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Sommario
INTRODUZIONE .........................................................................................................................................4
CAPITOLO 1 ...............................................................................................................................................7
CAPITOLO 2 ............................................................................................................................................. 13
CAPITOLO 3 ............................................................................................................................................. 23
CAPITOLO 4 ............................................................................................................................................. 29
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 5 ............................................................................................................................................. 39
CAPITOLO 6 ............................................................................................................................................. 46
CAPITOLO 7 ............................................................................................................................................. 54
CAPITOLO 8 ............................................................................................................................................. 60
CAPITOLO 9 ............................................................................................................................................. 76
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 10 ........................................................................................................................................... 80
CAPITOLO 11 ........................................................................................................................................... 82
CAPITOLO 12 ........................................................................................................................................... 84
LE RETI DI IMPRESE....................................................................................................................................... 84
Attenzione: questa dispensa non è volta a sostituire in alcun modo lo studio sul libro di testo e
sui papers forniti dal docente, ma solamente a facilitarne la comprensione e l’apprendimento.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
INTRODUZIONE
Il diritto commerciale
Il diritto commerciale moderno è quella parte del diritto privato che ha per oggetto l’attività e gli
atti di impresa.
L’obiettivo è quello di creare un ambiente giuridico propizio allo sviluppo delle imprese e nel
contempo ad assicurare un ordinato e razionale funzionamento delle stesse.
È predisposta quindi una disciplina dei singoli atti di autonomia privata a contenuto patrimoniale
(contratti e obbligazioni), che garantisce un’adeguata tutela del credito (l’attività d’impresa è
infatti caratterizzata da una fitta e articolata serie di rapporti di scambio con altri attori del ciclo
economico, alimentata e potenziata dal ricorso al credito à credito ricevuto e credito concesso
dalle imprese).
È inoltre predisposto un insieme di norme che regola l’organizzazione e l’esercizio dell’attività di
impresa unitariamente considerata, dando rilievo giuridico all’unità teleologica degli atti di
impresa.
Il diritto commerciale è, in sostanza, il diritto privato delle imprese, parte centrale del diritto
privato dell’economia.
Profilo storico
Medioevo à Corporazioni di Arti e Mestieri, i mercanti iniziano a darsi delle proprie leggi,
racchiuse in uno statuto. Tali leggi avevano carattere personale (si applicavano ai soli
commercianti) e rispondevano ad un’esigenza di velocizzazione degli scambi commerciali non
garantita dal diritto comune. La risoluzione delle controversie è interna alla corporazione ed è di
competenza dei consoli.
Con il tempo si forma un vero e proprio ius mercatorum, contrapposto allo ius civile, caratterizzato
da propri principi (libertà delle forme contrattuali ecc.), propri istituti (scritture contabili,
concorrenza ecc.), propri contratti (assicurazione, cambio ecc.), proprie forme associative (società
in nome collettivo) ecc.
Il diritto commerciale delle origini è un diritto speciale poiché dotato di proprie fonti e di propri
organi di giustizia, ma è anche un diritto di classe poiché espressione del ceto mercantile. Aveva
inoltre vocazione universale, e si diffonde con la diffusione dei traffici commerciali in tutta Europa.
Il diritto commerciale delle origini è sostanzialmente un diritto internazionale uniforme.
1800 à divisione dei codici (codificazione). In Italia, fino al 1942, c’erano due codici separati.
1865, codice civile e 1882, codice di commercio. La competenza giurisdizionale sarà unificata già
nel 1888, con l’abolizione dei tribunali commerciali. Il codice di commercio abbandona la sua
impostazione soggettiva e si concentra su una determinata categoria di atti: gli atti di commercio.
È presentato quindi come un sistema oggettivo, e la qualità di commerciante viene acquisita
attraverso il compimento abituale di atti di commercio.
L’idea è che dovessero essere diverse le regole che dovevano disciplinare i rapporti tra non
imprenditori (tra privati) e la vendita che avviene nell’ambito di impresa (rapporti commerciali).
Il codice di commercio inoltre realizza un decisivo ampliamento della sfera di applicazione del
diritto commerciale, soprattutto in vista della rivoluzione industriale. Commercianti diventano
tutti coloro che ‘’esercitano atti di commercio per professione abituale e le società commerciali’’,
estendendo ad una serie di categorie l’assunzione di uno statuto professionale dell’attività per
chiunque operi abitualmente nel campo della produzione e della distribuzione (esclusi gli artigiani,
gli agricoltori, Stato, Comuni e Provincie e tutti gli enti pubblici).
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Con il 1942, si ha l’unificazione dei due codici, non c’è più distinzione.
1. Scompare la categoria degli atti di commercio e la disciplina è riorganizzata intorno alla
figura dell’imprenditore commerciale.
2. È superata l’opposizione tra industria e commercio da un lato e agricoltura e artigianato
dall’altro, nonché tra operatori privati e pubblici.
3. Si assiste all’unificazione del diritto delle obbligazioni e dei contratti, e scompare la
contrapposizione di principio tra atti civili e atti commerciali (es. si ha un solo contratto di
vendita). Rimangono delle norme tipiche che vanno a disciplinare i contratti tipici
d’impresa, e cioè che presuppongono la qualifica di imprenditore di una delle parti.
