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differenti è quello delle forme di governo: presidenzialismo statunitense, parlamentarismo, semipresidenzialismo ecc.
Dunque, nel diritto comparato permane il metodo delle differenze anche in epoca di globalizzazione.
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subisce. Si verifica un processo di centralizzazione del potere nelle mani del sovrano assoluto, un accentramento di
poteri, funzioni, produzione normativa e giurisdizionale.
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che si fonda su un sistema di pesi e contrappesi reciproci tra gli organi costituzionali, reso efficace dalla
separazione dei poteri. Non vi era un catalogo dei diritti individuali, ritenendo sufficienti le Carte dei singoli
stati. Questa mancanza fu presto ovviata con l’approvazione del Bill of Rights nel 1791 (dieci articoli che
sanciscono il riconoscimento di diritti e libertà), per delineare dei limiti al potere dello Stato nella vita del
cittadino. Il processo verrà a compimento con la sentenza della Corte suprema Marbury vs Madison; fino ad
allora, nulla era disposto circa il controllo costituzionale delle leggi approvate dal Congresso. La Corte suprema
colmò questa lacuna attribuendo ai giudici e a sé stessa la competenza a giudicare una legge ordinaria come
incostituzionale, impendendone l’applicazione nelle aule di giustizia. Nasceva così il judicial review.
- La Rivoluzione francese → la scintilla è costituita da una crisi finanziaria delle casse dello Stato che si ripercuoterà
pesantemente sulla popolazione provocando un forte malcontento delle classi popolari. Tra i passaggi
rivoluzionari spicca inizialmente la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino: non si tratta ancora di una
Costituzione, ma di un catalogo di principi e norme pervaso da spirito illuminista e liberale. Alcuni articoli
mostrano un evidente tributo al giusnaturalismo e al contrattualismo, individuando come fonti di legittimazione
dell’esistenza dello Stato la protezione delle libertà come bene supremo della vita dei cittadini, la difesa della
proprietà in quanto sacra e inviolabile, la sicurezza come condizione indispensabile per una società ordinaria. Ma
la norma che andrà a costituire un pezzo fondamentale di storia del costituzionalismo è l’articolo 16: “ogni
società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una
Costituzione.”. Per questo l’Assemblea rivoluzionaria avvia le discussioni per la redazione di una vera e propria
Costituzione. La maggioranza della Costituente è formata da forze moderate che riescono a far approvare nel
1791 una Carta ispirata ai dettami della monarchia costituzionale in cui il re conserva esclusivamente il diritto di
veto sulle leggi dell’Assemblea. Il sovrano però non può sciogliere l’Assemblea, né gode dell’iniziativa legislativa:
si chiude definitivamente il regime assolutistico. Per la prima volta in un documento costituzionale troviamo
qualche riferimento a un programma di assistenza sociale. Anche questa Carta è rigida, anche se ha avuto vita
breve ha rappresentato il primo importante tentativo di istaurare una monarchia costituzionale nell’Europa
continentale. In seguito all’istaurazione del regime del Terrore di Robespierre, venne introdotta una nuova
Costituzione improntata ai principi assemblearisti enunciati da Rousseau. Infine, la Rivoluzione finirà per negare
sé stessa con il colpo di Stato di Napoleone del 1799 assolutamente non corrispondente alle speranze e alle
ragioni che ne avevano innescato l’inizio.
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assistenza medica, istruzione. I partiti politici tradizionali (whig (poi liberali) e tory (conservatori)) si diedero
una struttura organizzativa nazionale; in più, verso la fine del secolo, emerse anche il Partito laburista,
espressione dei ceti popolari finora non rappresentati in Parlamento.
7. La Camera dei Comuni divenne sempre più rappresentativa della Nazione e da essa inizia a dipendere sempre
più l’indirizzo politico del governo e il nome del primo ministro; inoltre, con il Parliament Act del 1911 viene
sancita la sua supremazia rispetto alla Camera dei Lord per quanto riguarda il processo legislativo. È così
compiuto il processo di democratizzazione del modello Westminster: suffragio universale, leader del partito di
maggioranza nominato primo ministro, rapporto di fiducia tra Camera dei Comuni e governo.
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classe borghese che in seguito alla Rivoluzione industriale reclama sempre più potere politico per dare concretezza,
anche giuridica, ai valori e alle idee liberali.
Nascono nella maggior parte degli Stati le Costituzioni ottriate, cioè concesse dal sovrano, per evitare ulteriori fratture
rivoluzionarie (es. lo Statuto Albertino). Esse esprimono una Costituzione dal valore politico che serve per definire la
cornice istituzionale entro cui gli organi dello Stato possono dispiegare il loro potere; una Costituzione ancora flessibile,
che non deriva da una discussione assembleare. Tra la Costituzione e la legge non si instaura un rapporto gerarchico:
la legge ha il potere di derogare quanto sancito dalla Costituzione. L’architrave fondamentale è costituito dalla
separazione dei poteri e dalla proclamazione di diritti di libertà. Il Parlamento è il luogo in cui si esercita la
rappresentanza politica finalizzata alla produzione legislativa. La sua struttura è spesso bicamerale e solitamente solo
uno dei due rami è elettivo; il suffragio è ristretto.
Lo Stato liberale non è ancora democratico. Le divisioni politiche sono molto contenute e si riconoscono solo pochi
cittadini “meritevoli” di tutela. Il singolo parlamentare aveva un peso importante anche grazie al libero mandato
parlamentare: egli rappresentava l’intera Nazione. Le leggi prodotte dal Parlamento sono poche, generali e astratte.
L’indirizzo politico dell’esecutivo sarà sempre meno legato all’influenza del re e sempre più a quella del Parlamento.
La disciplina dei diritti individuali perde le radici giusnaturaliste e si afferma una concezione più statalista (le libertà
sono concesse dallo Stato e possono essere esercitate nei limiti da esso stabiliti). Il costituzionalismo così formatosi
tende ad essere oligarchico e non incisivo, quindi debole e spesso incline a cedere a tendenze autoritarie.
Di fatti, la crisi dello Stato liberale vedrà l’affermazione di Stato socialista e Stato autoritario.
Lo Stato socialista nasce in Russia nel 1917; sul piano giuridico-costituzionale è una radicale negazione dei capisaldi
del costituzionalismo. Alla separazione dei poteri si sostituisce il partito unico, il quale seleziona le candidature
dell’assemblea nazionale (il soviet supremo) e decide i componenti dell’esecutivo.
Lo stato autoritario vede la luce inizialmente in Italia, per poi diffondersi in Germania, Grecia, Spagna e Portogallo, e
si propone come un superamento del liberal-capitalismo e del socialismo. Vengono cancellati libertà e diritti, istituzioni
e corpi intermedi.
Chi nell’Inghilterra del 1300, avesse lamentato la lesione di un proprio diritto, poteva presentarsi in cancelleria e
chiedere un writ per ottenere giustizia. Trattandosi di un sistema tipizzato, chi si fosse trovato in una situazione
rientrante tra quelle configurate da un writ preformulato poteva chiedere l’intervento della giustizia regia.
Questo rigido formalismo determinò la nascita di un percorso giurisdizionale parallelo, volto a soddisfare le esigenze
non riconducibili ad una delle fattispecie precostituite nelle forms of action, non riceventi giustizia. Questi casi
venivano sottoposti direttamente al sovrano o, meglio, all’ufficio della Cancelleria, la quale presto divenne una vera e
propria Corte (court of Chancery) che agiva discrezionalmente, senza ricorrere alla giuria. Qui si decideva secondo
criteri di equità ovvero tenendo conto delle circostanze specifiche e delle peculiarità di ogni caso.
Nel tempo si verificò una progressiva tecnicizzazione dell’equity, che assunse procedure simili a quelle del common
law e venne infine del tutto assimilata nel sistema (equity follows the law).
Il sistema giuridico inglese ha quindi un’origine consuetudinaria, ma si sviluppa e si attesta come diritto di base
giurisprudenziale fondato sulle sentenze delle corti, imperniato attorno al principio dell’obbligatorietà del precedente
vincolante. A partire dal 1966 la regola del binding precendent opera in senso verticale (con la Supreme Court che
vincola le corti inferiori) e in senso orizzontale (con le corti obbligate a rispettare i precedenti propri e dei tribunali di
pari grado, fatta eccezione per la Corte suprema).
Il civil law affonda invece le sue radici nel processo di codificazione del diritto progressivamente attuato nell’Europa
continentale. Entrambi i sistemi però derivano dal patrimonio comune del diritto romano e dall’influenza esercitata
dalla religione cristiana.
Nel continente europeo la nascita delle prime università favorì il superamento delle tradizioni giuridiche locali basate
sulle consuetudini. I giuristi cominciarono ad essere riconosciuti come portatori di una conoscenza che veniva
trasmessa tramite l’elaborazione di testi scritti attraverso un’opera di codificazione; nel common law, invece, i
protagonisti del diritto erano i professionisti che si orientavano in una produzione giuridica di tipo giudiziale.
