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LO ZAZEN E’ LA REALIZZAZIONE ULTIMA DELLO ZEN

Per sedere in zazen non è necessario avere alcuno scopo particolare, neppure quello
di diventare un illuminato, un Buddha. In questo senso la pratica dello zazen non è
una semplice meditazione, uno strumento per ottenere il Risveglio, ma è in sé il
Risveglio. Questo modo di sedere in zazen è detto shikantaza: sedere senza fare
nulla. Paradossalmente per sedere-senza-fare-nulla dobbiamo sedere con grande
energia. Zazen-shikantaza, insegnano i maestri Zen, è la vera forma dell’ego, la sua
autenticità. Al di fuori di questo non c’è natura del Sé, nessun ego, nessun Buddha. La
postura stessa è l’illuminazione, la realizzazione ultima dello Zen: non c’è null’altro da
perseguire. Il semplice fatto di sedere francamente, con tutto noi stessi in zazen, è
comprendere e accettare la nostra reale natura. Questa nostra reale natura, o natura
originale del Sé, è comune a tutti gli esseri e viene detta Buddha-Natura. E’
impossibile accettare con la sola mente questa natura: bisogna poterla accettare con il
corpo e con la mente uniti – accettarla, digerirla, assimilarla e infine “ evacuarla”.
Nulla deve rimanere, oltre al semplice zazen in sé.
Ecco perché si dà tanto valore alla pratica dello zazen, con tutto il corpo e tutta la
mente concentrati nella postura. Semplicemente seduti, gustando quietamente il
silenzio e l’immobilità dello zazen, possiamo accettare, digerire, assimilare e infine
abbandonare ogni cosa. La natura del Sé, il risveglio alla nostra auto-natura, non è
che non-natura. Immergersi in questo processo è lo zazen-shikantaza: sedere senza
oggetto, non fare null’altro che sedere. Zazen-shikantaza è la porta principale, la
prima come l’ultima porta che dà accesso alla reale pace e armonia in cui tutte le
esistenze del cosmo vivono da sempre ( nirvana ). Una breve premessa di questo
genere sarebbe di per sé sufficiente a definire la pratica dello zazen. Tuttavia, per
meglio orientarci in questo nostro studio-pratico dello zazen, cinque sono i punti a cui
fare attenzione e a cui costantemente ritornare.

Far sorgere la mente-della-Via


( hotsu Bodaishin )