Nasce come una materia a sé, ma adesso è parte del diritto privato. I confini del diritto
commerciale non sono più cosi definiti, e la materia privata si è allargata (diritto privato delle
imprese). Questa vaghezza di confini si riflette in un’incertezza nei confini dal punto di vista
didattico (circoscrivere l’area a due grandi capitoli à imprese e società; restano fuori argomenti
molto importanti, come il diritto fallimentare).
Vedere nell’ambito dell’attività economica come cambiano gli interessi e le tutele nell’ambito dei
rapporti economicià filo conduttore del diritto commerciale. (es rappresentanza, circolazione dei
crediti…).
Con il ’42, si assiste ad una ‘’commercializzazione’’ del diritto privato, e il diritto commerciale non
perde completamente la sua accezione di diritto speciale delle imprese volto alla tutela del credito
e alla rapida circolazione della ricchezza.
Nei sistemi di Civil Law, vi è una presunzione molto forte secondo cui lo Stato possa dettare una
serie di regole che possano disciplinare tutte le fattispecie di vita concreta e che possano applicarsi
in ogni caso. Il codice civile è in grado di trovare regole giuste che disciplinino tutte le fattispecie
concrete, ed è quindi in grado di tutelare tutti gli interessi dei privati che si trovano in gioco. Il
giudice in questo caso ha il compito di vedere cosa è successo nel caso concreto, trovare nel cc la
regola giusta e applicarla (Bouche de la lois). Non deve inventare le regole e non deve applicare un
principio di equità, poiché la regola è nel codice.
Il CC non è comunque completo, ma si può sopperire alle lacune mediante l’analogia -à trovare
una regola nel codice e applicarla in un caso simile, non quello perfettamente ideato per una
determinata fattispecie ma che abbia eadem ratio.
Il sistema è fondato da nozioni (fattispecie, situazioni astratte che sono in grado di ricomprendere
le situazioni che si sviluppano nel mondo reale) e regole (precetti che servono per regolare e
decidere cosa succede difronte a determinate fattispecie). Ciascuna nozione ha degli elementi
necessari e caratterizzanti che ci permettono di ricollegare ogni caso concreto ad una determinata
norma (ad ogni caso corrispondono delle regole, che vanno a tutelare degli interessi). La regola
risolve i conflitti che si verificano nel caso concreto à DISCIPLINA. (oppure tutelare degli interessi
prima che il conflitto insorga.)
Metodo Giuridico
Il metodo giuridico permette in primis di porre in essere una qualificazione giuridica, ovvero
individuare la nozione giuridica in cui rientra il fatto concreto. Talvolta queste nozioni sono
disciplinate della legge (es. nozione di azienda, di contratto…), talvolta devono essere ricostruite in
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
via interpretativa, andando a comprendere a cosa si riferiscono le nozioni quando emettono una
regola (es. obbligazioni, non vi è una definizione concreta, ma va interpretata dall’insieme delle
norme).
Talvolta la regola si riferisce direttamente al caso concreto, talvolta va ricostruita in via
interpretativa chiamando in causa regole già esistenti o utilizzando il metodo deduttivo
dell’analogia.
Es. assemblea di una società per azioni, si chiede ad essa di approvare il bilancio. I soci votano pro
capite, c’è uno scrutatore e 60 esprimono voto contrario e 40 favorevole. Lo scrutatore sbaglia e
conta 51 favorevoli e 49 contrari. La deliberazione quindi passa. La deliberazione è annullabile,
nulla o inesistente? Questo è un caso di deliberazione annullabile, sono annullabili le deliberazioni
che passano per un conteggio errato di voti. Questo tipo di deliberazione è tutelata da una serie
espressa di norme (es impugnabilità ecc..), e da una serie di norme inespresse che deduciamo in
via analogica.
Tutto ciò è affiancato dall’interpretazione. Non potendo il giudice creare le regole, deve
interpretare il significato della legge scritta. L’interpretazione è lo strumento del giurista ed è una
attività particolarmente sviluppata nel diritto civile ma che ritroviamo in tutte le materie
giuridiche.
Strumenti dell’interpretazione à canone letterale, canone sistematico (significato che ha
confrontata con le altre norme del sistema e coerente con essa), canone funzionale (significato
che sia tale da consentire a quella norma di conseguire la ratio che deve perseguire), canone della
Law and Economics (funzione costi benefici della norma se interpretata in modi diversi).
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 1
Il compito del legislatore però è altro rispetto al compito dell’economista, e si riflette nel fissare i
requisiti minimi necessari e sufficienti che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto
ad una data disciplina.
Ed è quindi sulla base dell’art 2082 che si distingue chi è imprenditore da chi non esercita attività
di impresa, ricavando dall’articolo che l’impresa è:
1. Attività produttiva (serie collegata di atti)
2. Caratterizzata da uno specifico scopo (produzione o scambio di beni e servizi)
3. Caratterizzata da specifiche modalità di svolgimento (organizzazione, economicità,
professionalità)
Attività
L‘impresa è innanzitutto attività produttiva. Per qualificarla come tale è irrilevante la natura dei
beni o servizi prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi sono destinati a soddisfare, come è
anche irrilevante che l’attività possa poi qualificarsi anche come attività di godimento o di
amministrazione di determinati beni o del patrimonio del soggetto agente.