Nei sistemi di civil law la raccolta organica delle norme giuridiche vigenti era inizialmente finalizzata a fornire un
parametro di riferimento scritto, generale e astratto. La centralità conferita alle leggi scritte (sempre più quelle del
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Parlamento) si impose in particolare alla fine del Settecento, come espressione della volontà generale. Il ruolo del
giudice fu ridotto a bocca della legge, mero esecutore delle norme scritte. Con la conclusione dell’opera di
codificazione, si avvia la differenziazione normativa su base nazionale.
La diffusione del civil law si deve soprattutto alla colonizzazione francese, che diffuse il codice napoleonico nei territori
di influenza (così come i sistemi di common law si diffusero nei domini inglesi). Oggi, comunque, non esistono
ordinamenti perfettamente riconducibili agli schemi tradizionali del common o civil law (ibridazione).
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(la Costituzione pone dei limiti alla discrezionalità del legislatore, predeterminando alcuni dei contenuti che la legge
deve avere).
Si è affermato anche lo strumento delle leggi-provvedimento, che si concretizzano nel contenuto in veri e propri atti
amministrativi, pur conservando la forma di legge. Le leggi formali sono invece prive di un contenuto normativo
preciso. Per quanto riguarda le leggi di bilancio, le procedure spesso sono dettate in Costituzione.
Il procedimento di elaborazione di una legge è disciplinato da norme della Costituzione e in quasi tutti gli ordinamenti
costituzionali, pur presentando delle differenze, si suddivide in 4 fasi: iniziativa, costitutiva, intervento presidenziale e
pubblicazione.
− Iniziativa è garantita ai membri del Parlamento; i progetti di legge possono essere presentati su tutte le
materie fatta eccezione per alcune riservate al governo; solitamente la Camera bassa può avere una posizione
privilegiata dal punto di vista dell’iniziativa. Negli stati decentrati l’iniziativa può essere riconosciuta anche agli
enti territoriali; inoltre sono previste forme di iniziativa popolare.
− Fase costitutiva è l’acquisizione formale della proposta di legge; successivamente il progetto viene assegnato
alla commissione competente che ne plasma il testo. Al termine dell’esame in commissione, il testo passa
all’Aula dove si svolge il dibattito e possono essere presentati ulteriori emendamenti (ad eccezione di alcune
materie). Dopo due letture infruttuose, il primo ministro o i presidenti delle Assemblee possono fare ricorso
ad una procedura di mediazione. Una volta approvato da una camera si passa all’altro ramo del Parlamento.
Qui si verificano le principali differenze tra i vari ordinamenti. Ad esempio, molte democrazie prevedono
l’intervento del capo dello Stato tramite un rinvio o veto nel caso statunitense.
− Segue la fase della pubblicazione utile a rendere conoscibile il contenuto di una nuova norma alla collettività
(ignorantia legis non excusat).
3.12 Orientamenti e prospettive delle fonti del diritto: relatività e commistione dei modelli
Il sistema delle fonti risulta essere particolarmente fluido, con un’ibridazione dei modelli. Anche nei sistemi di civil law
i giudici tengono conto dei precedenti. Da qualche tempo si assiste al fenomeno di constitutional regression, che
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comporta la messa in discussione degli elementi chiave del sistema democratico che si consideravano ormai assodati
e strutturali.
4 – LE FORME DI STATO
4.1 Il concetto di forma di Stato e le varie classificazioni
Non c’è una definizione univoca di forma di Stato. Aristotele individua ad esempio tre forme positive (monarchia,
aristocrazia e politia) e tre forme negative (tirannia, oligarchia e democrazia). Polibio individua un’ulteriore forma: il
governo misto. Machiavelli distingue unicamente tra governo di uno solo e governo di una pluralità e abbandona la
distinzione tra forme buone e degenerate. In generale, la forma di uno Stato si evince dal rapporto che intercorre tra
i suoi elementi costitutivi (popolo e governanti), quindi il rapporto tra le autorità pubbliche da un lato e i cittadini
dall’altro.
Le classificazioni più diffuse delle forme di Stato sono tre:
- la prima distingue tra monarchie e repubbliche (basata sulla mancanza o meno di rappresentatività);
- la seconda distingue le forme di Stato in base alla loro evoluzione storica, chiamata quindi diacronica;
- la terza classificazione è quella sincronica (dando particolare rilevanza al territorio) con stati accentrati,
federali o regionali.
Assumono un ruolo di primo piano i corpi intermedi, in particolare le corporazioni di mestieri: ogni individuo è
assoggettato a regole diverse a seconda delle corporazioni a cui appartiene. Un ruolo di primo piano è svolto dalla
Chiesa Cattolica.
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Sono gli anni della Magna Carta (che accorda tutela a tutti gli uomini liberi e riconosce il legame tra tassazione e
rappresentanza), e dell’habeas corpus (cioè la necessità che gli arresti siano accompagnati da garanzie procedurali e
organizzative predeterminate). Un ultimo istituto degno di nota è il diritto alla resistenza armata, qualora il re violi
l’impegno di osservare i diritti e le garanzia previste nella Magna Carta.
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Aumenta quindi l’interventismo in campo sociale ed economico e avviene, in alcuni paesi, la trasformazione in Stato
sociale: ai pubblici poteri non viene chiesto di astenersi, ma di agire attivamente per garantire parità di accesso ai
settori chiave (istruzione, sanità) a tutti i cittadini. Le Costituzioni, oltre ad essere rigide, sono anche lunghe, perché si
inserisce un catalogo dei diritti garantiti sempre più ampio. Lo Stato sociale è caratterizzato da principio di eguaglianza
in senso sostanziale.
Essendo il Parlamento caratterizzato da una pluralità di forze politiche, si afferma il principio di maggioranza, affiancato
dalla creazione di alcune “regole” per proteggere il sistema da rischi di tirannia della maggioranza; le leggi ordinarie
non possono contrastare con la Costituzione. A tale scopo sorgono, in quasi tutti gli ordinamenti, delle corti
costituzionali. Insieme all’aumento delle strutture burocratiche aumenta anche la spesa pubblica.
Lo Stato federale dà vita a un vero e proprio ordinamento giuridico dotato di una Costituzione, seppur caratterizzato
da una più intensa forma di autonomia sul territorio. Lo Stato federale nasce negli Stati Uniti d’America per superare
i limiti della struttura confederale e come attuazione della separazione dei poteri. La separazione è di tipo orizzontale
(rapporti tra presidente, Congresso e potere giudiziario) e di tipo verticale (frazionamento sul territorio). Tale garanzia
nei confronti di potenziali abusi fece pensare in America che fosse superflua la stesura di un catalogo dei diritti; sarà
infatti necessario attendere il 1791 per il Bill of Rights, promosso da chi prefigurava un potere federale più debole a
vantaggio di maggiore autonomia degli Stati membri.
Lo Stato federale è caratterizzato da un ordinamento costituzionale unitario; inoltre, i vari Stati membri godono di
riconoscimento costituzionale e di tutela delle loro funzioni. Le competenze riconosciute agli Stati membri sono estese
e toccano anche la tutela dei diritti fondamentali.
Gli Stati tra loro sono poi equiordinati: hanno le medesime competenze e le medesime garanzie e sono tutti
subordinati alla Costituzione federale. Su questo punto, alcune Costituzioni (come quella tedesca) sono chiare
nell’esplicitare la prevalenza del livello centrale. Per quanto riguarda la sovranità, dopo anni di dibattiti è prevalsa
l’idea che essa sia da attribuire al solo Stato federale e non anche ai singoli Stati membri.
Gli Stati membri partecipano a organi e funzioni dello Stato federale: le decisioni del livello centrale vengono quindi
assunte grazie alla partecipazione diretta o mediata degli Stati membri. A tal proposito, il Parlamento è di tipo
bicamerale; la camera alta è rappresentativa degli Stati membri e può essere di due tipi, Consiglio e Senato: nel
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Consiglio la camera alta è composta da delegati degli esecutivi dei singoli Stati che quindi sono nominati e non eletti e
sono vincolati; nel secondo caso la camera alta è composta dai rappresentati dei popoli degli Stati membri scelti
tramite elezione. I potenziali conflitti tra i diversi livelli di governo vengono risolti da un organo dello Stato federale,
che può essere un organo di vertice della magistratura oppure un organo appositamente creato per svolgere tale
funzione. Distinguiamo poi tra:
− Federalismo duale → vede una rigida separazione tra le competenze centrali e quelle degli stati
− Federalismo cooperativo → vede un’integrazione delle competenze centrali e locali, con strumenti di
raccordo tra i diversi livelli di governo dall’esecutivo al legislativo (USA dal 1933).
Più complesso è il tema del federalismo fiscale; all’aumentare dell’autonomia aumenta la titolarità locale dei tributi.
Quasi tutti gli Stati dotati di autonomia territoriale adottano un sistema tributario misto.
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assicurare un governo stabile, efficace e che duri per l’intero corso della legislatura. È valorizzato il principio di
responsabilità politica nei confronti dell’elettorato.
