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Analisi Matematica I - Turno 2

Università Bicocca

Autunno 2020

Luca Magni

1
1 Insiemi e proprietà dei numeri reali
Adesso dobbiamo affrontare le basi su cui poggerà il corso di analisi 1. Queste proprietà
sono fondamentali da capire, ma una volta dimostrate essere vere le possiamo considerare
tali andando ad affrontare problemi più complessi senza doverle ripetere.

1.1 Introduzione
l’insiemistica é la base su cui si costruisce la matematica. É difficile creare le fondamenta
in maniera finale, per esempio creare la definizione di insieme diviene molto difficile se
non rifacendosi a sinonimi (collezione di oggetti). La definizione cosı̀ fatta si definisce
circolare, ma é impropria; per risolvere si considera la definizione di insieme come
conoscenza innata. Oggi la teoria degli insiemi viene fondata sulla logica (non inerente
al corso).
La terminologia seguente é considerata nota, con A, B, U insiemi:

• Le lettere maiuscolo vanno a definire insiemi, mentre le lettere minuscole vanno a


definire gli elementi di tali.

• Il simbolo di appartenenza: a ∈ A, e la sua negazione, a 6∈ A

• Il simbolo di inclusione A ⊂ B: Significa che ogni elemento di A é anche un


elemento di B. É possibile che A = B.

• Unione A ∪ B, ed intersezione A ∩ B

• Sia A ⊂ U . L’insieme complementare di A é Ac = U \ A = x ∈ U | x 6∈ A

• L’insieme vuoto: ∅

1.2 Il prodotto cartesiano


A questa definizione spesso si lascia solo un significato operativo. É una definizione, non
si dimostra; é un’assioma.

Definizione. (Coppia ordinata) Siano S e T due insiemi. se x ∈ S e y ∈ T ,


la coppia ordinata (x, y) é definita da:

(x, y) = {{x}, {x, y}}.

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La definizione di coppia ordinata può essere definita in maniera più primitiva tramite la
proprietà di uguaglianza (ma le proposizioni si equivalgono):

(a, b) = (c, d) ⇔ a = c, b = d

Definizione. (Prodotto cartesiano) Il prodotto cartesiano S × T é l’insieme:

S × T = {(x, y) | x ∈ S, y ∈ T }.

Proposizione. (Uguaglianza di due coppie ordinate) Si ha (x, y) = (t, z) se e


solo se x = t e y = z. É infatti evidente che x = t e y = z implica (x, y) = (t, z).
Viceversa, supponiamo che {{x}, {x, y}} = {{t}, {t, z}}, e distinguiamo due casi. Se
t 6= z, allora deve essere {x} = {t} e dunque x = t. Pertanto {x, y} = {t, z}, e questo im-
plica y = z. Se invece t = z, allora {{t}, {t, z}} = {{t}, {t}}, e dunque x = t e y = t = z.

Proposizione. (Proprietà commutativa) Si ha S × T = T × S se e solo se S


= T oppure uno dei due fattori é l’insieme vuoto.
Infatti, se S × T = T × S ed entrambi gli insiemi sono non vuoti, possiamo dedurre che
per ogni x ∈ S e ogni y ∈ T si ha (x, y) ∈ T × S. Quindi x ∈ T e y ∈ S. Poiché x é un
elemento arbitrario di S e y é un elemento arbitrario di T , deduciamo S ⊂ T e T ⊂ S,
cioè T = S. Viceversa, se T = S o se almeno uno dei due fattori é l’insieme vuoto, é
evidente che S × T = T × S.

1.3 Relazioni fra due insiemi


Faremo discendere il concetto di funzione tra due insiemi da quello, più generale, di
relazione (o anche corrispondenza).

Definizione. (Relazione) Siano S, T due insiemi, e sia G ⊂ S × T . La coppia

R = {S × T, G}

é detta la relazione (o corrispondenza) tra S e T avente grafico G. Se x ∈ S, y ∈ T e


(x, y) ∈ G, si scrive
xRy

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e si dice che x e y sono nella relazione R.

La coppia R = {S × T, ∅} é la corrispondenza vuota. Evidentemente per ogni x ∈ S e


ogni y ∈ T , x e y non sono in corrispondenza.
All’estremo opposto, la coppia R = {S × T, S × T } é la corrispondenza totale (o univer-
sale). In altre parole, per ogni x ∈ S e ogni y ∈ T si ha xRy.
La coppia R = {S × S, ∆s }, dove ∆s = {(x, x) | x ∈ S} é la diagonale di S × S. Prende
il nome di identità di S. Esplicitamente xRy se e solo se x = y. Si usa la notazione Is
oppure Ids .

Consideriamo la relazione R = (R × R, {(m, n) | m, n ∈ Z}). Questo reticolato


del piano cartesiano mostra che il concetto di relazione é molto distante dall’idea di
funzione come macchina che prende un elemento e ne sostituisce un’altro.

Definizione. (Corrispondenza indotta) Sia R = (S × T, G) una relazione tra


S e T , e siano S 0 ⊂ S e T 0 ⊂ T . Posto G0 = G ∩ (S 0 × T 0 ), la corrispondenza

R0 = (S 0 × T 0 , G0 )

é detta corrispondenza indotta da R

Definizione. (Corrispondenza inversa) Sia R = (S × T, G) una relazione tra


S e T . Definiamo
G−1 = {(y, x) | (x, y) ∈ G}

La relazione inversa di R é la relazione

R−1 = (T × S, G−1 )

1.4 Relazioni binarie


Definizione. Una corrispondenza tra S e S é chiamata relazione binaria in S.

Definizione. (Funzioni) Una corrispondenza

f = (S × T, G)

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tra gli insiemi S e T é una funzione (o applicazione) di S in T se per ogni x ∈ S esiste
uno ed uno solo y ∈ T tale che xf y. Questo elemento y, che dipende generalmente da x,
é denotato
y = f (x)

ed é chiamato immagine di x tramite f , o valore di f in x. In algebra si usa la notazione


y = f x priva di parentesi, ma nel nostro corso useremo sistematicamente la notazione
funzionale con le parentesi tonde. La notazione ormai standard per una funzione f di S
in T é:
f :S→T

Proposizioni.

• Se f : S → T é una funzione, allora chiameremo S il dominio della funzione f , e


T il codominio della funzione f . (No campo di esistenza)

• Segue dalla definizione di una funzione come una coppia ordinata che, al fine di
assegnare correttamente una funzione, é necessario indicare (1) il dominio, (2) il
codominio, e (3) il grafico G, cioè la formula, o legge, secondo cui opera la funzione.
Ne consegue che é logicamente insensato dire ”consideriamo la funzione y = f (x)”.

• Una funzione f : S → T di un insieme non vuoto S in un insieme non vuoto T si


dice costante se, per ogni x1 ∈ S, x2 ∈ S, risulta f (x1 ) = f (x2 ). in altri termini, le
funzioni costanti sono quelle funzioni che attribuiscono lo stesso valore a tutti i
punti del loro dominio.

Definizione. (Immagine) Siano f : S → T una funzione, e X un sottoinsieme di S.


Il sottoinsieme di T
f (X) = f (x) | x ∈ X

é la immagine di X mediante f : in particolare, f (S) é spesso denotato come Imf .

Definizione. (Controimmagine) Se Y é un sottoinsieme di T il sottoinsieme di


S
f −1 (Y ) = x ∈ S | f (x) ∈ Y

é chiamato controimmagine (o talvolta preimmagine) di Y mediante f .

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Definizione. (Restrizione) Sia f : S → T una funzione, e sia X un sottoinsieme di
S. La nuova funzione
f|X : x ∈ X 7→ f (x) ∈ T

é chiamata restrizione della funzione f a X. Si noti che la restrizione opera mediante la


stessa legge di f , ma il dominio é l’insieme più piccolo X ⊂ S.

Definizione. Sia f : S → T una funzione di S in T . Diremo che

(i) f é iniettiva se da f (x1 ) = f (x2 ) segue che x1 = x2 , con x1 , x2 ∈ S;

(ii) Suriettiva se f (S) = T , cioè se, per ogni y ∈ T , esiste almeno un elemento x ∈ S
tale che y = f (x);

(iii) Biunivoca se é sia iniettiva che suriettiva. (∀y ∈ T, ∃!x ∈ S : y = f (x))

Definizione. (Funzioni composte) Siano f : S → T e g : T → V due funzioni.


L’applicazione g ◦ f : S → V , definita da g ◦ f (x) = g(f (x)) per ogni x ∈ S. Prende il
nome di funzione composta di g con f .

• É fondamentale ricordare che la notazione della composizione opera da destra


verso sinistra: g ◦ f significa che si applica prima f , poi g.

1.5 Funzioni
Definizione. (Funzione invertibile) Sia f : S → T una funzione biunivoca. La
funzione f −1 : T → S che ad ogni y ∈ T associa quell’unico x ∈ S tale che f (x) = y
prende il nome di funzione inversa di f .

Definizione. (Relazioni d’ordine) Un insieme ordinato é una coppia (S, R) dove S


é un insieme e R é una relazione binaria avente le seguenti proprietà:

• Proprietà Riflessive: ∀x ∈ S : xRx

• Proprietà Transitive: ∀x, y, z ∈ S : xRy ∧ yRz ⇒ xRz

• Proprietà Antisimmetriche: ∀x, y ∈ S : xRy ∧ yRx ⇒ x = y

É consuetudine sostituire il simbolo R con il simbolo ≤, scrivendo x ≤ y al posto di


xRy:
x < y : x ≤ y ∧ x 6= y

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Definizione. (Relazioni di ordini Totali ) Una relazione d’ordine ≤ in S é totale
se, per ogni x, y ∈ S accade una delle seguenti situazioni:

x < y, x = y, y < x.

Minimi e massimi di un insieme. Sia (S, ≤).

• Un elemento x ∈ S é detto minimo se x ≤ y, ∀y ∈ S.

• Similmente, un elemento x ∈ S é detto massimo se y ≤ x, ∀y ∈ S.

• Un insieme può non avere né minimo né massimo.

Maggiorante e minorante. Sia S ⊂ X.

• Un elemento y ∈ X é maggiorante di S se x ≤ y ∀x ∈ S.

• Un elemento y ∈ X é minorante di S se y ≤ x ∀x ∈ S.

Si può affermare che il minimo e il massimo di un insieme S sono rispettivamente il


minorante e il maggiorante che appartengono all’insieme S.

Insiemi limitati dall’alto e dal basso. Sia S ⊂ X.

• S ⊂ X é limitato dall’alto se possiede un maggiorante.

• S ⊂ X é limitato dal basso se possiede un minorante.

Definizione. (Estremo inferiore e superiore) Siano (X, ≤), S ⊂ X.


L’eventuale minimo dell’insieme dei maggioranti di S si chiama estremo superiore di S:

sup S

In maniera speculare, l’eventuale massimo dei minoranti di S si chiama estremo inferiore


di S:
inf S

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1.6 Il sistema dei numeri reali R
É possibile definire R in diversi modi, sia costruttivi che assiomatici. (nota: a rigore,
ogni modello assiomatico dovrebbe essere sottoposto ad una verifica di coerenza, e
ciò si trasforma spesso in una costruzione). Una definizione banale potrebbe essere la
totalità dei punti della retta reale orientata. In forma più rigorosa e meno intuitiva, la
costruzione dei numeri naturali prevede una manciata di assiomi (di Giuseppe Peano) e
quindi una definizione ”più o meno” assiomatica.

Assiomi di R

(A) Ordinamento totale, cioé una relazione d’ordine ≤ che gode delle seguenti proprietà:

A1 . ∀a, b ∈ R : a < b ∨ a = b ∨ a > b


A2 . a ≤ b ∧ b ≤ c ⇒ a≤c
A3 . a ≤ b ∧ b ≤ a ⇒ a=b
A4 . a ≤ a

(B) Addizione, cioé un’applicazione che ad ogni a, b ∈ R la corrispondere un elemento


a + b ∈ R con le seguenti proprietà

B1 . ∀a, b ∈ R : a + b = b + a (commutativa)
B2 . ∀a, b, c ∈ R : (a + b) + c = a + (b + c) (associativa)
B3 . ∃!0 ∈ R tale che, per ogni a ∈ R, a + 0 = 0 + a = a (esistenza di elemento
neutro)
B4 . ∀a ∈ R, ∃ − a ∈ R tale che a + (−a) = (−a) + a = 0 (esistenza di
elemento opposto)

(C) Moltiplicazione, che ad ogni a, b ∈ R associa un elemento ab ∈ R (o a · b) che


verifichi:

C1 . ∀a, b ∈ R : ab = ba
C2 . ∀a, b, c ∈ R : (ab)c = a(bc)
C3 . ∃!1 ∈ R, 1 6= 0 tale che ∀a ∈ R, a · 1 = 1 · a = a
C4 . ∀a ∈ R, a 6= 0, esiste un unico a−1 ∈ R tale che a · a−1 = a−1 · a = 1
(esistenza di elemento inverso) –N.B. a−1 = a1

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Occorre infine legare i punti (i), (ii), (iii) mediante i seguenti assiomi:
Per ogni a, b, c ∈ R,

(AB) a ≤ b ⇒ a+c≤b+c

(AC) 0 ≤ a ∧ 0 ≤ b ⇒ 0 ≤ ab

(BC) ∀a, b, c ∈ R : (a + b)c = ac + bc (proprietà distributiva)

Questi assiomi però non possono caratterizzare l’insieme dei numeri reali. Ossia non pos-
sono descrivere un invocamento senza possibilità di confusione e errore. Il controesempio
si può trovare andando ad analizzare l’insieme Q dei numeri razionali, che soddisfa gli
assiomi precedenti ma Q 6= R.

Definizione. (Valore assoluto) Sia a ∈ R. Il valore assoluto |a| é definito da:



a se a ≥ 0
|a| =
−a se a < 0

Lemma. ∀a ∈ R, |a| = max {a, −a}


Dimostrazione. Se a ≥ 0, allora −a ≤ 0 e dunque a ≥ −a. Quindi a = |a| =
max {a, −a}. se a < 0, allora −a > 0, e |a| = −a = max {a, −a}. 

Proprietà del valore assoluto:

• ∀a ∈ R : |a| ≥ 0

• |a| = 0 ⇔ a = 0

• | − a| = |a|

• a ≤ |a|, −a ≤ |a|

Teorema. (Disuguaglianza triangolare) Siano a, b ∈ R. Allora

|a + b| ≤ |a| + |b|

Dimostrazione. Sappiamo che a ≤ |a|, b ≤ |b|. Quindi

a + b ≤ a + |b| ≤ |a| + |b|

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−(a + b) = −a + (−b) ≤ | − a| + | − b| = |a| + |b| 

Deduciamo che
|a + b| = max {a + b, −(a + b)} ≤ |a| + |b|

Definizione. (Distanza e intorno) Siano x, y ∈ R. La distanza tra x e y é

d(x, y) = |x − y|

Detto r > 0, l’intorno sferico I(x, r) del punto x ∈ R é:

I(x, r) = {y ∈ R | d(x, y) < r}.

1.7 Assioma di Dedekind


Ci occupiamo ora di distinguere Q da R, giungendo finalmente alla caratterizzazione
assiomatica dei numeri reali. I numeri razionali non riescono a soddisfare questo assioma.
Osservazione. La precedente definizione dei numeri razionali é sovrabbondante (più
elementi per uno stesso valore). Quando scriviamo una frazione, possiamo sempre
supporre che abbia forma:
p
n= ;
q
dove p ∈ Z, q ∈ N, q 6= 0, e p e q sono primi tra loro, cioè non hanno fattori comuni.
Teorema. Non esiste alcun numero razionale a tale che a2 = 2.
Dimostrazione. Per assurdo, poniamo che esiste un a = pq , p ∈ Z, q ∈ N, q = 6 0, p e
q coprimi, tale che  2
p
=2
q
Quindi p2 = 2q 2 . Allora p2 é un numero pari, e anche p deve esserlo. Esiste dunque
s ∈ Z tale che p = 2s.
)
p2 = 4s2
=⇒ 4s2 = 2q 2 ⇒ q 2 = 2s2
2 2
p = 2q

Abbiamo dimostrato che q 2 é pari, e pertanto anche q é pari. Assurdo, poiché p e q sono
primi tra loro. 

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Definizione. (Sezione di R) Siano A e B due sottoinsiemi non vuoti di R. (A, B) é
una sezione di R se:

• A ∪ B = R, A ∩ B = ∅

• ∀a ∈ A, ∀b ∈ B : a < b

(D) Assioma di Dedekind (o assiomi di continuità). Per ogni sezione (A, B) di


R, esiste un unico numero reale L tale che:

a ≤ L ≤ b, ∀a ∈ A, b ∈ B

L viene anche chiamato elemento separatore della sezione. Ora mostriamo che Q NON
soddisfa l’assioma di continuità.
Dimostrazione. Siano

A = {q ∈ Q | q < 0} ∪ {q ∈ Q | q ≥ 0, q 2 < 2}

B = {q ∈ Q | q ≥ 0, q 2 ≥ 2}

poiché A ∩ B = ∅ e A ∪ B = Q, (A, B) é una sezione di Q.


Supponiamo per assurdo che esista un elemento separatore L ∈ Q di A e B, come
nell’assioma di Dedekind. Necessariamente L appartiene ad A oppure a B (poiché
A ∪ B = Q).
Ad esempio, L ∈ A. Non può essere L < 0: infatti 0 ∈ A. Allora L2 ≤ 2. Sappiamo già
che non può essere L2 = 2, pertanto L2 < 2. Sia N un numero intero maggiore di:

2L + 1
N>
2 − L2

allora, sviluppando il quadrato di


 2
1 1 2L 2L + 1
L+ < L2 + + = L2 + < L2 + 2 − L2 = 2
N N N N

Quindi L + N1 ∈ A. Ma quello é impossible, poiché L ≥ a per ogni a ∈ A, mentre


L + N1 > L.
Con un ragionamento analogo si esclude che L ∈ B, e dunque L non esiste. 

1
L+ ∈ A ⇒ esiste un numero a0 ∈ A tale per cui L ≤ a0 , ma per definizione: ∀a ∈ A, L ≥ a
N

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É possibile dimostrare (non in questo corso) che esiste - a meno di isomorfismi (una
funzione biunivoca che rispetta la struttura degli insiemi per cui agisce, un cambio di
nome dell stessa struttura. Si rispettano forme, operazioni e proprietà.) – uno e un solo
insieme che soddisfi gli assiomi (A), (B), (C) e (D). Questo insieme é denotato con R, il
”campo” dei numeri reali.

1.8 I numeri naturali


Per quanto ”primitiva”, i numeri naturali sono una struttura numerica tutt’altro che
naturale. La costruzione dell’insieme é piuttosto impegnativa. Ci sono due approcci:

• Assiomi di Peano

• Sottoinsieme di R

Il secondo approccio é più sintetico, ed é quello che utilizzeremo.

Definizione. (Insieme induttivo) Un insieme A ⊂ R é induttivo se soddisfa le


seguenti condizioni:

(i) 1 ∈ A (A seconda del testo, potrebbe essere zero. Da questo il dubbio se esso
faccia parte o no dei numeri naturali)

(ii) s ∈ A ⇒ (s + 1) ∈ A

Osservazioni. R é induttivo, cosı́ come R+ = {x ∈ R | x > 0}

Definizione. (Insieme dei naturali) L’insieme N dei numeri naturali é l’intersezione


di tutti i sottoinsiemi induttivi di R.

\
N= An , An induttivo
n=0

Proposizione N 6= ∅ é un insieme induttivo.


Dimostrazione. Poiché 1 appartiene ad ogni insieme induttivo, 1 ∈ N. Quindi
N 6= ∅.
Sia x ∈ N, e dimostriamo che x + 1 ∈ N. Per ogni insieme induttivo A, si ha x ∈ A
(definizione di N). Se A induttivo, allora (x + 1) ∈ A. Pertanto (x + 1) appartiene a
qualunque insieme induttivo A ⊂ R. Dunque x + 1 ∈ N. 

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Osservazione. Segue dalla definizione e dalla proposizione precedente che N é il più
piccolo sottoinsieme induttivo di R.

Definizione. (Principio di Induzione) Se A ⊂ N é tale che 1 ∈ A e x ∈ A ⇒


(x + 1) ∈ A, allora A = N. L’induzione significa dunque che N é il più piccolo sottoin-
sieme induttivo di N.
Forma preposizionale del principio di induzione. Invece che in maniera insiemistica, lo
possiamo enunciare a partire da una collezione di proposizioni logiche (affermazioni)
dipendenti da un indice intero positivo.
Sia {pn } : (n = 1, 2, 3, ...) una famiglia di proposizioni, dipendenti da un indice naturale.
Se

(i) p1 é vera

(ii) ∀n : pn ⇒ pn+1

allora pn é vera per ogni n ∈ N.


Dimostrazione. Sia A = {k ∈ N | pk vera}. (i) e (ii) garantiscono che A sia
induttivo. Per il principio di induzione, A = N. 

Teorema di Bernoulli. Per ogni numero reale x ≥ −1 e per ogni n ∈ N, vale


la disuguaglianza,
(1 + x)n ≥ 1 + nx

Dimostrazione. Prosegue per induzione.

Definizione. (Fattoriale) Il fattoriale di un numero n ∈ N é definito da,

n! = 1 · 2 · 3 · ...(n − 1) · n

Si aggiunger per comoditá, 0! = 1.

Definizione. (Coefficente binomiale) Siano n e k due numeri tali che n ≥ k, n ∈


N ∪ {0}, k ∈ N ∪ {0}. Il coefficiente binomiale nk é definito da


 
n n!
=
k k!(n − k)!

Vogliamo dimostrare, come applicazione del principio di induzione, la formula del bi-

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nomio di Newton:

Formula del binomio di Newton Per ogni a, b ∈ R e ogni n ∈ N, risulta


      n  
n n n 0 n n−1 1 n 0 n X n n−k k
(a + b) = a b + a b + ... + ab = a b
0 1 n k=0
k

Lemma. Per ogni n ∈ N si ha:


n n
 
• 0
=1e n
=1
n n
 
• Per ogni 0 ≤ k ≤ n intero, k
= n−k

Dimostrazione. Lasciata al lettore da eseguire tramite definizione.


Proposizione. Per ogni n ∈ N ∪ {0} e ogni intero 1 ≤ k ≤ n, risulta
     
n+1 n n
= +
k k k−1

Dimostrazione. Se 1 ≤ k ≤ n, allora 0 ≤ k − 1 ≤ n − 1 < n. Dunque la tesi


diventa,
(n + 1)! n! n!
= +
k!((n + 1) − k)! k!(n − k)! (k − 1)!(n − (k − 1))!
Semplificando alcuni termini comuni, [(k − 1)!, (n − k)!, n!, k!]

n+1 1 1
= +
k(n − k + 1) k n−k+1

Questa uguaglianza é una identità (cioè sempre soddisfatta). 

Dimostrazione. Siamo pronti per dimostrare la formula del binomio di Newton.


Procediamo per induzione su n ∈ N.
Consideriamo n = 1:
1  
1
X 1 1−k k
(a + b) = a b =a+b
k=0
k

Supponiamo vera la formula per n, e dimostrare che é vera anche per n + 1. Ora,
n  
n+1 n
X n n−k k
(a + b) = (a + b)(a + b) = (a + b) a b
k=0
k

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Possiamo usare le proprietá della sommatorie, e continuare cosı́,
n   n   n   n  
X n n−k k X n n−k k X n n−k+1 k X n n−k k+1
a· a b +b· a b = a ·b + a b
k=0
k k=0
k k=0
k k=0
k

Aggiungendo 0 (+1 − 1) e considerando h = k + 1,

n   n   n   n+1  
X n n−k+1 k X n n+1−1−k k+1 X n n+1−h h X n
a ·b + a ·b = a ·b + an+1−h ·bh
k=0
k k=0
k h=0
h h=1
h−1

Nell’ultimo passaggio abbiamo scritto h al posto di k nella prima sommatoria, e posto


h = k + 1 nella seconda. Quindi,
  ( n   n   )  
n n+1 X n X n n n+1
... = a + an+1−h · bh + an+1−h · bh + b
0 h=1
h h=1
h−1 n

n     n  
n+1
X n n n+1−h h n+1 n+1
X n + 1 n+1−h h n+1
=a + + a ·b +b =a + a ·b +b
h=1
h h − 1 h=1
h

Riprendendo i due termini come moltiplicati per un coefficiente binomiale, n+1


  n+1
0
, n+1

n+1  
X n + 1 n+1−h h
... = a ·b
h=0
h

Dunque la fomula é vera per n + 1, e il principio di induzione garantisce che é vera per
ogni n ∈ N. 

Secondo principio di induzione. (Principio di induzione completa) Se A ⊂ N


é tale che,

• 1∈A

• Se b ∈ A per ogni b ≤ a, allora a + 1 ∈ A

risulta A = N.
Osservazione. Il secondo principio implica il ”primo”. Le ipotesi di questo secondo
principio di induzione sono più forti dell’altro. Se é vero il secondo principio, allora tiene
anche il primo. Non é affatto vero che siano principi diversi perché logicamente sono
pari. Mostriamo infatti che, in realtà, sono principi equivalenti.

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Dimostrazione. Supponiamo che valga il ”primo” principio, e sia B ⊂ N un
sottoinsieme che soddisfa le ipotesi del secondo principio. Vogliamo dimostrare che
B = N.
Consideriamo,
A = {a ∈ N | ∀b ≤ a ⇒ b ∈ B}

É chiaro che 1 ∈ A. Se n ∈ A, allora per ogni b ≤ n abbiamo b ∈ B. Per l’ipotesi


del secondo principio, n + 1 ∈ A. Quindi A é induttivo e per il ”primo” principio di
induzione A = N. Quindi anche B = N. 

Teorema. Ogni sottoinsieme non vuoto H ⊂ N ha minimo.


Dimostrazione. Per assurdo, supponiamo che H non abbia minimo. Poniamo
A = N \ H. Si ha 1 ∈ A, altrimenti 1 ∈ H e sarebbe il minimo di H. Applichiamo il
secondo principio di induzione, e supponiamo che per ogni x ≤ a si abbia x ∈ A. Poiché
H é il complementare di A, tutti gli elementi di H devono essere maggiori di a. Pertanto,
se a + 1 ∈ H, a + 1 sarebbe il minimo di H. Questo é assurdo, poiché a + 1 ∈ A. Per il
secondo principio di induzione, A = N, il che significa H = ∅. Impossibile. 

Osservazione. Non tutti i sottoinsiemi di R possiedono minimo. Ad esempio A =


{x ∈ R | 0 < x < 1} non possiede minimo.

Teorema. Sia A ⊂ R un insieme limitato dall’alto. l’insieme m(A) dei maggioranti di


A possiede minimo.
Dimostrazione. Sia m0 = R\m(A) il complementare di m(A). Dico che (m0 , m(A))
é una sezione di R. É infatti ovvio, per la definizione di m0 , che m0 ∪ m(A) = R e
m0 ∩ m(A) = ∅. Consideriamo poi µ ∈ m0 e m ∈ m(A).

• µ non é maggiorante di A ⇒ ∃a ∈ A : µ < a

• m é un maggiorante di A ⇒ ∀a ∈ A, a ≤ m

La conclusione, µ < m.
Sia L l’elemento separatore di (m0 , m(A)), come nell’assioma (D) di Dedekind. Per
concludere la dimostrazione é sufficiente mostrare che L ∈ m(A).
Per assurdo, se L 6∈ m(A), esiste a ∈ A tale che L < a. Poiché L < L+a
2
< a, L+a
2
non é
maggiorante di A, e dunque appartiene a m . Questo é impossibile, poiché L separa m0
0

da m(A). 
Osservazione. Possiamo riassumere il precedente risultato ricordando che il minimo

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maggiorante é l’estremo superiore.

Teorema. Ogni sottoinsieme non vuoto e limitato dall’alto A ⊂ R possiede estremo


superiore. In maniera analoga, ogni sottoinsieme non vuoto e limitato dal basso B ⊂ R
possiede estremo inferiore.
Notazione: sup A, inf B.

Può essere comodo avere qualche caratterizzazione (proprietà logicamente equivalente)


degli estremi superiori e inferiori:
Proposizione. Sia A ⊂ R limitato dall’alto. L’unico numero reale L = sup A é
caratterizzato dalle proprietà:

(i) Per ogni a ∈ A si ha a ≤ L;

(ii) Per ogni λ < L esiste un a ∈ A tale che λ < a (o ∀ε > 0, ∃a ∈ A | L − ε < a).

Analogamente si può trovare la proposizione anche per l’estremo inferiore.


Dimostrazione. Il primo punto afferma che L é un maggiorante. Adesso dobbiamo
controllare se (ii) porta ad affermare che questo sia il minimo dei maggioranti. Il secondo
punto dice che per ogni ε positivo il numero L − ε non é un maggiorante. Infatti negare
che un numero sia un maggiorante significa che ∃x ∈ A | L − ε < x. Per l’arbitrarietà
di ε > 0, la seconda affermazione dice che nessun numero strettamente minore di L é un
maggiorante di A.
Allora la congiunzione delle due preposizioni dimostra che L é il minore dei maggioranti
di A ⇒ L = sup A. 
Convenzione. Sia A ⊂ R, A 6= ∅.

• sup A = +∞ ⇔ A non é limitato dall’alto.

• inf A = −∞ ⇔ A non é limitato dal basso.

Il simbolo dell’infinito sarà sempre un’abbreviazione di qualche proprietà che si potrebbe


descrivere senza far alcun uso dell’infinito. Per nostri scopi non esiste, infatti l’infinito
non sarà mai un numero nel nostro corso.

Teorema. (Proprietà archimedea di R) Per ogni coppia a, b di numeri reali


positivi, esiste un intero positivo n tale che n · a > b.
Questa proprietà garantisce l’esistenza di numeri naturali arbitrariamente grandi.

