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Per sedere in zazen non è necessario avere alcuno scopo particolare, neppure quello
di diventare un illuminato, un Buddha. In questo senso la pratica dello zazen non è
una semplice meditazione, uno strumento per ottenere il Risveglio, ma è in sé il
Risveglio. Questo modo di sedere in zazen è detto shikantaza: sedere senza fare
nulla. Paradossalmente per sedere-senza-fare-nulla dobbiamo sedere con grande
energia. Zazen-shikantaza, insegnano i maestri Zen, è la vera forma dell’ego, la sua
autenticità. Al di fuori di questo non c’è natura del Sé, nessun ego, nessun Buddha. La
postura stessa è l’illuminazione, la realizzazione ultima dello Zen: non c’è null’altro da
perseguire. Il semplice fatto di sedere francamente, con tutto noi stessi in zazen, è
comprendere e accettare la nostra reale natura. Questa nostra reale natura, o natura
originale del Sé, è comune a tutti gli esseri e viene detta Buddha-Natura. E’
impossibile accettare con la sola mente questa natura: bisogna poterla accettare con il
corpo e con la mente uniti – accettarla, digerirla, assimilarla e infine “ evacuarla”.
Nulla deve rimanere, oltre al semplice zazen in sé.
Ecco perché si dà tanto valore alla pratica dello zazen, con tutto il corpo e tutta la
mente concentrati nella postura. Semplicemente seduti, gustando quietamente il
silenzio e l’immobilità dello zazen, possiamo accettare, digerire, assimilare e infine
abbandonare ogni cosa. La natura del Sé, il risveglio alla nostra auto-natura, non è
che non-natura. Immergersi in questo processo è lo zazen-shikantaza: sedere senza
oggetto, non fare null’altro che sedere. Zazen-shikantaza è la porta principale, la
prima come l’ultima porta che dà accesso alla reale pace e armonia in cui tutte le
esistenze del cosmo vivono da sempre ( nirvana ). Una breve premessa di questo
genere sarebbe di per sé sufficiente a definire la pratica dello zazen. Tuttavia, per
meglio orientarci in questo nostro studio-pratico dello zazen, cinque sono i punti a cui
fare attenzione e a cui costantemente ritornare.
Il maestro Taisen Deshimaru diceva: “ Noi dobbiamo vivere a partire dalla visione più
elevata della vita, partire da Bodaishin,lo spirito della Via, senza scopo, senza spirito di
profitto. Solo allora possiamo sedere realmente in zazen.” Il maestro parlava di questa
mente-della-Via come dello “spirito religioso”. Senza questo spirito religioso, diceva,
zazen è un semplice esercizio di ginnastica, come costruire una torre sulla sabbia. Il
primo termine dell’ottuplice sentiero è proprio la retta visione : non si tratta di
praticare per ottenere una retta visione, ma è piuttosto in virtù della retta visione che
possiamo applicarci momento dopo momento a quelo che chiamiamo pratica. Che
cos’è questa mente-della-Via, o mente-del-Risveglio? In altri termini è la mente che
aspira a vivere in accordo con la viva realta del Sé e delle cose; che, osservando
profondamente mujo-l’impermanenza del Sé e di tutte le cose- è
automaticamente libera da attaccamenti e desideri egoistici. Scrive Dogen: “ Il XIV
patriarca Nagarjuna disse che solo la mente che osserva l’impermanenza di questo
mondo è chiamata mente-bodhi ( mente-risvegliata ). Una volta accettata
l’impermanenza, la mente egocntrica che insegue fama e profitto non compare più.
