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Rb Regola bollata
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SCRITTI E FONTI BIOGRAFICHE DI CHIARA D’ASSISI
ALTRE ABBREVIAZIONI
AF Analecta Franciscana
FF Fonti Francescane
EV Enchiridium Vaticanum
2
BIBLIOGRAFIA
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3
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4
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5
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1997.
6
INTRODUZIONE
caratterizzata da un proprio stile che, con il continuo richiamo a un passato glorioso, si apre,
in tempi nuovi, a quell’esperienza d’irresistibile fascino che san Francesco per primo ha
saputo vivere e comunicare con animo profondo e suggestivo. A partire dalle fonti, è
possibile analizzare i tratti essenziali di una musicalità francescana che nasce dalla
percezione della voce di Dio nella bellezza delle cose, una musicalità intesa come
materia e spirito, vita terrena e misticismo. Nello spirito francescano liturgia e musica si
fondono per esprimere un profondo senso di gioia e di bellezza nel lodare e benedire il
Signore; uno spazio in cui canto, musica e liturgia fioriscono come espressioni di gratuità,
fiducia e accoglienza, nella coscienza di dover in qualche modo restituire a Dio, il datore di
ogni bene, ogni beneficio ricevuto. Francesco fa coincidere nella propria esperienza liturgia
e vita, preoccupandosi non tanto della forma, quanto della sostanza della preghiera, pur
desiderando di rimanere in piena comunione con la tradizione della Chiesa. La Regola non
esaurisce il discorso sulla vita di preghiera dei frati nel capitolo terzo, ma lo riprende anche
in seguito, in riferimento più ad uno stile di vita quotidiano: i frati sono chiamati a non
spegnere mai lo spirito di orazione e devozione e a pregare sempre con cuore puro; il
capitolo terzo invece determina più strettamente l’organizzazione della preghiera. Per
Francesco dunque la preghiera è la linfa che deve alimentare continuamente la vita del
discepolo, e la liturgia, arricchita e resa più solenne dal canto e dalla musica, diventa il
7
Per spiegare meglio la funzione che il canto e la musica hanno svolto nella tradizione
liturgica francescana, occorre partire dal valore che hanno avuto nella vicenda vocazionale e
nel carisma di Francesco e dei suoi frati. Solo così sarà possibile tracciare un itinerario
spirituale e normativo all’interno della vita e delle consuetudini dell’Ordine che, lungo i
secoli, ha sempre mantenuto saldo il principio di una fraternità fondata su Cristo, cioè sulla
sequela di Cristo povero, umile e crocifisso (Christi vivendi forma) e fondata da Cristo, cioè
sulla forma di vita specifica che lo Spirito del Signore ha suggerito a Francesco e che la
8
CAPITOLO I
Il primo protagonista della musica e della poesia dell’Ordine Francescano fu proprio san
sirventesi degli oratori provenzali […], quando in Italia era penetrata la dolce poesia di
Provenza»2. Un modello di arte che attirò Francesco finché visse con le allegre brigate e, in
seguito, quando sentì la chiamata del Signore a compiere la vera missione della sua vita; egli
«fuse, come Dante, nel suo cuore magnanimo Terra e Cielo e donò al mondo il poema
francescano, ricco di celesti armonie creatrici 3». Francesco è il cantore della creazione e
delle creature e, con lui, i suoi primi compagni e discepoli; tutti protagonisti della storia della
musica, avendo inaugurato uno dei più antichi esperimenti conosciuti di lirica religiosa in
1
Su questa definizione del carisma di san Francesco si veda F. X. CHERIYAPATTAPARAMBIL, Francesco
d’Assisi e i trovatori, Edizioni «Frate Indovino», Perugia 1985.
2
A. LAURI, Musica francescana in sette secoli, in «Rivista Musicale Italiana», 46 (1942), p. 173.
3
ivi, p. 174.
9
lingua volgare4, tra i primi a «staccare l’espressione dell’amor sacro dal tronco millenario
Ci sono molti aspetti della personalità e della spiritualità di Francesco che possono essere
spiegati se posti in relazione con le sue origini francesi, o meglio, con le sue “devozioni”
francesi: essi vanno inquadrati in quel senso di profonda e perfetta letizia e di grande
cortesia e nobiltà nel suo stare con gli altri e con Dio, che spesso dimostrava intonando
celebri canzoni francesi o improvvisando testi su melodie allora in uso. Egli aveva sempre
una canzone sulle labbra e cantava instancabilmente le lodi del Signore, girovagando per le
strade e le campagne e in comunione con la natura6. Anche i valori e gli ideali del tempo in
cui visse, contribuirono non poco a formare l’"uomo" e il "santo" Francesco: la cavalleria
medievale e l’amor cortese diffuso dai trovatori, i movimenti penitenziali che influenzarono
il contesto religioso del tempo7. Le fonti tacciono riguardo agli influssi che i trovatori
potrebbero aver esercitato sul giovane Francesco: l’unico elemento di cui possiamo servirci
è la sua buona conoscenza del francese che potrebbe implicitamente rimandare ad eventuali
contatti con i trovatori. È pur vero che nelle biografie di Francesco compaiono frequenti
allusioni che in modo esplicito rimandano alla sua conoscenza della letteratura dell’amor
4
Le Laudi spirituali monodiche di Jacopone da Todi, come quelle di altri autori meno famosi dell’epoca,
presumibilmente accompagnate da strumenti quali il salterio, la viola, il liuto e la tromba, come lasciano
pensare i fogli pergamenacei miniati di alcune melodie laudistiche fiorentine, conservate a New York,
Worcester, Cambridge e Londra, rappresentano senza dubbio l’esempio più significativo di emancipazione del
canto e della musica di ispirazione popolaresca [cf. U. FRANCA, Musicalità Francescana, in «Studi
Francescani», 3-4 (1951), p. 157].
5
F. LIUZZI, La lauda e i primordi della melodia italiana (in F. ABBIATI, Storia della Musica, Milano 1939, I, p.
265).
6
«Il beato Francesco prese con sé frate Egidio e andò nella Marca di Ancona, gli altri due si posero in
cammino verso un’altra regione. Andando verso la Marca, esultavano grandemente nel Signore, e l’uomo
santo, cantando in francese a voce alta e chiara le lodi del Signore, benediceva e glorificava la bontà
dell’Altissimo. Tanta era la loro letizia che pareva avessero scoperto un grande tesoro nel podere evangelico
della signora Povertà, per amore del quale avevano generosamente e spontaneamente disprezzato come
spazzatura ogni bene temporale» (Leggenda dei tre compagni, in Fonti Francescane. Terza edizione rivista e
aggiornata, Editrici Francescane, Padova 2011, pp. 815).
7
Tra i tanti ricordiamo gli Umiliati che nacquero in Lombardia, a prima vista come seguaci dei catari e dei
valdesi, ma in seguito con tratti distintivi, fino a quando ottennero l’approvazione da parte di Innocenzo III nel
1201; da notare che questo movimento era suddiviso in tre ordini: i fratelli, le sorelle e un “terz’ordine” per i
secolari. Essi erano attivi nel campo dell’artigianato della lana, perciò è probabile che il padre di Francesco,
Pietro di Bernardone abbia avuto contatti con loro e che Francesco in qualche modo li frequentasse.
10
cortese e della mentalità trobadorica. In particolare la Leggenda dei tre compagni tratteggia
Francesco era tanto più allegro e generoso, dedito ai giochi e ai canti, girovagava per
la città di Assisi giorno e notte con amici del suo stampo, tanto generoso nello
spendere e dissipare in pranzi e altre cose tutto quello che poteva avere o guadagnare
[…]. Tuttavia per indole quasi naturale, era cortese nel comportamento e nel
conversare. E seguendo un proposito nato da convinzione, a nessuno rivolgeva parole
ingiuriose o sporche […]. Queste virtù di natura furono come gradini che lo elevarono
fino alla grazia di poter dire a se stesso: «Dal momento che sei generoso e cortese
verso persone dalle quali non ricevi niente, se non un’effimera vuota simpatia; ebbene
è giusto che tu sia generoso e cortese anche con i poveri, per amore di Dio che
contraccambia tanto largamente»8.
Proprio come i giovani di oggi, anche Francesco non avrebbe potuto non farsi
coinvolgere dalle mode del suo tempo, proprio quando la cultura trobadorica proveniente
dalla Provenza esercitava una grande influenza ovunque. A cavallo tra XII e XIII sec., fiorì
l’ideale della cavalleria e della vita cavalleresca all’interno dell’ambiente delle corti
provenzali, che ispirò contenuti forti per i trovatori, le cui liriche cantavano di “amore”,
“gioia” e “cortesia”. I trovatori più celebri di Provenza 9 giunsero ben presto presso le corti
italiane, trascinando con sé poeti e musicisti del luogo10; insieme vagavano per la penisola da
una festa all’altra nei palazzi di coloro che facevano a gara per ascoltarli. Ovunque
esaltavano le imprese di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Dalla Francia e
Germania e Inghilterra, fino in Oriente. Francesco era legato all’ambiente e alla cultura
8
3Comp 1, 2: FF 1396-1397. Con lo stesso tono san Bonaventura parla del giovane Francesco (LegM 1, 1: FF
1028-1029); anche il Celano descrive un giovane dedito ai «canti» e «molto cortese», ma lo fa tratteggiando
prevalentemente gli aspetti più negativi della personalità di Francesco (cf. 1Cel 1, 2: FF 320).
9
Tra i provenzali ricordiamo Piere Vidal, Rambaud de Vaqueiras, Bernard de Ventadour, Piere d’Auvergne.
10
Tra gli italiani nominiamo Giacomo da Lentini, Manfredo Lancia, Alberto Malaspina.
11
La più famosa è la Chanson de Roland, apparsa in Italia dopo il sec. XII, che racconta la spedizione di Carlo
Magno contro i Saraceni di Spagna e descrive la vittoria conseguita da lui e dai suoi cavalieri per la Chiesa e
l’Impero.
11
francese non solo per le origini di sua madre 12, ma soprattutto perché fin da piccolo aveva
raggiunto quei luoghi in compagnia del padre durante i suoi viaggi d’affari. Inoltre è certo
che Francesco conosceva la lingua francese poiché le fonti ci parlano di un giovane che
Riguardo a Francesco poeta e musicista esistono pure delle fonti esplicite che ci
proiettano nel mondo dei “giullari” 15 che erano i compagni d’arte dei trovatori e che,
mediante diversivi comici, rallegravano la gente che era venuta ad ascoltare le solenni
melodie d’amore. Si creava così una sorta di alternanza tra il serio e il comico, tra momenti
vero trovatore che componeva le «Lodi del Signore», poneva in musica un testo e
manifestava il desiderio di suonare uno strumento (la cetra o la viella), pur non sapendolo
fare16; inoltre insegna ciò che ha composto ai compagni 17. Poi si dice che compose anche una
12
Pica Bourlemont detta “donna Pica”.
13
Cf. LegM 2, 5: FF 1044; 2Cel 90, 127: FF 711; 3Comp 9, 33: FF 1436. Francesco era «di buona memoria»
(1Cel 29, 83: FF 464), per questo non è improbabile che egli imparasse a memoria canzoni provenzali che
cantava abitualmente.
14
Il Felder spiega che i testi delle fonti farebbero pensare alla Francia settentrionale, in relazione al reame di
Francia e alla lingua d’oil (cf. H. FELDER, The Knight-Errant of Assisi, Milwaukee 1948, p. 126). Secondo lo
Smith, invece, le tracce dell’influenza francese su Francesco rimandano all’ambiente meridionale della
Provenza [cf. J. H. SMITH, The Troubadours at Home: their lives and personalities, their songs and their world
(1899), General Books, Hoepli, Milano 2013, pp. 20-21].
15
Francesco volle che lui e i suoi frati fossero conosciuti come i “giullari di Dio”.
16
«All’epoca in cui il beato Francesco stava presso Rieti, alloggiando per alcuni giorni nella camera di
Teobaldo Saraceno per motivo del suo male d’occhi, disse una volta ad uno dei suoi compagni, che nel mondo
aveva imparato a suonare la cetra: “Fratello, i figli di questo secolo non sono sensibili alle cose divine. Usano
gli strumenti musicali, come cetre, arpe a dieci corde e altri, per la vanità e il peccato, contro il volere di Dio,
mentre nei tempi antichi i santi uomini li utilizzavano per la lode di Dio e il sollievo dello spirito. Io vorrei che
tu procurassi di nascosto una cetra da qualche galantuomo, e mi facessi con essa una melodia adatta. Ne
approfitteremo per accompagnare le parole e le lodi del Signore. Il mio corpo è afflitto da una grande infermità
e sofferenza; così per mezzo della cetra, bramerei alleviare il dolore fisico, trasformandolo in letizia e
consolazione dello spirito”. Il beato infatti aveva composto alcune laudi al Signore durante la sua malattia e
talora le faceva dire dai suoi compagni a gloria di Dio e a conforto della sua anima, come pure allo scopo di
edificare il prossimo […] (CAss 66: FF 1594); l’episodio è riportato anche dal Celano (cf. 2Cel 89, 126: FF
710) e da San Bonaventura (cf. LegM 11: FF 1100). Alcuni identificano il compagno di Francesco esperto nella
cetra con frate Pacifico “il re dei versi”, del quale parleremo in seguito. Oltre alla cetra (strumento a corde
pizzicate)il Celano fa menzione della viella (strumento ad arco): «A volte si comportava così. Quando la
dolcissima melodia dello spirito gli ferveva nel petto, si manifestava all’esterno con parole francesi, e la vena
dell’ispirazione divina, che il suo orecchio percepiva furtivamente, traboccava in giubilo. Talora – come ho
visto con i miei occhi – raccoglieva un legno a terra e, mentre lo teneva sul braccio sinistro, con la destra
prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passava sopra accompagnandosi con movimenti adatti
come fosse una viella e cantava in francese le lodi del Signore» (2Cel 90, 127: FF 711).
17
«"Voglio quindi, a lode di lui e a mia consolazione e per edificazione del prossimo, comporre una nuova
lauda del Signore riguardo alle sue creature. Ogni giorno usiamo delle creature e senza di loro non possiamo
12
melodia per le Sorelle Povere, il cui manoscritto porta il titolo «Audite Poverelle», con la
quale, non potendo spostarsi a causa della malattia, volle consolare le povere dame di San
Francesco utilizzò frequentemente il canto per evangelizzare le folle e per portare i loro
animi a Dio attraverso il mezzo efficacissimo della parola in musica e voleva che i suoi frati
Perugina:
Il suo spirito era immerso in così grande dolcezza e consolazione, che voleva mandare
a chiamare frate Pacifico – che nel secolo veniva detto «il re dei versi» ed era
gentilissimo maestro di canto – e assegnargli alcuni frati buoni e spirituali, affinché
andassero per il mondo a predicare e lodare Dio
Voleva che dapprima uno di essi, capace di predicare, rivolgesse al popolo un
sermone, finito il quale tutti insieme cantassero le Laudi del Signore, come giullari di
Dio. Quando fossero terminate le Laudi, il predicatore doveva dire al popolo: «Noi
siamo i giullari del Signore e la ricompensa che desideriamo da voi è questa: che
viviate nella vera penitenza». E aggiunse: «Che cosa sono i servi di Dio, se non i suoi
giullari che devono commuovere il cuore degli uomini ed elevarlo alla gioia
spirituale?». Diceva questo riferendosi specialmente ai frati minori, che sono stati
inviati al popolo per salvarli19.
Questo passo è fondamentale anche per delineare una metodologia francescana per
diversi ruoli in cui i frati si alternano a seconda delle capacità e responsabilità; inoltre
vivere, e in esse il genere umano molto offende il Creatore. E ogni giorno ci mostriamo ingrati per questo
grande beneficio, e non ne diamo lode, come dovremmo, al nostro Creatore e datore di ogni bene". E postosi a
sedere, si concentrò a riflettere e poi disse: "Altissimo, onnipotente, bon Segnore…". E vi fece sopra la
melodia, che insegnò ai suoi compagni» (CAss 83: FF 1615); più tardi, in occasione di una violenta disputa tra
il Vescovo e il Podestà di Assisi, Francesco compose la cosiddetta “strofa del perdono” in aggiunta alle
precedenti Laudi del Signore (Cantico di frate Sole), per sedare gli animi dei due contendenti e, terminato di
comporre, invio i suoi compagni ad eseguire il Cantico dinanzi a loro e pace fu fatta (cf. CAss 84: FF 1616).
18
«Sempre in quei giorni e nello stesso luogo, dopo che il beato Francesco ebbe composto le Laudi del Signore
riguardo alle creature, fece anche alcune sante parole con melodia, a maggior consolazione delle povere
signore del monastero di San Damiano, soprattutto perché le sapeva molto contristate per la sua infermità. E
poiché, a causa della malattia, non le poteva visitare e consolare personalmente, volle che, quelle parole gliele
facessero sentire i suoi compagni» (CAss 85: FF 1617).
19
CAss 83: FF 1592.
13
comprendiamo quanto i ministri dell’apostolato di lode dovessero essere gioiosi, di una gioia
contagiosa20, proprio come lo stile dei trovatori da cui, fin dalla sua giovinezza, venne
influenzato lungo tutto l’arco della sua vita. Francesco era convinto del fatto che tristezza e
malinconia sono i nemici peggiori, e che la gioia spirituale è il mezzo migliore per
nasce dall’intima unione amorosa con Dio, proprio allo stesso modo in cui, per i trovatori, il
vero amore è la fonte di tutte le virtù e come la gioia saggia è l’effetto dell’amor puro e
dall’amore stesso scaturisce; tale amore per Francesco coincide con Dio stesso. La gioia
il frutto del vero amore, della caritas cristiana. Tutto l’apostolato di lode di Francesco e dei
suoi frati è così motivato da questo tema della gioia ed egli era certo che il mezzo
privilegiato per giungere alla gioia dello Spirito fosse la musica e il canto di lode, perché
molti ne sono attratti e gli esecutori sono i «giullari di Dio». Gioia e canto accompagnarono
Francesco fino agli ultimi istanti della sua vita; la Leggenda Perugina, nel capitolo in cui
Allora il beato Francesco, sebbene disfatto dalle malattie, con grande fervore di spirito
e interiore ed esteriore letizia, lodò il Signore. Poi rispose al compagno: «Ebbene, se la
morte è imminente, chiamatemi frate Angelo e frate Leone, affinché mi cantino di
sorella Morte».