Il maestro Taisen Deshimaru diceva: “ Noi dobbiamo vivere a partire dalla visione più
elevata della vita, partire da Bodaishin,lo spirito della Via, senza scopo, senza spirito di
profitto. Solo allora possiamo sedere realmente in zazen.” Il maestro parlava di questa
mente-della-Via come dello “spirito religioso”. Senza questo spirito religioso, diceva,
zazen è un semplice esercizio di ginnastica, come costruire una torre sulla sabbia. Il
primo termine dell’ottuplice sentiero è proprio la retta visione : non si tratta di
praticare per ottenere una retta visione, ma è piuttosto in virtù della retta visione che
possiamo applicarci momento dopo momento a quelo che chiamiamo pratica. Che
cos’è questa mente-della-Via, o mente-del-Risveglio? In altri termini è la mente che
aspira a vivere in accordo con la viva realta del Sé e delle cose; che, osservando
profondamente mujo-l’impermanenza del Sé e di tutte le cose- è
automaticamente libera da attaccamenti e desideri egoistici. Scrive Dogen: “ Il XIV
patriarca Nagarjuna disse che solo la mente che osserva l’impermanenza di questo
mondo è chiamata mente-bodhi ( mente-risvegliata ). Una volta accettata
l’impermanenza, la mente egocntrica che insegue fama e profitto non compare più.
Col timore del tempo che passa rapido, praticate come per estinguere un fuoco che
avviluppa la vostra testa”. Questa immagine evoca un certo senso di urgenza: ci
opprime l’idea della caducità della vita, la morte incalzante, il tempo che passa
veloce… Si potrebbe pensare che la soluzione si trovi nella fuga, magari nella ricerca di
un distacco emotivo che ci prevenga dal soffrire… No. Non è così. Più che l’urgenza,
questa frase evoca la necessità di risvegliare un intento unico, una forte
determinazione nel sedere in zazen, nell’osservare e vivere la realtà del mondo così
com’è veramente. “ Manifestare questa mente-della-Via” prosegue Dogen-Zenji “ è
accettare l’impermanenza di questo mondo, di questa vita. Riflettete a fondo
sull’impermanenza di questo mondo. Non si tratta di meditare servendosi di particolari
tecniche di contemplazione. Non si tratta neppure di formulare mentalmente immagini
illusorie. L’impermanenza è veramente la realtà di fronte ai nostri occhi. ( Per
realizzare ciò ) non serve aspettarsi insegnamenti da altri, o cercarne prova nei
passaggi delle scritture, o in qualche principio da seguire. Nata al mattino, morta la
sera, una persona che abbiamo visto ieri non è più qui, oggi. Tali sono i fatti che
vediamo con i nostri occhi e udiamo con le nostre orecchie”. Quindi, “ una volta che
sarete liberi dai legami con gli oggetti dei sensi, sarete naturalmente in accordo con il
principio di questa mente”. Lo scopo di sedere in zazen non è quello di diventare sordi,
ciechi o stupidi. Al contrario, i sensi durante zazen, liberi, possono funzionare senza
ostacoli, apprezzare le cose nella loro viva realtà. Sono le sole porte attraverso cui
possiamo osservare e accettare la realtà nella sua vera natura. E quando guardiamo a
quella realtà per la prima volta davvero, non troveremo nulla a cui attaccarci, nulla da
rifiutare, nulla su cui indugiare più di un istante: vedremo come ogni cosa cambia,
nasce e muore a una velocità impressionante, secondo quella meravigliosa legge che è
l’originazione-interdipendente, grazie alla quale tutto è, qui e ora. “ Anche se ascoltate
la melodiosa musica di Kinnara o il canto dell’uccello Kalavinka, che vi ammaliano,
considerateli semplicemente come brezza serale che vi soffia nelle orecchie. E anche
se vedete una bellezza pari a quella delle giovani Mosho o Seishi, guardatela come
una goccia di rugiada al mattino, che sfuma davanti ai vostri occhi”. Non opponetevi e
non attaccatevi a nulla, c’invita semplicemente Dogen. Guardate! Guardate queste
cose meravigliose come un alito di vento che v ’investe il viso la sera, o la goccia di
rugiada che al mattino sparisce. Sono belle immagini. Sono la poesia della vita. Questo
è il modo in cui dobbiamo apprezzare l’impermanenza. Il distacco, il vero distacco, è
già lì davanti a noi, perché il distacco è già la natura di tutte le cose. Apprezzando
tutte le cose, in quanto impermanenza, non potremo più attaccarci a esse e le
guarderemo passare. Non è un distacco freddo, impassibile: è pieno d’amore. Le
persone soffrono, le cose soffrono e rimanere indifferenti sarebbe un altro gioco
dell’ego, che ancora una volta cerca una posizione di potere. Il vero distacco è avere
lo sguardo costantemente rivolto alla viva vita di tutti, non semplicemente ai propri
piccoli desideri. E’ maturare una vera passione per la vita, quindi un grande calore.
L’impermanenza è veramente la realtà di fronte ai nostri occhi. Accettare questa realtà
è accettare la nostra natura, perciò non può essere qualcosa di tragico. Se possiamo
accettare questa evidenza, l’impermanenza stessa diventa suprema gioia: è realmente
e unicamente ciò che ci unisce a tutti gli esseri dell’universo, al cosmo intero; è l’ultima
natura nostra e di tutte le cose, in definitiva una non-natura. L’impermanenza è il
punto di partenza dell’insegnamento del Buddha: nulla perdura, perciò nulla ha
sostanza - sin dall’origine tutte le cose sono perfetta pace e vacuità. E’ come se il
Buddha ci dicesse: “ Guarda! Tu non sei fuori da questo mondo. Siediti con tutto te
stesso e immergiti nel processo vitale della realtà. In questo momento preciso tutti i
tuoi sensi funzionano lucidamente, anche se tu non lo credi. Siedi in zazen e stai ben
dritto: la vita è qui davanti a te, con te. Tu in questo momento sei completamente
trasparente alla realtà di mujo ; appena dirai ‘ ho colto mujo’, l’avrai già persa… Tutto
perisce, anche Buddha perisce. La stessa natura di Buddha, l’impermanenza stessa,
non esiste. In zazen perciò non attaccarti a niente, non pensare che ‘ poi’ ne ricaverai
un risultato. Il tuoi zazen è lo zazen del Buddha sin dal primo momento: tra vent’anni
non avrai capito di più. E comunque non è il tuo problema adesso”. Questa viva verità
di mujo a cui Buddha Shakyamuni ci ha invitato amorevolmente a guardare per tutta
la nostra vita è ciò che chiamiamo Buddha-Dharma. E’ la verità di tutti gli esseri,
viventi e non, nessuno escluso. Guardare a questa verità è guardare allo stesso tempo
alla viva verità di tutti gli esseri, insieme, ed è provare un autentico amore per essi.
Questo è il significato dello zazen: la Via per trasformare, anche di poco, il sentimento
egoistico, individualistico, che domina ognuno di noi. Questo sarà, automaticamente,
naturalmente e inconsciamente, il più grande bene per tutti gli esseri viventi. Ecco
perché l’altra considerazione riguardo al manifestare la mente-della-Via è che implica il
fatto di rinunciare ala propria salvezza, impegnandosi ad aiutare tutti gli altri prima di
noi stessi. Implica il prodigarsi per il compimento di questo voto. Realmente, noi non
siamo noi, io non sono io, l’Universo intero vive come un solo corpo. Dimenticando il
mio ego, ogni cosa del cosmo diventa il mio ego. Questo realizzate in zazen. A partire
dalla visione reale del vasto panorama della vita, potrete sedere con una
determinazione vera. E’ ciò che chiamiamo: risvegliare la mente che cerca la Via.

