sostenitori di uno dei candidati avevano
intimidito i votanti e tentato di influire sul loro voto nei pressi dei seggi elettorali, tra altre irregolarità.
Nella specie la Corte ha considerato che, per garantire l’adempimento dell’obbligo positivo scaturito
dall’articolo 3 del Primo Protocollo di organizzare libere elezioni, le corti interne, chiamate a decidere sugli
arguibili reclami di irregolarità delle elezioni, avrebbero dovuto reagire adottando delle misure ragionevoli
per investigare sulle allegate irregolarità senza imporre barriere irragionevoli ed eccessivamente rigorose al
ricorrente. I giudici di Strasburgo hanno ribadito gli obblighi positivi che pesano sugli Stati in questa
materia, sottolineando che ciò che era in gioco in tali procedimenti era non solo l’allegata violazione dei
diritti individuali del ricorrente, ma anche, più genericamente, l’adempimento da parte dello Stato del suo
dovere positivo di organizzare libere ed eque elezioni.[54] Dinanzi alle azioni dei privati, l’obbligo dello
Stato di organizzare libere elezioni implica, dunque, anche quello di indagare sulle ragionevoli
proteste di irregolarità anche qualora tali irregolarità provenissero dalle azioni dei privati.
Risulta difficile determinare in tale contesto, quale sia la portata dell’obbligo che pesa sullo Stato nel
caso di interazioni tra gli individui che interferiscano con l’organizzazione democratica delle elezioni. La
Corte non si è pronunciata in modo decisivo sull’argomento ma piuttosto attraverso dei casi isolati. Nel
caso Atakishi c. Azerbaijan, ad esempio, uno dei candidati era stato squalificato dalle elezioni sulla base
delle disposizioni del codice elettorale che prevedeva tale misura in caso di ricorso a mezzi scorretti e
illegittimi nel condurre le campagne elettorali e guadagnare i voti degli elettori (definito come ‘abuso del
diritto di fare campagna elettorale’). Nella specie, la Corte ha accettato l’argomento del Governo azero
tendente a ritenere che le condizioni fissate per tale restrizione, così come determinate dal codice
candidati nella campagna elettorale e di assicurare che le elezioni fossero tenute di conformità con gli
standard democratici,[55] ed ha esaminato in seguito se tale misura fosse stata arbitraria o
sproporzionata. Nel farlo, la Corte ha precisato che “al fine di evitare la squalificazione arbitraria di
candidati, le procedure interne rilevanti devono contenere garanzie sufficienti per proteggere i candidati
dagli abusi e da allegazioni infondate di condotte elettorali scorrette, e che le decisioni sulla squalificazione
devono essere basate su prove attendibili, rilevanti e sufficienti di tale condotta scorretta”.[56] Nel caso di
specie, il candidato era stato squalificato per aver corrotto i votanti, e per aver insultato il suo opponente e
interrotto il suo comizio, accuse che erano state avanzate dall’opponente del candidato squalificato e dai
suoi sostenitori e che, secondo la Corte, si rivelavano tuttavia basate su prove irrilevanti, insufficienti e che
erano state inadeguatamente esaminate, mancando inoltre un ragionamento giuridico delle corti interne.
Nella specie la Corte ha notato inoltre che, al candidato squalificato, non erano state offerte sufficienti
rivelavano arbitrarie. Ragioni che furono sufficienti (deficienze delle prove, mancanza di garanzie e di
ragionamento giuridico) per ritenere che il candidato era stato illegittimamente squalificato dalle elezioni.
[57]
Il principio finora stabilito dalla Corte in questo particolare ambito sembra indirizzarsi verso l’obbligo
posto a carico degli Stati di intervenire in caso di proteste da parte dei candidati, consistente nell’obbligo di
indagare su tali contestazioni attraverso delle procedure che offrano sufficienti garanzie, anche al
candidato accusato, le quali comprendano una valutazione adeguata delle prove, delle garanzie legali
offerte ai candidati, ai quali deve essere concessa la possibilità del discarico, e una decisione basata su
* Si pubblica l’intervento che sarà presentato per il III Convegno internazionale “Sovranità e rappresentanza: il
costituzionalismo nell’era della globalizzazione”, che si terrà il 5, 6 e 7 dicembre all’Università di Catania.
[1] Cfr. Voce “Diritto di voto” nell’Enciclopedia Treccani.
[2] Cfr. European Court of Human Rights, Preparatory work on Article 3 of Protocol n. 1 to the European Convention
[3] Ibidem, p. 11.
il quale, una volta adottata la Convenzione, senza che alcuni diritti, tra cui il diritto a libere elezioni, fossero stati inclusi
de propriété, ni de la garantie du droit des parents à la libre éducation de leurs enfants, ni de la garantie de libres
élections, il avait au surplus un moyen élégant de s’en tirer: il n’était pas nécessaire d’opposer le veto du
gouvernement britannique au sein du Comité des Ministres, il suffisait de ratifier la Convention, puis, à titre individuel,
de dire, dans l’instrument de ratification, que le gouvernement de sa Majesté britannique n’acceptait pas de contrôle
de la Commission en ce qui concerne le droit de propriété, le droit des parents et le droit à de libres élections. Alors on
aurait su que les Britanniques, au moins, n’empêchaient pas les autres de garantir ces droits fondamentaux, qu’ils se
contentaient de s’y opposer pour leur compte. Est-ce alors le scandale qu’on a voulu? Nous sommes en droit de poser
[6] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §52.
[7] In primo luogo, cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., e di recente, Paunović and Milivojević, cit., §59, nella quale la
[8] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §50.
de légitimité démocratique en droit international?, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol. 67, 2006, pp.
547-573.
veda, JACQUEMOT, Retour sur la dualité de lecture de l’arrêt Zdanoka, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol.
73, 2008, pp. 195-222.
[11] Ibidem, §103.
[13] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §54.
[14] Ibidem.
[15] Cfr. O’BOYLE, op. cit., p. 3.
[16] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §54.
recente Paunović and Milivojević c. Serbia, cit., nei quali la Corte, su un argomento molto simile qual è quello della
sottoscrizione di documenti che prevedono anticipatamente la rinuncia di un candidato eletto, ha valutato in diverso
modo il quadro giuridico nel quale tali rinunce anticipate possono essere ammesse, con il risultato che nel primo caso
la ‘rinuncia’ è stata acconsentita dalla Corte, mentre nell’altro tale forma di ‘rinuncia’ è stata disapprovata e quindi
JONATHAN, A propos de l’arrêt Matthews c. Royaume-Uni (18 février 1999) , in Revue trimestrielle de droit européen ,
[20] Ibidem, §43-44.
[21] Ibidem, §52.
[22] Cfr. Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], 6 ottobre 2005, ricorso n. 74025/01, §59. Si veda,
frontières du corps électoral, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol. 67, 2006, pp. 575-595.
[23] Cfr. Sitaropoulos e Giakoumopoulos c. Grecia [GC], 15 marzo 2012, ricorso n. 42202/07. Si veda anche
l’esigenza per i candidati della conoscenza della lingua di lavoro del parlamento in Podkolzina c. Lettonia, 9 aprile
2002, ricorso n. 46726/99, anche se nella specie, la Corte ha condannato la restrizione perché l’esame al quale la
candidata era stata sottoposta non rispondeva ad una condizione legale richiesta in materia di eleggibilità dei
candidati.
[25] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §52.
[26] Si veda al riguardo, NATALE, Le droit à des élections libres ou la construction d’un véritable ordre démocratique
européen, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol. 68, 2006, pp. 435-465.