Col timore del tempo che passa rapido, praticate come per estinguere un fuoco che
avviluppa la vostra testa”. Questa immagine evoca un certo senso di urgenza: ci
opprime l’idea della caducità della vita, la morte incalzante, il tempo che passa
veloce… Si potrebbe pensare che la soluzione si trovi nella fuga, magari nella ricerca di
un distacco emotivo che ci prevenga dal soffrire… No. Non è così. Più che l’urgenza,
questa frase evoca la necessità di risvegliare un intento unico, una forte
determinazione nel sedere in zazen, nell’osservare e vivere la realtà del mondo così
com’è veramente. “ Manifestare questa mente-della-Via” prosegue Dogen-Zenji “ è
accettare l’impermanenza di questo mondo, di questa vita. Riflettete a fondo
sull’impermanenza di questo mondo. Non si tratta di meditare servendosi di particolari
tecniche di contemplazione. Non si tratta neppure di formulare mentalmente immagini
illusorie. L’impermanenza è veramente la realtà di fronte ai nostri occhi. ( Per
realizzare ciò ) non serve aspettarsi insegnamenti da altri, o cercarne prova nei
passaggi delle scritture, o in qualche principio da seguire. Nata al mattino, morta la
sera, una persona che abbiamo visto ieri non è più qui, oggi. Tali sono i fatti che
vediamo con i nostri occhi e udiamo con le nostre orecchie”. Quindi, “ una volta che
sarete liberi dai legami con gli oggetti dei sensi, sarete naturalmente in accordo con il
principio di questa mente”. Lo scopo di sedere in zazen non è quello di diventare sordi,
ciechi o stupidi. Al contrario, i sensi durante zazen, liberi, possono funzionare senza
ostacoli, apprezzare le cose nella loro viva realtà. Sono le sole porte attraverso cui
possiamo osservare e accettare la realtà nella sua vera natura. E quando guardiamo a
quella realtà per la prima volta davvero, non troveremo nulla a cui attaccarci, nulla da
rifiutare, nulla su cui indugiare più di un istante: vedremo come ogni cosa cambia,
nasce e muore a una velocità impressionante, secondo quella meravigliosa legge che è
l’originazione-interdipendente, grazie alla quale tutto è, qui e ora. “ Anche se ascoltate
la melodiosa musica di Kinnara o il canto dell’uccello Kalavinka, che vi ammaliano,
considerateli semplicemente come brezza serale che vi soffia nelle orecchie. E anche
se vedete una bellezza pari a quella delle giovani Mosho o Seishi, guardatela come
una goccia di rugiada al mattino, che sfuma davanti ai vostri occhi”. Non opponetevi e
non attaccatevi a nulla, c’invita semplicemente Dogen. Guardate! Guardate queste
cose meravigliose come un alito di vento che v ’investe il viso la sera, o la goccia di
rugiada che al mattino sparisce. Sono belle immagini. Sono la poesia della vita. Questo
è il modo in cui dobbiamo apprezzare l’impermanenza. Il distacco, il vero distacco, è
già lì davanti a noi, perché il distacco è già la natura di tutte le cose. Apprezzando
tutte le cose, in quanto impermanenza, non potremo più attaccarci a esse e le
guarderemo passare. Non è un distacco freddo, impassibile: è pieno d’amore. Le
persone soffrono, le cose soffrono e rimanere indifferenti sarebbe un altro gioco
dell’ego, che ancora una volta cerca una posizione di potere. Il vero distacco è avere
lo sguardo costantemente rivolto alla viva vita di tutti, non semplicemente ai propri
piccoli desideri. E’ maturare una vera passione per la vita, quindi un grande calore.
L’impermanenza è veramente la realtà di fronte ai nostri occhi. Accettare questa realtà
è accettare la nostra natura, perciò non può essere qualcosa di tragico. Se possiamo
accettare questa evidenza, l’impermanenza stessa diventa suprema gioia: è realmente
e unicamente ciò che ci unisce a tutti gli esseri dell’universo, al cosmo intero; è l’ultima
natura nostra e di tutte le cose, in definitiva una non-natura. L’impermanenza è il
punto di partenza dell’insegnamento del Buddha: nulla perdura, perciò nulla ha
sostanza - sin dall’origine tutte le cose sono perfetta pace e vacuità. E’ come se il
Buddha ci dicesse: “ Guarda! Tu non sei fuori da questo mondo. Siediti con tutto te
stesso e immergiti nel processo vitale della realtà. In questo momento preciso tutti i
tuoi sensi funzionano lucidamente, anche se tu non lo credi. Siedi in zazen e stai ben
dritto: la vita è qui davanti a te, con te. Tu in questo momento sei completamente
trasparente alla realtà di mujo ; appena dirai ‘ ho colto mujo’, l’avrai già persa… Tutto
perisce, anche Buddha perisce. La stessa natura di Buddha, l’impermanenza stessa,
non esiste. In zazen perciò non attaccarti a niente, non pensare che ‘ poi’ ne ricaverai
un risultato. Il tuoi zazen è lo zazen del Buddha sin dal primo momento: tra vent’anni
non avrai capito di più. E comunque non è il tuo problema adesso”. Questa viva verità
di mujo a cui Buddha Shakyamuni ci ha invitato amorevolmente a guardare per tutta
la nostra vita è ciò che chiamiamo Buddha-Dharma. E’ la verità di tutti gli esseri,
viventi e non, nessuno escluso. Guardare a questa verità è guardare allo stesso tempo
alla viva verità di tutti gli esseri, insieme, ed è provare un autentico amore per essi.