Si presentarono i due davanti a lui e cantarono, in lacrime, il Cantico di frate Sole e
delle altre creature del Signore, composto dal santo stesso durante la sua infermità, a
lode del Signore e a consolazione dell’anima sua e degli altri. In questo Cantico,
innanzi all’ultima strofa, egli inserì la lassa di sorella Morte […]22.
20
In Francesco il tema della gioia ha un’importanza fondamentale: «E si guardino i frati dal mostrarsi tristi
all’esterno e rannuvolati come gli ipocriti, ma si mostrino gioiosi nel Signore e lieti e cortesi come si conviene»
(Rnb 7, 24: FF 24); e ancora:«E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra i
poveri e deboli, infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada (Rnb 9, 30: FF 30).
21
Cf. 2Cel 91, 128: FF 712; 2Cel 88, 709: FF 709.
22
CAss 7: FF 1547. «Lo spazio in cui fioriscono la musica e il canto, la musica e il canto per tutte le creature e
per la stessa morte, è lo spazio della fiducia (“una fiducia spinta all’estremo” che nulla viene ad offuscare,
gustare, indebolire, limitare) e dell’accoglienza (“perché in definitiva, di fronte a Dio, solo l’accoglienza, e
un’accoglienza piena, ha senso. Ogni restrizione a questa accoglienza, e un’accoglienza che potrebbe essere
indotta dal collegamento e dai meriti o a cose del genere, porrebbe un qualche ostacolo all’assoluto della
fiducia”). (C. DI SANTE, Francesco e la musica. In dialogo con Mozart e Barth, Pazzini Stampatore Editore,
14
Con i “giullari di Dio” Francesco inaugurò una nuova forma di apostolato 23 che divenne
francese fino alla formazione del repertorio dei “laudari” e all’opera di Jacopone da Todi24) e
seppe conferire all’arte e allo stile dei trovatori una nuova dimensione, interpretandoli e
praticandoli in una maniera adeguata alla maggior gloria di Dio, incanalando l’umano verso
il divino.
l’utilità della musica e del canto nel dar conforto e consolazione al cuore umano, rendendo
allo stesso tempo gloria a Dio e in questo fu modello e maestro per i suoi compagni e per
tutti coloro si erano lasciati attrarre ed entusiasmare dalla sua gioiosa testimonianza di fede.
Fra questi vi è frate Pacifico, il “re dei versi”, che fu chiamato a seguire più da vicino le
orme di Francesco25.
Rimini 2004, p. 81).
23
L’intuizione di Francesco sta nell’aver compreso la validità e l’efficacia di un tipo di apostolato modellato
sul canto improvvisato, sull’esempio dei trovatori; in tal senso possiamo interpretare ciò che Francesco scrive
nella ventesima Ammonizione: «Beato quel religioso che non ha giocondità e letizia se non nelle santissime
parole e opere del Signore e, mediante queste, conduce gli uomini all’amore di Dio in gaudio e letizia. Guai a
quel religioso che si diletta in parole oziose e vane e con esse conduce gli uomini al riso» ( Am 20: FF 170).
Attualmente l’opera di predicazione all’interno dell’Ordine si avvicina molto a questo tipo di apostolato
inaugurato da Francesco e dai primi frati; l’evangelizzazione oggi avviene per lo più attraverso la missione al
popolo e la predicazione itinerante. L’esperienza della Marcia Francescana (a piedi verso Assisi), in tal senso, è
molto significativa proprio perché mette in luce le grandi potenzialità del carisma francescano, basato sulla
povertà e sulla gioia della vita e dell’annuncio cristiano. Tra i nuovi “giullari” dell’Ordine voglio ricordare il
siciliano P. Giuseppe Di Fatta, che ho avuto l’occasione di incontrare qui nelle Marche e che è stato per un
anno novizio nella nostra Provincia Picena. P. Giuseppe è autore di diversi canti nei quali ha saputo trasfondere
la bellezza di certe melodie antiche eppure così nuove, che ci riportano al tempo di Francesco e di Chiara, ma
che allo stesso tempo ci avvicinano all’esperienza umana della nostra gente. Inoltre la pastorale giovanile
francescana oggi si avvale molto delle cosiddette “arti di strada” (ballo, mimo, recitazione, canto, musica),
all’interno di modelli di animazione in cui la catechesi si unisce allo spettacolo e al sano divertimento.
24
Oltre che come poeta, autore di numerosi testi di laudi, Jacopone da Todi fu abile anche come musicista; tale
tesi è proposta da Liuzzi nella sua opera sopra citata (cf. nota 4). Egli attribuisce a Jacopone la melodia di
almeno sei laudi contenute nel Laudario di Cortona e nel Magliabecchiano: Troppo perde il tempo, Oimé lasso
(Cortona); Lamentomi e sospiro, Tutor dicendo di lui, O Cristo ‘nipotente, Vergene pulzella
(Magliabecchiano). Le sei laudi mostrano un’organicità distinta di poesia e melodia, in perfetta aderenza
dell’una all’altra, tanto da far pensare ad una loro creazione simultanea; dal punto di vista musicale traspare
un’uniformità stilistica che fa pensare ad unica mano.
25
Guglielmo da Lisciano di Ascoli a (Lisciano, circa 1158 – Pas de Calais, 10 luglio 1234) aveva incontrato
Francesco a S. Severino fra il 1212 e il 1213. Era venuto a far visita a una sua parente monaca nel monastero di
S. Salvatore di Colpersito. Esse sono le “povere recluse” a cui Francesco, ritornando da Ancona verso Assisi,
lasciò l’agnellino riscattato presso Osimo. Presenti nel monastero di Colpersito fino al 1252, emigrarono poi
nella parte alta di S. Severino, al riparo della cinta muraria. San Bonaventura precisa che il monastero si trova a
15
Possiamo prendere le mosse da quanto sappiamo di questo personaggio alla luce delle
fonti originarie26, che contengono non pochi episodi, anche di vita comune, che sottolineano
una profonda vicinanza, un legame filiale speciale tra Francesco e questo sommo poeta
convertito. Pareva che il santo approfittasse volentieri della compagnia del «re dei versi e
gentilissimo maestro di canto27» e allo stesso tempo lo stesso Pacifico stette alla scuola del
Frate Pacifico fu realmente l’uomo privilegiato dalla Provvidenza. Vicino al suo caro
Padre si riscaldava ogni giorno più nell’amore della virtù e della santità, penetrando
così l’anima ardentemente serafica del Santo e scoprendovi sempre nuovi splendori
della grazia divina. Qualora infatti, non fosse stato così compreso del vero spirito del
Serafino d’Assisi, mai avrebbe potuto dare giudizi tanto elevati ed esatti su ciò che
aveva veduto o sentito riguardo la sua vita intima e la sua esterna missione cristiano-
sociale. Egli non è stato semplicemente un convertito dal Santo, ma un vero interprete
e un sincero predicatore della sua spirituale grandezza.
Storicamente parlando, frate Pacifico illustra e completa la storia della vita di san
Francesco d’Assisi […]. E questo genio, lungi dall’eclissarsi, fuggendo la corte ed il
mondo, si è maggiormente affermato, seguendo la vita nuova dell’umiltà e dell’amore
ai fianchi dello stesso Poverello di Assisi28.
S. Severino e c’informa che Francesco «stava predicando sulla Croce di Cristo» quando il giovane poeta lo
vide «segnato da due spade splendentissime, disposte a forma di croce», e allora «come trafitto dalla spada
dello Spirito», quella della predicazione della Parola, chiese di entrare nell’Ordine (cf. Lmag 4, 9: FF 1078). La
Croce su cui Francesco predicava è ancora là, nella chiesa di Colpersito: si tratta di un romanico crocefisso di
legno, vincitore sulla morte. Fra Pacifico fu tra i frati più vicini al Santo: fu lui a vedere un grande tau
illuminare meravigliosamente e con grande varietà di colori la fronte di Francesco (cf. Lmag 4, 9: FF 1079); fu
poi lui uno dei pochi a vedere e toccare le stimmate del Serafino Crocefisso sulla carne di Francesco, quando
questi era ancora in vita (cf. 2Cel 99, 137: FF 721); e ancora un noto episodio lega fra Pacifico a un altro
crocefisso ligneo: pregando davanti ad esso e rapito in estasi, vide nel cielo una serie di troni e uno in
particolare «più bello degli altri, ornato di pietre preziose e tutto raggiante di gloria», e udì una voce dire che
quel trono era appartenuto a Lucifero ma ora era riservato «all’umile Francesco» (cf. 2Cel 86,123; FF 707). Fra
Pacifico è così figura emblematica dell’uomo spirituale, che sa trarre da un incontro e da un’immagine un
grande programma di vita: per lui a Colpersito, come per Francesco a S. Damiano, all’origine c’è sempre il
Crocifisso-Risorto.
26
Frate Pacifico compare nei seguenti testi delle Fonti Francescane: 2Cel 50, 82: FF 669; 2Cel 72, 106: FF
693; 2Cel 86, 122 : FF 707; 2Cel 89, 126: FF 710; 2Cel 99, 137: FF 721; 3Cel 2: FF 828; LegM 4, 9: FF 1078-
1079; LegM 14, 10: FF 1235; LegM IX: FF 1347; Miscellanea Bonaventuriana 3: FF 2699; CAss 65: FF 1570;
CAss 83: FF 1592; CAss 108: FF 1638; Fior 46: FF 1886; Spec 59-60: FF 1749-1750; FRATE THOMAS
TUSCUS, Imperatorum et Pontificum 1: FF 2677.
27
CAss 83: FF 1615.
28
C. ORTOLANI DA PESARO, Il “Re dei versi”, Prem. Officine Grafiche Cav. G. Federici, Pesaro 1932, pp. 39-
40, 44.
16
L’assidua frequentazione tra Francesco e Pacifico trova la sua migliore rappresentazione
nella vicenda della composizione del Cantico di Frate Sole: per consuetudine si afferma che
Pacifico sarebbe stato colui che sostenne e coadiuvò Francesco nella stesura del testo e della
Dunque Pacifico, questo stretto compagno di Francesco che nel secolo era stato
decretato il più grande poeta del suo tempo, si trova al fianco del Santo, nel momento
in cui questi “concepisce” il Cantico di frate Sole, e il Santo gli “affida” il Cantico
affinché lo divulghi tra le genti del mondo. Questo indizio è di non poco conto, se
teniamo presente i vasti problemi “autoriali” che la stesura del Cantico presenta al
lettore. Per varie ragioni di diverso ordine, non appare possibile che Francesco abbia
Anzitutto per motivi contingenti, fisici: nel momento in cui Francesco avrebbe
composto quest’opera, ossia durante i suoi due mesi di degenza presso San Damiano
nella primavera del ’25, il Santo si trovava in condizioni di salute drammatiche. Era
quasi cieco: il suo tracoma gli riduceva la vista a poche ombre confuse; la “quartana”
travagliate notti insonni presso San Damiano che, come sappiamo dalla Leggenda
da solo a quest’impresa. Quelle parole devono essere state perlomeno dettate 30. E qui
sorge un secondo e più vasto problema: ossia il fatto che il Cantico, per primo e più di
qualsiasi altro testo poetico delle origini, rivela un lavoro accurato e meditato su ogni
29
Cf. 2Cel 161, 213: FF802; CAss 77-79: FF 1608-1609; Spec 100-101: FF 1800-1801.
30
Cf. M. REINDERS, L'ispirazione e l'espressione fonetica nel Cantico di Frate Sole, in «Studi Francescani»,
luglio- settembre 1930, pp.35-48.
17
termine, sulla costruzione sintattica, un uso sapiente dei mezzi retorici, compresa una
necessariamente nella meditazione “su carta”, per la quale deve dunque essere stato
necessario un visus non impeditus, del quale Francesco, stando a tutte le testimonianze,
In secondo luogo – e soprattutto – il Cantico di frate Sole è più che mai uno scritto
doctus: sia per la maniera originale con cui rielabora e rimodella le fonti liturgiche,
alla luce di una profonda consapevolezza teologica, sia perché esso è il prodotto di un
di architetture letterarie.
Non c’è traccia, negli altri scritti tramandatici di Francesco, di una tale attenzione e
maestria poetica, di un tale uso di termini ricercati, di una tale perfezione formale, di
un simile utilizzo delle figure retoriche. È vero che sappiamo come Francesco, prima
di vestire il saio e senza mai dimenticare questa sua conoscenza, avesse familiarità con
Sarebbe fantasioso ipotizzare, al termine della lunga via penitenziale che lo aveva
infine reso cieco e moribondo, una geniale reminiscenza giovanile, mai balenata negli
Il Francesco che abbandona il mondo, per abbracciare la croce, cambiando per sempre
il destino della umanità occidentale, è anche un ragazzo che si lascia alle spalle la
passione per i versi dei rimatori, così come il gusto per la Cavalleria e la ricerca delle
18
lettere”32: a riprova del fatto che egli fosse tutt’altro che un rimatore “dotto” e
L’azione espressa dal verbo trobar, che significa inventare e comporre strofe, era
soltanto una parte della pratica compositiva dei trovatori; la poesia, infatti, era sempre legata
alla musica. I testi poetici erano sempre accompagnati da melodie e poiché non tutti i
trovatori erano musicisti, di conseguenza altri autori avevano il compito di supplire a tale
esigenza. La cultura musicale perfezionava la scienza del perfetto trovatore. Il verbo trobar
deriva dal latino tropare (comporre un canto), che a sua volta si rifà al greco τροπάριον
Francesco aveva progressivamente preso dimestichezza con l’arte del comporre strofe
musicate; la sua abilità non era dunque frutto di erudizione, bensì manifestazione naturale e
di esprimere con l’arte dei suoni slanci di celeste fervore. Nell’espressione letteraria del
Cantico si odono gli echi di un paradiso terrestre, dove il cielo è dorato e la terra fiorita,
mentre una melodia sconosciuta oltrepassa i confini del mondo e si apre all’eterno. Nei suoi
versi predominano libertà e ampiezza di stile, in cui l’elemento recitativo equilibrato dona
alla melodia un carattere di autentica e ispirata improvvisazione, quasi che poesia e musica
sgorgassero simultaneamente dal cuore ardente di Francesco 34. Alcuni studiosi ritengono che
32
Miscellanea Bonaventuriana 6: FF 2702.
33
C. CATÀ, Con l'alloro sotto il saio. Ipotesi su Frate Pacifico e il Cantico di frate Sole, in «Picenum
Seraphicum. Rivista di studi storici e francescani», 25 (2006-2008), pp. 355-395.
34
Molti compositori hanno scritto musiche per accompagnare il testo del Cantico, utilizzando diversi titoli
(Cantico delle Creature, Cantico di Frate Sole, Cantico del Sole, Laudes creaturarum, Laudato sii, Laudi
Francescane, La canzone del sole di San Francesco, Cantico de san Francisco de Asis, Hymne des créatures,
Le Laudi di san Francesco, Cantico di san Francesco, Cantico del beato Francesco); tra i frati musicisti che lo
musicarono ricordiamo: P. Domenico Stella, P. Bonaventura Somma, P. Pier Battista da Falconara; tra i
musicisti italiani citiamo: “Cantico delle Creature di R. Mancinoni; “Cantico delle Creature” di S. Varnavà;
“Fratello Sole e Sorella Luna (dal Laudario di Cortona) di R. Ortolani; “Laudato sii” di T. Cucchiara; “Laudato
sii” (dal musical “Forza venite gente”) di G. Belardinelli/G. De Matteis; “Cantico delle Creature” di Mons. M.
Frisina: “Cantico delle Creature” di Fr. G. Di Fatta; “Cantico delle Creature” di A. Branduardi. Per un
approfondimento sul Cantico musicato dai diversi autori nella storia della musica, rimando a P. MOSCARELLI,
Il Cantico delle Creature nella musica, Editrice Franciscanum, Roma 1994.
19
il modello musicale al quale Francesco si sarebbe ispirato, fosse Gautier de Coinci, le cui
insegnò a Pacifico e ai suoi frati 36; la certezza che una musica accompagnasse il testo è
garantita dalla presenza di righi musicali, purtroppo senza note, in quello che è ritenuto il più
antico testo del Cantico giunto fino a noi, trasmesso dal codice 338 della Biblioteca di
Assisi37.
Ecco perché possiamo affermare con sicurezza che Francesco fu davvero poeta,
musicista e trovatore.
Non è un caso che chi opera nel campo della musica da chiesa si occupi
organistica e l’organaria, senza riservare sufficiente attenzione al canto popolare religioso 38.
In realtà non è difficile capire quale e quanta importanza ebbe questo tipo di canto nella vita
spirituale della Chiesa e dei suoi figli, soprattutto quando si pensa che la tradizione del canto
religioso popolare è antica quanto la Chiesa stessa39. Inoltre questo canto è in grado di
35
Per un’accurata analisi della melodia del Cantico di Frate Sole consultare E. CLOPS, Les Cantiques de S.
François et leurs Melodies, Descleé & Co, Tournai 1908.
36
Cf. nota 16.
37
«La prima lauda in volgare che venne rivestita di note musicali fu il Cantico di frate sole e autore della
musica fu lo stesso san Francesco […]. Si sa che nel codice il testo reca il rigo per la musica, rimasto in bianco.
Ciò è una conferma dell’esistenza della musica composta dal Santo» (A. FORTINI, La lauda in Assisi e le
origini del teatro italiano, Assisi 1961, p.212.
38
Il canto popolare religioso non va confuso con il canto del popolo durante le solenni funzioni liturgiche, teso
a provocare un’attiva partecipazione corale del popolo durante la messa o altre celebrazioni. Qui ci si riferisce
invece a quel tipo di canto, solitamente in lingua volgare o latino popolare, eseguito dai fedeli nelle funzioni
extra-liturgiche e durante tutte le manifestazioni e le pratiche religiose collettive approvate dalla Chiesa
(pellegrinaggi, processioni, missioni, ritiri, percorsi catechistici, ecc.)
