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IL DIRITTO A LIBERE ELEZIONI E LA CORTE EUROPEA DEI

DIRITTI DELL’UOMO, CUSTODE DEI REGIMI DEMOCRATICI


EUROPEI*
  Letizia Seminara

Dottore di ricerca dell'Università Sapienza di Roma e dell'Università di Strasburgo

 ABSTRACT: La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato, sin dalla sua celebre sentenza Mathieu-

Mohin  et Clerfayt, che l’articolo 3 del primo Protocollo addizionale alla CEDU, il quale consacra il diritto a
libere elezioni, riveste un’importanza capitale nel sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Tale disposizione consacra, secondo la Corte, un principio caratteristico di un regime politico
effettivamente democratico, quest’ultimo voluto dallo stesso Preambolo della Convezione, sul quale riposa
essenzialmente la tutela delle libertà fondamentali. Il principio si rende applicabile non soltanto ai sistemi
elettorali nazionali, ma anche agli organi rappresentativi sovranazionali e non puramente interni, come l’ha
riconosciuto la Corte nei confronti del Parlamento europeo con occasione della sua nota
sentenza  Matthews. Il presente lavoro ha per scopo quello di esaminare il trattamento che la
summenzionata Corte ha riservato negli anni a tale diritto, con particolare riguardo al diritto di voto, che
ne è una componente essenziale, sottolineando la significazione che la sua giurisprudenza ha conferito
alla serie di nozioni interdipendenti “libere elezioni – regime democratico – libertà fondamentali”. Saranno
esaminati i diversi casi che hanno maggiormente contribuito a dargli una definizione ed  una precisa
portata, attraverso l’esame della nozione di diritto di voto, passivo e attivo, le condizioni di eleggibilità
nonché l’ineleggibilità, così come contornati dalla Corte, con riferimento anche agli standard stabiliti dalla
stessa in materia di sistemi elettorali. Particolare attenzione  meriteranno, infine, i casi in cui, come nel
caso Partito comunista russo ed altri c. Russia, la Corte ha esaminato ricorsi in cui si eccepiva la disuguale
copertura mediatica che i media avevano dato ai diversi partiti politici durante la campagna elettorale.

PAROLE CHIAVE: libere elezioni; diritto di voto; eleggibilità; articolo  3  Protocollo 1  CEDU; pluralismo

Secondo gli enciclopedisti, il voto “è il diritto politico per eccellenza ed è strettamente legato alle

nozioni di democrazia, di sovranità popolare e di cittadinanza”. Si spiega anche nelle enciclopedie, che

esso esisteva anche nell’antichità e nel medioevo, ma che solo con l’affermazione del costituzionalismo

moderno e del principio di uguaglianza viene accolta l’idea del voto come diritto individuale.[1] Vi è stato
poi chi l’ha considerato prerogativa esclusiva del costituzionalismo. E così qualcuno ha provato, con

successo, a escluderlo dal testo del progetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950,

essendo il diritto a libere elezioni stato aggiunto soltanto con il Primo Protocollo addizionale del 1952.

Gli argomenti sostenuti da Sir Oscar DOWSON, rappresentante del Regno Unito, per escludere tale

riferimento dal testo della Convenzione (trattato internazionale) sono stati avanzati nell’emendamento che

egli aveva proposto nei seguenti termini:

“The United Kingdom Government desires the deletion of that part

of this Article which includes the undertakings regarding machinery of elections and the right

of political opposition. It may be explained that the proposals in this Article relating to those matters, are

of a constitutional and political character, and, in the view of the United Kingdom Government, are not

appropriate for inclusion within the proposed Convention. The practical difficulties which would be raised

by the inclusion of such an Article are numerous. The following may be mentioned: a. The impossibility of

reaching agreement on what precisely are the fundamental principles of democracy; b. It is probable that

the suffrage is as wide in the United Kingdom as in any other country; yet even in the United Kingdom it is

inaccurate to speak of the suffrage as ‘universal’. In no State is the right to vote enjoyed even by citizens

without qualifications. The qualifications required differ from State to State, and it is our view that the

variety of circumstances to be considered may justify the imposition of a variety of qualifications, as a

condition of the exercise of suffrage; c. Universal suffrage and secret ballot cannot always and of

necessity ensure that governmental action and legislation is an expression of the will of the people. The

phrase used in paragraph 1 accordingly is a rather misleading over-simplification”.[2]

Conviene sottolineare, tuttavia, che gli altri membri del Comitato di esperti ai quali era stato

sottoposto il progetto dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa erano, al contrario, dell’avviso che i

termini ‘suffragio universale’ avessero un senso sufficientemente chiaro e preciso nei Paesi d’Europa e che

gli stessi non escludessero restrizioni del diritto di voto che sono usuali, stimando anche che, sebbene il

suffragio universale e segreto non fosse una garanzia assoluta della democrazia, esso costituisse tuttavia

una garanzia importante degna di essere protetta dalla Convenzione.[3] Se sul piano dei principi il parere

della maggioranza dei membri del Comitato di esperti poteva essere oggi molto più condivisibile, resta il

fatto che, anche dopo una serie di opposizioni espresse principalmente dall’Assemblea consultiva, il

rappresentante del Regno Unito l’ebbe vinta, e il diritto di voto fu escluso dal progetto di Convenzione,

[4] essendo stato poi introdotto nel diritto della Convezione soltanto con il Primo Protocollo addizionale, il

cui articolo 3 impegna le Alte Parti contraenti “a organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a

scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta
del corpo legislativo”.

E furono necessari più di trent’anni perché, poi, nella sua celebre sentenza Mathieu-

Mohin  e  Clerfayt c. Belgio, del 1987, chiamata a pronunciarsi per la prima volta sull’articolo 3 del Primo
Protocollo addizionale, la Corte europea dei diritti dell’uomo affermasse che tale disposizione riveste nel

sistema della Convenzione un’importanza capitale, poiché consacra un principio caratteristico del regime

politico effettivamente democratico voluto dallo stesso Preambolo della Convenzione, sul quale riposa

essenzialmente la tutela delle libertà fondamentali, precisando inoltre che la stessa enuncia dei diritti

soggettivi di partecipazione, quali il diritto di voto e il diritto di candidarsi alle elezioni del corpo legislativo,

quest’ultimo inteso non necessariamente come il solo Parlamento nazionale, ma interpretato anche in

funzione della struttura costituzionale dello Stato in causa.[5]

Già nella stessa sentenza, la Corte aveva anche ammesso che i diritti in questione non sono assoluti

e che delle “limitazioni implicite” possono esservi apportate, gli Stati potendo, nei loro rispettivi

ordinamenti interni, circondare il diritto di voto e di eleggibilità da condizioni alle quali l’articolo 3 del Primo

Protocollo non pone in principio ostacoli, purché tali condizioni non diminuiscano i diritti in questione al

punto di toccarli nella loro stessa sostanza e privarli della loro effettività, perseguano uno scopo legittimo e

sempre che i mezzi impiegati non si rivelino sproporzionati. Specialmente, tali limitazioni, non devono,

secondo la Corte, contrastare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo

legislativo.[6]

La stessa Corte ha ripetutamente osservato che, in materia, gli Stati godono di un ampio margine di

apprezzamento, anche se spetta alla Corte di statuire in ultima istanza sul rispetto delle summenzionate

esigenze.[7] Tale margine di apprezzamento, e ciò indipendentemente dalle statuizioni fatte dalla Corte

nella sua giurisprudenza, sembra ridursi notevolmente nei casi in cui la Corte rileva che vi è una reale

minaccia per la vigenza del regime democratico in questione. E la Corte, in questo senso, si è eretta in

qualche modo, in custode delle democrazie europee, per via della sua funzione di garante dei diritti umani

e delle libertà fondamentali. Orbene, nell’era globalizzata, la quale ha dato luogo alla formazione di una

società civile i cui poteri sono tanto o più importanti di quelli appartenenti allo Stato, tali minacce possono

derivare non soltanto da misure di restrizione delle pubbliche istituzioni (1) ma anche da situazioni create

dai privati, i quali hanno acquisito negli ultimi anni, e specialmente attraverso lo sviluppo delle tecnologie

di comunicazione, un ruolo altrettanto determinante per il normale esercizio del diritto di voto attivo e

passivo. Il diritto a libere elezioni va, nell’era della globalizzazione, dunque, re-interpretato e garantito,

non soltanto nei confronti degli atti delle pubbliche istituzioni, ma anche con riguardo alle azioni dei privati,

e ciò con particolare riferimento agli obblighi posti sugli Stati i quali devono, di conformità con
l’articolo 3 del Primo Protocollo, organizzare libere elezioni in condizioni tali da assicurare la libera

espressione dell’opinione del popolo. È possibile operare una tale re-interpretazione del diritto a libere

elezioni nel contesto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo poiché, come l’ha riconosciuto la Corte

europea dei diritti dell’uomo, l’articolo 3 del Primo Protocollo, pone a carico dello Stato non soltanto

obblighi negativi, ma anche degli obblighi positivi per organizzare delle elezioni democratiche,[8] obblighi

che, come è risaputo, si traducono talvolta, secondo la giurisprudenza costante della Corte, nell’obbligo

degli Stati di adottare delle misure anche in relazione alle azioni dei privati, al fine di evitare che delle

interferenze illegittime da parte di quest’ultimi vengano apportate ai diritti garantiti dalla Convenzione (2).

1. Il diritto di voto dinanzi alle pubbliche istituzioni

Nel diritto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il voto si pone, in primo luogo (ma non

solo) come diritto suscettibile di essere rivendicato nei confronti dello Stato, il quale è obbligato “a

organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la

libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo”. In questo senso, il diritto di

voto si colloca come diritto reclamabile dinanzi alle pubbliche istituzioni, le quali esercitano la loro autorità

sulla base della sovranità popolare. L’esercizio di tale sovranità è dunque legittimato dal fatto che esso

deriva dalla libera espressione dell’opinione del popolo, e soltanto in tale misura esso è legittimo. Il voto è,

dunque, fattore di legittimazione del regime democratico, ma allo stesso tempo, in quanto diritto

fondamentale, fattore di limitazione dell’esercizio del potere da parte delle pubbliche autorità.

Quest’ultimo, in effetti, può espletarsi –apportando se del caso delle restrizioni a tale diritto- soltanto a

condizione che determinate esigenze vengano rispettate. Esigenze che vengono definite dagli stessi Stati

nell’esercizio della loro sovranità anche, come nel caso della CEDU, a livello convenzionale, e cioè,

internazionale.[9] Le libere elezioni legittimano dunque il regime democratico, e questo è limitato a sua

volta dalle esigenze di tutela dei diritti fondamentali. I tre concetti costituiscono dunque una serie di

nozioni interdipendenti di cui conviene occuparsi.

1.1. Il diritto di voto nella serie di nozioni interdipendenti libere elezioni – regime democratico –

libertà fondamentali
 

La collocazione che il diritto di voto trova nella serie di nozioni concatenate libere elezioni, regime

democratico e libertà fondamentali, è stata illustrata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo già nella

citata sentenza Mathieu-Mohin e Clerfayt, in cui si è precisato che il diritto a libere elezioni, il quale

comprende il diritto di voto attivo e passivo, consacra un principio caratteristico del regime politico

effettivamente democratico voluto dal Preambolo della Convenzione, e che su tale regime riposa

essenzialmente la tutela delle libertà fondamentali. Tale rapporto di interdipendenza è stato poi ribadito

nel più recente caso Ždanoka c. Lettonia, nel quale la Corte ha ricordato non solo che la democrazia

rappresenta un elemento fondamentale dell’ordine pubblico europeo, ciò che scaturisce dal Preambolo

della Convenzione, il quale stabilisce un vincolo molto chiaro tra la Convenzione e la democrazia, ma

anche che la Convenzione è destinata a salvaguardare gli ideali e i valori di una società democratica.[10]

I diritti garantiti dall’articolo 3 del Primo Protocollo si inseriscono poi in questa serie di concetti, dal

momento in cui la Corte li ritiene “cruciali per l’instaurazione e la preservazione delle basi di una vera

democrazia retta dalla preminenza del diritto”,[11] ma anche perché, come è stato osservato, la

protezione dei diritti dell’uomo generalmente dipende dalle libere ed eque elezioni, poiché è il governo così

costituito che avrà la responsabilità di rispettare gli obblighi nazionali ed internazionali in questo ambito.

[12]

Ciò non significa che spetta alla Corte europea dei diritti dell’uomo il compito di determinare, al

posto degli Stati, quale sistema elettorale debbano adottare. Nel già citato caso Mathieu-Mohin e Clerfayt,

la Corte ha infatti precisato che l’articolo 3 non ingenera l’obbligo di introdurre un sistema elettorale

determinato, come il proporzionale o il voto maggioritario a uno o due turni. La Corte riconosce, anche lì,

un ampio margine di manovra degli Stati “tenuto conto della diversità nello spazio e della variabilità nel

tempo, delle loro leggi in materia”[13] e comprende la difficoltà nella quale si trovano gli Stati nell’optare

per l’uno o l’altro sistema, poiché la stessa Corte ha riconosciuto che i sistemi elettorali “cercano di

rispondere a degli obiettivi talvolta poco compatibili tra di essi: da un lato, quello di riflettere in modo

approssimativamente fedele le opinioni del popolo, dall’altro, quello di canalizzare le correnti di pensiero

per favorire la formazione di una volontà politica di una coerenza e di una chiarezza sufficienti”.

[14] Come l’osserva M. O’BOYLE, l’approccio della Corte rivela una certa cauzione o prudenza nell’imporre

un punto di vista su come l’ordine costituzionale nazionale debba funzionare, al posto di quello scelto dal

popolo attraverso le istituzioni nazionali.[15]

Ogni sistema elettorale deve essere valutato, dunque, “alla luce dell’evoluzione politica del Paese, in
modo che dettagli inaccettabili nel contesto di un sistema determinato possono giustificarsi in quello di un

altro purché il sistema adottato risponda a condizioni che assicurino ‘la libera espressione dell’opinione del

popolo sulla scelta del corpo legislativo’”.[16] Tale approccio ‘a geometria variabile’ che ammette differenti

gradi di evoluzione tra i diversi sistemi elettorali, è stato particolarmente seguito con l’ingresso delle nuove

democrazie europee dell’Europa centrale e orientale nel Consiglio d’Europa, nei confronti delle quali la

Corte ha posto delle esigenze specifiche che non si sono rivelate necessarie nei confronti delle più ‘vecchie’

democrazie occidentali.[17] D’altra parte, il principio è stato ribadito anche in occasioni in cui, come nel

caso Hirst c. Regno Unito (n. 2), la Corte ha dovuto valutare le ‘specificità’ di alcuni regimi democratici

dell’Europa occidentale, riconoscendo che “esistono numerosi modi di organizzare e di far funzionare i

sistemi elettorali e una moltitudine di differenze in seno all’Europa principalmente nell’evoluzione storica,

nella diversità culturale e nel pensiero politico, che spetta ad ogni Stato contraente di incorporare nella sua

propria visione della democrazia”, ma ponendo dei precisi limiti pur sempre entro ampi margini di

manovra, tra cui nel caso di specie, l’universalità del suffragio dal quale scaturisce il divieto di esclusioni

generali ed automatiche dal voto per determinate categorie di individui, nella specie quella dei carcerati.

[18]

E anche in tale contesto cui tiene conto dei diversi gradi di evoluzione dei sistemi, la Corte ha

precisato, riferendosi al Parlamento europeo nel suo celebre caso Matthews  c. Regno Unito, che dal

momento in cui gli Stati contraenti organizzano strutture comuni o parlamentari attraverso trattati

internazionali, la Corte deve tener conto di tali cambiamenti strutturali reciprocamente accordati per

interpretare la Convenzione e i suoi Protocolli.[19] Escludere dunque il Parlamento europeo dalla sfera di

applicazione dell’articolo 3 del Primo Protocollo sulla base dell’argomento che si tratti di un organo

sovranazionale avrebbe rischiato, per la Corte, di compromettere uno degli strumenti fondamentali

attraverso i quali un regime effettivamente democratico può essere preservato.[20] Ciò che ha portato la

Corte a considerare che il Parlamento europeo rappresenta la principale forma di responsabilità politica

democratica nel sistema comunitario e che deve essere visto come la parte della struttura comunitaria che

meglio riflette un effettivo regime politico democratico,[21] considerandolo, dunque, un corpo legislativo ai

sensi dell’articolo 3 del Primo Protocollo.