Non è impresa l’attività di mero godimento (individuo che gode dei frutti di immobili dati in
locazione). Questo perché l’attività in questione non è volta alla produzione di beni e servizi,
mentre ciò non sarebbe valido se stessimo parlando di un’attività di godimento ma anche di
produzione (proprietario di un fondo agricolo che decide di destinare questo fondo alla
coltivazione). In questo caso, le prestazioni locative sono accompagnate dall’erogazione di servizi
che eccedono il mero godimento del bene.
Per quanto riguarda l’amministrazione, è attività di amministrazione e produzione l’attività di
investimento o finanziamento (intento speculativo). Quando queste attività possono essere
coordinate in modo da configurare un’attività unitaria, allora possono dar vita ad una impresa
commerciale, ricorrendo agli ulteriori requisiti di organizzazione e professionalità. Allo stesso
modo, sono certamente imprese le società di investimento, le società finanziarie e le holding.
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Serie collegata di atti, non si riducono ad un atto singolo.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Economicità
L’impresa è attività economica, elemento richiesto in aggiunta al concetto base di attività
produttiva. Questo perché ciò che qualifica un’attività economica non è solo il fine produttivo al
quale essa è indirizzata, ma anche il modo, il metodo con cui essa è svolta.
L’attività produttiva può dirsi svolta con metodo economico quando è volta alla remunerazione dei
fattori produttivi utilizzati e quando è svolta con modalità che permettano nel lungo periodo la
copertura dei costi con i ricavi, garantendo perlomeno autosufficienza economica.
• Mensa dell’opera di San Francesco à mensa per i poveri a Milano, formata da dipendenti e
volontari e presta questo servizio di ristorazione gratuitamente. Questa attività è un’impresa?
L’ente giuridico a capo è un imprenditore?
L’elemento che manca è l’economicità dell’attività, che è si volta allo scambio di servizi, ma
è un’attività d mera erogazione, non è volta a coprire i costi con i ricavi.
Non si può parlare di attività d’impresa.
Professionalità
Elemento fondamentale è inoltre quello della professionalità. L’impresa è tale quando ha un
inserimento stabile nel settore della produzione e della distribuzione, e solo questo stabile
inserimento giustifica l’applicazione della disciplina dell’impresa a chi opera nel mondo degli affari.
Professionalità significa perciò esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva.
Essa va accertata mediante fattori esteriori e oggettivi, ma non sempre è necessario che l’attività
si sia già protratta nel tempo (indice di professionalità potrebbe anche essere la creazione di un
complesso aziendale idoneo allo svolgimento di una attività potenzialmente stabile e duratura).
Questo va quindi valutato e potrebbe comunque produrre una carenza di professionalità (esercizio
non professionale di attività organizzata, art. 2070, comma 3).
Organizzazione
L’attività economica è attività organizzata. Non esiste attività senza programmazione e
coordinamento della serie di atti in cui essa si sviluppa, e non è concepibile attività d’impresa
senza l’impiego coordinato di fattori produttivi (capitale e lavoro), propri e/o altrui. L’imprenditore
concretizza la funzione organizzativa nella creazione di un apparato produttivo stabile e
complesso, formato da persone e beni strumentali. Ciò è ben inteso dal legislatore, nel momento
in cui qualifica il lavoro e la sua organizzazione nell’impresa, ponendo in rilievo la supremazia
gerarchica dell’imprenditore (artt. 2086 e 2094) e quando definisce l’azienda come complesso dei
beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555).
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Non è necessario che la funzione organizzativa abbia per oggetto anche altrui prestazioni
lavorative autonome o subordinate.
Non è inoltre necessario che l’attività organizzativa si concretizzi nella creazione di un apparato
strumentale fisicamente percepibile (es. le società di investimento non ne hanno bisogno e sono
ugualmente classificate come imprese commerciali), ma l’importante è che vi sia un impiego di
mezzi finanziari propri o altrui. Ciò che qualifica l’impresa è l’utilizzo di fattori produttivi ed il loro
impiego da parte dell’imprenditore con un fine produttivo.
Un problema però si pone nel momento in cui l’attività si fonda esclusivamente sul lavoro
personale del soggetto agente (senza l’utilizzo di lavoro altrui e capitali propri/altrui à NON vi è
etero organizzazione). Non è possibile ricollegare questa categoria dei lavoratori autonomi
neanche alla categoria delineata dall’art. 2083 dei piccoli imprenditori. Ciò che non rende questa
attività un’attività di impresa è la completa assenza di un coefficiente minimo di etero
organizzazione dei fattori produttivi.
Parte della dottrina invece fa leva proprio sulla nozione di piccolo imprenditore2, consentendo di
affermare che è imprenditore anche chi si limita ad organizzare il proprio lavoro senza l’impiego di
lavoro e capitali altrui, ricomprendendo in questa nozione anche quella di lavoratore autonomo.
Nonostante ciò, la tesi non sembra condivisibile nella misura in cui organizzare il proprio lavoro è
un’attività ben diversa dall’organizzazione di un’attività di impresa, e la stessa nozione dettata dal
2083 (lavoro proprio e dei componenti della propria famiglia) fa sì che sia necessaria anche
l’organizzazione di lavoro altrui.
Inoltre, il requisito dell’organizzazione non è necessario per il lavoratore autonomo (art. 2222), ma
è richiesto per l’imprenditore e per il piccolo imprenditore.