18860/07, con riguardo alla ‘previsibilità’ giuridica della misura; Paunović and Milivojević c. Serbia, 24 maggio 2016,
ricorso n. 41683/06, e in particolare, Karimov c. Azerbaijan, 25 settembre 2014, ricorso n. 12535/06, §42, nella quale
la Corte ha stabilito che il principio di legalità implica per lo Stato un dovere di implementare un quadro legislativo al
fine di rispettare i suoi obblighi derivati dalla Convenzione, in generale, e dall’articolo 3 del Primo Protocollo, in
particolare, e di assicurare che i suoi pubblici ufficiali incaricati di eseguire tali obblighi non agiscano fuori dalla legge,
[30] Cfr. BONDIA, Le Conseil de l’Europe: la société démocratique dans la Convention européenne pour la sauvegarde
des droits de l’homme et des libertés fondamentales et la création d’un ordre public démocratique européen en
matière de droits de l’homme, in ZANGHÌ – PANELLA (recherche dirigée par), Les paradigmes démocratiques et les droits
[31] Cfr. Sejdic e Finci c. Bosnia Erzegovina [GC], 22 dicembre 2009, ricorsi n. 27996/06 e n. 34836/06; Aziz c. Cipro,
cit.
[34] Cfr. Partito per una società democratica (DTP) e altri c. Turchia, 12 gennaio 2016, ricorsi n. 3840/10, 3870/10,
[35] Ibidem, §127.
[37] Cfr. Šlaku c. Bosnia e Erzegovina, 26 maggio 2016, ricorso n. 56666/12, §40. Cfr., in particolare: “[...] In view of
the need to ensure effective political democracy, the Court considers that the time has come for a political system
which will provide every citizen of Bosnia and Herzegovina with the right to stand for elections to the Presidency and
the House of Peoples of Bosnia and Herzegovina without discrimination based on ethnic affiliation and without
granting special rights for constituent people to the exclusion of minorities or citizens of Bosnia and
[39] Cfr. Ždanoka, cit., §133-136. Giova notare che la decisione non è stata presa all’unanimità, bensì da 13 voti
députés appelés à exprimer les attentes de leur électorat est au cœur même de la démocratie représentative, quelles
que soient les opinions des intéressés, et si déplaisantes puissent-elles être pour d’autres catégories de la société.
Dans un régime démocratique sain, le critère d’éligibilité ne saurait tenir à l’acceptabilité, pour le courant politique
dominant, des idées exprimées par une personnalité politique, ou à la loyauté qu’elles traduisent envers l’idéologie
établie de l’Etat et de la société, mais doit être déterminé par la représentativité réelle des idées de cette personnalité
vis-à-vis d’un segment de la société, fût-il très petit. Dès lors, si une personnalité politique ne peut pas représenter
une partie des idées de la société, ce n’est pas seulement elle-même qui en pâtit, mais également l’électorat et la
démocratie”. Condivideremo tale valutazione astratta del giudice ROZAKIS, riportando anche la
radicalement différente de celle de tout un parti politique qui aspire à gouverner le pays. Il ressort manifestement des
faits de l’espèce que non seulement la requérante était une candidate isolée représentant des idées qui n’étaient
partagées que par une fraction de l’électorat prorusse, mais également qu’elle appartenait à un courant idéologique
qui était, de toute façon, minoritaire dans le paysage politique letton. Dès lors, il est difficile d’affirmer que l’élection
de la requérante au Parlement letton aurait eu des conséquences néfastes pour la stabilité démocratique du pays”.
[40] Cfr. Etxeberria e altri c. Spagna (traduzione non ufficiale a cura dell’Unione forense per la tutela dei diritti
[41] Ibidem, §54-55.
Rights Law, in Human Rights & International Legal Discourse, vol. 4, n. 1, 2010, pp. 5-14.
in ZANGHÌ – PANELLA, cit., p. 127.
[45] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §50.
[47] Cfr. Partito nazionalista basco – Organizzazione regionale di Iparralde c. Francia, 7 giugno 2007, ricorso n.
71251/01, §34.
[48] Cfr. Ekoglasnost c. Bulgaria, 6 novembre 2012, ricorso n. 30386/05, §63 ss., essendo, tuttavia, tardiva, la misura
10547/07 et 34049/07.
[50] Cfr. Partito comunista di Russia e altri c. Russia, 19 giugno 2012, ricorso n. 29400/05, §55 e §104.
[51] Ibidem, §123.
[52] Ibidem, §126.
[53] Si veda, in particolare, la conclusione della Corte, §128: “The Court considers that the respondent State took
certain steps to guarantee some visibility of opposition parties and candidates on Russian TV and secure editorial
independence and neutrality of the media. Probably, these arrangements did not secure de facto equality of all
competing political forces in terms of their presence on TV screens. In the present case, however, when assessed in
the light of the specific circumstances of the 2003 elections as they have been presented to the Court, and regard
being had to the margin of appreciation enjoyed by the States under Article 3 of Protocol No. 1, it cannot be
considered established that the State failed to meet its positive obligations in this area to such an extent that it
[56] Ibidem, §41.
Valentina Volpe
(anno di pubblicazione: 2017)
Nascondi bibliografia
Bibliografia: BARTOLE, Final Remarks: The Role of the Venice Commission, Review of Central and East
European Law, Vol. 26 (3), 2000, 351 ss.; ID., International Constitutionalism and Conditionality. The
Experience of the Venice Commission, Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Rivista AIC, n. 4,
2014; ID., The Experience of the Venice Commission: Sources and Materials of its Elaboration of the
International Constitutional Law, CDL-PI(2016)016, Strasburgo, 14-12-2016; BUQUICCHIO-
GARRONE, L'harmonisation du droit constitutionnel européen: La contribution de la Commission
européenne pour la démocratie par le droit, Uniform Law Review/Revue de droit uniforme, Vol. 3, n. 2-3,
1998, 323 ss.; ID., Vers un espace constitutionnel commun? Le rôle de la Commission de Venise, in Law
in Greater Europe: Towards a Common Legal Area: Studies in honour of Heinrich Klebes, a cura di Haller-
Kruger-Petzold, L'Aia, 2000, 3 ss.; BUQUICCHIO-GRANATA MENGHINI, The Venice Commission Twenty Years
On: Challenge Met but New Challenges Ahead, in Fundamental Rights and Principles: Liber amicorum
Pieter van Dijk, a cura di van Roosmalen-Vermeulen-van Hoof-Oostling, Cambridge, 2013, 241
ss.; ID., Conseil de l'Europe: Commission de Venise in Répertoire de droit européen, Parigi,
2017; COMMISSIONE DI VENEZIA, Electoral law, Strasburgo, 2008; CRAIG, Transnational Constitution-
Making: The Contribution of the Venice Commission on Law and Democracy, UCI Journal of International,
Transnational and Comparative Law, Vol. 2, 2017; DÜRR, Les travaux de la Commission de Venise en
matière de partis politiques, ACCPUF Bulletin n. 6 , Le statut, le financement et le rôle des partis
politiques: un enjeu de la démocratie, 2006, 59 ss.; ID., The Venice Commission, in Council of Europe, a
cura di Kleinsorge, L'Aia, 2010, 151 ss.; FLANAGAN, The Venice Commission and the Protection of Human
Rights, in Fundamental Rights and Principles: Liber amicorum Pieter van Dijk, a cura di van Roosmalen-
Vermeulen-van Hoof-Oosting, Cambridge, 2013, 255 ss.; GARRONE, La Commission de Venise à la veille
de son dixième anniversaire, Rivista di Studi politici internazionali, Vol. 66, n. 4, 1999, 527 ss.; ID., Le
patrimoine électoral européen: Une décennie d'expérience de la Commission de Venise dans le domaine
électoral, Revue du Droit Public, n. 5, 2001, 1417 ss.; GIAKOUMOPOULOS, La contribution du Conseil de