Il proporzionale, invece, è quel sistema con il quale si ripartiscono i seggi in rapporto percentuale rispetto ai voti dati
dagli elettori a ciascun partito. I sistemi elettorali proporzionali si possono distinguere a seconda del metodo utilizzato
per il riparto dei seggi, tenendo in considerazione la grandezza della circoscrizione.
- Metodi basati sul comun divisore (totale voti ottenuti diviso un numero)
- Metodi basati sul quoziente (quante volte il quoziente entra nel totale)
Ci sono inoltre sistemi elettorali proporzionali con correttivo maggioritario, ad esempio contenenti clausole di
sbarramento oppure attraverso l’attribuzione di un premio di maggioranza.
6 – I PARLAMENTI
6.1 L’origine dei Parlamenti
La parola Parlamento deriva dal verbo parlare. Le prime adunanze pubbliche risalgono già alle democrazie ateniesi,
ma è solo a partire dal Medioevo che il termine assume il significato di pubblica adunanza che tratta di affari pubblici,
politici e amministrativi. Oggi, per essere chiamati tali, i parlamenti devono avere caratteristiche ben precise, non
basta una discussione collettiva. Il Parlamento, infatti, per essere tale, deve rappresentare un contropotere rispetto
agli organi di governo; si deve inoltre trattare di una struttura dotata di autonomia organizzativa, finanziaria,
strumentale. I primi veri e propri Parlamenti si avranno in questo senso nel XIII secolo; ad esempio a Foggia con
Federico II di Svevia, e successivamente il Magnum Parliamentum di Westminster del 1295. Da questo momento in
poi la parola Parlamento indicherà un luogo fisico e una funzione: luogo in cui si riuniscono rappresentanti di porzioni
di cittadini. È il frutto di una conquista dei cittadini verso il sovrano, con cui si rivendica uno spazio di libertà e diritti
politici.
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imperativo viene però derogato negli ordinamenti federali: qui, infatti, la seconda camera è chiamata a rappresentare
gli interessi territoriali; per questo motivo i parlamentari di questa camera possono essere revocati (recall) qualora si
esprimano in difformità delle istruzioni ricevute.
Per ampliare la possibilità di accedere all’esercizio delle funzioni parlamentari è prevista un’indennità; da qui,
discendono i dubbi circa la legittimità degli obblighi imposti dagli Statuti di alcuni partiti di versare una quota della
propria indennità per il bilancio del gruppo di appartenenza. Inoltre, diversi partiti, per ovviare ai costi della politica,
hanno proposto di rendere gratuito l’impegno dei parlamentari, senza pensare che ciò li avrebbe resi ancora più
corruttibili. La ratio dell’indennità parlamentare è dunque l’indipendenza e la parità di accesso alla carica politica.
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Da tenere distinti sono gli intergruppi parlamentari, che trovano nel Parlamento britannico la loro massima
espressione. Essi non hanno incarichi specifici né di governo né di partito; sono uniti da un comune obiettivo e da una
comune posizione da sostenere, diventando lo strumento principale di rappresentanza degli interessi da parte delle
lobby. Il fenomeno ha avuto una sua prima regolamentazione nel 1985 in Regno Unito: da allora, si richiede
all’intergruppo l’iscrizione in una lista apposita, indicando obiettivi e partecipanti; gli intergruppi possono richiedere
l’iscrizione all’ordine del giorno di interrogazioni e interpellanze. Gli intergruppi parlamentari sono espressamente
vietati in Francia, tollerati in Spagna e Italia.
Le commissioni possono essere di tre tipi:
- Permanenti → permangono per l’intera durata della legislatura e assolvono a compiti specifici, ad esempio in
Italia esaminano i disegni di legge e ne possono modificare il contenuto.
- Speciali → volte ad affrontare un tema specifico o una specifica proposta di legge per un lasso di tempo
determinato
- D’inchiesta → dotate di poteri equipollenti all’autorità giudiziaria, istituite ad ampia maggioranza al fine di
indagare su questioni che hanno scosso l’opinione pubblica.
Anche il congresso statunitense è strutturato con 3 tipi di commissioni; l’unica differenza riguarda le funzioni svolte
dalla commissione di inchiesta, la quale è dotata di poteri ispettivi di grande rilevanza. Vi sono, inoltre, commissioni
che sono in realtà agenzie indipendenti i cui membri sono di nomina del presidente federale.
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disegni di legge finanziari o di bilancio. In Germania, invece, si prevede che siano esaminati solo i disegni di
legge presentati da un numero minimo di parlamentari, il 5%. Nel Regno Unito e in Canada i lavori sono
suddivisi in sessioni che si aprono con il Queen speech/Throne speech (letto dalla Corona nel Regno Unito e
dal governatore generale in Canada); si tratta di un elenco dei provvedimenti che il governo intende far
approvare durante quella sessione. In questi ordinamenti, i disegni di legge si dividono in 3 categorie: i public
o government bills (di iniziativa governativa), i private members bills (leggi ad personam, di iniziativa dei singoli
parlamentari) e i private bills (di iniziativa dei singoli cittadini).
− Istruttoria → è la fase che diverge maggiormente nei vari ordinamenti.
- Nei paesi di derivazione anglosassone, consta di 3 momenti diversi detti letture. La prima lettura è la
presentazione del disegno di legge allo speaker; con la seconda comincia la vera e propria discussione
generale. Terminata la discussione sono poste in votazione le mozioni e le proposte di stralcio
presentate (report stage). A conclusione del report stage il disegno di legge è sottoposto alla terza
lettura in cui si pongono in votazione gli emendamenti e gli articoli del testo nel suo insieme. Dopo il
voto favorevole il provvedimento è inviato all’altra Camera dove si avvia il medesimo iter.
- In Germania la fase istruttoria è simile a quella britannica con 3 distinte letture svolte in aula.
(presentazione, discussione e eventuali modifiche, votazione finale). In Spagna i disegni di legge devono
sempre essere istruiti dal Congresso dei deputati, la camera eletta a suffragio universale. Nel corso
della fase istruttoria le commissioni che esaminano i disegni di legge possono disporre di udienze
legislative.
- Negli Stati Uniti esistono due tipologie di congressional hearings: le legislative e le oversight. la finalità
di queste audizioni è acquisire più informazioni possibili sul provvedimento in esame o di discutere gli
effetti prodotti dalle leggi in vigore. Sono dunque attivate per ogni provvedimento che rivesta
un’importanza per l’opinione pubblica.
− Approvazione → coincide con la terza lettura in Canada, Regno Unito e Germania. In Spagna spetta solo al
Congresso dei deputati il compito di approvare in via definitiva il disegno di legge. Successivamente il testo è
trasmesso a un terzo organo dello Stato, il presidente o il sovrano; egli può disporre di rinvio alle camere, ma
se esse confermano il voto favorevole è costretto alla definitiva promulgazione.
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quelle di rappresentare l’unità nazionale, garantire l’indipendenza nazionale e il regolare funzionamento delle
istituzioni democratiche. Ha il potere di sciogliere le Assemblee legislative e nominare il vertice del governo. Inoltre,
nelle forme presidenziali, è il vertice del potere esecutivo. Le trasformazioni della sua figura sono sempre
accompagnate da trasformazioni delle forme di stato o di governo.
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Francia la rielezione con terzo mandato non è esclusa in termini assoluti: può avvenire se non si realizza in modo
consequenziale al doppio mandato già espletato.
Nelle monarchie la cessazione della carica può avvenire per morte o abdicazione. Se l’erede è un minore è prevista
una normativa per la disciplina della figura del reggente.
Nelle forme di governo repubblicane, la cessazione della carica invece coincide con l’entrata in carica del successore.
La cessazione può verificarsi anche prima della scadenza naturale del mandato per 4 cause specifiche:
- la morte
- le dimissioni → non vanno motivate
- la destituzione → avviene in seguito alla messa in stato d’accusa
- l’impedimento permanente → esplica l’impossibilità o incapacità di adempiere ai propri doveri e può essere
temporaneo o permanente.
L’istituto della cessazione della carica prima della scadenza del mandato si verifica in modo peculiare negli Stati Uniti,
in cui avviene la sostituzione automatica a Presidente del vicepresidente federale. In altri ordinamenti si verifica invece
la supplenza della carica, svolta da: presidente del Parlamento, se monocamerale; presidente della camera alta, se
bicamerale. I poteri di supplenza sono limitati e circoscritti, ad esempio non è possibile sciogliere le camere.
7.4 Poteri
Il capo dello Stato è dotato di penetranti e incisivi poteri nelle forme di governo presidenziali e semipresidenziali.
Giappone e Svezia sono i paesi in cui i poteri sono meno intensi di tutti. Al netto delle singole peculiarità ordinamentali,
nei testi costituzionali delle democrazie stabilizzate, la figura del capo dello Stato ha almeno le seguenti attribuzioni:
- rappresenta l’unità nazionale
- promulga le leggi e ratifica i trattati internazionali
- può inviare messaggi alle Assemblee
- dichiara lo stato di guerra
- nomina il vertice del potere esecutivo
- dichiara lo scioglimento delle Assemblee
- indice elezioni e referendum
- nomina i giudici di giustizia costituzionale
- nomina gli alti funzionari dello Stato
- ha il potere di grazia e di commutazione della pena
- ha il comando supremo delle Forze armate
- è irresponsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni.