Intendendo il Vero Dharma, praticatelo senza tardare:


la Via del Buddha dev’essere provata per essere realizzata
Il Vero Dharma è la lucida verità che ha rivelato il Buddha e che finora abbiamo
voluto definire la “ viva verità del Sé rivelata dal Buddha”. Dharma è il termine
sanscrito; si può tradurre come “ disciplina”, “ legge”, “ verità”: Indica anche la
posizione che ognuno di noi assume in questo preciso momento; supponendo che si
sia come incastonati, inseriti in un unici e dinamico, plastico multidimensionale
mosaico, Dharma è la posizione che ci troviamo a occupare in questo momento
preciso; suggerisce anche l’essere in armonia con l’universo: il maestro Taisen
Deshimaru lo traduceva con “ ordine cosmico”. Per spiegare questo punto Dogen
scrive: “ Un consiglio onesto dato da un ministro fedele spesso ha il potere di
cambiare la volontà dell’imperatore. Allo stesso modo non c’è nessuno che non cambi
la propria mente intendendo anche una sola parola del Buddha e dei Patriarchi”.
Considerando la cultura in cui si inserisce, quest’immagine è molto forte. In Cina
l’imperatore fungeva da tramite tra il cielo e gli uomini e la sua volontà era considerata
la volontà del cielo. Perciò “ far cambiare la volontà all’imperatore” era un fatto
capitale. Se il consiglio del ministro non fosse piaciuto all’imperatore, questi aveva
anche la possibilità di metterlo a morte immediatamente! Con la stessa forza, “una
singola parola offerta dai Buddha e Patriarchi” ha il potere di cambiare la nostra
mente, capovolgere completamente la direzione della nostra vita. Che cos’è il Dharma?
Il Dharma non è qualcosa che è altrove. E’ una cosa tremenda, di importanza enorme.
Non può essere considerato come una parte della nostra vita o qualcosa da
aggiungere alle altre cose: il lavoro, la famiglia, il Dharma…In realtà non c’è niente al
di fuori del Dharma. Tutte le “ altre cose” della vita sono esse stesse il Dharma. Il
Dharma è dinamico, non è un oggetto fisso: è l’ordine del cosmo di cui non possiamo
certo dissociare la nostra vita. Perciò intendere il Dharma e praticarlo è diverso dal
decidere di “ applicarsi a qualcosa”, fare delle esperienze nuove. “ Io mi dedico a
questo”, “ nel mio tempo libero io mi dedico a quello”, “ ore faccio questo”, “ domani
farò quest’altro”…Convinti di trovarvi diletto, noi creiamo tutto quel mondo di
fabbricazioni umane che ci lasciano invariabilmente delusi: nulla persiste, tutto
cambia, e quasi mai cambia secondo il nostro desiderio. Il Dharma non è una delle
tante cose che cambiano, è il cambiamento stesso e “ intendere il Vero Dharma”
equivale a guardare costantemente al cambiamento, nei termini di un visione meno
superficiale. Quando ci accade qualcosa, valutiamo subito se per noi è giusta o
sbagliata, buona o cattiva, se abbiamo fatto bene o siamo in errore. All’istante
applichiamo un giudizio e ci preoccupiamo del giudizio perdendo di vista il fatto, la
cosa-in-sé, come questa appare e come questa scompare. In realtà, il momento in
cui, per esempio, de fogli di carta cadono a terra per sbaglio, non è un errore: è
semplicemente la realtà di quel momento che si rivela. Quel fatto non lo puoi negare:
è vivo, vive al di là del tuo giudizio, anche se vorresti cancellarlo o tornare indietro.
Esiste di per sé e influenza il cosmo intero. Realmente, ogni cosa è la rivelazione di un
fenomeno apparente prodotto da infinite cause e condizioni. E’ solo l’ego a produrre il
pensiero “ mi sono sbagliato”, perché l’ego è l’illusione di fissità che ho di me e del
mondo intorno, che non accetta l’eterno mutamento delle cose, la dinamica della vita.
Fuorviati, distanti dalla vita, pensiamo di poter fare altro da ciò che stiamo facendo. E’
così che, non rinunciando a “ noi”, viviamo in questo mondo di costante mutamento
l’esistenza di uno spettro, di un fantasma. Non lasciamo che il fiore della vita
assegnato a ognuno di noi sbocci, pienamente rivelato. La nostra vita è nel mondo del
samsara, cioè quello in cui l’uomo- soggetto a nascita e morte- sperimenta desiderio,
illusione e sofferenza. Questo mondo samsarico è creato sulla base di cause, che a
loro volta sono il risultato delle nostre vite karmiche precedenti. Soffriamo, ostruiti e