Senza contare poi che il lavoratore autonomo non sopporta alcun rischio d’impresa con riguardo
alla propria attività.
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coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti
della famiglia
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Professioni intellettuali
Nel caso delle professioni intellettuali, la qualifica di imprenditore è esclusa in via di principio dal
legislatore. Ciò si desume dall’art. 2238, comma 1, il quale stabilisce che le disposizioni in tema di
impresa si applicano anche alle professioni intellettuali solo se l’esercizio della professione
costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa (es. medico che gestisce una
clinica privata nella quale opera).
Nell’ambito delle professioni intellettuali, possono mancare alcuni dei requisiti fondamentali
delineati dall’art. 2082, ma spesso e volentieri sono presenti tutti quanti, essendo la professione
frutto di attività economica organizzata svolta in maniera personale e, tendenzialmente, a scopo di
lucro. È una scelta del legislatore escludere queste professioni dalla nozione generale di impresa.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Scopo di lucro
È controverso stabilire se costituisca un requisito essenziale dell’attività di impresa lo scopo di
lucro. La risposta deve essere negativa quando con scopo di lucro si intenda un movente
psicologico dell’imprenditore (scopo di lucro soggettivo). Questo perché l’applicazione della
disciplina dell’impresa, volta anche a tutelare i terzi che entrano in contatto con l’imprenditore,
deve fondarsi su elementi esteriori ed oggettivi (e non sulle intenzioni variabili dell’imprenditore)
Anche chi proclama la necessità dello scopo di lucro ritiene che ciò sia vero, affermando che è
essenziale solo che l’attività venga svolta secondo modalità oggettive astrattamente lucrative (è
irrilevante sia la circostanza che il profitto venga poi realmente conseguito sia che l’imprenditore
devolva altruisticamente il profitto conseguito).
Nonostante ciò, attività di impresa è quella svolta secondo il metodo economico, ed è legittimo
chiedersi se allora oltre a coprire i costi con i ricavi (economicità) sia necessario che l’attività
produca dei ricavi eccedenti ai costi.
Essendo però la nozione di imprenditore una nozione unitaria (comprende sia l’impresa pubblica
che quella privata), ciò implica che un requisito essenziale può essere solo quello che è comune a
tutte le imprese. Per l’impresa pubblica, è necessario il solo requisito dell’economicità, non la
realizzazione di un profitto.
Vero è che lo scopo di lucro caratterizza i contratti di società (art. 2247), e l’attività di impresa
deve essere volta al conseguimento degli utili (lucro oggettivo) e che l’utile debba poi essere
devoluto ai soci (lucro soggettivo).
Per le società cooperative però, l’attività d’impresa ha uno scopo mutualistico (art. 25114), e non si
può ritenere istituzionalmente finalizzata al conseguimento di ricavi eccedenti i costi.
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Serie di attività che vanno al di là della mera attività professionale.
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Le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico iscritte presso l'albo delle società cooperative
di cui all'articolo 2512, secondo comma, e all'articolo 223-sexiesdecies delle disposizioni per l'attuazione del presente
codice.
È un tipo di società che viene costituita per gestire in comune un'impresa che si prefigge lo scopo di fornire
innanzitutto agli stessi soci (scopo mutualistico) quei beni o servizi per il conseguimento dei quali la cooperativa è
sorta.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Per quanto riguarda la disciplina delle imprese sociali, è fatto esplicito divieto di distribuire gli utili
ai soci, per quanto si richieda ugualmente che esse svolgano un’attività economica volta alla
produzione o allo scambio di beni e servizi.
Si è costretti ad affermare che bisogna essere elastici per quanto riguarda la nozione di lucro,
ritenendo che essa sia variabile a seconda del soggetto titolare dell’impresa.
È lecito comunque affermare che requisito minimo dell’attività d’impresa sia l’economicità della
gestione e non lo scopo di lucro.
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Settore no profit
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 2
Categorie di imprenditori
Nella terminologia del codice, l’impresa è il profilo dinamico, cioè l’attività svolta
dall’imprenditore. Es. art 2555 à ‘’L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore
per l'esercizio dell'impresa.’’
Il c.c. pone all’inizio del titolo II (2082-2221), sezione I, la nozione d’imprenditore poiché ritiene
che vi siano delle norme che debbano essere applicate all’imprenditore e vuole quindi
circoscrivere l’ambito di applicazione dell’impresa. Questa disciplina è composta da una serie di
norme che ritroviamo tipicamente nel libro quinto del c.c. (azienda, segni distintivi, marchi e
brevetti, concorrenza, consorzi)à segni distintivi che si applicano a tutte e alle sole imprese.
L’insieme di questi segni distintivi però non sempre sono stati applicati alla sola nozione
d’impresa. Quando si parla ad esempio di concorrenza, vi è la concorrenza sleale, che si applica al
2082, ma vi è anche la disciplina dell’antitrust, che ha un impianto d’applicazione più ampio.
Si aggiungono inoltre delle distinzioni di varie categorie di imprese, che vantano discipline
particolari a seconda della categoria.