Il presidente degli Stati Uniti, in quanto titolare del potere esecutivo, incarna in sé tutti i poteri, di politica interna e di
politica estera. Similmente accade per il Presidente francese qualora non vi sia coabitazione.
I poteri dipendono dal ruolo e dalla posizione che esercita il capo dello Stato nell’ordinamento, quindi dalla sua natura
formale o sostanziale. Per questo, nelle forme monarchiche i capi di Stato sono titolari di poteri meramente formali e
i loro atti assumono rilievo grazie alla controfirma ministeriale. Unico atto per cui non è prevista la controfirma, che
rende il re/presidente irresponsabile, sono le dimissioni, o altri atti di particolare rilevanza. In Francia e Portogallo
invece, la controfirma ministeriale emerge solo per gli atti politicamente meno rilevanti del presidente.
I due principali poteri sono comunque
1. la nomina del governo → ruolo più incisivo nelle forme di governo semipresidenziali (Francia e Portogallo),
mentre in quelle parlamentari (Germania e Grecia) ha una presenza residuale (è chiamato più che altro a
prendere atto dell’esito elettorale).
2. lo scioglimento anticipato del Parlamento → è un istituto tipo delle forme parlamentari e semipresidenziali;
in Francia, il potere spetta al presidente senza controfirma ministeriale. In Grecia e Germania la decisione di
scioglimento si configura come extrema ratio. Nella forma direttoriale Svizzera non è previsto lo scioglimento.
Alcuni ordinamenti, come Austria e Regno Unito, hanno introdotto forme di autoscioglimento, cioè di
scioglimento deciso dallo stesso Parlamento in capo al primo ministro. In molti ordinamenti, prima di
procedere allo scioglimento, è richiesto il parere preventivo di diversi soggetti. Lo scioglimento è anche
soggetto a limiti di tempo, generalmente inattuabile negli ultimi mesi di legislatura. Un altro limite che rende
impossibile lo scioglimento è lo stato di guerra o di crisi.
7.5 Responsabilità
Negli ordinamenti monarchici prevale l’irresponsabilità regia, personale, assoluta e permanente.
I capi di stato repubblicani sono invece sottoposti a forme di responsabilità giuridica: penale, civile e amministrativa.
Una seconda responsabilità e quella di tipo politico (più difficile da dimostrare); si delinea in responsabilità politico-
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istituzionale e politico-diffusa (rendere conto del suo operato ai cittadini). I Capi di Stato sono comunque
tendenzialmente irresponsabili ad eccezione dei reati presidenziali (attentato alla Costituzione, alto tradimento), per
cui vi è piena responsabilità penale del presidente. Nessuna copertura per atti extrafunzionali, viene solo concesso un
termine di improcedibilità fino alla durata del mandato.
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pubblica amministrazione. Esistono però ancora zone d’ombra in cui i diritti, pur essendo affermati, incontrano ostacoli
che ne impediscono l’effettivo godimento.
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8.5 La Canadian Charter of Rights and Freedoms
La nascita dello Stato del Canada deve essere fatta risalire al momento in cui il Parlamento inglese approva il British
North America Act del 1867. Il testo normativo del 1867 si preoccupa di federare le comunità di cultura francese e
quelle di cultura inglese che vivono a nord degli Stati Uniti e opta per dare vita a una Costituzione simile a quella del
Regno Unito (seppur modificata da emendamenti successivi, è ancora oggi in vigore). Pur esistendo disposizioni
puntuali in materia di diritti fondamentali, non è presente un catalogo sul modello del Bill of Rights. Alla Federazione
viene affidato il compito di legiferare per assicurare il buon governo, e alle province quello di regolamentare la
proprietà e i diritti civili.
Nel secondo dopoguerra, anche in Canada si avverte la necessità di modificare il quadro costituzionale. Questa nuova
fase ha come protagonisti i legislatori provinciali e nazionali; in ambito provinciale si iniziano a diffondere gli Human
rights codes e peculiari sistemi giurisdizionali di controllo a questi connessi.
Nel 1960 viene adottato il Bill of Rights nazionale, il quale, oltre ad affermare i diritti tradizionali, riconosce anche delle
prerogative individuali peculiari come ad esempio il diritto di non discriminazione.
Nel 1970 si approva il Canadian Human Rights Act che vincola le autorità federali al rispetto dei diritti in esso contenuti.
La protezione a livello territoriale delle istanze della persona prolifera grazie a tredici codici, con cui si riconoscono ai
cittadini nuovi diritti (in particolare sociali). Si sceglie quindi di affidare la protezione delle persone al legislatore,
esponendole al rischio di abusi politici: non si evita che un nuovo intervento legislativo possa negare i diritti affermati.
I giudici, inoltre, tendono ad interpretare le disposizioni in modo restrittivo.
Soltanto negli anni ‘80 si avrà un’ulteriore svolta di avvicinamento a un migliore sistema di tutele; viene introdotta una
Canadian Charter of Rights and Freedoms all’interno del Constitution Act del 1982; essa è formalmente posta al di
sopra della legge ordinaria e segna la fine della sovranità parlamentare. Emerge anche un forte controllo giudiziario
ad arricchire il panorama delle garanzie. Manca ancora, tuttavia, la presenza di clausole di immodificabilità e di alcuni
meccanismi di compromesso. Sono ancora previsti casi di restringimento dei diritti per via legislativa, ma questi casi
sono configurati come eccezionali e devono rispettare il limite della ragionevolezza e della giustificabilità, oltre a
restare soggetti al controllo giudiziario.
La carta sembra prediligere il riconoscimento di diritti di natura universale; soltanto il diritto di voto e il diritto alla
circolazione sono garantiti in via esclusiva ai cittadini. Si applica sia a livello federale che provinciale e non contiene
riferimenti ai nuovi diritti, riconosciuti però dalla giurisprudenza tramite le disposizioni provinciali. Inoltre, nella
seconda parte dell’Act si introduce un procedimento aggravato per la modifica dei diritti riconosciuti alle popolazioni
native del Canada: non possono essere modificati senza il consenso delle tribù.
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diritti: diritti in qualche modo preesistono alla loro definizione giuridica e pretendono di essere rispettati. Anche in
questo caso l’elencazione è limitata ai diritti di prima e seconda generazione, ma il sistema consente l’apertura
all’incorporazione di altri cataloghi più completi e aggiornati (vedi artt. 2, 20 e 23).
Salvo alcune eccezioni, i diritti riconosciuti sono universali. La giurisprudenza ha con il tempo riconosciuto che i diritti
hanno un’efficacia orizzontale e quindi possono essere ritenuti vincolanti anche nei confronti dei privati (cd.
Drittwirkung).
Si prevede anche la possibilità di ricorso individuale di costituzionalità per la violazione di un diritto fondamentale, in
assenza di altri mezzi per tutelarsi. Nel 1956 viene infine introdotto un commissario parlamentare per le Forze armate,
che – seppur in un ambito specifico – ha il compito di offrire ulteriori strumenti di protezione.
9 – IL POTERE GIUDIZIARIO
9.1 Evoluzione storica del potere giudiziario: dalle origini all’affermazione
Il potere giudiziario nasce a causa dell’esigenza di creare un sistema in grado di assicurare il rispetto delle norme
giuridiche e quindi l’ordine. L’attività giurisdizionale quindi nasce con il nascere della vita in società.
Nell’antica Grecia ogni polis stabiliva in maniera autonoma e differenziata i criteri di selezione e i poteri dei giudici
nonché l’organizzazione e il funzionamento della giustizia, non potendosi quindi individuare un sistema unitario.
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Nel passaggio all’esperienza romana, il termine iuris dictio è da intendersi in modo differente da come intendiamo oggi
la giurisdizione. Il magistrato romano dotato di iuris dictio (pretori, urbani o peregrini, governatori delle province o
altri magistrati eletti dal popolo o dal Senato) aveva il compito di impostare in termini giuridici la lite, di approvare o
rigettare le formule individuate dai privati e di individuare il principio di diritto da applicare al caso concreto; non era
dotato del potere di decidere la controversia nel merito emettendo un giudicato: tale prerogativa spettava al giudice,
scelto dalle parti con consenso del magistrato. L’attività di iuris dictio era dunque diversa dalla iudicatio del giudice.
A partire dal XII secolo, le due funzioni (iuris dictio e iudicatio) convergono e si viene così a creare una categoria di
professionisti del diritto.