accecati dal karma che nasce dall’illusione originata dall’ignoranza ( mumyo ).
Questa ignoranza è talmente radicata in noi che né origine né fine possono essere
trovate in essa: noi la chiamiamo “ senza inizio” ( mushi mumyo ). Confusi
nell’avversione e/o nell’attaccamento verso ogni cosa, persistiamo in azioni ( karma )
che hanno solo il potere di accrescere l’illusione e la sofferenza. Continuiamo a
passare di illusione in delusione, scambiando quel che è irreale, apparente, per
qualcosa di reale e persistente. Per quanto instancabilmente ci prodighiamo, siamo
diretti dal nostro karma che è iniziato già nell’utero materno e che si muove verso la
vita, come impulso fondamentale latente ( samskara ). Non c’è modo di liberarsi: non
c’è Via che si possa percorrere se non quella sotto i nostri piedi! Realmente il cammino
sotto i nostri piedi è la Via, non altrove. La pratica ne è la prova. Un esempio: un
maestro di arti marziali e un maestro Zen si incontrano una sera per cena. La
discussione tra i due si fa talmente prolungata e complessa che l’iniziale interesse degli
allievi presenti si trasforma via via in noia e stanchezza. Uno degli allievi comincia a
manifestare il desiderio di tornare in albergo. E’ notte inoltrata; sempre più nervoso e
insofferente, l’allievo non dà più peso al fatto di trovarsi accanto al suo maestro, il
fastidio e il sonno diventano la sola preoccupazione: “ Maestro, quando torniamo in
albergo?” Il maestro per un po’ pazienta: “ Non ti preoccupare, aspetta ancora un
po’…”, poi, all’insistenza dell’allievo, sbotta: “ E vai allora! Va a dormire: che cosa ti
trattiene?”. “ La strada, maestro, non conosco la strada!”, risponde il ragazzo. “ E
allora, che cosa vuoi?” Si vuole sempre qualcosa, ma non si sa come ottenerlo. Quel
come è la Via. Il “ che cosa vuoi?” del maestro fa capire l’importanza di trovare la Via.
Se si tratta di voler tornare in albergo e non si conosce la strada, il problema è
alquanto secondario. Ma se si tratta di trovare la vostra strada, la strada della vostra
vita, il problema si fa grave. Che cosa colma il divario che esiste fra il nostro mondo
ideale e quello reale? La Via non è un termine astratto. Non è neppure qualcosa di
materiale, come la Via Augusto o la Via Nino Bixio ( la Via del Buddha, che sta da
qualche parte…). E’ una Via che è ovunque, e ovunque voi siate, siete sulla Via:
dovete percorrere la vostra strada con i vostri piedi, formulando esattamente a ogni
istante la vostra attività. Allora ogni angolo, ogni cantuccio del mondo diventa la Via
del Buddha: l’autobus, l’ufficio, il bagno. Anche andare in bagno è la Via, diceva IL
maestro: bisogna andare quando è necessario, trovando il tempo e l’occasione, senza
rimandare. Questi fatti , e nulla di diverso, sono la pratica della Via. Sono intendere,
praticare e realizzare il Dharma in una sola cosa, cioè in tutte le cose. Ecco il
significato dell’educazione Zen. Rapida, precisa, la risposta deve arrivare subito,
corpo e mente uniti; noi non siamo chiamati a vivere solamente i nostri
desideri egoistici, né attraverso il nostro piccolo potere personale.
L’educazione Zen si basa soprattutto sull’azione del corpo, così come in
zazen il pensiero nasce dal corpo: è la tensione giusta del corpo a creare
quello che chiamiamo “ pensiero cosmico”, o coscienza hishiryo. Allo stesso
modo nella vita quotidiana, la risposta deve essere precisa e immediata. Un
discepolo chiese al maestro Joshu “ Che cos’è l’essenza dello Zen?” “ Hai finito di
mangiare?” rispose Joshu. “ Si…” “ Allora lava le tue ciotole!”. Queste risposte sono
classiche, ma devono essere nate come episodi spicciolo di vita quotidiana. Forse il
maestro s’è messo a gridare. “ Taci stupido discepolo, lava le tue ciotole!”. “
L’educazione Zen” scrive il maestro “ è al di là della scienza, al di là della filosofia. Il
pensiero Zen è praticato con il corpo, include le contraddizioni(…). Dalla domanda ‘ chi
sono io?’, passa alla domanda ‘ come devo essere nella mia vita reale?’ A questo punto
l’alta verità della fede e della pratica religiosa può prendere dimensioni infinite(…). Il
Risveglio è unificazione, non separazione. Zazen è il Risveglio ( satori ): è l’azione che
certifica il satori” . Solo la nostra pratica è la prova della Via.