In tale sistema la Corte si erige dunque in custode dei regimi democratici europei, ponendo come

limite per l’espletamento dei poteri pubblici in questo ambito, la salvaguardia del pluralismo politico tanto

caro ai regimi democratici e, di conseguenza, anche alla tutela dei diritti fondamentali. Orbene, tale ruolo

di guardiano delle democrazie europee implica anche l’ammissione, da parte della Corte, che delle

restrizioni a tale diritto possano essere legittime, ma a condizione che determinate esigenze vengano


rispettate. La Corte veglia, in ultima istanza, sul rispetto di tali esigenze.

1.2. Le limitazioni all’esercizio del diritto di voto e le condizioni delle restrizioni: i limiti del pluralismo

politico

Il contesto in cui si realizza pienamente un regime effettivamente democratico è dunque quello

dell’universalità del suffragio, il quale è ormai per la Corte, come l’ha stabilito nella sentenza Hirst c.

Regno Unito (n. 2), il “principio di riferimento”.[22] Delle condizioni possono essere tuttavia stabilite per
l’esercizio del diritto di voto attivo e passivo, e in questo senso la Corte ha ammesso che dei requisiti di

età, di cittadinanza o di residenza, possano essere applicati dagli Stati,[23] i quali devono però conciliarsi

con i principi sottostanti all’articolo 3 del Primo Protocollo, poiché, come l’ha affermato la Corte, ogni

derogazione al principio di suffragio universale rischia di minare la validità democratica del corpo

legislativo eletto e delle leggi da esso promulgate.[24] Spetta alla Corte, “in ultima istanza di statuire

sull’osservanza delle esigenze del Protocollo n. 1”,[25] ed attraverso un tale controllo di ultima salvaguardia

la Corte procede ad una sorta di costruzione di un “vero ordine democratico europeo”.[26]

Orbene, se il margine di manovra degli Stati è ampio in materia, lo stesso non è tuttavia

illimitato. La Corte non infierisce dunque sulla scelta del sistema politico degli Stati e lascia un ampio

margine di manovra nel porre delle condizioni per l’esercizio dei diritti sanciti dall’articolo 3 del Primo

Protocollo, ma vigila sul rispetto delle esigenze stabilite da tale disposizione e, nel valutare una restrizione

posta a tali diritti, tiene conto soprattutto di due criteri: da una parte, la Corte verifica se vi è stato un atto

arbitrario; dall’altra, valuta se tale restrizione ha pregiudicato la libera espressione dell’opinione del popolo.

[27] In alcune recenti sentenze la Corte si è inoltre riferita alla necessità della legalità di tali limitazioni.[28]

I limiti, come la Corte l’ha dimostrato, sono quelli posti dalla vigenza del pluralismo politico. Nel

caso Saccomanno e altri c. Italia, ad esempio, in nome dell’ampio margine di manovra dello Stato

interessato, la Corte, dichiarando il ricorso inammissibile, si è rifiutata di pronunciarsi sul sistema di “liste

bloccate” che non permetteva ai ricorrenti di esprimere una preferenza per un determinato candidato alle

elezioni legislative.[29] Tuttavia, se le restrizioni applicate sono tali da pregiudicare il regime pluralista

democratico dello Stato in causa, la Corte le respinge, perché, come è stato osservato dalla dottrina,

l’esigenza del pluralismo politico la costringe anche a controllare il regime istituzionale della società

democratica.[30] Di conseguenza, non sono ammesse, ad esempio, le restrizioni basate


sull’origine nazionale[31] o sul solo fatto che il candidato possieda la doppia nazionalità.[32] Occorre

precisare che la Corte ha ritenuto nel caso Melnitchenko c. Ucraina che, sebbene gli Stati dispongano

di un ampio margine di apprezzamento per stabilire delle condizioni di eleggibilità in abstracto, il principio

di effettività dei diritti esige che la procedura che permette di determinare l’eleggibilità sia accompagnata

da garanzie sufficienti per evitare gli atti arbitrari.[33]

Anche l’esclusione dal mandato parlamentario costituisce talvolta una restrizione del diritto di voto,

la quale comporterà una violazione della Convenzione ogniqualvolta non sia proporzionata ad uno scopo

legittimo, come è accaduto, ad esempio, nel recente caso Partito per una società democratica (DTP) e altri

c. Turchia.[34] Tale esclusione risulta, in effetti, talvolta incompatibile con la sostanza stessa del diritto di
essere eletto e di esercitare il proprio mandato, riconosciuto dall’articolo 3 del Protocollo n. 1, e pregiudica

il potere sovrano dell’elettorato che ha eletto tale deputato.[35] Quanto a tale potere sovrano

dell’elettorato, la Corte ha precisato nel caso Riza e altri c. Bulgaria, che il diritto elettorale attivo non si

limita unicamente agli atti consistenti nella scelta del candidato favorito, nella segretezza della cabina

elettorale, ed a immettere la propria scheda nell’urna, ma implica ugualmente la possibilità per ogni

votante di vedere il suo voto influire sulla composizione del corpo legislativo, a condizione che le regole

stabilite dalla legislazione elettorale siano rispettate. Secondo la Corte, ammettere il contrario porterebbe a

svuotare della sua sostanza il diritto di votare, il processo elettorale e l’ordine democratico stesso.[36]

Ne è un altro chiaro esempio dei limiti ammissibili in materia, tenendo anche conto dei diversi gradi

di evoluzione dei sistemi elettorali, la recente sentenza Šlaku  v. Bosnia and  Herzegovina, nella quale la

Corte si è pronunciata sulle disposizioni della Costituzione secondo cui solo le persone che dichiaravano

affiliazione al “popolo costituente”, cioè le persone che dichiaravano affiliazione con i bosniaci, croati e

serbi, erano ammessi a candidarsi alle elezioni del Parlamento e della Presidenza di Bosnia e Erzegovina.

Nella specie, la Corte ha ritenuto che, sebbene le disposizioni costituzionali impugnate fossero state

adottate per porre fine ad un brutale conflitto marcato dal genocidio e dalla ‘pulizia etnica’ tale da rendere

necessaria l’approvazione di tali disposizioni per assicurare la pace, ora, più di diciotto anni dopo la fine del

tragico conflitto che interessò tale Paese, non vi era più ragione per mantenere le contestate disposizioni

costituzionali, auspicandosi, in applicazione dell’articolo 46 della Convenzione, che delle modifiche

democratiche fossero fatte al più breve.[37]

Tuttavia, anche il pluralismo politico trova dei limiti, e la Corte li consente al fine di proteggere la

democrazia da atti che tendano a distruggerla. Già nella citata sentenza Hirst, i giudici di Strasburgo

avevano ricordato che tale standard di tolleranza non impedisce ad una società democratica di adottare

delle misure per proteggersi da attività che mirano a distruggere i diritti e le libertà sanciti dalla
Convenzione. L’articolo 3 non impedisce dunque che delle restrizioni siano apportate ai diritti elettorali di

un individuo che ha, ad esempio, abusato di una posizione pubblica o la cui condotta abbia minacciato di

compromettere lo stato di diritto o le basi della democrazia.[38]

Tale principio è valutato dalla Corte alla luce degli specifici problemi che ogni regime democratico

trova nel proprio ordinamento interno. Così, nel citato caso Ždanoka, la Corte ha considerato che la misura

legislativa la quale impediva al ricorrente di candidarsi alle elezioni del Parlamento lettone perché aveva

partecipato attivamente alle attività del partito comunista che aveva organizzato e orchestrato un colpo di

Stato, non era arbitraria o sproporzionata, non rilevando quindi una violazione del diritto a libere elezioni,

ma i giudici di Strasburgo circoscrivono tale valutazione ad un singolo sistema politico precisando che, se

tale restrizione non può essere assolutamente ammessa nel contesto di un sistema politico determinato

come quello di un Paese che si è dotato di un quadro stabile di istituzioni democratiche da decine di anni o

da diversi secoli, la stessa può essere ritenuta accettabile in Lettonia, tenuto conto del contesto storico-

politico che ha portato alla sua adozione e della minaccia che rappresenta per il nuovo ordine democratico

il risorgimento di idee che rischierebbero di condurre alla restaurazione di un regime totalitario, se si

lasciasse che queste guadagnassero terreno. Misura che, tuttavia –aggiunge la Corte- deve fare l’oggetto

di un seguimento costante e alla quale si deve mettere termine a breve.[39]

In effetti, la protezione dell’ordine democratico è per la Corte, come l’ha stabilito nel

caso Etxeberria  e altri c. Spagna, un obiettivo legittimo per la restrizione del diritto di voto, ma occorre

inoltre, che al fine di essere conforme alla Convenzione, tale limitazione sia proporzionata a detto scopo.

Nella specie, le autorità spagnole avevano annullato le candidature dei ricorrenti i quali intendevano

proseguire le attività di Batasuna e Erri Batasuna, disciolti precedentemente in ragione del loro sostegno

alla violenza e alle attività dell’organizzazione terrorista ETA.[40] Nella specie la Corte ha notato che

“il contesto politico esistente in Spagna, vale a dire la presenza di partiti politici indipendentisti negli organi

di governo di alcune comunità autonome e in particolare nel Paese basco, testimonia che la misura

contestata non rispondeva a una volontà di vietare ogni manifestazione di idee separatiste” e, ricordando

la sua giurisprudenza, secondo cui “l’espressione di punti di vista separatisti non implica di per sé una

minaccia all’integrità territoriale dello Stato e alla sicurezza nazionale”, ha ritenuto che tale giurisprudenza

sia stata nel caso di specie rispettata, concludendo che la restrizione in questione fosse proporzionata al

legittimo scopo perseguito e che, in assenza di arbitrio, essa non ha violato la libera espressione

dell’opinione del popolo”, senza che vi sia stata violazione dell’articolo 3 del Primo Protocollo.[41]

 
2. Il diritto di voto dinanzi agli atti dei privati

In un’era globalizzata nella quale la società civile ha acquisito più che mai un

ruolo determinante per l’andamento dei regimi democratici e per il rispetto dei diritti dell’uomo,[42] la

Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto, come d’altronde l’ha fatto costantemente dal caso X. e

Y. c. Paesi Bassi,[43] che gli Stati devono assicurare una protezione concreta ed effettiva dei diritti
garantiti dalla Convenzione e i suoi Protocolli, anche dinanzi agli atti dei privati. Sul rapporto tra

democrazia e obblighi positivi, è stato affermato che un governo che si definisce democratico avrà, in

relazione ai diritti umani fondamentali, obblighi di non  facere e obblighi di facere.[44] In particolare, con

riguardo al diritto a libere elezioni, la Corte ha ribadito nel caso Mathieu-Mohin e Clerfayt, che si trova a

carico dello Stato, un obbligo di adottare misure positive per ‘organizzare’ elezioni democratiche.[45]

Orbene, è stato osservato con accortezza che, in materia, la Corte sarebbe dinanzi alla possibilità di

una graduale espansione della portata delle garanzie offerte dall’articolo 3 del Primo Protocollo,

includendo, tra l’altro, il processo elettorale in un senso più ampio che comprenda, in particolare, la

campagna pre-elettorale nei media e lo statuto legale dei partiti politici nell’area di controllo europeo.

[46] Una tale espansione della portata del diritto a libere elezioni, situata nel contesto dell’era della

globalizzazione, dovrebbe portare a tener sempre più presenti gli obblighi positivi che pesano sugli Stati in

questa materia e, in particolare, quelli che si pongono, secondo la giurisprudenza costante della Corte, nei

confronti degli Stati anche con riguardo alle azioni dei privati. Il diritto a libere elezioni va dunque

riesaminato anche in tale chiave, e cioè, quella delle interazioni tra gli eleggibili e privati e tra gli stessi

elettori o candidati, e degli obblighi che, a partire da tali interazioni, possano sorgere per gli Stati, i quali

sono tenuti ad assicurare una protezione concreta ed effettiva del diritto di voto.

2.1. Le interazioni tra eleggibili e i privati

Le interazioni tra eleggibili e privati, comprese le corporazioni societarie, sono state oggetto di

esame soprattutto nei casi riguardanti il finanziamento dei partiti politici e la copertura mediatica delle

campagne elettorali. In materia di finanziamenti, tuttavia, nel caso Partito nazionalista basco –

Organizzazione regionale di  Iparralde  c. Francia, la Corte ha evitato di pronunciarsi sull’articolo 3 del


Primo Protocollo, esaminando il caso dal punto di vista della libertà di associazione, tutelata dall’articolo 11

della Convenzione.[47] Più avanti, nel caso Ekoglasnost c. Bulgaria, la Corte ha ammesso che la misura in

questione, la quale, tendeva ad “assicurare la trasparenza del finanziamento dei partiti politici, ciò che

riveste un’importanza fondamentale per il buon funzionamento di ogni sistema democratico”, non

oltrepassava il margine di manovra di cui godeva lo Stato, ammettendo che si potesse dunque apportare

una limitazione all’articolo 3 del Primo Protocollo, dunque, in questo ambito, al fine di garantire tale

trasparenza.[48]

La questione si è posta anche, notevolmente, nell’ambito del ruolo che i privati ricoprono nella

copertura mediatica delle campagne elettorali. In tali casi, i ricorrenti lamentavano il trattamento che i

media avevano riservato loro durante la campagna elettorale. Già nel caso Partito «Jaunie  Demokrāti» e

Partito «Mūsu Zeme» c. Lettonia, facendo riferimento ad alcune decisioni della Commissione, la Corte
aveva ammesso che potrebbe effettivamente porsi un problema se in circostanze eccezionali, ad esempio,

in periodo elettorale, si rifiutasse ad un partito politico ogni specie di possibilità di emissioni, mentre ad

altri partiti si accordasse del tempo di antenna.[49]

Ma è nel caso Partito comunista di Russia e altri c. Russia che, più che la decisione della

Corte, risultano soprattutto rilevanti gli argomenti dei ricorrenti, i quali non vengono, in  abstracto, ma

soltanto nei fatti, smentiti dalla Corte. Infatti, questi lamentavano che la copertura dei media nelle elezioni

del 2003 era stata viziata, che la stessa era stata sfavorevole ai partiti e ai candidati di opposizione,

considerando che, a causa dell’ineguale copertura mediatica, le elezioni non erano state ‘libere’ e dunque

incompatibili con l’articolo 3 del Primo Protocollo. I ricorrenti arguivano che tale disposizione faceva

implicitamente pesare sul Governo un obbligo di adottare misure positive per assicurare ‘la libera

espressione dell’opinione del popolo’ attraverso una copertura equa, ritenendo che in determinate

circostanze l’adozione di misure restrittive sulla libertà di espressione poteva essere considerata necessaria

durante un periodo elettorale al fine di assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo nella scelta

della legislatura.[50]

Orbene, al di là della conclusione della Corte nel caso citato, è dato rilevante che i giudici di

Strasburgo si siano posti la domanda se, nella specie, lo Stato fosse tenuto ad un obbligo positivo derivato

dall’articolo 3 del Primo Protocollo per assicurare che la copertura mediatica da parte dei mass media

(seppur controllati dallo Stato) fosse bilanciata e compatibile con lo spirito delle libere elezioni, anche se

alcuna prova diretta di manipolazione deliberata non era stata trovata, e che la Corte abbia infine

accettato di addentrarsi nella questione, al fine di valutare se tale obbligo positivo fosse stato nella specie

adempiuto. Due sono i criteri di valutazione che la Corte ha deciso di utilizzare per rispondere a tale
domanda: l’ampio margine di manovra degli Stati e il principio secondo cui lo Stato è soltanto obbligato ad

adottare le misure che sono “ragionevolmente disponibili”.[51] Importante è anche il fatto che la Corte

abbia precisato che pesava sullo Stato “un obbligo di intervenire al fine di aprire i media a differenti punti

di vista”,[52] questione che, sebbene si fosse già posta in relazione alla libertà di espressione, si

proponeva ora con riguardo al diritto a libere elezioni. La conclusione della Corte nel caso, altro non fa che

confermare tale obbligo nei confronti dello Stato, poiché, nel decidere che nella specie lo Stato non avesse

inadempiuto tale obbligo, essa non nega la presenza di quest’ultimo nel diritto della Convenzione.[53]

2.2. Le interazioni tra gli elettori o tra i candidati

Può accadere inoltre che delle azioni tendenti a limitare l’esercizio del diritto di voto siano anche

effettuate da parte dei privati nei confronti degli elettori, e non soltanto nei confronti dei candidati. Nel

caso Namat  Aliyev c. Azerbaijan, il ricorrente allegava che i sostenitori di uno dei candidati avevano

intimidito i votanti e tentato di influire sul loro voto nei pressi dei seggi elettorali, tra altre irregolarità.