l'Europe aux réformes constitutionnelles: l'action de la Commission de Venise, in La révision
constitutionnelle dans l'Europe d'aujourd'hui, a cura di Amato-Braibant-Venizelos, European Public Law
Series, Vol. 29, 2002, 695 ss.; HOFFMANN RIEM, The Venice Commission of the Council of Europe –
Standards and Impact, The European Journal of International Law, Vol. 25, n. 2, 2014, 579
ss.; JOWELL, The Venice Commission: disseminating democracy through law, Public Law, n. 4, 2001, 675
ss.; LOPEZ GUERRA, Initial comments on ``le patrimoine électoral européen'', CDL-EL(2002)004,
Strasburgo, 26-2-2002; MALINVERNI, L'expérience de la Commission européenne pour la démocratie par le
droit (Commission de Venise), in Vers un droit constitutionnel européen. Quel droit constitutionnel
européen?, a cura di Flauss, Revue universelle des droits de l'homme, Vol. 7, n. 11-12, 1995, 386
ss.; ID., The Contribution of the European Commission for Democracy through Law (Venice Commission),
in The Prevention of Human Rights Violations, a cura di Bourloyannis Vrailas-Sicilianos, 2001, 124
ss.; ID., The Venice Commission of the Council of Europe, The International Influences on National
Constitutional Law in States in Transition, American Society of International Law – Proceedings of the
Annual Meeting, Vol. 96, 2002, 390 ss.; ID., La réconciliation à travers l'assistance constitutionnelle aux
pays de l'Europe de l'Est: le rôle de la Commission de Venise, Les cahiers de la paix, n. 10, 2004, 207
ss.; PINELLI, Parliaments, Constitutional Transitions and the Venice Commission, Report, LUISS Summer
School Parliamentary Democracy in Europe, Roma, 23-7-2015; ROBERT, La Commission européenne pour
la démocratie par le droit dite «Commission de Venise», in La C.S.C.E.: Dimension humaine et règlement
des différends, a cura di Decaux-Sicilianos, Cahiers du C.E.D.I.N, Parigi, 1993, 255 ss.; ID., L'ingénierie
constitutionnelle et l'Europe de l'Est: Le rôle de la Commission européenne pour la démocratie par le
droit, in La réinvention de l'État: démocratie politique et ordre juridique en Europe centrale et orientale , a
cura di Milacic, Bruxelles, 2003, 195 ss.; ROUSSEAU, La notion de patrimoine constitutionnel européen, Le
patrimoine constitutionnel européen, Science et technique de la démocratie, Strasburgo, n. 18, 1997, 16
ss.; SCHOLSEM, Conclusions, Le patrimoine constitutionnel européen, Science et technique de la
démocratie, Strasburgo, n. 18, 223 ss.; STEINBERGER, Venice Commission (ultimo aggiornamento 2007),
in Max Planck Encyclopedia of Public International Law, a cura di Wolfrum, Oxford, Vol. 10, 2012, 640
ss.; TUORI, From Copenhagen to Venice, in Reinforcing Rule of Law Oversight in the European Union, a
cura di Closa-Kochenov, Cambridge, 2016, 225 ss.; VAN DIJK, The Venice Commission on certain aspects
of the European Convention of Human Rights. Ratione Personae, in Human Rights, Democracy and the
Rule of Law: Liber amicorum Luzius Wildhaber, a cura di Breitenmoser-Ehrenzeller-Sassòli-Stoffel-
Wagner Pfeifer, Zurigo, 2007, 183 ss.; VAN DIJK-GRANATA MENGHINI (a cura di), Liber amicorum Antonio La
Pergola, Lund, 2009; VOLPE, Guaranteeing Electoral Democratic Standards. The Venice Commission and
the ``Code of Good Practice in Electoral Matters'', in Global Administrative Law: The Casebook, a cura di
Cassese-Carotti-Casini-Cavalieri-MacDonald, con la collaborazione di Macchia-Savino, Istituto di Ricerche
sulla Pubblica Amministrazione (IRPA) – Institute for International Law and Justice (IILJ), Roma-New
York, 2012, 57 ss.; ID., Drafting Counter-majoritarian Democracy. The Venice Commission's
Constitutional Assistance, Heidelberg Journal of International Law, Vol. 76, n. 4, 2016, 811 ss.
Mostra legislazione
Introduzione.
La Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, meglio nota come Commissione di
Venezia (di seguito anche Commissione), è il principale organo consultivo del Consiglio d'
Europa (CdE) in materia costituzionale. Creata su impulso del governo italiano nel 1990 e
ispirata nel proprio lavoro ai valori di democrazia, diritti umani e rule of law, che
rappresentano il patrimonio costituzionale comune degli Stati membri del Consiglio d'
La Commissione di Venezia nasce su impulso del giurista italiano ed ex Ministro per le Politiche
comunitarie, Antonio La Pergola. A pochi mesi di distanza dalla caduta del muro di Berlino, La Pergola
immagina e sostiene la creazione di un organismo tecnico, composto da giuristi indipendenti, in grado di
un simile organismo sotto l'egida del Consiglio d' Europa (1). Il 10-5-1990, il
Comitato dei Ministri del CdE sancisce ufficialmente la nascita della `Commissione Europea per la
Democrazia attraverso il Diritto', tramite un accordo parziale del Consiglio d' Europa
La Commissione nasce come un organismo consultivo indipendente chiamato a cooperare, sia con i
Paesi membri, che con i Paesi non membri del Consiglio d' Europa e gli organismi
internazionali interessati al suo lavoro. Fin dalla creazione, la Commissione ha avuto come propria
«specifica sfera d'azione (…), le garanzie offerte dal diritto al servizio della democrazia» (2). Più
concretamente, il mandato della Commissione include: «il rafforzamento della comprensione dei sistemi
giuridici degli Stati partecipanti (…) ed il loro avvicinamento; la promozione della democrazia e della rule
of law; l'esame delle problematiche poste dal funzionamento delle istituzioni democratiche ed il loro
sviluppo e consolidamento» (art. 1.1, Statuto). La Commissione è chiamata a dare priorità a quei principi
e a quelle tecniche costituzionali, legislative ed amministrative funzionali all'efficienza delle istituzioni
La Commissione coopera con corti costituzionali e supreme, sia su base bilaterale che attraverso i loro
organismi associativi e può inoltre condurre, su propria iniziativa, studi e ricerche, preparando, altresì,
progetti di linee guida, leggi e accordi internazionali. Le proposte possono in seguito venire discusse ed
Ad oggi non ha trovato invece realizzazione quella parte del mandato statutario che incoraggia la
Commissione a promuovere la creazione di organismi simili ad essa in altre regioni del mondo con la
conseguente possibilità di stabilire legami e programmi congiunti all'interno dei rispettivi ambiti di
attività.
Al fine di preservarne l'indipendenza, con particolare riguardo ai Paesi che ne richiedono l'assistenza, il
budget della Commissione è finanziato dai suoi membri sulla base di un criterio proporzionale secondo le
Europa e solamente diciotto – degli allora ventitré – Stati membri del CdE prendono parte alla sua
creazione nel 1990. I rimanenti membri del CdE hanno aderito progressivamente nel corso degli anni. In
ragione del successo e dell'interesse suscitato dal lavoro della Commissione, nel 2002 lo Statuto è stato
trasformato in un ``accordo allargato'', consentendo anche a Stati non appartenenti al Consiglio
d' Europa di aderirvi. Oggi la Commissione conta sessantuno Paesi membri. Oltre ai
quarantasette Stati del Consiglio d' Europa , ne fanno parte il Kirghizistan (2004), il
Cile (2005), la Repubblica di Corea (2006), il Marocco e l'Algeria (2007), Israele (2008), il Perù e il
Brasile (2009), la Tunisia ed il Messico (2010), il Kazakistan (2012), gli Stati Uniti d'America (2013), il
Kosovo (2014) e la Costa Rica che si è unita da ultima nel luglio 2016.