Praticate la Via del Buddha ( Butsudo ) con uno spirito


di non-profitto ( mushotoku ) e cercate un vero maestro
per studiare la Via e praticare zazen ( sanzen )

Mushotoku è lo spirito di non-profitto: senza scopo, senza un oggetto o un obbiettivo


definito, con purezza e autenticità. Quand’anche avessimo il pur minimo oggetto, ci
allontaneremmo dall’autenticità dello zazen-inesorabilmente! Dobbiamo praticare lo
zazen-shikantaza : solo e semplicemente seduti, nient’altro che seduti. Nella famiglia,
nel lavoro, è possibile applicarsi allo stesso modo: shikan, nient’altro che famiglia,
nient’altro che lavoro, spendendosi completamente in ogni cosa. Lo spirito di non
profitto ( mushotoku ) è il segreto dlla pratica. “ Quando praticate il Buddha-Dharma”
scrive Dogen “ non dovreste farlo per vostro vantaggio.” Perseguire il pur minimo
scopo non è il vero zazen. Kodo Sawaki insisteva: “ Zazen è inutile, non serve proprio
a nulla!” Possiamo pensare che dietro queste parole si nasconda un altro significato…
No! Zazen è proprio inutile. Il progetto umano non lo subordina. Anche il desiderio di
liberarsi dalla noia o dalla sofferenza, di realizzare la pace dello spirito, è solo un
progetto, una fabbricazione umana- che pure non abbiamo bisogno di respingere con
un’ulteriore fabbricazione. Quello zazen che è stato trasmesso da Shakyamuni Buddha
fino a Bodhidharma in Cina, a Dogen in Giappone, fino a Sawaki Roshi e Deshimaru
Taisen in Europa, è la vera religione che c’insegna la dimensione della vita più elevata,
ultima. “ Astenetevi dall’inseguire o dal rifiutare qualunque cosa” continua Dogen. “
Liberatevi dal desiderio per la fama e per il profitto. Non praticate zazen nell’intento di
guadagnare una buona reputazione.” Qualunque insegnamento che tenda a fare di
una persona ordinaria una persona grande, è demoniaco. Per noi la buona reputazione
è molto importante. Siamo molto preoccupati se gli altri ci criticano e rapidamente ci
entusiasmiamo se qualcuno ci ammira. Accecati, inseguiamo i nostri oggetti come il
cane insegue per chilometri la salsiccia appesa davanti al muso, tirando una pesante
slitta. Arrivato, divora la salsiccia in un boccone per poi riprendere di nuovo. Il nostro
modo di vivere , di lavorare, assomiglia a quel cane della slitta: la salsiccia è il salario,
o la soddisfazione personale, la reputazione, il successo, una donna, in uomo. Non
facciamo nulla, è vero, che non ci dia l’impressione di essere utile per noi. Zazen è la
dimensione opposta: giudicato dalla nostra piccola mente è inutile, ma in realtà è la
pratica della vera, stabilità della vita, ultima espressione del Buddha-Dharma.
Ricordate questo come il punto-chiave della pratica, abbandonate il senso comune,
penetrate il senso dello zazen da questa prospettiva: è il segreto per ogni cosa.
Irriducibilmente, inconsciamente liberi…ecco il fascino dell’uomo vero, vivo. Ma poichè
siamo uomini, ci è impossibile abbracciare la contraddittorietà di questa dimensione
con il solo cervello. Qui inizia la pratica. Per prima cosa, lasciatevi essere, solo e
semplicemente essere, sedete e respirate. Quindi fate: poco importa da dove
cominciamo. Nell’Avatamasaka Sutra, il Sutra della Ghirlanda, tutta l’esistenza è vista
come una vasta rete che si estende attraverso tutto l’universo, nelle tre dimensioni
dello spazio, ma non solo, anche nella quarta, quella dello spazio-tempo. Ogni punto
di questa enorme rete contiene un diamante multisfaccettato che riflette ogni altro
diamante della rete. Il diamante rappresenta ( manifesta la presenza ) dell’intero
universo, del passato, presente e futuro. Quel che la metafora vuol significare è come
ogni cosa nell’universo contenga ogni altra cosa attraverso tutto il tempo. Tutto è uno,
uno è tutto. Solo e semplicemente sedete, respirate, lasciate che il respiro della vostra
mente sia l’uno, esista insieme a tutto il cosmo. Dogen scrive: “ E’ importante ricevere
gli insegnamenti di un maestro quando pratichiamo il Buddha-Dharma. Non usate mai
le vostre idee come base della pratica.” I monaci Zen sono la personificazione dello
stile di vita dei Buddha. Dogen ne fa oggetto di uno dei capitoli del Gakudo Yojinshu:
zenso no anri , “ l’attività, lo stile di vita dei monaci Zen”. I dieci punti espressi in
quest’opera sono l’uno l’esemplificazione dell’altro e possono essere tutti ricondotti al
primo: manifestare la mente che cerca la Via ( hotsu bodai shin ). Questa mente si
esprime nello stile di vita, nei modi, nelle maniere, nel come prendersi cura della vita
momento per momento. Nin ( la terza delle sei perfezioni, paramita ) non è
semplicemente la “ pazienza”, ma è la costanza, sforzo incontaminato sostenuto