Nella specie la Corte ha considerato che, per garantire l’adempimento dell’obbligo positivo scaturito

dall’articolo 3 del Primo Protocollo di organizzare libere elezioni, le corti interne, chiamate a decidere sugli

arguibili reclami di irregolarità delle elezioni, avrebbero dovuto reagire adottando delle misure ragionevoli

per investigare sulle allegate irregolarità senza imporre barriere irragionevoli ed eccessivamente rigorose al

ricorrente. I giudici di Strasburgo hanno ribadito gli obblighi positivi che pesano sugli Stati in questa

materia, sottolineando che ciò che era in gioco in tali procedimenti era non solo l’allegata violazione dei

diritti individuali del ricorrente, ma anche, più genericamente, l’adempimento da parte dello Stato del suo

dovere positivo di organizzare libere ed eque elezioni.[54] Dinanzi alle azioni dei privati, l’obbligo dello

Stato di organizzare libere elezioni implica, dunque, anche quello di indagare sulle ragionevoli

proteste di irregolarità anche qualora tali irregolarità provenissero dalle azioni dei privati.

Risulta difficile determinare in tale contesto, quale sia la portata dell’obbligo che pesa sullo Stato nel

caso di interazioni tra gli individui che interferiscano con l’organizzazione democratica delle elezioni. La

Corte non si è pronunciata in modo decisivo sull’argomento ma piuttosto attraverso dei casi isolati. Nel

caso Atakishi  c. Azerbaijan, ad esempio, uno dei candidati era stato squalificato dalle elezioni sulla base

delle disposizioni del codice elettorale che prevedeva tale misura in caso di ricorso a mezzi scorretti e

illegittimi nel condurre le campagne elettorali e guadagnare i voti degli elettori (definito come ‘abuso del
diritto di fare campagna elettorale’). Nella specie, la Corte ha accettato l’argomento del Governo azero

tendente a ritenere che le condizioni fissate per tale restrizione, così come determinate dal codice

elettorale, perseguivano lo scopo legittimo di assicurare eque e corrette condizioni per tutti i

candidati nella campagna elettorale e di assicurare che le elezioni fossero tenute di conformità con gli
standard democratici,[55] ed ha esaminato in seguito se tale misura fosse stata arbitraria o

sproporzionata. Nel farlo, la Corte ha precisato che “al fine di evitare la squalificazione arbitraria di

candidati, le procedure interne rilevanti devono contenere garanzie sufficienti per proteggere i candidati

dagli abusi e da allegazioni infondate di condotte elettorali scorrette, e che le decisioni sulla squalificazione

devono essere basate su prove attendibili, rilevanti e sufficienti di tale condotta scorretta”.[56] Nel caso di

specie, il candidato era stato squalificato per aver corrotto i votanti, e per aver insultato il suo opponente e

interrotto il suo comizio, accuse che erano state avanzate dall’opponente del candidato squalificato e dai

suoi sostenitori e che, secondo la Corte, si rivelavano tuttavia basate su prove irrilevanti, insufficienti e che

erano state inadeguatamente esaminate, mancando inoltre un ragionamento giuridico delle corti interne.

Nella specie la Corte ha notato inoltre che, al candidato squalificato, non erano state offerte sufficienti

garanzie contro le decisioni arbitrarie e che alle decisioni interne mancava un ragionamento giuridico e si

rivelavano arbitrarie. Ragioni che furono sufficienti (deficienze delle prove, mancanza di garanzie e di

ragionamento giuridico) per ritenere che il candidato era stato illegittimamente squalificato dalle elezioni.

[57]

Il principio finora stabilito dalla Corte in questo particolare ambito sembra indirizzarsi verso l’obbligo

posto a carico degli Stati di intervenire in caso di proteste da parte dei candidati, consistente nell’obbligo di

indagare su tali contestazioni attraverso delle procedure che offrano sufficienti garanzie, anche al

candidato accusato, le quali comprendano una valutazione adeguata delle prove, delle garanzie legali

offerte ai candidati, ai quali deve essere concessa la possibilità del discarico, e una decisione basata su

ragionamenti giuridici validi da parte delle autorità interne.

* Si pubblica l’intervento che sarà presentato per il III Convegno internazionale “Sovranità e rappresentanza: il

costituzionalismo nell’era della globalizzazione”, che si terrà il 5, 6 e 7 dicembre all’Università di Catania.
[1] Cfr. Voce “Diritto di voto” nell’Enciclopedia Treccani.

[2] Cfr. European Court of Human Rights, Preparatory work on Article 3 of Protocol n. 1 to the European Convention

on Human Rights, Information document prepared by the registry, 5 September 1986, Cour (86) 36, p. 8.

[3] Ibidem, p. 11.

[4] Forte è stata la risposta di TEITGEN,

il quale, una volta adottata la Convenzione, senza che alcuni diritti, tra cui il diritto a libere elezioni, fossero stati inclusi

, si espresse nei termini seguenti: “Si le gouvernement de Sa Majesté britannique ne voulait, ni de la garantie du droit

de propriété, ni de la garantie du droit des parents à la libre éducation de leurs enfants, ni de la garantie de libres

élections, il avait au surplus un moyen élégant de s’en tirer: il n’était pas nécessaire d’opposer le veto du

gouvernement britannique au sein du Comité des Ministres, il suffisait de ratifier la Convention, puis, à titre individuel,

de dire, dans l’instrument de ratification, que le gouvernement de sa Majesté britannique n’acceptait pas de contrôle

de la Commission en ce qui concerne le droit de propriété, le droit des parents et le droit à de libres élections. Alors on

aurait su que les Britanniques, au moins, n’empêchaient pas les autres de garantir ces droits fondamentaux, qu’ils se

contentaient de s’y opposer pour leur compte. Est-ce alors le scandale qu’on a voulu? Nous sommes en droit de poser

la question. Elle est grave. […]”.

[5] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt c. Belgio, 2 marzo 1987, ricorso n. 9267/81, §46-53.

[6] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §52.

[7] In primo luogo, cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., e di recente, Paunović and Milivojević, cit., §59, nella quale  la

Corte “riafferma che il margine di apprezzamento in questa materia è ampio”.

[8] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §50.

[9] Sulla questione della legittimità democratica nel diritto internazionale, si veda HUET, Vers l’émergence d’un principe

de légitimité démocratique en droit international?, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol. 67, 2006, pp.

547-573.

[10] Cfr. Ždanoka c. Lettonia [GC], 16 marzo 2006, ricorso n. 58278/00, §98. Sulla sentenza, si

veda, JACQUEMOT, Retour sur la dualité de lecture de l’arrêt Zdanoka, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol.
73, 2008, pp. 195-222.

[11] Ibidem, §103.

[12] Cfr. O’BOYLE, Electoral disputes and the  ECHR: an overview, in Venice Commission, Unidem Seminar, Cancellation

of election results, CDL-UD(2008)010rev, 5 December 2008, p. 13.

[13] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §54.

[14] Ibidem.

[15] Cfr. O’BOYLE, op. cit., p. 3.

[16] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §54.

[17] Si confronti, per un esempio, il caso Occhetto c. Italia (decisione), ricorso n. 14507/07, con il

recente Paunović and Milivojević c. Serbia, cit., nei quali la Corte, su un argomento molto simile qual è quello della

sottoscrizione di documenti che prevedono anticipatamente la rinuncia di un candidato eletto, ha valutato in diverso

modo il quadro giuridico nel quale tali rinunce anticipate possono essere ammesse, con il risultato che nel primo caso

la ‘rinuncia’ è stata acconsentita dalla Corte, mentre nell’altro tale forma di ‘rinuncia’ è stata disapprovata e quindi

dichiarata non conforme all’articolo 3 del Primo Protocollo.

[18] Cfr. Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], 6 ottobre 2005, ricorso n. 74025/01, §61.

[19] Cfr. Matthews c. Regno Unito, 18 febbraio 1999, ricorso n. 24833/94, §39. Sulla sentenza, si veda COHEN-

JONATHAN, A propos de l’arrêt Matthews c. Royaume-Uni (18 février 1999) , in Revue trimestrielle de droit européen ,

vol. 35, n. 4, 1999, pp. 637-657.

[20] Ibidem, §43-44.

[21] Ibidem, §52.

[22] Cfr. Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], 6 ottobre 2005, ricorso n. 74025/01, §59. Si veda,

in dottrina, sull’universalità del suffragio, EUDES, Vers l’abolition des dernières restrictions au droit de vote? Étude des

frontières du corps électoral, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol. 67, 2006, pp. 575-595.
[23] Cfr. Sitaropoulos e Giakoumopoulos c. Grecia [GC], 15 marzo 2012, ricorso n. 42202/07. Si veda anche

l’esigenza per i candidati della conoscenza della lingua di lavoro del parlamento in Podkolzina c. Lettonia, 9 aprile

2002, ricorso n. 46726/99, anche se nella specie, la Corte ha condannato la restrizione perché l’esame al quale la

candidata era stata sottoposta non rispondeva ad una condizione legale richiesta in materia di eleggibilità dei

candidati.

[24] Cfr. Aziz c. Cipro, 22 giugno 2004, ricorso n. 69949/01, §28.

[25] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §52.

[26] Si veda al riguardo, NATALE, Le droit à des élections libres ou la construction d’un véritable ordre démocratique

européen, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, vol. 68, 2006, pp. 435-465.

[27] Cfr. Ždanoka c. Lettonia [GC], cit., §115.

[28] Si vedano, Yabloko Russian United Democratic Party and Others c. Russia, 8 novembre 2016, ricorso n.

18860/07, con riguardo alla ‘previsibilità’ giuridica della misura; Paunović and Milivojević c. Serbia, 24 maggio 2016,

ricorso n. 41683/06, e in particolare, Karimov c. Azerbaijan, 25 settembre 2014, ricorso n. 12535/06, §42, nella quale

la Corte ha stabilito che il principio di legalità implica per lo Stato un dovere di implementare un quadro legislativo al

fine di rispettare i suoi obblighi derivati dalla Convenzione, in generale, e dall’articolo 3 del Primo Protocollo, in

particolare, e di assicurare che i suoi pubblici ufficiali incaricati di eseguire tali obblighi non agiscano fuori dalla legge,

ma esercitino i loro poteri di conformità con le norme giuridiche applicabili.

[29] Cfr. Saccomanno e altri c. Italia (decisione), 13 marzo 2012, ricorso n. 11583/08.

[30] Cfr. BONDIA, Le Conseil de l’Europe: la société démocratique dans la Convention européenne pour la sauvegarde

des droits de l’homme et des libertés fondamentales et la création d’un ordre public démocratique européen en

matière de droits de l’homme, in ZANGHÌ – PANELLA (recherche dirigée par), Les paradigmes démocratiques et les droits

de l’homme dans le bassin de la Méditerranée, Torino, 2010, p. 109.

[31] Cfr. Sejdic e Finci c. Bosnia Erzegovina [GC], 22 dicembre 2009, ricorsi n. 27996/06 e n. 34836/06; Aziz c. Cipro,

cit.

[32] Cfr. Tanase c. Moldavia [GC], 27 aprile 2010, ricorso n. 7/08.


[33] Cfr. Melnitchenko c. Ucraina, 19 ottobre 2004, ricorso n. 17707/02, §59.

[34] Cfr. Partito per una società democratica (DTP) e altri c. Turchia, 12 gennaio 2016, ricorsi n. 3840/10, 3870/10,

3878/10, 15616/10, 21919/10, 39118/10 e 37272/10.

[35] Ibidem, §127.

[36] Cfr. Riza e altri c. Bulgaria, 13 ottobre 2015, ricorsi n. 48555/10 e 48377/10, §148.

[37] Cfr. Šlaku c. Bosnia e Erzegovina, 26 maggio 2016, ricorso n. 56666/12, §40. Cfr., in particolare: “[...] In view of

the need to ensure effective political democracy, the Court considers that the time has come for a political system

which will provide every citizen of Bosnia and Herzegovina with the right to stand for elections to the Presidency and

the House of Peoples of Bosnia and Herzegovina without discrimination based on ethnic affiliation and without

granting special rights for constituent people to the exclusion of minorities or citizens of Bosnia and

Herzegovina”[...]. Si vedano, in precedenza, Zornić c. Bosnia e Erzegovina, 15 luglio 2014, ricorso n. 3681/06,

e Sejdić and Finci c. Bosnia e Erzegovina [GC], 22 dicembre 2009, ricorsi n. 27996/06 e 34836/06.

[38] Cfr. Hirst c. Regno Unito (n. 2) [GC], cit., §71.

[39] Cfr. Ždanoka, cit.,  §133-136. Giova notare che la decisione non è stata presa all’unanimità, bensì da 13 voti

contro 4. Si veda, in particolare, il voto parzialmente dissidente del giudice ROZAKIS, nel quale afferma: “L’élection de

députés appelés à exprimer les attentes de leur électorat est au cœur même de la démocratie représentative, quelles

que soient les opinions des intéressés, et si déplaisantes puissent-elles être pour d’autres catégories de la société.

Dans un régime démocratique sain, le critère d’éligibilité ne saurait tenir à l’acceptabilité, pour le courant politique

dominant, des idées exprimées par une personnalité politique, ou à la loyauté qu’elles traduisent envers l’idéologie

établie de l’Etat et de la société, mais doit être déterminé par la représentativité réelle des idées de cette personnalité

vis-à-vis d’un segment de la société, fût-il très petit. Dès lors, si une personnalité politique ne peut pas représenter

une partie des idées de la société, ce n’est pas seulement elle-même qui en pâtit, mais également l’électorat et la

démocratie”. Condivideremo tale valutazione astratta del giudice ROZAKIS, riportando anche la

sua valutazione concreta della fattispecie: “la situation d’une candidate isolée à un siège au Parlement est

radicalement différente de celle de tout un parti politique qui aspire à gouverner le pays. Il ressort manifestement des

faits de l’espèce que non seulement la requérante était une candidate isolée représentant des idées qui n’étaient

partagées que par une fraction de l’électorat prorusse, mais également qu’elle appartenait à un courant idéologique
qui était, de toute façon, minoritaire dans le paysage politique letton. Dès lors, il est difficile d’affirmer que l’élection

de la requérante au Parlement letton aurait eu des conséquences néfastes pour la stabilité démocratique du pays”.

[40] Cfr. Etxeberria e altri c. Spagna (traduzione non ufficiale a cura dell’Unione forense per la tutela dei diritti

dell’uomo), 30 giugno 2009, ricorsi n. 35579/03, 35613/03, 35626/03 e 35634/03, §53.

[41] Ibidem, §54-55.

[42] Si veda sull’argomento, RYNGAERT – NOORTMANN, New Actors in Global Governance and International Human

Rights Law, in Human Rights & International Legal Discourse, vol. 4, n. 1, 2010, pp. 5-14.

[43] Cfr. X. e Y. C. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, ricorso n. 8978/80.

[44] Cfr. PANELLA, Jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme en matière de «démocratie» ,

in ZANGHÌ – PANELLA, cit., p. 127.

[45] Cfr. Mathieu-Mohin e Clerfayt, cit., §50.

[46] Cfr. GOLUBOK, Right to free elections: emerging guarantees or two layers of protection?, in Netherlands Quarterly

of Human Rights, vol. 27, 2009, p. 390.

[47] Cfr. Partito nazionalista basco – Organizzazione regionale di Iparralde c. Francia, 7 giugno 2007, ricorso n.

71251/01, §34.

[48] Cfr. Ekoglasnost c. Bulgaria, 6 novembre 2012, ricorso n. 30386/05, §63 ss., essendo, tuttavia, tardiva, la misura

nella specie, e dunque incompatibile con l’articolo 3 del Primo Protocollo.

[49] Cfr. Partito «Jaunie Demokrāti» e Partito «Mūsu Zeme» c. Lettonia (decisione), 29 novembre 2007, ricorsi n.

10547/07 et 34049/07.

[50] Cfr. Partito comunista di Russia e altri c. Russia, 19 giugno 2012, ricorso n. 29400/05, §55 e §104.

[51] Ibidem, §123.

[52] Ibidem, §126.
[53] Si veda, in particolare, la conclusione della Corte, §128: “The Court considers that the respondent State took

certain steps to guarantee some visibility of opposition parties and candidates on Russian TV and secure editorial

independence and neutrality of the media. Probably, these arrangements did not secure de facto equality of all

competing political forces in terms of their presence on TV screens. In the present case, however, when assessed in

the light of the specific circumstances of the 2003 elections as they have been presented to the Court, and regard

being had to the margin of appreciation enjoyed by the States under Article 3 of Protocol No. 1, it cannot be

considered established that the State failed to meet its positive obligations in this area to such an extent that it

amounted to a violation of that provision”.

[54] Cfr. Namat Aliyev c. Azerbaijan, 8 aprile 2010, ricorso n. 18705/06, §88.