Nel contesto dell’ancien régime francese, sebbene l’esercizio della giustizia fosse stratificato, il potere giudiziario
restava saldamente nelle mani del monarca, giudice supremo (toute justice émane du roi). Tuttavia, non mancavano
spinte autonomiste e conflitti tra il sovrano e le forme di giustizia feudale e signorile; queste furono superate con
l’introduzione di un apparato di giudici “delegati”, tra cui i Parlements (il più famoso era quello con sede a Parigi, ma
altri erano sparsi su tutto il territorio nazionale). Questi ultimi svolgevano anche la funzione di corte d’appello rispetto
alle decisioni dei giudici di rango inferiore e si arrogavano spesso competenze legislative; questo esercizio di creazione
del diritto portò a scontri con il re, il quale esercitò azioni repressive nei loro confronti. In questo contesto, si afferma
il principio di separazione dei poteri enunciato da Montesquieu: secondo l’autore, il giudice deve limitarsi ad applicare
ai casi concreti le leggi emanate dai detentori del potere legislativo, senza spingersi ad interpretare.
I Parlements vennero eliminati a seguito dei moti rivoluzionari, e si venne a creare un sistema giudiziario con giudici
privi di esperienza professionale, di estrazione popolare e in carica solo per un determinato periodo.
La riduzione dell’ambito di autonomia dei giudici è un tratto comune dell’assolutismo, delle rivoluzioni e del periodo
napoleonico, per favorire tanto la figura del re, quanto quella dell’Assemblea. Infatti, come previsto dalla Costituzione
francese del 1791, i giudici dovevano obbligatoriamente rivolgersi all’Assemblea in caso di dubbi interpretativi. Si
afferma come corollario il principio della sottoposizione del giudice solo ed esclusivamente alla legge, che ne vincola
l’operato.
Con le nuove Costituzioni adottate nel secondo dopoguerra, si assiste ad una notevole espansione del potere
giudiziario tramite il processo di costituzionalizzazione della funzione giudiziaria e del riconoscimento della sua
indipendenza. È in questo periodo che si afferma anche la questione della creatività giurisprudenziale, cioè
dell’allontanamento del giudice dall’essere semplicemente bocca della legge: viene riconosciuta ai giudici la capacità
interpretativa e, di conseguenza, di un certo margine di discrezionalità e di “forza produttiva” del diritto. La
giurisprudenza, nei limiti delle proprie prerogative, assume funzione creativa anche nei sistemi di civil law.
I limiti circa i rapporti tra poteri diventano sempre più difficili da individuare quando i giudici sono chiamati a tutelare
nuovi diritti non inseriti espressamente nel dettato costituzionale; qui il divieto di interferire si scontra con l’esigenza
di assicurare giustizia nel caso concreto.
Gli stessi caratteri di imparzialità e indipendenza ben radicati nei sistemi di civil law, si sono venuti a individuare anche
nei sistemi di common law. Qui il potere giudiziario si va ad inserire tra gli altri due ed è chiamato a intervenire laddove
emerga una contraddizione tra stato di fatto e stato di diritto nello specifico singolo caso.
Negli stati in cui esiste una commistione tra legge, giustizia e religione, si è sviluppato un sistema di giurisdizione
dualistico, caratterizzato dalla presenza dei tribunali che applicano il diritto secolare da un lato, e i tribunali che
applicano il diritto della comunità religiosa dall’altro. Queste corti hanno competenza per specifiche materie e sono
riconosciute dallo Stato. Diverso è il caso dei tribunali religiosi (councils) che si inseriscono senza alcun riconoscimento
dello Stato (islamic sharia councils nel Regno Unito) e solitamente decidono su matrimoni e divorzi religiosi. Diverso
ancora il caso della giustizia ancestrale: si tratta forme di esercizio della giustizia proprie di comunità locali preesistenti
allo stato moderno.
9.2 Il sistema giudiziario e l’organizzazione della magistratura: una prima analisi generale
La funzione giurisdizionale può essere definita come l’attività svolta da un soggetto pubblico in condizioni di terzietà
per risolvere una controversia tra due o più parti. Il sistema giudiziario, di conseguenza, è la fisionomia concreta che il
potere giudiziario assume in un determinato contesto statale. L’ordinamento giudiziario può essere invece definito
come quella sezione del diritto pubblico che opera con riferimento ai principi e agli istituti necessari a consentire agli
organi l’esercizio dell’attività giurisdizionale. Queste definizioni sono applicabili alla realtà delle democrazie
stabilizzate.
Nell’ambito dell’organizzazione dei sistemi giudiziari rilevano le differenze tra gli ordinamenti di common law e quelli
di civil law. Una prima distinzione riguarda la distribuzione delle funzioni; in tal senso si può avere:
• Giurisdizione ordinaria → esercitata dai giudici ordinari sottoposti alla disciplina delle norme
dell’ordinamento giudiziario
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• Giurisdizione speciale → giudici speciali, la cui previsione è spesso inserita direttamente ed espressamente
nel testo costituzionale; area di competenza limitata ad una specifica materia (amministrativa, militare,
contabile, ecc.); da non confondere coi giudici straordinari (postcostituiti rispetto al fatto da giudicare) o con
tribunali/sezioni di tribunali specializzati (questi rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria ma
giudicano controversie relative a specifiche materie come lavoro, minori, ecc.).
Ponendo attenzione alla materia amministrativa, per controversi aventi come parte in causa la pubblica
amministrazione, è possibile individuare un’ulteriore distinzione:
• Modello di tutela dualista → presenza di un giudice speciale accanto a quello ordinario; ripartizione della
giurisdizione sull’amministrazione (presente nell’ordinamento francese)
• Modello di tutela monista → affidamento ad un unico giudice di tutti i rapporti giuridici coinvolgenti
l’amministrazione (origine anglosassone)
Come sempre, va ricordato che anche gli ordinamenti giudiziari non si sviluppano in forme pure, ma sono spesso ibride
sotto alcuni profili. Ad esempio, il principio dell’unità della giurisdizione implica che la funzione giurisdizionale debba
essere esercitata esclusivamente dai giudici ordinari; tuttavia, come abbiamo visto, spesso vengono designate sezioni
specifiche per competenza.
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Peculiare è l’organizzazione della pubblica accusa nel Regno Unito; qui non esiste un p.m. nelle forme conosciute,
bensì un organo amministrativo, il Crown Prosecution Service, che coadiuva e rappresenta – nella fase dibattimentale
– la Polizia, da cui dipende l’iniziativa penale. I prosecutors vengono comunque selezionati tramite concorso pubblico
tra gli avvocati.
Dalla scelta del modello a carriere unitarie o separate, dipende anche l’obbligatorietà o meno dell’esercizio dell’azione
penale. Ad esempio, in Germania viene prevista come obbligatoria per garantire maggiore indipendenza del p.m.. In
Francia e negli Stati Uniti il principio di obbligatorietà viene sostituito da quello di opportunità, anche se il livello di
discrezionalità del p.m. non è illimitato, dovendosi comunque rispettare i principi di legalità e uguaglianza.
Parlando di organi giudicanti, i giudici possono poi essere onorari o professionali. I primi non sono inseriti nell’organico
dell’amministrazione della giustizia e svolgono attività circoscritte a una determinata mansione per la quale
percepiscono un compenso o un’indennità, non avendo necessariamente la stessa formazione giuridica di un giudice
professionale. I giudici professionali sono invece posti in un rapporto lavorativo di dipendenza con l’amministrazione
statale e sono parte integrante del sistema giudiziario.
Diversi ancora sono i giudici popolari. Nei sistemi continentali europei, è possibile rinvenire la loro presenza accanto
ai giudici professionali, nelle corti d’assise, a creare un particolare collegio misto, chiamato a decidere reati considerati
socialmente di particolare gravità. Generalmente non hanno alcuna formazione specifica e sono scelti dai cittadini. Nei
Paesi a tradizione anglosassone, si viene a creare una vera e propria giuria popolare, composta unicamente da normali
cittadini, che emana un verdetto, il quale deve essere tradotto in sentenza dal giudice togato.
Anche l’organizzazione territoriale incide sul sistema giudiziario; ad esempio in presenza di stati federali si diversifica
il sistema giudiziario sia in termini di competenze che in termini di reclutamento. In alcuni stati come quello tedesco
la disciplina per alcuni tribunali è dettata in modo uniforme a livello federale. La Svizzera, invece, in particolar modo
fino al 2000, era caratterizzata da forte frammentazione e da una difficoltà di gestione della giustizia a livello federale
a causa di numerosi codici processuali statali uno diverso dall’altro; il problema si è risolto mediante l’ampliamento
della tutela giurisdizionale federale con l’istituzione di un Tribunale penale e amministrativo federale.
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9.4 Il potere giudiziario nei paesi di common law
Gli stati di tradizione common law prevedono per il reclutamento una selezione cd. politico-professionale,
caratterizzata dalla nomina da parte dell’esecutivo o dall’elezione diretta da parte del popolo.
Un esempio è offerto dall’ordinamento giudiziario statunitense; qui bisogna distinguere tra giudici federali e giudici
statali. I primi vengono nominati a vita e possono essere rimossi solo tramite procedura di impeachment dal vertice
del potere esecutivo (il Presidente); il Senato ha il compito di esprimere il suo advice and consent rispetto al nominativo
indicato dal presidente (contropotere). L’individuazione dei giudici ricade su soggetti che abbiano raggiunto un elevato
prestigio, stima e influenza nel mondo giuridico. La nomina diretta da parte del presidente è inoltre effettuata solo
con riferimento ai giudici della Corte suprema, mentre per gli altri giudici federali è incaricato il ministro della Giustizia.