momento per momento. Questo significa a sua volta fare del qui il proprio
fondamento, del quì fare il proprio fondamento e ancora del quì fare il proprio
fondamento. Cioè la mente del Risveglio ( bodai shin ) è il solo sazen ( shikantaza ):
comprendere, studiare il Sé con tale pratica. Bisogna prendersi cura della vita in ogni
sua forma, aprirsi ad ogni forma della vita. La realtà di ogni cosa e la mia propria
realtà ( quella del mio Sé ) sono un'unica realtà. Dov’è questo qui, questo spazio?
Questo spazio, questo luogo è là dove voi incontrate voi stessi, il vostro maestro, il
Maestro. Ecco perché il maestro non è una baby-sitter, ma a partire da questo il
maestro realmente può essere una baby-sitter, prendersi cura di voi come una madre
amorevole. Così, dobbiamo mettere la massima attenzione in ogni cosa. Seduto sulla
mia sedia nella sala della meditazione, sento la polvere e la sabbia gemere sotto le
suole, sotto il peso del corpo di chi entra. Ecco perché al mattino dobbiamo prenderci
cura di pulire il pavimento. Non è come la pubblicità: “ Contro lo sporco più sporco…”.
Questo è completamente fuorviante. Dogen utilizza spesso questo termine: gedo- ge=
fuori, do = Via. E’ come dire “ eterodosso”, fuori dalla Via. Ecco perché
quell’espressione così cara a Suzuki Roshi relativa ad un certo maestro che non poteva
riconoscere nessun centro Zen dove si accumulassero la polvere e le ragnatele. Ora,
tre sono i punti che intervengono:
1. La verità cosmica costantemente sta guardando a noi, che lo vogliamo o
no.
2. Come noi rendiamo manifesta momento per momento questa verità
universale: questo è quello che chiamiamo Via.
3. Il luogo, il momento in cui incontriamo il vero maestro ( il Sé vivo, il vero
maestro che è zazen ).
Ogni momento è buono, è il migliore, così come ogni giorno è un buon giorno, sia che
piova, nevichi o risplenda il sole. Dobbiamo concentrarci sulle cose che facciamo senza
scuse: non ci sono storie che tengano. “ Essere discepoli di un maestro è una delle
cose meravigliose di questo mondo” continua Dogen. “ Solo il maestro può sapere
quanto sottili e meravigliose le cose siano.” A commento di questo passo vi racconto
una storia. L’anziano proprietario di un negozio decide un bel giorno di ritirarsi
dall’attività. Incerto su quale dei suoi tre dipendenti fosse all’altezza di rilevare il
negozio, decise di metterli alla prova. Diede loro appuntamento il mattino seguente
alle 3.00. Quando i tre arrivarono, trovarono sul posto tre barili con tre mestoli. Il
proprietario ordinò loro di riempire i tre barili con l’acqua del pozzo, servendosi dei
mestoli: chi avrebbe finito per primo sarebbe stato il prescelto. I tre dipendenti si
misero al lavoro, ma per quanto vuotassero e vuotassero acqua nei barili, questi non si
riempivano mai. Esausti guardarono meglio e si accorsero che i barili non avevano il
fondo. Il proprietario che nel frattempo era rimasto a spiarli, si ripresentò: “ Tornate
domani alla stessa ora”, disse. All’appuntamento i tre trovarono ancora i tre barili e tre
mestoli e l’ordine fù il medesimo: riempire d’acqua i tre barili con i mestoli. Subito i tre
si precipitarono a controllare se i barili avessero il fondo, e questa volta c’era. Ma…i
mestoli non avevano fondo! Due dei tre si guardarono e dissero: “ e’ impazzito”, non
provarono neppure e andarono via. Il terzo provò comunque. Sebbene i mestoli non
potessero contenere acqua, trattenevano comunque delle gocce e il terzo uomo provò
a versare quelle insignificanti gocce, fino a riempire il barile. Riempire a ogni costo un
barile senza fondo è come voler soddisfare a ogni costo i nostri desideri: non potremo
mai essere soddisfatti così. Se invece accettiamo d’essere soltanto un mestolo
bucato, e che non abbiamo altro con cui provare, troveremo in questo la vera
soddisfazione. Il barile e il mestolo sono il nostro spirito discriminante. Un mestolo
bucato è accettare la realtà così com’è e servirsene liberamente con mente priva di
scopo: a quel punto lo scopo è già raggiunto. Una sola goccia d’acqua è un oceano
intero di realtà. Perciò “ non fate mai delle vostre idee la base della pratica: seguite il
maestro”. Alla radice delle vostre opinioni personali, il maestro vi rivela il mondo di
mushotoku. E’ come un pianeta nuovo, al di là di voi stessi, il pianeta di mushin, la
non-mente. Mushin non nega la mente, ma è al di là della mente e della non-mente.
E’ un capovolgimento totale della prospettiva. Qui tutto scorre rapido e leggero, come
se la legge di gravità fosse diversa, perché non si è ancorati a nulla. Le idee sono
buone, ma devono lasciare spazio ad altre idee; così, pensare senza idee è la base su
cui erigere la nostra consapevolezza della realtà viva.