[55] Cfr. Atakishi c. Azerbaijan, 28 febbraio 2012, ricorso n. 18469/06, §38.

[56] Ibidem, §41.

[57] Ibidem, §42 ss.

Valentina Volpe
(anno di pubblicazione: 2017)

Nascondi bibliografia

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Sommario: Introduzione. - I. ORIGINE, MANDATO E COMPOSIZIONE. 1. Origine e mandato.  - 2.


Composizione. - 3. Struttura interna. - II. AMBITI DI ATTIVITÀ. - 4. Assistenza

costituzionale. - 5. Elezioni , referendum e partiti politici.  - 6. Giustizia costituzionale.  - 7. Studi


transnazionali, report e seminari. - III. NUOVI SVILUPPI E QUESTIONI APERTE. 8. Il patrimonio
costituzionale europeo. - 9. Membership globale e standard europei. - 10. Tra tecnica e politica.

Introduzione.

La Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, meglio nota come Commissione di

Venezia (di seguito anche Commissione), è il principale organo consultivo del  Consiglio  d'

Europa  (CdE) in materia costituzionale. Creata su impulso del governo italiano nel 1990 e

ispirata nel proprio lavoro ai valori di democrazia,  diritti   umani  e rule of law, che

rappresentano il patrimonio costituzionale comune degli Stati membri del  Consiglio  d'

Europa , la Commissione è attiva nei campi dell'assistenza costituzionale, delle  elezioni  e


partiti politici, e della giustizia costituzionale. La Commissione ha fornito, negli anni, assistenza tecnico-

giuridica a numerosi Paesi, in prevalenza dell' Europa  Centro-orientale, svolgendo un ruolo


chiave nell'adozione di molte delle nuove costituzioni. La Commissione di Venezia è però oggi molto più di
un attore regionale, contando tra i suoi membri numerosi Stati non europei ed avendo acquisito una
proiezione globale di intervento all'interno dei diversi scenari contemporanei di trasformazione
costituzionale.

I. ORIGINE, MANDATO E COMPOSIZIONE. 1. Origine e mandato.

La Commissione di Venezia nasce su impulso del giurista italiano ed ex Ministro per le Politiche
comunitarie, Antonio La Pergola. A pochi mesi di distanza dalla caduta del muro di Berlino, La Pergola
immagina e sostiene la creazione di un organismo tecnico, composto da giuristi indipendenti, in grado di

offrire assistenza e know-how giuridico ai Paesi dell' Europa  Centro-orientale in procinto di


avviare gli attesi processi di riforma democratica e transizione politico-costituzionale. Nel corso della
conferenza svoltasi a Venezia il 19/20-1-1990 a cui hanno preso parte tutti gli Stati membri del CdE,
unitamente ai rappresentati – in qualità di ``osservatori'' – della Repubblica Democratica Tedesca, URSS,
Jugoslavia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia e Romania, il futuro presidente della
Commissione, La Pergola, persuade i ministri europei degli Affari esteri dell'utilità e del valore di creare

un simile organismo sotto l'egida del  Consiglio  d' Europa  (1). Il 10-5-1990, il
Comitato dei Ministri del CdE sancisce ufficialmente la nascita della `Commissione Europea per la

Democrazia attraverso il Diritto', tramite un accordo parziale del  Consiglio  d' Europa

La Commissione nasce come un organismo consultivo indipendente chiamato a cooperare, sia con i

Paesi membri, che con i Paesi non membri del  Consiglio  d' Europa  e gli organismi
internazionali interessati al suo lavoro. Fin dalla creazione, la Commissione ha avuto come propria
«specifica sfera d'azione (…), le garanzie offerte dal diritto al servizio della democrazia» (2). Più
concretamente, il mandato della Commissione include: «il rafforzamento della comprensione dei sistemi
giuridici degli Stati partecipanti (…) ed il loro avvicinamento; la promozione della democrazia e della rule
of law; l'esame delle problematiche poste dal funzionamento delle istituzioni democratiche ed il loro
sviluppo e consolidamento» (art. 1.1, Statuto). La Commissione è chiamata a dare priorità a quei principi
e a quelle tecniche costituzionali, legislative ed amministrative funzionali all'efficienza delle istituzioni

democratiche e al loro rafforzamento; a  diritti  e libertà fondamentali, in particolar modo quelli


che consentono la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica; a questioni concernenti il contributo
dell'autogoverno locale e regionale al miglioramento della democrazia (art. 1.2, Statuto).

La Commissione coopera con corti costituzionali e supreme, sia su base bilaterale che attraverso i loro
organismi associativi e può inoltre condurre, su propria iniziativa, studi e ricerche, preparando, altresì,
progetti di linee guida, leggi e accordi internazionali. Le proposte possono in seguito venire discusse ed

adottate dagli organi competenti del  Consiglio  d' Europa .

Ad oggi non ha trovato invece realizzazione quella parte del mandato statutario che incoraggia la
Commissione a promuovere la creazione di organismi simili ad essa in altre regioni del mondo con la
conseguente possibilità di stabilire legami e programmi congiunti all'interno dei rispettivi ambiti di
attività.

Al fine di preservarne l'indipendenza, con particolare riguardo ai Paesi che ne richiedono l'assistenza, il
budget della Commissione è finanziato dai suoi membri sulla base di un criterio proporzionale secondo le

regole comuni del  Consiglio  d' Europa .


2. Composizione.

La Commissione è stata istituita attraverso un accordo parziale del  Consiglio  d'

Europa  e solamente diciotto – degli allora ventitré – Stati membri del CdE prendono parte alla sua
creazione nel 1990. I rimanenti membri del CdE hanno aderito progressivamente nel corso degli anni. In
ragione del successo e dell'interesse suscitato dal lavoro della Commissione, nel 2002 lo Statuto è stato

trasformato in un ``accordo allargato'', consentendo anche a Stati non appartenenti al  Consiglio

 d' Europa  di aderirvi. Oggi la Commissione conta sessantuno Paesi membri. Oltre ai

quarantasette Stati del  Consiglio  d' Europa , ne fanno parte il Kirghizistan (2004), il
Cile (2005), la Repubblica di Corea (2006), il Marocco e l'Algeria (2007), Israele (2008), il Perù e il
Brasile (2009), la Tunisia ed il Messico (2010), il Kazakistan (2012), gli Stati Uniti d'America (2013), il
Kosovo (2014) e la Costa Rica che si è unita da ultima nel luglio 2016.

Sulla base dello Statuto, la decisione di autorizzare futuri allargamenti spetta formalmente al Comitato

dei Ministri del CdE che può «invitare qualsiasi Paese non membro del  Consiglio  d'

Europa  ad unirsi all'Accordo allargato» (art. 2.5, Statuto). È ancora il Comitato dei Ministri ad
«autorizzare la Commissione ad invitare organizzazioni o organismi internazionali a prendere parte ai suoi
lavori» (art. 2.7, Statuto). Numerosi organismi statali e non-statali partecipano, a diverso titolo, ai lavori
della Commissione. Hanno uno speciale status di cooperazione l'Autorità Nazionale Palestinese e il
Sudafrica. Per l'Unione europea lo Statuto prevede la possibilità di un'eventuale adesione in qualità di
membro che non si è però ancora concretizzata. Ad oggi, la Commissione europea, ha diritto, insieme

all'Ufficio per le istituzioni democratiche ed i  diritti   umani  (ODIHR) dell'OSCE – con


il quale la Commissione collabora strettamente da anni – a partecipare alle sessioni plenarie della
Commissione. Dette sessioni hanno luogo presso la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista a Venezia
– città da cui la Commissione prende il nome - nei mesi di marzo, giugno, ottobre e dicembre.
Partecipano alle sessioni plenarie i membri, membri associati e i Paesi osservatori della Commissione;
possono parimenti prendervi parte rappresentati del Comitato dei Ministri e dell'Assemblea parlamentare

(APCE) del CdE e del Congresso dei Poteri Locali e Regionali del  Consiglio  d' Europa  
(CPLRE), unitamente a rappresentanti della Giunta della Regione Veneto (Art. 2.4, Statuto).

Come detto, ai lavori della Commissione partecipano un numero limitato di Paesi ``osservatori'', senza

diritto di  voto . Questi sono oggi: Argentina, Canada, Santa Sede, Giappone e Uruguay. Spesso
Paesi che hanno iniziato a collaborare in qualità di osservatori sono poi divenuti membri, come nel caso di
Kazakistan, Israele, USA, o Messico. Il Belarus rimane l'ultimo Paese avente lo status di ``membro

associato''; nel corso degli anni, tutti gli altri Paesi associati dell' Europa  Centro-orientale
hanno formalmente completato il processo di transizione politico-costituzionale, divenendo membri a
pieno titolo della Commissione. È interessante notare come attraverso lo status di ``membro associato''

sia stato possibile consentire a molti Paesi non membri del  Consiglio  d' Europa  di
partecipare ai lavori della Commissione ancor prima della revisione statutaria del 2002. Questa inclusione
anticipata ha spesso innescato un processo virtuoso, contribuendo a generare le riforme democratiche

necessarie a garantire ai Paesi associati l'ingresso nel  Consiglio  d' Europa . Una
volta concluso il processo di adesione al CdE e rispettati i relativi standard necessari all'ingresso, i Paesi
associati hanno avuto la possibilità di divenire membri a pieno titolo della Commissione, come è avvenuto
nei casi di Armenia, Azerbaijan e Bosnia ed Erzegovina. A seguito della revisione statutaria nel 2002 e
della trasformazione in accordo allargato, sono stati soppressi sia lo status di Paese associato che di
osservatore. Oggi è possibile aderire alla Commissione unicamente in qualità di membro ordinario.
3. Struttura interna.

La Commissione di Venezia è composta da «esperti indipendenti che si sono distinti per la loro
esperienza nelle istituzioni democratiche o per il loro contributo all'avanzamento del diritto e della scienza
politica» (art. 2, Statuto). I background professionali dei componenti della Commissione sono vari: i
membri provengono prevalentemente dal mondo accademico (sono spesso professori universitari di
diritto costituzionale o internazionale); oppure sono presidenti o giudici di corti supreme o costituzionali,
o ancora, sono personalità con una significativa esperienza politica, quali membri di parlamenti nazionali
– o più di rado – ex ministri e alti funzionari governativi. Ogni Paese nomina un membro e, di norma, un
solo membro supplente (due eccezionalmente). Tutti i membri, così come i loro sostituti, sono nominati
per un mandato quadriennale (rinnovabile ad libitum) da parte dei Paesi partecipanti. Di fatto gli incarichi
sono spesso stabili negli anni ed è riscontrabile una certa continuità nella composizione della
Commissione. Al fine di preservare l'indipendenza della Commissione e la credibilità dei ``pareri'' stilati, i
membri sono nominati intuitu personae e partecipano ai lavori a titolo individuale, senza possibilità di
ricevere istruzioni da parte dei governi che li hanno nominati. In base al regolamento interno, i membri,
sono tenuti ad agire in maniera tale da essere ed apparire ``indipendenti, imparziali e oggettivi'' rispetto
ad ogni questione sottoposta all'esame della Commissione.

La Commissione elegge ogni due anni un Ufficio di presidenza, composto da un presidente con compiti
di rappresentanza e direzione, tre vicepresidenti, e altri quattro componenti scelti tra i suoi membri.
Antonio La Pergola è stato presidente della Commissione dal 1990 al 2007. Giovanni Buquicchio – già
segretario della Commissione fin dalla sua creazione – dopo una breve presidenza del norvegese Jan Erik
Helgesen (2007-2009), gli è subentrato alla guida, confermando fino ad oggi la continuità degli uffici
direttivi. L'Ufficio di presidenza può riunirsi come ``ufficio allargato'' con la partecipazione dei presidenti

delle sottocommissioni tematiche. Attualmente la Commissione conta dodici sottocommissioni: 

diritti  fondamentali, Stato federale e regionale, diritto internazionale, protezione delle minoranze,
potere giudiziario, istituzioni democratiche, metodi di lavoro, America Latina, bacino del Mediterraneo,

rule of law, uguaglianza di genere e giustizia costituzionale. All'Ufficio di presidenza si affianca il  

Consiglio  Scientifico, creato nel 2010, al fine di preservare la qualità e la coerenza del lavoro della

Commissione. Inoltre, la Commissione si avvale di due organismi specializzati: il   Consiglio  

delle  elezioni  democratiche (vedi infra par. 5) e il  Consiglio  misto di giustizia
costituzionale (vedi infra par. 6). La Commissione dispone inoltre di un proprio Segretariato permanente,

con sede a Strasburgo, composto da funzionari – in prevalenza giuristi – del  Consiglio  d'

Europa .

II. AMBITI DI ATTIVITÀ.

Concepita inizialmente come uno strumento di ingegneria costituzionale, la Commissione è divenuta


nel tempo un think thank indipendente ed internazionalmente riconosciuto. Le sue principali aree di

attività sono: l'assistenza costituzionale (par. 4); le  elezioni , i referendum, e i partiti politici
(par. 5); la giustizia costituzionale (par. 6). In questi ambiti, la Commissione conduce inoltre un'intensa
attività scientifica promuovendo studi transnazionali, report e seminari (par.7).

4. Assistenza costituzionale.

Delle differenti aree di attività ed expertise della Commissione di Venezia, l'assistenza costituzionale è
certamente la più distintiva. La cooperazione in materia costituzionale ha contribuito a definire l'identità
della Commissione sulla scena internazionale, divenendo allo stesso tempo uno dei più efficaci mezzi di

influenza politico-giuridica del  Consiglio  d' Europa . L'opera di consulenza e


assistenza costituzionale ha definito, per la Commissione, anche un ruolo di mediazione informale nella
gestione e prevenzione dei conflitti in molti scenari di trasformazione politico-istituzionale.

La creazione di un forum di discussione e consulenza tecnica, strumentale al progressivo allineamento


agli standard democratici europei dei Paesi dell'ex blocco comunista, è stata la principale ragion d'essere
della Commissione al momento della sua creazione nel 1990 (3). Il primo compito della Commissione è

stato quindi offrire ai Paesi dell' Europa  Centro-orientale guida e assistenza giuridico-
costituzionale nel corso dei processi di transizione e consolidamento democratico. Al fine di affrontare la
complessità delle transizioni post-comuniste, la Commissione di Venezia ha interpretato estensivamente il
proprio mandato ratione materiae fin dalle origini. Oltre al ruolo chiave in materia di «dépannage
constitutionnel» (4), ovvero di consulenza sui nuovi progetti di costituzione o emendamenti costituzionali,

la Commissione ha fornito assistenza in materia di  diritti   umani  e  diritti  


delle minoranze, giustizia costituzionale, ombudsman, referendum, leggi elettorali e partiti politici, potere
giudiziario, autonomia locale e, più in generale, riguardo ad ogni aspetto relativo al funzionamento delle
istituzioni democratiche, fornendo un contributo spesso determinante allo sviluppo del diritto

costituzionale dei Paesi dell' Europa  Centro-orientale. Nonostante l'ampiezza della propria sfera
di intervento, i poteri della Commissione sono meramente consultivi: «non può imporre soluzioni, ma
fornisce pareri che cerca di implementare attivamente attraverso il dialogo e la persuasione» (5). I suoi
pareri rappresentano esempi tipici del potenziale ``hard impact of soft-law'' (6)e sono stati in grado di
esercitare un'influenza spesso decisiva sulle riforme legislative e costituzionali dei Paesi assistiti. Oggi il
compito fondamentale della Commissione è quello di fornire assistenza in materia costituzionale a diversi
attori statali ed in particolare ai propri Paesi membri. Ogni Stato membro, così come ogni organismo
internazionale che partecipi ai suoi lavori, può richiedere alla Commissione un parere su di un testo
legislativo o costituzionale.

L'intero processo di assistenza segue essenzialmente tre fasi: quelle della richiesta, dell'elaborazione e
dell'adozione del parere.