Questo è il significato dello zazen: la Via per trasformare, anche di poco, il sentimento
egoistico, individualistico, che domina ognuno di noi. Questo sarà, automaticamente,
naturalmente e inconsciamente, il più grande bene per tutti gli esseri viventi. Ecco
perché l’altra considerazione riguardo al manifestare la mente-della-Via è che implica il
fatto di rinunciare ala propria salvezza, impegnandosi ad aiutare tutti gli altri prima di
noi stessi. Implica il prodigarsi per il compimento di questo voto. Realmente, noi non
siamo noi, io non sono io, l’Universo intero vive come un solo corpo. Dimenticando il
mio ego, ogni cosa del cosmo diventa il mio ego. Questo realizzate in zazen. A partire
dalla visione reale del vasto panorama della vita, potrete sedere con una
determinazione vera. E’ ciò che chiamiamo: risvegliare la mente che cerca la Via.
Ricorrete alla Via dello Zen con delle vere ragioni: l’emancipazione
si realizza nello studio della Via
“ Ricorrere allo Zen e studiare la Via è la cosa più importante della nostra intera vita”
scrive Dogen Zenji. “ Non considerate ciò alla leggera, né siate superficiali nella
pratica.” Che cos’è realmente la nostra vita? L’impermanenza ( mujo ) è la viva realtà
di questa vita: tutto non è che incessante susseguirsi di nascita e morte, apparizione e
scomparsa. Nell’Abhidharma Pitaka l Buddha dice che in 24 ore noi nasciamo e
moriamo 6.400.099.980 volte, vale a dire che in un secondo si nasce e si muore poco
meno di 70.000 volte. La nostra mente consapevole non può nemmeno immaginarlo!
Che genere di vita è questa, quando ordinariamente ragioniamo nei termini di 50, 60,
80 o anche 100 anni di vita? Dogen l’esprime con queste parole: “ Vivere ( inutilmente
) cent’anni è del tutto insensato, è un crimine”. Contrariamente a ciò, la nostra società
si vanta di un certo aumento della vita media degli uomini… La vita è più lunga, dà più
benessere, più tempo libero…In realtà, è diventata più volgare: abbiamo meno
possibilità di apprezzare la vita così com’è, nella sua semplicità. Una tazza di tè è allora
difficile da proporre, difficile da offrire, da apprezzare. Ciò che noi apprezziamo è la
musica pubblicitaria della bevanda più conosciuta al mondo, l’eccitazione che
associamo ad essa. La Via e il suo studio ( gakudo ) non sono che il nostro corpo e
spirito veri, vivi ( shinjin gakudo ). Ogni momento è un istante di studio, di ricerca di
apertura. Mai come adesso l’uomo arriva subitamente a delle conclusioni: tutto
diventa”…logia”, “…ismo”. Per questo la nostra condizione è molto degenerata. Non
possiamo apprezzare il tepore di una giornata di primavera, il freddo pungente
dell’inverno, il vento autunnale…Niente. Tutto è uniforme. E più tutto è uniforme, più
noi cerchiamo un eccitazione fittizia e facciamo in modo che la nostra vita sia
commovente, emozionante. L’insegnamento del Buddha ci dice che nulla deve essere
eccitante, eccezionale, per essere vissuto. Questa nostra vita è meravigliosa e il
mistero non l’arricchisce, né il sentimento dell’ignoto. Questa vita è fatta delle
malattie, della morte in una parola della sofferenza. Ecco perchè il Buddha ha parlato
della Santa Verità della sofferenza: tutto è sofferenza, niente persiste, ogni cosa è
priva di sé e in definitiva nulla perisce, nulla nasce, tutto è perfetta quiete ( nirvana ).