17
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che ∀n ∈ N : na ≤ b. Dunque l’insieme
A = {na | n ∈ N} é limitato dall’alto (b é un maggiorante di A). Sia L = sup A. Per
definizione,
∀m ∈ N : (m + 1)a ≤ L

e dunque ma ≤ L − a. Ma dato che m é un numero naturale arbitrario, L − a < L, in


contraddizione con il fatto che L é il minimo maggiorante di A. 
Una notevole conseguenza di queste proprietà é che l’insieme Q dei numeri razionali é
”denso” in R (lo riempie).

Proposizione. Dati comunque due numeri reali a, b con a < b, esiste sempre un
numero razionale r compreso tra a e b.
Dimostrazione. Non é restrittivo supporre che a e b siano positivi. Questo perché
é possibile considerare la situazione analoga dell’opposto e giungere alla medesima
conclusione. Grazie alla proprietà archimedea, possiamo scegliere un intero positivo,

1
n>
(b − a)

Consideriamo i numeri razionali,

1 2 3 i
, , , ..., , ...
n n n n
k
Solo un numero finito di essi é minore o uguale ad a: sia n
il più grande di essi. Dico che

k+1
r=
n

é compreso tra a e b. Infatti r > a per costruzione. Se poi fosse r ≥ b, allora

1 k k
=r− ≥b− ≥b−a
n n n
1
Sicché n ≤ b−a
. Questo contraddice la scelta del numero n. 

1.9 Cardinalitá
Noi ci aspettiamo che la cardinalitá di un insieme sia fondamentalmente un numero. In
realtà essa é una classe di equivalenze, visione complicata, ma anche l’unica che possa

18
tenere in considerazione tutta la ricchezza di questa analisi.
L’insieme dei primi n numeri naturali viene indicato dalla seguente scrittura:

In = {1, 2, 3, ..., n}

Definizione. (cardinalitá) Diremo che due insiemi A e B sono equipotenti (o che


hanno la stessa cardinalitá), se esiste una applicazione (relazione) biunivoca (iniettiva e
suriettiva) A → B.
Scriveremo in tal caso A ∼ B (o anche #A = #B, anche se usare una uguaglianza é
logicamente errato).
Un insieme A é finito, se esiste n ∈ R tale che A ∼ In . In tal caso diremo che la
cardinalitá di A é n, e in simboli,
#A = n

Un insieme é infinito se non é finito, ma non si può definire come di cardinalitá infinita
un insieme infinito.
Convenzione. #∅ = 0.

Definizione. (Insiemi numerabili) Un insieme A é numerabilmente infinito se


A ∼ N, cioè se é in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei numeri naturali. Infine,
un insieme A é numerabile se é finito oppure numerabilmente infinito.
Osservazione. Se A é numerabilmente infinito, esiste una corrispondenza biunivoca

f :N→A

e in particolare A = {f (1), f (2), f (3), ...}. É consuetudine usare una notazione del tipo
ak al posto di f (k), per k = 1, 2, 3, ... Si dice allora che gli elementi a1 , a2 , a3 , ... di A
sono elementi enumerati (o elencati in successione).
Secondo questo dialetto, gli insiemi numerabilmente infiniti sono quelli i cui elementi
possono essere scritti in una enumerazione di oggetti distinti.

Proposizione. Ogni sottoinsieme di un insieme numerabile é numerabile.


Dimostrazione. Sia S un insieme numerabile, e sia A ⊂ S. Se A é finito, non c’é
nulla da dimostrare. Supponendo quindi che A (e dunque S) sia un insieme infinito.
Possiamo scrivere S = {s1 , s2 , s3 , ...} enumerando gli elementi distinti di S.
Sia n1 il più piccolo numero naturale tale che sn1 ∈ A. Supponendo di aver scelto
n2 , n3 , ..., nk−1 , ... sia nk il più piccolo numero naturale > nk−1 tale che snk ∈ A.

19
Abbiamo cosı̀ costruito una enumerazione degli elementi di A:

A = {sn1 , sn2 , sn3 , ...}

Questa enumerazione non contiene ripetizioni, in virtú della scelta di ogni indice
n1 , n2 , n3 , ..., nk . Quindi A ∼ N, e la tesi é dimostrata. 

Teorema. Siano A1 , A2 , A3 , ... insiemi disgiunti (cioè Ai ∩ Aj = ∅ ∀i =


6 j) e numerabili.
S∞
Allora anche k=1 é numerabile.
Dimostrazione. Sia An = {a1, n , a2, n , a3, n , ...} una enumerazione di An , e ponaimo
S= ∞
S
k=1 . Ogni x ∈ S appartiene ad uno ed uno solo degli insiemi A1 , A2 , ..., An . Quindi
é univocamente determinata una coppia (m, n) di numeri naturali tali che,

x = am,n

L’applicazione f che manda x ∈ S in (m, n) ∈ N × N é iniettiva. Poiché f (S) ⊂ N × N ci


basta dimostrare che N × N é numerabile. Definiamo una funzione g su N × N ponendo,

g(m, n) = 2m · 3n

Scegliamo 2, 3 per il fatto che siano co-primi. Questa funzione é iniettiva, e la sua
immagine é un sottoinsieme di N, quindi numerabile. Pertanto N × N é numerabile. Di
conseguenza la tesi é verificata. 

Teorema. Siano A1 , A2 , A3 , ... insiemi, e siano

n−1
[
B1 = A1 , Bn = An \ Ak
k=1

Allora gli insiemi B1 , B2 , B3 , ... sono a due a due disgiunti, e



[ ∞
[
Ak = Bk
k=1 k=1

Ció che ci dice questo teorema é che é sempre possibile presentare l’unione numerabile
di insiemi qualunque mediante l’unione numerabile di insiemi disgiunti.

20
Dimostrazione. Per costruzione, Bn non ha elementi comuni a B1 , ..., Bn−1 . Quindi
Bi ∩ Bj = ∅ per ogni i 6= j.
Siano A = ∞
S S∞
k=1 Ak e B = k=1 Bk . Mostriamo che A = B:
Sia x ∈ A, sicché esiste un naturale k tale che x ∈ Ak . Scegliamo il più piccolo numero
naturale k con tale proprietà. Ne consegue che x ∈ Ak ma x non appartiene a nessuno
dei precedenti A1 , A2 , ...Ak−1 . Questo significa che x ∈ Bk , e dunque x ∈ B. Quindi
abbiamo dimostrato che ogni elemento di A é anche un elemento di B (A ⊂ B).
Adesso bisogna procedere con il contrario: preso un elemento x ∈ Bk , allora x ∈ Ak .
Abbiamo cosı̀ dimostrato entrambe B ⊂ A, A ⊂ B. Pertanto A = B. 

Questi enunciati implicano una naturale proprietà degli insiemi numerabili.

Teorema. L’unione numerabile, cioè di una famiglia numerabile di insiemi, ciascuno


dei quali sia numerabile, é un insieme a sua volta numerabile.
Osservazione. La numerabilitá é stabile per unioni numerabili.

Applicazione. L’insieme Q dei numeri razionali é numerabile.


Dimostrazione. Sia An l’insieme di tutte le frazioni positive aventi per denomina-
tore n. L’insieme di tutti i numeri razionali positivi é ∞
S
n=1 An . Allora si é trovata una
corrispondenza biunivoca con un insieme numerabile. Ne consegue che Q é numerabile,
poiché ogni An é numerabile. 
Considerare gli elementi negativi porta allo stesso ragionamento, ma con il segno cambi-
ato. L’unione di due insiemi numerabili rimane numerabile, come già dimostrato.

Tuttavia esistono insiemi che non sono numerabili. In particolare, é impossibile attribuire
una cardinalitá numerica agli insiemi infiniti.
Esempio. L’insieme R non é numerabile. É sufficiente mostrare che l’intervallo (0, 1)
non é numerabile. Questo perché se R ha una corrispondenza biunivoca con N, allora
l’intervallo preso in considerazione avrà una relazione con un sottoinsieme di R. Se
questo viene provato falso, allora neanche R é numerabile. Procediamo per assurdo
cercando una ipotetica enumerazione, e supponiamo che,

(0, 1) = {s1 , s2 , s3 , ...}.

21
Ogni sn puó essere scritto in forma decimale:

sn = 0.vn,1 vn,2 vn,3 ...

dove ogni vn,i é una cifra compresa tra 0 e 9.


Definiamo y = 0.u1 u2 u3 ..., dove

n,n 6
1 se u = 1
un =
2 se u = 1
n,n

Il numero y non appare nella enumerazione di (0, 1), poiché differisce da s1 nella prima
cifra decimale, da s2 nella seconda, da s3 nella terza, e cosı̀ via.

s1 = 0. v11 v12 v13 v14 v15 . . .


s2 = 0. v21 v22 v23 v24 v25 . . .
s3 = 0. v31 v32 v33 v34 v35 . . .
s4 = 0. v41 v42 v43 v44 v45 . . .
s5 = 0. v51 v52 v53 v54 v55 . . .
.. .. ..
. . .

Questo é impossibile, poiché {s1 , s2 , ...} é una enumerazione di (0, 1). Concludiamo che
R non é numerabile. 

Lemma. Sia x ≥ 0 un numero reale. Se x ≤ ε (o x < ε, é logicamente equiva-


lente poiché se x é maggiore o uguale allora potrebbe esserci un’altro ε strettamente
minore) per ogni ε > 0, allora x = 0.
Questo lemma é essenziale per capire la vera natura dei numeri reali. Il lemma afferma
che non esiste il più piccolo numero strettamente positivo,

∀x ∈ R, 6 ∃x | x = min{y ∈ R | y > 0}

L’unico numero non negativo che realizza questa proprietà é lo zero. Non esiste alcun
numero che riesca a cadere nell’intervallo del tipo (0, ε).

22
Dimostrazione. Per assurdo neghiamo la tesi, quindi supponiamo che x 6= 0 ⇒
x > 0. Dobbiamo dimostrare che,

∃ε > 0 : x > ε

x
Basta supporre che ε = 2
e arriviamo a un assurdo, poiché x > x2 . 

23
2 I numeri complessi
Quote. ”Tipicamente la strada più breve tra due verità del mondo reale passa per il
campo complesso”
I numeri complessi sono una sorta di cosa che sta al di sopra, una dimensione in più,
che spesso si rivela la strada piú breve per dimostrare relazioni tra numeri reali.

Se consideriamo x2 é facilmente dimostrabile che ∀x ∈ R, x2 ≥ 0, quindi un’equazione


del tipo
x2 = −1

risulta impossibile se effettuata nell’insieme dei numeri reali. Questo é un segno della
incompletezza algebrica di R. Nel tempo questo é successo diverse volte, ed ha portato
sempre all’ampliarsi dei sistemi numerici con i quali si lavorava. Quindi é cosı̀ che siamo
portati a introdurre un nuovo insieme numerico: l’insieme dei numeri complessi C.
Si va quindi a definire un nuovo oggetto, l’unità immaginaria:

i= −1

che permette di effettuare calcoli con numeri al di fuori del sistema dei reali.

Definizione. (Numero complesso) Un numero complesso é una coppia ordinata


z = (a, b) di numeri reali a, b.
Definito z = (a, b), w = (a, d), allora C é R × R con le seguenti operazioni:

• z + w = (a + c, b + d)

• z · w = (ac − bd, ad + bc)

Se z é il numero complesso (a, b) allora chiameremo a la parte reale di zeta (Re z) e b la


parte immaginaria di zeta (Im z).

a = Re z parte reale
b = Im z parte immaginaria

La stessa definizione di coppia ordinata che costruisce un numero complesso porta alla
loro possibile rappresentazione algebrica e rappresentazione trigonometrica (polare).

24
Osservazione. Ogni a ∈ R può essere messo in corrispondenza biunivoca con (a, 0) ∈ C.
Quindi,
(a, b) = (a, 0) + (0, b) = (a, 0) + b(0, 1)

ogni numero immaginario può essere scomposto nelle sue componenti reali e immaginarie.
Dalla parte immaginaria se semplificata possiamo ottenere la quantità immaginaria
(0, 1), che prenderà un ruolo fondamentale in questo capitolo.

Definizione. (Unitá immaginaria) i = (0, 1) é l’unità immaginaria.

Lemma. i2 = (−1, 0) = −1
Dimostrazione. i = (0, 1) ⇒ i2 = i · i = (0 · 0 − 1 · 1, 0 · 1 + 1 · 0) = (−1, 0)

Rappresentazione algebrica dei numeri complessi.

z = (a, b) = a + bi = Re z + i · Im z

Questa uguaglianza sottintende che, a ⇔ (a, 0) ∧ i = (0, 1).

Rappresentazione trigonometrica dei numeri complessi.


Torniamo a pensare un numero z ∈ C come una coppia ordinata di numeri reali:

z = (x, y), x, y ∈ R

Geometricamente, z é un punto del piano cartesiano R2 :


y

z = (x, y)
y

θ
x x

Diventa naturale associare a un numero complesso altre due quantità:


p
• La distanza dall’origine O, r = x2 + y 2

25
• L’angolo θ, compreso tra la distanza e la parte positiva dell’asse delle ascisse

É importante notare che θ é determinato a meno di multipli di 2π, altrimenti si va a


ripetere inutilmente. Invece cosı́ é limitato a uno ed un solo valore.

Definizione. (Modulo) Sia z = (x, y) = x + yi,


p
|z| = x2 + y 2 : modulo di z (∈ R)

0 ≤ θ < 2π : argomento di z, Arg z o fase di z

[altri scelgono −π ≤ θ < π]


Osservazione. Per z = (0, 0) = 0, l’argomento é indeterminato. Inoltre, |z| = 0 ⇔ z = 0.

Con le precedenti definizioni, abbiamo che per ogni numero complesso z,



x = |z| cos θ
y = |z| sin θ

Da questo deriva la cosiddetta rappresentazione polare:

z = (ρ, θ) ∈ [0, +∞) × [0, 2π)

Dove ρ é il modulo e θ l’argomento. Per non usare sempre la notazione delle coppie
ordinate, solitamente, si scrive per esteso,

z = ρ cos θ + iρ sin θ = ρ(cos θ + i sin θ)

Per riassumere, il numero complesso ha diverse rappresentazioni: formale con le coppie


ordinate, algebrica con i numeri reali e polare con la trigonometria.

Il reciproco di un numero complesso, ossia quel numero che moltiplicato per zeta
fornisce (1, 0), ossia 1 (il numero neutro per il prodotto) si può trovare per definizione.
Noi decidiamo però di trovarlo tramite il numero complesso coniugato.

26
Definizione. (Coniugato) Il (complesso) coniugato di un numero z = x + yi ∈ C é,

Re z̄ = Re z
z̄ = z ∗ = x − yi
Im z̄ = − Im z

Lemma. Sia z = x + yi ∈ C un numero complesso dato. Calcoliamo,

z · z̄ = (x + yi)(x − yi) = x2 − y 2 i2 = x2 + y 2

Quindi deduciamo che z · z̄ = |z|2

Teorema. Per ogni z ∈ C, z 6= 0, esiste z −1 = 1


z
∈ C tale che,

z · z −1 = 1 (= (1, 0))

Dimostrazione. Sappiamo che z · z̄ = |z|2 . Poiché z 6= 0, allora |z| =


6 0, e possiamo
dividere:

z· 2 =1
|z|
Quindi,
1 z̄
= z −1 = 2 
z |z|

Questo risultato ci permette di fare le divisioni tra numeri complessi. Esempi sono
triviali. Una scorciatoia consiste nel moltiplicare e dividere per il complesso coniugato
del denominatore, in modo da semplificare subito il complesso al denominatore con un
reale |z|(moltiplicare per z̄/z̄).

Proposizione. Sia z = x + yi ∈ C. Risulta:

1. z̄¯ = z

2. x e y si possono anche calcolare come:

z + z̄ z − z̄
x= , y=
2 2i

3. Se w ∈ C, z + w = z̄ + w̄ e zw = z̄ · w̄

27
Dimostrazione. Dato un z = x + yi ∈ C,

1. z = x + yi → z̄ = x − yi

z̄¯ = x − yi = x − (−yi) = x + yi = z

2. Sommiamo membro per membro le due uguaglianze.


 
z = x + yi z + z̄ = x + yi + x − yi

z̄ = x − yi z − z̄ = x + yi − (x − yi)
 
z + z̄ = 2x x = z+z̄
2

z − z̄ = 2yi y = z−z̄
2i

3. Dato w = c + di allora,

(i)

z + w = (x + yi) + (c + di) = x + c + (y + d)i = x + c − (y + d)i =

(x − yi) + (x − di) = z̄ + w̄

(ii)

zw = (x + yi) · (c + di) = cx − dy + (dx + cy)i = cx − dy − dxi − cyi


 
d
= x(c − dy) − yi c + = (x − yi)(c − di) = z̄ · w̄
i
Infatti é facilmente verificabile che

1 1 −1 √
i = − = −√ ·√ = −1 = i 
i −1 −1

Osservazione. Non si possono sommare due numeri complessi scritti in forma polare.
Risulta invece molto più semplice il prodotto, infatti se prendiamo dei numeri complessi
z = ρ1 (cos θ1 + i sin θ1 ), w = ρ2 (cos θ2 + i sin θ2 ), allora,

zw = ρ1 ρ2 (cos θ1 + i sin θ1 )(cos θ2 + i sin θ2 )


 
= ρ1 ρ2 cos θ1 cos θ2 + i cos θ1 sin θ2 + i sin θ1 cos θ2 − sin θ1 sin θ2

28
 
= ρ1 ρ2 cos θ1 cos θ2 − sin θ1 sin θ2 + i(cos θ1 sin θ2 + sin θ1 cos θ2 )
 
= ρ1 ρ2 cos (θ1 + θ2 ) + i(sin (θ1 + θ2 ))

Il modulo di zw é il prodotto dei moduli di z e di w. L’argomento del prodotto zw é la


somma degli argomenti di z e di w. Se volessimo calcolare il quadrato di un numero z
in questo modo allora,
z 2 = ρ21 (cos 2θ1 + i sin 2θ1 )

Proposizione. (Formula di Demoivre) Sia z = ρ(cos θ + i sin θ) 6= 0 un numero


complesso diverso da zero e sia n ∈ N, allora,

z n = ρn (cos nθ + i sin nθ)

Dimostrazione. La dimostrazione procede per induzione su n ∈ N. Per n = 1


abbiamo una identità sempre soddisfatta,

z 1 = ρ1 (cos θ + i sin θ)

Adesso supponiamo che la nostra tesi z n = ρn (cos nθ + i sin nθ) sia vera e verifichiamo
che mantenga per n + 1,

z n+1 = z n · z = ρn (cos nθ + i sin nθ) · ρ(cos θ + i sin θ)


   

Allora possiamo effettuare l’addizione tra due numeri complessi e ottenere


 
z n+1 = ρn ρ · cos(nθ + θ) + i sin(nθ + θ) = ρn+1 cos (n + 1)θ + i sin (n + 1)θ
 


É possibile estendere la validità di questa formula per ogni numero intero, n ∈ Z.

1
z −n =

cos(−nθ) + i sin(−nθ)
ρn

Dimostrazione. Basta verificare che z n · z −n = 1. ... 

osservazione. I numeri complessi scritti in forma polare si comportano quasi come


degli esponenti durante la moltiplicazione. Infatti mentre il modulo viene moltiplicato
normalmente, le fasi del numero complesso si addizionano. Questo ci induce a introdurre

29
una nuova notazione, la notazione di Eulero.

Definizione. (Notazione di Eulero) Per ogni θ ∈ R, poniamo,

eiθ = cos θ + i sin θ

Presi due numeri complessi z = eiθ1 e w = eiθ2 si può verificare che,

zw = ei(θ1 +θ2 )

E da questo é possibile capire l’analogia con gli esponenziali a cui si alludeva prima. La
formula in sé verrà trattata il terzo anno e non sarà spiegata in questo corso.

2.1 Radici di un numero complesso


Vogliamo estrarre le radici n-esime, n ∈ N di un certo numero dato. Sia α = Reiφ un
numero complesso assegnato. Dobbiamo determinare tutti i numeri complessi z tali che
z n = α. Fare ció con z e α in forma algebrica sarebbe molto difficile, allora utilizziamo
la notazione polare. Cerchiamo z = ρeiθ . l’equazione che caratterizza il nostro problema,
diventa
n
zn = α ⇒ ρeiθ = Reiφ ⇒ ρn einθ = Reiφ

Due numeri in forma trigonometrica coincidono quando abbiamo uguale modulo e i due
argomenti differiscono di un multiplo di 2π,

ρ n = R
nθ − φ = 2kπ, k∈Z

Da qui ricaviamo che,



n φ 2π
ρ= R, θ= + k
n n
Non é necessario peró ricavare infiniti multipli dello stesso angolo. Ci si accorge che per
avere tutte e sole le soluzioni, si puó scegliere un k,

0≤k<n ⇒ k ∈ {0, 1, 2, ..., n − 1}

Questo poiché una volta superato 2π le combinazioni si ripetono. Quindi k assume


un totale di n valori. Infatti abbiamo cosı́ dimostrato che ogni numero complesso α

30
possiede n radici n-esime distinte caratterizzate dal modulo e dalla fase,

n φ 2π
ρ= R, θ= + k, 0≤k<n
n n

Applicazione. (radici delle unitá) Per n ∈ N naturale qualunque, z n = 1 ha le n


soluzioni distinte,

{e n i | k = 0, 1, 2, ..., n − 1}

Le radici n-esime di 1 sono i vertici del poligono regolare di n lati inscritto nella circon-
ferenza unitaria.

Proposizione. Ricordiamo che |z|2 = z · z̄. Inoltre,

• | Re z| ≤ |z|

• | Im z| ≤ |z|
p
Dimostrazione. |z|2 = (Re z)2 + (Im z)2 ≥ (Re)2 ⇒ |z| ≥ (Re z)2 = | Re z|
Proposizione. |z̄| = |z|, |zw| = |z| · |w|

Teorema. (Disuguaglianza triangolare) Per ogni z, w ∈ C, si ha

|z + w| ≤ |z| + |w|

Dimostrazione.

|z + w|2 = (z + w)(z + w) = (z + w)(z̄ + w̄) = z z̄ + z w̄ + z̄w + ww̄

Si puó notare che,


z w̄ = z̄ w̄¯ = z̄w

E quindi stiamo facendo la somma di un prodotto ed il suo coniugato, e questo porta a


dire che,
z̄w + z w̄ = 2 Re(z w̄)

Riprendendo dalla prima equazione,

|z + w|2 = |z|2 + 2 Re(z w̄) + |w|2

31
Ma noi sappiamo che,

2 Re(z w̄) ≤ 2|z w̄| ⇒ |z|2 + 2 Re(z w̄) + |w|2 ≤ |z|2 + 2|z w̄| + |w|2

|z| = |zw| ⇒ |z|2 + 2|z w̄| + |w|2 = |z|2 + 2|z||w̄| + |w|2

Il prodotto di questi calcoli é il quadrato di un binomio,

= (|z| + |w|)2

Quindi per concludere abbiamo,

= (|z| + |w|)2 ≥ |z + w|2 ⇒ |z| + |w| ≥ |z + w| 

3 Topologia della retta


Definizione. (Distanza) Dati x, y ∈ R, la loro distanza é

d(x, y) = |x − y|

Metrica (o distanza) canonica (Euclidea) di R

Proposizione. La distanza ha le seguenti proprietá:

• d(x, y) = d(y, x) (simmetria della metrica)

• d(x, y) = 0 ⇔ x = y (annullamento)

• ∀x, y, z : d(x, y) ≤ d(x, y) + d(z, y) (disuguaglianza triangolare per la metrica)

Queste 3 proprietá sono gli assiomi che in struttura qualsiasi definiscono una metrica.
Si possono studiare anche senza legami a priori con i numeri reali.

Definizione. (Intorno) Sia x0 ∈ R. L’intorno centrato in x0 e di raggio r > 0


é l’insieme,

I(x0 , r) = Ir (x0 ) = B(x0 , r) = Nr (x0 ) = {y ∈ R | d(x0 , y) < r}

Questo insieme é chiamato intorno sferico, intorno simmetrico o intorno Euclideo. É


importante far notare che é un’inclusione stretta rispetto a r. Traduciamo con espressioni

32
piú familiari questa espressione,

y ∈ (x0 , r) ⇔ d(x0 , y) < r ⇔ |x0 − y| < r ⇔ x0 − r < y < x0 + r

Quindi ci ritroviamo con un intervallo aperto del tipo,

I(x0 , r) = (x0 − r, x0 + r)

Gli intorni sono gli elementi essenziali che costituiscono la topologia della retta reale.

Definizione. (Insieme aperto) Un insieme A ⊂ R é aperto se ogni punto x0 ∈ A


possiede un intorno I(x0 , r) contenuto in A.

∀x0 ∈ A, ∃r > 0 | I(x0 , r) ⊆ A

In un intervallo aperto del tipo (a, b) a < b si puó provare che questo lo sia considerando
il raggio,
1
r = min{d(x0 , a), d(x0 , b)}
2
Il coefficiente 1/2 é stato scelto arbitrariamente, basta scegliere un numero strettamente
minore di uno. Invece per dimostrare che un insieme non é aperto basta considerare i
suoi estremi e considerare un qualsiasi intorno.
Convenzione. L’insieme vuoto ∅ é un insieme aperto.

Definizione. (Insieme chiuso) Un insieme A ⊂ R é chiuso se Ac = R \ A é un


insieme aperto. In altre parole, gli insiemi chiusi sono complementari degli aperti.
É sbagliato pensare che siano mutualmente alternative, ossia che se un insieme é aperto
allora non é chiuso e viceversa. É presente una intersezione di questi insiemi. Per
esempio R é sia aperto che chiuso (R é aperto ma anche Rc = ∅ é aperto). In R ci sono
solo 2 casi in cui questo succede: R e ∅.

Definizione. (Punto di accumulazione) Sia A ⊂ R. Un punto x0 ∈ R é un


punto di accumulazione per/di A se:

∀r > 0, ∃y ∈ I(x0 , r) ∩ A, y 6= x0

In parole, ogni intorno di x0 contiene almeno un punto di A, diverso da x0 .

33
Analogamente si puó anche definire questo:
Proposizione. Siano A, x0 come nella definizione precedente. Sono equivalenti:

(i) x0 é punto di accumulazione di A;

(ii) Ogni intorno di x0 contiene infiniti punti di A

Dimostrazione. Se vale (ii), e se I(x0 , r) é un intorno qualunque di x0 , I(x0 , r)


contiene infiniti punti di A. Poiché sono infiniti, almeno uno di essi é diverso da x0 .
Viceversa, se x0 é punto di accumulazione per A, dobbiamo dimostrare che per ogni
intorno di x0 , questo contiene infiniti punti di A.
Creiamo un struttura iterativa. Sia r1 > 0. Per ipotesi esiste y1 ∈ A tale che,

y1 ∈ I(x0 , r1 ), y1 6= x0

Sia r2 = 12 d(x0 , y1 ). Nell’intorno I(x0 , r2 ) cade almeno un punto y2 = 6 x0 , y2 ∈ A. Ora


pongo r3 = 12 d(x0 , y2 ) e trovo y3 ∈ A ∩ I(x0 , r3 ), y3 6= x0 . Per costruzione, y1 6= y2 =
6 y3 .
Iterando questa costruzione, otteniamo infiniti punti di A, appartenenti a I(x0 , r1 ). 
É necessario affrontare questa definizione, perché il concetto di limite diventa sensato
solo quando si parla di punti di accumulazione.

Definizione. (Punto isolato) Sia A ⊂ R, x0 ∈ A il punto x0 é isolato se esiste


un intorno I(x0 , r) tale che,
I(x0 , r) ∩ A = {x0 }

Definizione. (Insieme derivato) Sia A ⊂ R. L’insieme di tutti i punti di accumu-


lazione di A é detto insieme derivato di A, e si denota con A0 , DA.

Teorema. Un insieme A é chiuso se e solo se contiene tutti i suoi punti di accu-


mulazione.
A0 ⊆ A

Questo teorema descrive se un insieme é chiuso o aperto usando il linguaggio dei punti
di accumulazione.
Dimostrazione. Abbiamo entrambe le direzioni da dimostrare, procediamo con la
prima.

34
(⇒) Sia A un insieme chiuso. Sia x un punto di accumulazione per A. Supponiamo che
x ∈ Ac per assurdo. Poiché Ac é un insieme aperto abbiamo,

∃I(x, r) ⊂ Ac

Questo contraddice il fatto che x sia di accumulazione perché ogni suo intorno dovrebbe
contenere infiniti punti di A, mentre ora almeno un suo intorno é incluso in Ac che
non contiene punti di A. Pertanto x ∈ A, e dunque A contiene tutti i suoi punti di
accumulazione.
Adesso passiamo al viceversa. (⇐) Supponiamo che A contenga tutti i suoi punti di
accumulazione e dimostriamo che sia chiuso, ossia dimostriamo che Ac é aperto. Sia
x1 ∈ Ac (⇔ x1 6∈ A) e costruiamo un intorno I(x1 , r) ⊂ Ac . Poiché x1 6∈ A, x1 non
é punto di accumulazione, dato che questi si trovano tutti in A. Dobbiamo negare
l’affermazione,
∀r > 0, ∃y ∈ A ∩ I(x1 , r), y 6= x

cioé,
∃r > 0 : ∀y ∈ A ∩ I(x1 , r) ⇒ y=x

Detto a parole, esiste un intorno che contiene al suo interno al piú un elemento di A,
e se lo contiene questo é x1 . Poiché x1 6∈ A, abbiamo individuato un intorno I(x1 , r)
nel quale non cade alcun punto di A, cioé I(x1 , r) ⊂ Ac . Per l’arbitrarietà di x1 ∈ Ac ,
abbiamo dimostrato che Ac é un insieme aperto, ossia che A é chiuso. 