Al fine di stimolare l'attività di assistenza della Commissione di Venezia, l'attore interessato deve
presentare un'esplicita domanda in tal senso e formulare una richiesta di parere. La Commissione, infatti,
non può intervenire motu proprio ed i limiti specifici del proprio mandato sono determinati dalla richiesta
stessa, con un certo margine interpretativo da parte degli esperti internazionali. È interessante notare
come gli organi statali autorizzati a rivolgere una richiesta alla Commissione, comprendano non solo i
governi nazionali, ma anche i parlamenti, i capi di Stato, le corti costituzionali (limitatamente alle
richieste di parere amicus curiae) e, in alcuni casi, gli ombudsman. Questa disposizione consente, almeno
in principio, che attori pubblici nazionali, non espressione di una maggioranza politica, possano appellarsi

alla Commissione per una mediazione e/o consulenza internazionale informale. Anche gli organi del 

Consiglio  d' Europa  – essenzialmente il Comitato dei Ministri, l'APCE, il CPLRE ed il


Segretario generale – possono richiedere un parere alla Commissione. Di questa facoltà ha fatto spesso
uso l'APCE, nel quadro delle procedure di monitoraggio sul rispetto degli obblighi e impegni degli Stati
membri del CdE (7), consentendo di portare all'attenzione della Commissione casi che difficilmente
sarebbero stati sollevati dalle autorità nazionali medesime, come la riforma costituzionale ungherese del
2011 (8)o quella turca del 2017 (9). Il Comitato dei Ministri e il CPLRE, pur collaborando attivamente con la
Commissione di Venezia, non hanno mai esercitato il potere di adire quest'ultima. Il Segretario generale
del CdE è divenuto un soggetto progressivamente più attivo nel richiedere l'intervento della
Commissione (10), ad esempio in occasione della contestata riforma del Tribunale costituzionale polacco nel

2016 (11). Anche Stati non membri del  Consiglio  d' Europa  possono beneficiare
dell'assistenza della Commissione (sostenendone i relativi costi), ma in questo caso una domanda deve
essere preventivamente rivolta al Comitato dei Ministri (art. 3.2, Statuto). La Commissione non può
invece accettare alcuna richiesta di parere proveniente da individui o gruppi di individui, ivi comprese le
ONG.

Di preferenza l'intervento della Commissione avviene durante le fasi iniziali dell'adozione di un testo
costituzionale o legislativo, quando le opinioni degli esperti possono venire recepite più facilmente, ma la
Commissione può esprimersi anche su testi costituzionali e legislativi già in vigore. Spesso la fase
redazionale di un testo costituzionale - e il conseguente coinvolgimento degli esperti internazionali - si
protrae per diversi anni, come è avvenuto nei casi di Ucraina e Albania, due Paesi con i quali la
Commissione ha una lunga tradizione di cooperazione.

Il metodo di lavoro adottato dalla Commissione comporta di regola la nomina di un gruppo di lavoro
composto da uno o più dei suoi membri (``membres rapporteurs''), affiancati occasionalmente da esperti
esterni. La selezione dei relatori si basa su criteri di competenza legati alla questione sottoposta e alla
precedente familiarità con l'ordinamento costituzionale del Paese interessato, unitamene a considerazioni
di equilibrio di genere e provenienza geografica tra i membri della Commissione.

Quando possibile, la Commissione invia i propri esperti in missioni in loco, al fine cogliere una
prospettiva interna sulle riforme legislative e costituzionali in esame e di discuterne il contenuto, sia con
le autorità nazionali (secondo i casi, il Parlamento, i membri del Governo, la Corte costituzionale, la Corte
suprema o di Cassazione, l'ombudsman), che con gli attori della società civile (ad esempio, ONG,
associazioni di magistrati e/o di giornalisti). I relatori in seguito sono chiamati a redigere un ``commento
personale'' in grado di fornire consulenza alle autorità nazionali sulla riforma in questione, verificando la

conformità del progetto di legge o costituzione agli standard del  Consiglio  d' Europa

. Sulla base dei `commenti' predisposti dai relatori, il Segretariato di Strasburgo prepara un primo
progetto di parere, implementandolo sulla base dell'esperienza acquisita. Dopo essere stato sottoposto ai
relatori per eventuali osservazioni e per l'approvazione finale, il progetto di parere viene discusso e
adottato dalla Commissione di Venezia nel corso delle sessioni plenarie, di norma alla presenza dei
rappresentanti del Paese interessato. A seguito dell'adozione ufficiale, che avviene solitamente per
consensus, il parere è pubblicato e divulgato sul sito della Commissione ed è trasmesso alle autorità
internazionali o nazionali richiedenti.

Ciò che è particolarmente degno di nota nel metodo di lavoro e nell'attività di assistenza della
Commissione di Venezia è la dimensione dialogica risultante dall'interazione tra gli esperti internazionali e
le autorità nazionali e la conseguente interazione tra lo spazio giuridico globale / europeo e gli

ordinamenti giuridici nazionali (12). Come il processo di adozione delle nuove costituzioni dell' Europa

 Centro-orientale ha dimostrato, le autorità nazionali tendono a richiedere l'intervento della


Commissione nel corso della fase di redazione del testo; gli esperti internazionali commentano i progetti
presentati, evidenziandone i punti di forza e di debolezza sotto un profilo tecnico-giuridico; le autorità

nazionali sono poi  libere  di prendere o non prendere in considerazione le osservazioni della
Commissione nella versione finale, e di richiedere, in caso, una nuova consulenza su di un testo diverso.
Il risultato finale di questo dialogo istituzionale muta in modo significativo a seconda delle diverse
variabili in gioco, che includono gli interlocutori della Commissione, le condizioni storiche e politiche di
intervento ed i diversi attori coinvolti nel processo. Sebbene la Commissione non disponga di procedure
formali di follow up per monitorare l'effettiva trasposizione interna dei propri pareri, è possibile affermare
che «quando le richieste provengono dagli Stati interessati medesimi, è norma che i pareri vengano
seguiti, in tutto o in parte» (13).

Lo Statuto non limita l'attività di cooperazione costituzionale ad una specifica area geografica, eppure

sono stati essenzialmente i Paesi dell' Europa  Centro-orientale e dell'Asia centrale a beneficiare
dell'assistenza della Commissione. Questa è stata coinvolta in circa una trentina di processi costituenti in
queste regioni, si pensi in particolare ai casi di Albania, Armenia, Azerbaijan, Bosnia ed Erzegovina,
Bulgaria, Croazia, Federazione Russa, Georgia, Ungheria, Kirghizistan, Kazakistan, Moldavia, Montenegro,

Uzbekistan, Romania, Serbia, Slovenia e Ucraina. Raramente invece gli Stati dell' Europa  
occidentale hanno richiesto l'assistenza della Commissione. I capi di Stato e di governo degli Stati
membri del CdE hanno richiesto già nel 2005, per ora senza apprezzabile seguito, «a tutti gli Stati
membri di avvalersi dei pareri e dell'assistenza della (…) Commissione di Venezia per perfezionare le
norme europee, in particolare nel settore del funzionamento delle istituzioni democratiche e del diritto
elettorale» (14).
5.  Elezioni , referendum e partiti politici.

La materia elettorale è fondamentale in qualsiasi processo di transizione o di consolidamento


costituzionale e, più in generale, all'interno di qualsiasi società democratica. La Commissione ha dedicato,

negli anni, grande attenzione all'ambito delle  elezioni , dei referendum e dei partiti politici. Più
specificamente il contributo della Commissione di Venezia in materia elettorale comprende: seminari,
studi comparativi e redazione di standard normativi; assistenza alle missioni di osservazione della APCE e

alle commissioni elettorali nel periodo delle  elezioni ; attività di formazione per le medesime
commissioni, partiti politici, ONG e giudici; la creazione della banca-dati ``VOTA'' che raccoglie la
legislazione in materia elettorale degli Stati membri e degli altri Stati coinvolti nei lavori della
Commissione.

Fin dal 2002, l'impegno della Commissione di Venezia in materia elettorale ha trovato conferma

attraverso la creazione del  Consiglio  delle  elezioni  democratiche (CED), composto


da rappresentanti della Commissione di Venezia, della APCE e del CPLRE. A questi si aggiungono, in
qualità di osservatori, il Parlamento europeo, la Commissione europea, l'OSCE/ODIHR, l'Assemblea
parlamentare dell'OSCE, International IDEA, e la Fondazione internazionale per i sistemi elettorali.
L'obiettivo principale del CED è stato quello di creare un forum di cooperazione in materia elettorale che
riunisse la Commissione – quale organo giuridico del CdE – e la APCE e il CPLRE – quali principali organi

politici del CdE attivi nell'osservazione elettorale. Coerentemente, il primo compito del  Consiglio

 delle  elezioni  democratiche è stato l'adozione di un Codice di buona condotta in materia


elettorale nel 2002, integrato da un Codice di buona condotta per i referendum (2007), da un Codice di
buona condotta nell'ambito dei partiti politici (2008) e dalle linee guida sullo status internazionale degli
osservatori elettorali (2009). Il documento del 2002 definisce gli standard fondamentali del patrimonio

elettorale europeo (``suffragio universale, uguale, libero, segreto e diretto'' ed il principio di 

elezioni  a cadenze regolari), unitamente al quadro necessario per l'attuazione di questi principi.

Come confermano numerose sentenze della Corte europea dei  diritti  dell'uomo (C. Dir. Uomo)
che ad esso fanno riferimento, il Codice di buona condotta in materia elettorale è oggi – insieme al

``diritto a  libere   elezioni '' contenuto nell'art. 3 del Protocollo addizionale alla

Convenzione europea dei  diritti  dell'uomo (Cedu) – il documento di riferimento del 

Consiglio  d' Europa  in materia elettorale.

6. Giustizia costituzionale.

Nel corso degli anni, la Commissione ha sviluppato una stretta collaborazione con corti costituzionali
europee ed extra-europee e con corti di equivalente giurisdizione, ponendo la giustizia costituzionale al
centro della propria attività. Già nel 1991, la Commissione ha istituito il Centro di documentazione per la
giustizia costituzionale, con l'obiettivo di raccogliere e facilitare la circolazione della giurisprudenza
costituzionale e altre rilevanti decisioni in materia.

Nel corso degli anni, questo mandato ha trovato realizzazione, soprattutto grazie al ``Bollettino di
giurisprudenza costituzionale'' (in seguito Bollettino) e al database CODICES. La pubblicazione del
Bollettino ha fatto parte delle attività di giustizia costituzionale della Commissione fin dal 1993. Pubblicato
tre volte l'anno, esso contiene la sintesi in lingua francese e inglese delle più importanti decisioni assunte
dalle oltre cento corti partecipanti. Il database CODICES rappresenta l'omologo elettronico della
pubblicazione cartacea e contiene circa 9.000 decisioni, unitamente ai testi di costituzioni nazionali e leggi
relative al funzionamento della giustizia costituzionale. In anni più recenti, la creazione del Venice Forum
ha favorito attraverso una piattaforma on-line, un rapporto diretto e uno scambio confidenziale di
informazioni fra autorità giudiziarie, con l'obiettivo di promuovere una migliore comunicazione tra corti ed
esperienze di cross-fertilization nel campo della giurisprudenza costituzionale.

Le attività della Commissione in questo campo sono supervisionate dal  Consiglio  misto di
giustizia costituzionale, composto da «membri della Commissione e rappresentanti delle corti e
associazioni cooperanti» (art. 3.4, Statuto). I cosiddetti ``ufficiali di collegamento'' (liaison officers)
rappresentano le oltre sessanta corti nazionali partecipanti, ma anche la C. Dir. Uomo, la Corte di

giustizia dell'Unione europea e la Corte interamericana dei  diritti   umani .

Dal 1996, la Commissione ha stabilito una cooperazione su scala globale con una serie di associazioni
regionali o linguistiche di Corti costituzionali, in particolare la Conferenza delle Corti costituzionali
europee, l'Associazione delle Corti costituzionali di lingua francese, il Forum dei presidenti delle Corti
dell'Africa australe, la Conferenza degli organi costituzionali di controllo dei Paesi di nuova democrazia,
l'Associazione delle Corti costituzionali ed istituzioni equivalenti dell'Asia, l'Unione delle Corti costituzionali
e consigli arabi, la Conferenza iberoamericana sulla giustizia costituzionale, la Conferenza delle
giurisdizioni costituzionali africane e la Conferenza delle Corti costituzionali dei Paesi di lingua portoghese.

Questa nuova dimensione globale della Commissione nel settore della giustizia costituzionale ha posto
le basi per la prima Conferenza mondiale sulla giustizia costituzionale (World Conference on
Constitutional Justice), che si è tenuta a Città del Capo, Sudafrica il 22/24-1-2009. La Conferenza è stata
organizzata in collaborazione con la Corte costituzionale del Sudafrica (che ha una lunga storia di
cooperazione con la Commissione) e vi hanno partecipato i rappresentanti di oltre novanta Corti e

Consigli costituzionali e Corti supreme con giurisdizione costituzionale e nel campo dei   diritti  

umani . Sulla base di una dichiarazione adottata in tale occasione, la Commissione ha assistito
un ufficio di presidenza nella creazione della Conferenza mondiale come organismo permanente. I
successivi congressi si sono tenuti a Rio de Janeiro nel 2011, a Seul, ospitato dalla Corte Costituzionale
della Repubblica di Corea nel 2014, in Lituania su iniziativa sempre della Corte Costituzionale nel 2017.
Partecipano alla Conferenza mondiale oltre cento Corti costituzionali e organi equivalenti. La Commissione
opera come Segretariato della Conferenza.

Uno degli sviluppi più interessanti nel campo della giustizia costituzionale è il nuovo ruolo assunto dalla
Commissione in qualità di amicus curiae di Corti nazionali ed internazionali. La prima Corte costituzionale
a chiedere alla Commissione di Venezia un parere in materia di rapporto tra libertà di espressione e
diffamazione è stata la Corte della Georgia nel 2004 (15). Da allora, su richiesta delle corti costituzionali
nazionali, ma anche della C. Dir. Uomo, la Commissione fornisce pareri in qualità di amicus curiae su
questioni di diritto costituzionale comparato e di diritto internazionale. Nel caso RuÂ~a Jeličić c. Bosnia ed
Erzegovina (16), la C. Dir. Uomo ha ammesso, ed anzi ha invitato, osservazioni scritte da parte della
Commissione di Venezia riguardo al profilo giuridico dell'Accordo quadro generale per la pace in Bosnia ed

Erzegovina (Accordo di Dayton) del 1995 e lo status internazionale della Camera per i   diritti  

umani  e della Corte costituzionale della Bosnia ed Erzegovina. La Commissione ha preparato


in altre quattro occasioni delle memorie amicus curiae per la C. Dir. Uomo (17).

La Commissione di Venezia può inoltre fornire dei pareri amicus ombud ai difensori civici che possono
richiedere un parere su una questione specifica, anche di ampia portata, e non necessariamente legata ai
limiti del proprio mandato.

7. Studi transnazionali, report e seminari.

Sebbene la maggior parte del suo lavoro riguardi singoli Paesi, la Commissione di Venezia redige studi
e report su temi di interesse transnazionale che coprono una vasta gamma di questioni legate al diritto
costituzionale, pubblico comparato ed internazionale. La Commissione si è occupata negli anni di:
indipendenza del sistema giudiziario, accesso individuale alla giustizia costituzionale, condizione dei
detenuti a Guantanamo Bay, così come del rapporto tra misure antiterrorismo e  diritti  

umani , controllo democratico dei servizi di sicurezza e forze armate e dialettica tra libertà di
espressione e libertà di religione. Questi studi possono portare alla preparazione di linee guida o di
progetti di accordi internazionali. Di quest'ultima facoltà la Commissione ha fatto uso con parsimonia; una
sola volta, nel 1990, su richiesta di alcuni Stati europei, ha preparato un progetto di convenzione per la
protezione delle minoranze che è il testo alla base della Convenzione quadro per la protezione delle
minoranze nazionali del 1995 (18).

Nell'ambito delle attività scientifiche e di divulgazione della Commissione va menzionato il programma


UniDem (Università per la Democrazia), che, dal 2000, ha incluso l'esperienza dell'UniDem Campus.
Quest'ultimo programma è destinato a promuovere la diffusione della cultura giuridica e del know-how

del  Consiglio  d' Europa  nei Paesi di nuova democrazia, fornendo in particolar modo
occasioni di formazione a funzionari pubblici di Paesi che attraversano le fasi della transizione o del
consolidamento democratico. Le attività del Campus UniDem sono concepite per innescare un
meccanismo virtuoso di apprendimento a cascata in cui i dipendenti pubblici coinvolti possano a loro volta
trasmettere le conoscenze acquisite ai loro colleghi una volta rientrati nei Paesi d'origine. Dopo diverse

edizioni rivolte ai Paesi dell' Europa  Centro-orientale, nel 2015 è stato lanciato il programma
UniDem Med Campus rivolto alla regione del Mediterraneo meridionale. Il programma prevede dei
seminari di formazione per funzionari pubblici e sono organizzati, con il sostegno finanziario dell'Unione
europea, in uno dei Paesi partecipanti (Algeria, Egitto, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Mauritania,
Autorità Nazionale Palestinese e Tunisia), a conferma del crescente coinvolgimento della Commissione
nella regione.