39
Si vedano le consuetudini corali del popolo ebreo (canti di lode e benedizione a Dio, intonati e accompagnati
da strumenti a corda e a percussione dal popolo d’Israele, protagonista della storia della salvezza, o il canto dei
Salmi, elemento fondante della vita religiosa nel tempio e nella sinagoga), poi trasmesse e riprese dai primi
cristiani con la Salmodia, praticata diffusamente nella Chiesa antica con gli inni e i cantici, fino ad arrivare ai
20
esercitare un fascino così potente, una suggestione tanto indefinibile da conferirgli
Resta comunque sempre utile e raccomandabile stabilire alcune differenze tra “canto
quest’ultimo40. Lo stile della genuina musica popolare lascia trasparire innanzitutto una
spontanea semplicità nel testo poetico, sia nel contenuto che nella forma, e una tal natura
ritmica e simmetrica nella posizione degli accenti, da consentire una limpida declamazione.
A ciò corrisponde una linearità della frase musicale che certamente non permette di creare
sempre nuove e belle melodie: il talento del vero musicista sta proprio nel comporre con
Per quel che riguarda l’Italia, il patrimonio del nostro canto religioso popolare è tra i più
hymni, tropi, sequentiae) fino a quelli in volgare (pastorelle, canti della Passione, sacre
21
In tale contesto si colloca l’espressione musicale francescana del sec. XIII, che,
maggiormente consono alla propria natura legata strettamente al testo letterario. Possiamo
dire che l’espressione musicale dei primi francescani fu essenzialmente povera e diretta a
nell’opzione per la forma musicale più semplice, quella monodica, come modello di
espressione sociale delle classi più umili. Una sorta di operazione culturale in cui tra i
protagonisti spicca sicuramente l’arte poetico-musicale di Giuliano da Spira che nella sua
Historia Beati Francisci adotta una forma musicale e uno stile melodico, simile a quello del
Laudario di Cortona: l’opera si presenta come una grande sequenza intonata in modo
solenne, a mo’ di storia cantata, con influenze dello stile epico di trovatori e trovieri, in cui
appare come una sintesi di forme liturgiche ed extra-liturgiche (sequenza, lauda, chanson de
riconoscersi.
22
CAPITOLO II
LE FONTI LITURGICO-MUSICALI
DELL’ORDINE FRANCESCANO
terzo43: «Clerici faciant divinum officium secundum ordinem sanctae Romanae Ecclesiae 44
23
riferimento alla pratica del canto nella liturgia. Riguardo al problema del canto e della
liturgia all’interno dell’Ordine, in contrasto con il Battifol 48, quando afferma che san
Francesco e i suoi frati non si posero mai il problema del canto nella liturgia, che l’Ordine
non fece uso di alcuna pratica musicale e che la consuetudine era di recitare le ore
canoniche, potremmo affermare che con l’espressione «secondo il rito della santa Chiesa
romana», Francesco voglia prescrivere ai suoi frati l’obbligo di adottare non solo il testo e il
formulario allora in uso negli ambienti della Curia Romana, ma anche il modo della
celebrazione che prevedeva il canto come parte essenziale dell’ordo romanus, dove il
termine ordo sta per ordinarius o liber ordinarius, cioè la raccolta di testi, canti e rubriche
che si usavano nella celebrazione dell’ufficio divino della messa e delle ore canoniche. Al
tempo di Francesco il clero secolare e le famiglie religiose celebravano l’ufficio col canto; in
particolare a Roma tale pratica avveniva per antica consuetudine e, in via ufficiale, mediante
una legislazione liturgica dei riti, nella quale il canto figurava come elemento necessario.
Dobbiamo dire inoltre che esistono abbondanti conferme del fatto che i frati, san Francesco
vivente, cantavano durante l’ufficio49, restando pur vero che il canto dell’ufficio poteva
24
essere a volte ostacolato da alcune difficoltà provenienti dall’angustia dei primi conventi,
dalla mancanza di libri liturgici e dallo stile di vita itinerante dei frati. Non possiamo tuttavia
Frati Minori di cantare la liturgia, del fatto che, con quelle parole che aprono il terzo capitolo
della Regola bollata, san Francesco esorti i suoi frati ad adottare la pratica del canto liturgico
proprio della Chiesa romana50. In tal modo fu inteso e praticato per diversi secoli questo
repertorio liturgico-musicale
Le testimonianze sulla liturgia in canto si fanno più corpose dopo la morte di san
Francesco, quando sotto il generalato di frate Elia e dei suoi successori, alle primitive
chiesette si aggiunsero le sontuose basiliche erette a gloria di Dio e del santo Poverello e
cominciò ad avvertire un bisogno di unità e di uniformità nel campo della pratica liturgica
santo aveva scelto costui come padre […] e il papa sorrise» (AF 10, 375). Che i frati avessero una certa
consuetudine al canto dell’ufficio è supposto anche dalla lettera con cui frate Elia, annunciando la morte di
Francesco, ordinava: «I chierici celebrino solennemente e in comune la vigilia» (AF 10, 528); GIORDANO DA
GIANO, Cronaca: «[Cesario da Spira] celebrò a Worms il primo capitolo provinciale. E poiché il luogo dove si
erano dati convegno i frati era ristretto e non adatto per le celebrazioni e per la predicazione per tanta
moltitudine, dietro consiglio del vescovo e dei canonici, si radunarono nella cattedrale. I canonici si restrinsero
in uno dei due cori e lasciarono l’altro coro ai frati. Celebrando dunque la messa un frate dell’Ordine e
cantando a gara, coro contro coro, compirono con meravigliosa solennità il divino ufficio» (Giordano 26: FF
2353); SALIMBENE DE ADAM, Cronaca: «Ancora frate Giovanni da Parma, mentre era ministro generale […]
partecipava all’ufficio divino il giorno e la notte, specialmente a vespro, mattutino e messa; e qualunque cosa
gli chiedeva il cantore, subito la faceva, incominciando le antifone, cantando responsori e letture, dicendo la
messa conventuale» (Salimbene 44: FF 2644).
50
L’espressione «secundum ordinem» va tradotta «secondo il rito» e non, come hanno inteso alcuni, «secondo
la regola».
51
A partire dalla metà del sec. XIV fino al sec. XVI, tutte le Costituzioni Generali e Provinciali dell’Ordine
raccomandavano che l’ufficio divino fosse cantato integralmente; la situazione si capovolse quando, dal sec.
XVII fino ad oggi, gli espositori della Regola decisero di abbandonarne il senso genuino, ponendo in primo
piano il modo ordinario di soddisfare all’obbligo della recita (termine preso alla lettera) del Breviario,
eliminando in tal modo qualsiasi riferimento al canto e alla musica.
25
dell’Ordine e per tale ragione, durante il Capitolo Generale di Assisi del 1230, si spedirono
in tutte le provincie breviari e antifonari (libri contenenti le melodie) 52, con la ferma
manifestano come ogni giorno la messa conventuale e l’ufficio divino fossero cantati, e
come la semplice recitazione fosse riservata all’Ufficio dei Defunti e della beata Vergine
Maria. E ancora nel 1249 la lettera del Ministro Generale Fr. Giovanni da Parma ordinò a
tutti i superiori di non variare, nel testo e nella melodia, alcuna parte dell’ufficio, per non
contravvenire al già citato precetto contenuto nel terzo capitolo della Regola; inoltre Fr.
Giovanni da Parma enumerò le quattro antifone in onore della beata Vergine Maria che
A fondamento della tradizione liturgica francescana, come abbiamo già visto, si pone il
canto della chiesa di Roma (come romana era la liturgia adottata nell’Ordine), anche se si
trattava di un canto già decadente. L’Ordine nacque, infatti, in un’epoca alquanto critica per
il canto liturgico, quando, nel trapasso dall’antica monodia gregoriana alla nuova polifonia,
sulla sobrietà e linearità ritmica degli antichi tesori melodici del gregoriano. A partire poi
dalla canonizzazione di san Francesco, di sant’Antonio e di santa Chiara, per i quali ben
presto, fu introdotta l’ufficiatura nell’Ordine, ebbe inizio quella che propriamente può
52
GIORDANO DA GIANO, Cronaca: «Nel medesimo capitolo generale furono trasmessi alle province i breviari e
gli antifonari propri dell’Ordine» (Giordano 57: FF 2387).
53
L’origine di queste antifone è stata attribuita a Giordano di Sassonia, maestro generale dell’Ordine
Domenicano nel 1221, che, per porre fine ad alcune controversie sorte a Bologna, ordinò che ogni sera, dopo la
preghiera serale, si cantasse la Salve Regina (antifona introdotta nella liturgia da Adhemar di Monteil nel
secolo XI). Tale usanza si diffuse ben presto a tutte le comunità religiose, finché si arrivò ad aggiungere altre
tre antifone mariane. Nel 1249 Fr. Giovanni da Parma riferisce che l’Ordine dei Frati Minori cantava una delle
quattro antifone dopo la preghiera della sera secondo i quattro tempi dell’anno liturgico. Questa usanza fu
accolta stabilmente nel Breviario Romano emanato da Pio V nel 1568. Nella Liturgia delle Ore, riveduta dal
Concilio Vaticano II, le quattro antifone sono state conservate, ma rese facoltative per qualsiasi tempo liturgico
alla fine della celebrazione della Compieta. La consuetudine prevedeva l’antifona Alma Redemptoris Mater in
uso dall’Avvento al 2 febbraio; l’Ave Regina coelorum dal 2 febbraio al Giovedì Santo; il Regina Coeli durante
tutto il tempo pasquale e la Salve Regina dalla domenica della SS. Trinità fino all’Avvento. Si pensa che queste
antifone mariane siano nate per essere recitate o cantate unitamente ad un salmo e, per la loro bellezza musicale
e per l’alto contenuto teologico, divennero molto popolari, entrando a pieno titolo a far parte delle preghiere
consuete dei cristiani.
26
chiamarsi la produzione musicale liturgica francescana, la quale vide impegnati nomi di
spicco dell’ambiente letterario e musicale del tempo (Gregorio IX, Tommaso da Capua,
Todi55) e portò anche alla splendida fioritura di maestri cantori e compositori tra i frati 56; essi
si distinguevano come «anime sensibili di stranieri che venivano e restavano in Italia dove S.
Francesco aveva preparata la rinascenza europea delle arti e dei costumi» 57. Queste nuove
composizioni risentono indubbiamente del nuovo indirizzo della musica, lontano, come già
detto, dalla semplicità e purezza delle autentiche melodie gregoriane, con una maggiore
attenzione all’accento ritmico dei versi in rima, sul modello delle canzoni francesi intonate
dal giovane Francesco e dal celebre Guglielmo da Lisciano, ossia frate Pacifico, re dei versi,
abile cantore e amico diletto del Serafico Padre. Di particolare interesse è l’opera poetico-
musicale Vita e Ufficio Ritmico di San Francesco di frate Giuliano da Spira58, di stile
probabilmente in occasione della Traslazione del Corpo del Santo avvenuta in quell’anno e
alla quale egli stesso assistette. L’opera di Giuliano da Spira ci testimonia che «s’incominciò
ben presto a celebrare con la debita solennità le feste proprie dell’Ordine e che in detti giorni
si preferiva l’ufficiatura in canto. Così il cronista ci apre qualche spiraglio sulla vita liturgica
54
SALIMBENE DE ADAM, Cronaca: «Questo papa Gregorio compose a onore del beato Francesco l’inno Proles
de coelo prodiit, il responsorio De paupertatis horreo […]. Il cardinal Tommaso da Capua poi compose, a
onore del beato Francesco, l’inno In coelesti collegio e l’altro Decus morum e il responsorio Carnis spicam;
compose anche la sequenza, a onore della beata Vergine, che comincia Virgo parens gaudeat, ma solo il testo,
mentre il canto è opera di frate Enrico Pisano, da lui pregato, e il controcanto lo fece frate Vita da Lucca, frate
minore, il primo mio custode e maestro di canto, il secondo mio maestro di musica» ( Salimbene 14: FF 2591).
Enrico da Pisa fu cantore esperto e abilissimo compositore sia nel canto fermo che in quello modulato;
parlando di lui, Salimbene si riferisce alle numerose sequenze, inni, canzoni in latino e in volgare che il frate
pisano musicò; tra queste compaiono due composizioni a tre voci: Miser homo, cogita facta crucis e Christe
Deus, Christe meus. Vita da Lucca, famoso virtuoso di canto, musicò varie sequenze ed inni, di cui spesso fu
anche autore del testo; tra le più celebri la sequenza Ave mundi spes, Maria; inoltre compose controcanti per
alcune melodie di Enrico da Pisa.
55
Tommaso da Celano è l’autore della celebre sequenza Dies Irae e Jacopone da Todi scrisse le due sequenze
Stabat mater dolorosa e Stabat mater speciosa.
56
Nel convento serafico di Bologna registri medioevali ricordano i nomi di alcuni cantori: Fr. Antonio
d’Ungheria (1386), Fr. Nicolò Ungaro (1396), Fr. Giovanni di Boemia (1402), Fr. Giovanni di Borgogna
(1423) e Fr. Biagio d’Ungheria (1426).
57
A. LAURI, Musica francescana in sette secoli, p. 173.
58
GIULIANO DA SPIRA, Vita e Ufficio Ritmico di San Francesco (Traduzione e note di P. Eliodoro Mariani
O.F.M.), LIEF, Vicenza 1980; Giuliano da Spira compose anche l’Ufficio Ritmico di S. Antonio di Padova,
alcuni responsori e antifone dell’Ufficio di san Domenico
27
del nuovo Ordine»59. Col passare del tempo a questo primo nucleo di canti propri se ne
aggiunsero altri (sequenze, inni, antifone) per le nuove feste introdotte nel calendario
ispirate.
Dopo i recenti studi che hanno portato all’edizione tipica dei canti della Chiesa Romana,
ai Frati Minori che già adottavano la liturgia romana, non restava che servirsi dei nuovi libri
con i canti in versione originale; i proprii dell’Ordine sono stati non solo conservati, ma
riveduti e riportati alla versione più autentica mediante il confronto dei più autorevoli codici.
Tale lavoro è stato assai facilitato dopo l’esempio dei Benedettini di Solesmes. Ecco allora
che, per opera del P. Eusebio Clop prima, e del P. Eliseo Bruning poi, accanto al Messale,
svolgimento della liturgia della messa e per l’ufficiatura diurna secondo il calendario
dell’Ordine, ma non comprendono i canti usati in altri tempi nella liturgia, ora non più in
tratta dei Cantus varii pubblicati in gran parte nel volume intitolato appunto Cantus varii
romano-seraphici62.
59
K. ESSER, Origini e inizi del movimento e dell’Ordine francescano, Jaca Book, Milano 1997, p. 130.
60
Graduale Romano-Seraphicum, Desclée & Co, Paris 1928.
61
Antiphonale Romano-Seraphicum pro horis diurnis, Desclée & Co, Paris 1928.
62
Cantus varii in usu apud nostrates ab origine Ordinis aliaque carmina in decursu saeculorum pie usu parta ,
Desclée & Co, Paris 1902; il nucleo principale di questa raccolta è costituito da canti veramente vari per forma
e stile (inni, antifone, responsori, sequenze) in successione continua e indistinta, dove però è possibile
virtualmente distinguere i canti propri, ordinati secondo le feste dell’anno liturgico a cominciare dalla solennità
dell’Immacolata Concezione, i canti del comune (appena cinque) e, infine, una sorta di appendice con ben
trentotto canti in onore della Vergine Maria. La forma predominante è la sequenza: ve ne sono più di ottanta e
di queste almeno dieci in onore di san Francesco; esse si richiamano a melodie tradizionali (il Virginis Mariae
laudes e il Veni Virgo Virginum sono parafrasi rispettivamente della sequenza di Pasqua e di Pentecoste),
mentre altre hanno la melodia dell’attuale sequenza di san Francesco Sanctitatis nova signa e altre ancora
ricalcano melodie meno note. Una parte cospicua della raccolta è pure rappresentata dagli inni, una cinquantina
circa, adattamenti di melodie tradizionali; i tipi più riprodotti sono quelli del Decus morum e Sanctitatis nova
signa di Giuliano da Spira. Tra le antifone alcune adottano il tipo dell’antifona O stupor dell’Ufficio di san
Francesco, mentre per gli Alleluia il tipo maggiormente riprodotto è quello di O Patriarca pauperum, tratto
sempre dall’Ufficio di san Francesco.
28
Nel 1907 P. Eusebio Clop, anticipando l’analoga pubblicazione dell’Edizione Vaticana
comprendente anche alcuni canti particolari in onore della beata Vergine Maria, di san
del suo lavoro per il Graduale e l’Antifonale dell’Ordine, pubblicò un Cantuale Romano-
Seraphicum64, nel quale, insieme a molti canti comuni a tutta la Chiesa o presi dal repertorio
di Solesmes, ritroviamo numerosi canti propri della tradizione francescana, scelti dalle
29
La legislazione liturgico-musicale francescana 66, come logica e ordinata evoluzione
dello spirito genuino della Regola, nei suoi frequenti riferimenti ed esortazioni al canto
nei documenti dei Capitoli Generali, prescrizioni e norme relative al canto e alla musica,
canto figurato, emendazione dei libri corali, istituzione del ruolo del Magister chori, uso
degli strumenti musicali). Esisteva per tutto l’Ordine il Cerimoniale del 1257, contenente
tutte le norme specifiche intorno al canto della Messa e dell’Ufficio 67; esso viene a costituire,
insieme alla Regola, la fonte ufficiale primaria della legislazione liturgico-musicale fino al
sec. XVI e ad essa le Costituzioni si appellano con qualche opportuna variante. Proprio dal
sec. XVI la legislazione cominciò a parlare più diffusamente del canto e della musica
vari paragrafi, sul modo di cantare68. Nelle Costituzioni più recenti (Aloisiane del 1889,
Leoniane del 1897, Piane del 1913 e tutte quelle successive fino alle ultime del 2009) ben
poco si dice in merito al canto liturgico 69, poiché nel Cerimoniale Romano-Seraphicum del
66
Nel Corpus Juris Seraphici, contenente la Regola dei Frati Minori, le varie redazioni delle Costituzioni
Generali, gli Statuti particolari delle Provincie, i Cerimoniali, gli Statuti per la Formazione e
l’Evangelizzazione, è inclusa anche un’attività legislativa intorno alla musica sacra e il canto. Nel corso di otto
secoli essa si presenta piuttosto abbondante, varia e di non poco interesse. Paradossalmente, mentre la
storiografia francescana di questi ultimi anni si è fortemente interessata del rapporto tra liturgia, canto popolare
della lauda e musica, nessuno studioso, eccetto alcuni importanti spunti di P. Ilarino Felder, ha svolto, con un
metodo storico-giuridico, ricerche approfondite sulla prassi liturgica e musicale, contenuta nei documenti
legislativi dell’Ordine, dalle origini ai giorni nostri. Solamente alla fine degli anni cinquanta P. Bartolomeo
Belluco ha affrontato tale questione in maniera diretta e sufficientemente dettagliata nella sua tesi di laurea in
Diritto Canonico e Canto Gregoriano. Da questo studio emergono tutte le problematiche riguardanti la pratica
liturgico-musicale dell’ordine francescano e, in particolare, le diverse consuetudini appartenenti ai tre ordini
francescani dei Frati Minori, Frati Minori Conventuali e Frati Minori Cappuccini.