In prima istanza, il codice civile detta delle norme applicabili a tutti gli imprenditori, il così detto
statuto generale dell’imprenditore che comprende:
1. Parte della disciplina dell’azienda e dei segni distintivi
2. Disciplina della concorrenza e dei consorzi
3. Disposizioni speciali in tema di contratti (rintracciabili nel quarto libro)
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Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo [1647, 2139, 2221] (1), gli artigiani, i piccoli commercianti e
coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti
della famiglia
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È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di
animali e attività connesse [2082, 2083].
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
L’evoluzione di queste discipline ha fatto si che l’esatta coerenza con il suo ambito di applicazione
sia andata scemando con il tempo.
Inoltre, sono poche le disposizioni in materia di piccolo imprenditore e imprenditore agricolo.
Questo perché la loro definizione è prettamente negativa, ovvero è utilizzata dal legislatore per
delimitare il campo di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale. Queste due
categorie, infatti, sono esonerate dall’obbligo di tenere le scritture contabili e
dall’assoggettamento alle procedure concorsuali, mentre l’iscrizione al registro delle imprese è
prevista anche per queste due categorie ma con efficacia di pubblicità meramente informativa.
In tutto ciò, come si inserisce la forma organizzativa? L’imprenditore può essere una persona
fisica, un ente economico… (si possono avere quindi società per azioni di imprenditori agricoli e
società di imprenditori commerciali ecc.) La sovrapposizione della forma con la tipologia di attività
comporta una variazione dell’ambito di applicazione delle norme.
Oltre a questi tre modi di distinguere le imprese, ci sono altre etichette usate per distinguere le
imprese e che non si pongono sullo stesso piano delle tre distinzioni (impresa familiare art 230-bis
ecc.) e servono a rilevare ulteriori distinzioni per quanto riguarda la loro disciplina normativa
È controverso se si possa o meno ammettere l’esistenza di una terza categoria, le imprese civili.
Non sono menzionate dal cc e sono individuabili tramite il criterio negativo di non poter essere
qualificate né come imprese agricole né come imprese commerciali. Queste imprese sarebbero
quindi sottoposte alla più generale disciplina dell’impresa, ma non a quella dell’imprenditore
commerciale.
Imprenditore agricolo
Art. 2135 à ‘’È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del
fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.’’
Nel vecchio testo del 2135, modificato dal d.lgs. 228/2001, il secondo comma specificava che: ‘’si
reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli,
quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura.’’
Le attività agricole possono essere distinte in: attività agricole essenziali e attività agricole per
connessione.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Questa distinzione permane anche con la nuova trattazione introdotta nel 2001, anche se la
materia è stata profondamente ampliata. Ciò è avvenuto poiché l’impresa agricola fondata sul
semplice sfruttamento del terreno certamente permane in alcune parti del nostro paese, ma cede
sempre più il passo all’agricoltura industrializzata. Inoltre, il progresso tecnologico consente oggi
di ottenere prodotti agricoli con metodi che prescindono completamente dallo sfruttamento della
terra (coltivazioni artificiali e fuori terra).
Oggi dunque l’impresa agricola può dar luogo ad ingenti investimenti di capitali e sollevare sul
piano giuridico delle esigenze di tutela del credito non diverse da quelle che sono alla base della
disciplina delle imprese commerciali.
Inoltre, si era delineato un netto contrasto di opinioni tra chi riteneva che, per impresa agricola, si
dovesse intendere qualsiasi impresa che produce specie vegetali o animali (fondata sul ciclo
biologico naturale) e tra chi riteneva che si dovesse dar peso al modo di produzione tipico
dell’agricoltore.
Nella nuova impostazione del 2135, il legislatore opta per la prima opzione, come si evince dal
nuovo secondo comma del testo: ‘’Per coltivazione del fondo8, per selvicoltura9 e per allevamento
di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase
necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il
fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine’’
Coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali sono le tre categorie di attività
agricole essenziali.
In base alla nuova nozione, la produzione di specie animali e/o vegetali è sempre da considerarsi
come attività agricola essenziale, anche se prescindono dall’utilizzo di metodi tradizionali.
L’allevamento di animali è poi l’attività sicuramente più redditizia, e si deve intendere come
attività agricola essenziale non solo l’allevamento diretto ad ottenere tipici prodotti agricoli, ma
anche l’allevamento di cavalli da corsa, di animali da pelliccia, l’attività cinotecnica, l’allevamento
di animali da cortile, l’apicoltura e l’acquacoltura. All’imprenditore agricolo essenziale è stato
anche equiparato l’imprenditore ittico (attività di pesca professionale).
Queste tipologie di attività sono oggettivamente commerciali. Ma per legge, sono considerate
attività agricole quando sono esercitate in connessione con una delle tre attività agricole
essenziali.
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Rientrano anche l’orticoltura, le coltivazioni in serra, i vivai e la floricoltura
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Attività caratterizzata dalla cura del bosco (eccetto l’estrazione di legname)
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Un’attività commerciale può qualificarsi come attività intrinsecamente agricola quando sussistono
due condizioni:
1. Connessione soggettiva à è necessario che il soggetto che la esercita sia già qualificabile
imprenditore agricolo in quanto svolge in forma di impresa una delle tre attività agricole
qualificate come essenziali e inoltre attività coerente con quella connessa. (è imprenditore
agricolo il viticoltore che produce vino, è imprenditore commerciale il viticoltore che produce
formaggio).