Ricorrete alla Via dello Zen con delle vere ragioni: l’emancipazione
si realizza nello studio della Via
“ Ricorrere allo Zen e studiare la Via è la cosa più importante della nostra intera vita”
scrive Dogen Zenji. “ Non considerate ciò alla leggera, né siate superficiali nella
pratica.” Che cos’è realmente la nostra vita? L’impermanenza ( mujo ) è la viva realtà
di questa vita: tutto non è che incessante susseguirsi di nascita e morte, apparizione e
scomparsa. Nell’Abhidharma Pitaka l Buddha dice che in 24 ore noi nasciamo e
moriamo 6.400.099.980 volte, vale a dire che in un secondo si nasce e si muore poco
meno di 70.000 volte. La nostra mente consapevole non può nemmeno immaginarlo!
Che genere di vita è questa, quando ordinariamente ragioniamo nei termini di 50, 60,
80 o anche 100 anni di vita? Dogen l’esprime con queste parole: “ Vivere ( inutilmente
) cent’anni è del tutto insensato, è un crimine”. Contrariamente a ciò, la nostra società
si vanta di un certo aumento della vita media degli uomini… La vita è più lunga, dà più
benessere, più tempo libero…In realtà, è diventata più volgare: abbiamo meno
possibilità di apprezzare la vita così com’è, nella sua semplicità. Una tazza di tè è allora
difficile da proporre, difficile da offrire, da apprezzare. Ciò che noi apprezziamo è la
musica pubblicitaria della bevanda più conosciuta al mondo, l’eccitazione che
associamo ad essa. La Via e il suo studio ( gakudo ) non sono che il nostro corpo e
spirito veri, vivi ( shinjin gakudo ). Ogni momento è un istante di studio, di ricerca di
apertura. Mai come adesso l’uomo arriva subitamente a delle conclusioni: tutto
diventa”…logia”, “…ismo”. Per questo la nostra condizione è molto degenerata. Non
possiamo apprezzare il tepore di una giornata di primavera, il freddo pungente
dell’inverno, il vento autunnale…Niente. Tutto è uniforme. E più tutto è uniforme, più
noi cerchiamo un eccitazione fittizia e facciamo in modo che la nostra vita sia
commovente, emozionante. L’insegnamento del Buddha ci dice che nulla deve essere
eccitante, eccezionale, per essere vissuto. Questa nostra vita è meravigliosa e il
mistero non l’arricchisce, né il sentimento dell’ignoto. Questa vita è fatta delle
malattie, della morte in una parola della sofferenza. Ecco perchè il Buddha ha parlato
della Santa Verità della sofferenza: tutto è sofferenza, niente persiste, ogni cosa è
priva di sé e in definitiva nulla perisce, nulla nasce, tutto è perfetta quiete ( nirvana ).
Studiare o ricorrere allo Zen non è rimuovere la sofferenza. Quando tentiamo questa
operazione, quando, per esempio, vogliamo evitare lo sforzo , la nostra personalità e il
nostro stesso corpo sono come amputati; il centro di gravità esce da noi e diventiamo
un fragile guscio privo di energia slancio vitale. “ Soffrire di un male incurabile che
richiede cure e non farle perché state morendo è realmente insensato”, scrive Dogen.
A quale genere di vita stiamo guardando? Viviamo davvero a partire dalla cosa che è
realmente più importante per noi? Quando guardo i discepoli più anziani, constato
com’è diverso il loro modo di camminare, di posare un piede dopo l’altro in ogni
circostanza, inconsciamente, naturalmente. Che cosa c’è di diverso? Non sono migliori:
la virtù sta semplicemente nell’esercizio, la pratica ripetuta. Quel che edifica la nostra
vita, che manifesta in essa Buddha Shakyamuni è gyoji la pratica, lo sforzo sostenuto.
Rinunciare è difficile. Quando un certo processo d’identificazione, di fissazione, è
avanzato, è normale pensare che è preferibile vivere in buona salute ottant’anni
piuttosto che viverne cinquanta. In realtà, noi non possiamo apprezzare quella vita che
nei due casi è comune, la vita di un istante, né lo spazio dove questa appare e
scompare, nasce e muore. Proprio per il fatto che si muore, dobbiamo avere la
massima cura della nostra vita, consentire l’espressione più alta, vera, a questa nostra
vita. Gedatsu, “ emancipazione”, “ liberazione”, evoca l’immagine del serpente che
lascia la vecchia pelle. Per vivere, deve rinunciare ala vecchia pelle. Sedere dritti in
zazen come manifestazione della più alta verità - Buddha-Dharma – è l’esistenza reale
del Sé che esiste simultaneamente in quanto passaggio alla libertà,
all’emancipazione. Zazen è come stendersi nella nostra bara. Nella bara non c’è nulla a
cui rimanere attaccati o affezionati. Zazen è satori ( Risveglio ), emancipazione
( gedatsu ). Guardare sé stessi, studiare sé stessi, comprendersi, è guardare alla vita
attraverso la giusta postura; guardare alla vita in cui tutto è dimenticato e in cui non
possediamo nulla di noi: inconscio e conscio sono pure dimenticati.