67
Il Cerimoniale contiene prescrizioni perfino sulla scelta dei toni degli inni e delle orazioni, sul modo di
cantare le antifone, i responsori e gli alleluia.
68
In quest’epoca venne a mancare nell’Ordine la pratica giornaliera del canto, essendosi i frati accomodati alla
semplice recita dell’ufficio, e altresì lo stimolo per lo studio della musica, indispensabile alla decorosa pratica
del canto corale. Per questo i superiori, onde evitare episodi d’ignoranza e incompetenza, per quei giorni in cui
era ordinata la solenne celebrazione della liturgia, imposero lo studio e la pratica extra-corale del canto e lo
studio della musica.
69
Le Costituzioni Generali del 1953 all’articolo 146 prescrivono che «nelle domeniche e nelle feste di precetto
e nelle principali festività del nostro Ordine, in quei conventi nei quali vi è un numero sufficiente di religiosi
esperti nel canto liturgico, si canti la Messa, e possibilmente anche i vespri e la compieta»; l’articolo 150 al
paragrafo 1 ordina che «nella recita dell’ufficio corale si osservino le prescrizioni del Cerimoniale dell’Ordine
30
1927 si richiedeva una certa qualità del canto e del modo di cantare e, allo stesso tempo, la
mantiene le stesse caratteristiche di quella generale. Negli Statuti e nelle Ordinazioni dei
Cerimoniali dell’Ordine, mentre nei secoli successivi le norme si fanno via via più
particolari, sia per ciò che concerne l’istruzione musicale dei novizi e dei chierici, sia
In linea generale dobbiamo dire che la legislazione francescana sulla musica è stata
rintracciano prescrizioni riguardo al canto e alla musica al di fuori del contesto liturgico;
Le fonti legislative riguardanti il canto nella liturgia durante il primo secolo di storia
dell’Ordine scarseggiano: la Regola di san Francesco parlava chiaro e i frati già cantavano
e le norme date dalla S. Sede relative al canto ecclesiastico»; all’articolo 388 si dice che durante la celebrazione
del Capitolo Generale «dopo l’arrivo degli altri vocali si canterà una Messa solenne di ringraziamento»; sempre
riguardo al Capitolo Generale l’articolo 407 al paragrafo 1 prescrive che «in un giorno conveniente, da fissarsi
dal Ministro generale, si canti a vespro il notturno dei defunti per i confratelli e benefattori morti e il giorno
seguente, dopo la Messa solenne, si tenga l’orazione funebre, dopo la quale si canti il responsorio Libera me» e
al paragrafo 2 dell’articolo 408 prosegue: «Dopo che sarà stata letta la medesima tavola, con voce chiara e
intellegibile dal pulpito, avanti a tutti i vocali, tutti procedano in chiesa al canto del Benedictus, e ringrazino il
Signore per il felice esito delle cose, secondo che è prescritto dal Rituale» ( Regola e Costituzioni Generali
dell’Ordine dei Frati Minori, Scuola Tipografica “Pax et bonum”, Roma 1955, p. 24, 60-62, 153, 159). Le
Costituzioni del 1970 riguardo alla messa, all’articolo 19, dicono solo che «nelle domeniche e nelle feste,
secondo la tradizione dell’Ordine, la celebrazione dell’Eucaristia sia più solenne»; riguardo all’ufficio,
all’articolo 20, prescrivono che «nelle chiese dell’Ordine si promuova il canto delle Lodi e dei Vespri insieme
con il popolo» (Regola e Costituzioni generali dell’Ordine dei Frati Minori, Tipografia Porziuncola, Assisi
1971); le Costituzioni successive non fanno più alcun riferimento al canto nella liturgia della messa e
dell’ufficio.
31
tutto l’ufficio corale della Messa e delle Ore canoniche, per cui per tutto il sec. XIII esiste
solo qualche documento che, senza nulla aggiungere al precetto della Regola, si riferisce a
casi particolari di omissioni o abusi nella liturgia. Al sec. XIV risalgono le prime normative
riguardanti il canto della Liturgia delle Ore, in risposta forse ai primi tentativi di abusi o
prescrivono che devono essere cantate tutte le ore, eccetto l’Ora sesta, e, cosa rilevante, che
nei conventi dove risiedono almeno sei chierici e ci siano libri liturgici disponibili, si cantino
almeno i Vespri, il Mattutino e la Messa. In pratica la semplice recita era riservata alle Ore
minori. Ma dovette trattarsi di una breve pausa di rilassamento, alla quale seguì nel 1362 un
quando ex praesidis negligentia alia hora non fuerit cantata, talis praeses ad comendum
panem et aquam teneatur in sequenti prandio vel coena». Tale puntualizzazione scaturì quasi
certamente a seguito di quello che prescrivevano le Costituzioni Benedettine del 1336: «in
singulis Ordinis Conventibus hora sexta sicut aliae horae cum nota dicatur». Le Costituzioni
possibilità per i superiori, fermo restando l’obbligo di cantare tutto l’ufficio, di dispensare
dal cantarlo quando vi fosse ragionevole causa (scarsa presenza di frati, mancanza di libri
Dalla seconda metà del sec. XV cominciò a manifestarsi tra i Conventuali una tendenza
(1500), dando facoltà ai superiori di dispensare dal canto «ubi commode cani non possunt».
32
Tutti gli Istituti e le Congregazioni religiose, sorte in questo periodo si attennero alla
semplice recita delle Ore canoniche. Ancora nel 1523 il Ministro Generale Quiñones 70
concesse ai frati di recitare tutto l’ufficio nei conventi dei Recolletti spagnoli, usanza che poi
Particolare la posizione dei Cappuccini che, fin dalla loro nascita, a motivo del loro stile
di vita eremitica, non ammisero la pratica del canto; nel Cerimoniale del 1882 è scritto:
solennità, come affermano i loro statuti: «officium recitabunt sine cantu, sed gravi, sonora
plenaque voce». Tuttavia il guardiano poteva ordinare il canto per il Te Deum, per la Messa,
per i Vespri e Compieta nelle principali solennità «ad saeculi devotionem et ad spiritualem
fratrum consolationem».
come mostrano le loro Costituzioni del 1593: «nei conventi dove sono almeno sei frati ad
cantum idonei si canti Terza, la Messa e Vespri nelle Domeniche e feste di precetto71».
Anche le Costituzioni Urbaniane del 1628 mostrano come anche tra i Conventuali si
Quando nel 1889 si arrivò all’unificazione delle famiglie francescane nei tre Ordini con le
Costituzioni Aloisiane, la normativa sul canto nella liturgia prescriveva di cantare qualche
parte dell’ufficio e la messa nelle domeniche e nelle feste di precetto; tale norma rimase in
70
Nel 1523 fu eletto Ministro generale Francesco de Angelis Quiñones, proveniente dalla “recollezione” del P.
Giovanni da Puebla; egli si mostrò aperto verso i frati riformati ed invitò i provinciali ad essere comprensivi
verso coloro che desideravano la riforma dell’Ordine. Dettò ad essi norme speciali”, sul modello di quelle in
vigore dei riformati di Spagna; tra le altre cose Quiñones ordinava che i frati potevano recitare l’ufficio «in
medriocri tono»; imponeva inoltre uno stile di vita caratterizzato da un silenzio perpetuo; proibiva di ricevere
offerte di denaro per le messe e per qualsiasi altro motivo. Inoltre prescriveva digiuni ed esercizi penitenziali.
71
Gli Statuti particolari di ogni provincia determinavano quali fossero le parti dell’ufficio da cantare.
33
vigore anche nelle Costituzioni Leoniane del 1897 e in tutte le seguenti72, regolata da usi
diversi secondo quanto prescrivono gli Statuti particolari delle Province dell’Ordine73.
In forza della Regola i Francescani sono tenuti dunque a seguire nella sostanza e nel
modo, quanto è proprio del canto della liturgia romana e ciò è ben comprovato dai
manoscritti musicali che si mostrano conformi a quelli in uso a Roma. Inoltre le Costituzioni
di Perpiniano (1331) oltre che prescrivere l’istituzione di revisori dei libri liturgici, fanno
pure obbligo ai frati visitatori delle province di controllare le correzioni, gli aggiornamenti e
la conformità all’originale dei libri corali in uso nei conventi. Per tale ragione i libri di canto
francescani conservarono anche durante il periodo di decadenza (dal sec. XVI) la loro
Quando sorse l’Ordine dei Frati Minori la polifonia era già in fase di perfezionamento e
alcuni musicisti, che poi entrarono nell’Ordine, non mancarono di introdurre anche nelle
chiese francescane queste nuove forme74, altrove già molto diffuse, pur restando il Canto
Gregoriano il modello base del canto liturgico. Tali tentativi furono immediatamente
stroncati dal Ministro Generale Fr. Giovanni da Parma e dalle prescrizioni del Capitolo
Generale di Assisi del 1304, che fece obbligo ai superiori di punire gravemente tutti i frati
che in qualche modo praticassero la polifonia nelle liturgie, eseguendo «cantos fractos vel
dissolutos vel a nota Ordinis discrepantes». Totale rifiuto, dunque, per la polifonia e per il
72
Riportiamo ad esempio ciò che dicono le Costituzioni Generali del 1953: «nelle domeniche e festività di
precetto e nelle principali feste dell’Ordine, nei conventi dove vi è sufficiente numero di religiosi esperti nel
canto ecclesiastico, si canti la Messa e, se possibile, il Vespro e Compieta.
73
I nostri Statuti Provinciali all’articolo 7 affermano: «La Liturgia delle Ore venga celebrata per intero e
comunitariamente. Dove è possibile, anche con i fedeli, almeno le Lodi e i Vespri. [cf. Statuti Provinciali della
Provincia Picena San Giacomo della Marca dei Frati Minori (a cura della Curia Provinciale dei Frati Minori),
Pro manuscripto, Jesi 2009, p. 7].
74
Una nuova forma di canto si stava sviluppando nel corso del sec. XIII: trattasi di canto misurato e figurato,
sviluppato dalla pratica polifonica, costituito da linee melodiche suddivise secondo valori e corrispondenti
figure di durata, denominato cantus fractus.
34
canto fratto o figurato, espresso da tutte le Costituzioni, in modo molto diretto e perentorio 75.
Tale divieto per gli Osservanti cessò con la promulgazione delle Costituzioni del 1889,
mentre per i Riformati rimase ancora in vigore. Negli anni successivi la proibizione si
attenuò fino a diventare un’esortazione all’utilizzo del solo Canto Gregoriano, evitando
quella musica che non rispondeva alle direttive della santa Sede.
Per i Conventuali, invece, polifonia e canto figurato erano pratiche ammesse fin dalle
Costituzioni e dal Cerimoniale del 1628, ma in epoca moderna anch’essi sono tornati alla
purezza del Gregoriano, tanto che a loro si deve la pubblicazione dei libri ufficiali di canto
per la Messa e per l’Ufficio ad opera prima di P. Clop (1902-1903) e poi di P. Bruning
(1924-1928).
Nel sec. XIII la legislazione francescana non ne fa menzione, poiché il canto sacro di
regola non era mai accompagnato da strumenti, diversamente dai brani del repertorio
sebbene alcuni organi fossero già installati nelle maggiori chiese francescane 76. Dal secolo
successivo iniziò il fenomeno di diffusione nelle chiese dei conventi dell’Ordine degli organi
come strumenti ancora di piccole proporzioni. Quando verso la metà del sec. XV fu sancita
l’indipendenza tra Conventuali e Osservanti con la Bolla Ut sacra del 1446, i primi
ottennero il permesso di utilizzare gli organi nelle loro chiese, mentre ai secondi fu negata
75
«Chi in coro o in pubblico introduce simili canti, sia privato di voce attiva e passiva; sospensione (se frate),
senza velo (se suora)» (Congregazione Generale della Verna, 1563); la stessa prescrizione è contenuta nelle
Costituzioni Napoletane del 1590 per arrivare poi all’intervento decisivo di papa Benedetto XIII, che nel 1727
obbligava, per bocca del Ministro Generale Fr. Matteo da Pareta, Osservanti, Riformati, Recolletti e
Discalciati, all’uso esclusivo del Canto Gregoriano, escludendo ogni altra forma o genere di musica
nell’Ufficio e nella Messa nelle domeniche e nelle feste solenni. Tale rifiuto per le nuove forme si spiegava con
il fatto che il canto figurato era considerato dannoso per la devozione, in quanto la sua esecuzione richiedeva
grande impegno e attenzione e le sonorità ottenute distraevano la mente e il cuore.
76
Nella Basilica di san Francesco in Assisi esisteva un organo, come testimonia un passo della Leggenda di
santa Chiara (cf. nota 1).
35
tale opportunità per non recar danno allo stile di povertà e semplicità dei frati 77. Solamente
con il Capitolo Generale di Assisi del 1547 fu concesso agli Osservanti il permesso di
studiare l’organo e di installare nuovi organi e mantenere quelli già presenti nelle chiese. Le
Costituzioni Napoletane (1590) concessero l’uso nelle nostre chiese «in divinis officiis»
dell’organo e del “regale” (piccolo organo portatile), escludendo altri strumenti, anche quelli
che erano stati ammessi dalla Chiesa nella liturgia (trombe, viole e flauti), al fine di
Tali disposizioni furono estese anche agli Osservanti Ultramontani e rimasero in vigore fino
alla promulgazione delle Costituzione Aloisiane, nelle quali non si fece più alcun riferimento
Per ciò che riguarda i Riformati, la loro avversione per l’utilizzo dell’organo si
manifestò più specificatamente nei loro Statuti del1642, nei quali era prescritta la scomunica
per coloro, che avessero osato introdurre organi nelle loro chiese. Tali leggi rimasero in
vigore fino alle Costituzioni Riformate del 1889 che permettevano l’uso dell’organo previa
licenza del Ministro Generale e del Definitorio Provinciale. Con le Costituzioni Aloisiane
del 1889 si mise da parte la questione e nel Cerimoniale fu prescritta l’adozione delle norme
liturgiche della Chiesa, che prevedevano appunto l’uso del solo organo tra gli strumenti
77
L’interdetto per gli Osservanti Ultramontani arrivò con le prescrizioni della Congregazione di Salamanca
(1461), mentre per i Cismontani con la Congregazione di Roma (1469); la normativa riguardava non solo la
proibizione di costruire organi e di apprendere la tecnica organaria e organistica, ma anche l’obbligo di vendere
gli organi già esistenti nelle chiese appartenute ai Conventuali. Alcune eccezioni furono fatte per quelle chiese
dove maggiore fosse il concorso dei fedeli e per una maggiore solennità del culto ( Aracoeli in Roma, S.
Francesco in Venezia, Mantova e Napoli). Per i restanti luoghi occorreva il permesso del Vicario Generale
dell’Ordine.
78
Il Caeremoniale Romano-Seraphicum del 1927 riporta all’articolo VIII una sezione dedicata all’organo,
intitolata De Organorum sono, sudduvisa nei seguenti paragrafi: Organorum sonus, Organa silent, Diebus
licitis; nel primo si raccomanda che il suono dell’organo non sia «lascivus aut impurus» e che le melodie
eseguite siano appropriate all’Ufficio e non siano «profanae aut ludicrae»; nel secondo si vieta all’organo di
suonare durante i tempi forti di Avvento e Quaresima, fatta eccezione per la terza Domenica di Avvento
(Gaudete) e per la quarta di Quaresima (Laetare) e si specifica inoltre che ciò che si dice dell’organo vale
anche per l’Harmonium; infine nel terzo paragrafo si ricorda che il suono dell’organo accresce la solennità
delle celebrazioni e si descrivono i diversi momenti in cui all’organo è lecito suonare (Caeremoniale Romano-
Seraphicum Ordinis Fratrum Minorum (Editio altera), Typographia Collegii S. Bonaventurae, Firenze 1927,
pp. 77-79).
36
3.5. Legislazione speciale: il Maestro e Direttore di Coro
Fin dalle origini dell’Ordine l’ufficio del Magister chori fu istituito in special modo
nelle fraternità dei grandi conventi. Tale consuetudine è riportata non da testi legislativi,
bensì nelle opere dei cronisti e degli scrittori dell’Ordine. È noto che Fr. Giuliano da Spira
esercitò l’ufficio di maestro di coro e di cantore presso il convento di Parigi, mentre Fr.