Sulla base dello Statuto, la decisione di autorizzare futuri allargamenti spetta formalmente al Comitato
dei Ministri del CdE che può «invitare qualsiasi Paese non membro del Consiglio d'
Europa ad unirsi all'Accordo allargato» (art. 2.5, Statuto). È ancora il Comitato dei Ministri ad
«autorizzare la Commissione ad invitare organizzazioni o organismi internazionali a prendere parte ai suoi
lavori» (art. 2.7, Statuto). Numerosi organismi statali e non-statali partecipano, a diverso titolo, ai lavori
della Commissione. Hanno uno speciale status di cooperazione l'Autorità Nazionale Palestinese e il
Sudafrica. Per l'Unione europea lo Statuto prevede la possibilità di un'eventuale adesione in qualità di
membro che non si è però ancora concretizzata. Ad oggi, la Commissione europea, ha diritto, insieme
(APCE) del CdE e del Congresso dei Poteri Locali e Regionali del Consiglio d' Europa
(CPLRE), unitamente a rappresentanti della Giunta della Regione Veneto (Art. 2.4, Statuto).
Come detto, ai lavori della Commissione partecipano un numero limitato di Paesi ``osservatori'', senza
diritto di voto . Questi sono oggi: Argentina, Canada, Santa Sede, Giappone e Uruguay. Spesso
Paesi che hanno iniziato a collaborare in qualità di osservatori sono poi divenuti membri, come nel caso di
Kazakistan, Israele, USA, o Messico. Il Belarus rimane l'ultimo Paese avente lo status di ``membro
associato''; nel corso degli anni, tutti gli altri Paesi associati dell' Europa Centro-orientale
hanno formalmente completato il processo di transizione politico-costituzionale, divenendo membri a
pieno titolo della Commissione. È interessante notare come attraverso lo status di ``membro associato''
sia stato possibile consentire a molti Paesi non membri del Consiglio d' Europa di
partecipare ai lavori della Commissione ancor prima della revisione statutaria del 2002. Questa inclusione
anticipata ha spesso innescato un processo virtuoso, contribuendo a generare le riforme democratiche
necessarie a garantire ai Paesi associati l'ingresso nel Consiglio d' Europa . Una
volta concluso il processo di adesione al CdE e rispettati i relativi standard necessari all'ingresso, i Paesi
associati hanno avuto la possibilità di divenire membri a pieno titolo della Commissione, come è avvenuto
nei casi di Armenia, Azerbaijan e Bosnia ed Erzegovina. A seguito della revisione statutaria nel 2002 e
della trasformazione in accordo allargato, sono stati soppressi sia lo status di Paese associato che di
osservatore. Oggi è possibile aderire alla Commissione unicamente in qualità di membro ordinario.
3. Struttura interna.
La Commissione di Venezia è composta da «esperti indipendenti che si sono distinti per la loro
esperienza nelle istituzioni democratiche o per il loro contributo all'avanzamento del diritto e della scienza
politica» (art. 2, Statuto). I background professionali dei componenti della Commissione sono vari: i
membri provengono prevalentemente dal mondo accademico (sono spesso professori universitari di
diritto costituzionale o internazionale); oppure sono presidenti o giudici di corti supreme o costituzionali,
o ancora, sono personalità con una significativa esperienza politica, quali membri di parlamenti nazionali
– o più di rado – ex ministri e alti funzionari governativi. Ogni Paese nomina un membro e, di norma, un
solo membro supplente (due eccezionalmente). Tutti i membri, così come i loro sostituti, sono nominati
per un mandato quadriennale (rinnovabile ad libitum) da parte dei Paesi partecipanti. Di fatto gli incarichi
sono spesso stabili negli anni ed è riscontrabile una certa continuità nella composizione della
Commissione. Al fine di preservare l'indipendenza della Commissione e la credibilità dei ``pareri'' stilati, i
membri sono nominati intuitu personae e partecipano ai lavori a titolo individuale, senza possibilità di
ricevere istruzioni da parte dei governi che li hanno nominati. In base al regolamento interno, i membri,
sono tenuti ad agire in maniera tale da essere ed apparire ``indipendenti, imparziali e oggettivi'' rispetto
ad ogni questione sottoposta all'esame della Commissione.
La Commissione elegge ogni due anni un Ufficio di presidenza, composto da un presidente con compiti
di rappresentanza e direzione, tre vicepresidenti, e altri quattro componenti scelti tra i suoi membri.
Antonio La Pergola è stato presidente della Commissione dal 1990 al 2007. Giovanni Buquicchio – già
segretario della Commissione fin dalla sua creazione – dopo una breve presidenza del norvegese Jan Erik
Helgesen (2007-2009), gli è subentrato alla guida, confermando fino ad oggi la continuità degli uffici
direttivi. L'Ufficio di presidenza può riunirsi come ``ufficio allargato'' con la partecipazione dei presidenti
diritti fondamentali, Stato federale e regionale, diritto internazionale, protezione delle minoranze,
potere giudiziario, istituzioni democratiche, metodi di lavoro, America Latina, bacino del Mediterraneo,
Consiglio Scientifico, creato nel 2010, al fine di preservare la qualità e la coerenza del lavoro della
delle elezioni democratiche (vedi infra par. 5) e il Consiglio misto di giustizia
costituzionale (vedi infra par. 6). La Commissione dispone inoltre di un proprio Segretariato permanente,
con sede a Strasburgo, composto da funzionari – in prevalenza giuristi – del Consiglio d'
Europa .
attività sono: l'assistenza costituzionale (par. 4); le elezioni , i referendum, e i partiti politici
(par. 5); la giustizia costituzionale (par. 6). In questi ambiti, la Commissione conduce inoltre un'intensa
attività scientifica promuovendo studi transnazionali, report e seminari (par.7).
4. Assistenza costituzionale.
Delle differenti aree di attività ed expertise della Commissione di Venezia, l'assistenza costituzionale è
certamente la più distintiva. La cooperazione in materia costituzionale ha contribuito a definire l'identità
della Commissione sulla scena internazionale, divenendo allo stesso tempo uno dei più efficaci mezzi di
stato quindi offrire ai Paesi dell' Europa Centro-orientale guida e assistenza giuridico-
costituzionale nel corso dei processi di transizione e consolidamento democratico. Al fine di affrontare la
complessità delle transizioni post-comuniste, la Commissione di Venezia ha interpretato estensivamente il
proprio mandato ratione materiae fin dalle origini. Oltre al ruolo chiave in materia di «dépannage
constitutionnel» (4), ovvero di consulenza sui nuovi progetti di costituzione o emendamenti costituzionali,
costituzionale dei Paesi dell' Europa Centro-orientale. Nonostante l'ampiezza della propria sfera
di intervento, i poteri della Commissione sono meramente consultivi: «non può imporre soluzioni, ma
fornisce pareri che cerca di implementare attivamente attraverso il dialogo e la persuasione» (5). I suoi
pareri rappresentano esempi tipici del potenziale ``hard impact of soft-law'' (6)e sono stati in grado di
esercitare un'influenza spesso decisiva sulle riforme legislative e costituzionali dei Paesi assistiti. Oggi il
compito fondamentale della Commissione è quello di fornire assistenza in materia costituzionale a diversi
attori statali ed in particolare ai propri Paesi membri. Ogni Stato membro, così come ogni organismo
internazionale che partecipi ai suoi lavori, può richiedere alla Commissione un parere su di un testo
legislativo o costituzionale.
L'intero processo di assistenza segue essenzialmente tre fasi: quelle della richiesta, dell'elaborazione e
dell'adozione del parere.