Il dipartimento di giustizia è chiamato a svolgere una prima analisi dei nominativi proposti e il Bar Association a
esprimere un giudizio.
I giudici statali, invece, restano in carica soltanto per un periodo di tempo determinato; possono essere nominati dal
Governatore di Stato oppure è possibile fare ricorso a un sistema di elezione vero e proprio nel quale i partiti politici
possono intervenire a supporto di un candidato. A partire dal 1940, è stata introdotta una forma di reclutamento
intermedia (Missouri Nonpartisan Court Plan) con cui si prevede l’istituzione di una commissione apposita che invia
una lista di possibili candidati al governatore, che seleziona colui che svolgerà il compito di giudice per un anno;
scaduto questo periodo, le votazioni popolari potranno confermare o revocare l’incarico.
Così come il sistema statale, anche quello federale prevede tre gradi di giudizio. La maggior parte delle controversie
vengono risolte a livello statale (le decisioni delle corti supreme statali sono impugnabili), a meno che la controversia
non sia attinente al diritto federale. Non è sempre facile però distinguere e fissare i limiti della giurisdizione statale
rispetto a quella federale. Per la rimozione di un giudice statale, accanto all’impeachment è previsto il metodo del
recall (richiamo con referendum popolare) o dell’address (richiamo delle camere statali con votazione).
A differenza del sistema americano, nel modello inglese il carattere professionale è stato esaltato a sfavore
dell’ingerenza politica a partire dal 2005 con il Constitutional Reform Act. In passato, un ruolo dominante nel
reclutamento dei magistrati era svolto dal Lord Chancellor al quale era attribuito il potere di nomina; egli era membro
dell’esecutivo in qualità di speaker della camera dei Lord, quindi effettuava nomine di natura politica. Nel 2005 il ruolo
del Lord Chancellor è stato ridotto con l’introduzione della Judicial Appointments Commission, un organo indipendente
con il compito di selezionare e disporre una lista di nominativi da sottoporre al Lord Chancellor, che perde anche la
carica di speaker. Posizione apicale del sistema giudiziario è ora attribuita al Lord Chief Justice. Critica: in particolare
nelle corti superiori, i componenti sono spesso benestanti, quindi vi è una rappresentazione poco omogenea della
società e si pongono difficoltà di avanzamento di carriera.
A rafforzamento dell’indipendenza e imparzialità dei giudici, rileva anche l’incorporazione della CEDU e di alcune
sentenze della corte EDU. Ulteriori modifiche sono state apportate in tal senso nel 2007 e 2013, andando a favorire il
pluralismo all’interno della magistratura, modificando il meccanismo di nomina, riducendo l’ingerenza del ministro
della Giustizia e ulteriormente quella del Lord Chancellor. Spetta al Lord Chief Justice nominare i giudici delle corti
inferiori e della High court. Una particolarità del sistema inglese è il grande utilizzo dei magistrati onorari. Tutto questo
si riferisce al sistema giudiziario di Inghilterra e Galles; sistemi separati sono previsti in Scozia e Irlanda del Nord.
9.5 Una particolare forma di garanzia dell’indipendenza della magistratura: gli organi di autogoverno
Il principio di indipendenza costituisce una forte garanzia ai fini della concreta applicazione del principio di separazione
dei poteri e di quello di legalità. L’indipendenza del potere giudiziario si manifesta sia sul versante interno che su quello
esterno. Con “indipendenza interna” si fa riferimento ai rapporti interni alla magistratura; essa si concretizza con
l’autonomia sul piano organizzativo (modalità di reclutamento, trattamento economico). Con “indipendenza esterna”
si intende l’autonomia della magistratura rispetto agli altri poteri dello Stato, tramite l’istituzione di organi di
autogoverno (tipici nel civil law) a cui viene assegnata la funzione di garante e controllore dell’autonomia dei magistrati
e del loro assetto organizzativo.
La Francia, già a partire dal 1883, si è dotata di un CSM, che in seguito a varie riforme (1993, 2008), è stato dotato di
sempre maggiore autonomia.
Diversa è la composizione del Consejo general del poder judicial spagnolo, dove tutti i componenti, ad eccezione del
presidente, sono nominati dal re ma eletti dal Parlamento (designazione esclusiva in mano al potere politico).
In Portogallo gli organi di autogoverno sono tripartiti. In Germania non esiste alcun organo di autogoverno.
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- politicizzazione della magistratura → L’influenza dei giudici può manifestarsi attraverso lo schieramento e la
partecipazione alle attività di un determinato partito politico. Solitamente si tende a vietare questo tipo di
appartenenza diretta a uno schieramento per tutelare la figura del giudice come soggetto super partes.
- giudiziarizzazione della politica → Di fronte all’immobilismo del legislatore, le corti possono svolgere,
mediante la loro interpretazione dei dettami costituzionali, una funzione di supplenza giudiziaria che consente
il riconoscimento di nuovi diritti che la società ritiene meritevoli di tutela. Sempre più spesso ci si rivolge si
giudici non solo per ottenere singole risposte sul caso concreto ma anche su temi di più ampio respiro,
andando così incontro a una giudiziarizzazione della politica (spostamento delle competenze decisionali dal
potere legislativo ed esecutivo ai tribunali). Resta da stabilire quali siano i limiti del potere giudiziario.
Sul profilo della responsabilità si distingue tra responsabilità politica, che sorge in caso di violazione dei principi
costituzionali, e responsabilità civile, che si riscontra in caso di dolo o colpa grave e in seguito a danneggiamento di
una o più parti in causa.
10 – LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE
10.1 La nascita e la fortuna della giustizia costituzionale: il “custode della Costituzione”
Con l’espressione “giustizia costituzionale” ci si riferisce agli strumenti di difesa della Costituzione per via giudiziaria;
essa rappresenta un argine soprattutto nei confronti di chi esercita i poteri pubblici. La giustizia costituzionale ha
sviluppato una varietà di funzioni; tuttavia essa ne svolge tre tipi principali:
1. Controlla la legittimità degli atti attraverso cui i poteri pubblici esercitano le loro funzioni, soprattutto nel caso
di atti aventi forza di legge
2. Dirime i conflitti tra le istituzioni dell’ordinamento
3. Giudica ed eventualmente reprime i comportamenti di soggetti che ricoprono funzioni politiche di alto profilo.
Queste funzioni spesso divergono da paese a paese, oppure singoli istituti possono ricadere in più di una funzione tra
quelle indicate. In particolare, negli ordinamenti in cui è presente un organo specificatamente deputato alla funzione
di garantire il rispetto della Costituzione accade spesso che a tale organo vengano attribuiti ulteriori compiti.
È stato però indispensabile, per lo sviluppo concreto di forme di giustizia costituzionale, che prima si affermassero
delle Costituzioni scritte come strumento di legittimazione e di limite al potere dello Stato.
L’idea di attuare una giustizia costituzionale emerge già in seguito alle rivoluzioni francese e americana del XVIII secolo.
In Francia, Sieyès, enuclea l’idea di un giurì costituzionale, ossia di un’assemblea politico-giudiziaria con il duplice scopo
di tutelare la Costituzione e di svilupparla e perfezionarla.
Negli Stati Uniti, nel 1803, John Marshall redige la fondamentale sentenza Marbury vs Madison, attribuendo il potere
di controllo costituzionale di una legge alla Corte suprema. Marshall sviluppa la sentenza dopo un’attenta riflessione
per evitare di disattendere la Costituzione che nulla prevede a riguardo; giunge quindi alla conclusione che una
Costituzione scritta e sovraordinata esige di essere protetta anche nei confronti delle altre norme dell’ordinamento
qualora esse la contraddicano, e che spetta ai giudici fornire tale protezione, disapplicando le leggi contrastanti.
Nel corso dell’Ottocento, la giustizia costituzionale si diffuse in tutta Europa; essa emerge negli Stati federali (in
particolare negli stati di lingua tedesca) per la necessità di regolare i rapporti tra centro e periferia.
Una terza fase decisiva per la storia della giustizia costituzionale ha il suo vertice in un confronto intellettuale che si
svolge nella prima metà del Novecento in Europa. Il dissidio contrappone Karl Schmitt ad Hans Kelsen; i due discutono
su chi debba ricoprire il ruolo di custode della costituzione. Per Schmitt, la funzione di custode spetta al capo di Stato;
per Kelsen, è necessario avere una corte specializzata chi occupi della tutela della Costituzione: sarà la sua
impostazione a prevalere. I due studiosi operano nel contesto della Costituzione di Weimar che esprime la
consapevolezza che il potere vada regolato e contenuto. Nelle Costituzioni austriache e cecoslovacche si prevedono
di lì a poco anche forme di giustizia costituzionale nei rapporti tra centro e periferia.