Salimbene da Parma scrisse di frati maestri che nei conventi di studio dirigevano cori 79. Solo
dal sec. XVI le fonti legislative fanno riferimento a questo ufficio con le Costituzioni
«Magister vel Rector Chori» nei loro principali conventi. Per gli Osservanti Cismontani
Capitolo di Toledo (1633); per i Riformati con gli Statuti del 1642 e gli Statuti particolari
musicale.
praefectus chori, ma quello più frequente era Vicarius Chori. Qualità precipua del Maestro
di Coro era la scienza del Canto Gregoriano e delle cerimonie (scienza liturgica) e che fosse
anche «robusti pectoris, vocis plenae, grandis et sonorae»80, avendo egli piena responsabilità
della recita e del canto dell’ufficio e di tutto ciò che potesse riguardare esecuzioni musicali e
corali. Il Magister chori possedeva inoltre altri incarichi essenziali alla vita fraterna e
liturgica della comunità: corrector chori et mensae, cioè addetto a sovraintendere alla
cantillazione dei testi che si leggevano in refettorio. Essi godevano di alcuni privilegi,
soprattutto coloro i quali esercitavano nei conventi più importanti dell’Ordine e per
79
Cf. nota 9.
80
Le norme relative alle celebrazioni dell’ufficio e della messa si trovano nella seconda, terza e quarta parte del
primo libro e nella prima, seconda e terza parte del secondo libro del Cerimoniale del 1927; in particolare, nella
terza parte del primo libro l’articolo IX, intitolato De Magistro chori et de choralibus, dice: «Qui in
Conventibus nostris saltem majoribus est designandus, praecipuum munus obtinet, chorum universum quoad
cantum et Psalmodiam dirigendi et moderandi. Propterea cantum Gregorianum apprime calleat, et in Rubricis
sacrisque Ritibus bene versatus, robusti sit pectoris, vocis plenae, gravis et sonorae, ita ut totum chorum in
cantu regere et sustentare valeat» (Caeremoniale Romano-Seraphicum Ordinis Fratrum Minorum, p. 79).
37
concessione estendibili a tutti gli altri conventi; tali privilegi furono eliminati con le
Costituzioni Aloisiane del 1889, ma l’ufficio non cessò di esistere, anzi divenne sempre più
Poiché la Regola prescriveva una liturgia solenne in cui la Messa e l’Ufficio fossero
sempre cantati, viene spontaneo pensare che un istruzione liturgico-musicale ben organizzata
non potesse assolutamente mancare all'interno dei programmi formativi dell’Ordine. Fr.
Salimbene da Parma ci informa sul fatto che nei principali conventi di studio dell’Ordine
risiedevano maestri esperti nel canto liturgico e che lui stesso in pochi anni ne frequentò
almeno due, entrambi stimati cantori e compositori 81. Tuttavia all’interno della legislazione
ciò che affermano le Costituzioni Narbonesi (1260): «Novitii vacent ad divinum officium
addiscendum», precetto che resterà valido anche nelle Costituzioni successive. Ci si riferisce
qui all’apprendimento non solo delle rubriche, ma soprattutto allo studio dei salmi, degli inni
e delle antifone con le loro particolari melodie. Gli Statuti e le Ordinazioni delle singole
Province sono però assai più espliciti nel prescrivere che i giovani frati fossero istruiti nel
canto sacro82 ed avessero a questo scopo un maestro, con pene severe verso coloro che
l’accesso alla sacra ordinazione, se non fossero stati trovati sufficientemente istruiti nel
canto83. Dal sec. XVI la questione venne affrontata in maniera più chiara e specifica da parte
prevedono per i giovani, uno studio regolare del canto e della musica e comminano
sospensioni a quei Superiori che osassero ordinare frati sacerdoti non abbastanza esperti nel
81
Cf. nota 9.
82
Eccleston 37: FF 2458
83
Quasi tutti gli Statuti Provinciali nei sec. XIII-XIV sono su questa linea (cf. Statuti della Provincia toscana,
1362).
38
canto. Per gli Osservanti Cismontani le Costituzioni esigono l’istruzione musicale dei Novizi
e dei Chierici, specificando che il Maestro dei Novizi sia esperto nel canto sacro e nella
liturgia84. Per gli Osservanti Ultramontani rimase in vigore quanto già era stato prescritto
Le ragioni di tale insistenza per l’insegnamento del canto nella liturgia risiedono
sicuramente in quella situazione di eccessivo rilassamento venutasi a creare nei cori dei
conventi, dove ormai l’ufficio era solo recitato e la messa conventuale non si cantava più.
Per questo, affinché non venisse a mancare quella debita preparazione necessaria alla
direttive provenienti anche dal Concilio di Trento, si prodigarono per la diffusione di scuole
d’insegnamento nei conventi. In alcune Ordinazioni Provinciali del sec. XVIII, sono
addirittura fissate le ore di studio teorico e di pratica corale riservata ai Novizi e ai Chierici
(ad esempio tre ore settimanali per le province tedesche e un’ora al giorno per la Sassonia e
a) perizia nell’insegnamento e nella pratica del Canto Gregoriano da parte dei Maestri dei
Novizi; b) agevolazioni per i Novizi nell’apprendimento della musica e del canto; c) periodi
39
In tempi attuali, con il Congresso Nazionale di Musica Sacra di Firenze (1950) e la
risveglio per quanto riguarda lo studio della musica, grazie soprattutto al lavoro portato
avanti dalla Commissione Nazionale dei Frati Minori per la Musica Sacra (1951) con due
l’insegnamento” (1958), nel quale sono stati concordati anche i manuali scolastici più
idonei. Resta però ancora da risolvere il problema fondamentale che è quello della
singole Province.
primi anni nei Collegi Serafici. Gli insegnamenti vertevano non solo sulla pratica del Canto Gregoriano, ma
anche su elementi di musica figurata e sull’apprendimento di uno strumento musicale.
40
CAPITOLO III
1. Le origini
All’inizio del primo capitolo abbiamo già precisato come il ruolo di poeta e musicista
sia riservato per primo a Francesco, uomo dotato di una spiccata propensione per l’arte,
sviluppatasi grazie ai frequenti contatti della sua famiglia con l’ambiente francese e alla
condizione di poter esprimere con la musica e con il canto la lode e la gloria del suo Signore;
così è nato il Cantico di Frate Sole che diede origine alla grande tradizione letteraria del
Duecento e dei secoli a seguire. Secondo le intenzioni del santo, il Cantico doveva fungere
da testo base della vita spirituale e di apostolato dei frati, chiamati ad intonarlo e a
diffonderlo tra gli uomini. Una sorta di inno dell’Ordine cantato con una melodia semplice,
della storia dell’Ordine nella vita liturgica, spirituale e pastorale dei frati, abbiamo ricordato
i nomi di religiosi esperti nel canto e nella musica, a cominciare da frate Pacifico “re dei
versi”, che più di tutti hanno contribuito a porre le basi per la nascita di un vero e proprio
41
2. Dai “giullari di Dio” alle “Cappelle musicali”
Fra tutti gli ordini religiosi, quello francescano è certamente il più rappresentativo nel
panorama artistico-musicale nel corso dei secoli fino ad oggi; nomi di grande levatura
artistica hanno arricchito la letteratura musicale sacra e profana con opere vocali e
dell’importanza del ruolo dei francescani nel canto e nella musica vanno ricercate
principalmente in cinque ambiti: a) quello della tradizione poetico-musicale dei trovatori che
tanto influenzò san Francesco e che egli stesso coltivò e trasmise ai suoi frati; b) quello della
tradizione popolare della lauda come veicolo di diffusione del messaggio cristiano e della
Italia e poi nel mondo nella storia dell’Ordine; d) quello della tradizione liturgica e della
pratica religiosa all’interno dei conventi (messa, ufficio, devozioni); e) quello dello storico
processo di evoluzione in ambiente sacro e profano dell’ars antiqua, in cui nuove forme
Nei tre ordini francescani i Cappuccini non sono rappresentati in maniera significativa a
causa, come già accennato nel capitolo precedente, del loro rifiuto nei confronti della
consuetudine di una liturgia cantata e musicata. Restano dunque sulla scena per lo più i nomi
di Frati Minori e Frati Minori Conventuali in ragione di tale mancanza e per altri due motivi:
centri cittadini, furono in grado di istituire nelle loro chiese grandi cappelle musicali
(Padova, Assisi, Bologna, Venezia, Roma) che, nella maggior parte dei casi, erano dirette
dei Frati Minori di arricchire con il canto e con la musica le celebrazioni della messa e
42
dell’ufficio, non solo nelle solennità ma anche nella pratica liturgica quotidiana; inizialmente
ciò avvenne con l’impiego esclusivo del Canto Gregoriano e successivamente, in modo
progressivo, attraverso una lenta evoluzione della mentalità e della pratica musicale. Occorre
inoltre sottolineare che la maggior parte dei religiosi francescani coltivò l’arte della musica e
del canto essenzialmente per scopi pratici, in vista cioè della liturgia e dell’apostolato,
mantenendo saldo il precetto della Regola dei Frati Minori87 e imitando fedelmente lo stile di
frati si aprirono alla pratica della nuova arte musicale (ars antiqua), agevolando l’utilizzo di
forme e stili, capaci di avvicinare sempre più la musica alla gente e più idonei alla maggior
diffusione del messaggio evangelico, preferendo testi e melodie semplici e adeguate alle
esigenze del popolo, secondo quello spirito che era proprio dei “giullari di Dio”.
Per i secoli XIV e XV non possediamo sufficienti documenti per citare nomi e opere di
grandi questioni sull’interpretazione della Regola e sulla povertà che assorbirono gran parte
in altri campi; b) la nascita e lo sviluppo dell’Ars nova che rivoluzionò e rinnovò le tecniche
e gli stili della pratica musicale vocale e strumentale, provocò contaminazioni da parte di
elementi della musica profana nell’ambito del canto e della musica liturgica tradizionale,
dinanzi alle quali la Chiesa reagì mediante decreti di proibizione nei confronti di certe forme
musicali più adatte allo sfoggio virtuosistico che allo spirito della liturgia; c) l’indirizzo che
l’Ordine stava prendendo in merito agli studi e alla formazione si diresse sempre più a
favore della scienza e della teoria. Ciò nonostante qualche nome di frate dell’epoca esperto
ritroviamo Magister chori ad Oxford nel 1351, autore di un trattato teorico sulla pratica delle
43
Bonaventura da Brescia, autore della Regula musicae planae (1497), in volgare, sul Canto
Gregoriano e la Brevis collectio artis musicae (1439) sulla teoria musicale in generale;
Giovanni Tisserand, famoso predicatore francescano, scrisse il testo del ritmo pasquale di O
filii et filiae, sulla melodia di un Noël tradizionale provenzale del sec. XIII. Nel campo
dell’organaria89 è doveroso ricordare l’opera di Fr. Urbano da Venezia, che agli inizi del sec.
Proprio in questo secolo la tecnica organaria in Italia acquistò importanza con la formazione
in alcune città toscane (Prato, Cortona, Siena) delle prime maestranze artigiane che nel
secolo successivo forniranno organi alle maggiori chiese italiane, permettendo la formazione
Il secolo XVI fu il periodo più fervido e prezioso per la storia della musica dell’Ordine
organari. Tra gli organari e i liutai ricordiamo Dardanello da Mantova (liutaio), Corrado
Rotterburger e Leonardo da Marca (organari); tra i teorici, Giovanni Bermudo, che scrisse la
sopra il vero modo di suonar organi e stromenti di penna” (1594); Pietro Cannuzzi (o De
Cannutiis) di Potenza, il cui nome è legato all’opera Regulae florum musices (1510) su
questioni di teoria musicale che saranno poi riprese e risolte da Giuseppe Zarlino, la cui
appartenenza all’Ordine dei Frati Minori è messa in discussione. Ma i nomi più significativi
li ritroviamo tra i musicisti e compositori: sempre nel medesimo secolo, P. Costanzo Porta,
autore di numerose opere di musica sacra e profana, non solo rivelò una tecnica
Ludovico Grossi da Viadana, si distinse per il suo stile melodico ampio e vibrante,
89
L’arte organaria riguarda la costruzione e la manutenzione degli organi.
44
inaugurando con i suoi “Cento Concerti ecclesiastici” la pratica della monodia
Occorre precisare che quasi tutta la produzione musicale sacra del sec. XVIII venne
molto influenzata dal gusto profano di certe composizioni che molto piacevano alla maggior
parte del pubblico, ormai educato al gusto concertato della musica profana, e che riuscivano
a far abbandonare la polifonia di austera fattura dei secoli precedenti. Non si ascoltò più
alcun accenno alle melodie gregoriane; scomparve ogni rispetto per le leggi della
declamazione o della retta pronuncia sillabica o per ogni benché minima proprietà
carattere virtuosistico.
Tra i secoli XVI e XVIII operarono P. Giulio Belli, P. Pietro Antonio Cesti, P.
Francesco Antonio Vallotti, che fu il primo a manifestare i segni di una volontà di ripresa
Il P. Vallotti qui a Padova sarebbe stato il solo in tutte le Scuole d’Italia, che
secondando l’opera del Maestro Veneziano (Antonio Lotti che a Venezia seppe
ribellarsi al carattere di un’arte creata di convenzionalismi, tentando energicamente la
resurrezione della classica polifonia) avrebbe potuto mettersi a capo di sì nobile
impresa, pari a quella di restaurare nell’arte sacra le forme elette, e di ripristinare il
predominio del cuore, sull’artificio convenzionale di barocchi formulismi. Questa
convinzione scaturisce spontanea e naturale alla lettura di alcuni Introiti e di alcune
Antifone del P. Vallotti, composte nel più puro stile contrappuntistico, di una soavità,
di una dolcezza, di una casta e pura idealità da far rimanere estatici. Non si dovrebbe
esitare a dire che giudicando il P. Vallotti da tali composizioni meriterebbe
giustamente e senza restrizioni l’appellativo di Palestrina del suo tempo90.
Ricordiamo, infine, il bolognese P. Giambattista Martini, di grande sapienza musicale,
Antonio Sabbatini.
90
G. TEBALDINI, L’Archivio musicale della Cappella Antoniana, Padova 1895, p. 6.
45
3. Frati Minori organisti e compositori nell’Ottocento
Il secolo XIX rappresenta l’epoca d’oro della musica organistica in ambito profano e
liturgico; una schiera di organisti compositori da tutta l’Europa diede vita ad una grande
tradizione musicale e strumentale. Tra gli esponenti di questa rinascita dell’organo come
strumento privilegiato, non solo nell’ambito della musica da chiesa, ma anche in ambito
organista, pianista e suonatore di vari strumenti a fiato; egli godeva già buona fama quando
nel 1818 entrò nell’Ordine dei Frati Minori. Fu compositore di gran merito ed esperto
contrappuntista, scrivendo soprattutto per organo e vari brani di musica sacra. La sua musica
fu tutta fortemente influenzata dal gusto e dallo stile operistico ottocentesco, secondo la
moda del tempo di eseguire brani ispirati alle sinfonie e alle arie d’opera che risuonavano in
tutti i teatri cittadini italiani. E fino a quando ciò avveniva negli ambienti profani della
musica operistica entrò nelle chiese per essere eseguita durante la celebrazione della messa.
È l’inizio di un periodo di profondo degrado che colpì la musica liturgica. A tal riguardo, un
grande maestro e appassionato restauratore della musica sacra e organistica, Luigi Bottazzo
(1845-1924), che fu tra i primi ad aderire al movimento ceciliano 91, così scriveva a tal
riguardo nelle sue Memorie storiche sulla riforma della musica sacra in Italia:
91
La prima società di S. Cecilia fu fondata a Ratisbona in Germania nel 1868 e a Monaco i riformatori tedeschi
si prodigarono per far conoscere l’antica polifonia sacra; tra i maggiori compositori del cecilianesimo tedesco
ricordiamo M. Haller e J. Mitterer. Dalla Germania il fenomeno cominciò a svilupparsi in maniera stabile
anche in Italia. Ciò che più colpisce nella storia del movimento ceciliano in Italia, è la velocità con cui la
riforma dell’organo giunse a destinazione senza bisogno di particolari interventi e mediazioni da parte delle
autorità; se per la musica sacra ci fu bisogno delle codificazioni del Motu proprio di Pio X, in ambito
organistico le cose andarono avanti con una certa autonomia fino al raggiungimento di molti dei traguardi
sperati.
46
L’organista cattolico è chiamato alla ricerca ideale del bello nelle laudi di Dio, sola e
vera sorgente di ogni bellezza. Egli deve essere quindi artista per eccellenza, poiché è
destinato ad unire le voci del meraviglioso suo strumento alle voci dei fedeli, che
lodano, benedicono e glorificano il Santo dei Santi […]. Per raggiungere tale grado,
l’organista ha bisogno di tre condizioni: essere dotato di spirito profondamente
religioso; avere ricevuto una soda educazione artistica; vivere nella certezza che
l’opera sua viene debitamente apprezzata, ed in pari tempo che fra i doveri vi è pure
quello del sacrificio92.
francescani, ci introducono nel contesto della musica e della liturgia nelle chiese e nei luoghi
di vita religiosa, visti dalla parte di coloro che hanno vissuto tutta o gran parte della loro
esistenza dentro questi stessi ambienti; ci riferiamo ai tanti musicisti religiosi consacrati e
sacerdoti e in particolare a tutti quei frati dell’Ordine Francescano, che dai conventi hanno
recato il loro personale contributo alla storia della musica nei settori del Canto Gregoriano,
della musica polifonica e della musica organistica93. Tutti i nomi appartengono o all’Ordine
dei Frati Minori o all’Ordine dei Frati Minori Conventuali (non si trovano figure di rilievo
all’interno dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini); una schiera di frati che, lungo sette
Vi sono stati francescani nel periodo dell’origine della Lauda nel secolo XIII, teorici
valenti su questioni riguardanti il Canto Fermo e la musica speculativa e scientifica in
tutti i secoli, compositori di grande valore nel periodo della polifonia classica che
rispondono ai nomi di Costanzo Porta, Viadana, Giulio Belli, Gerolamo Diruta. Nei
92
E. PAPINUTTI, Giullari di Dio, Edizioni Urban, Segrate (MI) 1997, pp.294-295.
93
«Urgeva estromettere dalle chiese la profanità e l’incompetenza musicale: la profanità era nelle musiche e
negli stessi organi e consisteva essenzialmente nello scimmiottare melodie, ritmi e modi esecutivi del teatro e
delle sale da concerto; la non competenza era data dal fatto che tali musiche non corrispondevano al bisogno
dei riti […]. Bisognava riproporre ideali perduti e ricercare modelli significativi da additare ai musicisti del
rinnovamento. Ma dove trovare i modelli della musica autenticamente sacra se non a ritroso nel tempo nelle
epoche d’oro della monodia medioevale (gregoriana) e della polifonia cinquecentesca (palestriniana, a
cappella). Per i romantici puri il viaggio all’indietro rappresentava un’occasione di fascinosa esplorazione fine
a se stessa; per i ceciliani fu una necessità, in quanto – obiettivamente – non c’era di meglio nella storia più
recente […]. I classici non dovevano e non devono essere fotocopiati in nessuna maniera. Una trappola che
poteva condurre al blocco della creatività, nel quale per fortuna non caddero i musicisti più accorti e capaci
[…]» (V. DONELLA, La musica in chiesa nei secoli XVII-XVIII-XIX. Perdita e recupero di una identità, Casa
Musicale Edizioni Carrara, Bergamo 1995, pp.264-265).