Definizione. (Punto di frontiera) Sia A ⊂ R. Un punto x0 ∈ R é di frontiera


per A se in ogni intorno di x0 cadono sia punti di A, sia punti di Ac .

x ∈ R : ∀r > 0, ∃y1 ∈ A ∩ I(x0 , r) ∧ ∃y2 ∈ Ac ∩ I(x0 , r)

L’insieme dei punti di frontiera di A é denotato con ∂A (frontiera o bordo di A).

Definizione. (Chiusura di un insieme) La chiusura di A ⊂ R é,

Ā = A ∪ A0 = A ∪ ∂A

Corollario. A ⊂ R é chiuso se e solo se A = Ā. In modo equivalente, Ā é il piú piccolo


insieme chiuso contente A.

35
Definizione. (Interno di un insieme) Sia A ⊂ R. L’insieme di tutti i punti di
interni di A é detto interno di A, e si denota con A◦ .
Un punto interno di un insieme é un punto x tale che,

x ∈ A : ∃r > 0, I(x, r) ⊆ A

Osservazione. Da questo si ricava,

A aperto ⇔ ∀x ∈ A, x é interno ⇔ A = A◦ ⇔ A ∩ ∂A = ∅

A chiuso ⇔ Ac aperto ⇔ A0 ⊆ A ⇔ ∂A ⊆ A ⇔ A = Ā

Teorema. (Bolzano-Weistrass) Ogni sottoinsieme E ⊂ R, limitato e infinito,


possiede almeno un punto di accumulazione.
N.B. Un insieme limitato é sia superiormente che inferiormente limitato.
Dimostrazione. Poiché E é limitato, possiamo scegliere a < b tali che E ⊂ [a, b].
Dividiamo [a, b] in due parti uguali,
   
a+b a+b
a, , b
2 2

Almeno uno dei sotto-intervalli deve contenere infiniti elementi dell’insieme E. Chiami-
amo [a1 , b1 ] questo intervallo. Dividiamo questo intervallo in due parti uguali,
   
a1 + b 1 a1 + b 1
a1 , , b1
2 2

Come prima, ameno uno di tali intervalli deve contenere infiniti elementi di E: sia [a2 , b2 ]
questo sotto-intervallo. Iteriamo dunque questa costruzione, ottenendo [a3 , b3 ], [a4 , b4 ], ...
Chiamiamo dunque A l’insieme di tutti gli estremi sinistri, e B l’insieme di tutti gli
estremi destri, 
A = {a , a , a , ...}
1 2 3
B = {b , b , b , ... }
1 2 3

Ogni intervallo successivo é sempre la metá di quello precedente, e questo é indicato


negli indici. Troviamo quindi la lunghezza dell’intervallo bn − an come il successivo

36
dimezzamento per ogni indice i, ossia,

b−a
b n − an =
2n

Per costruzione, 
a ≤ a ≤ a ≤ ... ≤ a ≤ a
1 2 n n+1 ≤ ...
b ≥ b ≥ b ≥ ... ≥ b ≥ b ≥ ...
1 2 n n+1

Siano ak e bs due elementi rispettivamente di A e B. Sia n ∈ N numero naturale


maggiore sia di k, sia di s. Risulta,

ak ≤ an ≤ b n ≤ b s

Quindi bs é maggiorante di A, e di conseguenza sup A ≤ bs . Poiché bs ∈ B é arbitrario


(vale per ogni elemento dell’insieme), il numero sup A é un minorante di B, e quindi,

sup A ≤ inf B

Verifichiamo che sup A = inf B, considerando che A e B sono due classi continue
dell’insieme dei numeri reali (ossia gli elementi di uno sono sempre minori dell’altro e
esiste un unico elemento separatore). Infatti per ogni n ∈ N, si ha che,

an ≤ sup A, bn ≥ inf B

E prendendo in considerazione anche la disequazione tra gli estremi di questi insiemi, e


il valore della differenza di due estremi di indice n, troviamo,

b−a
0 ≤ inf B − sup A ≤ bn − an =
2n

Dalla proprietà archimedea si puó trovare che,



b−a
∀ε > 0, ∃nε ∈ N nε < ε
2

Quindi,
b−a
0 ≤ inf B − sup A ≤ <ε
2nε
Poiché ε > 0 é arbitrario, inf B = sup A.
Adesso dobbiamo dimostrare che questo punto che abbiamo trovato sia in E, e sia un

37
suo punto di accumulazione. Sia z = inf B = sup A. Consideriamo un arbitrario intorno
I(z, r) e dimostriamo che esso contiene infiniti punti di E. Per ogni n ∈ N abbiamo che
z ∈ [an , bn ]. Scegliamo n ∈ N cosı́ grande che,

b−a
2n > ⇒ [an , bn ] ⊂ I(z, r)
r

Per costruzione, l’intervallo [an , bn ] contiene infiniti elementi dell’insieme E. Ció significa
che ogni intorno di z possiede infiniti elementi di E. Deduciamo allora che z é punto di
accumulazione per E. 

Proposizione. L’intersezione e l’unione di due insiemi aperti é un insieme aperto.

3.1 Funzioni reali di variabile reale


Non c’é nulla di nuovo rispetto alle relazioni che abbiamo giá affrontato, vogliamo solo
introdurre della terminologia di uso comune che prende vantaggio dal fatto che stiamo
facendo operazioni solo sui numeri reali.

f :A⊆R→R

Definizione. (Sucessione) Una funzione del tipo f : N → R si chiama successione a


valori reali.

Notazioni. Prendiamo una funzione f : A ⊆ R → R,

sup f = sup f (x) = sup f (A)


A x∈A

inf f = inf f (x) = inf f (A)


A x∈A

x0 é un punto di minimo della funzione f se in x0 raggiunge il minimo della sua immagine,


ossia,
f (x0 ) = min f (A)

x0 é un punto di massimo della funzione f se in x0 raggiunge il massimo della sua


immagine, ossia,
f (x0 ) = max f (A)

38
In astratto, per assegnare una funzione occorre specificare il dominio, il codominio e
la ”legge” della funzione. Quando lavoriamo con le funzioni reali di variabile reale, il
codominio é implicito, poiché é sempre R. Spesso viene citata la legge e basta senza
specificare neanche il dominio. Infatti in questo contesto, se non altrimenti detto, si
considera il ”domino naturale” delle funzioni, cioé il piú grande sottoinsieme di R nel
quale la legge della funzione é ben calcolabile.

Richiamo. Data f : S → T , f é invertibile se é biunivoca,

f −1 : T → S

Definizione. (Funzione inversa) Se f : S ⊆ R → R é una funzione iniettiva, diremo


che é invertibile, e la sua inversa é la funzione,

f −1 : Im f → S

Che ad ogni y ∈ Im f associa l’unica x ∈ S tale che f (x) = y.


Poiché S é un sottoinsieme di R noi possiamo invertire le varie funzioni elementari
(arcsin, arccos, ln, ...) con l’unico svantaggio di non poter considerare il loro intero codo-
minio come dominio della funzione inversa.
Esempio. Per funzioni reali di una variabile reale, T = R e S ⊆ R,

f :S→R

Per esempio la funzione f (x) = ex , S = R, T = R non é biunivoca, poiché la sua


immagine é (0, + inf) e quindi non sarebbe invertibile e sarebbe sbagliato affermare che
la funzione logaritmo sia la sua inversa. Per questo si preferisce rendere piú numerose le
funzioni invertibili.
Definizione. (Funzione monotona) Data f : S ⊆ R → R, diremo che:

• f é monotona crescente se,

∀x1 ∈ S, ∀x2 ∈ S | x1 < x2 ⇒ f (x1 ) ≤ f (x2 )

Questa diventa strettamente crescente se nel confronto tra le due immagini metti-

39
amo un simbolo per il strettamente minore,

∀x1 ∈ S, ∀x2 ∈ S | x1 < x2 ⇒ f (x1 ) < f (x2 )

• f é monotona decrescente se,

∀x1 ∈ S, ∀x2 ∈ S | x1 < x2 ⇒ f (x1 ) ≥ f (x2 )

Questa diventa strettamente crescente se nel confronto tra le due immagini metti-
amo un simbolo per il strettamente maggiore, f (x1 ) > f (x2 )
Per gli assiomi di ordinamento dei numeri reali, si puó anche dire che f é monotona

decrescente (rispettivamente strettamente decrescente) se −f x ∈ S 7→ −f (x) é
crescente (rispettivamente strettamente crescente).
Osservazione. In base alla definizione, le funzioni costanti sono sia monotone crescenti,
sia monotone decrescenti.
Proposizione. Ogni funzione strettamente monotona (crescente oppure decrescente) é
iniettiva. (tautologia, vera per definizione)

Definizione. (Funzione caratteristica) Sia A ⊆ R. La funzione caratteristica


di A é, 
1, se x ∈ A
χA (x) =
0, se x 6∈ A

3.2 Parentesi sulle funzioni elementari


Quote. ”In matematica utilizziamo la parola elementare per sminuire le cose difficili e
far finta che siano facili”

Questa é una piccola sconfitta del rigore matematico. É difficile definire alcune funzioni,
come per esempio quella esponenziale o logaritmica (2 elevato a un numero trascendente
é complicato da stabilire esattamente). Ci si accontenta di portarne avanti una visione
intuitiva. Per esempio possiamo dare le definizioni formali di alcune funzioni:

+∞ n
X x
Definizione. exp: x ∈ R 7→
n=0
n!
Z x
1
Definizione. log: x > 0 ∈ R 7→ dt
0 t

40
Definizione. sin: é l’unica funzione che soddisfa,



y 00 + y = 0

y(0) = 0


y 0 (0) = 1

Z x
dt
Alternativamente, arctan : x ∈ R 7→ 2
0 t +1
Dato che queste definizioni sono troppo complesse, decidiamo di procedere con un
approccio assiomatico, di modo da poter utilizzare queste funzioni sebbene non ancora
ben definite. Quindi considereremo queste funzioni e le loro proprietà come per date
certezze.

3.3 Limiti di Funzioni


Definizione. La parziale aritmetizzazione dell’infinito porta alla retta reale estesa,

e = R ∪ {−∞} ∪ {+∞}
R

Prendiamo un punto p ∈ R
e e consideriamo un suo intorno u,



 I(p, r) se p ∈ R

u = (−∞, a) se p = −∞



(b, +∞) se p = +∞

Questo permette di dare una definizione univoca per il concetto di limite senza dover
andare a considerare ogni caso possibile.
A questo punto diremo che p ∈ R e é di accumulazione per A ⊂ R
e Se ogni intorno di p
contiene infiniti punti di A.
Osservazione. +∞ é di accumulazione per A se A contiene elementi positivi arbi-
trariamente grandi. In particolare, abbiamo che +∞ é di accumulazione per N.

Definizione. (Limite) Consideriamo f : A ⊆ R → R, p ∈ R, e punto di ac-


cumulazione per A. Se per ogni intorno v di λ, esiste un intorno u di p tale che

41
x ∈ u, x 6= p ⇒ f (x) ∈ v, allora diremo che,

lim f (x) = λ, λ∈R


e
x→p

Questa definizione trascura il valore della funzione f in questo punto. Il punto p é


sempre lasciato fuori dalla condizione da verificare. Per questo non si deve supporre
che p appartenga ad A. Noi calcoliamo la funzione in tutti quei punti vicini a p stretto.
Quindi a noi non interessa la condizione di appartenenza ma la condizione di ”quasi
appartenenza”, ossia di accumulare attorno a p infiniti elementi del dominio.
Traduciamo ora questa definizione in alcuni casi.

Definizione. (Limite finito con risultato finito) Se abbiamo, p ∈ R, λ ∈ R,


allora,

lim f (x) = λ ⇔ ∀ε > 0, ∃δ > 0 | x ∈ I(p, δ), x 6= p ⇒ f (x) ∈ I(λ, ε)


x→p

Tradotto in termini piú aritmetici,



0 < d(x, p) < δ ⇒ d f (x), λ < ε ⇒ |f (x) − λ| < ε

Questa viene spesso chiamata ”definizione epsilon-delta”.


Definizione. (Limite infinito con risultato finito) Se abbiamo, p = +∞, λ ∈ R,
allora,

lim f (x) = λ ⇔ ∀ε > 0, ∃K ∈ R | x > K ⇒ f (x) ∈ I(λ, ε)


x→+∞

Definizione. (Limite finito con risultato infinito) Se abbiamo, p ∈ R, λ = −∞,


allora,

lim f (x) = −∞ ⇔ ∀M ∈ R, ∃δ > 0 | 0 < |x − p| < δ ⇒ f (x) < M


x→p

Teorema. (Unicitá del limite) Sia f : A ⊂ R → R, p ∈ R


e ∩ A.

lim f (x) = λ1 ∈ R
e ∧ lim f (x) = λ2 ∈ R
e ⇒ λ1 = λ2
x→p x→p

In poche parole, un limite se esiste é univocamente determinato.

42
Dimostrazione. Consideriamo il caso di Cauchy, in cui sia lambda che p sono
finiti. Gli altri casi si possono derivare similmente ma questo é il piú semplice. Dati
p ∈ R, λ1 ∈ R, λ2 ∈ R allora,

• ∀ε > 0, ∃δ1 > 0 | 0 < |x − p| < δ1 ⇒ |f (x) − λ1 | < ε

• ∀ε > 0, ∃δ2 > 0 | 0 < |x − p| < δ2 ⇒ |f (x) − λ2 | < ε

δ1 e δ2 identificano due intorni dello stesso punto. Andiamo a concentrare la nostra


attenzione sui punti che appartengono a entrambi, ossia che soddisfano le condizioni
contemporaneamente. Sia δ = min{δ1 , δ2 } > 0. Sia ∈ A tale che 0 < |x − p| < δ.
Andiamo a studiare la distanza tra le due lambda e utilizziamo la disuguaglianza
triangolare,
0 ≤ |λ1 − λ2 | ≤ |λ1 − f (x)| + |f (x) − λ2 |

Proseguiamo la catena di disuguaglianze ricordando che |f (x) − λ1,2 | < ε,

0 ≤ |λ1 − λ2 | ≤ |λ1 − f (x)| + |f (x) − λ2 | < ε + ε = 2ε

Allora abbiamo una quantitá non negativa minore di un numero positivo arbitrario, ma
questo come avevamo giá visto portava ad affermare che l’argomento era pari a zero,

∀ε > 0, |λ1 − λ2 | < 2ε ⇒ |λ1 − λ2 | = 0

Quindi abbiamo necessariamente, λ1 = λ2 . 


Se invece volessimo considerare il caso in cui il risultato del limite λ non sia finito si
puó fare il seguente ragionamento. Dato λ1 = −∞, λ2 = +∞ e p ∈ R, allora,

• ∀M ∈ R, ∃δ1 > 0 | 0 < |x − p| < δ1 ⇒ f (x) < M

• ∀N ∈ R, ∃δ2 > 0 | 0 < |x − p| < δ2 ⇒ f (x) > N

Adesso non vogliamo arrivare a dimostrare che λ1 = λ2 , ma vogliamo trovare una


contraddizione. Concentriamoci sulle due tesi, supposte per vere, e scegliamo un M < 0
e N > 0. Sia δ = min{δ1 , δ2 } e scegliamo un punto x ∈ A tale che 0 < |x − p| < δ.
Pertanto abbiamo, 
f (x) < M < 0
f (x) > N > 0

Questo é peró impossibile, quindi l’abbiamo dimostrato per assurdo. 

43
Proposizione. (Locale limitatezza) Sia g : A ⊆ R → R, p ∈ R
e punto di accu-
mulazione per il dominio A. Supponiamo che,

lim g(x) = µ ∈ R
x→p

Allora esiste un intorno u di p tale che,

x ∈ u ∩ A, x 6= p ⇒ |g(x)| < |µ| + 1

Dimostrazione. Scegliamo ε = 1 nella definizione di limite. Quindi formuliamo la


definizione: esiste un intorno u di p tale che,

x ∈ u ∩ A, x 6= p ⇒ |g(x) − µ| < 1

Utilizzando la disuguaglianza triangolare, troviamo che per tali x, si ha

|g(x)| = |g(x) − µ + µ| ≤ |g(x) − µ| + |µ| < 1 + |µ| 

e ∩ A0 . E valga,
Teorema. (Permanenza del segno) Sia g : A ⊆ R, p ∈ R
 
lim g(x) = µ > 0 eventualmente + ∞
x→p

Allora esiste un intorno w di p tale che se x ∈ A ∩ w, x 6= p, si ha g(x) > 0


Dimostrazione. La dimostrazione ha bisogno di essere divisa in due casi, µ finito e
µ = +∞. Consideriamo µ > 0, µ ∈ R. Scegliamo ε = µ2 > 0 nella definizione di limite.
Pertanto deve esistere un intorno w di p tale che se x ∈ A ∩ w, x 6= p, si ha,

µ
|g(x) − µ| <
2

Questa disuguaglianza equivale a,

µ µ
µ− < g(x) < µ +
2 2

E in particolare, abbiamo che g(x) > µ2 > 0.


Questa dimostrazione si puó anche eseguire con ε = |µ| > 0 in modo che valga anche
per la permanenza del segno negativo.
Resta il caso µ = +∞. Per definizione, per ogni M > 0 esiste un intorno w di p tale

44
che, se x ∈ w ∩ A, x 6= p, si ha g(x) > M > 0 (tautologico). 
Osservazione. Con lo stesso ragionamento si verifica che dall’ipotesi g(x) → µ < 0 per
x → p, deriva g(x) < 0 in un intorno di p. In particolare, per µ ∈ R, esiste un intorno
di p nel quale,
|µ|
|g(x)| > , x 6= p
2

Teorema. (Algebra dei limiti) Siano f, g due funzioni reali definite in A ⊂ R


e ∩ A0 punto di accumulazione. Supponiamo che,
e sia p ∈ R

lim f (x) = λ ∈ R, lim g(x) = µ ∈ R


x→p x→p

Sottolineiamo che questi sono limiti finiti. Allora,



1. limx→p f (x) + g(x) = λ + µ

2. limx→p f (x)g(x) = λ · µ
f (x) λ
3. Se µ 6= 0, limx→p g(x)
= µ

Dimostrazione. Procediamo ordinatamente,


(1) Per ipotesi, preso arbitrariamente ε > 0, esiste un intorno uf di p tale che,

ε
x ∈ uf ∩ A, x 6= p ⇒ |f (x) − λ| <
2

Similmente, esiste un intorno ug di p tale che,

ε
x ∈ ug ∩ A, x 6= p ⇒ |g(x) − µ| <
2

Poniamo u = uf ∩ ug , e sia x ∈ u ∩ A. Allora analizziamo la definizione del limite,

|f (x) + g(x) − (λ + µ)| = |f (x) + g(x) − λ − µ| = |f (x) − λ + g(x) − µ|

Applichiamo la disuguaglianza triangolare,

ε ε
|f (x) − λ + g(x) − µ| ≤ |f (x) − λ| + |g(x) − µ| < + =ε
2 2

E questo dimostra la nostra tesi.

45
(2) Come nel punto (1), dato ε > 0, esistono un intorno uf e un intorno ug di p tali che,

ε
x ∈ uf ∩ A, x 6= p ⇒ |f (x) − λ| <
|µ| + 1

ε
x ∈ ug ∩ A, x 6= p ⇒ |g(x) − µ| < , λ 6= 0
|λ|
Prestiamo attenzione alla ipotesi aggiuntiva λ 6= 0. Abbiamo ancora, u = uf ∩ ug , x ∈
u ∩ A. Allora torniamo a cercare l’espressione di limite del prodotto,

|f (x) · g(x) − λµ| = |f (x) · g(x) − λg(x) + λg(x) − λµ| = |(f (x) − λ)g(x) + λ(g(x) − µ)|

Usando le proprietá dei valori assoluti,

|f (x) · g(x) − λµ| ≤ |f (x) − λ||g(x)| + |λ||g(x) − µ|

É facile concludere la soluzione per il primo termine, ma per il secondo serve effettuare
un passaggio importante. Per la proposizione precedente, esiste un intorno w di p tale
che,
x ∈ w ∩ A, x 6= p ⇒ |g(x)| < |µ| + 1

Se x ∈ u ∩ w ∩ A, x 6= p, allora,

ε ε
≤ |f (x) − λ| · |g(x)| + |λ| · |g(x) − µ| < · (|µ| + 1) + |λ| = 2ε
|µ| + 1 |λ|

Questo risultato l’abbiamo trovato sotto l’ipotesi aggiuntiva λ 6= 0.


Se invece λ = 0, dobbiamo dimostrare che,

lim f (x)g(x) = 0
x→p

Allora partiamo dal valore assoluto di questa quantitá,

ε
|f (x)g(x)| = |f (x)| · |g(x)| < (|µ| + 1) = ε ∀x ∈ uf ∩ w ∩ A, x 6= p
|µ| + 1

Quindi questa quantitá é pari a zero perché ε > 0 é arbitrario.


(3) Per dimostrare questo parte, utilizziamo il teorema della permanenza del segno. Sia

46
µ 6= 0. Analizziamo la definizione di limite,

f (x) λ µf (x) − λg(x) µf (x) − λµ + λµ − λg(x)
g(x) − µ = =

µ · g(x) µ · g(x)

Raccogliendo in maniera opportuna otteniamo,



µ(f (x) − λ) + λ(µ − g(x)) |µ| · |(f (x) − λ)| + |λ| · |(µ − g(x))|

µ · g(x) |µ| · |g(x)|

|µ|
Sia 0 < ε < 2
. Per ipotesi esiste un intorno uf di p tale che,

x ∈ uf ∩ A, x 6= p ⇒ |f (x) − λ| < ε

Analogamente, esiste un intorno ug di p tale che,

x ∈ ug ∩ A, x 6= p ⇒ |g(x) − µ| < ε

Infine esiste un intorno w tale che,

|µ|
x ∈ w ∩ A, x 6= p ⇒ |g(x)| >
2

Prendiamo l’intersezione di tutti questi intorni, u = uf ∩ ug ∩ w. Per ogni x ∈ u, x =


6 p,
abbiamo,
1 2
<
|g(x)| |µ|
Ripartendo dal risultato precedente,

|µ| · |(f (x) − λ)| + |λ| · |(µ − g(x))| 1 2 h i 2 


< · |µ|ε + |λ|ε = 2 |µ| + |λ| · ε
|µ| · |g(x)| |µ| |µ| µ

Per l’arbitrarietá di ε > 0, abbiamo dimostrato che,

f (x) λ
→ per x → p 
g(x) µ

Proposizione. Abbiamo il seguente limite,

sin x
lim =1
x→0 x

47
Dimostrazione. Consideriamo 0 < x < π2 . Essere piú piccolo di π2 non pone una
grande restrizione poiché x tende a 0. L’altra condizione invece é molto restrittiva poiché
nell’intorno sferico di 0 abbiamo sia numeri positivi che negativi. Questa restrizione
sará resa indifferente nel proseguirsi della dimostrazione. Geometricamente,
y

tan x
sin x
x
x

A questo punto andiamo a misurare le aree dei vari triangoli che troviamo nel grafico, e
le confrontiamo con quella del settore circolare x,

x 1 x 1
x : 2π = A : π ⇒ A= , 1 · sin x · < < 1 · tan x ·
2 2 2 2

Quindi possiamo concludere che per 0 < x < π/2,

sin x < x < tan x

Dividendo per sin x e invertendo le disuguaglianze,

x sin x
1< < cos x ⇒ cos x < <1
sin x x

Poiché cos (−x) = cos(x) e sin(−x) = − sin x allora considerando −x al posto di x ci


ritroveremmo con la stessa disuguaglianza. Quindi la stessa coppia di disuguaglianze
vale anche per − π2 < x < 0. Quindi otteniamo che questa disequazione vale per
−π/2 < x < π/2. Segue che,

sin x
0<1− < 1 − cos x
x

dove sappiamo che per le formule di bisezione,

sin x x  x  2 x2
1− = 2 sin2 < 2 =
x 2 2 2

48
  π π
abbiamo usato | sin α| < |α| per α ∈ − ,
2 2
Ricapitolando,
sin x x2  π π
0<1− < ∀x ∈ − ,
x 2 2 2

Sia ε > 0 qualunque, e scegliamo δ = δ(ε) = 2ε. Se 0 < |x − 0| < δ, allora

2

1 − sin x < δ = 2ε = ε 

x 2 2

e ∩ A0 .
Teorema del confronto. Siano f, g due funzioni definite in A ⊆ R, e sia p ∈ R
Se risulta |f (x)| < g(x) per ogni x ∈ A, x 6= p, allora,

lim g(x) = 0 ⇒ lim f (x) = 0


x→p x→p

Dimostrazione. Per ipotesi su g, fissato ε > 0 qualsiasi, esiste un intorno w di p


tale che per ogni x ∈ u ∩ A, x 6= p, si abbia,

g(x) < ε

Allora, sempre per x ∈ u ∩ A, x 6= p, abbiamo,

|f (x) − 0| = |f (x)| ≤ g(x) < ε 

Osservazione. Spesso l’enunciato é proposto nella forma seguente. Dati i dettagli iniziali,
poi abbiamo,

lim h(x) = λ
x→p
h(x) ≤ f (x) ≤ g(x) ∧ ⇒ lim f (x) = λ
lim x→p
x→p g(x) = λ

Possiamo ottenere 0 ≤ f (x) − h(x) ≤ g(x) − h(x), e applicando il limite alle funzioni si
ottiene che,
0 ≤ lim f (x) − λ ≤ 0 ⇒ lim f (x) = λ
x→p x→p

Quindi i due enunciati sono logicamente equivalenti.

Richiami e osservazioni. Sia f : A ⊆ R → R e B ⊂ A. Sia p un punto di ac-


cumulazione per B, allora segue che p ∈ A0 . Chiamiamo f|B la restrizione di f a B,

49
ossia f : B → R.
I limiti sono un concetto estremamente localizzato. Non interessa cosa accade lontano
dal punto p, ma in un suo intorno relativamente vicino. Il limite é un’operazione che
non viene influenzata dall’allargare o diminuire il dominio attorno al punto p. Questo
viene dimostrato dal seguente teorema.

Teorema. (localizzazione dei limiti) Sia f : A ⊆ R → R, e sia p ∈ R un punto di


accumulazione per A. Per ogni r > 0 denotiamo fr la restrizione di f a I(p, r) ∩ A. Si
ha che,
lim f (x) = λ ⇔ lim fr (x) = λ
x→p x→p

Dimostrazione. Supponiamo che f (x) → λ per x → p. Allora abbiamo,

∀ε > 0, ∃δ > 0 : x ∈ A, x 6= p, |x − p| < δ ⇒ |f (x) − λ| < ε

Non é restrittivo in questa definizione supporre δ < r, poiché se questa definizione vale
per un certo δ, allora vale anche per tutti i suoi numeri minori, visto che il loro intervallo
é contenuto in quello di δ. Quindi,

x ∈ A, x 6= p, |x − p| < δ < r ⇒ |f (x) − λ| = |fr (x) − λ| < ε

Viceversa, supponiamo fr (x) → λ per x → p. Per ogni intorno v di λ esiste un intorno


u di p tale che,
∀x ∈ u ∩ I(p, r) ∩ A, x 6= p ⇒ fr (x) ∈ v

Assumiamo che fr (x) = f (x) per queste x. Ma u ∩ I(p, r) é un intorno di p, e dunque


f (x) ∈ v per ogni x ∈ u ∩ I(p, r) ∩ A, c 6= p. Pertanto f (x) → λ per x → p. 

Definizione. (Limite sinistro e destro) Sia f : A ⊆ R → R, p ∈ R (questa


definizione non ha senso per p = ±∞). Poniamo,

A+ = A ∩ (p, +∞), A− = A ∩ (−∞, p)

e supponiamo che p sia di accumulazione per A+ e A− .


Diremo che,
lim+ f (x) = λ
x→p

50
se per ogni intorno v di λ esiste un intorno u di p tale che,

x ∈ u ∩ A+ , x 6= p ⇒ f (x) ∈ v

Similmente,
lim f (x) = λ
x→p−

se per ogni intorno v di λ esiste un intorno u di p tale che,

x ∈ u ∩ A− , x 6= p ⇒ f (x) ∈ v

Teorema. (Esistenza del limite) Sia f : A → R e p punto di accumulazione per A+


e A− . Si ha che,

lim f (x) = λ ⇔ lim f (x) = λ = lim− f (x)


x→p x→p+ x→p

Osservazione. Questo accade solo in due dimensioni, giá in tre abbiamo a disposizione
infiniti percorsi per arrivare al limite.

Proposizione. (Limiti e monotonia) Una funzione monotona non possiede nec-


essariamente limite. Sia A ⊆ R e e sia f : A → R una funzione monotona. Per ogni punto
p ∈ R,
e di accumulazione per il dominio A, i limiti destro e sinistro di f (x) per x → c
esistono in R
e (finiti o infiniti). Supponendo f crescente si ha:

1. Se p é di accumulazine per A− = A ∩ (−∞, p), allora,

lim− f (x) = sup f (x) | x ∈ A−



x→p

2. Se p é di accumulazione per A+ = A ∩ (p, +∞), allora,

lim+ f (x) = inf f (x) | x ∈ A+



x→p

Se f é decrescente é sufficiente scambiare inf e sup in (1) e (2).


Osservazione. Una funzione monotona non possiede necessariamente limite.
Dimostrazione. Mostriamo la validitá di (2), il resto si dimostra in modo analogo.
Sia l = inf{f (x) | x ∈ A+ }. Abbiamo due casi:

• l ∈ R. Prendiamo un intorno I(l, ε) di l, con raggio ε > 0 arbitrario. Poiché ε > 0,

51
si ha l < l + ε. Per definizione di l come estremo inferiore, esiste xε ∈ A+ tale che,

f (xε ) < l + ε

Essendo f cresecente, ∀x < xε , x ∈ A, implica,

f (x) ≤ f (xε ) < l + ε

Abbiamo cosı́ verificato che per ogni punto x ∈ A con p < x < xε , si ha,

l ≤ f (x) < l + ε

Per l’arbitrarietà di ε, abbiamo dimostrato che f (x) → l per x → p+ .