Al fine di stimolare l'attività di assistenza della Commissione di Venezia, l'attore interessato deve
presentare un'esplicita domanda in tal senso e formulare una richiesta di parere. La Commissione, infatti,
non può intervenire motu proprio ed i limiti specifici del proprio mandato sono determinati dalla richiesta
stessa, con un certo margine interpretativo da parte degli esperti internazionali. È interessante notare
come gli organi statali autorizzati a rivolgere una richiesta alla Commissione, comprendano non solo i
governi nazionali, ma anche i parlamenti, i capi di Stato, le corti costituzionali (limitatamente alle
richieste di parere amicus curiae) e, in alcuni casi, gli ombudsman. Questa disposizione consente, almeno
in principio, che attori pubblici nazionali, non espressione di una maggioranza politica, possano appellarsi
alla Commissione per una mediazione e/o consulenza internazionale informale. Anche gli organi del
2016 (11). Anche Stati non membri del Consiglio d' Europa possono beneficiare
dell'assistenza della Commissione (sostenendone i relativi costi), ma in questo caso una domanda deve
essere preventivamente rivolta al Comitato dei Ministri (art. 3.2, Statuto). La Commissione non può
invece accettare alcuna richiesta di parere proveniente da individui o gruppi di individui, ivi comprese le
ONG.
Di preferenza l'intervento della Commissione avviene durante le fasi iniziali dell'adozione di un testo
costituzionale o legislativo, quando le opinioni degli esperti possono venire recepite più facilmente, ma la
Commissione può esprimersi anche su testi costituzionali e legislativi già in vigore. Spesso la fase
redazionale di un testo costituzionale - e il conseguente coinvolgimento degli esperti internazionali - si
protrae per diversi anni, come è avvenuto nei casi di Ucraina e Albania, due Paesi con i quali la
Commissione ha una lunga tradizione di cooperazione.
Il metodo di lavoro adottato dalla Commissione comporta di regola la nomina di un gruppo di lavoro
composto da uno o più dei suoi membri (``membres rapporteurs''), affiancati occasionalmente da esperti
esterni. La selezione dei relatori si basa su criteri di competenza legati alla questione sottoposta e alla
precedente familiarità con l'ordinamento costituzionale del Paese interessato, unitamene a considerazioni
di equilibrio di genere e provenienza geografica tra i membri della Commissione.
Quando possibile, la Commissione invia i propri esperti in missioni in loco, al fine cogliere una
prospettiva interna sulle riforme legislative e costituzionali in esame e di discuterne il contenuto, sia con
le autorità nazionali (secondo i casi, il Parlamento, i membri del Governo, la Corte costituzionale, la Corte
suprema o di Cassazione, l'ombudsman), che con gli attori della società civile (ad esempio, ONG,
associazioni di magistrati e/o di giornalisti). I relatori in seguito sono chiamati a redigere un ``commento
personale'' in grado di fornire consulenza alle autorità nazionali sulla riforma in questione, verificando la
conformità del progetto di legge o costituzione agli standard del Consiglio d' Europa
. Sulla base dei `commenti' predisposti dai relatori, il Segretariato di Strasburgo prepara un primo
progetto di parere, implementandolo sulla base dell'esperienza acquisita. Dopo essere stato sottoposto ai
relatori per eventuali osservazioni e per l'approvazione finale, il progetto di parere viene discusso e
adottato dalla Commissione di Venezia nel corso delle sessioni plenarie, di norma alla presenza dei
rappresentanti del Paese interessato. A seguito dell'adozione ufficiale, che avviene solitamente per
consensus, il parere è pubblicato e divulgato sul sito della Commissione ed è trasmesso alle autorità
internazionali o nazionali richiedenti.
Ciò che è particolarmente degno di nota nel metodo di lavoro e nell'attività di assistenza della
Commissione di Venezia è la dimensione dialogica risultante dall'interazione tra gli esperti internazionali e
le autorità nazionali e la conseguente interazione tra lo spazio giuridico globale / europeo e gli
ordinamenti giuridici nazionali (12). Come il processo di adozione delle nuove costituzioni dell' Europa
nazionali sono poi libere di prendere o non prendere in considerazione le osservazioni della
Commissione nella versione finale, e di richiedere, in caso, una nuova consulenza su di un testo diverso.
Il risultato finale di questo dialogo istituzionale muta in modo significativo a seconda delle diverse
variabili in gioco, che includono gli interlocutori della Commissione, le condizioni storiche e politiche di
intervento ed i diversi attori coinvolti nel processo. Sebbene la Commissione non disponga di procedure
formali di follow up per monitorare l'effettiva trasposizione interna dei propri pareri, è possibile affermare
che «quando le richieste provengono dagli Stati interessati medesimi, è norma che i pareri vengano
seguiti, in tutto o in parte» (13).
Lo Statuto non limita l'attività di cooperazione costituzionale ad una specifica area geografica, eppure
sono stati essenzialmente i Paesi dell' Europa Centro-orientale e dell'Asia centrale a beneficiare
dell'assistenza della Commissione. Questa è stata coinvolta in circa una trentina di processi costituenti in
queste regioni, si pensi in particolare ai casi di Albania, Armenia, Azerbaijan, Bosnia ed Erzegovina,
Bulgaria, Croazia, Federazione Russa, Georgia, Ungheria, Kirghizistan, Kazakistan, Moldavia, Montenegro,
Uzbekistan, Romania, Serbia, Slovenia e Ucraina. Raramente invece gli Stati dell' Europa
occidentale hanno richiesto l'assistenza della Commissione. I capi di Stato e di governo degli Stati
membri del CdE hanno richiesto già nel 2005, per ora senza apprezzabile seguito, «a tutti gli Stati
membri di avvalersi dei pareri e dell'assistenza della (…) Commissione di Venezia per perfezionare le
norme europee, in particolare nel settore del funzionamento delle istituzioni democratiche e del diritto
elettorale» (14).
5. Elezioni , referendum e partiti politici.
negli anni, grande attenzione all'ambito delle elezioni , dei referendum e dei partiti politici. Più
specificamente il contributo della Commissione di Venezia in materia elettorale comprende: seminari,
studi comparativi e redazione di standard normativi; assistenza alle missioni di osservazione della APCE e
alle commissioni elettorali nel periodo delle elezioni ; attività di formazione per le medesime
commissioni, partiti politici, ONG e giudici; la creazione della banca-dati ``VOTA'' che raccoglie la
legislazione in materia elettorale degli Stati membri e degli altri Stati coinvolti nei lavori della
Commissione.
Fin dal 2002, l'impegno della Commissione di Venezia in materia elettorale ha trovato conferma
politici del CdE attivi nell'osservazione elettorale. Coerentemente, il primo compito del Consiglio
elettorale europeo (``suffragio universale, uguale, libero, segreto e diretto'' ed il principio di
elezioni a cadenze regolari), unitamente al quadro necessario per l'attuazione di questi principi.
Come confermano numerose sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (C. Dir. Uomo)
che ad esso fanno riferimento, il Codice di buona condotta in materia elettorale è oggi – insieme al
``diritto a libere elezioni '' contenuto nell'art. 3 del Protocollo addizionale alla
6. Giustizia costituzionale.
Nel corso degli anni, la Commissione ha sviluppato una stretta collaborazione con corti costituzionali
europee ed extra-europee e con corti di equivalente giurisdizione, ponendo la giustizia costituzionale al
centro della propria attività. Già nel 1991, la Commissione ha istituito il Centro di documentazione per la
giustizia costituzionale, con l'obiettivo di raccogliere e facilitare la circolazione della giurisprudenza
costituzionale e altre rilevanti decisioni in materia.