47
secoli XVIII e XIX grandi nomi appartenenti ai Frati Minori e ai Frati Minori
Conventuali, che, pur ossequienti alle abitudini ed allo stile della composizione sacra
dei loro tempi, hanno lasciato composizioni di indiscusso valore che meriterebbero
essere scelte, fra la loro numerosa produzione, e degnarle della riesumazione94.
nascita del già citato P. David da Bergamo, è doveroso menzionare P. Pietro Singer O.F.M.
(1810-1882), di origine tedesca, molto famoso come organista, anche al di fuori degli
ambienti religiosi95. È ricordato pure come inventore e costruttore di uno strumento musicale
meccanico, con le voci a lame metalliche vibranti, una specie di “orchestrione”, che egli
Offertori, Litanie), pubblicò una raccolta di canti corali della Provincia religiosa del Tirolo, a
cui apparteneva come frate, intitolata Cantus Choralis in Provincia Tirolensis consuetus
(1862). P. Pietro ebbe l’opportunità di assistere e partecipare, nella sua lunga vita, al
passaggio tra le due diverse generazioni di organisti, il cui punto di snodo coincise con il
periodo più caldo della vita musicale italiana, quello del Casamorata per intenderci, in cui
cominciavano a prendere forma e a concretizzarsi gli ideali della riforma, intorno agli anni
cinquanta96.
94
U. FRANCA, Ricerca e riesumazione della produzione musicale francescana, in «Studi Francescani», III-IV,
Firenze, luglio-dicembre 1951, p.190.
95
Di lui Franz Liszt soleva affermare: «se io sono il Paganini del piano, fra Pietro è il Liszt dell’organo».
96
I primi segnali di questa importante riforma si erano già manifestati nell’opera di Luigi Ferdinando
Casamorata (1807-1881), grande figura di musicista illuminato, famoso non tanto per le sue musiche, quanto
piuttosto come divulgatore dell’idea del rinnovamento organistico; egli fu attivo come scrittore e critico
musicale in collaborazione con i giornali italiani del tempo e autore di un trattato di esecuzione organistica
intitolato Del retto modo di suonar l’organo durante le sacre funzioni e incidentalmente del Breve Metodo per
l’organo dei Signori Müller e Rinck, pubblicato in quattro puntate sulla Gazzetta Musicale di Milano nei nn.
41, 43, 45, 49. In particolare il Casamorata si scagliava contro coloro che sostenevano la spudorata e diffusa
abitudine di eseguire dissacranti motivetti d’opera e “ballabili” all’interno di celebrazioni liturgiche; constatava
inoltre la mancanza di scuole di organo nei conservatori italiani, che, grazie alla sua insistente denuncia e
propaganda, cominciarono ad essere istituite a partire da quella di Milano con Almasio nel 1846, a cui
seguirono Bologna con Busi nel 1869, Firenze con Maglioni nel 1871, Pesaro con Petrali nel 1882, Roma con
Renzi nel 1886, Parma con Mattioli nel 1888, Napoli con Bossi nel 1889, Torino con Remondi nel 1892 e
infine Venezia con Bossi direttore nel 1895. Scriveva a proposito il Casamorata: «È una cosa strana che mentre
in tutti i nostri Istituti di musica vi sono scuole di pianoforte, di strumenti ad arco, di strumenti a fiato, in
veruno, o quasi veruno ( per quello che so) si trovi una speciale scuola d’organo». Appare evidente che sino a
quel momento nessuno si era preoccupato di studiare seriamente l’organo, e la grande fioritura di scuole
organistiche sviluppatasi nell’ultimo quarto di secolo è dovuta principalmente all’opera e all’azione del
Casamorata prima e dei ceciliani poi. Oltre che nel campo della prassi teorico-musicale, ci furono forti sintomi
48
Come rappresentanti della nuova generazione di musicisti francescani citiamo i nomi e
l’opera di tre frati organisti e compositori provenienti rispettivamente dalla Toscana, dalle
Marche e dall’Abruzzo. Il primo, assai poco noto ma degno di essere conosciuto e riscoperto
scomparso all’età di 40 anni. Nato in Romagna nel 1851, vestì l’abito francescano nel 1872 e
divenne sacerdote nel 1875. La sua esperienza musicale iniziò quando nel 1872, salito al
Santuario della Verna, giovane fratino, conobbe l’organista della Basilica P. Raimondo da
Luicciana, col quale iniziò gli studi di Teologia, di Arte e di Organo. Dopo sei anni P.
Bernardino da Portogruaro, allora Ministro Generale dell’Ordine, lo portò con sé a Roma nel
1878, affidandolo alle cure dei Maestri Gaetano e Filippo Capocci, dei quali ben presto
divenne discepolo prediletto. In particolare dal figlio Filippo 97, P. Damiano apprese e
sviluppò una grande abilità tecnica, che unì alle sue già spiccate doti musicali e artistiche.
Un’anima profondamente religiosa come quella di P. Damiano, che già per intuizione
intravedeva altre vie alla sua arte per disancorarla dal profano andazzo del tempo,
di rinnovamento e di originalità anche nelle opere di esimi organisti e compositori che avevano cominciato a
distaccarsi dalle consuetudini musicali dell’epoca in questione. Alcuni di essi molto semplicemente, e forse
anche un po’ inconsapevolmente, evitavano di adeguarsi a quello stile operistico e al carattere popolare di certe
melodie di cui tutti abusavano a sproposito, per dedicarsi alla creazione di uno stile maggiormente ricercato e
personale.
97
Di certo Filippo Capocci (1840-1911) non raccolse aridamente l’eredità del padre Gaetano, ancora
appartenente alla vecchia scuola organistica, ma si lasciò più facilmente influenzare dalle nuove correnti
capeggiate da noti esponenti della cultura e dell’arte musicale, organistica e organaria, non solo a livello
italiano. Tutto concorre nell’arte di Filippo Capocci alla creazione di una sorta di mondo sonoro perfetto in cui
predominano le sfumature di colori chiari, brillanti e smaglianti, mai troppo invadenti e penetranti per chi
ascolta in religioso silenzio le sue composizioni. Semplicità e trasparenza sono le due coordinate fondamentali
che caratterizzano l’impronta stilistica e la tecnica musicale del musicista romano e che certamente non sono
solo distintive della sua arte, ma appartengono a tutta una scuola di maestri che si istruivano e si sostenevano
gli uni gli altri, nell’accorata ricerca e realizzazione di uno stile capace di assolvere a quell’importante compito
di rieducazione nei confronti del popolo della musica, non solo di quella sacra, affinchè fosse in grado di
riacquistare quella sensibilità musicale e spirituale, di cui era stato privato dalle ingiustizie perpetrate dagli
abusi della precedente generazione. Non è qui il caso di fare processi a presunti colpevoli, dimenticando che
molte scelte e azioni furono comunque dettate da un radicato modo di concepire e di sentire la musica e la
liturgia in un’epoca di grave rilassamento delle tensioni spirituali e mistiche. La generazione del Capocci e
degli altri suoi contemporanei fu perciò chiamata ad una speciale missione, che consisteva, e ancor oggi
consiste, in una vera e propria vocazione, termine densissimo di significato, che dovrebbe identificare ogni
musicista che si reputi e proclami tale. Tanto più ciò dovrebbe valere per quei musicisti che operano nel campo
della musica sacra e liturgica e che svolgono un servizio, definibile come vero e proprio ministero, all’interno
della Chiesa per il popolo di Dio. La Riforma Ceciliana in tal senso ha prodotto effetti mirabili mediante la
consacrazione di grandi organisti liturgici, in particolare in Italia, dove il la fede religiosa in fermento ha
continuato, tra mille ostacoli e in un clima di profonda degenerazione, a educare e formare coscienze musicali
cattoliche autentiche
49
respira a pieni polmoni alla scuola del M° Capocci e si libra a tutto volo verso la
conquista dei nuovi orizzonti che gli sono aperti davanti. Il successo suo […], oltre che
da temperamento musicale straordinariamente dotato di tutti i requisiti necessari ad
essere un perfetto artista, proviene da un sapiente addestramento fatto per il normale
tramite della scuola, con un buon maestro98.
Egli concluse i suoi studi musicali nel 1881, dopodiché si stabilì permanentemente alla
Verna, svolgendo l’incarico di organista del Santuario fino agli ultimi mesi della sua vita,
quando per motivi di salute, fu costretto a stabilirsi a Firenze, dove il clima invernale era più
sopportabile.
Anche in cima al Monte della Verna erano giunti gli echi della profanazione musicale che in
Allorchè fu eletto organista della Verna [nel 1876] il gusto musicale del pubblico era
proprio pervertito. In quel tempo quasi ovunque le più profane marciate (come le
chiamavano) ed i ballabili venivano eseguiti con gran soddisfazione degli ascoltatori
durante le sacre funzioni. Era un continuo sfoggiare di campanelli e di gran cassa; una
vera ira di Dio […]. Egli [P. Damiano] troncò nettamente questo periodo di
profanazione, inaugurandone uno nuovo sulle vere basi della musica sacra; e con il suo
modo di suonare puro, semplice, solenne, religioso, dopo non brevi e dolorose lotte
coll’ambiente che si ritraeva e reagiva scandalizzato, vinse guadagnandovi terreno
palmo a palmo, finchè si sentì religiosamente ascoltato. Fu questa la sua maggiore
soddisfazione. Ben presto tutti ne furono entusiasti e coloro che da ogni parte salivano
al Monte della Verna, ascoltando l’organo suonato da lui, rimanevano sempre
profondamente impressionati99.
Ciò che colpiva maggiormente dell’arte di P. Damiano era lo stile improvvisativo che
poneva in risalto le sue affascinanti doti musicali ed espressive, la cui forza maggiore
98
A. PIEROTTI, Il P. Damiano di Rocca S. Casciano nel primo centenario della nascita (1851-1951), in «Nozze
d’oro sacerdotali di Padre Vigilio Guidi organista della Verna», Tipografia G. Concetti, Firenze 1951, p.35.
99
P. PICHI, P. Damiano dalla Rocca San Casciano, in «Gazzetta Musicale di Milano», 13 settembre 1891,
p.601.
50
risiedeva, a detta di tutti, proprio nelle improvvisazioni nelle quali egli di tanto in tanto si
dilettava:
Ma forse il meglio di lui è proprio quello che è andato irreparabilmente perduto, creato
di volta in volta all’organo […], nell’impeto d’una ispirata improvvisazione […]. Gli
ascoltatori erano rapiti, e il Padre Damiano, quando toglieva le mani dai tasti e i piedi
dalla pedaliera, era esausto dalla sua creazione […]. In quel momento creativo si
davano convegno sull’organo tutte le potenze dell’anima sua e le stesse risorse del suo
essere fisico erano spinte al massimo del rendimento nella linea convergente del
supremo sforzo e dell’impiego unitario d’ogni più nascosta ed umile energia. Tutto
l’uomo veniva impegnato: il P. Damiano vi metteva la sua religiosità profondamente
serafica, il suo culto delle memorie del passato, il senso georgico della natura delle
cose più umili e gentili […], le aspirazioni imbattibili della speranza cristiana e della
fiducia ottimistica nella potenza dell’ingegno umano, sebbene il suo povero fisico
fosse così debole e fragile […]. Mi punge oggi il desiderio delle geniali
improvvisazioni di P. Damiano, e mi vien fatto di porre il problema del loro rapporto
con la musica – edita o inedita, vocale od organistica – che ci resta di lui. Dove fu
maggiore l’artista ed il genio100?
dell’ispirazione; i suoi canti semplici, delicatissimi e, allo stesso tempo elevati, avevano lo
straordinario potere di commuovere gli animi dei fedeli durante le celebrazioni del santuario
alvernino. Pur avendo vissuto per tutta la sua breve vita da frate sul monte della Verna, gli
echi della musica di P. Damiano furono uditi in diverse regioni italiane, trasportati dalle
testimonianze di coloro che nel cuore e nell’anima erano stati guariti dal balsamo delle sue
celesti melodie. P. Damiano seppe fare del carisma musicale un dono per tutti e una
restituzione a Dio che glielo aveva concesso, secondo lo stile proprio di Francesco e dei
primi frati che con il canto e con la musica amavano infiammare il cuore degli uomini
100
A. PIEROTTI, Il P. Damiano di Rocca S. Casciano nel primo centenario della nascita (1851-1951), p. 35.
51
Il secondo è P. Pier Battista da Falconara (1844 – 1915), marchigiano di origine, ma
aveva appreso tutte le buone regole dell’arte musicale; però quando si trattava di
comporre, dimenticava tutto e dava libero corso a quanto gli dettava il suo cuore
innamorato delle bellezze di nostra santa Religione […]. Ma quello che più
distintamente si rileva nelle sue composizioni è il sentimento profondamente religioso.
[…] egli ritenne sempre l’arte musicale per un puro ornamento del sacerdote, e però
pose tutto il suo studio nel disimpegno del divin ministero […]. Nei primi anni del
nostro collegio […] insegnò anche canto-fermo ai nostri giovani, i quali tutti gli posero
subito tanto affetto, da non potersi altrimenti spiegare che colla perizia non comune e
coll’amabilità salesiana del nostro Padre. Ci siamo più volte chiesto donde mai il P.
Pier Battista avesse appreso quel suo modo di fare così, dolce ed efficace, nonostante
la sua indole piuttosto fiera e ardente. Ci sovviene ora ch’egli visse per molti anni in
compagnia di quell’anima eletta, che fu il Rev.mo P. Bernardino da Portogruaro, alla
cui scuola, […] si formarono tanti nobili caratteri, che illustrarono e che tuttora
illustrano il nostro Serafico Ordine.
origine abruzzese103. Nel 1868 fu nominato maestro di cappella della Chiesa della SS.
Nazionale di Santa Cecilia di Roma, titolo di notevole rilievo che gli permise di ritagliarsi
101
Proprio a Roma nel 1868 intraprese lo studio degli autori della scuola Romana sotto la guida del M°
Capocci. Coltivò con entusiasmo anche l'arte del canto fino a diventare maestro di musica sacra. Essendo molto
dotato musicalmente, fu presto nominato organista della Chiesa di Aracoeli e poi della chiesa del Collegio
Internazionale S. Antonio, dove era ben noto ai romani che frequentavano la chiesa. Le sue composizioni edite
e inedite rivelano tutta la sua genialità, fertile fino agli ultimi anni. Le principali città d'Italia facevano a gara
per averlo sia per il collaudo degli organi, sia per dirigere le sue grandiose musiche nelle quali distintamente si
rileva il sentimento profondamente religioso. P. Pier Battista fece anche parte di quel gruppo di riformatori che
nel 1884 appoggiarono il Regolamento pubblicato dalla Sacra Congregazione dei Riti che prescriveva le norme
generali per la musica sacro-figurata, vocale e strumentale, permessa o proibita in chiesa.
102
G. BRUNELLI, La morte del P. Pier Battista da Falconara, in «La voce di S. Antonio», 20/4 (1915), pp. 97-
100.
103
Il 15 ottobre 1905 P. Cristoforo muore nel convento di Monteripido (PG) e qui, per le esequie solenni, fu
eseguita la Messa a 2 voci del P. Pier Battista da Falconara. Il 16 ottobre si celebrarono altri funerali a S. Maria
degli Angeli. La messa funebre era accompagnata dalla musica grave e solenne del compianto maestro e fu
diretta dal P. Pier Battista, venuto appositamente da Roma. Dopo l’elevazione venne eseguito un mottetto a
sole voci del P. Pier Battista. P. Cristoforo aveva intrattenuto rapporti di amicizia con molti maestri, tra i quali,
appunto, P. Pier Battista che con lui aveva diretto le grandi musiche in Roma, Assisi e Perugia, eseguite per il
centenario di S. Francesco.
52
uno spazio anche nel panorama musicale nazionale. Il secondo periodo della vita e della
conversione alla vita francescana. Il musicista lancianese vestì le sacre lane il 16 luglio del
1882. All'incirca un anno dopo, il 19 maggio 1883, fu ordinato sacerdote, con il nome di
in modo particolare sulla produzione di brani per organo. Oltre a svolgere l’attività di
maestro di cappella e dedicarsi con grande zelo alla sua missione sacerdotale, il Padre
Cristoforo da Lanciano continuò a coltivare la sua attività di critico musicale sulla rivista
Da questa rapida rassegna di sette secoli nella storia dell’Ordine Francescano abbiamo
conosciuto i nomi più significativi dei frati che hanno dedicato la loro vita per l’arte
musicale; dalla produzione che essi hanno lasciato si vede chiaramente l’importanza di
primo piano che l’Ordine gode sul terreno della tradizione liturgico-musicale nel corso dei
secoli.
CAPITOLO IV
NEL NOVECENTO
53
1. I Francescani oggi e il repertorio liturgico-musicale
Diamo ora uno sguardo alla situazione dell’Ordine Francescano in riferimento alla
questione del canto, della musica e della liturgia nel periodo del post-Concilio fino ai giorni
nostri. Partendo dai principi contenuti nella Sacrosanctum Concilium104, osserviamo che i
contesti in cui i Francescani si sono trovati ad operare sono più o meno gli stessi delle
epoche passate: canto e musica nella celebrazione della messa e dell’ufficio; il problema
l’onore da attribuire all’organo come strumento musicale tradizionale della Chiesa latina; la
formazione di una buona coscienza musicale, secondo lo spirito cristiano, in coloro che sono
chiamati a comporre musica sacra. Analizziamo ora singolarmente alcuni degli articoli del
documento conciliare, mettendoli in relazione con l’opera portata avanti dai Francescani in
n. 113:
L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini Uffici sono celebrati
solennemente in canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo […].