• l = −∞, per le condizioni poste non ha senso considerare l = +∞. Fissiamo


M ∈ R qualsiasi e analizziamo il significato di l,

l = −∞ = inf f (x) | x ∈ A+ ∃xM ∈ A+ | f (xM ) < M




Per la monotonia, per ogni punto x ∈ A, x < xM , abbiamo,

f (x) ≤ f (xM ) < M

Poiché M é arbitrario, concludiamo che,

lim f (x) = −∞ 
x→p+

Teorema. (Cambiamento di variabile nei limiti) Siano D ed E sottoinsiemi di R, e


e siano c, p ∈ R,
e punti di accumulazione per D e E rispettivamente. Siano f : D → R e
φ : E → R biunivoca e tale che,

lim φ(t) = c, lim φ− 1(x) = p


t→p x→c

Allora,
∃ lim φ−1 (x) = p

⇔ ∃ lim f φ(t)
x→c t→p

Ossia esiste un limite se e solo se esiste anche l’altro. Se esistono allora i due limiti
coincidono (finiti o infiniti).

52
Dimostrazione. Abbiamo due versi da dimostrare.

(1) Supponiamo che esista il limite l di f (x) per x → c. Sia V un intorno di l in R,


e
per ipotesi deve esistere un intorno U di c in R,
e tale che,

  
f U ∩ D \ {c} ⊂ V x ∈ U, x 6= c ⇒ f (x) ∈ V

Poiché φ é iniettiva, esiste un solo punto a ∈ E tale che φ(a) = c. Per le ipotesi sui
limiti di φ e φ−1 , esiste un intorno W di P in R
e tale che,


φ W ∩ E \ {p} ⊆ U

Se a = p non ci sono difficoltà; se a 6= p, posso ridurre l’intorno W in modo tale che


a 6∈ W . In ogni caso,
  
φ W ∩ E \ {p} ⊆ U \ {c} ⇒ f ◦ φ W ∩ E \ {p} ⊂ f U \ {c} ⊂ V

Ma questo significa che,



lim f φ(t) = l
t→p

(2) Per dimostrare l’implicazione inversa é sufficiente considerare le funzioni f ◦ φ e φ−1 .


Per quanto appena dimostrato, da f ◦ φ(t) → l per t → p, segue che f ◦ φ ◦ φ−1 → l per
x → c. Ma una funzione composta a se stessa é l’identitá, quindi,

lim f ◦ φ ◦ φ−1 = l ⇒ lim f (x) = l 


x→c x→c

53
N.B. Da questo teorema é quindi possibile effettuare il cambiamento di variabile nei
limiti, seguendo la restrizioni imposte. In particolare é importante che la mappa di
cambiamento di variabile φ sia biunivoca.

3.4 Forme indeterminate dei limiti


   
±∞ 0
[+∞ − ∞], [0 · (±∞)], ,
±∞ 0

3.5 Limiti fondamentali


• Dalla definizione del numero di Nepero, e, si puó trovare,

ex − 1
lim =1
x→0 x

ax − 1
Piú in generale, se a > 0, si ha, lim = ln a
x→0 x
ln(1 + x)
• lim =1
x→0 x

• Per ogni α > 0 fissato,


(1 + h)α − 1
lim =α
h→0 h
sin x
• Dal teorema del confronto, lim =1
x→0 x

Osservazione. I primi due limiti sono equivalenti. L’idea é quella di ”cambiare variabile”.
Ponendo,

ex − 1 t
ex − 1 = t ⇔ x = ln(1 + t) ⇒ ⇔
x ln(t + 1)

Studiamo ora cosa succede a t per x → 0.

lim ex − 1 = 0 ⇒ t→0
x→0

ex −1 t
Quindi, se x
→ 1 per x → 0, allora anche ln(t+1)
→ 1 per t → 0, e viceversa.

54
4 Teoria dalle esercitazioni
Proposizione. Per ogni a, b, c ∈ R se a ≤ b e s ≥ 0, allora,

as ≤ bs

Questa proposizione é simile all’assioma che avevamo dovuto creare per la somma nel
definire i numeri reali, si preoccupa che si mantenga la disequazione ingrandendo i
termini.
Dimostrazione. Ricordiamo PO, ossia il prodotto ordinamento, uno degli assiomi.

∀a, b ∈ R, se a, b ≥ 0 ⇒ ab ≥ 0

Ricordando anche SO, ossia somma ordinamento,

∀a, b, c ∈ R se a ≤ b ⇒ a+c≤b+c

Partiamo dalla prima condizione e applichiamo SO,

a≤b ⇒ a−a≤b−a ⇒ b−a≥0

Ricordando che s ≥ 0 possiamo utilizzare PO,

(b − a)s ≥ 0 ⇒ bs − as ≥ 0 ⇒ bs − as + as ≥ 0 + as ⇒ as ≤ bs 

Proposizione. Sia q ∈ R \ {1}, allora ∀n ∈ N risulta,


n
X
k 1 − q n+1
q =
k=0
1−q

Questa viene definita una progressione geometrica.


Dimostrazione. La dimostrazione prosegue per induzione 

Proposizione.

(i) ∀k ∈ N∗ (= N \ {0}) | k! ≥ 2k−1

55
n o
1 n ∗

(ii) posto e := sup 1+ n
| n ∈ N , risulta che,

e≤3

Ricordiamo che il simbolo ” := ” significa ”per definizione”.


Dimostrazione.

1. La dimostrazione prosegue per induzione.

2. Poiché é facilmente verificabile che il nostro insieme non é vuoto, dobbiamo andare
a vedere se questo é superiormente limitato e se il suo limite superiore rispecchia
la nostra definizione. Se troviamo che 3 é un maggiorante dell’insieme, allora la
proposizione é verificata, poiché e é il minimo dei maggioranti, di conseguenza,
e ≤ 3. Quindi  n
∗ 1
∀n ∈ N | 1 + ≤3
n
Utilizzando la formula di newton,
 n X n    k X n  
1 n n−k 1 n 1
1+ = ·1 · = · k
n k=0
k n k=0
k n

Espandendo il binomio,

k fattori
n n
z }| {
X n! 1 X n(n − 1)(n − 2) · · · (n − k + 1) 1
· k = ·
k=0
k!(n − k)! n k=0
k! nk

Ricordiamo che k! ≥ 2k−1 , ∀k ≥ 1 dalla dimostrazione precedente. Questo significa


che dobbiamo scomporre la sommatoria in modo da trovarci con un intervallo tra
1 e k. Inoltre ricordiamo una proprietá delle disequazioni, che una volta presi gli
inversi di entrambi i membri, si cambia la direzione della disuguaglianza.
n n
X n(n − 1)(n − 2) · · · (n − k + 1) 1 X n(n − 1)(n − 2)...(n − k + 1) 1
k
· +1 ≤ k
· k−1 +1
k=1
n k! k=1
n 2

Considerando che nk é costituito anche esso da k fattori, possiamo dividere per n

56
ogni membro del numeratore, ottenendo,

≤1 ≤1
n z }| { z }| {
X n n−1 n−2 n−k+1 1
· · ··· · k−1 + 1
k=1
n
|{z} n n }
| {z n 2
=1 ≤1

Ogni fattore é un numero minore di 1 quindi possiamo considerare che il prodotto


tra soli numeri 1 é maggiore del prodotto precedente,
n n  k
X 1 X 1
≤1+ = 1 + 2
k=1
2k−1 k=1
2

Per utilizzare la formula della progressione geometrica che abbiamo dimostrato


prima, bisgna mettere a posto il termine di partenza della sommatoria,

n  k  0 ! n+1 !
X 1 1 1 − 21
=1+2 − =1+2· 1 −1
k=0
2 2 1− 2

Semplificando i calcoli,

≤1
z }| {
1 n+1
 !  n+1 !
1− 2 1
1−2+2· 1 =4· 1− −1 ≤ 3
2
2
| {z }
≤4

E quindi la nostra ipotesi é verificata. 

Proposizione. Sia A ⊂ R limitato dall’alto. L’unico numero reale L = sup A é


caratterizzato dalle proprietà:

(i) Per ogni a ∈ A si ha a ≤ L;

(ii) Per ogni λ < L esiste un a ∈ A tale che λ < a (o ∀ε > 0, ∃a ∈ A | L − ε < a).

(ii’) ∀ε > 0 piccolo a piacere, ∃a ∈ A | a > L − ε.


Piccolo a piacere significa che ε < ε0 con ε0 fissato ad arbitrio.

57
Proposizione. Gli irrazionali sono densi in R:

∀a, b ∈ R se a < b, ∃α ∈ R \ Q | a < α < b

Dimostrazione. Consideriamo la dimostrazione per cui i numeri razionali sono


densi in R e stabiliamo un numero r ∈ Q tale che r sia compreso tra a e b. Consideriamo

anche l’unico numero che abbiamo la certezza sia irrazionale, 2 e prendiamo quindi un

α = r + n2 6∈ Q con n ∈ N arbitrariamente alto. Questo numero é irrazionale poiché

se ponessimo per assurdo non lo fosse allora, 2 = (α − r)n. La differenza tra due
razionali moltiplicata per un razionale, é sempre un razionale poiché Q é un campo, ma

2 non é razionale e quindi la tesi é assurda.
Noi sappiamo che, √
2
α=r+ >r>a
n
Prendendo n tale che,
√ √ √
2 2 n 1 2
r+ <b ⇒ <b−r ⇒ √ > ⇒ n>
n n 2 (b − r) (b − r)

Ció é possibile grazie alla proprietà archimedea e allora,



2
a<r+ <b ⇒ a<α<b 
n

Proposizione. Siano f : domf ⊆ R → R e g : imf ⊆ R → R monotone. Allora g ◦ f é


monotona, con monotonia crescente se entrambe le funzioni sono concordi, e decrescenti
se discordi.

Proposizione. La somma di funzioni con la stessa monotonia (tutte definite sullo


stesso dominio) ha ancora la stessa monotonia, stretta se almeno una delle funzioni
addende é monotona strettamente.
Dimostrazione. La dimostrazione si esegue considerando la definizione di funzione
monotona. Consideriamo delle funzioni monotone crescenti,

∀x1 < x2 f1 (x1 ) ≤ f1 (x2 ), ..., fn (x1 ) ≤ fn (x2 ) ⇒


⇒ f1 (x1 ) + ... + fn (x1 ) ≤ f1 (x2 ) + ... + fn (x2 )

Il caso per le funzioni decrescenti é analogo. 

58
5 Successioni
Definizione. Sia A un insieme. Una successione a valori in A é una funzione che ad
ogni numero naturale associa un elemento di A.
É consuetudine utilizzare una notazione ”non standard” per le successioni. Invece di
indicarle come a : N → A, n 7→ a(n), si usa {an }n , o (an )n , o < an >n , ecc.
L’indice della successione é una variabile muta, ossia {an } = {ak }k = {ai }i = · · ·
É solito usare come indici n, m, i, j, k.
Quando A = R parleremo di successioni (a valori) reali o anche per antonomasia, di
successioni.
Osservazione. In base alle definizioni della retta reale estesa, R, e +∞ é un punto di
accumulazione per N. Ció significa che per ogni numero reale M > 0 esiste un intero
n ∈ N tale che N > M .
Caso particolare della definizione di limite che abbiamo proposto é il seguente.

Definizione. (Limite per una successione) Sia {an }n una successione reale. Di-
remo,
lim = L ∈ R
n→+∞

se, per ogni ε > 0, esiste νε ∈ N tale che,

n > νε ⇒ |an − L| < ε

Similmente abbiamo,
lim = +∞
n→+∞

se per ogni M > 0 esiste νε ∈ N tale che,

n > nε ⇒ an > M

Per −∞, abbiamo rispettivamente an < −M .

Definizione. (Parte intera e frazionaria) Indichiamo con [a] la parte intera del
numero a, ossia il piú grande numero naturale minore o uguale ad a. Mentre indichiamo
con {a} la parte frazionaria di a (funzione mantissa).

59
Definizione. (Progressione geometrica) Sia α ∈ R, consideriamo la successione,

an = α n

Il risultato di questa successione dipende dal valore della costante α. Analizziamo la


situazione caso per caso.
1
• 0 < α < 1. Poniamo α = , con h > 0. Utilizzando la disuguaglianza di
h+1
Bernoulli otteniamo,

1 1 1
0 < αn = n
< <
(h + 1) 1 + nh nh

Possiamo fare questa osservazione,

1
lim =0 ⇒ lim αn = 0
n→+∞ nh n→+∞

• −1 < α < 0. Questo caso é analogo al precedente, infatti se consideriamo la


definizione del limite, |αn | = |α|n , allora abbiamo 0 < |α| < 1, che corrisponde
alla stessa situazione di prima. Quindi la potenza converge sempre a zero,

lim αn = 0
n→+∞

• α = 0. Costante per ogni n, an = 0n = 0 ∀n ∈ N

• α = 1. Costante per ogni n, an = 1n = 1 ∀n ∈ N

• α > 1. Scriviamo α = 1 + h, con h > 0. Per la disuguaglianza di Bernoulli


abbiamo,
αn = (1 + h)n > 1 + nh

Per n → +∞ abbiamo 1 + nh → +∞, quindi abbiamo che αn é maggiore di una


quantità che tende a +infinito per n → +∞,

lim αn = +∞
n→+∞

• α = −1. a = (−1)n = {−1, 1, −1, 1...}. Questa successione non puó avere nessun
limite poiché é costate sui pari e vale 1, ma é anche costante sui dispari, per
-1. Per avere un limite dovremmo avere che an dovrebbe essere simultaneamente

60
arbitrariamente vicino sia a +1 che a -1, per un n arbitrariamente grande. Ma ció
é impossibile. Una successione che oscilla non ha limite.

• α < −1. an é alternativamente positivo e negativo, ma |an | = |α|n → +∞ poiché


riconducibile al caso per cui |α| > 1. Abbiamo comunque che questa quantitá non
puó convergere o divergere e quindi concludiamo che {an }n non ha limite.

Concludiamo ricapitolando velocemente,





 0 se − 1 < α < 1



1 se α = 1
lim an =
n→+∞ +∞

 se α > 1


se α ≤ −1

non esiste

Osservazione. Viene sempre utile applicare il teorema di Bernoulli alle successioni per
ottenere limiti piú facili da calcolare. Un esempio é il processo per cui si arriva a dire,


lim n
p=1 ∀p > 0
n→+∞

Teorema. Siano {an }n , {bn }n , {cn }n successioni reali.

• Il limite di {an }n , se esiste, é unico.

• Se an → l ∈ R e bn → m ∈ R per n → +∞, allora,

an l
an + bn → l + m, an · bn → lm, → (se m 6= 0)
bn m

• Se an ≤ bn ≤ cn per ogni n ∈ N e se an → l, cn → l per n → +∞, allora bn → l


per n → +∞.

Proposizione. Ogni successione convergente a un limite finito é limitata. {an }n é



detta limitata se esiste M > 0 tale che |an | ≤ M per ogni n ∈ N .
Dimostrazione. Supponiamo che lim an = L ∈ R. Prendiamo ε = 1 nella
n→+∞
definizione di limite. Pertanto,

∃ν1 ∈ N |an − L| < 1 ∀n > ν1

61
Definiamo M = |a1 | + |a2 | + ... + |aν1 | + |L| + 1 e mostriamo che é un maggiorante per i
termini della nostra successione. Se n ≤ ν1 allora |an | < M per costruzione. Se n > ν1 ,
allora utilizziamo la disuguaglianza triangolare e la definizione di limite,

|an | ≤ |an − L| + |L| < 1 + |L| ≤ M

Questi due casi esauriscono tutti gli indici possibili, allora |an | < M , quindi concludiamo
che M é un maggiorante per la successione an . 

Definizione. (Crescente e decrescente) Una successione {an }n é detta,

• (monotona) crescente se: an ≤ an+1 ∀n ∈ N

• (monotona) decrescente se: an ≥ an+1 ∀n ∈ N

Proposizione. Se {an }n é crescente, allora,

lim an = sup{an | n ∈ N}
n→+∞

Se é decresente, allora
lim an = inf{an | n ∈ N}
n→+∞

Dimostrazione. Occupiamoci del caso crescente, l’altro segue facilmente con-


siderando {−an }n . Supponiamo che L = sup{an | n ∈ N} ∈ R. Per ogni ε > 0 e ogni
n ∈ N si ha,
an ≤ L < L + ε

Poiché L − ε non é un maggiorante per i valori della successione, esiste νε ∈ N tale che,

aν ε > L − ε

Per ogni n > νε la monotonia delle successione implica an > aνε , sicché L − ε < aνε ≤
an ≤ L < L + ε. Deduciamo che

L = lim an
x→+∞

Resta il caso L = +∞. Per definizione, ció significa che la nostra successione non
é limitata dall’alto: per ogni M ∈ R esiste un indice νM tale che aνM > M . Ora,

62
qualunque sia n > νM , per la monotonia della successione abbiamo che,

an ≥ aνM > M

Concludiamo che,
lim an = +∞ 
n→+∞

Definizione. (Numero di nepero) Consideriamo la successione reale,


 n
1
Tn = 1 + , n≥1
n

Osserviamo che {Tn }n é crescente. Infatti, per la formula del binomio di N ewton,
n   n   
X n 1 X n+1 k 1
Tn = k
= 1−
k=0
k n k=0
k n + 1 nk

Usando la disuguaglianza di Bernoulli,


 k  k
k 1 n
1− ≤ 1− =
n+1 n+1 n+1

Quindi,
n   k
X n+1 n 1
Tn ≤
k=0
k n+1 nk
n   n+1  
X n+1 1 X n+1 1
= k
< = Tn+1
k=0
k (n + 1) k=0
k (n + 1)k

La successione {Tn }n é limitata dall’alto. Infatti, usando ancora lo sviluppo binomiale,

1 1 1
Tn ≤ 2 + + + ··· +
2! 3! n!
1 1 1
Poiché, n! ≥ 2n−1
 
≤ 2 + + 2 + · · · + n−1
2 2 2 
1 1 1 1
=2+ 1 + + 2 + · · · + n−2
2 2 2 2
n−2 n
1 1 − (1/2)n−1
 
1X 1 1
=2+ =2+ · = 2 + 1 − n−1 < 3
2 k=0 2 2 1 − (1/2) 2

63
Per la proposizione precedente, esiste finito il limite,

lim Tn = e
n→+∞

Numericamente, si trova che e ' 2, 718281... Vedremo piú avanti un’ulteriore caratteriz-
zazione del numero di Nepero e.

Definizione. (potenze ad esponente reale) Siano A > 1 e α ∈ R. Poniamo

Aα = lim Arn
n→+∞

Dove {rn }n é una qualunque successione di numeri naturali che converge ad α.


Dimostrazione. Sia A > 0 un numero reale assegnato. Il nostro obiettivo é
definire rigorosamente il simbolo di potenza Aα , dove α ∈ R é un’esponente qualsiasi.
Utilizziamo il linguaggio delle successioni per definire Aα .
Osservazione. Se 0 < A < 1, allora poniamo Aα = (A−1 )−α . Quindi é sufficiente
considerare il caso A > 1.
Utilizzando l’operazione di estrazione delle radici, per α = m/n ∈ Q possiamo definire,
 1
m
α
A = A n

Pertanto sappiamo calcolare le potenze con Ar con esponente razione r. Si verifica che
valgono le due proprietá,

(p1) Ar > 0, Ar > 1 (Poiché A > 1)

(p2) Ar+s = Ar As , r, s ∈ Q

In particolare,
r<s ⇒ Ar < As ∀r, s ∈ Q

Mostriamo che: per ogni successione a valori razionali {an }n ,

an → 0 ⇒ Aan → 1

Infatti ricordiamo che,


1
lim A n = 1
n→+∞

64
Per ogni ε > 0 esiste un intero N tale che,

1
|A N − 1| < ε

Poiché an → 0, esiste un intero ν tale che,

1
n>ν ⇒ |an | <
N

Quindi,
1
|Aan − 1| ≤ A|an | − 1 ≤ A N − 1 < ε

Poiché l’insieme dei numeri razionali é denso in R, noi sappiamo che ogni numero
reale puó essere approssimato mediante una successione monotona crescente di numeri
razionali. (Ogni numero reale é punto di accumulazione per numeri in Q, o ogni numero
reale ha numerabili cifre decimali)
Sia {rn }n una successione crescente di numeri razionali convergente ad α. Anche {An }n
é crescente, ed é limitata dall’alto (se n é un intero maggiore di α, si ha Arn ≤ An ).
Sappiamo che esiste finito il limite,

lim
α
=L
A

Mostriamo adesso che L non dipende dalla scelta della successione {rn }n .
Sia {sn }n una successione di numeri razionali tale che sn → α. Si ha,

Asn − Arn = (Asn −rn − 1)Arn

Poiché sn − rn → α − α = 0, abbiamo visto prima che Asn −rn → 1. Inoltre {An }n é


limitata, e concludiamo che,

lim Asn − Arn = lim (Asn −rn )Arn = 0


n→+∞ n→+∞

Quindi,
lim Asn = L = lim Arn 
n→+∞ n→+∞

5.1 Limiti di funzioni e limiti di successioni


Creiamo un ponte tra i limiti di funzione a variabile reale e successioni.
Teorema ponte. Sia f : A ⊂ R → R e p ∈ R e un punto di accumulazione di A. Si ha

65
che,
lim f (x) = L
x→p

se e solo se, per ogni successione {xn }n a valori in A \ {p} e convergente a p, risulta,

∀{xn }n lim {xn }n = p ⇒ lim f (xn ) = L
n→+∞ n→+∞

Dimostrazione. Consideriamo la definizione solo nel caso L sia finito. Supponiamo


che lim f (x) = L, e sia {xn }n una successione a valori in A \ {p} convergente a p.
x→p
Sia ε > 0, e sia u un intorno di p tale che,

|f (x) − L| < ε ∀x ∈ u \ {p}

Poiché xn → p, esiste un intero ν tale che per ogni n > ν, xn ∈ u. Inoltre, per ipotesi,
xn 6= p. Quindi, per ogni n > ν, si ha,

|f (xn ) − L| < ε ⇒ lim f (xn ) = L


n→+∞

Viceversa, supponiamo che la relazione lim f (x) = L sia falsa. Ció significa che,
x→p

∃ε > 0 : per ogni intorno u di p, ∃x ∈ u, x 6= p con |f (x) − L| ≥ ε

Scegliamo, 


 I(p, n1 ) se p ∈ R

u = (n , +∞) se p = +∞


(−∞, −n)

se p = −∞
Attribuendo ad n i valori 1, 2, 3, ....
Cosı́ facendo, deduciamo l’esistenza di punti xn 6= p, xn ∈ I(p, n1 ), oppure xn > n,
oppure xn < −n, per ogni n ∈ N. Quindi,

xn → p se p ∈ R
xn → +∞ se p = +∞
xn → −∞ se p = −∞

In ogni caso,
|f (xn ) − L| ≥ ε > 0

66
e dunque f (xn ) non converge a L. 

Vogliamo introdurre uno strumento per analizzare piú nel dettaglio le successioni
che non convergono. Cominciamo a sbarazzarci dei casi piú facili.

Definizione. (Successioni non limitate) Sia {an }n una successione di numeri reali.
Se essa non é limitata dall’alto, poniamo,

lim sup an = +∞
n→+∞

Similmente, se la successione non é limitata dal basso, poniamo,

lim inf an = −∞
n→+∞

Veniamo ora al caso, piú delicato, delle successioni limitate. Infatti queste non sempre
convergono.
Definizione. (Maggiorante e minorante definitivi) Si dice che un numero reale
M é maggiorante definitivo per {an }n se esiste un intero ν tale che an ≤ M per ogni
n > ν.
Si dice che un numero reale N é un minorante definitivo per {an }n se esiste un intero ν
tale che an ≥ N per ogni n > ν.

Definizione. (Limite superiore e inferiore) Definiamo il limite superiore di {an }n ,


l’estremo inferiore dell’insieme M dei maggioranti definitivi per {an }n ,

lim sup an = inf M


n→+∞

Analogamente, il limite inferiore é l’estremo superiore dell’insieme N dei minoranti


definitivi per {an }n ,
lim inf an = sup N
n→+∞

Teorema. Una successione {an }n ha limite L ∈ R


e se e solo se,


lim inf an = lim sup an = L sup N = inf M
n→+∞ n→+∞

67
Osservazione. Si nota quindi che le uniche successioni che non hanno limite (o limite
indeterminato) sono quindi quelle oscillanti.
Dimostrazione. Il caso L = ±∞ é immediato per definizione, poiché se la succes-
sione diverge allora sia sup N , che inf M, tendono allo stesso infinito.
Consideriamo L ∈ R. Sia L = lim an . Per ogni ε > 0 esiste un intero ν tale che, per
n→+∞
ogni n > ν,
L − ε < an < L + ε

Quindi L + ε é un maggiorante definitivo, e L − ε é un minorante definitivo. Per


definizione,
L − ε ≤ lim inf an ≤ lim sup an ≤ L + ε
n→+∞ n→+∞

Ne segue che,
0 ≤ lim inf an − lim sup an ≤ 2ε
n→+∞ n→+∞

Si conclude che per l’arbitrarietà di ε > 0, che i due limiti devono coincidere. infatti,

0 = lim inf an − lim sup an ⇒ lim inf an = lim sup an


n→+∞ n→+∞ n→+∞ n→+∞

Viceversa, fissiamo ε > 0 e ricordiamo le definizione dei limiti inferiori e superiori .


Poiché L + ε > L é un maggiorante definitivo, esiste un intero ν1 tale che,

an ≤ L + ε ∀n > ν1

Similmente, poiché L − ε é un minorante definitivo, esiste un intero ν2 tale che,

an ≥ L − ε ∀n > ν

Se si prende ν = max{ν1 , ν2 }, per ogni n > ν, si ha,

L − ε < an < L + ε

Abbiamo trovato la definizione di limite, e dunque an → L per n → +∞. 

Proposizione. Se {an }n é una successione reale limitata, risulta,

lim sup an = inf sup ak


n→+∞ n∈N k≥n

68
lim inf an = sup inf ak
n→+∞ n∈N k≥n

Dimostrazione. Partiamo dalla seconda uguaglianza, la seconda si trova analoga-


mente. Il numero λn = inf ak é minorante definitivo: infatti λn ≤ ak per ogni k ≥ n.
k≤n
Dunque,
λn ≤ lim inf an
n→+∞

Occorre dimostrare la disuguaglianza opposta. Poiché la nostra successione é limitata,


consideriamo un generico minorante definitivo l: esisterà un intero n0 tale che,

ak ≥ l ∀k ≥ n0 ⇒ l ≤ inf ak = λn0 ≥ sup n ∈ Nλn


k≥n0

Poiché questo vale per qualunque minorante definitivo l, abbiamo dimostrato che,

lim inf an ≤ sup λn 


n→+∞ n∈N

5.2 Successioni e topologia


Teorema. Sia A ⊆ R. Un punto p ∈ R appartiene alla chiusura di A se e solo se esiste
una successione {xn }n a valori in A tale che xn → p.
Dimostrazione. (⇐) Poiché Ā é chiuso, il suo complementare R/Ā é aperto. Se
p ∈ R/Ā, esiste un intorno u di p nel quale non cadono punti di Ā e conseguentemente,
nemmeno di A. Quindi p non puó essere il limite di una successione di punti di A (se lo
fosse, ogni intorno di p conterrebbe infiniti punti di A). In conclusione, se esiste una
successione {xn }n di punti di A con xn → p, allora questo punto deve appartenere alla
chiusura, p ∈ Ā.
(⇒) Viceversa, supponiamo che p ∈ Ā = A ∪ A0 , e dimostriamo l’esistenza di una
successione {xn }n di punti di A tale che xn → p. Abbiamo due casi,

• Se p ∈ A possiamo considerare la successione costante {p}n .

• Supponiamo invece p ∈ A0 , cioé p punto di accumulazione per A. Per ogni valore


di n = 1, 2, 3, ... sappiamo che l’intorno I(p, n1 ) contiene un punto xn ∈ A, xn 6= p.
Quindi,
1
|xn − p| < lim → 0 ⇒ xn → p 
n→+∞ n

69
Definizione. (Sottosuccessione) Siano {an }n e {bn }n due successioni. Diciamo che
{bn }n é una sottosuccessione di {an }n , se esiste una successione strettamente crescente
di numeri naturali {kn }n tale che,

∀n ∈ N : bn = akn

Osservazione. L’idea di sottosuccessione é piú semplice della definizione formale. Par-


tendo da {an }n selezioniamo infiniti indici k1 < k2 < ... e ”estraiamo” ak1 , ak2 , ...

Teorema. Se la successione {an }n ha limite L, allora ogni sottosuccessione ha limite L.


Dimostrazione. Dimostriamo l’enunciato per L ∈ R. Per ipotesi, dato ε > 0,
esiste un intero νε tale che an ∈ I(L, ε) per ogni n > νε . Sia {bn }n = {akn }n una
sottosuccessione di {an }n . Osserviamo che kn ≥ n per ogni n ∈ N, dal momento che
k1 < k2 < k3 < ... e ogni kn é un numero naturale.
Se n > νε , anche kn > νε , e dunque,

akn = bn ∈ I(L, ε)

Poiché ε > 0 é arbitrario,


lim akn = L
n→+∞

Se L ∈ {−∞, +∞} invece, 


Proposizione. Da ogni successione {an }n é possibile estrarre una sottosuccessione
{bn }n tale che,
lim bn = lim sup an
n→+∞ n→+∞

Vale un enunciato analogo anche per il limite inferiore di {an }n .