Nel corso degli anni, questo mandato ha trovato realizzazione, soprattutto grazie al ``Bollettino di
giurisprudenza costituzionale'' (in seguito Bollettino) e al database CODICES. La pubblicazione del
Bollettino ha fatto parte delle attività di giustizia costituzionale della Commissione fin dal 1993. Pubblicato
tre volte l'anno, esso contiene la sintesi in lingua francese e inglese delle più importanti decisioni assunte
dalle oltre cento corti partecipanti. Il database CODICES rappresenta l'omologo elettronico della
pubblicazione cartacea e contiene circa 9.000 decisioni, unitamente ai testi di costituzioni nazionali e leggi
relative al funzionamento della giustizia costituzionale. In anni più recenti, la creazione del Venice Forum
ha favorito attraverso una piattaforma on-line, un rapporto diretto e uno scambio confidenziale di
informazioni fra autorità giudiziarie, con l'obiettivo di promuovere una migliore comunicazione tra corti ed
esperienze di cross-fertilization nel campo della giurisprudenza costituzionale.
Le attività della Commissione in questo campo sono supervisionate dal Consiglio misto di
giustizia costituzionale, composto da «membri della Commissione e rappresentanti delle corti e
associazioni cooperanti» (art. 3.4, Statuto). I cosiddetti ``ufficiali di collegamento'' (liaison officers)
rappresentano le oltre sessanta corti nazionali partecipanti, ma anche la C. Dir. Uomo, la Corte di
Dal 1996, la Commissione ha stabilito una cooperazione su scala globale con una serie di associazioni
regionali o linguistiche di Corti costituzionali, in particolare la Conferenza delle Corti costituzionali
europee, l'Associazione delle Corti costituzionali di lingua francese, il Forum dei presidenti delle Corti
dell'Africa australe, la Conferenza degli organi costituzionali di controllo dei Paesi di nuova democrazia,
l'Associazione delle Corti costituzionali ed istituzioni equivalenti dell'Asia, l'Unione delle Corti costituzionali
e consigli arabi, la Conferenza iberoamericana sulla giustizia costituzionale, la Conferenza delle
giurisdizioni costituzionali africane e la Conferenza delle Corti costituzionali dei Paesi di lingua portoghese.
Questa nuova dimensione globale della Commissione nel settore della giustizia costituzionale ha posto
le basi per la prima Conferenza mondiale sulla giustizia costituzionale (World Conference on
Constitutional Justice), che si è tenuta a Città del Capo, Sudafrica il 22/24-1-2009. La Conferenza è stata
organizzata in collaborazione con la Corte costituzionale del Sudafrica (che ha una lunga storia di
cooperazione con la Commissione) e vi hanno partecipato i rappresentanti di oltre novanta Corti e
Consigli costituzionali e Corti supreme con giurisdizione costituzionale e nel campo dei diritti
umani . Sulla base di una dichiarazione adottata in tale occasione, la Commissione ha assistito
un ufficio di presidenza nella creazione della Conferenza mondiale come organismo permanente. I
successivi congressi si sono tenuti a Rio de Janeiro nel 2011, a Seul, ospitato dalla Corte Costituzionale
della Repubblica di Corea nel 2014, in Lituania su iniziativa sempre della Corte Costituzionale nel 2017.
Partecipano alla Conferenza mondiale oltre cento Corti costituzionali e organi equivalenti. La Commissione
opera come Segretariato della Conferenza.
Uno degli sviluppi più interessanti nel campo della giustizia costituzionale è il nuovo ruolo assunto dalla
Commissione in qualità di amicus curiae di Corti nazionali ed internazionali. La prima Corte costituzionale
a chiedere alla Commissione di Venezia un parere in materia di rapporto tra libertà di espressione e
diffamazione è stata la Corte della Georgia nel 2004 (15). Da allora, su richiesta delle corti costituzionali
nazionali, ma anche della C. Dir. Uomo, la Commissione fornisce pareri in qualità di amicus curiae su
questioni di diritto costituzionale comparato e di diritto internazionale. Nel caso RuÂ~a Jeličić c. Bosnia ed
Erzegovina (16), la C. Dir. Uomo ha ammesso, ed anzi ha invitato, osservazioni scritte da parte della
Commissione di Venezia riguardo al profilo giuridico dell'Accordo quadro generale per la pace in Bosnia ed
Erzegovina (Accordo di Dayton) del 1995 e lo status internazionale della Camera per i diritti
La Commissione di Venezia può inoltre fornire dei pareri amicus ombud ai difensori civici che possono
richiedere un parere su una questione specifica, anche di ampia portata, e non necessariamente legata ai
limiti del proprio mandato.
Sebbene la maggior parte del suo lavoro riguardi singoli Paesi, la Commissione di Venezia redige studi
e report su temi di interesse transnazionale che coprono una vasta gamma di questioni legate al diritto
costituzionale, pubblico comparato ed internazionale. La Commissione si è occupata negli anni di:
indipendenza del sistema giudiziario, accesso individuale alla giustizia costituzionale, condizione dei
detenuti a Guantanamo Bay, così come del rapporto tra misure antiterrorismo e diritti
umani , controllo democratico dei servizi di sicurezza e forze armate e dialettica tra libertà di
espressione e libertà di religione. Questi studi possono portare alla preparazione di linee guida o di
progetti di accordi internazionali. Di quest'ultima facoltà la Commissione ha fatto uso con parsimonia; una
sola volta, nel 1990, su richiesta di alcuni Stati europei, ha preparato un progetto di convenzione per la
protezione delle minoranze che è il testo alla base della Convenzione quadro per la protezione delle
minoranze nazionali del 1995 (18).
del Consiglio d' Europa nei Paesi di nuova democrazia, fornendo in particolar modo
occasioni di formazione a funzionari pubblici di Paesi che attraversano le fasi della transizione o del
consolidamento democratico. Le attività del Campus UniDem sono concepite per innescare un
meccanismo virtuoso di apprendimento a cascata in cui i dipendenti pubblici coinvolti possano a loro volta
trasmettere le conoscenze acquisite ai loro colleghi una volta rientrati nei Paesi d'origine. Dopo diverse
edizioni rivolte ai Paesi dell' Europa Centro-orientale, nel 2015 è stato lanciato il programma
UniDem Med Campus rivolto alla regione del Mediterraneo meridionale. Il programma prevede dei
seminari di formazione per funzionari pubblici e sono organizzati, con il sostegno finanziario dell'Unione
europea, in uno dei Paesi partecipanti (Algeria, Egitto, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Mauritania,
Autorità Nazionale Palestinese e Tunisia), a conferma del crescente coinvolgimento della Commissione
nella regione.
Dall'istituzione del programma nel 2000, oltre tremila dipendenti pubblici sono stati formati attraverso
il programma UniDem. Gli atti del programma sono generalmente pubblicati all'interno della collana della
Commissione di Venezia ``Scienza e tecnica della democrazia''. La collana, che conta attualmente
cinquanta volumi, è la principale pubblicazione scientifica della Commissione. Ogni volume si occupa di
una tematica specifica, rilevante negli ambiti del diritto internazionale e costituzionale.
dell' Europa occidentale e di alcuni strumenti internazionali nel campo dei diritti
durante le fasi della transizione democratica dei Paesi dell' Europa Centro-orientale (25).
Simmetricamente va rilevato come il lavoro della Commissione rappresenti a sua volta un parametro di
riferimento condiviso da altre organizzazioni e corti regionali. L'Unione europea ha spesso fatto
riferimento alla Commissione e al suo lavoro, ad esempio in occasione delle procedure di infrazione
avviate contro l'Ungheria, con riguardo al pensionamento anticipato dei giudici (26)e al finanziamento
estero delle ONG (27), rispettivamente nel 2012 e nel 2017, oppure in occasione del ``New EU Framework
to strengthen the Rule of Law'' (28)adottato nel 2014 ed utilizzato per la prima volta nei confronti della
Polonia nel 2016. La C. Dir. Uomo ha citato la Commissione ed i suoi pareri in oltre un centinaio di
decisioni ed anche la Corte di Giustizia dell'Unione europea, soprattutto nell'azione degli avvocati
generali, ha fatto in alcuni casi riferimento al lavoro della Commissione di Venezia (29).