Come si è già visto al capitolo 2 il canto nella liturgia è stato da sempre praticato
delle tre famiglie, delle province e delle singole fraternità. Attualmente nelle nostre
54
seguito dalle Lodi mattutine (a volte inserite nella celebrazione eucaristica, se prevista
dall’orario della fraternità, con la partecipazione dei fedeli); verso mezzogiorno si celebra
l’Ora media (Sesta) a cui precede o segue la meditazione personale, oppure è unita
all’Ufficio delle Letture, se non è già stato celebrato al mattino; nel tardo pomeriggio si
celebrano i Vespri (a volte inseriti nella Messa concelebrata, in genere, dai frati di tutta la
comunità e partecipata dai fedeli); la sera, dopo cena o prima del riposo notturno, si celebra
la Compieta (come ultima preghiera della giornata). Nelle fraternità di eremo e nelle case di
preghiera vige l’alzata notturna (a mezzanotte o all’una) con un’ora di preghiera in cui si
celebra l’Ufficio delle Letture durante l’Adorazione Eucaristica. Sempre negli eremi, nelle
case di preghiera e nelle comunità monastiche delle Sorelle Povere di Santa Chiara
(clarisse), si celebra l’Ora media nelle sue parti di Terza (dopo le Lodi o la Messa del
mattino), Sesta (verso mezzogiorno) e Nona (verso le ore 15). L’orario, evidentemente, varia
ogni provincia religiosa tende a fornire un modello di orario comune per tutte le case. Le
spesso dall’organo o dall’harmonium, soprattutto dove ciò è reso possibile dalla presenza di
un numero cospicuo di religiosi e di almeno un frate musicista; a tale scopo, gli ordini e le
singole province hanno anche proposto modelli comuni d’intonazione dei salmi, le
cosiddette “salmodie” o “toni salmodici”, che tendono a favorire la preghiera comunitaria tra
55
n. 115:
Si curi molto la formazione e la pratica musicale nei seminari, nei noviziati dei
religiosi dei due sessi e negli studentati, come pure negli altri istituti e scuole
cattoliche; per raggiungere questa formazione si abbia cura di preparare i maestri
destinati all’insegnamento della Musica sacra.
Si raccomanda, inoltre, dov’è possibile, l’erezione di Istituti Superiori di Musica sacra.
Anche in questo caso rimandiamo a quanto già detto al capitolo 2 riguardo alla
frati e aggiungiamo, in riferimento alla situazione attuale dei nostri conventi e delle nostre
case di formazione, che forse si potrebbe fare qualcosa di più per ripristinare una realtà in
cui la cura del canto e della musica nella liturgia riceve un interesse e un’attenzione
maggiore da parte dei responsabili della formazione dei giovani frati (formazione iniziale) e
della formazione permanente106. Ciò che ancora è in vigore presso i nostri conventi e
monasteri più importanti107, dove risiedono e operano tuttora religiosi esperti nel canto e
n. 116:
La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della Liturgia romana:
perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale.
stimmate di San Francesco, Bandettini, Firenze 1992; per i salmi responsoriali: P. AURELIO ZORZI, Ritornelli
dei salmi responsoriali (su iniziativa di P. M. Ferraldeschi), Roma 2011; per i canti liturgici: COORDINAMENTO
DELLE FEDERAZIONI CLARISSE D’ITALIA, Note di Luce. Canti a Chiara d’Assisi, pro manuscripto, Albano
Laziale (RM) 2004; SERVIZIO ORIENTAMENTO GIOVANI SACRO CONVENTO DELLA PORZIUNCOLA , E
danzando canteranno. Canti, Lodi e Vespri, Edizioni Porziuncola, S. Maria degli Angeli (PG) 1999; Centro
Giovanile Francescano delle Marche, Le laudi del Signore, Santuario SS. Crocifisso di Treia, pro manuscripto,
Treia (MC) 2001; per i repertori di Canto Gregoriano: P. A. SANTINI, Preghiamo cantando. Melodie
Gregoriane, Edizioni Musicali C. Casimiri, Roma; G. BECCHIMANZI-T. FLURY, Gregoriano Simplex.
Accompagnamenti organistici ai canti del Graduale Simplex, Casa Editrice Francescana, Assisi 2008.
106
Abbiamo già segnalato come nelle recenti Costituzioni e Statuti Generali e Particolari dell’Ordine non
compaiano più riferimenti significativi all’istruzione liturgico-musicale da impartirsi ai frati.
107
Cf. nota 2.
108
Ricordiamo per l’Italia solo alcuni nomi di frati che operano nei luoghi più frequentati: P. Giuliano Viabile
OFM Capp (Loreto), P. Gennaro Becchimanzi OFM Conv (Roma-Assisi), P. Maurizio Verde, P. Matteo
Ferraldeschi e Fr. Alessandro Brustenghi OFM(Umbria); Fr. Alessandro Fortin OFM Conv (Veneto); P.
Giuseppe Magrino OFM Conv (Assisi). Molti di essi hanno compiuto i loro studi presso il Pontificio Istituto di
Musica Sacra di Roma.
56
Gli altri generi di Musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto
dalla celebrazione dei divini Uffici, purché rispondano allo spirito dell’azione
liturgica, a norma dell’art. 30.
Nel secondo paragrafo del capitolo 2 abbiamo analizzato in generale l’iter della
P. Clops e P. Bruning.
Parlando in maniera più specifica dei Frati Minori delle Marche, dobbiamo ricordare
l’opera del nostro P. Umberto Franca, musicista, insegnante, direttore di coro e grande
altri ambienti ecclesiastici italiani109. Da una sua lettera del 28 settembre 1949 inviata al
aveva disdetto l’invito a prestare servizio con la Scuola Polifonica fondata dal Franca a
Fano, veniamo a conoscere l’attività che il giovane musicista aveva svolto a Roma. Così
scrive:
a San Carlo al Corso dove sono stato organista per 5 anni, a S. Maria Maggiore dove
ho suonato come Organista sostituto per oltre un anno e dove ho rinunciato al posto di
Organista titolare; a Sant’Andrea al Quirinale, a San Luigi dei Francesi, a San
Sebastiano, a San Benedetto in Piscinula, al Quo Vadis dove avevo una Scuola di
Canto, dai Padri Mechitaristi dove ho insegnato canto Gregoriano e pianoforte,
all’Ospedale dei Fatebenefratelli dove ho insegnato musica per 2 anni».
109
Padre Umberto Franca nacque il 21 maggio 1914 a Monterinaldo in diocesi di Fermo. Entrato nell’Ordine
dei Frati Minori nel convento di Montebaroccio, il 18 gennaio 1931 iniziò l’anno di noviziato al termine del
quale emetteva la prima professione della Regola francescana e dei voti religiosi e il 30 maggio 1935 si
consacrava definitivamente al Signore con la professione solenne o perpetua. L’11 luglio 1937 veniva ordinato
sacerdote nella cattedrale di Zara dove i frati marchigiani avevano lo studio teologico. Iscrittosi il 30 ottobre
1939 al Pontificio Istituto di Musica Sacra, il 13 giugno 1940 conseguiva il Baccalaureato e il 10 giugno 1941
la Licenza in Canto Gregoriano, il 27 giugno 1942 il Baccalaureato e il 16 giugno 1943 la Licenza in
Composizione sacra, il 16 giugno 1944 il Baccalaureato e il 30 ottobre 1946 la Licenza in Organo, il 16 giugno
1944 il Magistero in Composizione Sacra, il 1 luglio 1947 il Magistero in Canto Gregoriano. Pubblicò studi e
saggi di Paleografia gregoriana e di musica francescana.
57
Il 28 marzo 1947 pubblica un manifesto con il quale invita giovani non inferiori ai 18
Il P. Umberto Franca con la collaborazione dei giovani cantori aprì un doposcuola per
alunni delle scuole elementari: «Da questo doposcuola è nata la sezione dei ‘Putti cantori’
che in numero di 16 si sono aggiunti alla Scuola Polifonica», scriveva il segretario in data 25
gennaio 1948, da allora il coro si compose di voci miste. Infatti i ragazzi frequentavano il
doposcuola al termine del quale si iniziavano le prove di canto. Alla data 12 ottobre si legge
nel registro che prestava collaborazione la maestra Giovanna Giustiniani e che fu necessario
tenere un corso-bis di doposcuola e prove di canto per i ragazzi che avevano lezione nel
pomeriggio, inoltre che «le spese per il doposcuola erano sostenute dal convento di Santa
Maria Nova per i mesi di ottobre, novembre, dicembre, dal gennaio 1949 penserà il Centro
Italiano Femminile». I “Putti Cantori” registrati erano saliti a ventisette. È di questo tempo la
composizione di padre Franca di un O salutaris hostia per soprano e organo. L’1 settembre
1950 lasciò Fano per trasferirsi a Sassoferrato quale insegnante di musica e canto al ginnasio
dei Frati Minori marchigiani. La sua attività musicale continuò poi in altri conventi, dove
venne successivamente destinato, non ultimo a Roma, dove ebbe l’incarico dal 10 maggio
58
Musica Sacra con Decreto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, prestandosi
anche come cantore salmista delle celebrazioni papali nella basilica di S. Pietro in Vaticano
nella scuola di musica sacra di questa città dove rimase fino a tutto il 1992, allorché il
luglio110.
Accanto a P. Umberto Franca, dobbiamo ricordare i nomi di altri frati marchigiani che si
sono spesi per l’insegnamento della musica nelle scuole pubbliche, nei nostri istituti e nelle
n. 118:
Si promuova con impegno il canto popolare religioso, in modo che nei pii e sacri
esercizi, come pure nelle stesse azioni liturgiche, secondo le norme stabilite dalle
rubriche, possano risuonare le voci dei fedeli.
Anche in questo caso ci riferiamo a quanto già anticipato in precedenza nel secondo
paragrafo del capitolo 1 riguardo alle caratteristiche del canto popolare religioso. Nel
frati organisti e compositori che hanno fatto del “popolare” un elemento importante del loro
110
S. BRACCI, Due musicisti a Santa Maria Nova, in «La chiesa di Santa Maria Nova a Fano», Fondazione
Cassa di Risparmio di Fano, Fano 2009, pp. 36-39.
59
stile. Ci riferiamo in particolare a P. Settimio Zimarino 111, P. Terenzio Zardini112 e P.
Armando Pierucci113.
P. Zimarino svolse per alcuni anni una ricerca musicologica relativa al periodo
compreso tra i primi decenni del Settecento e l’inizio del Novecento, rendendo noti nomi di
musicisti abruzzesi fino a quel momento sconosciuti. Dalla metà degli anni trenta cominciò a
comporre Pastorali natalizie che rappresentano la parte più rilevante della sua opera, che
ammonta a 749 composizioni. La sua produzione musicale rappresenta una gran parte del
repertorio liturgico abruzzese e spazia nell’ambito della musica sacra. Essa è piuttosto
111
Padre Settimio Zimarino (1885-1950), nato a Casalbordino (Chieti), fu battezzato col nome di Carmine
Antonio, al quale rinunciò per prendere quello di Settimio al momento dell’ingresso nell’ordine francescano.
Già all’età di quattordici anni decise di dedicarsi alla vita religiosa e venne ordinato sacerdote nel giugno del
1908. Per le sue doti musicali si recò a Pesaro a studiare presso il Liceo Musicale “Rossini” conseguendo il
diploma di Licenza e Magistero di Musica Sacra nel 1917 sotto la guida del M° Antonio Cicognani. Nel 1919
si trasferì a Lanciano per svolgere il sacerdozio presso il convento di Sant’Anna e l’attività di compositore e
direttore del coro nella cattedrale Santa Maria del Ponte. Fu quello della permanenza nella città frentana un
periodo di grande attività di Zimarino come musicologo e compositore sotto lo pseudonimo di Ezio Marino.
Fece un lavoro di raccolta di canti popolari visitando le campagne e contattando direttamente i contadini, per
questo viene riconosciuto tra i promotori della rinascita della canzone abruzzese. Nel 1923 si trasferì a Chieti
presso il Convento del Sacro Cuore ove assunse l’incarico di organista della cattedrale di San Giustino. Per
venticinque anni fu insegnante di Musica Sacra al Pontificio Seminario San Pio X contribuendo a rinnovare il
repertorio liturgico. I manoscritti contenenti le sue opere sono conservati all’Aquila presso la Provincia dei
Frati Minori.
112
Padre Terenzio Zardini (1923-2000), nato a Montecchia di Crosara (Padova) nel 1923, fu battezzato col
nome di Gaetano. Entrato nell'Ordine dei Frati Minori a Vittorio Veneto nel 1939, assunse il nome di Terenzio.
Fu ordinato sacerdote il 14 aprile 1947. Compì i suoi studi presso il Liceo Musicale di Verona e poi al
conservatorio “B. Marcello” di Venezia, ove nel 1954 si diplomò in Composizione . Divenne organista e
direttore di coro nel convento di San Bernardino a Verona, dove fu anche insegnante di musica, direzione e
composizione corale presso il Conservatorio di Verona. Compositore di musica sacra, compose opere
per organo e per coro, soprattutto ad uso liturgico. Seguirono gli studi all'allora Liceo Musicale di Verona e poi
al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia dove, nel 1954, si diplomò con il massimo dei voti in
Composizione. La comunità di Montecchia ha voluto che in paese rimanesse qualcosa che mantenesse viva per
sempre la figura di Padre Terenzio e così, poco dopo la morte dell'illustre concittadino, avvenuta il 23 febbraio
del 2000, la nuova sala civica è stata battezzata in suo nome. Solo nel febbraio scorso, infine, anche Verona ha
voluto tributare il proprio omaggio al francescano dei Lauri, riservandogli un posto di tutto rispetto all'interno
dei giardini che, tra via Cimarosa e via Leoncavallo, sono dedicati ai grandi compositori italiani.
113
Padre Armando Pierucci (1935) è nato a Maiolati Spontini (Ancona) il 3 settembre 1935. Dal 1988, risiede
ed opera a Gerusalemme, in seno alla Custodia di Terra Santa, ed è l’organista della basilica del Santo
Sepolcro. Padre Pierucci si è diplomato in Organo, Composizione, Musica corale, Pianoforte e Canto
Gregoriano al Pontificio Istituto di Musica Sacra (Roma) e nei Conservatori di Napoli e di Pesaro. La sua
attività si è snodata tra esecuzioni organistiche, direzione di cori, composizione ed insegnamento, presso il
Conservatorio di Pesaro e lo Studio Teologico Francescano di Gerusalemme ed in altri ambiti accademici,
ecclesiali o privati. Ha dato concerti in Italia, Grecia, Cipro e Terra Santa. Ha composto musica per organo,
coro, recorder, accordeon, ottoni e pianoforte. Tra le sue numerose opere, sono da ricordare le cantate Via
Crucis, De Profundis, The Burrial of Moses at Mount Nebo, Invocazione per la Pioggia e La Terra dei
Fioretti. Per dieci anni, fino al 1999, Padre Pierucci ha diretto la rivista “La Terra Santa”. E’ il fondatore ed il
Presidente Esecutivo dell’Istituto Magnificat a Gerusalemme, una scuola di musica fondata nel 1995, la cui
caratteristica principale è quella di essere luogo di dialogo, di pacifica convivenza, di promozione umana e
sociale, nonché luogo di orientamento e di preparazione professionale di alta qualificazione in campo
concertistico e didattico. Attualmente, la scuola annovera tra le proprie fila oltre 200 allievi, seguiti da circa 18
insegnanti: essi sono Israeliani, Palestinesi, Armeni, di religione ebraica, cristiana e musulmana.
60
eterogenea e comprende composizioni per Messe, Mottetti, Responsori, Inni, Sonate per
ad una profonda semplicità che si riscontra sia sul piano prettamente musicale sia su quello
del contenuto. Alla semplicità e povertà dello stile, derivante dall’utilizzo di molti temi
desunti dal repertorio popolare, fa riscontro una ricchezza di suggestione e di atmosfera. Tra
le sue composizioni più note ricordiamo quelle natalizie: “Alla fredda tua capanna, Venite a
Anche P. Zardini s’impegnò nel recupero di brani dalla tradizione popolare veronese
e mantovana e toscana, facendo in modo che non venissero perduti e li adattò alla liturgia,
creandone pezzi ancora oggi eseguiti frequentemente. Pacioso e gioviale, è stato uomo di
Chiesa molto amato tra i suoi compaesani che non nascondono l'orgoglio di aver conosciuto
e scherzato spesso con lui, destinato a diventare uno dei compositori di musica sacra più
noti. E dire che il piccolo Terenzio aveva fatto la conoscenza della musica in modo
assolutamente casuale. Trovò sotto il suo banco uno spartito. Guardò curioso quel foglio
pieno di segni indecifrabili e decise che sarebbe stato un peccato lasciarlo lì, senza sapere
cosa potesse significare. Cominciò in questo modo il suo amore per la musica. Padre
Terenzio scriveva la sua musica di notte, ispirato dalla gioia contemplativa: sono nate così le
oltre duemila musiche sacre che sono diventate i brani tradizionali per l'animazione della
Santa Messa, conosciuti dai fedeli di tutte le età e di tutte le generazioni tanto per
l'orecchiabilità del motivo musicale quanto per la semplicità, mai banale, del testo. Che poi
Padre Zardini le considerasse «tute batarìe», poco importa. Padre Terenzio ai suoi allievi di
conservatorio era solito dire che la musica bella era stata già composta tutta e che lui aveva
scritto la brutta». Però la sua notissima “Dov'è carità e amore”, a dispetto del fatto che
l'avesse definita «'na feta de polenta», è stata e rimane costantemente in cima alla hit parade
61
2. P. Armando Pierucci e la Provincia Picena - Terra dei Fioretti
il suo ardore nella sua opera di organista, direttore, compositore, ricercatore, insegnante,
superiore e fondatore. Uomo innamorato della sua terra di origine, le Marche, e della terra di
Gesù, la Palestina, in Terra Santa P. Armando continua ormai da più di vent’anni a portare la
pace e l’amore di Cristo servendosi non solo della sua musica, ma soprattutto dell’arte di
tutti quei giovani allievi musicisti e insegnanti, cristiani e mussulmani, che hanno
frequentato e frequentano la scuola del Magnificat Institute, una sorta di Accademia della
Musica nella quale s’insegnano tutti gli strumenti, il canto, la direzione corale e un posto
particolare è riservato all’organo, dalla cui scuola sono usciti validi esecutori, allievi dello
stesso P. Armando, che ora si alternano nell’accompagnamento della liturgia nella Basilica
Ma la vena poetico-musicale più originale e sensibile, P. Pierucci l’ha riversata nelle sue
cantate, oratori e altri brani vocali, strumentali e organistici di genere sacro; tra le cantate ve
n’è una che si distingue per la sua particolare ispirazione e per la struttura poetico-musicale.