DEROGA à la qualifica di imprenditore agricolo è comunque estesa alle cooperative di
imprenditori agricoli e ai loro consorzi, quando utilizzano prevalentemente prodotti dei soci
2. Connessione oggettiva à necessario e sufficiente è infatti solo che si tratti di prodotti ottenuti
prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale, ovvero di beni e servizi forniti
mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda agricola
Imprenditore Commerciale
È imprenditore commerciale colui che esercita una delle seguenti attività:
1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi à settore delle imprese
industriali, ma la produzione di beni e servizi è comunque uno degli scopi tipici dell’attività di
impresa (art. 2082)
2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni à settore del commercio; è impresa
commerciale ogni attività di scambio che realizzi intermediazione nella circolazione di beni o
servizi.
3) un'attività di trasporto via terra, via mare o via aria à settore delle imprese di trasporto
(specificazione dell’attività produttiva di servizi)
Le attività dei punti 3,4,5 altro non sono che specificazioni ulteriori dei punti 1 e 2. Perciò, gli
elementi che contraddistinguono un’impresa commerciale da quella agricola risiedono nel
carattere industriale dell’attività di produzione di beni e servizi e nel carattere intermediario
dell’attività di scambio.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
b) producono servizi senza trasformare le materie prime e non rientrino nelle fattispecie
espressamente delineate nel 2195 (pubblici spettacoli, agenzie matrimoniali ecc.)
Chi la pensa in questo modo ritiene che ‘’attività intermediaria nella circolazione’’ delineata
dall’art. 2195 può essere solo quella nella quale ricorre sia l’acquisto sia la vendita di beni.
Imprenditore civile sarebbe colui che aliena dietro corrispettivo beni propri (non si ha attività
intermediaria di scambio).
Molti affermano che questa tesi sia fallace poiché l’art. 2195, quando si riferisce all’attività
industriale vuole intendere attività espressamente non agricola. In sintesi, il 2195 delinea che è
imprenditore commerciale chiunque non sia imprenditore agricolo.
Nel codice non vi è alcuna disposizione che possa far pensare all’esistenza di imprese né agricole
né commerciali (vi erano nel codice di commercio, abrogato nel 1942).
Ammettendo poi l’esistenza delle imprese civili, si sottrarrebbe una cospicua fetta di imprese dalla
rigida disciplina delle imprese commerciali, senza però che vi sia una giustificazione di fondo per
questa esclusione. Non si capisce, in breve, perché dovrebbe fallire un imprenditore commerciale
e non un imprenditore immobiliare.
È perciò preferibile interpretare il requisito di industrialità come sinonimo di attività non agricola e
qualificare come imprese commerciali anche le imprese che producono beni o servizi senza dar
luogo a trasformazioni delle materie prime.
È inoltre preferibile interpretare il requisito dell’intermediazione nella circolazione dei beni come
sinonimo di attività di scambio.
Piccola impresa
È sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore ed è esonerato dall’obbligo di tenere le
scritture contabili, dal fallimento e dalle procedure concorsuali (a parte quelle da
sovraindebitamento). L’iscrizione al registro delle imprese è obbligatoria ma ha funzione di mera
pubblicità notizia. Ha, come la nozione di imprenditore agricolo, un carattere prettamente
negativo e serve a restringere l’ambito di applicazione della disciplina dell’imprenditore
commerciale.
La nozione di piccolo imprenditore aveva una definizione sia nel cc (art. 2083) sia nella legge
fallimentare, e ciò creava non pochi problemi.
• Codice civile: ‘’Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli
commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente
con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.’’ In sostanza, la prevalenza del lavoro
proprio e familiare costituisce il carattere distintivo di tutti i piccoli imprenditori (criterio della
prevalenza).
Per far si che sussista una piccola impresa, bisogna che l’imprenditore presti il proprio lavoro
nell’impresa e che il suo lavoro e quello dei familiari prevalga sia sul lavoro altrui sia rispetto al
capitale investito nell’impresa. Rispetto a quest’ultimo punto, bisogna qualificare se l’apporto
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
• Legge Fallimentare: nella vecchia legge fallimentare, il piccolo imprenditore era individuato
esclusivamente in base al criterio del reddito di ricchezza mobile o al capitale investito, e
quindi con un criterio non coincidente a quello del codice civile.
L’imposta di ricchezza mobile è stata soppressa nel 1974, e il suo posto è stato preso dall’Irpef
per le persone fisiche.
Il criterio del capitale investito (non superiore a 900.000 lire) fu dichiarato incostituzionale nel
1989.
Nel 2006, con un correttivo introdotto nel 2007, si sono dettate nuove regole in materia. Non
definisce più chi è piccolo imprenditore ma individua alcuni parametri dimensionali al di sotto
dei quali l’imprenditore commerciale non fallisce.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori, i quali dimostrino il possesso
congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o
dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo
annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito
dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un
ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
Basta aver superato anche uno solo di questi tre parametri per essere esposti al fallimento e si
pone l’onere della prova a carico del debitore.