Dimostrazione. Se {an }n non é limitata, la conclusione é banale, basta prendere
termini arbitrariamente grandi per la sottosuccessione. Concentriamo sul caso in cui
{an }n sia limitata. Sia L = lim sup an . Dato ε > 0, esistono infiniti indici n tali che,
n→+∞

L − ε < an < L + ε

70
Costruiamo la nostra sottosuccessione attribuendo valori discreti a ε arbitrario,

ε=1 ⇒ k1 ∈ N L − 1 < ak1 < L + 1
1 1 1
ε= ⇒ k2 > k1 L − < ak2 < L +
2 2 2
1 1 1
ε= ⇒ k3 > k2 L − < ak3 < L +
3 3 3
..
.
1 1 1
ε= ⇒ kn > kn−1 L − < akn < L +
n n n

Allora, per n → +∞, akn → L. 

Esempio. Definiamo il numero di Nepero.


 x
1
e = lim 1+
x→+∞ x

Conosciamo giá la definizione di e come limite di successione. Ora che abbiamo dato
significato alle potenze con esponente qualunque, calcoliamo questo limite notevole di
funzione. Ogni x ≥ 1 puó essere compresa tra due naturali consecutivi,

n≤x<n+1

In effetti n = [x] é la parte intera di x. Quindi,

1 1 1
1+ <1+ ≤1+
n+1 x n

Per le proprietá delle potenze (monotonia rispetto alla base),


 n  n  x  x  n+1
1 1 1 1 1
1+ < 1+ ≤ 1+ ≤ 1+ < 1+
n+1 x x n n

Utilizzeremo la prima e l’ultima espressione come elementi per il teorema del confronto.
Sappiamo che,
 n  n+1  −1
1 1 1 e
lim 1 + = lim 1 + · 1+ = =e
n→+∞ n+1 n→+∞ n+1 n+1 1

71
Similmente,  n+1
1
lim 1+ =e
n→+∞ n
Poiché n ≤ x < n + 1, si ha n → +∞ se e solo se x → +∞, e per confronto,
 x
1
lim 1 + =e
x→+∞ x

Teorema. (Heine-Borel) Siano {an }n una successione, e a ∈ R. Se da ogni sottosuc-


cessione di {an }n si puó trovare una sottosuccessione convergente ad a, allora,

a = lim an
n→+∞

Dimostrazione. Sia L = lim sup an , e sia {bn }n una sottosuccessione di {an }n


n→+∞
convergente a L. Per ipotesi, da {bn }n possiamo estrarre una sottosuccessione con-
vergente ad a, e per unicità del limite risulta a = L. Analogamente si dimostra che
a = lim inf an . Ma allora,
n→+∞

a = lim inf an = lim sup an


n→+∞ n→+∞

e quindi concludiamo,
a = lim an 
n→+∞

Possiamo ora dimostrare un risultato fondamentale.


Teorema. (Weierstrass) Da ogni successione limitata é possibile estrarre una sotto-
successione convergente.
Dimostrazione. É sufficiente prendere una sottosuccessione che converge al limite
superiore. 

Definiamo ora una particolare classe di insiemi.


Definizione. (Insieme compatto per successioni) Un insieme K ⊂ R é compatto
per successioni (o anche sequenzialmente compatto) se da ogni successione a valori in K
é possibile estrarre una sottosuccessione convergente ad un punto di K.
Osservazione. In topologia, si definisce la classe degli insiemi compatti, che in generale
non coincidono con gli insiemi compatti per successioni.

72
Grazie al teorema di Weierstrass, possiamo caratterizzare gli insiemi compatti per
successioni.
Teorema. Sono sequenzialmente compatti in R tutti e soli i sottoinsiemi chiusi e
limitati.
Dimostrazione. (⇒) Se K é chiuso e limitato, e se {xn }n é una successione a
valori in K, per il teorema di Weierstrass esiste una sottosuccessione convergente. Il
suo limite deve essere finito poiché K é limitato. Inoltre il limite deve appartenere a K,
poiché K é chiuso e quindi contiene tutti i suoi punti di accumulazione.
(⇐) Viceversa, supponiamo che K sia sequenzialmente compatto. Dimostriamo che K é
limitato. Per assurdo, se K non fosse limitato, ad esempio se sup K = +∞, esisterebbe
una successione a valori in K divergente a +∞. Infatti potremmo scegliere, per ogni
n ∈ N, un punto xn ∈ K tale che xn > n: evidentemente lim xn = +∞. Pertanto K
n→+∞
é un insieme limitato.
Dimostriamo infine che K é un insieme chiuso. Sia x0 ∈ K : per un teorema giá
dimostrato, esiste una successione {xn }n a valori in K che converge a x0 . D’altra
parte K é sequenzialmente compatto: possiamo estrarre da {xn }n una sottosuccessione
convergente, e un punto x1 ∈ K. Per l’unicitá del limite, x1 = x0 , e quindi x0 ∈ K.
Questo ragionamento mostra che K ⊆ K, e dunque K é chiuso. 
Osservazione. Il concetto di compattezza ha un ruolo importante in Analisi matem-
atica. La incontreremo in tutti i successivi corsi.

5.3 Successioni di Cauchy


La definizione di limite per le successioni (ma anche per le funzioni) ha una debolezza:
richiede che si conosca il valore del limite. Ma é possibile garantire che una successione
abbia limite senza calcolarne il valore?

Definizione. (Successione di Cauchy) Diremo che una successione {an }n é una


successione di Cauchy se per ogni ε > 0, esiste νε ∈ N tale che,

n > νε ∧ m > νε ⇒ |an − am | < ε

Geometricamente, la distanza tra i valori di indici n, m vale meno di epsilon. Sotto-


lineiamo che in questa scrittura gli indici non sono in relazione. In modo sorprendente,
queste proprietà equivale all’esistenza del limite finito, anche se non ne contiene il valore.

73
Teorema. (Criterio di convergenza di Cauchy) Una successione {an }n a valori
reali converge ad un limite finito se e solo se é una successione di Cauchy.
Dimostrazione. (⇒) Supponiamo che lim an = L ∈ R. Dato ε > 0, esiste νε ∈ N,
n→+∞
tale che,
ε
n > νε ⇒ |an − L| <
2
Se n > νε e m > νε , per la disuguaglianza triangolare, risulta,

ε
|an − am | ≤ |an − L| + |am − L| < 2 = ε
2

(⇐) La dimostrazione dell’implicazione contraria é piú complicata. Supponiamo che


{an }n sia una successione di Cauchy. Dimostriamo che {an }n é limitata. Per ipotesi,
esiste n0 ∈ N tale che,
 
n > n0 ⇒ |an − an0 | < 1 ε = 1, m = n0

Pertanto da un teorema giá dimostrato,

∀n, |an | ≤ |a1 | + |a2 | + ... + |an0 | + 1

Adesso che sappiamo che {an }n é limitata, per il teorema di Weierstrass, esiste una sot-
tosuccessione {akn }n convergente ad un valore L finito. Per concludere la dimostrazione,
facciamo vedere che L é il limite dell’intera successione {an }n . Fissiamo ε > 0, esiste
per definizione di successioni di Cauchy, νε ∈ N tale che,

ε
n > νε , m > νε ⇒ |an − am | <
2

Inoltre solo un numero finito di termini di {akn }n puó cadere fuori dall’intervallo I(L, 2ε ),
poiché akn → L. Esiste pertanto un interno n̄ > νε tale che |an̄ − L| < 2ε . In conclusione,
per ogni n > νε si ha,

ε ε
|an − L| ≤ |an − an̄ | + |an̄ − L| < + =ε 
2 2

Osservazione. Puó essere comodo formulare in modo equivalente la condizione di Cauchy:


una successione {an }n é una successione di Cauchy se per ogni ε > 0, esiste un intero νε
tale che,
∀n > νε , ∀k ∈ N : |an+k − an | < ε [m = n + k]

74
Questa variante della definizione sará utile equando svilupperemo la teoria delle serie
numeriche.

5.4 Confronti asintotici


Nella teoria dei limiti, puó essere utile introdurre un modo per confrontare due funzioni
(o due successioni) nell’intorno di un punto. Uno strumento fondamentale é quello
dei simboli di Landau. Al solito, trattiamo il caso delle funzioni, deducendo poi la
corrispondente teoria per le successione come un caso particolare.
N.B. Nel seguito, lavoreremo con funzioni definite (almeno) in un intorno di un punto
c ∈ R.
e Per brevitá, eviteremo di ripetere questa ipotesi in ogni enunciato.

Definizione. (o piccolo) Diremo che una funzione f é trascurabile rispetto ad


una funzione g nel punto c, e scriveremo,

f = oc (g)

se esiste una funzione ω tale che,

• f (x) = ω(x)g(x) in un intorno di c, x 6= c

• lim ω(x) = 0
x→c

Notazione. Puó capitare di leggere f (x) = o(g(x)) per x → c, e anche il piú corretto,
f ∈ oc (g). Il simbolo ”o piccolo” é stato introdotto da Landau. Consideriamo piú
corretto f ∈ oc (g) perché non é facile costruire una opportuna uguaglianza tra i due
membri, ma al contrario é possibile definire oc (g) come un insieme di funzioni con una
stessa caratteristica, a cui f appartiene.
Osservazione. Se g(x) 6= 0 per x in un intorno del punto c, x =
6 c, la definizione equivale
alla singola seguente espressione,

f (x)
lim =0
x→c g(x)

Sebbene meno generale, spesso si propone questa condizione come definizione di ”o


piccolo”.

75
Definizione. (Equivalenza asintotica) Diremo che le funzioni f, g sono asintoti-
camente equivalenti nel punto c se f − g = oc (g) e scriviamo f ∼c g.
Questa definizione significa che deve esistere una funzione w tale che ω(x) → 0 per
x → c, e f (x) − g(x) = ω(x)g(x) in un intorno di c, x 6= c. Quindi in tale intorno,
 
f (x) = g(x) 1 + ω(x)

Se poi g(x) 6= 0 per ogni x vicino a c, x 6= c, deve risultare,

f (x)
lim =1
x→c g(x)

Definizione. (Ordine) Siano f, g due funzioni, e sappiamo che g non si annulli in un


intorno di c. Diremo che f e g hanno lo stesso ordine per x → c se,

f (x)
lim = l ∈ (0, +∞)
x→c g(x)

In questo caso scriveremo f  g per x → c.


Osservazione. C’é una forte somiglianza tra l’equivalenza asintotica e l’avere lo stesso
ordine. In effetti l’unica differenza é il valore del limite del rapporto tra le due funzioni.

Esempi. Facciamo presente diversi esempi,


sin x
• lim =1 ⇔ sin x ∼ x per x → 0
x→0 x

1 − cos x 1 1
• lim 2
= ⇔ 1 − cos x ∼ x2 per x → 0
x→0 x 2 2
⇒ 1 − cos x  x2 per x → 0

• cos x ∼ 1 − 21 x2 per x → 0

• ex ∼ 1 + x per x → 0

• ln(1 + x) ∼ x per x → 0

• f (x) = l(1 + o(1)) per x → c ⇔ limx→c f (x) = l ∈ R

• sin x ∼ x per x → 0

76
Per le dimostrazioni useremo strumenti del calcolo differenziale, le gerarchie degli infiniti:

∀α ∈ R, ∀β > 0 : xα = o(eβx ) per x → +∞

∀α ∈ R, ∀β > 1 : logβ x = o(xα ) per x → +∞

Teorema. (Principio di sostituzione.) Supponiamo che f1 = o(f ), g1 = o(g) per


x → c. Allora,
f (x) + f1 (x) f (x)
lim = lim
x→c g(x) + g1 (x) x→c g(x)

Dimostrazione. Per ipotesi, esistono due funzioni ω1 , ω2 , tali che ω1 (x) → 0,


ω2 (x) → 0 per x → c, e inoltre f1 (x) = ω1 f (x), g1 (x) = ω2 (x)g(x) in un intorno di c.
Quindi sostituendo e raccogliendo, otteniamo la tesi usando l’algebra dei limiti,

f (x) + f1 (x) f (x) 1 + ω1 (x) f (x)


lim = lim · = lim 
x→c g(x) + g1 (x) x→c g(x) 1 + ω2 (x) x→c g(x)

Questo risultato non deve essere sopravvalutato: la stessa dimostrazione spiega che si
tratta quasi di una banalità. Possiamo dire che il vero elemento difficile in un calcolo di
limite é sapere quali funzioni sono trascurabili rispetto ad altre.

Definizione. (Ordine di infinitesimi) Sia f una funzione tale che lim f (x) = 0.
x→c
Diremo che β ∈ R é l’ordine di infinitesimo di f nel punto c se f (x)  |x − c|β per
x → c.
N.B. Questa definizione é significativa solo per c ∈ R, e esplicitamente richiede che,

f (x)
lim = λ ∈ R \ {0}
x→c |x − c|β

Questa definizione inoltre non afferma che ogni funzione abbia un suo infinitesimo,
ma enuncia solo il modo in cui calcolarlo. Il calcolo differenziale ci offrirà un potente
strumento (Polinomi di Taylor) per determinare l’ordine di infinitesimo delle funzioni in
un punto.

Definizione. (Ordine di infiniti) Sia f una funzione tale che lim f (x) = ±∞. Il
x→c
numero β ∈ R é l’ordine di infinito di f nel punto c se,

lim |x − c|β |f (x)| = l ∈ (0, +∞)


x→c

77
Per c = ±∞, la condizione diventa,

|f (x)|
lim = l ∈ (0, +∞)
x→±∞ |x|β

Il motivo dell’utilizzo dei valori assoluti é per rendere l’elevazione possibile per ogni
numero reale β. Inoltre la scelta come infinito e infinitesimo campione di un polinomio
x é assolutamente arbitraria, e potrebbe essere scelto qualsiasi altro elemento.

Concludiamo con un’altro tipo di confronto asintotico: il simbolo O, ”o grande”. Questo


confronto é molto usato in informatica per stimare la difficoltà di computazione di un
algoritmo.
Avvertimento. Ci sono definizioni incompatibili di ”o grande”, utilizzare in relazione al
contesto. Per questa ragione l’uso di ”o grande” é meno universale di quello di ”o piccolo.”

Definizione. (O grande) Date due funzioni f e g, diremo che f é ”O grande ”


di g nel punto c, in simboli,
f = Oc (g)

se esiste una funzione limitata k tale che f (x) = k(x)g(x) in un intorno del punto c,
escluso al piú c stesso.

Corollario. Segue facilmente l’implicazione,

f = oc (g) ⇒ f = Oc (g)

Non faremo grande utilizzo di ”o grande”, poiché esso é solo una relazione piú debole
rispetto a quella asintotica.

5.5 Funzioni continue


Il concetto di continuità appartiene appartiene al dominio della Topologia Generale; lo
scopo di questa é proprio lo studio delle proprietà che si conservano dopo l’applicazione di
funzioni continue. Per questo proponiamo una definizione ”topologica” della continuità.

Definizione. (Continuità) Siano A ⊂ R, f : A → R.


• f é continua nel punto c ∈ A se, per ogni intorno v di f (c), esiste un intorno u di

78
c, tale che f (u ∩ A) ⊂ v.

• f é continua nell’insieme A se essa é continua in ogni punto c ∈ A.

Cerchiamo di tradurre questa definizione ”topologica” in una definizione ”analitica”


(definizione epsilon-delta della continuitá). f é continua nel punto c ∈ A se e solo se,

⇔ ∀ε > 0 ∃δ > 0 : ∀x ∈ A, |x − c| < δ ⇒ |f (x) − f (c)| < ε

A questo punto é spontaneo cercare di leggere nella precedente proposizione logica, una
relazione di limite. Tuttavia questo é possibile solo ad una condizione aggiuntiva: che il
punto c sia di accumulazione per l’insieme A.
In questo caso − e solo in questo caso − la definizione di continuitá nel punto c equivale
a richiedere che,
lim f (x) = f (c)
x→c

Per completare questa definizione, nel caso in cui il punto c ∈ A non é punto di
accumulazione per A, si puó dimostrare che la funzione é continua in quel punto
”isolato”. Negando la definizione di punto di accumulazione, deduciamo che esiste un
intorno u0 di c tale che u0 ∩ A = {c}. Sia v un intorno di f (c). Qualunque sia l’intorno
u del punto c, u ⊂ u0 , risulta u ∩ A ⊂ u0 ∩ A, e f (u ∩ A) ⊂ f (u0 ∩ A) = f (c) ∈ v.
Quindi f é continua nel punto c.
In conclusione, possiamo riformulare la definizione di continuità di f nel punto c come
segue,

• Se c ∈ A non é punto di accumulazione per A, f é sempre continua in c.

• Se c ∈ A é punto di accumulazione per A, la continuità di f nel punto c equivale a,

lim f (x) = f (c) ⇒ lim f (x) = lim+ f (x) = f (c)


x→c x→c− x→c

Osservazione. Ha senso parlare di continuità solo nei punti del dominio di definizione
della funzione. Inoltre é importante sottolineare come il limite si disinteressi del valore
attribuito alla funzione in un punto c, mentre questo assume una grande importanza
nella definizione ”topologica” di continuità. É per questo che é inutile escludere il punto
c nella definizione ”analitica” del limite, poiché in questo caso é garantito che soddisfi la
condizione di esistenza.

79
Grazie alla caratterizzazione della continuità mediante il linguaggio dei limiti, la seguente
proposizione é una conseguenza diretta dell’algebra dei limiti.

Proposizione. Siano f, g due funzioni continue in un punto c del comune dominio di


definizione. Allora le funzioni, f + g, f · g e f /g (purché g(c) 6= 0) sono continue nel
punto c.
Dimostrazione. Se il punto c é il punto isolato, non c’é nulla da dimostrare. Se c
é un punto di accumulazione del dominio di definizione di f e g, per l’algebra dei limiti,
 
lim f (x) + g(x) = lim f (x) + lim g(x) = f (c) + g(c)
x→c x→c x→x

e perció la funzione f + g é continua nel punto c. Analogamente si verificano le altre


affermazioni. 

Proposizione. (Continuitá della funzione composta) Siano f : A → B e


g : B → R due funzioni. Supponiamo che f sia continua in x0 ∈ A e che g sia
continua nel punto f (x0 ) ∈ B. Allora la funzione composta g ◦ f : A → R é continua
nel punto x0 .

Dimostrazione. Per ogni intorno U di g f (x0 ) esiste un intorno W di f (x0 )
tale che g(W ∩ B) ⊂ U . In corrispondenza di W esiste un intorno V di x0 tale che
f (V ∩ A) ⊂ W ∩ B. Quindi,

(g ◦ f )(V ∩ A) ⊂ g(W ∩ B) ⊂ U

Ne segue che g ◦ f é continua in x0 . 

5.6 Discontinuità
Non é molto utile classificare i punti di discontinuità. Le funzioni continue sono
interessanti perché sono continue, e non interessa il motivo della mancanza di questa
proprietá. Consideriamo una funzione f : A ⊆ R → R e x0 ∈ A. Notiamo che i punti
in cui controlliamo la continuitá sono sempre parte del dominio di definizione della
funzione. Ció significa che la funzione deve essere definita anche in tali punti.
Inoltre questi punti devono necessariamente essere di accumulazione poiché per punti

80
isolati abbiamo sempre una funzione continua.
In quali modi puó essere discontinua la funzione f nel punto x0 ?

1. Il limite di f (x) per x → x0 esiste finito, e tuttavia sia diverso dal valore di
f (x0 ). Un tale punto x0 é una discontinuità eliminabile, o fittizia, per f : é infatti
sufficiente cambiare il valore di f in x0 per rendere la funzione continua nel punto.

2. Esistono i limiti per eccesso e per difetto del punto x0 , finiti, ma,

s(x0 ) = lim+ f (x) − lim− f (x) 6= 0


x→x0 x→x0

Il numero reale s(x0 ) si chiama salto della funzione f nel punto x0 : f é continua
in x0 se e solo se s(x0 ) = 0 e f (x0 ) = lim+ f (x). Questa discontinuità é detta di
x→x0
prima specie o di salto poiché presenta sostanzialmente un ”salto” s.

3. I limiti per eccesso e per difetto di x0 esistono, ma almeno uno di essi é infinito (o
entrambi). Chiameremo questi punti di discontinuità di seconda specie. (asintoto)

4. Da ultimo, un punto x0 nel quale almeno uno o entrambi i limiti per eccesso e per
difetto non esistono é chiamato punto di discontinuità di terza specie.

Teorema. Una funzione monotona f : [a, b] → R puó avere al piú un insieme numerabile
di punti di discontinuità.
Dimostrazione. Supponiamo ad esempio f crescente. Per iniziare, dimostriamo
che se x1 < x2 < ... < xn sono punti di discontinuitá e se s(x1 ) < s(x2 ) < ... < s(xn )
sono i rispettivi salti, allora

s(x1 ) + s(x2 ) + ... + s(xn ) ≤ f (b) − f (a)

Per ogni y ∈ (a, b), definiamo f+ = lim+ f (x), f− = lim− f (x). Poiché f é crescente, si
x→y x→y
ha f+ (xi−1 ) ≤ f− (xi ) per i = 2, 3, ..., n. Allora,
n
X n
X  
s(xi ) = f+ (xi ) − f− (xi )
i=1 i=1
n
X  
= f+ (xn ) − f− (xn ) − f− (xi ) − f+ (xi−1 )
i=2

≤ f+ (xn ) − f− (xn ) ≤ f (b) − f (a)

81
Grazie a questa disuguaglianza, puó esistere al piú un numero finito di punti di disconti-
nuità con salto superiore a 1: siano questi x1 , x2 , ..., xn1 .
Analogamente puó esistere un numero finito di punti di discontinuità con salto compreso
tra 1/2 e 1: siano questi xn1 +1 , ..., xn2 .
Considerando via via i punti di discontinuitá con salto compreso tra 1/2 e 1/4, 1/4 e
1/8, ecc. ecc., otteniamo una enumerazione di tutti i punti di discontinuità di f . 

5.7 Teoremi fondamentali sulla continuitá


Le funzioni continue godono di alcune proprietá notevoli, che riassumiamo ora in tre
teoremi fondamentali. É importante notare come questi teoremi non hanno significato
appena la funzione perde l’ipotesi di continuitá. Come premessa osserviamo un caso
speciale del teorema della permanenza del segno, dimostrato precedentemente.

Proposizione. Sia f : A → R una funzione continua nel punto x0 ∈ A. Se f (x0 ) > 0,


esiste un intorno V di x0 , tale che f (x) > 0 per ogni x ∈ V ∩ A. Analogamente, se
f (x0 ) > l, esiste un intorno di x0 nel quale f rimane maggiore di l.
Dimostrazione. Il caso del punto isolato é considerato ovvio, nell’intorno é presente
solo il punto x0 . Poiché lim f (x) = f (x0 ), la tesi segue dal teorema della permanenza
x→x0
del segno. 

Teorema degli zeri. Sia f una funzione continua in un intervallo I, e siano x1 , x2 due
punti di I tali che f (x1 ) < 0, f (x2 ) > 0. Allora esiste un punto x0 compreso tra x1 e x2
tale che, f (x0 ) = 0.
Dimostrazione. 1 (estremo superiore) Sia E un insieme,

E = x ∈ [x1 , x2 ] f (x) < 0

Per ipotesi, x1 ∈ E, mentre x2 é un maggiorante di E. Esiste pertanto per l’assioma di


dedekind,
x0 = sup E

Dimostriamo che f (x0 ) = 0 procedendo per assurdo. Se fosse f (x0 ) < 0, avremmo
x0 < x2 , e per permanenza del segno esisterebbe δ > 0, tale che,

f (x) < 0 ∀x ∈ [x0 , x0 + δ)

82
Quindi x0 non sarebbe l’estremo superiore di E. Se fosse f (x0 ) > 0, avremmo x0 > x1 ,
e per permanenza del segno esisterebbe un intervallo tale che,

f (x) > 0 ∀x ∈ (x0 − δ, x0 ]

Allora E ⊂ [x1 , x0 − δ), e x0 − δ sarebbe un maggiorante di E piú piccolo di x0 . Ma


questo é assurdo, resta quindi dimostrato che f (x0 ) = 0. 

Dimostrazione. 2 (algoritmo per successioni) Imitiamo la dimostrazione del


Teorema di Bolzano, facendo una costruzione basata sulla bisezione. Dimezziamo [x1 , x2 ]
mediante il suo punto medio,

x 1 + x2
c= ⇒ [x1 , x2 ] = [x1 , c] ∪ [c, x2 ]
2

• Se f (c) = 0: Fine

• Se f (c) < 0: a1 = c, b1 = x2

• Se f (c) > 0: a1 = x1 , b1 = c
Ripetiamo, considerando l’intervallo [a1 , b1 ] al posto di [x1 , x2 ],

a1 + a2
c=
2

• Se f (c) = 0: Fine

• Se f (c) < 0: a2 = c, b2 = b1

• Se f (c) > 0: a2 = a1 , b2 = c
Iterando questo algoritmo otteniamo due successioni,

x1 ≤ a1 ≤ a2 ≤ ..., x2 ≥ b1 ≥ b2 ≥ ...

Con le proprietá che f (ai ) < 0, f (bi ) > 0, allora,

x2 − x1
b i − ai = , per i = 1, 2, 3, 4
2i

Per monotonia, ai → a∗ ∈ [x1 , x2 ], b1 → b∗ ∈ [x1 , x2 ] per i → +∞. Ma,

x2 − x1
b∗ − a∗ = lim bi − ai = lim =0
i→+∞ i→+∞ 2i

83
Cioé a∗ = b∗ . Definiamo x0 = a∗ = b∗ . Per permanenza del segno,

f (x0 ) = lim f (ai ) ≤ 0, f (x0 ) = lim f (bi ) ≥ 0


i→+∞ i→+∞

e dunque f (x0 ) = 0. 

Osservazione. Il toerema degli zeri é uno strumento fondamentale per risolvere equazioni.
Consideriamo infatti una funzione f definita in un intervallo I, e con t ∈ R un numero
assegnato. Vogliamo risolvere l’equazione,

f (x) = t

nell’incognita x ∈ I. Riscrivendo l’equazione nella forma f (x)−t = 0, possiamo applicare


il teorema degli zeri della funzione ausiliaria,

g(x) = f (x) − t

Da questo ragioniamo su un nuovo teorema.

Teorema dei valori intermedi. Sia f : I → R una funzione continua nell’intervallo


I. Per ogni inf f < t < sup f , esiste almeno un valore x ∈ I tale che,
I I

f (x) = t

Dimostrazione. Scegliamo dei punti x1 , x2 ∈ I, tali che,

f (x1 ) < t < f (x2 ) ⇒ f (x1 ) − t = g(x1 ) < 0, f (x2 ) − t = g(x2 ) > 0

x1 , x2 esistono poiché inf f < t < sup f . La funzione g(x) = f (x) − t é continua
I I
nell’intervallo compreso tra x1 e x2 (poiché somma di funzioni continue). Pertanto esiste
x ∈ [x1 , x2 ] tale che g(x) = 0, cioé f (x) = t. 

Osservazione. La valenza del teorema dei valori intermedi non implica la continuitá.

Il terzo e ultimo risultato fondamentale che dimostriamo per le funzioni continue


allaccia a quella branca della matematica che il prendere il nome di ”Calcolo delle
variazioni”. Il problema ”variazionale” piú semplice consiste nella ricerca dei punti di

84
minimo o massimo assoluto per una data funzione.

Definizione. (Punti di minimo e massimo) Sia f : X → R una funzione. In-


troduciamo le notazioni,

arg min f = x ∈ X f (x) = min f (X)
X


arg max f = x ∈ X f (x) = max f (X)
X

Per indicare, rispettivamente, l’insieme dei punti di minimo e di massimo di f in X.


Osservazione. L’esistenza di delle soluzioni per questi insiemi non é garantita. Quindi
diventa naturale chiedersi quali ipotesi garantiscono sempre la loro esistenza.

Teorema di Weierstrass. Una funzione continua su un insieme compatto (per


successioni) possiede almeno un punto di minimo assoluto e un punto di massimo
assoluto.
Dimostrazione. Sia K ⊂ R compatto per successioni, e sia f : K → R una
funzione continua. Per ogni n ∈ N, sia xn ∈ K un punto tale che inf f ≤ f (xn ) <
K
1
n
+ inf f (possibile per definizione di estremo inferiore). {xn }n viene detta successione
K
minimizzante. Allora,
lim f (xn ) = inf f
n→+∞ K

Dato che K é compatto, allora esiste una sottosuccessione, {xkn }n di {xn }n , tale che
{xkn }n → x∗ ∈ K.
Poiché f é continua, allora f (xkn ) → f (x∗ ).
Per unicitá del limite abbiamo che f (x∗ ) = inf f . Questo significa che x∗ ∈ K é un
K
punto di minimo assoluto della funzione f in K. In modo analogo si dimostra che esiste
un punto di massimo assoluto di f . 

Osservazione. Per ogni k ∈ N é facile costruire una funzione f continua su insieme


compatto per successioni, tale che abbia almeno k punti estremanti. Inoltre sottolineiamo
che non é possibile localizzare estremi relativi (o locali) e non globali.

85
5.8 Funzioni continue invertibili
Osservazione. In generale non possiamo aspettarci che l’inversa di una funzione continua
(e ovviamente iniettiva) sia anch’essa continua. Nonostante ció, sotto ulteriori ipotesi
possiamo dimostrare la continuità della funzione inversa.