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Sarà la Seconda guerra mondiale a dare una spinta decisiva a custodire la Costituzione dall’attività legislativa di
maggioranze politiche; il compito verrà affidato a giudici in un solo organo apposito.
In ritardo rispetto al resto dell’Europa, a causa del permanere di dittature, negli anni ’70 anche Grecia, Portogallo e
Spagna adotteranno forme di tutela della costituzione di tipo giudiziario (la Spagna trarrà ispirazione da Germania e
Italia). Infine, seguiranno l’ondata anche i paesi dell’est Europa in seguito al crollo sovietico.
Un controllo di tipo politico (Schmitt) non è tuttavia completamente sparito dagli ordinamenti, anche se è fortemente
ridotto (veto o rinvio leggi).
Caso peculiare quello della Svizzera, che non consente di formalmente il vaglio di costituzionalità delle leggi federali,
attribuisce al potere legislativo il ruolo di custode della Costituzione federale e ammette ampio ricorso ai referendum
popolari come strumenti di opposizione al potere legislativo.
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→ Il Belgio nel 1980 ha introdotto una Cour d’arbitrage al fine specifico di dipanare le controversie relative alle
competenze di Stato, Regioni e Comunità; le sue competenze sono man mano aumentate fino a diventare nel
2007 una vera e propria corta costituzionale deputata a giudicare anche dei diritti, prendendo il nome di Cour
constitutionnelle.
→ In Germania il Tribunale costituzionale affronta controversie sia tra le istituzioni a cui la Grundgesetz abbia
attribuito competenze, sia tra la federazione e i Länder.
→ Anche in Spagna Il Tribunale costituzionale decide i conflitti di competenza tra Stato e Comunità autonome,
stessa cosa in Svizzera con i Cantoni.
→ In Francia il Conseil costitutionnel vigila anche sulle operazioni referendarie, sull’elezione del Presidente e
dirime le controversie relative alle elezioni parlamentari.
→ Per regolare la relazione tra il potere e le istituzioni, il Regno Unito ha previsto che la corte suprema possa
essere adita sia durante il procedimento legislativo sia a posteriori, per verificare se un atto legislativo sia
incompatibile con la devolution, la quale ha decentrato significativi poteri dal parlamento di Westminster a
diverse parti del Paese. Rilevante a tal proposito è la sentenza Miller del 2017, in cui venne ritenuto che in
base al diritto britannico, il governo non potesse, senza l’intervento del Parlamento, uscire da trattati europei.
Nella sfera della giustizia costituzionale rientrano anche molteplici soluzioni per accertare le responsabilità più gravi
dei soggetti che ricoprono ruoli apicali in un ordinamento. L’organo deputato a tale accertamento è solitamente di
composizione mista politico-tecnica.
L’impeachment ha origini inglesi, ma, come i giudizi sulle leggi, scomparirà da quell’ordinamento e avrà fortuna nel
resto d’Europa, seppur con soluzioni diversificate tra loro. In Belgio il giudizio spetta alla corte d’appello; in Danimarca
spetta all’alta corte del regno in seguito alla messa in stato d’accusa da parte del re o del parlamento; in Francia è l’alta
corte (Parlamento riunito appositamente in seduta comune); in Germania spetta al Tribunale costituzionale federale
in seguito a messa in stato d’accusa da parte di Bundestag o Bundesrat.
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Molto simile può considerarsi il meccanismo del rinvio pregiudiziale con cui la corte di giustizia dell’UE giudica
l’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione su sollecitazione di un giudice nazionale tenuto poi a darvi
applicazione.
Con l’introduzione del XVI Protocollo, la corte EDU può agire preventivamente per un giudizio sull’interpretazione di
un articolo della convenzione europea. Tale modello è poi confluito nell’ordinamento francese con una riforma del
2008, che ha ammesso che il Consiglio possa essere investito di una questione di costituzionalità su una legge nel corso
del procedimento.
Una terza via può essere quella del ricorso diretto con cui si consente al singolo che lamenti una violazione dei propri
diritti costituzionali da parte di un’autorità pubblica di far valere la sua lesione davanti al giudice costituzionale. Si
tratta di uno strumento già presente nell’Ottocento nelle costituzioni latinoamericane, con l’ipotesi del ricorso di
amparo (i giudici delle corti inferiori offrivano tutela giurisdizionale ai singoli soggetti). Questa formula verrà poi
introdotta in Spagna prima nel 1931, poi nel 1978 ed è però esperibile solo una volta terminati i rimedi giurisdizionali
ordinari. Il ricorso diretto si è dimostrato di ampio successo anche in altri ordinamenti ma ha provocato l’ingolfamento
del sistema a causa delle troppe richieste (Germania, Svizzera).
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All’estremo opposto, in Grecia, il controllo di legittimità costituzionale spetta a un consesso composto appositamente,
comprendente i presidenti delle supreme corti amministrative, ordinarie e dei conti e da ulteriori 4 membri di tali corti;
l’organo non ha quindi alcun legame con istituzioni di indirizzo politico.
Esistono altri sistemi misti che fanno confluire soggetti eletti dalle magistrature con quelli selezionati dalle istituzioni
di indirizzo politico: è il caso della Spagna.
In Belgio, i giudici della Corte costituzionale devono essere sganciati dalle dinamiche politiche (per questo nominati a
vita) e sottoposti al pensionamento al settantesimo anno di età; sono scelti in base ad una doppia lista, adottata a
maggioranza qualificata e presentata alternativamente dalle due Camere. Inoltre, devono essere espressione della
diversità linguistica; infatti sono per metà francofoni e per metà neerlandesi.
Anche negli Stati Uniti, i 9 giudici della Corte Suprema federale hanno un mandato a vita, ma vengono nominati dal
presidente con l’assenso del Senato.
Il Tribunale federale della Svizzera (organo giudiziario di ultima istanza) è composto da un numero importante di giudici
(da 35 a 45), in carica per 6 anni, eletti in seduta comune dall’Assemblea federale (che ne fissa il numero effettivo).
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giudizio valga pro futuro, oppure possono procrastinare l’efficacia delle loro decisioni, per dare il tempo necessario al
legislatore di intervenire con una nuova disciplina. In particolare, in Germania, il Tribunale ha disposto varie formule
mitiganti: dichiarazioni di incompatibilità, di mera incostituzionalità, o di costituzionalità provvisoria.
11 – L’UNIONE EUROPEA
11.1 Che cos’è l’Unione Europea
Convenzionalmente, definiamo l’Unione Europea come un’organizzazione economica e politica tra stati europei.
Eppure, tale definizione non descrive al meglio la sua natura, in quanto non si può far rientrare l'Unione Europea tra
le organizzazioni internazionali. I paesi dell’unione hanno limitato la loro sovranità a favore delle istituzioni europee;
per questo motivo non può essere definita una semplice organizzazione di diritto internazionale, in quanto in tali
organizzazioni gli stati restano detentori della loro sovranità. Altre ipotesi l’hanno spesso associata ad una
Confederazione di Stati: anche in questo caso è difficile sostenere che lo sia, poiché anche gli stati facenti parte di una
confederazione restano detentori di sovranità e disciplinano i loro rapporti attraverso il diritto internazionale.
In alternativa, si è considerata l’Unione come tendente al raggiungimento di una Federazione, a causa del suo lento
ma costante trasferimento di competenze e sovranità alle istituzioni europee. Il processo ancora oggi non può dirsi
compito, mancando al completamento il riconoscimento di un solo Stato federale sovrano e di una Costituzione
federale.
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Nel 2004 si verifica un tentativo di attuazione di una Costituzione europea, il quale tuttavia fallì per il voto referendario
contrario di Francia e Paesi Bassi. Oltre ai trattati, fonti principali del diritto europeo, restano regolamenti e direttive.
Il Trattato di Lisbona supera la struttura ripartita in 3 pilastri e pone tra gli allegati una Carta dei diritti fondamentali;
viene inoltre consolidato il ruolo del Parlamento europeo e di istituti di partecipazione volti a comare il deficit
democratico. Ultimamente il processo di evoluzione ha subito una battuta d’arresto anche in seguito all’affermazione
di movimenti euroscettici e della Brexit.
→ Il Consiglio europeo dà all’unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità
politiche generali; non ha funzioni legislative e non va confuso con il Consiglio. È composto dai capi di stato o di
governo degli Stati membri, dal suo presidente, dal presidente della Commissione e dall’alto rappresentante
dell’Unione per gli Affari esteri. Il presidente è eletto a maggioranza qualificata per un mandato di 2 anni e 6
mesi, rinnovabile solo una volta; ad egli spetta anche la rappresentanza esterna dell’unione per materie relative
alla politica estera e alla sicurezza comune. Pur non esercitando funzioni legislative, riunendo al suo interno i
leader politici a livello nazionale ed europeo, tale organo svolge un ruolo attivo nel quadro istituzionale,
determinando le priorità generali dell’UE.