Dall'istituzione del programma nel 2000, oltre tremila dipendenti pubblici sono stati formati attraverso
il programma UniDem. Gli atti del programma sono generalmente pubblicati all'interno della collana della
Commissione di Venezia ``Scienza e tecnica della democrazia''. La collana, che conta attualmente
cinquanta volumi, è la principale pubblicazione scientifica della Commissione. Ogni volume si occupa di
una tematica specifica, rilevante negli ambiti del diritto internazionale e costituzionale.

III. NUOVI SVILUPPI E QUESTIONI APERTE. 8. Il patrimonio costituzionale europeo.

La Commissione di Venezia è impegnata a disseminare con la propria attività di assistenza


costituzionale il c.d. ``patrimonio costituzionale europeo'' (19)fondato sui valori giuridici condivisi dai Paesi

membri del  Consiglio  d' Europa : democrazia,  diritti   umani  e


rule of law. Il patrimonio costituzionale europeo è quindi costituito dall'insieme dei principi comuni agli
Stati membri del CdE e dall'analisi comparata della loro esperienza in materia costituzionale (20);
ciononostante il contenuto di tale patrimonio «non è illustrato in termini chiari e dettagliati in nessun
documento internazionale [e] deve essere elaborato sulla base delle esperienze costituzionali degli Stati

dell' Europa  occidentale e di alcuni strumenti internazionali nel campo dei  diritti  

umani » (21). La Commissione è quindi impegnata in un'intensa attività intellettuale e


interpretativa volta a comparare le diverse esperienze costituzionali e a trarre conclusioni di principio
sulla base delle scelte domestiche dei Paesi europei (22). Questo implica, in ultima analisi, una dimensione
altamente creativa nel lavoro della Commissione, che è allo stesso tempo chiamata ad identificare,
definire e implementare il contenuto del ``patrimonio costituzionale europeo'' attraverso la propria
attività di assistenza costituzionale. In questo senso, sembra potersi affermare che la definizione del
contenuto del patrimonio costituzionale europeo sia un'attività tanto normativa (``sollen'') quanto
descrittiva (``sein''). Il concetto di patrimonio costituzionale ``europeo'', nella sua dimensione
intrinsecamente regionale, sembra inoltre rivelarsi problematico, e per certi versi limitativo del lavoro
della Commissione, nella sua acquisita proiezione globale di intervento all'interno dei diversi scenari
contemporanei di trasformazione costituzionale (23).

9. Membership globale e standard europei.


Dal 2002 ad oggi la Commissione ha aperto le proprie porte ad un numero crescente di Paesi non
facenti parte dello spazio geografico europeo. I numerosi Stati non europei e organizzazioni
internazionali, coinvolti a diverso titolo nelle sue attività, confermano la crescente vocazione globale della
Commissione ed il carattere progressivamente extra europeo del suo operato. L'apertura a Paesi non
membri del CdE, inaugurata quindici anni fa grazie alla revisione statutaria e alla trasformazione della
Commissione in ``accordo allargato'' del CdE, da un lato può considerarsi una scelta controversa, in
ragione dell'ingresso in seno alla Commissione di Paesi, come gli Stati Uniti d'America, che non adottano
(almeno in alcune articolazioni federali) standard condivisi sul continente europeo. Si pensi alla diversa
sensibilità Euro-atlantica in materia, tra le altre, di abolizione della pena di morte, soprattutto se
rapportata al ruolo decisivo che la Commissione ha ricoperto nei processi di abolizione della pena in Paesi
quali l'Albania o l'Ucraina (24). Dall'altro lato va rilevato come una composizione geograficamente più varia
possa contribuire a rafforzare sensibilmente la legittimazione alla Commissione in scenari extra europei di
trasformazione democratica. Molto dipenderà da quanto muteranno in futuro le proporzioni tra Paesi
europei ed extra-europei nella composizione della Commissione e quanto questo potrà influire sul suo
metodo di lavoro e sugli standard adottati. Va infatti sottolineato come, nonostante alcune aperture a
fonti extra-europee, gli standard adottati dalla Commissione siano ancora oggi - anche
problematicamente - prevalentemente europei. Se è vero che sono stati utilizzati anche strumenti
internazionali - come i Patti internazionali delle Nazioni Unite - sono la Cedu, le altre convenzioni del CdE
e la giurisprudenza della C. Dir. Uomo a rappresentare le principali fonti normative della Commissione,
unitamente al proprio crescente e più significativo ``case-law'' di studi e pareri. Si noti però come il case-
law della Commissione abbia esso stesso una connotazione europea essendosi formato in gran parte

durante le fasi della transizione democratica dei Paesi dell' Europa  Centro-orientale (25).
Simmetricamente va rilevato come il lavoro della Commissione rappresenti a sua volta un parametro di
riferimento condiviso da altre organizzazioni e corti regionali. L'Unione europea ha spesso fatto
riferimento alla Commissione e al suo lavoro, ad esempio in occasione delle procedure di infrazione
avviate contro l'Ungheria, con riguardo al pensionamento anticipato dei giudici (26)e al finanziamento
estero delle ONG (27), rispettivamente nel 2012 e nel 2017, oppure in occasione del ``New EU Framework
to strengthen the Rule of Law'' (28)adottato nel 2014 ed utilizzato per la prima volta nei confronti della
Polonia nel 2016. La C. Dir. Uomo ha citato la Commissione ed i suoi pareri in oltre un centinaio di
decisioni ed anche la Corte di Giustizia dell'Unione europea, soprattutto nell'azione degli avvocati
generali, ha fatto in alcuni casi riferimento al lavoro della Commissione di Venezia (29).

10. Tra tecnica e politica.

La componente di expertise tecnico-giuridica e le caratteristiche di indipendenza e imparzialità hanno


contribuito, negli anni, all'affermazione della Commissione di Venezia sulla scena internazionale. Una
delle componenti del successo della Commissione – e della sua attività di assistenza costituzionale – è
indubbiamente legata alla sua immagine di organismo tecnico, composto da esperti (principalmente
docenti di diritto internazionale e costituzionale), che trova la propria legittimazione nel valore giuridico
dei pareri stilati.

Nel corso degli anni, la Commissione di Venezia è stata in grado di costruire e preservare quella
``reputational authority'' di cui gli organi consultivi necessitano al fine di esercitare un'influenza effettiva
sui poteri pubblici nazionali. È un dato di fatto, che le autorità statali abbiano riposto, e continuino a
riporre, fiducia nel lavoro della Commissione di Venezia (come testimonia il numero crescente di richieste
di pareri provenienti sia da Paesi membri che non membri del CdE) (30)e questa fiducia, radicatasi nei primi

anni del processo di transizione democratica dell' Europa  Centro-orientale, è essenziale per
accrescere ulteriormente l'influenza della Commissione in una sorta di circolo virtuoso.

Su questi temi, uno degli interrogativi principali riguarda la possibilità, per gli esperti internazionali, di
contribuire a «scrivere» la democrazia nazionale attraverso la propria attività di drafting costituzionale,
senza addentrarsi in una sfera propriamente politica. Le questioni costituzionali ed elettorali
appartengono per definizione al sine qua non di una democrazia, investendo da un lato il fondamento
giuridico di quest'ultima e dall'altro i processi decisionali che la governano. Il diritto costituzionale tocca
necessariamente questioni vicine al cuore della sovranità statale (31), quali la distribuzione delle

competenze tra i poteri dello Stato, la dimensione economica e l'insieme dei  diritti fondamentali
riconosciuti. Assistere un Paese nella redazione delle proprie scelte costituzionali o elettorali e
monitorarne il processo di adozione (che implica suggerire quali soluzioni costituzionali o legislative
adottare o escludere in un certo ordinamento giuridico tra le alternative possibili), sono attività che
raramente implicano mere doti di ingegneria costituzionale (32)e che garantiscono, invece, un ampio
margine di manovra agli esperti internazionali.

La Commissione di Venezia, come gli altri organismi tecnici coinvolti in attività simili, sembra oscillare
nel proprio lavoro di assistenza costituzionale tra ``téchne'' e ``politeia''. Nel rendere conformi le
costituzioni nazionali agli standard del CdE e al patrimonio costituzionale europeo, la téchne della
Commissione consente un'efficace attuazione della sua politeia, volta alla promozione del
costituzionalismo europeo (33), ma questa politeia, contraddice in ultima analisi la pura téchne (34). Le
«scelte tecniche non sono neutrali: ci sono sempre interessi politici e considerazioni dietro la scelta di un
determinato standard», sia questo tecnico o giuridico e anche nel caso della Commissione sembra
possibile affermare che la ``tecnica è politica'' (35).

-----------------------

 ROBERT, La Commission européenne pour la démocratie par le droit dite «Commission de Venise» , cit.,
(1)

255.

(2)
 Ove non diversamente indicato le traduzioni di materiali e letteratura sono a cura dell'Autrice.

 MALINVERNI, The Venice Commission of the Council of Europe, The International Influences on National


(3)

Constitutional Law in States in Transition, cit., 390.

 BUQUICCHIO-GARRONE, L'harmonisation du droit constitutionnel


(4)
européen: La contribution de la
Commission européenne pour la démocratie par le droit, cit., 329.

(5)
 JOWELL, The Venice Commission: disseminating democracy through law, cit., 676.

(6)
 SLAUGHTER, A New World Order, Princeton, 2004, 178.

 RAUE, Constitution-Building in Eastern Europe: Achievements of and challenges to the Council of


(7)

Europe, in Facets and Practices of State-Building, a cura di Raue-Sutter, Leida-Boston, 2009, 155-177.

 COMMISSIONE DI VENEZIA, Opinion on the New Constitution of Hungary, CDL-AD(2011)016, Strasburgo,


(8)

20-6-2011.

 COMMISSIONE DI VENEZIA, Turkey, Opinion on the Amendments to the Constitution Adopted by the Grand
(9)

National Assembly on 21 January 2017 and to be Submitted to a National Referendum on 16 April 2017 ,
CDL-AD(2017)005, Strasburgo, 13-3-2017.

(10)
 BUQUICCHIO-GRANATA MENGHINI, Conseil de l'Europe: Commission de Venise, cit.

 COMMISSIONE DI VENEZIA, Poland, Opinion on the Act on the Constitutional Tribunal, CDL-AD(2016)026,


(11)

Venezia, 14-10-2016.

 In questo senso l'attività della Commissione di Venezia è un esempio delle nuove dinamiche del diritto
(12)

globale. Si vedano CASSESE, The Global Polity: Global Dimensions of Democracy and the Rule of Law,
Siviglia, 2012; CASSESE, Il diritto globale: Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Torino, 2009; KLABBERS-
PETERS-ULFSTEIN, The Constitutionalization of International Law, Oxford, 2009; BUSSANI, Il diritto
dell'Occidente: Geopolitica delle regole globali, Torino, 2010.

 BUQUICCHIO-GRANATA MENGHINI, The Venice Commission Twenty Years On: Challenge Met but New
(13)

Challenges Ahead, cit., 250.

(14)
 Comitato dei Ministri, Action Plan, CM(2005)80 final, 17-5-2005.

 COMMISSIONE DI VENEZIA, Amicus curiae opinion on the relationship between the freedom of expression
(15)

and defamation with respect to unproven defamatory allegations of facts as requested by the
Constitutional Court of Georgia, CDL-AD(2004)011, Strasburgo, 17-3-2004; ENGEL, La Commission
européenne pour la démocratie par le droit, dite «Commission de Venise»: cadre et acteur privilégiés de
coopération en matière de justice constitutionnelle, in Droit International et Coopération
Internationale, Hommage à Jean-André Touscoz, a cura di Thierry, Nizza, 2007, 867-883, 879.

 VAN DIJK, The Venice Commission on Certain Aspects of the Application of the European Convention of
(16)

Human Rights Ratione Personae, cit., 184; C. Dir. Uomo, RuÂ~a Jeličić c. Bosnia ed Erzegovina,
Application no. 41183/02, Strasburgo, 31-10-2006; COMMISSIONE DI VENEZIA, Amicus Curiae Opinion on
the Nature of the Proceedings before the Human Rights Chamber and the Constitutional Court of Bosnia
and Herzegovina, CDL AD(2005)020, Strasburgo, 15-6-2005.

 C. Dir. Uomo, Bjelić c. Montenegro e Serbia, Application no. 11890/05, 28-4-2009; COMMISSIONE DI
(17)

VENEZIA, Amicus Curiae Brief in the case of Bijelić against Montenegro and Serbia , CDL-AD(2008)02,
Strasburgo, 20-10-2008; C. Dir. Uomo, Sejdić e Finci c. Bosnia ed Erzegovina, Applications nos.
27996/06 e 34836/06, 22-12-2009; COMMISSIONE DI VENEZIA, Mémoire Amicus Curiae dans les affaires
Sejdić et Finci c. Bosnie-Herzégovine, CDL-AD(2008)027, Strasburgo, 22-10-2008; C. Dir. Uomo, Rywin
c. Polonia, Application nos. 6091/06, 4047/07 e 4070/07, Strasburgo, 18-2-2016; COMMISSIONE DI
VENEZIA, Amicus Curiae Brief in the case of Rywin v. Poland, CDL-AD(2014)013, Strasburgo, 25-3-2014;
C. Dir. Uomo, Partito nazionalista basco – Organizzazione regionale d'Iparralde c. Francia, Application no.
71251/01, 7-6-2007; COMMISSIONE DI VENEZIA, Opinion on the Prohibition of Financial Contributions to
Political Parties from Foreign Sources, CDL-AD(2006)014, Strasburgo, 31-3-2006.

(18)
 BUQUICCHIO-GRANATA MENGHINI, Conseil de l'Europe: Commission de Venise, cit.

(19)
 COMMISSIONE DI VENEZIA, The Constitutional Heritage of Europe, cit.

 BUQUICCHIO-GRANATA MENGHINI, The Venice Commission Twenty Years On: Challenge Met but New
(20)

Challenges Ahead, cit., 243.

 BARTOLE, International
(21)
Constitutionalism and Conditionality – The Experience of the Venice
Commission, cit., 5.

(22)
 Ibidem.

 Sembra significativo in tal senso che documenti più recenti preferiscano il termine ``patrimonio
(23)

costituzionale'' o ``patrimonio costituzionale comune''. BARTOLE, The Experience of the Venice


Commission: Sources and Materials of its Elaboration of the International Constitutional Law, cit.,
3. BUQUICCHIO-GRANATA MENGHINI, Conseil de l'Europe: Commission de Venise, cit.

 COMMISSIONE DI VENEZIA, Opinion on the Constitutional Aspects of the Death Penalty in Ukraine, CDL-
(24)

INF (98)1R, Strasburgo, 17-4-1998; COMMISSIONE DI VENEZIA, Opinion on the Compatibility of the Death


Penalty with the Constitution of Albania, CDL-INF (99)4, Strasburgo, 24-3-1999.

 Sugli standard adottati dalla Commissione di Venezia si veda, HOFFMANN RIEM, The Venice Commission
(25)

of the Council of Europe – Standards and Impact, cit.

 COMMISSIONE EUROPEA, European Commission closes infringement procedure on forced retirement of


(26)

Hungarian judges, comunicato stampa, Bruxelles, 20-11-2013.

 COMMISSIONE EUROPEA, Hungary: Commission launches infringement procedure for law on foreign-


(27)

funded NGOs, comunicato stampa, Bruxelles, 13-7-2017.

 COMMISSIONE EUROPEA, A new EU Framework to strengthen the Rule of Law, COM(2014) 158 final/2,
(28)

Bruxelles, 19-3-2014.

 Si vedano ad esempio i casi C-109/10, Solvay SA c. Commissione europea, Opinione dell'Avvocato


(29)

generale Kokott, 14-4-2011; C-64/16, Associação Sindical dos JuÍzes Portugueses c. Tribunal de Contas,
Opinione dell'Avvocato generale Saugmandsgaard Øe, 18-5-2017; C-145/04, Regno di Spagna c. Regno
Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sostenuto dalla Commissione delle Comunità europee, 12-9-
2006 e C-300/04, M.G. Eman and O.B. Sevinger c. College van burgemeester en wethouders van Den
Haag, Opinione dell'Avvocato generale Tizzano, 6-4-2006.

(30)
 COMMISSIONE DI VENEZIA, Annual Report of Activities 2013.
(31)
 DÜRR, The Venice Commission, cit., 152.

 VOLPE, Guaranteeing Electoral Democratic Standards: The Venice Commission and ``The Code of Good
(32)

Practice in Electoral Matters'', cit., 57-67.

 VOLPE, Drafting Counter-majoritarian Democracy. The Venice Commission's Constitutional Assistance,


(33)

cit.

 VOLPE, Guaranteeing Electoral Democratic Standards: The Venice Commission and ``The Code of Good
(34)

Practice in Electoral Matters'', cit.