Scritta nel 2006, s’intitola “La Terra dei Fioretti” e P. Armando così ne annuncia la nascita
114
:
Quando nel novembre del 1988, venni a Gerusalemme, lasciai il manoscritto del libro
“Incontriamo Francesco nelle Marche”. Vi avevo raccolto quei testi delle “Fonti
Francescane” che raccontano le infinite visite di San Francesco d’Assisi nelle Marche.
I frati della mia Provincia Picena fecero una bellissima pubblicazione con quanto
avevo raccolto e, nel 2005, ripensarono alla propria identità con il progetto “la Terra
114
A. PIERUCCI, La Terra dei Fioretti. Cantata per Mezzosoprano, Baritono, Coro, Oboe, Tromba e Organo,
Istituto Magfnificat, Gerusalemme 2006.
62
dei Fioretti”, che non è soltanto un nome. È anche un ideale, una rifondazione, una
riappropriazione.
La proposta ha affascinato anche me. Ho ripreso in mano le pagine del 1988 e ne ho
fatto un canto di gratitudine, di amore: “La Terra dei Fioretti”, un pellegrinaggio ideale
insieme a Francesco che, camminando, cantava; e nel canto indicò la via della pace,
del conforto e della speranza.
Con queste parole P. Armando Pierucci presenta la sua opera: una cantata suddivisa in
dodici quadri, ispirati agli episodi marchigiani della vita di San Francesco e dei suoi primi
frati, contenuti nei capitoli 42-53 dei “Fioretti”115. Si tratta di un itinerario musicale (P.
Armando parla di un vero e proprio “pellegrinaggio”), che si apre con un “Preludio”, questo
è il titolo del primo quadro, in cui l’autore esprime il desiderio di cantare, alla maniera di
Francesco, le «lodi del Signore», attraverso il racconto di «stupendi fatti e detti», compiuti e
proclamati dal Santo e dai suoi primi compagni in terra marchigiana, e termina con la
celebre “Benedizione di San Francesco”, che riassume in sé tutto quel clima di pace, di
conforto e di amore, di cui è pervaso l’intero pellegrinaggio intrapreso sotto la protezione del
Signore.
Il tema di una famosa lauda tratta dal Laudario di Cortona, intonato dal Coro nel
medievale che prepara l’ambientazione dei quadri successivi; tutto è in perfetta armonia con
quanto è scritto di Francesco e dei suoi primi tre fratelli nella Leggenda dei tre compagni:
Francesco unitamente ad Egidio andò nella Marca di Ancona, gli altri due si posero in
cammino per un’altra regione. Andando verso la Marca, esultavano giocondamente nel
Signore. Francesco a voce alta e chiara, cantava in francese le lodi del Signore,
benedicendo e glorificando la bontà dell’Altissimo116.
115
Fior 42-53: FF 1877-1895.
116
3Comp 9, 33: FF 1436.
63
Era il 1208 quando per la prima volta in terra marchigiana si udì quel canto di gioia, che
Gli ascoltatori si domandavano l’un l’altro: «Chi sono questi due? Cosa ci stanno
dicendo?». A quei tempi l’amore e il timore di Dio erano come spenti nei cuori, quasi
dappertutto; la penitenza era ignorata, anzi la si riteneva un’insensataggine117.
Il tema della penitenza e quello della misericordia del Padre sono ripresi nel contesto del
secondo quadro intitolato “Fabriano”, la prima città toccata da Francesco all’inizio del suo
primo viaggio marchigiano del 1208; nel testo è nominata pure la sorgente di Valleremita,
sede di un antichissimo eremo francescano di origine benedettina. Abbiamo già detto come
alla sua prima venuta nelle Marche, Francesco fu accolto dagli abitanti dapprima con
annunciò la parola di Dio con tanto fervore, che tutti pieni di devozione, per grazia del
Signore, accorrevano a lui, desiderosi di vederlo e ascoltarlo. La ressa della folla era
straordinaria e ben trenta, tra chierici e laici, si fecero suoi discepoli, ricevendo dalle
sue stesse mani l’abito religioso118.
E ancora le Marche nel 1219 ad Ancona raccontano della partenza del viaggio
missionario di Francesco verso l’Oriente, nel desiderio di portare l’annuncio del Vangelo
Queste sono alcune delle principali tappe della “via di Francesco”, da Ascoli Piceno a
San Leo, al confine con la Romagna: ogni tappa corrisponde ad un quadro dell’opera che
prende il nome dal luogo a cui si riferisce (Osimo e San Severino Marche, Roccabruna di
Sarnano, San Liberato, Forano), fatta eccezione per l’ottavo quadro che s’intitola Fra Beato
117
3Comp 9, 34: FF 1437.
118
1Cel 22, 62: FF 430.
119
LegM 9, 7: FF 1172.
64
Rizzerio da Muccia, uno dei beati della nostra Provincia, intimo e fedele compagno di San
Francesco, morto nel 1236. Le tracce di questo itinerario francescano furono ripercorse nei
secoli successivi da decine di frati, santi e beati dell’Ordine, che perpetuarono il messaggio e
la testimonianza del Vangelo nella nostra terra, della quale il padre Sabatier ha scritto negli
Ciò è affermato dal Sabatier sulla scia di quanto già era testimoniato da Ugolino da
al tentativo da parte della nostra Provincia di ripensare alla propria identità attraverso il
Progetto “Terra dei Fioretti”, frutto del lavoro del nostro ultimo Capitolo provinciale del
2005, che vuole essere una “riappropriazione”, una “rifondazione”, non solo della nostra
Provincia marchigiana, bensì di tutto l’Ordine, in sintonia con quanto il Rev.mo Ministro
Vogliamo in questo modo riscoprire la grazia delle origini, per ritornare alle fonti
della nostra storia, della nostra vocazione, non per ricordare nostalgicamente le
meraviglie di un grande passato, ma per abbeverarci alla freschezza di quelle acque e,
rinvigoriti, riprendere con forza e fedeltà il nostro cammino nella Chiesa e tra gli
uomini e le donne del nostro tempo. Rispondiamo a questo invito al rinnovamento e
120
P. SABATIER, Vita di San Francesco d’Assisi, 1896.
121
Fior 42: FF 1877.
65
alla ri-fondazione del nostro Ordine, accogliendo di nuovo le provocazioni che già ci
venivano dalla Dichiarazione del Capitolo generale del 1973122.
Non a caso il Progetto “Terra dei Fioretti”, che si presenta propriamente come uno stile
volontà di porre le basi per una nuova evangelizzazione, col suscitare in noi le stesse energie
spirituali e la stessa passione per il Vangelo che animavano i primi frati, e che hanno saputo
essi stessi sprigionare, testimoniare e tramandare con la loro opera nel corso dei secoli.
rappresentare in questa sua nuova opera, non vuole essere solamente una pura e semplice
passione, una nuova primavera dello Spirito che, nascendo dalla nostra terra, possa
raggiungere anche i confini più lontani, attraverso la fantasia del Vangelo e dell’annuncio
«come è stato fin dagli inizi della nostra storia, camminando insieme, come una sola
n. 120:
Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale
cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti.
L’Ordine ha sempre cercato di mettere in pratica tale norma, che non compare qui per la
prima volta, ma è stata ripresa dai documenti magisteriali precedenti (in particolare Motu
Proprio di Pio X del 1903). Nel corso del secolo XX le chiese francescane si sono riempite
organi di piccola portata (molti costruiti da Zeno Fedeli, nei primi anni del Novecento),
122
J. RODRIGUEZ CARBALLO, Lettera d’indizione del Capitolo generale straordinario 2006, Roma, 4 ottobre
2005.
123
Ibidem.
66
oppure piccoli harmonium: l’utilizzo essenzialmente era per accompagnare la liturgia in coro
e la messa conventuale. Nei santuari e nelle parrocchie, invece, s’installarono strumenti più
consistenti, per la maggior parte provenienti dalle fabbriche di Zanin (Udine) e Mascioni
(Varese), a cui i frati sempre si rivolsero. Tra questi vale la pena segnalare il monumentale
124
organo “Mascioni” della chiesa di S. Maria Nova di Fano 125, installato nel 1959 per
Altri organi degni di nota si trovano nei nostri santuari di Monteparandone (Mascioni),
Treia (Zanin), S. Severino Marche (La Frescobalda) e nelle parrocchie di Ascoli Piceno
interessante è l’organo “Mascioni” della chiesa monumentale del nostro Convento “S.
Tra i nostri frati organisti, oltre al già più volte menzionato P. Pierucci, non possiamo
dimenticare la figura di P. Pietro Carlucci128, che si trovò a operare proprio nel periodo del
124
Si tratta di un organo a tre tastiere, composto da 2952 canne e 99 registri.
125
Nel 1962 iniziarono le stagioni concertistiche nella chiesa di S. Maria Nova e si susseguirono annualmente
durante i mesi estivi, specie nei venerdì di agosto, prevedendo, a seconda delle annate, tre, quattro, cinque, fino
anche otto concerti. Complessivamente dal 1962 al 2011 i concerti delle stagioni estive sono stati 233, e hanno
visto l’esibizione di 168 organisti provenienti da tutto il mondo.
126
Il M° Igino Tonelli decantava i pregi del nuovo strumento, scrivendo al costruttore Giovanni
Mascioni:«Certo, a riguardarne tutta la struttura, c’è proprio da incantarsi delle grandi possibilità e risorse
timbriche, ai fini di tanta musica antica e moderna di tutte le scuole e anche ai fini del servizio liturgico
comune e solenne» [L. PERONI, Documenti di organaria relativi al M° Tonelli, in «Monsignor Igino Tonelli
(1906-1908) nel centenario della nascita (a cura di Silvano Bracci)», Fano 2006, p.75].
127
Organo a due tastiere con 25 registri: piccolo ma potente e molto versatile per l’esecuzione di diversi
repertori. Anche nella chiesa di S. Giovanni Battista di Pesaro, i frati organizzano da alcuni anni la Rassegna
Organistica “Organo e Liturgia” e un concerto di Natale, vocale e strumentale, intitolato “Natale all’organo”.
128
Nato a Jesi il 27 febbraio del 1883, Pietro Carlucci entrò nell’ordine francescano, dedicandosi in particolare
alla musica. La cattedrale di Jesi lo ammirò, prodigioso organista, ancora ragazzo. Il giovane frate jesino fu
allievo di Ulisse Matthey, organista della basilica di Loreto, un maestro animato da una visione superiore della
musica e dell’arte. Padre Carlucci, che ne aveva ricevuto i segreti della tecnica organistica, ma più ancora ne
aveva intuito e accolto l’anima, fu tra i suoi allievi più cari e intelligenti, tanto da dedicargli una sua
composizione “Armonie lauretane”. Gli esami al conservatorio di Bologna sigillarono la maturità artistica del
giovane frate. All’organo P. Carlucci si fece apprezzare per la perfezione tecnica ed espressiva. La sua fama
arrivò alle maggiori città d’Italia e d’Europa. Fu definito un valente maestro di musica, un vero artista, un
insuperabile maestro d’organo. Don Lorenzo Perosi lo chiamava “il pedalista”, per la precisione e la cantabilità
con cui eseguiva, all’organo, la parte del pedale. Godeva dell’amicizia di compositori, musicologi e organisti di
chiara fama, come Raffaele Casimiri, Licinio Refice e Giovanni Tebaldini. Tra le vecchie cronache della nostra
città lo troviamo presente il 9 novembre del 1912 nella chiesa delle Grazie alla solenne funzione religiosa
celebrata dal vescovo Gandolfi «per i valorosi caduti nella recente guerra libica e l’inno di ringraziamento per
67
Cecilianesimo e della riforma della musica sacra di Pio X. Occorrevano a quel tempo
musicisti che riuscissero a presentare le pagine di Palestrina e di Bach, del canto gregoriano
dell’arte, la nobiltà della musica sacra, il senso della maestà di Dio. P. Carlucci fu uno di
quei musicisti; ma la sua attività di musicista francescano non si limitò ai concerti e alle
Ricorda P. Armando Pierucci che «quando egli stesso prendeva la direzione di un coro, esso
subiva una trasformazione: quasi per incanto le voci si amalgamavano, le frasi si snodavano
senza urti. Anche da piccoli cori, come spesso erano quelli che doveva dirigere, riusciva a
CONCLUSIONE
La sacra liturgia, benché sia principalmente culto della maestà divina, è anche una
ricca fonte di istruzione per il popolo fedele. Nella liturgia, infatti, Dio parla al suo
popolo e Cristo annunzia ancora il Vangelo. Il popolo a sua volta risponde a Dio con i
canti e con la preghiera129.
la pace ridonata alla patria». In quella occasione le musiche, del Perosi, erano accompagnate all’organo dal
Padre Piero Carlucci. Negli ultimi anni la sua vista si era andata affievolendo, così, a poco a poco, si era
ritirato. P. Pietro morì nell’infermeria del convento “La Pace” di Sassoferrato il 6 settembre del 1969.
129
SC 33.
68
Ho scelto di chiudere la mia trattazione con questo passo della Sacrosanctum
Concilium, per dare un senso compiuto a ciò che ho esposto fin qui. Si tratta di capire qual è
sappiamo essere strumenti di pace e di gioia, arrivando al cuore dei nostri fratelli e
accendendo in essi la speranza e la fiducia nella grazia del Signore Gesù. Tale era la grande
preoccupazione di san Francesco e dei suoi primi compagni, quando vagavano per le strade
del mondo cantando le lodi del Signore e salutando tutti con parole di pace e di
consolazione. Perciò è giusto e doveroso comprendere sempre meglio le cose di Dio per
poter, come Francesco, entrare in profonda relazione con lui, parlando lo stesso linguaggio
che non è fatto solo di parole, ma anche di segni e di simboli. Frate Francesco era abituato a
parlare alla gente semplice e povera, proprio come Gesù che si esprimeva in parabole, cioè
con il linguaggio del popolo, fatto di quotidianità e familiarità, che faceva sì che le persone
si sentissero a loro agio, come un bambino in braccio a sua madre. Gesù e Francesco
usavano la loro immaginazione quando parlavano, non nel senso che inventavano storie, ma
nel senso che erano originali e creativi e sapevano stuzzicare l’interesse e la curiosità dei
soprattutto due modi di entrare per sempre nel cuore e nella vita delle persone.
Tutto questo è possibile farlo attraverso la celebrazione liturgica, che è fatta di parole,
gesti, segni, simboli, canti e musica; con tutto ciò la liturgia vuole esprimere la gioia di un
popolo che si rallegra nel Signore. Ma nella celebrazione non parla mai uno solo: la liturgia
è un dialogo tra chi presiede e l’assemblea che partecipa e questo dialogo diventa segno del
quell’elemento che meglio traduce l’unità del popolo radunato: cantare a una sola voce
traduce in maniera sonora la comunione dei credenti riuniti. È un atto cultuale poiché noi
69
cantiamo per Dio, ma è contemporaneamente un atto pedagogico poiché noi cantiamo anche
San Francesco ha fatto suo il desiderio di insegnare a tutti gli uomini a pregare e servire
Dio con il canto, utilizzando ciò che aveva a disposizione dentro e fuori di sé: nel suo cuore
aveva gioia, pace e tanto amore per il Signore e per le sue creature; al suo fianco aveva i
fratelli che Dio aveva scelto per lui. Con queste armi Francesco ha combattuto la “buona
Come i trovatori cerchiamo di toccare le corde armoniose della gioia, della pace e
dell’amore, e di cantare la canzone dell’umanità cortese; come i giullari gridiamo il
nostro sincero augurio di «Pace e bene!» ad ogni fratello, proclamando con gioia che
siamo i giullari di Dio per un nuovo mondo di speranza130!
Così i francescani nel mondo, fin dalle origini, hanno testimoniato che vivere in
una liturgia di lode senza fine. Per otto secoli le nostre fraternità hanno vissuto donandosi
itinerante, proprio come voleva Francesco, il quale amava rifugiarsi per alcuni periodi negli
eremi, per poi lanciarsi alla conquista del mondo e delle anime. Nei chiostri dei conventi e
dei monasteri un coro di voci per secoli è risuonato, unendosi ai gemiti e alle grida di
cuori che si erano dispersi, ha asciugato volti irrigati dalle lacrime, ha spalancato occhi
chiusi per sempre, mettendosi a servizio della liturgia per esprimere l’inesprimibile e per far
130
F. X. CHERIYAPATTAPARAMBIL, Francesco d’Assisi e i trovatori, p. 188.
70
INDICE
SIGLE E ABBREBIAZIONI........................................................................................ 1
BIBLIOGRAFIA …………………………………………………………………..... 3
INTRODUZIONE ………………………………………………………………….... 7
71
CAPITOLO I Il canto e la musica nella vita di san Francesco e nella tradizione
francescana
musicale ............................................................................................................. 25
secolo XIX
1. Le origini ……………………………………………………………………... 41
72
CAPITOLO IV La tradizione liturgico-musicale francescana nel Novecento
CONCLUSIONE …………………………………………………………………........ 69
73