Lemma. Una funzione f , continua e invertibile in un intervallo I é monotona


Dimostrazione. Dimostriamo innanzitutto che preso comunque un punto x0 ∈ I,
la funzione x 7→ f (x) − f (x0 ) ha sempre lo stesso segno a destra di x0 . Ad esempio, se
per un punto x̄ > x0 si ha f (x̄) > f (x0 ), allora si ha f (x) > f (x0 ) per ogni x > x0 .
Infatti se esistesse un punto x0 > x0 tale che f (x0 ) ≤ f (x0 ), allora per il teorema dei
valori intermedi esisterebbe un punto ξ compreso tra x0 e x̄ (dunque diverso da x0 ), tale
che f (ξ) = f (x0 ). Ma questo é assurdo poiché la nostra funzione é iniettiva.
Consideriamo ora due punti a e b di I, con a < b, e supponiamo che f (a) < f (b).
Dimostriamo che f é strettamente crescente in I.
Siano infatti x1 < x2 due punti di I, e sia b1 = max{b, x2 }. Poiché f (b) > f (a), deve
essere f (x) < f (a) per ogni x > a. In particolare, f (b1 ) > f (a). Ancora per lo stesso
motivo, deve risultare f (x) < f (b1 ) per ogni x < b1 , e dunque f (x1 ) < f (b1 ).
Da questa relazione segue infine che f (x) > f (x1 ) per ogni x > x1 , e in particolare
f (x1 ) < f (x2 ). 

Lemma. Una funzione g definita in un intervallo J e qui monotona é continua se


e solo se l’immagine g(J) é un intervallo.
Dimostrazione. Possiamo supporre che g sia crescente in J se g é continua, per il
teorema dei valori intermedi g assume tutti i valori compresi tra l’estremo inferiore e
l’estremo superiore. Quindi g(J) é un intervallo. Viceversa supponiamo che g(J) sia un
intervallo. Per assurdo, se g non fosse continua in un punto x0 ∈ J, si avrebbe,

l = lim− g(x) < lim+ g(x) = L


x→x0 x→x0

Poiché g é crescente, per x < x0 , si ha che g(x) < l, mentre per x > x0 si ha g(x) > L.
Ne deriva che dei punti compresi tra l e L, al piú uno (quello corrispondente a x0 ) puó
appartenere all’immagine g(J). Ma allora g(J) non puó essere un intervallo e questo é
assurdo. 

Possiamo finalmente dimostrare un primo risultato di continuità per la funzione inversa

86
semplicemente utilizzando questi due lemmi.

Teorema. Sia f una funzione continua e invertibile in un intervallo I. Allora f −1 é


continua.
Dimostrazione. Per il primo dei due lemmi precedenti, f é monotona. Per il
teorema dei valori intermedi, la sua immagine J = f (I) é un intervallo. La funzione f −1
definita in J é monotona e la sua immagine é l’intervallo I. per il secondo lemma essa é
allora continua. 

Osservazione. Grazie a questo risultato é possibile affermare che la funzione x 7→


log x, x 7→ arcsin x, x 7→ arccos x, x 7→ arctan x sono funzioni continue nei rispettivi
domini di definizione.
Un secondo risultato di continuità per la funzione inversa é il seguente,

Teorema. Se f é una funzione continua e invertibile in un insieme compatto K,


allora f −1 é continua.
Osservazione. Rispetto al teorema di prima si dice che questi non siano logicamente
confrontabili poiché partono da condizioni diverse, intervalli compatti (chiusi e limitati) e
intervalli non compatti. Inoltre questo teorema non fa mai uso dei legami tra continuitá
e monotonia, rendendolo applicabile anche in contesti piú generali.
Dimostrazione. Sia y0 ∈ f (K); occorre dimostrare che, per ogni successione {yn }n
a valori in f (K) e convergente a y0 , la successione xn = f −1 (yn ) converge a x0 = f −1 (y0 ).
Se ciò non fosse vero, esisterebbe un intorno V di x0 e una sottosuccessione {xkn }n
estratta da {xn }n tale che, xkn 6∈ V per ogni n. Poiché K é compatto, dalla successione
{xkn }n si puó poi estrarre un’ulteriore successione {x∗n }n convergente a un punto di x∗0 di
K. Per questo detto sopra, x∗0 6= x0 . Ricordando che f é continua, f (x∗n ) → f (x∗0 ). Peró
{x∗n }n é estratta da {xkn }n e per ipotesi f (xkn ) = ykn → y0 = f (x0 ). In conclusione
f (x0 ) = f (x∗0 ), e questo é assurdo poiché f é per ipotesi una funzione iniettiva. 

5.9 Continuità uniforme


Nelle definizione di continuità ε-δ, il valore di δ > 0 dipende in generale sia da ε > 0,
sia dal punto x0 .

87
Esempio. Sia f (0, 1) → R definita da f (x) = x1 . Sia x0 ∈ (0, 1), e fissiamo ε > 0
arbitrariamente. Calcolando il limite per x → x0 , non é restrittivo supporre x > x20 ,

1 x − x0
− 1 <ε

x x0 ⇔ x · x0 < ε

Dal denominatore,

x20 1 2
|x · x0 | = x · x0 > ⇒ < 2
2 |x · x0 | x0

Quindi, per avere x1 − x10 < ε con x > x20 , é sufficiente avere |x − x0 | < x22 ε = δ. É

0
evidente che δ dipende da ε e da x0 , ma l’osservazione piú importante é che,

lim δ = +∞
x0 →0+

É quindi impossibile selezionare δ > 0 nelle definizione di continuità in maniera indipen-


dente dal punto x0 .
Esistono peró funzioni per le quali una tale scelta di δ, indipendente dal punto x0 , é
possibile.

Definizione. (Continuità uniforme) Sia f : A ⊂ R → R una funzione. Si dice


che f é uniformemente continua in A se, per ogni ε > 0, esiste δ > 0 tale che per ogni
x0 ∈ A e per ogni x ∈ A con |x − x0 | < δ, risulta |f (x) − f (x0 )| < ε.
Osservazione. Il numero δ non varia, é uniforme rispetto a ogni scelta di x0 . Confronti-
amo inoltre continuità e continuità uniforme con i simboli della logica:

(∀x0 ∈ A)(∀ε > 0)(∃δ > 0)(∀x ∈ A)

(|x − x0 | < δ ⇒ |f (x) − f (x0 )| < ε)

(∀ε > 0)(∃δ > 0)(∀x0 ∈ A)(∀x ∈ A)

(|x − x0 | < δ ⇒ |f (x) − f (x0 )| < ε)

Un buon modo per capire la definizione di continuità uniforme consiste nel negarla:

(∃ε0 > 0)(∀δ > 0)(∃xδ ∈ A)(∃yδ ∈ A) :

88
(|xδ − yδ | < δ e |f (x) − f (x0 )| ≥ ε0 )

Essendo δ > 0 arbitrario, possiamo sceglierlo della forma δn (n ∈ N), in modo che
δn → 0 per n → +∞. Per verificare che f : A → R non é uniformemente continua sará
dunque sufficiente dimostrare che esistono ε0 > 0 e due successioni {xn }n , {yn }n a valori
in A, tali che,

lim |xn − yn | = 0, ma |f (xn ) − f (yn )| ≥ ε0 ∀n ∈ N


n→+∞

Vediamo ora un paio di risultati teorici sulle funzioni uniformemente continue.

Teorema. Una funzione uniformemente continua in un insieme limitato A é una


funzione limitata.
Dimostrazione. Prendendo ε = 1 nella definizione di continuità uniforme, possiamo
concludere che esiste un δ > 0 tale che se x, y ∈ A con |x−y| < δ, si ha |f (x)−f (y)| < 1.
Poiché A é un insieme limitato, possiamo ricoprire A con un numero finito di intervalli
I1 , I2 , ..., In , ognuno di lunghezza δ. Per k = 1, 2, ..., n scegliamo un punto xk ∈ Ik ∩ A.
Ogni punto x ∈ A deve appartenere ad uno degli intervalli I1 , I2 , ..., Ik . Esiste perció un
h ∈ {1, 2, ..., n} tale che |x − xh | < δ, e quindi |f (x) − f (xh )| < 1.
Ma allora per proprietà triangolare,

|f (x)| < |f (xh )| + 1 ≤ |f (x1 )| + |f (x2 )| + ... + |f (xn )| + 1 

Osservazione. f uniformemente continua ⇒ f continua (confronto immediato dalle


definizioni). Sappiamo che l’implicazione inversa é in generale falsa. Tuttavia essa
diventa vera se aggiungiamo un’ipotesi relativa al dominio di definizione.

Teorema. Una funzione f , continua in un insieme K compatto, é uniformemente


continua.
Dimostrazione. Procediamo per assurdo. Se la tesi fosse falsa, esisterebbe ε0 > 0 e
due successioni {xn }n , {yn }n a valori in K, tali che |xn −yn | → 0, ma |f (xn )−f (yn )| ≥ ε0 .
A causa della compattezza di K, da {xn }n é possibile estrarre una sottosuccessione {xkn }n
convergente a qualche x0 ∈ K, e da {yn }n una sottosuccessione {ykn }n convergente a
qualche y0 ∈ K. Ora,

|xn − yn | → 0 ⇒ |xkn − ykn | → 0 ⇒ |x0 − y0 | = 0 ⇒ x0 = y 0

89
Peró |f (xkn ) − f (ykn )| ≥ ε0 , e passando al limite,

0 = |f (x0 ) − f (y0 )| = lim |f (xkn ) − f (ykn )| ≥ ε0 > 0


n→+∞

Ma questo é assurdo. 

Osservazione. Una funzione f : A → R si dice lipschitziana se esiste una costante


L > 0 tale che,
|f (x) − f (y)| ≤ L|x − y| ∀x, y ∈ A

É possibile dimostrare che tutte le funzioni lipschitziane sono uniformemente continue.


(suggerimento, |f (x) − f (y)| ≤ L|x − y| < ε non appena |x − y| < ...?)
Il calcolo differenziale ci offrirà strumenti potenti con i quali garantiremo la lipschitzianitá
di alcune classi di funzioni.

6 Serie di numeri reali


Sia {ak }k una successione di numeri reali. Costruiamo la successione delle sue somme
parziali,
s1 = a1 , s2 = a1 + a2 , s3 = a1 + a2 + a3 , ...

sn = a1 + a2 + ... + an−1 + an

Brevemente,
n
X
sn = ak
k=1

Definizione. (serie numerica) (molto formale) La coppia ({ak }k , {sn }n ) é detta


serie associata alla successione {ak }k . Piú brevemente, é consuetudine chiamare serie
(associata a {ak }k ) il simbolo,
Xn
ak
k=1

Osservazione. k é una variabile muta, non assume importanza. Data una successione
{sn }n , esiste sempre una successione {ak }k della quale {sn }n é la serie: possiamo in-
fatti definite ak = sk − sk−1 per k ≥ 2, e a1 = s1 . Per questo motivo non esiste una
differenza concettuale fra successioni e serie: sono modi diversi di parlare dello stesso
ente matematico.

90
P+∞
Definizione. (Convergenza) Diremo che la serie k=1 ak é convergente se esiste
finito,
lim sn = s ∈ R
n→+∞

In altre parole, deve esistere finito,

lim (a1 + a2 + ... + an ) = s


n→+∞

In tal caso, s é detto ”somma della serie +∞


P
k+1 ak ”.
Con linguaggio analogo a quello usato per le successioni, la serie +∞
P
k+1 ak é:

• Divergente, se {sn }n diverge a +∞ o a −∞;

• Oscillante/ indeterminata, se {sn }n non possiede limite, né finito, né infinito.

Definizione. (Serie geometrica) Sia q ∈ R. La serie +∞ k


P
k=0 q é chiamata ”serie
geometrica di ragione q”. Abbiamo giá visto (per induzione) che,

+∞
X
k 0 1 1 − q n+1
n
q = q + q + ... + q = ∀n ∈ N
k=0
1−q

P+∞
Pertanto la serie k=0 q k é convergente se e solo se |q| < 1.

Definizione. (Serie telescopica)Una serie del tipo +∞


P
k=1 (bk − bk−1 ), essendo {bk }k
una successione assegnata, si chiama ”serie telescopica”. Ora,

+∞
X
(bk − bk−1 ) = () + () + () + ... + () = bn − b0
k=1

Ne deduciamo che +∞
P
k=1 (bk − bk−1 ) é convergente se e solo se esiste finito il lim bk . In
k→+∞
tal caso, la somma s della serie é,
 
s= lim bk − b0
k→+∞

Definizione. (serie di Mengoli) Un esempio di serie telescopica,

+∞ +∞   +∞  
X 1 X 1 1 X 1 1
= − =− −
k=1
k(k + 1) k=1 k k+1 k=1 |k {z
+ 1} |{z}
k
bk bk−1

91
Poiché lim bk = 0, la serie di Mengoli converge a, −(0 − 1) = +1. In simboli,
k→+∞

+∞
X 1
=1
k=1
k(k + 1)

Sebbene lo studio della convergenza di una serie sia un ”semplice” studio della con-
vergenza di una successione, l’ostacolo principale é costituito dalla mancanza di una
formula chiusa per esprimere, in generale, i termini delle somme parziali. Insomma:
bisogna analizzare il comportamento al limite di una successione senza avere una formula
per esprimere tale successione. In questo senso possiamo dire che la teoria delle serie
numeriche si identifica con la ricerca di ”criteri di convergenza”: teoremi che permettano
di dedurre la convergenza di +∞
P
k=1 ak sulla base di proprietà della successione {ak }k .
Iniziamo da una classe particolare di serie:

6.1 Serie a termini positivi


+∞
X
Sono cosı́ chiamate le serie ak per cui ogni ak ≥ 0.
k=1

Proposizione. Una serie a termini positivi é convergente o divergente a +∞


Dimostrazione. Poiché sn = a1 + a2 + ... + an−1 + an ≥ sn = a1 + a2 + ... + an−1
(essendo an ≥ 0), concludiamo che la successione {sn }n é monotona crescente. É ben
P
noto che esiste, finito o infinito il limite di sn per n → +∞. Quindi la serie ak é
convergente oppure divergente a +∞. 
L’ipotesi sul segno degli addendi semplifica l’analisi di convergenza della serie.

P P
Teorema del confronto. Siano ak e bk due serie a termini positivi. Supponiamo
che ak ≤ bk per ogni k ∈ N. Sotto questa ipotesi,
P P
• Se bk converge, allora converge anche ak ;
P P
• Se ak diverge, allora diverge anche bk .

Dimostrazione. Siano sn = nk=1 ak , tn = nk=1 bk . Per ipotesi, sn ≤ tn per ogni


P P

n. Se {tn }n converge a un limite finito, vediamo che {sn }n é limitata dall’alto, e pertanto
converge a un limite finito.

92
Se invece sn → +∞, anche tn → +∞. 

Un corollario particolarmente utile é il seguente criterio del confronto asintotico.

P P
Corollario. Siano ak e bk due serie a termini positivi. Se ak ∼ bk per k → +∞
ak
(cioé lim = 1), allora le due serie hanno lo stesso carattere (sono cioé entrambe
k→+∞ bk
convergenti o entrambe divergenti).
Dimostrazione. Per ipotesi, esiste ν ∈ N tale che,

1 3
bk < ak < bk
2 2

Per ogni k > ν. La tesi segue immediatamente dal teorema del confronto. 

Osservazione. Il teorema del confronto é utile quando esistono ”termini” di paragone


conosciuti. Solo a quel punto possiamo confrontare una serie con un’altra.

P
Teorema. (Cauchy per le serie) Una serie ak (di segno qualunque) é convergente
se e solo se per ogni ε > 0, esiste ν ∈ N tale che, per ogni n > ν e ogni p ∈ N, risulta,

n+p
X
ak < ε


k=n+1

Pn
Dato un sn = k=1 ak , l’equazione diventa,

|sn+p − sn+1 | < ε

Dimostrazione. É la condizione necessaria e sufficiente di Cauchy applicata alla


P
successione delle somme parziali di ak . 

P
Corollario. (condizione necessaria per la convergenza) Se la serie ak é convergente,
allora limk→+∞ ak = 0.
Dimostrazione. Sia ε > 0 arbitrario. Per il criterio di Cauchy con p = 1, deve
n+1
X
essere |ak | < ε. Cioé |an+1 | < ε, per ogni n > ν. Quindi an → 0 per n → +∞. 
k=n+1

Il precedente corollario non puó essere rovesciato: se lim ak = 0, nulla si puó dire sulla
P k→+∞
convergenza di ak .

93
P+∞ 1
Definizione. (Serie armonica) La serie k=1 k prende il nome di ”serie armon-
ica”. Questa serie é divergente, infatti,

1 1 1 1 1 1 1 1
+ + + ... + > + + ... + =
n+1 n+2 n+3 2n 2n 2n 2n 2

Dunque,
1 1 1 1 1 1
s1 = 1, s2 = 1 + , s4 = 1 + + + > 1 + +
2 2 3 4 2 2
1 1 1 1 1 1 1
s8 = s4 + ( + + + ) > 1 + + + , · · ·
5 6 7 8 2 2 2
e per induzione,
n
s2 n > 1 +
2
+∞
X 1
La successione delle somme parziali non é limitata, e dunque .
k=1
k
P
Teorema. (Criterio della radice) Sia ak una serie a termini positivi. Se es-
istono un numero β ∈ (0, 1) ed un indice ν ∈ N tale che per ogni k ≥ ν si abbia,


k
ak ≤ β
P
Allora la serie ak é convergente.
Dimostrazione. Eseguiamo il confronto con i termini di una serie geometrica di
ragione 0 < β < 1. Per ogni k ≥ ν si ha ak ≤ β k . Poiché la serie geometrica
P k
β é
P
convergente, anche ak é convergente. 

P
Teorema. (Criterio del rapporto) Sia ak una serie a termini positivi, se
esistono β ∈ (0, 1) ed un intero ν tale che per ogni k ≥ ν si abbia ak+1
ak
≤ β, allora la
P
serie ak é convergente.
Dimostrazione. Per k ≥ ν si ha ak ≤ βak−1 ≤ β 2 ak−2 ≤ β 3 ak−3 ≤ ... ≤ β k−ν aν .
La serie aν +∞ k−ν
P P
k=ν β é convergente, e dunque anche ak é convergente. 

Osservazione. Questi due criteri, molto popolari, funzionano per confronto con se-
rie geometriche. Da questo punto di vista, si tratta di convergenze piuttosto ”deboli”.

94
P √
Corollario. Se ak é una serie a termini positivi tale che limk→+∞ sup k ak < 1,
P √ P
allora ak é convergente. Se invece lim sup k ak > 1 la serie ak é divergente.
k→+∞

Dimostrazione. Poniamo L = lim sup k ak . Supponiamo L < 1. Dunque abbi-
k→+∞
1−L L+1 √
amo che L + 2 = 2 é un maggiorante definitivo della successione { k ak }k . Quindi
k
esiste ν ∈ N tale che ak ≤ L+1 2
per ogni k ≥ ν. Siccome L+12
< 1, la tesi segue dal
criterio della radice.

Supponiamo infine L > 1. Devono esistere infiniti indici k tali che k ak > 1, e dunque
P
la successione {ak }k non converge a zero. Quindi la serie ak é divergente. 

Osservazione. Un corollario analogo per il criterio del rapporto puó essere dimostrato
√ ak+1
sostituendo a lim sup k ak il lim sup .
k→+∞ k→+∞ ak

Abbiamo dimostrato che la serie +∞ 1


P
k=0 k! é convergente per il criterio del rapporto.
Stabiliamo adesso l’importante uguaglianza,
 n X+∞
1 1
e = lim 1 + =
n→+∞ n k=0
k!

1 n

Ricordiamo che, posto Tn = 1 + n
, risulta,

n  
X n 1
tn =
k=0
k nk

Abbiamo dimostrato in precedenza che {Tn }n é una successione crescente, e che,


 
n 1 n(n − 1)...(n − k + 1) 1 1
k
= k
<
k n n k! k!

in modo che,
n +∞ +∞
X 1 X 1 X 1
Tn < < ⇒ e = lim Tn ≤
k=0
k! k=0 k! n→+∞
k=0
k!

Osserviamo che, se n > m, allora,


n m
X n(n − 1)...(n − k + 1) 1 X n(n − 1)...(n − k + 1) 1
Tn = k

k=0
n k! k=0
nk k!

95
Quando n → +∞, risulta che per ogni k = 0, 1, 2, ..., m,

n(n − 1)...(n − k + 1)
−→ 1
nk

In conclusione, per ogi m ∈ N


m
X 1
≤e
k=0
k!

Per definizione di serie,


+∞ m
X 1 X 1
= lim ≤e
k=0
k! m→+∞
k=0
k!
e pertanto,
+∞
X 1
e=
k=0
k!

Proposizione. (Criterio di condensazione) Sia {ak }k una successione positiva e


decrescente. Le due serie,
+∞
X +∞
X
ak e 2k a2k
k=1 k=0

sono entrambe convergenti o entrambe divergenti.


Dimostrazione. Si ha, per ipotesi,

a1 ≤ a1 , a2 + a3 ≤ 2a2 , a4 + a5 + a6 + a7 ≤ 4a4 , ···

e analogamente,

1 1 1 1
a1 ≥ a1 , a2 ≥ · 2a2 , a3 + a4 ≥
· 4a4 , a5 + a6 + a7 + a8 ≥ · 8a8 , · · ·
2 2 2 2

Indichiamo con sn le somme parziali di +∞


P P+∞ k
k=1 ak e con σn quelle di k=0 2 a2k , dalle
relazioni precedenti,
s2n+1 −1 ≤ σn
1
s2n ≥ σn
2
Quindi {sn }n e {σn }n sono entrambe limitate o entrambe illimitate. 

96
Definizione. (Serie armonica generalizzata) Sia p > 0 un numero reale.

+∞
X 1
k=1
kp

Usiamo il criterio di condensazione,



1 a > 0 ∀k
k
ak = ⇒
kp a 1
k+1 = (k+1)p ≤
1
= ak ∀k
kp

+∞ +∞ +∞ +∞
X
k
X
k1 X X
2 a2 k = 2 k p = 2k−kp = 2(1−p)k
k=0 k=0
(2 ) k=0 k=0

Il risultato ottenuto é una serie geometrica di ragione 21−p . Questa serie converge se e
solo se,
21−p < 1 ⇒ 1 − p < 0 ⇒ p > 1
+∞
X 1
La serie p
é convergente se e solo se p > 1.
k=1
k
In particolare, ritroviamo la serie armonica +∞ 1
P
k=0 k
= +∞

6.2 Serie a termini di segno qualunque


Premesse: lo studio del carattere di una serie qualunque, senza ipotesi sul segno dei suoi
addendi, puó essere difficile e legato alla specificità del singolo caso. Non esistono criteri
generali di convergenza.

P
Definizione. (Convergenza assoluta) Sia an una serie di numeri reali. Si dice
che essa converge assolutamente (o che é assolutamente convergente) se la serie,
X
|an |

é convergente.

P
Osservazione. Per la definizione di valore assoluto, la serie |an | ha termini posi-
tivi. Ad essi si applicano dunque tutte le considerazioni viste per quel tipo di serie
numeriche.

97
Proposizione. Ogni serie assolutamente convergente é convergente.
P
Dimostrazione. Proponiamo due diverse dimostrazioni. Sia an una serie assolu-
tamente convergente.

1. Definiamo bn = max{an , 0} e cn = max{−an , 0}, e osserviamo che an = bn − cn .


Per definizione, 0 ≤ bn ≤ |an | e 0 ≤ cn ≤ |an |. Per confronto, le serie a termini
P P P P
positivi bn e cn sono convergenti. Quindi anche (bn − cn ) = an é
convergente.
P
2. Per ipotesi, |an | converge, e dunque soddisfa il criterio di Cauchy. Fissato ε > 0,
esiste un intero νε tal che,
n+p
X
|ak | < ε
k=n+1

Per ogni n > νε e ogni p ∈ N. Usando la disuguaglianza triangolare,


n+p n+p
X X
ak ≤ |ak | < ε



k=n+1 k=n+1

P P
e pertanto anche ak soddisfa il criterio di Cauchy. Come sappiamo, ak é
allora una serie convergente. 

Schematicamente,

assolutamente convergente ⇒ convergente

Ogni volta che un matematico legge una implicazione logica, la domanda piú naturale
é se valga anche l’implicazione opposta. Anticipiamo la risposta: NO. Per fornire un
controesempio, introduciamo una nuova classe di serie numeriche.

Definizione. (Serie a segno alterno) Sia {ak }k una successione di numeri posi-
tivi. La serie (−1)k ak si chiama serie a termini di segno alterno.
P

P
Osservazione. In modo apparentemente generale, una serie bk é a segno alterno
se b2k ≥ 0, b2k+1 ≤ 0, per ogni k (o viceversa). Tuttavia é chiaro che,
X X
bk = (−1)k |bk |

98
e ci si riconduce alla definizione precedente.
Il fatto che gli addendi di una serie siano un po’ positivi e un po’ negativi non é sufficiente
per parlare di serie a segni alterni. Questa nome é riservato alle serie i cui addendi siano
alternativamente di segni opposti.

(−1)k ak sia una serie a segni alterni. Se,


P
Teorema. (Leibniz) Supponiamo che

• lim ak = 0
k→+∞

• a1 ≥ a2 ≥ a3 ≥ ... ≥ ak ≥ ... ≥ 0

Allora (−1)k ak é convergente.


P

Dimostrazione. Sia {sn }n la successione delle somme parziali di (−1)k ak . Si ha,


P

s2n+2 = s2n −a2n+1 + a2n+2 ≤ s2n ,


| {z }
≤0

s2n+1 = s2n − a2n+1 ≤ s2n , s2n+1 = s2n−1 +a2n − a2n+1 ≥ s2n−1


| {z }
≥0

Quindi {s2n }n é decrescente, mentre {s2n+1 }n é crescente. Inoltre,

s2n+1 ≤ s2n ≤ ... ≤ s2 = −a1 + a2

s2n ≥ s2n+1 ≥ ... ≥ s1 = −a1

Si puó allora concludere che esistono finiti

S = lim s2n , σ = lim s2n+1


n→+∞ n→+∞

Ora,
S − σ = lim (s2n − s2n+1 ) = lim a2n+1 = 0
n→+∞ n→+∞

e dunque abbiamo S = σ. Questo dimostra che {sn }n converge. 

Osservazione. La convergenza assoluta é una richiesta piú forte della semplice conver-
genza di una serie numerica, e in generale non c’é equivalenza tra i due concetti di
convergenza. Per esempio la serie armonica a segni alterni,

+∞
X (−1)n
n=1
n

99
converge per il teorema di Leibniz, ma non converge assolutamente.

7 Il calcolo differenziale
Definizione. (Derivata) Sia I un intervallo aperto di R, sia x ∈ I e sia f : I → R
una funzione a valori reali definita su I. Diremo che f é derivabile nel punto x se esiste
un numero reale A tale che,

f (x + h) = f (x) + Ah + o(h) per h → 0

In questo caso il numero A é chiamato derivata di f nel punto x, ed ;e indicato con uno
dei seguenti simboli:
df
f 0 (x), Df (x), df (x),
dx

Teorema. Nelle stesse ipotesi della precedente definizione, sono equivalenti:

(i) f é derivabile in x;
f (x + h) − f (x)
(ii) Esiste finito il limite lim (Il limite del rapporto incrementale);
h→0 h
(iii) Esiste una funzione ω, continua in zero, tale che f (x + h) − f (x) = ω(h)h per ogni
h ∈ R tale che x + h ∈ I.

Dimostrazione. (i) ⇒ (ii) Per ipotesi, esiste una funzione σ = σ(h), definita in un
intorno di h = 0, tale che f (x + h) = f (x) + Ah + σ(h)h, e σ(h) → 0 per h → 0. Per
ogni h 6= 0,
f (x + h) − f (x)
= A + σ(h)
h
e pertanto
f (x + h) − f (x)
lim =A
h→0 h
(ii) ⇒ (iii) Definiamo, per ogni h tale che x + h ∈ I,

 f (x+h)−f (x) se h 6= 0
h
ω(h) =
A se h = 0

100
Per l’ipotesi (ii), limh→0 ω(h) = A, e dunque ω é continua in h = 0. Inoltre,

f (x + h) − f (x) = ω(h)h

per ogni h tale che x + h ∈ I.


(iii) ⇒ (i) Poiché ω(h) → ω(0) per h → 0, possiamo scrivere ω(h) = ω(0) + o(1) per
h → 0. Quindi,
f (x + h) − f (x) = [ω(0) + o(1)]h
= ω(0)h + o(1)h
= ω(0)h + o(h) per h → 0
Quindi f é derivabile in x ∈ I, e f 0 (x) = ω(0). 

In virtú del teorema appena dimostrato, possiamo enunciare il seguente risultato,

Proposizione. Una funzione f : I → R é derivabile in x ∈ I se e solo se esiste


finito,
f (x + h) − f (x)
lim
h→0 h
Il valore di tale limite é la derivata di f in x.

Definizione. (Derivabilitá) Una funzione f é derivabile in I se essa é derivabile


in ogni punto x ∈ I.