Studiare o ricorrere allo Zen non è rimuovere la sofferenza. Quando tentiamo questa
operazione, quando, per esempio, vogliamo evitare lo sforzo , la nostra personalità e il
nostro stesso corpo sono come amputati; il centro di gravità esce da noi e diventiamo
un fragile guscio privo di energia slancio vitale. “ Soffrire di un male incurabile che
richiede cure e non farle perché state morendo è realmente insensato”, scrive Dogen.
A quale genere di vita stiamo guardando? Viviamo davvero a partire dalla cosa che è
realmente più importante per noi? Quando guardo i discepoli più anziani, constato
com’è diverso il loro modo di camminare, di posare un piede dopo l’altro in ogni
circostanza, inconsciamente, naturalmente. Che cosa c’è di diverso? Non sono migliori:
la virtù sta semplicemente nell’esercizio, la pratica ripetuta. Quel che edifica la nostra
vita, che manifesta in essa Buddha Shakyamuni è gyoji la pratica, lo sforzo sostenuto.
Rinunciare è difficile. Quando un certo processo d’identificazione, di fissazione, è
avanzato, è normale pensare che è preferibile vivere in buona salute ottant’anni
piuttosto che viverne cinquanta. In realtà, noi non possiamo apprezzare quella vita che
nei due casi è comune, la vita di un istante, né lo spazio dove questa appare e
scompare, nasce e muore. Proprio per il fatto che si muore, dobbiamo avere la
massima cura della nostra vita, consentire l’espressione più alta, vera, a questa nostra
vita. Gedatsu, “ emancipazione”, “ liberazione”, evoca l’immagine del serpente che
lascia la vecchia pelle. Per vivere, deve rinunciare ala vecchia pelle. Sedere dritti in
zazen come manifestazione della più alta verità - Buddha-Dharma – è l’esistenza reale
del Sé che esiste simultaneamente in quanto passaggio alla libertà,
all’emancipazione. Zazen è come stendersi nella nostra bara. Nella bara non c’è nulla a
cui rimanere attaccati o affezionati. Zazen è satori ( Risveglio ), emancipazione
( gedatsu ). Guardare sé stessi, studiare sé stessi, comprendersi, è guardare alla vita
attraverso la giusta postura; guardare alla vita in cui tutto è dimenticato e in cui non
possediamo nulla di noi: inconscio e conscio sono pure dimenticati.
La Via dev’essere un ostacolo per noi, deve ingombrare, infastidire, tirare per il naso il
nostro ego. E’ la Via che deve dirigere la nostra vita, non il nostro piccolo ego. Noi
siamo sempre , in un modo o nell’altro, orientati verso i nostri desideri, ma, con il
timone dello zazen, possiamo costantemente ri-orientarci alla Via, andare al di là dei
nostri desideri. Non è una direzione che una volta presa và bene per sempre:
continuamente dobbiamo rivolgerci verso di essa. La nostra vita non è bella perché è
perfetta. La Via non è Retta perché è una linea geometricamente dritta, ma perché è
una Via imperfetta alla perfezione ! L’ideogramma stampato, per quanto perfetto sia,
manca della vitalità del carattere tracciato dal maestro di calligrafia, che bilancia la
lacuna del primo con il secondo tratto, corregge la lacuna del secondo tracciando il
terzo, e così via. Questa vita che scorre, un passo accanto all’altro nella sua perfetta
imperfezione, è detta gyoji ddokan: una pratica continua, come un anello senza fine.
I Buddha del passato hanno mostrato con la loro vita questo modo di vivere, che
significa semplicemente fondare ogni pensiero, ogni parola, ogni azione sul qui:
jikige no joto. Come denuncia Pascal nei Pensieri, qualunque cosa noi facciamo,
diciamo o pensiamo, diventa per noi una distrazione ( divertissement ). Seduti in
zazen, arriviamo rapidamente a questa constatazione: la mente e il corpo sono
continuamente distratti, mai potremo cogliere o arrestare un pensiero, un’immagine,
un gesto. E accorgendoci di ciò, siamo già distratti un’altra volta. Standocene
semplicemente seduti realizziamo che, proprio perché tutto è distrazione, non può
esserci nulla di diverso dalla distrazione. Ecco il qui, il non inseguire né respingere
nulla, il lasciar fluire – qui – ciò che sta apparendo ora. Ecco il rivolgerci verso la Via, il
ricondurci costantemente all’armonia con l’ordine dell’universo… Specialmente questo
punto concerne l’universalità dell’uomo, che si traduce nello spazio in cui una singola
cosa esiste, indipendentemente è, là dove viene data completa espressione a ogni
singola cosa. Sedere ( così come ogni altra azione, ogni singolo gesto ) nella sua piena
e completa espressione comunica con la vita universale. La vita universale riverbera
nella vita individuale e la vita individuale riverbera all’unisono con la vita universale.