 CAROTTI-CASINI, A Hybrid Public-Private Regime: The Internet Corporation for Assigned Names and
(35)

Numbers (ICANN) and the Governance of the Internet, in Global Administrative Law: The Casebook, a
cura di Cassese-Carotti-Casini-Cavalieri-MacDonald, con la collaborazione di Macchia-Savino, Istituto di
Ricerche sulla Pubblica Amministrazione (IRPA) – Institute for International Law and Justice (IILJ), Roma-
New York, 2012, 185-193, 191.

Internet voting: le criticità in termini di sicurezza informatica e protezione

dei dati personali


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Il 1° marzo del 2015 in Estonia si è svolta l’elezione del Parlamento e questo per la
maggior parte degli elettori estoni ha implicato camminare, guidare o usufruire del
trasporto pubblico per raggiungere il seggio elettorale. Per circa il 31% dei votanti,
invece, l’esperienza di voto è stata decisamente diversa. Infatti, molti cittadini hanno
acceso il computer e scaricato l’apposito software di voto dal sito web del comitato
elettorale e, dopo aver inserito la loro carta d’identità elettronica nel lettore collegato al
computer, hanno digitato un PIN di accesso. Infine, gli elettori hanno votato il loro
candidato preferito, confermando l’azione con un secondo PIN[1].
Il caso appena descritto rappresenta una delle molteplici modalità attraverso cui si può
concretizzare l’internet voting (i-voting o voto online), che consente agli elettori di
trasmettere i propri voti in remoto da qualsiasi computer connesso ad internet,
potenzialmente da qualsiasi parte del mondo[2].
Questa soluzione rientra nella famiglia delle tecniche di electronic voting (e-
voting o voto elettronico), della quale fanno parte diverse soluzioni che consentono
l’espressione del voto e il conteggio delle preferenze attraverso tecnologie elettroniche
ed informatiche, tra cui i sistemi a schede perforate[3], i sistemi a scansione ottica[4] e i
sistemi a registrazione elettronica diretta (Direct Recording Electronic o DRE). In
specifico, quest’ultima opzione, la più diffusa in assoluto nel mondo (in paesi quali gli
Stati Uniti, l’India, il Brasile, la Francia e il Belgio)[5], si fonda sull’utilizzo di macchine
dotate di componenti meccanici o elettro-ottici (tipicamente pulsanti o touchscreen)
attivabili dall’elettore. Quest’ultimo deve comunque recarsi fisicamente al seggio, al
contrario di ciò che accade con l’i-voting. Le postazioni di voto DRE consentono di
registrare in modo diretto le preferenze dei votanti immagazzinando i dati tramite
supporti di memorizzazione (es. penna USB, hard disk, etc.) ed elaborando in seguito i
risultati con software specifici[6]. Si consideri tuttavia che l’analisi approfondita delle
predette soluzioni di voto elettronico verrà esclusa dalla trattazione del presente articolo,
così da fornire un approfondimento specifico in merito all’internet voting.
“Voting is a hard problem“
Questa breve frase di Ron Rivest, crittografo e professore al Massachusetts Institute of
Technology (MIT), all’apparenza banale, descrive perfettamente la difficoltà nel gestire
un qualsiasi sistema di voto garantendo l’efficienza e la sicurezza delle procedure e degli
strumenti impiegati. Rivest spiega come il problema del voto sia particolarmente
sfidante perché i requisiti dello stesso sembrano contraddittori. Da una parte è
necessario garantire la privacy del votante, sia in termini di identità che di preferenza
espressa con il voto; dall’altra è comunque necessario poter avere un certo grado di
verificabilità, cioè fare in modo che il voto espresso dai votanti rappresenti la loro esatta
preferenza. Tutti questi requisiti rendono il voto un problema unico[7], specie se
espresso online.
L’anonimato dell’elettore, la non falsificabilità del metodo di voto impiegato, la facilità
nell’uso[8] e la velocità nell’ottenere i risultati sono solo alcuni dei fattori che
influiscono in un sistema di internet voting, che appare quindi come il bilanciamento di
diverse variabili e priorità che determinano necessariamente un elevato grado di
complessità.
Tra le diverse variabili in gioco riveste un ruolo particolarmente rilevante la  sicurezza di
un sistema di voto online, necessaria per garantire l’affidabilità del risultato e la fiducia
del votante nei confronti del sistema di voto stesso. La fiducia in specifico necessita di
una trasparenza sufficiente da permettere al votante di accettare senza riserve i risultati
delle votazioni[9].
Un metodo di i-voting deve quindi essere sviluppato tenendo in grande considerazione
alcuni aspetti chiave relativi alla sicurezza informatica e alla protezione dei dati
personali. Innanzitutto, è necessario garantire l’autenticità delle preferenze espresse
dagli elettori così da assicurare un esatto conteggio finale. Per raggiungere un tale
obiettivo è necessario fare in modo che ogni voto sia registrato senza possibilità di
modifiche dello stesso[10]. Si consideri che è altresì fondamentale eliminare alcuni
possibili fattori distorsivi dei risultati come l’eventualità che i votanti possano sfruttare
delle imperfezioni nel sistema per votare più di una volta[11]. I sistemi di i-
voting dovrebbero pertanto assicurare solidità ed affidabilità tali da garantire l’esatta
corrispondenza tra i voti espressi e i voti registrati, nonostante la sopravvenienza di
eventuali perdite di comunicazione di rete, guasti ai server[12] o attacchi
informatici[13]. Si consideri anche che la solidità di un sistema di i-voting si misura in
relazione alla scalabilità dello stesso, cioè la capacità di gestire un grande numero di
votanti mantenendo comunque il medesimo livello di operatività durante l’intero periodo
di votazione. Di eguale importanza è la garanzia che l’elettore non possa essere associato
al voto espresso (anonimato dell’elettore). Questo aspetto rileva in particolare nella
fase del conteggio, la quale deve essere organizzata in modo tale da rendere impossibile
il collegamento tra voto e votante. In questo senso è esplicativa la specifica affermazione
del Comitato dei Ministri degli Stati membri del Consiglio d’Europa[14] contenuta nella
Raccomandazione CM/Rec(2017)5[15] in merito al voto elettronico, secondo cui “Votes
are, and remain, anonymous”.
Le criticità
Nonostante i vantaggi potenziali offerti dal voto online, tra cui la possibilità di
aumentare l’affluenza alle urne, la diminuzione dei costi e il miglioramento
dell’accessibilità al voto[16][17], i progressi nella sua applicazione sono stati
particolarmente lenti a causa delle sue vulnerabilità[18][19], che insistono
sul sistema client/server, struttura alla base di una soluzione di internet voting.
Un sistema client/server definisce un’architettura di rete nella quale un client (per
esempio il computer di un utente) si collega ad un server per accedere alle risorse o ai
servizi erogati dal server stesso, il quale svolge le operazioni necessarie per fornire un
determinato servizio (in questo caso la possibilità di votare)[20].
Una debolezza intrinseca di un sistema di i-voting è data proprio dall’utilizzo dei
computer personali dei votanti. Il terminale dell’elettore (client) è infatti uno dei
problemi più grandi in termini di sicurezza, in quanto spesso viene protetto in modo
inadeguato dalle più comuni minacce informatiche[21]. Inoltre, è ormai opinione
comune che “il fattore umano è sempre l’anello debole della cybersecurity”[22]. Chi
esprime il voto deve essere consapevole delle minacce alla sicurezza del proprio
dispositivo, trasformandosi in un vero e proprio “firewall umano[23]”. Quindi, l’accesso
ad un dispositivo sicuro ed affidabile grazie ad un comportamento virtuoso in materia di
sicurezza informatica è l’unica opzione credibile per poter ottenere risultati certi
derivanti da elezioni tenutesi con sistemi di i-voting[24].
Prendendo in considerazione il server tramite il quale viene offerto il servizio di voto, da
ricordare che un sistema di i-voting può essere oggetto di attacchi informatici che
possono impiegare le più disparate modalità. Tra i più comuni attacchi è opportuno
ricordare il man in the middle[25], lo spoofing[26] o anche il DoS e DDoS (Denial of
Service e Distributed Denial of Service). Quest’ultimo caso in particolare merita
un’attenzione specifica perché molti incidenti relativi alla sicurezza informatica di
sistemi elettorali nel mondo sono stati condotti con questa metodologia[27]. Un
attacco Denial of Service, letteralmente negazione del servizio, ha la finalità di rendere
un server o una risorsa di rete non disponibile agli utenti, interrompendo per un periodo
indefinito i servizi di un host (letteralmente “ospite”, cioè un server che ospita risorse e
servizi a beneficio di altri sistemi client). In genere un attacco DoS viene eseguito
invadendo la macchina o la risorsa designata con richieste superflue provenienti da
un’unica fonte (per esempio, il dispositivo utilizzato da un hacker) nel tentativo di
sovraccaricare i sistemi ed impedire che alcune o tutte le richieste degli utenti legittimi
vengano soddisfatte. Si parla invece di un attacco Distributed Denial of Service se il
traffico in entrata che inonda la vittima proviene da molte fonti diverse[28], rendendo
effettivamente molto complesso fermare l’attacco bloccando una singola fonte.
Si consideri ora l’esempio che ha introdotto il presente articolo, cioè il caso dell’i-
voting in Estonia. L’Estonia è riconosciuta come l’unico paese che utilizza in modo
continuativo, efficace e sicuro il voto online per elezioni nazionali e locali[29]. Questa
nazione è divenuta il punto di riferimento per ogni paese che intenda sperimentare e
implementare il voto online per le proprie elezioni. Nonostante le predette
considerazioni, un’analisi approfondita del sistema di i-voting estone, condotta da alcuni
ricercatori dell’Università del Michigan nel 2014[30], ha rilevato diverse criticità in
termini di sicurezza[31]. Le vulnerabilità sono state riscontrate sia dal lato server che dal
lato client e le procedure di sicurezza e di trasparenza che l’Estonia ha implementato
sono state dichiarate insufficienti. L’analisi ha determinato che un soggetto terzo
potrebbe interrompere il processo di voto oppure mettere in dubbio la legittimità dei
risultati delle elezioni con molteplici modalità. I ricercatori hanno persino consigliato di
interrompere l’uso dell’internet voting in Estonia, affermando che protezioni aggiuntive
a quelle già in essere potrebbero mitigare alcuni rischi specifici, ma tentare di fermare
ogni tipo di attacco credibile e possibile significherebbe aggiungere un grado
ingovernabile di complessità[32].
La piattaforma Rousseau
Considerando che neppure il sistema di voto online gestito dall’Estonia è in grado di
garantire un’adeguata protezione dei dati personali degli elettori e l’attendibilità dei
risultati delle votazioni, pur essendo reputato la migliore implementazione dell’i-
voting proprio in termini di sicurezza ed affidabilità, è opportuno ricordare che anche
altri paesi, tra cui l’Italia, hanno sperimentato questa particolare soluzione di voto. La
maggior parte delle sperimentazioni in Italia sono state realizzate principalmente con
sistemi a registrazione elettronica diretta: si pensi al caso del referendum consultivo per
“l’autonomia della Lombardia” tenutosi il 22 ottobre 2017, per il quale sono stati
impiegati degli specifici tablet per gestire le preferenze di voto. Ciò nonostante,
l’internet voting, per quanto in misura inferiore ad altre soluzioni, è stato comunque
oggetto di sperimentazione sul territorio italiano.
Il caso più rilevante e famoso proprio in materia di i-voting è rappresentato
da Rousseau, la piattaforma online, legata al Movimento 5 Stelle e nata con lo scopo di
“promuovere lo sviluppo della democrazia digitale”[33] in relazione agli obiettivi e
all’azione politica del Movimento.
La proprietà e la gestione del “sistema operativo del MoVimento 5 Stelle” sono
dell’Associazione Rousseau, fondata nel 2016 da Gianroberto e Davide Casaleggio, il
cui obiettivo è “sostenere e sviluppare l’omonima piattaforma di democrazia diretta”,
come indicato nel sito ufficiale[34]. È necessario specificare tuttavia che Rousseau non è
un “sistema operativo”[35], nonostante lo slogan della piattaforma mostri tale dicitura.
Da un punto di vista tecnico, si tratta di un software denominato Content Management
System (CMS o Sistema di Gestione dei Contenuti), installato sui server
dell’Associazione Rousseau e che permette di facilitare la gestione dei contenuti di siti
web. L’utente accede quindi ad una serie di servizi web proposti dal CMS su cui è basata
la piattaforma Rousseau. In particolare, il principale servizio offerto agli iscritti riguarda
la possibilità di svolgere operazioni di internet voting per la scelta dei candidati da
inserire nelle liste elettorali o per decidere in merito a specifiche questioni all’interno del
Movimento[36].
La piattaforma Rousseau è stata oggetto di accese discussioni nel mese di febbraio 2019
in virtù della votazione tenutasi il 18 febbraio, dedicata all’autorizzazione a procedere
contro il Ministro dell’Interno Matteo Salvini per il caso della nave Diciotti[37]. La
votazione si è svolta con non pochi problemi tecnici, che hanno riaperto il dibattito
sull’effettiva sicurezza della piattaforma[38], la quale ha avuto interessanti trascorsi in
relazione alla protezione dei dati degli iscritti e all’attendibilità dei risultati.
Infatti, ad inizio agosto 2017 Rousseau ha subito un attacco informatico condotto da
un hacker (rogue0), il quale è riuscito a diffondere sul web i dati personali di alcuni
iscritti del Movimento 5 Stelle[39]. Questa violazione del database anagrafico della
piattaforma ha provocato l’invio di diverse segnalazioni di soggetti che hanno lamentato
la debolezza delle misure di sicurezza predisposte dall’Associazione. In virtù di queste
segnalazioni, il Garante per la protezione dei dati personali ha approfondito la vicenda,
eseguendo anche un accertamento ispettivo presso l’Associazione Rousseau.
I risultati dell’istruttoria sono confluiti nel Provvedimento n. 548 del 21 dicembre
2017[40], nel quale il Garante ha analizzato Rousseau dal punto di vista della conformità
alla normativa in vigore sulla protezione dei dati personali. L’ispezione e le analisi del
Garante hanno permesso di riscontrare diverse criticità tra cui l’obsolescenza del CMS
alla base di Rousseau, la carente trasparenza nel contenuto delle informative proposte dai
vari siti web legati al Movimento 5 Stelle e alcune inesattezze nella modalità di raccolta
del consenso degli interessati.  Di particolare interesse sono le specifiche criticità
rilevate in merito al profilo di riservatezza delle operazioni di voto online, le quali
hanno destato alcune perplessità relative alle “misure di sicurezza connesse al controllo
delle operazioni di voto”[41].
In particolare, l’espressione del voto da parte degli iscritti alla piattaforma viene
registrata elettronicamente conservando tuttavia uno stretto legame con i dati
identificativi dei votanti: ogni voto espresso viene infatti associato al numero di telefono
del votante, determinando un’alta correlabilità tra voto ed iscritto. Per quanto questa
scelta possa essere in astratto un metodo per assicurare l’autenticità delle preferenze, in
concreto determina “forti criticità rispetto all’esigenza di garantire la riservatezza delle
votazioni”[42]. I voti vengono archiviati e storicizzati e rimangono perciò imputabili ad
uno specifico elettore anche in seguito alla chiusura delle elezioni sulla piattaforma,
mediante eventuali elaborazioni a ritroso. Tutto ciò potenzialmente offre
all’Associazione la possibilità di profilare gli iscritti sulla base delle scelte o delle
preferenze espresse su Rousseau, senza peraltro prevedere misure tecniche quali
l’anonimizzazione o la pseudonimizzazione[43], da applicare immediatamente dopo
l’espressione del voto[44].
Il Garante di conseguenza ha definito alcuni accorgimenti per riconfigurare il sistema
di i-voting così da “minimizzare i rischi per i diritti e per le libertà delle persone fisiche,
in accordo al principio di data protection by default e alle previsioni di cui all’articolo
32, par. 1, lett. a) del nuovo Regolamento 679/2016”[45]. In specifico l’Autorità ha
auspicato l’adozione di tecniche per cancellare o trasformare in forma anonima i dati
personali trattati una volta terminate le votazioni, a beneficio della trasparenza che
dovrebbe caratterizzare un sistema di voto online. A garanzia della liceità dei trattamenti
dei dati personali presenti nel database di Rousseau viene considerata necessaria
l’adozione di misure che consentano l’auditing informatico attraverso un adeguato
sistema di registrazione degli accessi e delle operazioni compiute sul database da parte di
soggetti dotati dei privilegi di amministratore della piattaforma.
Al Provvedimento del 21 dicembre 2017, hanno fatto seguito due proroghe (i
provvedimenti del 16 maggio 2018[46] e del 4 ottobre 2018[47]) relative al periodo
concesso all’associazione Rousseau per adeguarsi alle disposizioni contenute nel
Provvedimento originario. Nonostante il periodo concesso all’Associazione per
l’adozione di adeguate soluzioni di sicurezza e alcuni parziali passi avanti riconosciuti
anche dal Garante nei provvedimenti relativi alle predette proroghe, ad inizio settembre
2018 l’hacker rogue0 riesce di nuovo a violare la piattaforma Rousseau, pubblicando in
rete persino i numeri di telefono di Luigi Di Maio e di altri esponenti di spicco del
Movimento 5 Stelle[48]. L’attacco informatico ha determinato quindi l’avvio di ulteriori
verifiche da parte del Garante per stabilire le cause della violazione[49], ma soprattutto
ha evidenziato l’inadeguatezza delle misure di sicurezza adottate fino a quel momento
dall’Associazione Rousseau a tutela dei dati personali degli iscritti dell’omonima
piattaforma.
Le vicende relative a Rousseau sono ancora in corso di svolgimento, considerando che il
Garante ha specificato negli “Obiettivi programmatici 2019” come intenda focalizzare
l’attenzione sui trattamenti effettuati da soggetti privati e in specifico sugli
“adempimenti conclusivi in ordine al trattamento di dati personali effettuato
dall’Associazione Rousseau”[50].
Conclusioni
L’implementazione dei sistemi di i-voting mostra il desiderio di Stati, ma anche di partiti
politici, come mostrato nel caso della piattaforma Rousseau, di migliorare la
partecipazione dei cittadini, cercando di rimodellare la democrazia attraverso le
tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Un tale obiettivo è raggiungibile
solamente se la protezione dei dati viene interpretata non solo attraverso la tradizionale
definizione di privacy, cioè il “diritto di essere lasciati da soli”[51], ma soprattutto come
la condizione indispensabile per esercitare diritti e libertà[52].
Il voto tramite internet è una soluzione che presenta diverse vulnerabilità in
termini di sicurezza e viene considerato un “azzardo”, in quanto la tecnologia oggi
non offre ancora sistemi che soddisfino tutti i requisiti necessari per votazioni qualificate
e certificate[53]. Nonostante ciò, una tesi ottimistica viene portata avanti da Giovanni
Buttarelli, Garante europeo della protezione dei dati personali, che consiglia di non
considerare gli aspetti negativi dell’internet voting in materia di sicurezza informatica e
protezione dei dati personali come limiti invalicabili al progresso di questo sistema di
voto, ma come strumento per riuscire a “fare un passo in avanti in chiave di democrazia
elettronica”[54], anche se il percorso per raggiungere lo stato dell’arte in materia
di internet voting è ancora lungo[55].
 

