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Diritti di credito derivanti dall'esercizio del


mandato

Traccia

Tizio, mandatario senza rappresentanza di Caio, stipula, in veste di promissario acquirente, un preliminare di vendita di edificio
da ristrutturare con la società immobiliare Alfa.
Il suddetto contratto, a seguito del mancato pagamento di due rate di prezzo da parte di Tizio, viene risolto per effetto di
espressa clausola risolutiva.
La società Alfa conviene, dunque, in giudizio Tizio, per ottenere il pagamento di una somma a titolo di penale, di anticipo fatture
e di risarcimento danni.
Tizio, a sua volta, propone domanda riconvenzionale volta ad ottenere la restituzione delle somme versate in conto prezzo.
Caio decide di rivolgersi al proprio legale Filano per verificare la possibilità di associarsi alla domanda di Tizio per ottenere la
restituzione delle somme relative agli acconti rateali pagati con assegni dallo stesso emessi oppure, quanto meno, al recupero
delle somme anticipate per la ristrutturazione dell’immobile e per il pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Il candidato, assunte le vesti del legale Filano, rediga parere motivato.

Giurisprudenza

¨ Cassazione civile, Sezioni unite, 8 ottobre 2008, n. 24772: La disposizione di cui al comma 2, prima parte, dell'art.
1705 c.c. deve essere interpretata come eccezione al principio generale, di cui al comma 1 del medesimo articolo, secondo
cui il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi,
anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. La disposizione del comma 2, pertanto, in ragione del carattere
eccezionale e in forza del chiaro tenore dell'espressione “diritti di credito derivanti dall'esercizio del mandato”, deve essere
rigorosamente limitata alla facoltà di esercizio, da parte del mandante, dei soli diritti sostanziali di credito derivanti al
mandatario dalla esecuzione dell'incarico gestorio, con esclusione della possibilità di esperire, contro il terzo, le relative
azioni contrattuali.
Il doppio requisito dell'unicità del fatto costitutivo e della sussidiarietà dell'azione va senz'altro riaffermato sul piano della
regola generale, con la duplice eccezione costituita dall'arricchimento mediato conseguito da una P.A. rispetto ad un ente
(anch'esso di natura pubblicistica) direttamente beneficiario/utilizzatore della prestazione dell'impoverito e
dall'arricchimento conseguito dal terzo a titolo meramente gratuito, in tal modo rivalutandosi la funzione propriamente
equitativa dell'actio de in rem verso, la cui ratio è sopratutto quella di porre rimedio a situazioni giuridiche che altrimenti
verrebbero ingiustamente private di tutela tutte le volte che tale tutela non pregiudichi in alcun modo le posizioni,
l'affidamento, la buona fede dei terzi.

Svolgimento

Ai fini della soluzione della questione sottoposta alla nostra attenzione appare opportuno esaminare rapidamente la disciplina
dettata in tema di mandato.
Il mandatario è tenuto, in virtù del contratto di mandato, al compimento di atti giuridici, per conto del mandante, il quale ultimo
è destinatario finale delle conseguenze economiche, positive o negative, dell’attività gestoria svolta dal mandatario. Tale
risultato viene attribuito al mandante in via automatica, se il mandato è con rappresentanza, altrimenti, vengono in rilievo le
modalità di deviazione degli effetti giuridici prodotti, dal mandatario al mandante, come previste agli articoli 1705 e 1706, Cc. In
particolare, l’articolo 1705, Cc prevede, al I c., che il mandatario acquista, in nome proprio, i diritti e obblighi derivanti dagli atti
compiuti con i terzi, anche se questi non hanno avuto conoscenza del mandato. Invece, con riferimento ai crediti nascenti
dall’esecuzione del mandato, l’articolo 1705, II c., Cc, prevede che il mandante possa sostituirsi al mandatario, esercitandoli. Il
raccordo tra queste due ultime previsioni, anche in relazione alle altre regole dell’agire a proprio nome, ha suscitato difficoltà
interpretative.
Secondo una prima tesi dottrinale , il mandante ha l’azione diretta nei confronti del terzo, sul rilievo che l’articolo 1705, II c.,
Cc, rappresenta un’ipotesi di azione surrogatoria, nel senso che il mandante può sostituirsi al mandatario nell’esercitare l’azione
nascente dal contratto (stipulato in assenza di contemplatio domini), nei confronti del terzo; tale teoria, però, viene censurata,
mancando uno dei requisiti richiesti per l’azione surrogatoria, ovvero l’inerzia del debitore. Secondo altro indirizzo, la possibilità
del mandante di esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, non comporta l’acquisto diretto dei crediti da
parte del mandante, trattandosi di una generica legittimazione ad agire ex lege del mandante. Tuttavia, prevale la tesi che
attribuisce al solo mandatario la legittimazione attiva e passiva alle azioni relative al negozio gestorio.
Anche i giudici di legittimità hanno assunto posizioni divergenti in merito all’interpretazione dell’articolo 1705, II c., Cc.
Precisamente, secondo una tesi, piuttosto risalente ma riproposta anche di recente, il mandante ha il potere di agire
direttamente in giudizio, esperendo tutte le azioni scaturenti dal contratto concluso dal mandatario, ovvero annullamento,
risoluzione, rescissione, risarcimento. Tale assunto si fonda sulla considerazione per cui, a tutela dell’interesse del mandante,
nel mandato senza rappresentanza si verifica l’integrale subingresso del mandante nella posizione contrattuale del mandatario,
con conseguente modificazione soggettiva del rapporto (Cassazione 17145/06). Inoltre, si evidenzia che l’azione diretta
risponde a esigenze acceleratorie e semplificatorie, in vista del risultato economico finale cui tende il complessivo meccanismo
del mandato senza rappresentanza (Cassazione 7828/98).
A questo orientamento, si contrappone l’interpretazione, più rigorosa, cui hanno aderito ultimamente anche le Sezioni unite (8
ottobre 2008, n. 24772), in base alla quale i diritti di credito, di cui alla norma citata, sono solo quelli sostanziali, attinenti
l’esecuzione dell’incarico oggetto del mandato, con esclusione dell’esperibilità diretta, da parte del mandante, nei confronti del