Nel corso degli anni, la Commissione di Venezia è stata in grado di costruire e preservare quella
``reputational authority'' di cui gli organi consultivi necessitano al fine di esercitare un'influenza effettiva
sui poteri pubblici nazionali. È un dato di fatto, che le autorità statali abbiano riposto, e continuino a
riporre, fiducia nel lavoro della Commissione di Venezia (come testimonia il numero crescente di richieste
di pareri provenienti sia da Paesi membri che non membri del CdE) (30)e questa fiducia, radicatasi nei primi
anni del processo di transizione democratica dell' Europa Centro-orientale, è essenziale per
accrescere ulteriormente l'influenza della Commissione in una sorta di circolo virtuoso.
Su questi temi, uno degli interrogativi principali riguarda la possibilità, per gli esperti internazionali, di
contribuire a «scrivere» la democrazia nazionale attraverso la propria attività di drafting costituzionale,
senza addentrarsi in una sfera propriamente politica. Le questioni costituzionali ed elettorali
appartengono per definizione al sine qua non di una democrazia, investendo da un lato il fondamento
giuridico di quest'ultima e dall'altro i processi decisionali che la governano. Il diritto costituzionale tocca
necessariamente questioni vicine al cuore della sovranità statale (31), quali la distribuzione delle
competenze tra i poteri dello Stato, la dimensione economica e l'insieme dei diritti fondamentali
riconosciuti. Assistere un Paese nella redazione delle proprie scelte costituzionali o elettorali e
monitorarne il processo di adozione (che implica suggerire quali soluzioni costituzionali o legislative
adottare o escludere in un certo ordinamento giuridico tra le alternative possibili), sono attività che
raramente implicano mere doti di ingegneria costituzionale (32)e che garantiscono, invece, un ampio
margine di manovra agli esperti internazionali.
La Commissione di Venezia, come gli altri organismi tecnici coinvolti in attività simili, sembra oscillare
nel proprio lavoro di assistenza costituzionale tra ``téchne'' e ``politeia''. Nel rendere conformi le
costituzioni nazionali agli standard del CdE e al patrimonio costituzionale europeo, la téchne della
Commissione consente un'efficace attuazione della sua politeia, volta alla promozione del
costituzionalismo europeo (33), ma questa politeia, contraddice in ultima analisi la pura téchne (34). Le
«scelte tecniche non sono neutrali: ci sono sempre interessi politici e considerazioni dietro la scelta di un
determinato standard», sia questo tecnico o giuridico e anche nel caso della Commissione sembra
possibile affermare che la ``tecnica è politica'' (35).
-----------------------
ROBERT, La Commission européenne pour la démocratie par le droit dite «Commission de Venise» , cit.,
(1)
255.
(2)
Ove non diversamente indicato le traduzioni di materiali e letteratura sono a cura dell'Autrice.
(5)
JOWELL, The Venice Commission: disseminating democracy through law, cit., 676.
(6)
SLAUGHTER, A New World Order, Princeton, 2004, 178.
Europe, in Facets and Practices of State-Building, a cura di Raue-Sutter, Leida-Boston, 2009, 155-177.
20-6-2011.
COMMISSIONE DI VENEZIA, Turkey, Opinion on the Amendments to the Constitution Adopted by the Grand
(9)
National Assembly on 21 January 2017 and to be Submitted to a National Referendum on 16 April 2017 ,
CDL-AD(2017)005, Strasburgo, 13-3-2017.
(10)
BUQUICCHIO-GRANATA MENGHINI, Conseil de l'Europe: Commission de Venise, cit.
Venezia, 14-10-2016.
In questo senso l'attività della Commissione di Venezia è un esempio delle nuove dinamiche del diritto
(12)
globale. Si vedano CASSESE, The Global Polity: Global Dimensions of Democracy and the Rule of Law,
Siviglia, 2012; CASSESE, Il diritto globale: Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Torino, 2009; KLABBERS-
PETERS-ULFSTEIN, The Constitutionalization of International Law, Oxford, 2009; BUSSANI, Il diritto
dell'Occidente: Geopolitica delle regole globali, Torino, 2010.
BUQUICCHIO-GRANATA MENGHINI, The Venice Commission Twenty Years On: Challenge Met but New
(13)
(14)
Comitato dei Ministri, Action Plan, CM(2005)80 final, 17-5-2005.
COMMISSIONE DI VENEZIA, Amicus curiae opinion on the relationship between the freedom of expression
(15)
and defamation with respect to unproven defamatory allegations of facts as requested by the
Constitutional Court of Georgia, CDL-AD(2004)011, Strasburgo, 17-3-2004; ENGEL, La Commission
européenne pour la démocratie par le droit, dite «Commission de Venise»: cadre et acteur privilégiés de
coopération en matière de justice constitutionnelle, in Droit International et Coopération
Internationale, Hommage à Jean-André Touscoz, a cura di Thierry, Nizza, 2007, 867-883, 879.
VAN DIJK, The Venice Commission on Certain Aspects of the Application of the European Convention of
(16)
Human Rights Ratione Personae, cit., 184; C. Dir. Uomo, RuÂ~a Jeličić c. Bosnia ed Erzegovina,
Application no. 41183/02, Strasburgo, 31-10-2006; COMMISSIONE DI VENEZIA, Amicus Curiae Opinion on
the Nature of the Proceedings before the Human Rights Chamber and the Constitutional Court of Bosnia
and Herzegovina, CDL AD(2005)020, Strasburgo, 15-6-2005.
C. Dir. Uomo, Bjelić c. Montenegro e Serbia, Application no. 11890/05, 28-4-2009; COMMISSIONE DI
(17)
VENEZIA, Amicus Curiae Brief in the case of Bijelić against Montenegro and Serbia , CDL-AD(2008)02,
Strasburgo, 20-10-2008; C. Dir. Uomo, Sejdić e Finci c. Bosnia ed Erzegovina, Applications nos.
27996/06 e 34836/06, 22-12-2009; COMMISSIONE DI VENEZIA, Mémoire Amicus Curiae dans les affaires
Sejdić et Finci c. Bosnie-Herzégovine, CDL-AD(2008)027, Strasburgo, 22-10-2008; C. Dir. Uomo, Rywin
c. Polonia, Application nos. 6091/06, 4047/07 e 4070/07, Strasburgo, 18-2-2016; COMMISSIONE DI
VENEZIA, Amicus Curiae Brief in the case of Rywin v. Poland, CDL-AD(2014)013, Strasburgo, 25-3-2014;
C. Dir. Uomo, Partito nazionalista basco – Organizzazione regionale d'Iparralde c. Francia, Application no.
71251/01, 7-6-2007; COMMISSIONE DI VENEZIA, Opinion on the Prohibition of Financial Contributions to
Political Parties from Foreign Sources, CDL-AD(2006)014, Strasburgo, 31-3-2006.
(18)
BUQUICCHIO-GRANATA MENGHINI, Conseil de l'Europe: Commission de Venise, cit.
(19)
COMMISSIONE DI VENEZIA, The Constitutional Heritage of Europe, cit.
BUQUICCHIO-GRANATA MENGHINI, The Venice Commission Twenty Years On: Challenge Met but New
(20)
BARTOLE, International
(21)
Constitutionalism and Conditionality – The Experience of the Venice
Commission, cit., 5.
(22)
Ibidem.