Rivolti verso la Via, fare del qui il proprio fondamento


é lo stile di vita dell’uomo-Zen

La Via dev’essere un ostacolo per noi, deve ingombrare, infastidire, tirare per il naso il
nostro ego. E’ la Via che deve dirigere la nostra vita, non il nostro piccolo ego. Noi
siamo sempre , in un modo o nell’altro, orientati verso i nostri desideri, ma, con il
timone dello zazen, possiamo costantemente ri-orientarci alla Via, andare al di là dei
nostri desideri. Non è una direzione che una volta presa và bene per sempre:
continuamente dobbiamo rivolgerci verso di essa. La nostra vita non è bella perché è
perfetta. La Via non è Retta perché è una linea geometricamente dritta, ma perché è
una Via imperfetta alla perfezione ! L’ideogramma stampato, per quanto perfetto sia,
manca della vitalità del carattere tracciato dal maestro di calligrafia, che bilancia la
lacuna del primo con il secondo tratto, corregge la lacuna del secondo tracciando il
terzo, e così via. Questa vita che scorre, un passo accanto all’altro nella sua perfetta
imperfezione, è detta gyoji ddokan: una pratica continua, come un anello senza fine.
I Buddha del passato hanno mostrato con la loro vita questo modo di vivere, che
significa semplicemente fondare ogni pensiero, ogni parola, ogni azione sul qui:
jikige no joto. Come denuncia Pascal nei Pensieri, qualunque cosa noi facciamo,
diciamo o pensiamo, diventa per noi una distrazione ( divertissement ). Seduti in
zazen, arriviamo rapidamente a questa constatazione: la mente e il corpo sono
continuamente distratti, mai potremo cogliere o arrestare un pensiero, un’immagine,
un gesto. E accorgendoci di ciò, siamo già distratti un’altra volta. Standocene
semplicemente seduti realizziamo che, proprio perché tutto è distrazione, non può
esserci nulla di diverso dalla distrazione. Ecco il qui, il non inseguire né respingere
nulla, il lasciar fluire – qui – ciò che sta apparendo ora. Ecco il rivolgerci verso la Via, il
ricondurci costantemente all’armonia con l’ordine dell’universo… Specialmente questo
punto concerne l’universalità dell’uomo, che si traduce nello spazio in cui una singola
cosa esiste, indipendentemente è, là dove viene data completa espressione a ogni
singola cosa. Sedere ( così come ogni altra azione, ogni singolo gesto ) nella sua piena
e completa espressione comunica con la vita universale. La vita universale riverbera
nella vita individuale e la vita individuale riverbera all’unisono con la vita universale.
Disturbati, tirati per il naso dall’universalità e non dai piccoli desideri, diamo piena
espressione, in ogni singolo e indipendente momento, all’universo intero, qui. Pensate
a uno squalo che nuota nell’acqua. Dal suo punto di vista, non sta particolarmente
nuotando nell’ acqua, come qualcosa di diverso da lui, o che potrebbe essere altro:
vive semplicemente nell’ acqua e nuota, poco importa se gli uomini camminano sulla
terra o gli uccelli volano nel cielo. E’ immerso completamente nel suo elemento, che si
fonda con la sua vita. Questo è zazen: immergerci completamente nell’elemento che è
la vita, dove sono incluse nascita-vecchiaia-morte, sofferenza e tutte le altre cose,
senza alcun senso dl mistero. Come definire questo qui ? Il qui è la Vastità assoluta
( ku ), l’infinito spazio che non è diverso dal luogo in cui viviamo ora. Se il luogo in cui
viviamo ora è veramente il qui , noi creiamo uno spazio infinito. Dogen-Zenji, nelle sue
“ Istruzioni per il capo delle cucine” ( Tenzo Kyokun ) dice che deve poter costruire un
tempio con una foglia d’insalata, far girare la ruota della Legge ( Dharma ) spostando
un granello di polvere. Questo è il significato di kufu bendo: mettere tutta l’energia in
una cosa, spendere tutto se stesso nella cosa che facciamo, qui , con mente uni-versa.
Per quanto riguarda lo zazen, è shikantaza: non fare null’altro che sedere, qui. Per
quanto riguarda la vita, è gyoji dokan: pratica senza inizio e senza fine, qui. Questo
qui non può essere rappresentato in alcun modo, né può essere alterato da noi: è
autenticità pura, Buddha-Dharma, verità. Dogen racconta: “ Il mio maestro Nyojo fece
un sermone: “ Una volta un monaco chiese al maestro Zen Hyakujo: “ Qual è la cosa
più importante in questo mondo?” “ sedere solo su questa montagna”- rispose
Hyakujo. Se qualcuno avesse fatto a me la medesima domanda, avrei risposto: ‘
Niente’. Oppure: ‘ Portare la mia ciotola in questo monastero e usarla per mangiare il
riso’”. “ Ogni mattina voi praticate zazen” ci incoraggiava il maestro “ poi recitate un
sutra, mangiate la zuppa di riso, poi “ come a casa vostra”, un po’ di relax.” Dopo lo
zazen, la cerimonia e la colazione in silenzio nel dojo, ci portava in un atelier dei suoi
discepoli a bere caffè e conversare. Ma sottolineava sempre: quella pratica, quel modo
di cominciare la giornata è la cosa più importante, che deve influenzare tutta la nostra
vita. Non c’è niente di speciale in questo, ma è ciò che fanno gli uomini-Zen: gyoji,
una vita fondata sul qui, sull’illuminazione, una pratica senza fine e un’illuminazione
senza inizio. Non c’è da attendersi momenti speciali per cominciare: ogni momento è
l’occasione meravigliosa di una vita fondata sul qui, per risvegliare la mente che cerca
la Via ( Bodaishin ). La Mente non può che risvegliarsi istante per istante, in un
processo continuo, senza inizio e senza fine. Rivolgersi verso la Via, fare del qui il
fondamento della vita è questo Risveglio, istante per istante. Uno spirito da
principiante per tutta la vita: grandi occhi come quelli dei bambini che guardano con
meraviglia ogni cosa e che quando giocano, con il loro gioco oscurano l’universo
intero. Sedere in zazen è come un bimbo che gioca da solo: neppure un angolo
dell’universo rimane fuori di lui.

4.

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