Esempi fondamentali

• Ogni funzione costante é derivabile, e la sua derivata é ovunque nulla. Infatti, sia
f costante in un intervallo aperto I, e sia x ∈ I. Poiché f é costante, per ogni
h ∈ R tale che x + h ∈ I, si ha f (x + h) = f (x) e dunque f (x + h) = f (x) + |{z}
0 ·h
f 0 (x)

Osservazione. Con il cambio di variabile x + h = t, la relazione di derivabilitá diventa,

f (t) = f (x) + A(t − x) + o(t − x) per t → x

Useremo spesso questa forma equivalente, cosı́ come,

f (t) − f (x)
f 0 (x) = lim
t→x t−x

101
• Per ogni n ∈ N, la funzione pn : x → xn é derivabile in ogni x ∈ R, e vale
p0n (x) = nxn−1 . é infatti sufficiente osservare che, per ogni x, t ∈ R, si ha,

tn − xn = (t − x)(tn−1 + tn−2 x + tn−3 x2 + ... + xn−1 )

Quando t → x,

tn − xn
−→ xn−1 + xn−1 + ... + xn−1 = nxn−1
t−x

• Le funzioni sin e cos sono derivabili in ogni punto, e risulta D sin x = cos x,
D cos x = − sin x. Ci accontentiamo di dimostrare la formula per la funzione seno.
Per ogni x ∈ R e h ∈ R, risulta sin(x + h) = sin x cos h + cos x sin h. Pertanto,

sin(x + h) − sin x = sin x(cos h − 1) + cos x sin h

e quindi,
1
z }| {
sin(x + h) − sin x cos h − 1 sin h
= sin x + cos x
h | {zh } h
0

sicché,
sin(x + h) − sin x
lim = cos x
h→0 h
• La funzione esponenziale exp : x 7→ ex é derivabile in ogni punto, e si ha,

Dex = ex ∀x ∈ R

Si dice quindi che exp é invariata rispetto alla derivata. Infatti ex+h = ex eh , sicché,

eh − 1 x
ex+h − ex = (eh − 1)ex ⇒ lim e = ex
h→0 h
| {z }
1

Grazie al limite notevole per l’esponenziale.

• Usando il limite notevole per il logaritmo (naturale), si dimostra che la funzione


x 7→ ln x é derivabile in ogni x > 0, e risulta,

1
D ln x = ∀x > 0
x

102
Proposizione. Siano I un intervallo aperto, f : I → R, x ∈ I. Se f é derivabile in x,
allora f é continua in x.
Dimostrazione. Per ipotesi, f (t) = f (x) + f 0 (x)(t − x) + o(t − x). Quindi,

lim f (t) = lim(f (x) + f 0 (x)(t − x) + o(t − x)) = f (x)


t→x t→x | {z } | {z }
→0 →0

E poiché questa é la definizione di continuità, la dimostrazione si conclude. 

Leggendo questo risultato come una condizione necessaria per la derivabilitá, pos-
siamo affermare che una funzione discontinua in un certo punto non puó essere derivabile
in tale punto. Ma non é vero il viceversa, cioé che ogni funzione continua é necessaria-
mente derivabile. Un esempio é la funzione x 7→ |x|.

Proposizione. Siano f, g definite in un intervallo aperto I, e supponiamo che siano


derivabili in un punto x ∈ I. Allora anche le funzioni f + g, f · g sono derivabili in x, e
valgono le formule,
(f + g)0 (x) = f 0 (x) + g 0 (x)

(f g)0 (x) = f 0 (x)g(x) + f (x)g 0 (x)

Dimostrazione. Per ipotesi, esistono due funzioni σ e τ tali che σ(h) → 0, τ (h) → 0
per h → 0, e inoltre,
f (x + h) = f (x) + f 0 (x)h + σ(h)h

g(x + h) = g(x) + g 0 (x)h + τ (h)h

Quindi,

f (x + h) + g(x + h) = f (x) + f 0 (x)h + σ(h)h + g(x) + g 0 (x)h + τ (h)h


= f (x) + g(x) + [f 0 (x) + g 0 (x)]h + [σ(h) + τ (h)]h

 
Poiché lim σ(h) + τ (h) = 0, concludiamo che f + g é derivabile in x, e,
h→0

(f + g)0 (x) = f 0 (x) + g 0 (x)

103
Passiamo al prodotto.

f (x + h)g(x + h) = f (x) + f 0 (x)h + σ(h)h g(x) + g 0 (x)h + τ (h)h


  

= f (x)g(x) + f (x)g 0 (x)h + f (x)τ (h)h + f 0 (x)g(x)h + f 0 (x)g 0 (x)h2


+ f 0 (x)τ (h)h2 + σ(h)g(x)h + σ(h)g 0 (x)h2 + σ(h)τ (h)h2
= f (x)g(x) + f 0 (x)g(x) + f (x)g 0 (x) h + f (x)τ (h) + f 0 (x)g 0 (x)h
  

+ f 0 (x)τ (h)h + g(x)σ(h) + g 0 (x)σ(h)h + σ(h)τ (h)h h




Per concludere, é sufficiente osservare che tutti i termini nella seconda parentesi quadra
tendono a zero per h → 0. 

Osservazione. La formula

(f g)0 (x) = f 0 (x)g(x) + f (x)g 0 (x)

é conosciuta con il nome di formula di Leibniz.

Proposizione. Se f, g sono come nella proposizione precedente, e se g é diverso


da zero nel punto x, allora f /g é derivabile, e vale la formula,
 0
f f 0 (x)g(x) − f (x)g 0 (x)
(x) = 2
g g(x)

Dimostrazione. Poiché g é continua in x, l’ipotesi g(x) 6= 0 implica che g sia


diversa da zero in un intorno di x. Come sopra, per h 6= 0 abbastanza piccolo.

f (x + h) f (x) f (x + h)g(x) − f (x)g(x + h)


− =
g(x + h) g(x) g(x + h)g(x)
1 h  i
= f (x + h) − f (x) g(x) − f (x) g(x + h) − g(x)
g(x + h)g(x)

Quindi,

f (x+h) f (x)
g(x+h)
− g(x) 1 h f (x + h) − f (x) g(x + h) − g(x) i
lim = lim g(x) − f (x)
h→0 h h→0 g(x + h)g(x) h h
1 h
0 0
i
= 2 f (x)g(x) − f (x)g (x) 
g(x)

104
Teorema. (Chain rule) Siano I e J due intervalli aperti, f : I → J, g : J → R, x ∈ I;
supponiamo che f sia derivabile in x e che g sia derivabile in f (x). Allora la funzione
h = g ◦ f é derivabile in x, e risulta,

h0 (x) = g 0 f (x) f 0 (x)




Dimostrazione. Per t ∈ I, y ∈ J, possiamo scrivere,

f (t) = f (x) + f 0 (x)(t − x) + σ(t)(t − x)

g(y) = g f (x) + g 0 f (x) y − f (x) + τ (y) y − f (x)


   

Dove σ(t) → 0 per t → x, e τ (y) → 0 per y → f (x). Quindi,

h(t) = g f (t) = g f (x) + g 0 f (x) f (t) − f (x) + τ f (t) f (t) − f (x)


     
h i
= h(x) + g 0 f (x) f 0 (x)(t − x) + σ(t)(t − x) + τ f (t) f 0 (x)(t − x) + σ(t)(t − x)
 
h i
= h(x) + g f (x) (t − x) + σ(t) g f (x) (t − x) + τ f (t) (t − x) + f 0 (x)τ f (t) (t − x)
0 0
   

Notiamo che tutto ció a destra del secondo termine tende a zero per t → x. Inoltre,
ricordando che f é continua in x, concludiamo che,

h(t) = h(x) + g 0 f (x) (t − x) + o(t − x)



per t → x 

Teorema. (Derivata della funzione inversa) Sia f una funzione continua e invert-
ibile nell’intervallo (a, b). Supponiamo che f sia derivabile nel punto x ∈ (a, b) e che
risulti f 0 (x) 6= 0. Allora la funzione inversa f −1 é derivabile nel punto y = f (x), e
risulta,
1
(f −1 )0 (y) = 0
f (x)
Dimostrazione. Sappiamo giá che f −1 é continua nel punto y = f (x), essendo la
funzione inversa di una funzione definita e invertibile in un intervallo. Consideriamo la
funzione, 
 t−x se t 6= x
v(t) = f (t)−f (x)
 1 se t = x
f 0 (x)

105
La funzione v é continua nel punto x, e inoltre,

f −1 (z) − f −1 (y) h i
= v f −1 (z) f −1 (z) → f −1 (y) = x

∀z 6= y
z−y

Passando al limite per z → y, abbiamo,

f −1 (z) − f −1 (y) 1
= lim v f −1 (z) = v f −1 (y) = v(x) = 0
 
lim 
z→y z−y z→y f (x)

Esempi:

• D arcsin x = √ 1 ∀x ∈ (−1, 1)
1−x2

1
• D arccos x = − √1−x2 ∀x ∈ (−1, 1)

Poiché la derivata é un limite, ha senso distinguere il limite per eccesso e quello per difetto.

Definizione. (Derivata destra e sinistra) Sia f : [a, b] → R una funzione. Se


x ∈ [a, b], chiameremo derivata destra il limite,

f (t) − f (x)
lim+ = f+0 (x) = D+ f (x)
t→x t−x

Analogamente la derivata sinistra é il,

f (t) − f (x)
lim− = f−0 (x) = D− f (x)
t→x t−x

Osserviamo che nel punto x = a ha senso parlare solo della derivata destra, e nel punto
x = b solo della derivata sinistra.

7.1 Punti singolari


Definizione. (Funzioni singolari) Una funzione, definita almeno in un intorno di un
punto x, é detta singolare in x se essa é continua in x, ma non é derivabile in x.
Osservazione. La condizione di continuità esclude i casi ”banali” in cui l’assenza della
derivata é causata da una discontinuità.

106
In accordo con la definizione data, la classificazione dei punti singolari é abbastanza
semplice,

I. Punto angoloso. Nel punto x, sia f+0 (x) che f−0 (x) sono finite ma diverse.

II. Cuspide. Nel punto x, una delle derivate +/− é finita e l’altra é infinita; oppure
sono entrambe infinite ma di segno opposto.

III. Punto a tangente verticale. Nel punto x, le due derivate +/− sono entrambe
infinite, con lo stesso segno.

IV. Singolarità essenziale. Nel punto x, almeno una delle derivate +/− non esiste.

Definizione. (Funzione derivata) Sia f una funzione derivabile in un intervallo


aperto I. La funzione derivata é la funzione,

f 0 : I → R, x 7→ f 0 (x)

Definizione. (Derivata seconda) Se f é derivabile in un intervallo aperto I, diremo


che f é derivabile due volte in x ∈ I se f 0 é derivabile in x. La derivata di f 0 in x é
allora chiamata la derivata seconda di f in x, e denotata con uno dei simboli,

d2 f
f 00 (x), D2 f (x),
dx2

In modo analogo si definiscono le derivate terze, quarte, ecc. In generale, la derivata


n-esima di f in x é denotata con uno dei simboli f (n) (x), Dn f (x)

É interessante osservare che in alcuni casi non possiamo calcolare direttamente f 0 (x0 )
come il limx→x0 f 0 (x), ma é necessario passare per la definizione limt→x0 f (t)−f
t−x0
(x0 )
per
avere un risultato finito.

Definizione. (Classi di regolaritá) Se f é continua in un insieme A, scriveremo


brevemente f ∈ C(A). Se f é derivabile in un insieme A, e se f 0 é continua in A,
scriveremo f ∈ C 1 (A) (si legge come f é C 1 in A). Piú in generale f ∈ C k (A), con
k ∈ N, se esistono in A le derivate f 0 , f 00 , ..., f (k−1) , e se f (k) é continua in A. In altre
parole: f ∈ C k (A) se f e tutte le sue derivate fino all’ordine k sono funzioni continue in A.

107
Definizione. Sia f una funzione a valori reali definite in un insieme A. Un punto
x0 ∈ A é un massimo (rispettivamente minimo) relativo di f , se esiste un intorno I(x0 , δ),
con δ > 0, tale che per ogni x ∈ I(x0 , δ) ∩ A si abbia,
 
f (x) ≤ f (x0 ) rispettivamente f (x) ≥ f (x0 )

Teorema di Fermat. Sia f : A → R e sia x0 ∈ A un punto di massimo o di minimo


relativo di f . Se x0 é un punto interno ad A e se f é derivabile in x0 , allora f 0 (x0 ) = 0.
Dimostrazione. Per fissare le idee, supponiamo che x0 sia un punto di minimo
interno ad A. Per definizione esiste δ > 0 tale che per ogni x ∈ I(x0 , δ) ∩ A, si abbia
f (x0 ) ≤ f (x). Se supponiamo x > x0 , risulta,

f (x) − f (x0 )
≥0
x − x0

e quindi,
f (x) − f (x0 )
lim+ = f+0 (x0 ) ≥ 0
x→x0 x − x0
Analogamente se x < x0 ,

f (x) − f (x0 )
lim− = f−0 (x0 ) ≤ 0
x→x0 x − x0

Ma per ipotesi f é derivabile in x0 , sicché f+0 (x0 ) = f−0 (x0 ), e concludiamo che f 0 (x0 ) é
sia ≥ 0 che ≤ 0. L’unica possibilità é che f 0 (x0 ) = 0. 

Osservazione. La tesi é in generale falsa, se il punto x0 non é interno ad A. (Gli


estremi possono non avere derivata nulla, infatti bisogna controllare anche quei punti
per stabilire massimo e minimo assoluti)

Definizione. (Punti stazionari) I punti dove una funzione derivabile ha derivata


nulla si dicono punti critici o stazionari.

Teorema di Rolle. Sia g una funzione continua in [a, b] e derivabile in (a, b). Se
g(b) = g(a), esiste un punto ξ ∈ (a, b) tale che g 0 (ξ) = 0
Dimostrazione. Per il teorema di Weierstrass, g possiede massimo e minimo
assoluti in [a, b]. Se questi punti di massimo e minimo cadono entrambi negli estremi,

108
allora g é costante in [a, b]. La tesi allora é ovvia, poiché qualsiasi ξ ∈ (a, b) soddisfa
g 0 (ξ) = 0.
Se invece almeno uno dei punti di massimo e minimo di g cade in (a, b), per Fermat
risulta g 0 = 0 in tale punto. la tesi é cosi dimostrata in ogni caso. 

Teorema di Cauchy. Se f, g sono due funzioni continue in [a, b] e derivabili in


(a, b), allora esiste un punto ξ ∈ (a, b) tale che,

g(b) − g(a) f 0 (ξ) = f (b) − f (a) g 0 (ξ)


   

Osservazione. Siamo abituati di solito a vedere questo teorema espresso con la sua
variante in forma di frazione, ma é importante sottolineare come questa versione sia
meno restrittiva.
Dimostrazione. Definiamo, per ogni x ∈ [a, b],
   
h(x) = g(b) − g(a) f (x) − f (b) − f (a) g(x)

La funzione h é continua in [a, b] derivabile in (a, b), e risulta h(a) = h(b). Per Rolle,
esiste ξ ∈ (a, b) tale che h0 (ξ) = 0, cioé,

g(b) − g(a) f 0 (ξ) = f (b) − f (a) g 0 (ξ)


   


Corollario. (Lagrange, il teorema del valor medio) Se f é continua in [a, b] e


derivabile in (a,b), allora esiste ξ ∈ (a, b) tale che,

f (b) − f (a) = f 0 (ξ)(b − a)

Dimostrazione. Basta considerare la funzione g : x 7→ x nel teorema di Cauchy. 


Osservazione. Il teorema di Rolle, e dunque tutti i teoremi che si basano su di esso,
diventano in generale falsi se l’insieme di definizione non é un intervallo.

7.2 Derivate e monotonia


Proposizione. Sia f una funzione derivabile in (a, b).

1. f é costante in (a, b) se e solo se f 0 (x) = 0 per ogni x ∈ (a, b).

109
2. f é crescente in (a, b) se e solo se f 0 (x) ≥ 0 per ogni x ∈ (a, b)

Dimostrazione. (1) Sappiamo che f costante implica f 0 = 0 in ogni punto.


Viceversa se f 0 = 0 in (a, b), allora possiamo fissare due punti x1 e x2 ∈ (a, b) e applicare
il teorema di Lagrange: ∃ξ ∈ (x1 , x2 ) tale che f (x2 ) − f (x1 ) = f 0 (ξ)(x2 − x1 ) = 0 per
ipotesi. Poiché x1 e x2 sono due punti arbitrari di (a, b), f é costante in (a, b).
(2) Se f é crescente, per ogni x, x0 ∈ (a, b) si ha,

f (x) − f (x0 )
≥0
x − x0

Quindi,
f (x) − f (x0 )
0 ≤ lim = f 0 (x0 )
x→x0 x − x0
Viceversa, se f 0 (x) ≥ 0 per ogni x ∈ (a, b), fissiamo due punti qualsiasi x1 < x2 di (a, b)
e applichiamo il teorema di Lagrange: esiste ξ ∈ (x1 , x2 ) tale che,

f (x2 ) − f (x1 ) = f 0 (ξ) (x2 − x1 ) ≥ 0


| {z } | {z }
≥0 >0

sicché f (x1 ) ≤ f (x2 ). Dunque f é crescente in (a, b). 


Osservazione. É falso, in generale, che una funzione strettamente crescente abbia derivata
strettamente positiva.

7.3 Un criterio per la Lipschitzianitá


Proposizione. Sia f una funzione continua in [a, b] e derivabile in (a, b). Se f 0 é
limitata in (a, b), allora f é Lipschitziana.
Dimostrazione. Per ipotesi, esiste una costante m ∈ R tale che f 0 (ξ) ≤ m per
ogni ξ ∈ (a, b). Presi due punti x1 , x2 di [a, b], esiste ξ ∈ (x1 , x2 ) tale che,

f (x2 ) − f (x1 ) = f 0 (ξ)(x2 − x1 ) ⇒ |f (x2 ) − f (x1 )| = |f 0 (ξ)||x2 − x1 | ≤ m|x2 − x1 |

Quindi f é Lipschitziana in [a, b]. 

110
7.4 De l’Hospital
Il teorema, o talvolta la regola, di De l’Hopital é uno degli strumenti piú conosciuti e
dibattuti dell’intera analisi matematica.

Teorema. (Bernoulli - l’Hopital) Siano f, g due funzioni derivabili in (a, b) e tali


che g 0 (x) 6= 0 per ogni x ∈ (a, b), dove −∞ ≤ a < b ≤ +∞. Supponiamo che,

f 0 (x)
−→ A per x → a+
g 0 (x)

Se,

1. f (x) → 0 e g(x) → 0 per x → a+ , oppure

2. g(x) → +∞ per x → a+ ,

allora,
f (x)
−→ A per x → a+
g(x)
Osservazione. Nell’enunciato A ∈ R e = R ∪ {±∞}. Inoltre l’enunciato é valido per
x → b− , o se g(x) → −∞. É giusto precisare che questo teorema lavora in una sola
direzione, e non é detto che valga il suo inverso.
Dimostrazione. Consideriamo innanzitutto il caso −∞ ≤ A < +∞. Sia q un
numero reale tale che q > A, e sia r un numero tale che,

A<r<q

Per ipotesi, esiste un numero c ∈ (a, b) tale che a < x < c implica,

f 0 (x)
<r
g 0 (x)

Se a < x < y < c, il teorema di Cauchy implica l’esistenza di un punto t ∈ (x, y) tale
che,
f (x) − f (y) f 0 (t)
= 0 <r (∗)
g(x) − g(y) g (t)
Se vale l’ipotesi 1, passando al limite per x → a+ , otteniamo,

f (y)
≤r<q ∀q < y < c
g(y)

111
Se vale invece l’ipotesi 2, possiamo scegliere un punto c1 ∈ (a, c) tale che g(x) > g(y) e
g(x) > 0 se a < x < c1 . Da (∗) deduciamo quindi (moltiplichiamo (∗) per g(x)−g(y)
g(x)
),

f (x) g(y) f (y)


<r−r + ∀a < x < c1
g(x) g(x) g(x)

Poiché g(x) → +∞ per x → a+ , esiste un punto c2 ∈ (a, c1 ) tale che a < x < c2 implica,

f (x)
≤r<q
g(x)

Abbiamo cosı́ dimostrato che, per ogni q > A esiste c2 ∈ R tale che se a < x < c2 , allora
f (x)
g(x)
< q. Ragionando in modo analogo, possiamo dimostrare che, se −∞ < A ≤ +∞,
scelto arbitrariamente p < A, esiste c3 ∈ R tale che a < x < c3 implica fg(x)
(x)
> p. Queste
f (x)
due conclusioni dimostrano che g(x) → A per x → a+ . 

7.5 Funzioni convesse


Definizione. Sia I un intervallo (aperto, chiuso, limitato oppure illimitato), e sia
f : I → R. Diciamo che f é una funzione convessa in I, se per ogni λ ∈ [0, 1] e per ogni
x1 , x2 ∈ I, risulta,

f (λx2 + (1 − λ)x1 ) ≤ λf (x2 ) + (1 − λ)f (x1 )

Diciamo che f é concava in I se −f é convessa in I.


Osservazione. Fissati x1 , x2 ∈ I, al variare del parametro λ ∈ [0, 1] il punto λx2 +(1−λ)x1
descrive il segmento di estremi x1 e x2 . Chiedere che f sia convessa in I é allora equiva-

lente alla seguente condizione geometrica, scelti arbitrariamente due punti x1 , f (x1 ) e

x2 , f (x2 ) sul grafico di f , la curva y = f (x) giace al di sotto della retta che congiunge
 
x1 , f (x1 ) con x2 , f (x2 ) .

f [λx1 + (1 − λ)x2 ]
λf (x1 ) + (1 − λ)f (x2 )

f (x)

x
x1 λx1 + (1 − λ)x2 x2

112
Per lavorare piú comodamente con le funzioni convesse é opportuno riscrivere la con-
dizione di convessità in un altro modo. Siano x1 , x2 ∈ I, e sia x un punto qualsiasi
compreso tra x1 e x2 . Poniamo x = λx2 + (1 − λ)x1 , e ricaviamo,

x − x1 x2 − x
λ= , (1 − λ) =
x2 − x1 x2 − x1

Quindi f é convessa se solo se per ogni x ∈ (x1 , x2 ), si ha,

x2 − x x − x1
f (x) ≤ f (x1 ) + f (x2 ) (1)
x2 − x 1 x2 − x1

Supponiamo che x2 > x1 , e deduciamo da (1),

(x2 − x1 )f (x) ≤ (x2 − x)f (x1 ) + (x − x1 )f (x2 ) (2)

Scriviamo ora x2 − x = (x2 − x1 ) − (x − x1 ):

(x2 − x1 )f (x) ≤ (x2 − x1 )f (x1 ) + (x − x1 )f (x1 ) + (x − x1 )f (x2 )

cioé,
f (x) − f (x1 ) f (x2 ) − f (x1 )

x − x1 x2 − x1
Scrivendo invece x2 − x1 = (x2 − x) + (x − x1 ) otteniamo,

f (x1 ) − f (x) f (x2 ) − f (x)



x1 − x x2 − x

Abbiamo cosı́ dimostrato,

Teorema. Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione reale f sia convessa
é che il rapporto incrementale preso a partire da un qualunque punto x0 , cioé la funzione,

f (x) − f (x0 )
x 7→ (x 6= x0 )
x − x0

sia monotona crescente.

Ricordando ora l’esistenza dei limiti per le funzioni monotone, possiamo dedurre
un’importante proprietà di regolarità delle funzioni convesse.

113
Teorema. Una funzione convessa definita in un intervallo I possiede in ogni punto x0
interno ad I la derivata destra f+0 (x0 ) e la derivata sinistra f−0 (x0 ), ed esse sono finite.
Inoltre f+0 (x0 ) ≥ f−0 (x0 ).

Corollario. Ogni funzione convessa definita in un intervallo I é continua in tutti


i punti interni di I.

7.6 Criteri di convessità


Il calcolo differenziale ci aiuta, attraverso il ”solito” teorema di Lagrange, ad esprimere
anche la convessità attraverso le proprietà delle derivate della funzione.

Teorema. Sia f una funzione derivabile in un intervallo [a, b]. Condizione neces-
saria e sufficiente affinché f sia convessa in [a, b] é che f 0 sia una funzione monotona
crescente.
Dimostrazione. Supponiamo che f sia crescente in I. Abbiamo visto sopra che,
presi x1 < x < x2 , risulta,

f (x1 ) − f (x) f (x2 ) − f (x)



x1 − x x2 − x

Per x → x1 , otteniamo,
f (x2 ) − f (x1 )
f 0 (x1 ) ≤
x2 − x1
Per x2 → x1 , otteniamo infine,
f 0 (x1 ) ≤ f 0 (x2 )

Cioé la monotonia di f 0 .
Viceversa, supponiamo che x 7→ f 0 (x) sia crescente in [a, b]. Presi tre punti x1 < x < x2
in [a, b] esistono ξ1 e ξ2 tali che x1 < ξ1 < x < ξ2 < x2 e,

f (x) − f (x1 ) f (x2 ) − f (x)


= f 0 (ξ1 ), = f 0 (ξ2 )
x − x1 x2 − x

Poiché ξ1 < ξ2 , abbiamo f 0 (ξ1 ) ≤ f 0 (ξ2 ), cioé

f (x) − f (x1 ) f (x2 ) − f (x)



x − x1 x2 − x

114
Come visto, questo significa che f é convessa in [a, b]. 

A questo punto, ricordando il legame dimostrato fra monotonia e segno della derivata,
possiamo enunciare il seguente criterio della derivata seconda,

Teorema. Sia f una funzione due volte derivabile nell’intervallo [a, b]. Condizione
necessaria e sufficiente affinché f sia convessa in [a, b] é che f 00 (x) ≥ 0 per ogni punto x.

Definizione. (Punto di flesso) Sia I un intervallo, e sia f una funzione definita e


derivabile in I. Un punto x0 ∈ I é un punto di flesso della funzione f se x0 é estremo
comune di due intervalli in uno dei quali f é convessa e nell’altro concava.

Concludiamo con una condizione necessaria per l’esistenza di un punto di flesso. Alla
luce delle caratterizzazioni viste, questo risultato é analogo al teorema di F ermat per i
punti estremanti.

Proposizione. Sia f una funzione derivabile in (a, b) e sia x0 ∈ (a, b) un punto


di flesso. Se f é derivabile due volte in x0 , allora f 00 (x0 ) = 0.

7.7 Approssimazione locale con polinomi


Definizione. (Polinomio di Taylor) Sia f una funzione definita in un intervallo
[a, b], e sia x0 un punto di (a, b). Se esistono le derivate f 0 (x0 ), f 00 (x0 ), ..., f (n−1) (x0 ),
definiamo il polinomio di Taylor ,

n−1
X Dk f (x0 )
Pn−1 (x; x0 ) = (x − x0 )k
k=0
k!
f 00 (x0 ) f n−1 (x0 )
= f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + (x − x0 )2 + ... + (x − x0 )n−1
2 (n − 1)!

Il resto é,
Tn (x; x0 ) = f (x) − Pn−1 (x; x0 )

Osservazione. P0 (x; x0 ) = f (x0 ) é un polinomio di grado zero, e P1 (x; x0 ) = f (x0 ) +


f 0 (x0 )(x − x0 ) é una retta tangente in x0 , f (x0 ) .


115
Dimostriamo ora che il polinomio di Taylor é uno strumento di approssimazione locale
di f in un intorno del punto x0 .

Teorema. Supponiamo che valgano le ipotesi della definizione precedente.

(I) Resto di Peano.


Se esiste f (n) (x0 ), allora,

f (n) (x0 )
Tn (x; x0 ) = (x − x0 )n + o(|x − x0 |n ) per x → x0
n!

(II) Resto di Lagrange.


Supponiamo che le derivate di f , fino all’ordine n − 1, esistano e siano continue in
(a, b), e che la derivata di ordine n esiste in (a, b). Allora esiste un punto θ ∈ (a, b)
tale che,
f (n) (θ)
Tn (x; x0 ) = (x − x0 )n
n!
Osservazione. La formula con resto di Peano formalizza il fatto che Pn−1 (x; x0 ) rappre-
senta una approssimazione locale della funzione f in un intorno di x0 , e che l’errore di
approssimazione ha ordine di grandezza superiore a |x − x0 |n quando x → x0 .
Dimostrazione. (I) Dimostriamo per induzione che,

f (n) (x0 )
f (x) − f (x0 ) − f 0 (x0 )(x − x0 ) − ... − n!
(x − x0 )n
lim =0 (∗)
x→x0 (x − x0 )n

La relazione (∗) é senz’altro vera per n = 1, ricordando la definizione di derivata come


linearizzazione di f in x0 .
Supponiamo che (∗) sia vera per n − 1 ∈ N, e deduciamo che essa é vera anche per n. Il
limite in (∗) é una forma 00 . Usiamo il teorema di De l’Hospital, per concludere che
 

(∗) é vera non appena,


n−1
f 0 (x) − f 0 (x0 ) − ... − f (n) (x0 ) (x−x 0)
(n−1)!
lim =0
x→0 n(x − x0 )n−1

Per l’ipotesi induttiva (applicata alla funzione f 0 ), quest’ultima relazione é vera, e ne


deduciamo dunque che (∗) é vera per n. Il principio di induzione ci consente di affermare
che (I) é soddisfatta per ogni ordine n ∈ N.

116
La dimostrazione di (II) é piú articolata. Introduciamo le funzioni ausiliari,

F (x) = f (x) − Pn−1 (x; x0 ), G(x) = (x − x0 )n

Osserviamo che G(k) 6= 0 per x 6= x0 , k = 0, 1, 2..., n − 1. Inoltre,

F (x0 ) = F 0 (x0 ) = F 00 (x0 ) = ... = F (n−1) (x0 ) = 0

G(x0 ) = G0 (x0 ) = G00 (x0 ) = ... = G(n−1) (x0 ) = 0, G(n) (x0 ) = n!

Applichiamo ripetutamente il Teorema del valor medio di Cauchy:

F (x) F (x) − F (x0 ) F 0 (x1 ) F 0 (x1 ) − F 0 (x0 )


= = 0 = 0 =
G(x) G(x) − G(x0 ) G (x1 ) G (x1 ) − G0 (x0 )
F 00 (x2 ) F (3) (x3 ) F (n) (xn )
= 00 = · · · = (3) = · · · = (n)
G (x2 ) G (x3 ) G (xn )

per opportuni punti,


a < xn < xn−1 < ... < x1 < b

l’uguaglianza,

F (x) F (n) (xn ) Rn (x; x0 ) f (n) (xn )


= (n) coincide con = θ = xn ∈ (a, b)
G(x) G (xn ) (x − x0 )n n!