→ Il Parlamento europeo è l’organo di rappresentanza dei cittadini dell’Unione; la sua funzione principale è quella
legislativa, che esercita congiuntamente al Consiglio; tra le altre funzioni troviamo quella di bilancio, l’elezione
del presidente della Commissione, di controllo politico e consultiva. È composto da 751 membri eletti con sistemi
elettorali differenti dai vari stati in proporzione alla loro popolazione. I parlamentari sono poi organizzati in
gruppi politici di minimo 25 deputati eletti in almeno un quarto degli stati; negli ultimi anni sono emersi nuovi
gruppi accanto a quelli tradizionali (PPE, PSE, Verdi, Liberali e democratici, Conservatori e riformisti, ecc.) spesso
in aperto contrasto con il progetto comunitario. Di norma il parlamento delibera a maggioranza dei voti espressi.
I membri del Parlamento operano poi all’interno delle commissioni parlamentari.
→ Il Consiglio è il principale organo decisionale dell’UE; esercita la funzione legislativa e di bilancio, nonché altre
funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento. Nella prassi, prende il nome di Consiglio dei ministri
dell’Unione europea; infatti, i ministri dei governi di ciascun paese si incontrano per discutere, adottare la
legislazione e coordinare le politiche. Attualmente, sono previste 10 formazioni del consiglio; la formazione varia
a seconda dell’ambito nel quale si debba decidere. Pur non essendovi una gerarchia tra le varie formazioni, svolge
un ruolo prevalente il Consiglio degli affari generali e il Consiglio degli affari esteri. Inoltre, il consiglio per gli affari
economici e finanziari ha una composizione peculiare: sono presenti solo i ministri degli stati appartenenti
all’Eurozona. Il metodo di votazione del consiglio è a maggioranza qualificata per circa l’80% della legislazione.
In materie delicate (come politica estera o fiscalità) è invece richiesto il consenso di tutti i Paesi membri.
→ La commissione è l'organo esecutivo dell'UE, al quale spetta l'attuazione delle decisioni del Parlamento europeo
e del Consiglio. Gode di una particolare posizione di indipendenza politica dalle altre istituzioni e dagli stati. La
commissione dura in carica 5 anni ed è composta da un cittadino per ogni Stato membro. Ai sensi dell’articolo
17.5 TUE, nel 2014 il numero di membri doveva essere ridotto (prevedendo un sistema di rotazione); tuttavia
questo articolo prevede la possibilità per il Consiglio europeo di modificare tale numero solo all’unanimità; così,
prima dell’entrata in vigore della composizione ridotta della Commissione, a causa di una forte contrarietà di
alcuni governi, il numero è rimasto invariato.
Allo stato attuale vi sono: un presidente e 7 vicepresidenti (tra i quali rientrarono il primo vicepresidente e l’Alto
rappresentante dell'unione per gli affari esteri e politica di sicurezza) nonché da altri 20 commissari incaricati dei
rispettivi portafogli compatibili con i ministeri. Il presidente ha un ruolo di rilievo; è eletto dal Parlamento
europeo a maggioranza dei membri che lo compongono, su proposta del Consiglio europeo; è una figura
politicamente in sintonia con gli Parlamento, infatti il Parlamento può respingere la proposta ricevuta dal
Consiglio europeo che dovrà poi entro un mese proporre un secondo nome. L'approvazione del Parlamento è
inoltre prevista anche per l'individuazione degli altri componenti della commissione, in seguito a valutazione del
presidente della Commissione dietro proposta di ciascuno Stato membro.
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Il ruolo della commissione è quello di vigilanza sia sull’applicazione dei trattati sia sull’applicazione del diritto
dell'unione, ovviamente sotto il controllo della Corte di giustizia. Inoltre, i poteri di vigilanza riguardano anche il
rispetto dei vincoli di bilancio e il coordinamento delle politiche economiche nazionali. È il presidente a stabilire
l'organizzazione interna della commissione nominando i vicepresidenti e godendo anche di potere di revoca,
potendo quindi chiedere a un membro della commissione di rassegnare le dimissioni. La commissione sarà poi
responsabile collegialmente nei confronti del Parlamento, che tramite una mozione di censura può determinare
le dimissioni dell'intero organo.
→ La Corte di giustizia dell'unione europea è l'organo giudiziario. Composta da Corte di giustizia, Tribunale e
tribunali specializzati, si occupa principalmente di garantire il rispetto del diritto nell'interpretazione e
nell'applicazione dei trattati nonché di risolvere le eventuali controversie giuridiche che possono sorgere tra i
governi nazionali; tra i governi nazionali e le istituzioni europee; tra le stesse istituzioni europee; tra persone
fisiche o giuridiche e l'unione.
La corte di giustizia tratta le richieste di pronuncia pregiudiziale presentate dai tribunali nazionali; il tribunale
invece giudica sui ricorsi per l'annullamento presentati dei privati cittadini, imprese e governi.
Attualmente l'unico tribunale specializzato esistente è il tribunale della funzione pubblica dell'Unione Europea
ed è competente per le controversie tra l'UE e suoi agenti. La corte di giustizia è composta da un giudice per ogni
Stato membro. Il tribunale, invece, si compone di due giudici per Stato membro.
La corte ha svolto un ruolo da protagonista nell’affermare il primato del diritto europeo (vedi sentenza Costa v.
Enel), e nel riconoscimento dei diritti fondamentali. I ricorsi alla corte possono concernere:
• Procedura di infrazione avviate dalla commissione europea o da uno Stato membro nei casi in cui il governo
nazionale non rispetti il diritto europeo
• Ricorsi per annullamento proposti da uno Stato membro o dalle istituzioni europee nel caso in cui un altro
della stessa Unione violi i trattati i diritti fondamentali
• ricorsi per omissione promossi dai governi nazionali, dalle stesse istituzioni europee nei casi in cui
Parlamento, consiglio e commissione omettano di assumere atti o decisioni previste dai trattati
• pronunce pregiudiziali sull'interpretazione del diritto europeo che nascono dalle istanze di giudici nazionali
al fine di rendere uniforme l'applicazione del diritto
• Azioni di risarcimento del danno promosse da persone fisiche o giuridiche i cui diritti o interessi siano stati
lesi da azioni o omissioni delle istituzioni UE
→ Corte dei Conti è l'organo di controllo contabile dell’Unione. Dotata anch'essa di indipendenza dalle istituzioni e
dagli Stati membri, controlla che i fondi siano raccolti e utilizzati correttamente. Può effettuare tre tipologie di
controlli: finanziari, di conformità, di gestione.
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Stato membro desideri recedere dall'unione (articolo 50). Il trattato è a sua volta suddiviso in due parti: il trattato
sull’UE (TUE) e il trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE).
Tra le fonti derivate vi sono gli atti normativi e gli atti amministrativi adottati dall'Unione tra cui regolamenti, direttive,
decisioni, raccomandazioni e pareri. Sono soprattutto i regolamenti e le direttive a interessare i rapporti fra
ordinamenti nazionali e l'ordinamento dell'unione:
- I regolamenti sono fonte primaria del diritto, di portata generale, obbligatori in tutte le loro parti e direttamente
applicabile in tutti gli Stati membri, direttamente efficaci anche nei confronti di persone fisiche o giuridiche,
soggetti pubblici o privati.
- Le direttive sono atti normativi che vincolano gli Stati membri destinatari a introdurre una determinata disciplina
all’interno del proprio ordinamento, dando esecuzione alle previsioni della stessa direttiva, ma lasciando
discrezionalità allo stato sulle modalità di attuazione. Tuttavia, nella prassi, si sono sviluppate sempre più
direttive dettagliate che limitano sensibilmente l'ambito di discrezionalità degli stati destinatari. Le direttive
possono anche essere di tipo autoapplicativo, nel caso in cui non vengano attuate entro una determinata
scadenza.
- Le decisioni sono atti vincolanti in tutti i loro elementi, non possono essere applicate in maniera incompleta,
selettiva o parziale. Sono rivolte sia a persone fisiche e giuridiche, sia a Stati membri; i loro effetti possono essere
legislativi di portata generale e non legislativi con contenuto particolare.
- Raccomandazioni e pareri non hanno effetti vincolanti, rappresentano atti di indirizzo politico che non
determinano obblighi nei confronti dei destinatari.
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• la competenza concorrente con gli Stati membri: entrambi possono regolare la materia ma con una prevalenza
della normazione europea; gli Stati possono esercitarla nella misura in cui l’Unione non abbia esercitato la
propria.
• competenza di sostegno: determina la facoltà per l'Unione di adottare misure volte a sostenere, a coordinare
o completare le politiche nazionali senza tuttavia sostituirsi alle competenze degli Stati.
La distribuzione delle competenze tra istituzioni europee e Stati è di tipo dinamico e flessibile, grazie ai principi di
sussidiarietà e proporzionalità. Il principio di sussidiarietà consente all’Unione di intervenire anche nei settori che non
sono di sua competenza esclusiva soltanto se gli obiettivi non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli
Stati membri. In ogni caso, l'intervento dell'Unione deve essere proporzionale, cioè la sua azione non deve andare al
di là di quanto necessario nel massimo rispetto delle competenze nazionali.
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