Disturbati, tirati per il naso dall’universalità e non dai piccoli desideri, diamo piena
espressione, in ogni singolo e indipendente momento, all’universo intero, qui. Pensate
a uno squalo che nuota nell’acqua. Dal suo punto di vista, non sta particolarmente
nuotando nell’ acqua, come qualcosa di diverso da lui, o che potrebbe essere altro:
vive semplicemente nell’ acqua e nuota, poco importa se gli uomini camminano sulla
terra o gli uccelli volano nel cielo. E’ immerso completamente nel suo elemento, che si
fonda con la sua vita. Questo è zazen: immergerci completamente nell’elemento che è
la vita, dove sono incluse nascita-vecchiaia-morte, sofferenza e tutte le altre cose,
senza alcun senso dl mistero. Come definire questo qui ? Il qui è la Vastità assoluta
( ku ), l’infinito spazio che non è diverso dal luogo in cui viviamo ora. Se il luogo in cui
viviamo ora è veramente il qui , noi creiamo uno spazio infinito. Dogen-Zenji, nelle sue
“ Istruzioni per il capo delle cucine” ( Tenzo Kyokun ) dice che deve poter costruire un
tempio con una foglia d’insalata, far girare la ruota della Legge ( Dharma ) spostando
un granello di polvere. Questo è il significato di kufu bendo: mettere tutta l’energia in
una cosa, spendere tutto se stesso nella cosa che facciamo, qui , con mente uni-versa.
Per quanto riguarda lo zazen, è shikantaza: non fare null’altro che sedere, qui. Per
quanto riguarda la vita, è gyoji dokan: pratica senza inizio e senza fine, qui. Questo
qui non può essere rappresentato in alcun modo, né può essere alterato da noi: è
autenticità pura, Buddha-Dharma, verità. Dogen racconta: “ Il mio maestro Nyojo fece
un sermone: “ Una volta un monaco chiese al maestro Zen Hyakujo: “ Qual è la cosa
più importante in questo mondo?” “ sedere solo su questa montagna”- rispose
Hyakujo. Se qualcuno avesse fatto a me la medesima domanda, avrei risposto: ‘
Niente’. Oppure: ‘ Portare la mia ciotola in questo monastero e usarla per mangiare il
riso’”. “ Ogni mattina voi praticate zazen” ci incoraggiava il maestro “ poi recitate un
sutra, mangiate la zuppa di riso, poi “ come a casa vostra”, un po’ di relax.” Dopo lo
zazen, la cerimonia e la colazione in silenzio nel dojo, ci portava in un atelier dei suoi
discepoli a bere caffè e conversare. Ma sottolineava sempre: quella pratica, quel modo
di cominciare la giornata è la cosa più importante, che deve influenzare tutta la nostra
vita. Non c’è niente di speciale in questo, ma è ciò che fanno gli uomini-Zen: gyoji,
una vita fondata sul qui, sull’illuminazione, una pratica senza fine e un’illuminazione
senza inizio. Non c’è da attendersi momenti speciali per cominciare: ogni momento è
l’occasione meravigliosa di una vita fondata sul qui, per risvegliare la mente che cerca
la Via ( Bodaishin ). La Mente non può che risvegliarsi istante per istante, in un
processo continuo, senza inizio e senza fine. Rivolgersi verso la Via, fare del qui il
fondamento della vita è questo Risveglio, istante per istante. Uno spirito da
principiante per tutta la vita: grandi occhi come quelli dei bambini che guardano con
meraviglia ogni cosa e che quando giocano, con il loro gioco oscurano l’universo
intero. Sedere in zazen è come un bimbo che gioca da solo: neppure un angolo
dell’universo rimane fuori di lui.
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