Sembra significativo in tal senso che documenti più recenti preferiscano il termine ``patrimonio
(23)
COMMISSIONE DI VENEZIA, Opinion on the Constitutional Aspects of the Death Penalty in Ukraine, CDL-
(24)
Sugli standard adottati dalla Commissione di Venezia si veda, HOFFMANN RIEM, The Venice Commission
(25)
COMMISSIONE EUROPEA, A new EU Framework to strengthen the Rule of Law, COM(2014) 158 final/2,
(28)
Bruxelles, 19-3-2014.
generale Kokott, 14-4-2011; C-64/16, Associação Sindical dos JuÍzes Portugueses c. Tribunal de Contas,
Opinione dell'Avvocato generale Saugmandsgaard Øe, 18-5-2017; C-145/04, Regno di Spagna c. Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sostenuto dalla Commissione delle Comunità europee, 12-9-
2006 e C-300/04, M.G. Eman and O.B. Sevinger c. College van burgemeester en wethouders van Den
Haag, Opinione dell'Avvocato generale Tizzano, 6-4-2006.
(30)
COMMISSIONE DI VENEZIA, Annual Report of Activities 2013.
(31)
DÜRR, The Venice Commission, cit., 152.
VOLPE, Guaranteeing Electoral Democratic Standards: The Venice Commission and ``The Code of Good
(32)
cit.
VOLPE, Guaranteeing Electoral Democratic Standards: The Venice Commission and ``The Code of Good
(34)
CAROTTI-CASINI, A Hybrid Public-Private Regime: The Internet Corporation for Assigned Names and
(35)
Numbers (ICANN) and the Governance of the Internet, in Global Administrative Law: The Casebook, a
cura di Cassese-Carotti-Casini-Cavalieri-MacDonald, con la collaborazione di Macchia-Savino, Istituto di
Ricerche sulla Pubblica Amministrazione (IRPA) – Institute for International Law and Justice (IILJ), Roma-
New York, 2012, 185-193, 191.
[1] A. Lust, Online voting: Boon or bane for democracy?, Information Polity, 2015, vol.
20, no. 4, p. 313.
[2] E-estonia.com, i-voting, https://e-estonia.com/solutions/e-governance/i-voting/
[3] Per approfondire: Wikipedia, Sistemi a schede
perforate, https://it.wikipedia.org/wiki/Sistemi-a-schede-perforate
[4] Per approfondire: Wikipedia, Sistemi di voto a scansione
ottica, https://it.wikipedia.org/wiki/Sistemi-di-voto-a-scansione-ottica
[5] M. Russel e I. Zamfir, Digital technology in elections: efficiency versus credibility?,
Briefing – European Parliamentary Research Service (EPRS), p.
7, http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2018//EPRS_BRI(2018)EN.pdf
[6] Wikipedia, DRE voting machine, https://en.wikipedia.org/wiki/DRE-voting-machine
[7] C. Kane, Voting and verifiability interview with Ron Rivest, RSA Vantage
Magazine, 2010, vol. 7, no. 1.
[8] G. Ofori-Dwumfuo e E. Paatey, The Design of an Electronic Voting System,
Research Journal of Information Technology, 2011, vol. 3, no. 2, p. 92.
[9] Ibid.
[10] B. Schneier, Whats wrong with electronic voting machines?, novembre
2004, https://www.opendemocracy.net/en/article-2213jsp/
[11] V. supra n. 5, p. 2.
[12] P. P. Bungale e S. Sridhar, Requirements for an Electronic Voting System, The
Johns Hopkins University, Department of Computer
Science, http://www.cs.jhu.edu/~rubin/courses/groupreports/group4-requirements.pdf
[13] Per eventi di questo tipo, che quindi intaccano la regolare operatività dei sistemi e
delle infrastrutture, è opportuno predisporre procedure specifiche di ripristino
approntando un Piano di continuità operativa. Il piano di continuità operativa descrive
le procedure per la gestione della continuità operativa di un’organizzazione (privata o
pubblica) e contiene idonee misure preventive per affrontare adeguatamente le potenziali
criticità relative a risorse umane, strutturali e tecnologiche. Parte integrante del piano di
continuità operativa è il piano di disaster recovery, il quale è l’insieme delle misure
tecniche e organizzative adottate per assicurare il funzionamento dei centri di
elaborazione dati e le applicazioni informatiche, relative in questo caso al sistema di
voto implementato, a fronte di eventi che provochino, o possano provocare,
indisponibilità prolungate.
Per approfondire: Wikipedia, Business
continuity, https://it.wikipedia.org/Businesscontinuity
[14] Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione intergovernativa che raggruppa, con i
suoi 47 Stati membri, quasi tutti i paesi del continente europeo. Fondata nel 1949 grazie
al Trattato di Londra e con sede a Strasburgo, ha lo scopo di salvaguardare e promuovere
il patrimonio comune di ideali e lo sviluppo economico, sociale e giuridico dei paesi
europei. Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione estranea all’Unione Europea ed è
spesso confusa con gli organi di quest’ultima quali il Consiglio europeo e il Consiglio
dell’Unione Europea. Il Comitato dei Ministri è composto dai 47 Ministri degli Affari
Esteri degli stati membri ed è il principale organo decisionale della predetta
organizzazione intergovernativa. Il Comitato elabora raccomandazioni per gli stati
membri, le quali non sono vincolanti per gli stessi: nonostante ciò il Comitato fornisce
policy, modelli e proposte che i governi possono implementare a livello nazionale. Per
approfondire:
Consiglio d’Europa: rpcoe.esteri.it, Consiglio
d’Europa, https://rpcoe.esteri.it/rpcoe/it/consiglio-d-europa
Comitato dei Ministri: rpcoe.esteri.it, Comitato dei Ministri,
https://rpcoe.esteri.it/rpcoe/it/consiglio-d-europa/comitato-dei-ministri
[15]Consiglio d’Europa, Recommendation CM/Rec(2017)5 of the Committee of
Ministers to member States on standards for e-
voting, https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectID=0900001680726f6f
[16] A. Kanupriya, Denial of Service Attack on Online Voting System, International
Journal of Engineering Science and Computing, 2016, vol. 6, no. 5, p. 5585.
[17] V. supra n. 5, pp. 8-9.
[18] Ibid, p. 9.
ARTICOLI CORRELATI
Davide Stefanello
Ho conseguito la laurea triennale in Scienze dei servizi giuridici nel 2016, presso l’Università Statale di Milano,
con una tesi sul GDPR e il Privacy Shield. In seguito, ho concluso il mio percorso universitario nel 2018,
conseguendo la laurea magistrale in Management e design dei servizi, presso l’Università di Milano Bicocca, con
una tesi sul metodo Lego® Serious Play®. Un percorso un po’ inusuale, ma davvero utile per poter applicare un
approccio multidisciplinare a ciò di cui sono appassionato: la protezione dei dati personali.
Da ottobre 2018 a settembre 2019 mi sono occupato di conformità al GDPR in Logotel, una società che si occupa
di service design, formazione e di creazione e gestione di business community per clienti corporate.
Da settembre 2019 lavoro come Legal Consultant, occupandomi di protezione dei dati personali nella società di
consulenza Partners4Innovation. Nello specifico mi occupo di progetti data protection in diverse organizzazioni,
sia private che pubbliche.
Nell’area IP & IT di Ius in Itinere scrivo di protezione dei dati personali e privacy, con il desiderio di
approfondire ancora di più queste tematiche e di fornire interessanti spunti ai lettori.
PUBBLICATO DA
Davide Stefanello
TAGS:cybersecuritydatipersonaliGDPRinternet votingITmovimento 5 stellepiattaforma
rousseauprivacyprotezione dei dati personalirousseauvoto elettronicovoto online
25/03/2019 12:05