L’impresa artigiana
La legge n.86/1956 affermava che l’impresa rispondente ai requisiti fondamentali fissati nella
stessa legge era da considerarsi artigiana a tutti gli effetti di legge, e quindi anche rispetto agli
effetti civilistici e fallimentari. Il dato caratterizzante l’impresa artigiana risiedeva nella natura
‘’artistica o usuale’’ dei beni o servizi prodotti. La qualifica artigiana era anche riconosciuta alle
imprese costituite in forma di società (purché si trattasse di società cooperative o in nome
collettivo), con l’aggiunta che la maggioranza dei soci partecipi personalmente al lavoro e il lavoro
abbia funzione preminente sul capitale.
Questa legge è stata poi abrogata dalla ‘’legge quadro per l’artigianato’’, la n.860 del 1985.
La definizione di impresa artigiana è basata sull’oggetto dell’impresa (qualsiasi attività di
produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, seppure con certe limitazioni) e
sul ruolo dell’artigiano nell’impresa (nella misura in cui svolga in maniera prevalente il proprio
lavoro nel processo produttivo). La norma riafferma la qualifica artigiana alle imprese costituite in
forma di società (è stata inoltre estesa a diversi tipi di societàà società in accomandita, S.r.l.
unipersonale e pluripersonale) e stabilisce il principio che un artigiano possa essere titolare di una
sola impresa artigiana.
A seguito della norma del 1985, la nozione di impresa artigiana si è notevolmente ampliata,
essendo stata eliminata la qualifica della natura artistica ed usuale del bene (si ricomprendono tra
le imprese artigiane anche le imprese di costruzioni edili).
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Il punto fondamentale è che la legge dell’85 non afferma più che l’impresa artigiana è definita a
tutti gli effetti di legge, anzi, scopo della legge quadro è quello di delineare dei principi direttivi che
devono essere osservati nell’emanare norme volte a regolare la disciplina dell’artigianato.
Oggi perciò il riconoscimento della qualifica artigiana in base alla legge quadro non basta per
sottrarre l’imprenditore allo statuto dell’imprenditore commerciale. Servirà che sia rispettato il
principio di prevalenza dettato dall’art. 2083, e cioè che, per quanto riguarda l’esposizione al
fallimento, che non siano stati superati i limiti dimensionali dettati dall’articolo 1, secondo comma
della legge fallimentare. In mancanza di ciò, l’artigiano sarà considerato imprenditore non piccolo
ai fini civilistici e del diritto fallimentare (né costituisce ostacolo alla dichiarazione di fallimento il
riconosciuto carattere costitutivo dell’iscrizione nell’albo delle imprese artigiane).
La giurisprudenza è giunta poi ad affermare che l’imprenditore artigiano è soggetto al fallimento
quando ‘’egli abbia industrializzato la produzione, conferendo al suo guadagno i caratteri del
profitto’’.
Dunque, anche l’esonero delle imprese artigiane dal fallimento può dirsi cessato; in caso di
dissesto, fallirà come ogni altra società che esercita attività commerciale, se supera tali limiti
dimensionali.
Non è inoltre definibile come un’impresa civile piuttosto che un’impresa commerciale perché
difetta di industrialità. Oggi, l’imprenditore artigiano è un piccolo industriale che rientra
giuridicamente nella categoria degli imprenditori commerciali, come emerge anche dal fatto che
alcune attività esercitabili dall’impresa artigiana (come quella di trasporto) sono ricomprese nelle
fattispecie delineate nell’articolo 2195.
Sul piano della gestione, le decisioni in merito alla gestione straordinaria e alcune decisioni di
particolare rilievo devono essere prese a maggioranza dai familiari che partecipano all’impresa
stessa.
Il diritto di partecipazione è inoltre trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia
nucleare e con il consenso unanime di tutti i membri. È inoltre liquidabile in denaro qualora cessi
la prestazione di lavoro ed in caso di alienazione dell’azienda.
La disciplina dell’impresa familiare ha fatto sorgere una serie di interrogativi.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
In primis, se essa costituisca o meno una fattispecie di impresa individuale oppure di impresa
collettiva. Tende oggi a prevalere l’idea che l’istituto si inserisca in una particolare disciplina delle
prestazioni lavorative dei familiari dell’imprenditore, disciplina che ha un carattere strettamente
obbligatorio e che non altera la struttura individuale dell’impresa. Ne discende quindi che i diritti
patrimoniali dei partecipanti all’impresa familiare altro non sono che diritti di credito nei confronti
del familiare imprenditore.
Il silenzio dei dettami legislativi in ambito di gestione ordinaria deve far pensare che questi atti
siano di competenza esclusiva del solo imprenditore. Si deve inoltre ritenere che l’imprenditore
agisce nei confronti dei terzi in proprio e non in nome dell’impresa familiare, di modo che saranno
imputati solo a lui gli effetti degli atti posti in essere nell’esercizio dell’impresa e lui sarà l’unico
responsabile nei confronti dei terzi delle relative obbligazioni contratte. Infine, se l’impresa è
commerciale e non piccola, in caso di dissesto solo l’imprenditore sarà esposto al fallimento.
Categorie di imprenditori (distinzione per natura giuridica del soggetto titolare dell’impresa)
Tre sono le figure espressamente individuate dal legislatore: impresa individuale, impresa
societaria e impresa pubblica.
Anche questa distinzione incide sull’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore
commerciale. Principi parzialmente diversi si trovano quando titolare dell’azienda non è una
persona fisica ma una società o un ente pubblico.