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terzo, delle azioni scaturenti dal contratto stipulato dal mandatario (Cassazione 13375/07; 1118/98). Tale indirizzo, dominante
in giurisprudenza, qualifica il rapporto intercorrente tra primo e secondo comma dell’articolo 1705 Cc in termini di regola ed
eccezione: ne consegue che l’espressione diritti di credito, esclusa la possibilità di interpretazione estensiva, o di analogia,
ricomprende solo le situazioni giuridiche soggettive sostanziali, e non processuali, dirette al soddisfacimento del credito. La tesi
appena riferita, sotto il profilo dell’interpretazione logica, sottolinea che, diversamente opinando, la regola generale di cui
all’articolo 1705, I c., Cc, sarebbe svuotata di contenuto. Inoltre, si rappresenta che, secondo i caratteri peculiari del mandato
senza rappresentanza, il terzo non entra in contatto con il mandante, il quale ultimo non diviene mai parte del contratto.
Alla luce della soluzione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, avallata dalle Sezioni unite, appare difficile riconoscere, in
capo a Caio la possibilità di promuovere azione giudiziaria relativamente al contratto stipulato tra Tizio (suo mandatario senza
rappresentanza) e dalla società Alfa, non potendo affatto essere considerato quale parte di quel contratto.
Verifichiamo, ora la possibilità da parte di Tizio di agire almeno per il recupero delle somme anticipate per la ristrutturazione
dell’immobile e per il pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Esclusa la possibilità di agire contrattualmente unico strumento che la legge pone a disposizione, in fattispecie simili è costituito
dall’azione per ingiustificato arricchimento (ex art.2041 c.c.).
Condizioni essenziali previste dall’articolo 2041 e ss. Cc sono l’arricchimento di un soggetto e il correlativo impoverimento di un
altro, senza un titolo giustificativo; la residualità, l’assenza di altri rimedi idonei a rimuovere il pregiudizio.
La giurisprudenza ha precisato che necessita la correlatività tra arricchimento e danno, ovvero che entrambi derivino dal
medesimo fatto costituivo; inoltre, si richiede, sotto il profilo dei soggetti legittimati ad esperire l’azione, l’identità arricchito-
beneficiario (Cassazione 1686/83; Trib. Ravenna 9.3.1994). I giudici di legittimità, nella pronuncia a Sezioni Unite dell’ottobre
scorso, evidenziano che, per una fattispecie particolare, in cui l’arricchimento è a favore della Pa., sono sorte opinioni
discordanti, all’interno della stessa Suprema corte, sull’operatività del principio della correlatività, con riflessi sull’ambito dei
soggetti interessati al rimedio. Al riguardo, si è avanzata la tesi della fungibilità dell’ente pubblico beneficiario, nel senso che il
vantaggio dell’arricchito (consistente in qualsivoglia utilizzazione della prestazione, anche in un risparmio di spesa), può essere
fruito, in concreto, da un ente pubblico diverso da quello originariamente destinatario della prestazione (Cassazione Su
1025/96); secondo una diversa teoria, invece, si applica il criterio generale, più restrittivo, che richiede la correlatività
(Cassazione 6355/98). Una terza impostazione, con riguardo ad altra ipotesi specifica, afferma che, se la prestazione è
conseguita dal terzo a titolo gratuito, l’azione ex articolo 2041 Cc è esperibile anche contro il terzo che si sia arricchito, pur
trattandosi di arricchimento cd. mediato o indiretto (Cassazione 11656/02).
Le Sezioni unite in particolare dichiarano di aderire alla regola generale, precisando che il fatto deve essere la causa diretta ed
immediata di entrambi gli eventi, nel senso della sussistenza del nesso di causalità ed immediatezza tra fatto-arricchimento e
fatto-depauperamento. Tuttavia, i giudici di legittimità affermano che tale principio incontra due eccezioni: in presenza di
arricchimento indiretto percepito da una Pa, rispetto ad altro ente pubblico favorito in via diretta dal depauperato, e in caso di
arricchimento a titolo gratuito, così valorizzando l’esigenza, a carattere equitativo, di tutelare situazioni che, altrimenti,
sarebbero, ingiustamente, prive di tutela.
(di Danilo Dimatteo)

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