[1] A. Lust, Online voting: Boon or bane for democracy?, Information Polity, 2015, vol.
20, no. 4, p. 313.
[2] E-estonia.com, i-voting, https://e-estonia.com/solutions/e-governance/i-voting/
[3] Per approfondire: Wikipedia, Sistemi a schede
perforate, https://it.wikipedia.org/wiki/Sistemi-a-schede-perforate
[4] Per approfondire: Wikipedia, Sistemi di voto a scansione
ottica, https://it.wikipedia.org/wiki/Sistemi-di-voto-a-scansione-ottica
[5] M. Russel e I. Zamfir, Digital technology in elections: efficiency versus credibility?,
Briefing – European Parliamentary Research Service (EPRS), p.
7, http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2018//EPRS_BRI(2018)EN.pdf
[6] Wikipedia, DRE voting machine, https://en.wikipedia.org/wiki/DRE-voting-machine
[7] C. Kane, Voting and verifiability interview with Ron Rivest, RSA Vantage
Magazine, 2010, vol. 7, no. 1.
[8] G. Ofori-Dwumfuo e E. Paatey, The Design of an Electronic Voting System,
Research Journal of Information Technology, 2011, vol. 3, no. 2, p. 92.
[9] Ibid.
[10] B. Schneier, Whats wrong with electronic voting machines?, novembre
2004, https://www.opendemocracy.net/en/article-2213jsp/
[11] V. supra n. 5, p. 2.
[12] P. P. Bungale e S. Sridhar, Requirements for an Electronic Voting System, The
Johns Hopkins University, Department of Computer
Science, http://www.cs.jhu.edu/~rubin/courses/groupreports/group4-requirements.pdf
[13] Per eventi di questo tipo, che quindi intaccano la regolare operatività dei sistemi e
delle infrastrutture, è opportuno predisporre procedure specifiche di ripristino
approntando un Piano di continuità operativa. Il piano di continuità operativa descrive
le procedure per la gestione della continuità operativa di un’organizzazione (privata o
pubblica) e contiene idonee misure preventive per affrontare adeguatamente le potenziali
criticità relative a risorse umane, strutturali e tecnologiche. Parte integrante del piano di
continuità operativa è il piano di disaster recovery, il quale è l’insieme delle misure
tecniche e organizzative adottate per assicurare il funzionamento dei centri di
elaborazione dati e le applicazioni informatiche, relative in questo caso al sistema di
voto implementato, a fronte di eventi che provochino, o possano provocare,
indisponibilità prolungate.
Per approfondire: Wikipedia, Business
continuity, https://it.wikipedia.org/Businesscontinuity
[14] Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione intergovernativa che raggruppa, con i
suoi 47 Stati membri, quasi tutti i paesi del continente europeo. Fondata nel 1949 grazie
al Trattato di Londra e con sede a Strasburgo, ha lo scopo di salvaguardare e promuovere
il patrimonio comune di ideali e lo sviluppo economico, sociale e giuridico dei paesi
europei. Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione estranea all’Unione Europea ed è
spesso confusa con gli organi di quest’ultima quali il Consiglio europeo e il Consiglio
dell’Unione Europea. Il Comitato dei Ministri è composto dai 47 Ministri degli Affari
Esteri degli stati membri ed è il principale organo decisionale della predetta
organizzazione intergovernativa. Il Comitato elabora raccomandazioni per gli stati
membri, le quali non sono vincolanti per gli stessi: nonostante ciò il Comitato fornisce
policy, modelli e proposte che i governi possono implementare a livello nazionale. Per
approfondire:
 Consiglio d’Europa: rpcoe.esteri.it, Consiglio
d’Europa, https://rpcoe.esteri.it/rpcoe/it/consiglio-d-europa
 Comitato dei Ministri: rpcoe.esteri.it, Comitato dei Ministri,
https://rpcoe.esteri.it/rpcoe/it/consiglio-d-europa/comitato-dei-ministri
[15]Consiglio d’Europa, Recommendation CM/Rec(2017)5 of the Committee of
Ministers to member States on standards for e-
voting, https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectID=0900001680726f6f
[16] A. Kanupriya, Denial of Service Attack on Online Voting System, International
Journal of Engineering Science and Computing, 2016, vol. 6, no. 5, p. 5585.
[17] V. supra n. 5, pp. 8-9.
[18] Ibid, p. 9.
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[19] T. Limba, K. Agafonov, L. Paukštė, M. Damkus e T. Plėta, Peculiarities of cyber


security management in the process of internet voting implementation, Entrepreneurship
and Sustainability Issues, 2017, vol. 5, no. 2, p. 371.
[20] Per approfondire: M. Bradley, Introduction to Client Server Networks, febbraio
2019, https://www.lifewire.com/introduction-to-client-server-networks-817420
[21] Si consideri che nel 2014 si è stimato che circa un terzo dei computer nel mondo
sarebbe stato infettato con malware, dando la possibilità a soggetti non autorizzati di
spiare l’elettore, o addirittura votare per esso.
Per approfondire: J. P. Mello Jr., Report: malware poisons one-third of world’s
computers, luglio 2014, https://www.technewsworld.com/story/80707.html
[22] A. Di Corinto, Cyber armageddon: perché la sicurezza informatica ci riguarda
tutti, maggio 2018, https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/cyber-armageddon-perche-
la-sicurezza-informatica-ci-riguarda-da-vicino/
[23] M. Iaselli, Sicurezza informatica, serve un “firewall umano: come costruirlo,
ottobre 2018, https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/sicurezza-informatica-serve-un-
firewall-umano-come-costruirlo/
[24] V. supra n. 19.
[25] Un attacco man in the middle (letteralmente “uomo nel mezzo”) permette a soggetti
esterni di ritrasmettere o alterare la comunicazione tra due parti che credono di
comunicare in modo diretto e privato tra loro. Quando l’attacco è in atto nessuna delle
due parti è in grado di riconoscere se il collegamento che li unisce sia stato
effettivamente compromesso da una terza parte o meno.
Per approfondire: kaspersky.it, Che cos’ un attacco Man-in-the-Middle?, aprile
2013, https://www.kaspersky.it/blog/che-cose-un-attacco-man-in-the-middle/706/
[26] Lo spoofing è una tipologia di attacco informatico che impiega diversi metodi di
imitazione (spoof, cioè parodia) di messaggi o risorse offerte all’elettore attraverso la
propria mail o in generale attraverso i propri mezzi di comunicazione (es.
il browser utilizzato). L’elettore può essere indotto a credere di utilizzare il sito web
ufficiale del sistema di i-voting, senza accorgersi di usufruire di un sito imitazione. Le
conseguenze di un simile attacco riguardano, tra le molte possibili, il furto dei dati di
identificazione dell’elettore, i quali possono persino essere utilizzati per connettersi al
sistema di voto originale.
Per approfondire: avast.com, Che cos’è lo spoofing?, https://www.avast.com/it-it/c-
spoofing
[27] NIS Cooperation Group, Compendium on Cyber Security of Election Technology,
European Commission – CG Publication, no. 3, luglio 2018, p. 49.
[28] In questo caso si fa riferimento ad una botnet (parola costituita dai termini “robot” e
“network”), la quale è una rete di dispositivi infettati da un malware specializzato che dà
la possibilità anche ad un singolo hacker di controllare un numero indefinito di
computer, i quali diventano di fatto “bot” (chiamati anche “zombie”) al servizio del
malintenzionato. In questo modo un attacco DDoS crea un traffico elevato nei confronti
della vittima rendendo molto complesso riconoscerne l’origine.
Per approfondire: kaspersky.it, Cos’è una Botnet?, aprile
2013,  https://www.kaspersky.it/blog/cose-una-botnet/821/
[29] M. Germann e U. Serdült, Internet voting and turnout: Evidence from Switzerland,
Electoral Studies, 2017, vol. 47, p. 1.
[30] D. Springall et al., Security Analysis of the Estonian Internet Voting System,
documento presentato durante la 21st Association for Computer Machinery Conference
on Computer and Communications Security, 3–7 Novembre, 2014, Scottsdale,
Arizona, https://jhalderm.com/pub/papers/ivoting-ccs14.pdf
[31] V. supra n. 1, p. 314.
[32] V. supra n. 30, p. 11.
[33] Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento su data breach – 21
dicembre 2017, §2, https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/7400401
[34] rousseau.movimento5stelle.it, Trasparenza,
[35] Un sistema operativo è l’insieme dei programmi di base e delle utilità di un
elaboratore elettronico che sono dedicati alla gestione completa delle risorse della
macchina (microprocessore, memorie di massa), al controllo del buon funzionamento
dell’hardware e delle periferiche, sino all’organizzazione dei file presenti nella
memoria. Il sistema operativo spesso è fornito insieme al computer, poiché questo senza
sistema operativo non avrebbe modo di funzionare.
Per approfondire: treccani.it, Sistema
operativo, http://www.treccani.it/enciclopedia/sistema-operativo_%28Enciclopedia-
della-Mate-mati-ca-29/
[36] V. supra n. 33, §2.
[37] Ansa, Diciotti, lunedì 18/2 voto su Rousseau, febbraio
2019, http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2019/02/17/diciotti-lunedi-182-voto-su-
rousseau_1e0ce8fa-6d08-49c1-898f-1eb2cff3084c.html
[38] A. Gagliardi e M. Perrone, Piattaforma Rousseau tra attacchi hacker, votazioni non
certificate e bilanci: i nodi dal 2016 a oggi, febbraio
2019, https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-02-18/attacchi-hacker-e-votazioni-
non-certificate-nodi-sistema-rousseau-105528.shtml?uuid=ABK18RVB
[39] Adnkronos, Rousseau hackerato: online dati di iscritti e parlamentari, agosto 2017,
[40] V. supra n. 33.
[41] Ibid, §8.1.
[42] Ibid.
[43] D. Stefanello, Come proteggere i dati personali? Anonimizzazione,
pseudonimizzazione e cifratura a confronto, febbraio
2019, https://www.iusinitinere.it/come-proteggere-i-dati-personali-anonimizzazione-
pseudonimizzazione-e-cifratura-a-confronto-17616
[44] V. supra n. 33, §8.1.
[45] Ibid, §8.2.
[46] Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento su data breach.
Proroga – 16 maggio
2018, https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-
display/docweb/8999795
[47] Garante per la protezione dei dati personali, Provvedimento su data breach.
Proroga – 4 ottobre
2018, https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-
display/docweb/9048594
[48] Repubblica.it, M5s, nuovo attacco hacker a Rousseau: online nomi di alcuni
donatori e cellulari di Di Maio, Toninelli e Bonafede, settembre
2018, https://www.repubblica.it/politica/2018/09/06/m5s-nuovo-attacco-hacker-a-
rousseau
[49] Garante per la protezione dei dati personali, Nuovo attacco hacker a piattaforma
Rousseau: il Garante per la privacy avvia verifiche, Comunicato stampa del 6 settembre
2018, https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-
display/docweb/9039786
[50] Garante per la protezione dei dati personali, Obiettivi programmatici 2019, p.
3, https://www.garanteprivacy.it/AllegatoA+Obiettivi+programmatici+2019.pdf
[51] Si fa qui riferimento alla definizione di privacy coniata da Samuel D. Warren e
Louis D. Brandeis nell’opera “The right to privacy” pubblicata sulla rivista
giuridica Harvard Law Review il 15 dicembre 1890, qui
disponibile: https://www.cs.cornell.edu/~shmat/courses/cs5436/warren-brandeis.pdf
[52] S. Rodotà, Democracy, innovation, and the information society, in P. Goujon, S.
Lavelle, P. Duquenoy, K. Kimppa e V. Laurent (a cura di), The Information Society:
Innovation, Legitimacy, Ethics and Democracy In honor of Professor Jacques
Berleur s.j.. IFIP International Federation for Information Processing, 2007, vol. 233,
Springer, Boston, p. 23.
[53] L. Bechelli e C. Telmon, Perché il voto elettronico è un azzardo (secondo gli
esperti di cyber crime), settembre
2017, https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/perche-il-voto-elettronico-e-unazzardo-
secondo-gli-esperti-di-cyber-crime/ 
[54] Huffington Post, Il Garante della privacy europeo contro Rousseau: “Può avere
bug”, febbraio 2019, https://www.huffingtonpost.it/2019/02/26/il-garante-della-privacy-
europeo-contro-rousseau-puo-avere-bug-a-23678370/
[55] Per approfondire le sfide e le opportunità in materia di sicurezza informatica e
protezione dei dati personali nelle elezioni, si consideri l’Opinion paper dell’ENISA
(European Network and Information Security Agency) Election cybersecurity:
Challenges and Opportunities di febbraio 2019, qui
disponibile: https://www.enisa.europa.eu/publications/enisa-position-papers-and-
opinions/election-cybersecurity-challenges-and-opportunities

Davide Stefanello
Ho conseguito la laurea triennale in Scienze dei servizi giuridici nel 2016, presso l’Università Statale di Milano,
con una tesi sul GDPR e il Privacy Shield. In seguito, ho concluso il mio percorso universitario nel 2018,
conseguendo la laurea magistrale in Management e design dei servizi, presso l’Università di Milano Bicocca, con
una tesi sul metodo Lego® Serious Play®. Un percorso un po’ inusuale, ma davvero utile per poter applicare un
approccio multidisciplinare a ciò di cui sono appassionato: la protezione dei dati personali.
Da ottobre 2018 a settembre 2019 mi sono occupato di conformità al GDPR in Logotel, una società che si occupa
di service design, formazione e di creazione e gestione di business community per clienti corporate.

Da settembre 2019 lavoro come Legal Consultant, occupandomi di protezione dei dati personali nella società di
consulenza Partners4Innovation. Nello specifico mi occupo di progetti data protection in diverse organizzazioni,
sia private che pubbliche.
Nell’area IP & IT di Ius in Itinere scrivo di protezione dei dati personali e privacy, con il desiderio di
approfondire ancora di più queste tematiche e di fornire interessanti spunti ai lettori.

PUBBLICATO DA

Davide Stefanello
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25/03/2019 12:05

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