E questo conclude la dimostrazione. 


Osservazione. La scelta del punto-base x0 é in realtá apparente. É sempre possibile
ricondursi al caso x0 = 0 (e si parla del polinomio di Maclaurin) considerando f (x − x0 )
invece di f (x).

Esempi. In virtú della precedente osservazione, consideriamo x0 = 0,


n−1 k
X x
• ex = + o(xn ) per x → 0
k=0
k!

n−1
X (−1)k 2k+1
• sin x = x + o(x2n+2 ) per x → 0
k=0
(2k + 1)!

n−1
X (−1)k
• cos x = x2k + o(x2n ) per x → 0
k=0
(2k)!

117
n−1
X (−1)k+1
• ln(1 + x) = xk + o(xn ) per x → 0
k=1
k
• ···

Osservazione. La formula di Taylor con il resto di Peano é molto utile nel calcolo di
limiti. Importante : Meglio non ignorare il resto di Peano e scriverlo sempre con la sua
notazione, di modo che si possano semplificare con altri termini del limite, evitando
spiacevoli errori.
Il teorema di Taylor ci mostra come le derivate successive alla prima descrivono in
modo sempre piú accurato l’andamento di una funzione nell’intorno di un punto fissato x0 .

8 Teoria dell’integrazione
Facciamo una breve introduzione storica,

• Uno dei progressi piú significativi dell’analisi matematica é stata l’intuizione di


separare il concetto di derivata. Fino ad allora i matematici si erano ostinati
a pensare in termini di ”operazione inversa della derivata”, ossia in termini di
”primitive”.

• Nella tradizione pedagogica della scuola, questo approccio classico é ancora preva-
lente: i liceali credono che il vero integrale sia quello indefinito.

• Nella matematica moderna, invece, le teorie della integrazione si occupano di


definire un concetto di integrale definito.

• esistono molteplici teorie dell’integrazione:

– Riemann (nelle varianti di Cauchy e Darboux)


– Lebesgue (partendo dalla teoria della misuram oppure in senso opposto,
secondo Daniell)
– Integrali di Gauge (Kurzweil, Henstock, ...) che generalizzano la definizione
di Riemann.

La teoria di Lebesgue, che tratteremo in corsi piú avanzati, é ormai uno strumento
essenziale per ogni matematico. L’interesse dell’integrale di Riemann non é peró solo
storico, poiché esso collega la teoria dell’integrazione definita con quella della derivata.

118
In questo capitolo, considereremo funzioni limitate f su un intervallo chiuso e lim-
itato [a, b].

Definizione. (Partizioni) Una partizione P di [a, b] é un insieme finito di punti,

a = x0 < x1 < x2 < ... < xn−1 < xn = b

Definizione. (Somme inferiori e superiori) Consideriamo un partizione P . Per


ogni sotto-intervallo [xk−1 , xk ] di P , poniamo,

mk = inf f (x); Mk = sup f (x)


xk−1 ≤x≤xk xk−1 ≤x≤xk

La somma inferiore di f rispetto a P é,


n
X
L(f, P ) = mk (xk − xk−1 )
k=1

e la somma superiore di f rispetto a P é,


n
X
U (f, P ) = Mk (xk − xk−1 )
k=1

Osservazione. (xk − xk−1 ) corrisponde alla lunghezza dell’intervallo [xk , xk−1 ]. Inoltre
L(f, P ) ≤ U (f, P ) poiché mk ≤ Mk .

Cerchiamo di ottenere un oggetto in qualche modo indipendente dalla partizione scelta,


Lemma. Se una partizione Q é un raffinamento di P (P ⊂ Q), allora,

L(f, Q) ≥ L(f, P ) e U (f, Q) ≤ U (f, P )

Dimostrazione. Consideriamo il caso in cui Q contenga esattamente un punto in


piú di P , cioé Q = P ∪ {z}. Per qualche k = 1, 2, ..., n si ha xk−1 < z < zk . Risulta
quindi,

mk (xk − xk−1 ) = mk (xk − z) + mk (z − xk−1 ) ≤ m0k (xk − z) + m00k (z − xk−1 )

119
dove,
m0k = inf f (x) m00k = inf f (x)
z≤x≤xk xk−1 ≤x≤z

sono entrambe maggiori o uguali a mk . Quindi L(f, Q) ≥ L(f, P ). In modo simile si


dimostra che U (f, Q) ≤ U (f, P ). Se Q é ottenuta aggiungendo a P due o piú punti, si
puó iterare il ragionamento precedente un numero finito di volte. 

Lemma. Se P1 , P2 sono due partizioni di [a, b], allora,

L(f, P1 ) ≤ U (f, P2 )

Dimostrazione. Sia Q = P1 ∪ P2 il cosiddetto raffinamento comune di P1 e P2 . Per il


lemma precedente,

L(f, P1 ) ≤ L(f, Q) ≤ U (f, Q) ≤ U (f, P2 ) 

Definizione. (Integrale) Sia P la collezione di tutte le possibili partizioni di [a, b].


Definiamo l’integrale inferiore e l’integrale superiore di f esteso ad [a, b] rispettivamente
come, Z b n o
f dx = sup L(f, P ) | P ∈ P
a

Z b n o
f dx = inf U (f, P ) | P ∈ P
a

Diremo che f é Riemann-integrabile in [a, b] se,


Z b Z b
f dx = f dx
a a

Rb
e in questo caso scriveremo a
f dx per indicare il comune valore dei due membri della
precedente equazione.

Osservazione. La notazione dell’integrale é ridondante, poiché il simbolo dx non


Rb
ha alcun ruolo significativo. Per questo scriveremo spesso a f .
Rb Rb Rb
Al contrario, é talvolta utile scrivere a f (x) dx, oppure a f (t) dt, o a f (s) ds... poiché
la variabile di integrazione é muta, e puó essere sostituita da qualunque lettera.

120
Teorema. (Criterio fondamentale di integrabilitá) Una funzione limitata f é
integrabile su [a, b] se e solo se, per ogni ε > 0 esiste una partizione Pε di [a, b] tale che,

U (f, Pε ) − L(f, Pε ) < ε

Dimostrazione. Sia ε > 0. Se esiste una siffatta partizione Pε , risulta,


Z b Z b
0≤ f− f ≤ U (f, Pε ) − L(f, Pε ) < ε
a a

Rb Rb
Per l’arbitrarietá di ε > 0, a f = a f , e f é allora Riemann integrabile.
Viceversa, sia f integrabile per definizione, esiste una partizione P1 di [a, b] tale che,
Z b
ε
U (f, P1 ) < f+
a 2

Similmente, esiste una partizione P2 di [a, b] tale che,


Z b
ε
f− < L(f, P2 )
a 2

Rb Rb Rb
Posto Pε = P1 ∪ P2 , e ricordando che a
f= a
f= a
f , si ha,

Z b Z b
ε ε
U (f, Pε ) − L(f, Pε ) ≤ U (f, P1 ) − L(f, P2 ) < f+ − f+ =ε 
a 2 a 2

Corollario. Una funzione limitata f é integrabile su [a, b] se e solo se esiste una


successione {Pn }n di partizioni di [a, b] tale che,
 
lim U (f, Pn ) − L(f, Pn ) = 0
n→+∞

In questo caso, Z b
f = lim U (f, Pn ) = lim L(f, Pn )
a n→+∞ n→+∞

Esempio. Si potrebbe considerare la partizione Pn di un intervallo [a, b] ottenuta


dividendo [a, b] in n parti uguali,

b−a b−a b−a b−a b−a


0<1 <2 <3 < ... < (n − 1) <n =b−a
n n n n n

121
Il criterio fondamentale di integrabilitá é molto utile - anche nella variante per suc-
cessioni - da un punto di vista teorico. É peró scarsamente maneggevole nei casi concreti.

Proposizione. Se f é continua in [a, b], allora f é integrabile.


Dimostrazione. Poiché [a, b] é chiuso e limitato, sappiamo che é un insieme
compatto. Quindi f é uniformemente continua in [a, b].
ε
Dato ε > 0, esiste δ > 0 tale che, |x − y| < δ implica |f (x) − f (y)| < b−a . Sia P una
partizione di [a, b] tale che ∆xk = xk − xk−1 sia minore di δ per ogni k = 1, 2, ..., n. Per
il teorema di Weistrass, per ogni k esistono punti zk e yk in [xk−1 , xk ] tali che,
 
f (zk ) = max f (x) | xk−1 ≤ x ≤ xk f (yk ) = min f (x) | xk−1 ≤ x ≤ xk

Dunque
n  n
X  ε X ε
U (f, P ) − L(f, P ) = f (zk ) − f (yk ) ∆xk < ∆xk = (b − a) = ε
k=1
b − a k=1 b−a

Quindi f é integrabile in [a, b]. 

Proposizione. Se f é monotona e limitata in [a, b], allora f é integrabile.


Dimostrazione. Per n ∈ N, suddividiamo [a, b] in n parti uguali mediante i ”nodi”,

b−a
xk = a + ·k con k = 1, 2, ..., n
n

Per fissare le idee, diciamo che f é crescente in [a, b]. Allora, Mk = f (xk ), mk = f (xk−1 ).
Pertanto troviamo una serie telescopica,
n  b − a
X b − a
U (f, Pn ) − L(f, Pn ) = f (xk ) − f (xk−1 ) = f (b) − f (a)
k=1
n n

Per n → +∞, U (f, Pn ) − L(f, Pn ) → 0, e quindi f é integrabile. La dimostrazione nel


caso in cui f sia decrescente in [a, b] é analoga. 

122
Esempio. Una funzione non integrabile. Sia g la funzione Dirichlet ristretta a [0, 1]:

1 se x ∈ [0, 1] é razionale
g(x) =
0 se x ∈ [0, 1] é irrazionale

Poiché Q é denso in R, qualunque sotto-intervallo di qualunque partizione di [0, 1]


contiene un punto (e quindi infiniti punti) tali che g = 1. Quindi U (g, P ) = 1. Per la
stessa ragione, L(g, P ) = 0. Dunque é impossibile soddisfare la condizione di integrabilitá,
essendo,
Z 1 Z 1
g = 1 6= 0 = g
0 0

Vediamo ora qualche proprietá dell’integrale. Per prima, l’additivitá rispetto al dominio
di integrazione, relazione di Chasles.
Proposizione. Supponiamo che f : [a, b] → R sia limitata, e sia c ∈ (a, b). La funzione
f é integrabile in [a, b] se e solo se é integrabile sia in [a, c], sia in [c, b]. In questo caso,
Z b Z c Z b
f= f+ f
a a c

Dimostrazione. Se f é integrabile in [a, b], per ogni ε > 0 esiste una partizione di
P tale che U (f, P ) − L(f, P ) < ε. Aggiungiamo il punto c alla partizione P , e poniamo
P1 = P ∩[a, c], P2 = P ∩(c, b). Segue che U (f, P1 )−L(f, P1 ) < ε, U (f, P2 )−L(f, P2 ) < ε,
dunque f é integrabile in [a, c] e in [c, b].
Viceversa, sia ε > 0: poiché f é integrabile in [a, c] e in [c, b], esistono partizioni P1 , P2
di [a, c] e di [c, b] tali che,

ε ε
U (f, P1 ) − L(f, P1 ) < , U (f, P2 ) − L(f, P2 ) <
2 2

La partizione P = P1 ∪ P2 di [a, b] soddisfa,

U (f, P ) − L(f, P ) < ε

Sicché f é integrabile in [a, b]. Inoltre,


Z b Z c Z b
f ≤ U (f, P ) ≤ L(f, P ) + ε ≤ L(f, P1 ) + L(f, P2 ) + ε ≤ f+ f +ε
a a c

123
e per l’arbitrarietà di ε > 0 abbiamo,
Z b Z c Z b
≤ f+ f
a a c

Similmente,
Z c Z b Z b
f+ f ≤ U (f, P1 ) + U (f, P2 ) < L(f, P1 ) + L(f, P2 ) + ε ≤ L(f, P ) + ε ≤ f +ε
a c a

Come sopra, concludiamo che,


Z c Z b Z b
f+ f≤ f
a c a

Unendo le due disuguaglianze, abbiamo dimostrato che,


Z b Z c Z b
f= f+ f 
a a c

L’insieme delle funzioni limitate e integrabili in [a, b] ha la struttura di uno spazio


vettoriale. Omettiamo la dimostrazione di questo risultato, che consiste in un gioco un
po’ ripetitivo con le partizioni e i raffinamenti.

Proposizione. Supponiamo f, g siano integrabili in [a, b].

(i) La funzione f + g é integrabile in [a, b], e risulta,


Z b Z b Z b
(f + g) = f+ g
a a a

(ii) Per ogni costante k ∈ R, la funzione k · f é integrabile in [a, b], e risulta,


Z b Z b
k·f =k f
a a

(iii) Se m ≤ f (x) ≤ M per ogni x ∈ [a, b], allora,


Z b
m(b − a) ≤ f ≤ M (b − a)
a

124
(iv) Se f (x) ≤ g(x) per ogni x ∈ [a, b], allora,
Z b Z b
f≤ g
a a

Osservazione. La proprietá (iv) é un teorema del confronto per gli integrali. Notiamo
che (iii) é un caso particolare di (iv), scegliendo prima f (x) = m, poi g(x) = M.

Convenzione. Se a > b, poniamo,


Z b Z a
f =− f
a b

Rb
Se a = b, poniamo invece a f = 0. Dimostriamo ora, soprattutto per ’interesse tecnico
della dimostrazione, il seguente risultato,
Proposizione. Supponiamo che f sia integrabile in [a, b]. Allora le funzioni f + , f − e
|f | sono integrabili in [a, b], e risulta,
Z b Z b

f ≤ |f |

a a

Dimostrazione. Ricordiamo che:

f + (x) = max f (x), 0 ≥ 0, f − (x) = max − f (x), 0 ≥ 0


 

Inoltre,
f = f + − f −, |f | = f + + f −

Dalla seconda uguaglianza deduciamo che ci basta dimostrare l’integrabilitá di f + e f − .


Osserviamo che f + ≥ 0, f − (x) ≥ 0. Dalle definizioni segue che,

sup f + − inf f + ≤ sup f − inf f

e similmente,
sup f − − inf f − ≤ sup f − inf f

Sia ε > 0, e sia Pε una partizione di [a, b] tale che,

U (f, Pε ) − L(f, Pε ) < ε

125
Per le disuguaglianze precedenti,

U (f + , Pε ) − L(f + , Pε ) < ε, U (f − , Pε ) − L(f − , Pε ) < ε

Dunque f + ed f − sono integrabili, e |f | = f + + f − é integrabile in quanto somma di


funzioni integrabili.
Infine, ricordando che f (x) ≤ |f (x)| e −f (x) ≤ |f (x)| per ogni x ∈ [a, b], dal confronto
per gli integrali segue,
Z b Z b Z b Z b
f≤ |f |, − f≤ |f |
a a a a

Quindi, Z b Z b Z b  Z b


f = max f, − f ≤ |f | 
a a a a

Osservazione. Se |f | é integrabile, non siamo autorizzati a concludere che f é integrabile.


Un esempio é la funzione di Dirichlet con sostituito al valore 0, −1.

L’integrale di Riemann non é un integrale assoluto: l’integrale di Lebesgue, al contrario,


soddisfa le seguenti proprietá,

f é Lebesgue integrabile ⇔ |f | é Lebesgue integrabile

8.1 Calcolo degli integrali


La definizione di integrale non é costruttiva: nella maggior parte dei casi concreti risulta
impossibile calcolare elementarmente l’integrale superiore e quello inferiore. Per for-
tuna esiste una legame di grande importanza tra le nozioni di derivate e quelle di integrale.

Teorema fondamentale del Calcolo

(i) Se f : [a, b] → R é integrabile, e se F : [a, b] → R soddisfa F 0 (x) = f (x) per ogni


x ∈ [a, b], allora,
Z b
f = F (b) − F (a)
a

126
(ii) Sia g : [a, b] → R integrabile. Poniamo,
Z x
G(x) = g ∀x ∈ [a, b]
a

Allora G é continua in [a, b]. Se poi g é continua in un punto c, allora G é derivabile


in c e risulta,
G0 (c) = g(c)

Dimostrazione. (i) Sia P una partizione di [a, b], e usiamo il teorema del valor
medio di Lagrange:

F (xk ) − F (xk−1 ) = F 0 (tk )(xk − xk−1 ) = f (tk )(xk − xk−1 )

dove xk−1 < tk < xk .


Consideriamo ora L(f, P ) e U (f, P ). Poiché tk ∈ (xk−1 , xk ), abbiamo f (tk ) ∈ [mk , Mk ]
dove,
mk = inf f, Mk = sup f
[xk−1 ,xk ] [xk−1 ,xk ]

Quindi,
n
X
L(f, P ) ≤ f (tk )(xk − xk−1 ) ≤ U (f, P )
k=1

Ma applicando Lagrange e risolvendo una serie telescopica,


n
X n
X
f (tk )(xk − xk−1 ) = F (xk ) − F (xk−1 ) = F (b) − F (a)
k=1 k=1

Deduciamo che,
L(f, P ) ≤ F (b) − F (a) ≤ U (f, P )

infine,
Z b Z b
f ≤ F (b) − F (a) ≤ f
a a

e per l’ipotesi di integrabilitá deve essere,


Z b
F (b) − F (a) = f
a

127
(ii) Siano x > y due punti di [a, b].
x y x x
Z Z Z Z

|G(x) − G(y)| = g− g = g ≤ |g| ≤ M |x − y|
a a y y

essendo M un maggiorante di |g|. Quindi G é uniformemente continua in [a, b]. Sup-


poniamo infine che g sia continua in un punto c di [a, b].
Rx Rc Rx
G(x) − G(c) a
g− ag g
= = c
x−c x−c x−c

Sia ε > 0 qualunque. Poiché g é continua in c, esiste δ > 0 tale che |t − c| < δ implica
|g(t) − g(c)| < ε.
Rx R x
c g(t)dt − g(c) cx dt
R
G(x) − G(c) c g
− g(c) = − g(c) = =
x−c x−c x−c
R x  Rx
c g(t) − g(c)]dt g(t) − g(c) dt ε|x − c|

= ≤ c < =ε
x−c |x − c| |x − c|

non appena x 6= c, |x − c| < δ. Abbiamo dimostrato che,

G(x) − G(c)
lim = g(c)
x→c x−c

e questo completa la dimostrazione. 

Teorema. (della media integrale) Sia f integrabile in [a, b]. Se m ≤ f (x) ≤ M


Rb
per ogni x ∈ [a, b], allora m(b − a) ≤ a f ≤ M (b − a). Se f é continua, allora esiste
c ∈ [a, b] tale che,
Z b
1
f (c) = f
b−a a
Questa é la cosiddetta media integrale in [a, b].
Dimostrazione. La prima affermazione segue dal teorema del confronto. Poiché in
Rb
particolare il numero f¯ = b−a1
a
f (chiamato media integrale di f nell’intervallo [a, b])
cade tra inf f e sup f per il teorema dei valori intermedi segue che f (c) = f¯. 

Definizione. (Funzione integrale) Diremo che una funzione F é primitiva di una


funzione f in [a, b] se f é derivabile in [a, b] e se risulta F 0 (x) = f (x) per ogni x ∈ [a, b].
Il teorema fondamentale ci dice, tra le sue altre cose, che il calcolo di un integrale si

128
riconduce alla determinazione di una primitiva della funzione integrale.
Inoltre, la cosiddetta funzione integrale di g in [a, b], definita dalla formula,
Z x
x 7→ g
a

é una primitiva di g sotto l’ipotesi che g sia continua in [a, b].

8.2 La ricerca delle primitive


Definizione. (Integrale indefinito) L’integrale indefinito di una funzione f é
R 
l’insieme di tutte le sue primitive. indichiamo questo insieme con il simbolo f ma
R R 
spesso anche f (x) dx, f (t)dt, ...

Osservazione. sommando una costante ad una primitiva, otteniamo un’altra primi-


tiva della stessa funzione. Dunque l’esistenza di una primitiva implica l’esistenza di
infinite primitive.

Proposizione. Siano F e G due primitive della stessa funzione f in un intervallo


[a, b]. Dimostrare che la funzione F − G é costante in [a, b].
Dimostrazione. Per esercizio. Calcolare la derivata di F − G, e applicare un
corollario del teorema del valor medio di Lagrange. 

Questa proposizione mostra che,


Z n o
f = F +c | c∈R

Dove F é una primitiva di f . Con abuso di notazione si scrive spesso,


Z
f (x) dx = F (x) + c

R
Osservazione. La notazione f non contiene alcun riferimento esplicito al dominio in
cui le primitive sono definite. solitamente il contesto chiarisce il dominio.

Non esiste un metodo esaustivo e soddisfacente per trovare le primitive. Cominci-


amo con delle osservazioni.

129
• Ogni formula di derivazione é anche una formula di integrazione: basta leggerla al
contrario: Z
α α−1 1
Dx = αx xα dx = xα+1 + c
α+1
Z
D sin x = cos x cos x dx = sin x + c
Z
D cos x = − sin x sin x dx = − cos x + c
Z
1 1
D ln |x| = dx = ln |x| + c
x x

Questi esempi sono talvolta chiamati integrali immediati, e dovrebbero essere conosciuti
a memoria.

Osservazione. L’integrale é lineare, nel senso che,


Z Z Z Z Z
(f + g) = f+ g, kf = k · f, k∈R

Non é peró moltiplicativa, per ”colpa” delle regole di derivazione del prodotto. In
generale, l’integrazione di due funzioni é diversa dal prodotto dei rispettivi integrali.

Dal punto di vista della teoria, l’integrazione indefinita si riduce a qualche primitiva
elementare, e a due tecniche di calcolo.

1) L’integrazione per parti.


Sia I un intervallo di R. Se F, G ∈ C 1 (I) con derivate F 0 = f , G0 = g, allora,
Z Z
F (x)g(x) = F (x)G(x) − f (x)G(x)dx

Dimostrazione. Sappiamo che,

(F G)0 = F 0 · G + F · G0 = f G + F g

Quindi F G é una primitiva di f G + F g, cioé,


Z Z
F (x)g(x)dx = F (x)G(x) − f (x)G(x)dx 

130
Nella tradizione didattica, F é il fattore finito, mentre g (o anche g(x)dx) é il
fattore differenziale.

2) Integrazione per sostituzione.


Siano I e J due intervalli di R, esiste φ : J → I una funzione di classe C 1 . Se
f : I → R é continua, allora,
Z  Z
f φ(t) φ0 (t)dt ∀t ∈ J

f (x) dx ◦ φ(t) =

Se φ é anche invertibile con inversa φ−1 di classe C 1 , allora,


Z Z 
f φ(t) φ (t)dt ◦ φ−1 (x) ∀x ∈ I
 0
f (x) dx =

Dimostrazione. Basta osservare che se F é una primitiva di f , allora,

(F ◦ φ)0 = (F 0 ◦ φ)φ0 = (f ◦ φ)φ0

Dunque, Z
f φ(t) φ0 (t)dt

F ◦ φ(t) =

Nell’ultimo caso,
Z 
f φ(t) φ (t)dt ◦ φ−1 (x) 
 0
F (x) =

Osservazione. Il senso del risultato appena dimostrato é che,


R
 f (x)dx = R f φ(t)φ0 (t)dt
x = φ(t)

Per calcolare l’integrale a primo membro si sostituisce x = φ(t), si calcola l’integrale


a secondo membro, e alla fine si torna alla variabile x = φ(t) ⇔ t = φ−1 (x).

8.3 Integrale improprio


Finora due ipotesi strutturali sono state inderogabili.

1. La limitatezza dell’intervallo [a, b] di integrazione;

131
2. La limitatezza della funzione f integranda.

Queste richieste dipendono dalla costruzione: che senso avrebbe una partizione di una
semiretta? E che senso avrebbero le quantità Mk e mk , se fossero infinite?
La definizione di integrale di Riemann deve essere opportunamente estesa per includere
queste situazioni.

Definizione. (Integrali impropri) Sia f una funzione definita in (a, b), e supponiamo
che:
Rb
• Per ogni c ∈ (a, b) esiste l’integrale c f ;
Z b
• Esiste finito il lim+ f
c→a c

In tal caso diremo che f é integrabile in senso improprio nell’intervallo (a, b], e porremo,
Z b Z b
f = lim+ f
a c→a c

qualora questo limite esista finito.


Se infine la funzione f non é limitata nell’intorno di un punto x0 interno all’intervallo
[a, b], diremo che f é integrabile in senso improprio in [a, b] se f é integrabile in senso
improprio in entrambi gli intervalli [a, x0 ) e (x0 , b]. In tal caso,
Z b Z x0 Z b
f= f+ f
a a x0

R1 R1
Esempio. Per α > 0, calcoliamo 0 x1α dx. Fissato c ∈ (0, 1), l’integrale c 1

dx esiste
perché la funzione integrale é continua in [c, 1]. Inoltre,

Z 1 − ln(c) se α = 1
dx
=
0 xα  1
(1 − c1−α ) se α 6= 1
1−α

Pertanto, 
1
dx +∞ se α ≥ 1
Z
lim =
c→0+ c xα  1 se α < 1
1−α

1
L’integrale improprio esiste finito (e vale 1−α ) se e solo se 0 < α < 1.
Osservazione. Si puó eliminare un integrale improprio da una funzione dispari, con-

132
siderando la sua simmetria rispetto alla bisettrice del piano.

Analogamente possiamo definite l’integrale improprio di f su semirette.

Definizione. (Integrali su una semiretta) Data una funzione f definita in [a, +∞),
Rc
supponiamo che per ogni c > a esista l’integrale a f , ed esista finito,
Z c
lim f
c→+∞ a

Diremo che f é integrabile in senso improprio in [a, +∞), e che,


Z +∞ Z c
f = lim f
a c→+∞ a

Con le ovvie modifiche, possiamo definire,


Z b Z b
f = lim f
−∞ c→−∞ c

Z +∞
Osservazione. Per definire f , il buon senso ci suggerisce di calcolare,
−∞

Z b
lim f
a→−∞ a
b→+∞

Si tratta peró di un limite in due variabili, e non ne conosciamo la teoria.


Procediamo diversamente: scegliamo un punto x0 ∈ R nel cui intorno la funzione f sia
limitata. Diciamo che f é integrabile in senso improprio in (−∞, +∞) se f é integrabile
in senso improprio sia in (−∞, x0 ], sia in [x0 , +∞). In tal caso,
Z +∞ Z x0 Z +∞
f= f+ f
−∞ −∞ x0

R +∞ 1
Esempio. Per α > 0, calcoliamo 1 xα
dx. Come sopra, per ogni c > 1 abbiamo,

Z c ln(c) se α = 1
dx
=
1 xα  1
(1 − c1−α ) se α 6= 1
1−α

133
Pertanto, 
c 1
se α > 1
Z
dx α−1

lim α
=
c→+∞ 1 x +∞ se α ≤ 1

Concludiamo la trattazione con alcuni criteri di convergenza per gli integrali impropri.
Nel seguito esporremo alcuni criteri di integrabilitá in senso improprio nel caso di
funzioni definite in [a, +∞). Resta sottinteso che analoghi risultati sono validi per
integrali impropri di funzioni illimitate nell’intorno di un punto al finito, con le dovute
modifiche agli enunciati.
Consideriamo dunque una funzione f : [a, +∞) → R tale che per ogni c > a esiste
l’integrale, Z c
F (c) = f (x) dx
a

Si tratta di dare criteri sufficienti affinché esista finito il limite di F (c) per c → +∞.

Un caso importante é quello in cui f (x) ≥ 0 per ogni x ≥ a. Infatti F risulta es-
sere monotona crescente (teorema di additivitá rispetto al dominio), e dunque l’esistenza
del limite equivale alla limitatezza di F in [a, +∞).

Teorema (Criterio del confronto) Siano f, g due funzioni definite in [a, +∞). Sup-
poniamo che esista x0 ≥ a tale che per ogni x ≥ x0 si abbia,

0 ≤ f (x) ≤ g(x)

Se g é integrabile in [a, +∞), allora anche f lo é. Se f non é integrabile in [a, +∞),
allora nemmeno g lo é.
Dimostrazione. Si ha, per c > x0 ,
Z c Z c
f (x) dx ≤ g(x) dx
x0 x0

Ne segue che, Z c Z c
lim f (x) dx ≤ lim g(x) dx < +∞
c→+∞ x0 c→+∞ x0

Nella prima ipotesi. D’altra parte,


Z c Z x0 Z c
f (x) dx = f (x) dx + f (x) dx
a a x0

134
Quindi f é integrabile in senso improprio.
Se invece f non é integrabile,
Z c Z c
lim g(x) dx ≥ lim f (x) dx = +∞
c→+∞ x0 c→+∞ x0

e si conclude. 

Esattamente come per le serie numeriche, esiste un corollario ”asintotico”.

Corollario. Supponiamo che 0 ≤ f (x) ≤ g(x) per ogni x ≥ x0 . Se f (x) ∼ g(x)


per x → +∞, allora f e g sono simultaneamente integrabili oppure non integrabili in
senso improprio in [a, +∞).

Teorema. (Assoluta integrabilitá) Sia f definita in [a, +∞). Se |f | é integrabile in


[a, +∞), allora anche f lo é, e risulta,
+∞ +∞
Z Z


f (x) dx ≤ |f (x)| dx
a a

Dimostrazione. Ricordiamo che possiamo sempre scrivere f = f + − f − . Sappiamo


che 0 ≤ f + ≤ |f | e 0 ≤ f − ≤ |f |. Per confronto, f + ed f − sono allora integrabili in
senso improprio, e anche f = f + − f − lo é, in quanto somma di funzioni integrabili. La
relazione di disuguaglianza é una conseguenza immediata di un risultato precedentemente
ottenuto grazie al teorema del confronto. 

135

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