L’impresa societaria
Le società sono le forme associative tipiche, ma non esclusive, previste dall’ordinamento per
l’esercizio collettivo di attività d’impresa. Esistono diversi tipi di società e la società semplice è
utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciali, mentre gli altri tipi di società possono
svolgere sia attività agricola sia attività commerciale (sono tipicamente note come società
commerciali). Si distingue perciò tra società commerciale con oggetto agricolo e società
commerciale con oggetto commerciale.
L’applicazione alle società commerciali degli istituti tipici dell’imprenditore commerciale segue
dinamiche parzialmente diverse rispetto a quelle viste per l’imprenditore individuale.
a) Parte della disciplina propria dell’imprenditore commerciale si applica alle società commerciali
qualunque sia l’attività da loro svolta. Il principio è espressamente enunciato per l’iscrizione al
registro delle imprese, ma deve ritenersi valido anche per la tenuta delle scritture contabili.
Resta invece fermo l’esonero delle società commerciali che gestiscono impresa agricola e delle
società commerciali che esercitano impresa commerciale (se non superano una certa soglia
dimensionale) dal fallimento e dalle procedure concorsuali.
b) Nelle società in nome collettivo ed in accomandita semplice parte della disciplina
dell’imprenditore commerciale trova applicazione solo (le norme che regolano l’esercizio
d’impresa da parte d’incapace) o anche (sanzione del fallimento, poiché il fallimento della
società porta in automatico anche al fallimento dei soci) nei confronti dei soci a responsabilità
illimitata
Le imprese pubbliche
Attività d’impresa può anche essere effettuata dallo stato e dagli altri enti pubblici. Vi possono
essere tre distinte tipologie di intervento da parte dello stato nell’economia:
1. Lo stato o altro ente pubblico territoriale possono svolgere direttamente attività d’impresa
avvalendosi di proprie strutture organizzative, dotate di più o meno ampia autonomia
decisionale e contabile (l’attività in questo caso è nota come secondaria ed accessoria rispetto
ai fini istituzionali dell’istituto à si parla in questi casi di imprese-organo)
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
2. La PA può inoltre dar vita ad enti di diritto pubblico il cui compito istituzionale esclusivo o
principale è l’esercizio di attività d’impresa à si parla in questi casi di enti pubblici economici.
Dall’inizio degli anni ’90 però, si è avviato il processo di privatizzazione degli enti pubblici
economici attraverso la loro trasformazione in società per azioni a partecipazione statale
(privatizzazione formale). In tempi più recenti è stata avviata la dismissione delle
partecipazioni pubbliche di controllo in molte società (privatizzazione sostanziale)
3. Lo stato o gli altri enti pubblici posso svolgere attività d’impresa mediante strutture di diritto
privato (attraverso tipicamente la costituzione di società per azioni à questo è il vasto settore
delle società a partecipazione pubblica)
Nei casi appena delineati, l’impresa si presenta formalmente come un’impresa societaria privata e
quindi soggiace alla disciplina dello statuto dell’imprenditore commerciale.
Regole peculiari sono dettate invece per gli enti pubblici economici e per gli enti titolari di
imprese-organo.
Gli enti sono sottoposti alla disciplina dello statuto generale dell’imprenditore e, ove commerciali,
dello statuto dell’imprenditore commerciale con il particolare esonero dal fallimento e dal
concordato preventivo, sostituiti dalla liquidazione coatta amministrativa o da altre procedure
previste per legge.
Per quanto riguarda le imprese-organo, l’articolo 2093 dispone che nei confronti di tali imprese si
debba applicare quanto disposto nel libro quinto limitatamente alle imprese da essi esercitate (nel
libro quinto è compresa anche la disciplina dell’impresa commerciale). Lo stesso articolo dichiara
poi che sono salve le diverse disposizioni di legge, e per le imprese-organo vi è l’esonero implicito
dall’iscrizione al registro delle imprese e dalle procedure concorsuali. Se ne deve desumere che gli
enti pubblici che svolgono attività commerciale sono sottoposti allo statuto generale
dell’imprenditore, nonché a tutte le restanti norme dettate per gli imprenditori commerciali tra
cui l’obbligo di tenere le scritture contabili.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Le organizzazioni che intendono avvalersi della qualifica di impresa sociale, devono costituirsi
mediante atto pubblico. In particolare, l’atto costitutivo deve:
a) Determinare l’oggetto sociale
b) Enunciare l’assenza di scopo di lucro
c) Indicare la denominazione dell’ente
d) Fissare requisiti e regole per la nomina dei componenti delle cariche sociali
e) Disciplinare le modalità di ammissione e di esclusione dei soci
f) Prevedere forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari dell’attività d’impresa.
L’atto costitutivo deve inoltre prevedere una serie di controlli fondato sulla distinzione fra
controllo contabile affidato ad uno o più revisori ed il controllo di legalità della gestione e sul
rispetto dei principi di corretta amministrazione (riservato ad uno o più sindaci).
Le imprese sociali sono assoggettate anche a forme di controllo esterno da parte del Ministero del
lavoro, che può ordinare delle ispezioni. Se rileva l’assenza delle condizioni per il riconoscimento o
riscontra violazioni della relativa disciplina, può cancellare l’impresa dal registro e obbligarla a
devolvere il patrimonio ad enti non lucrativi.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 3
• Bimbo di 12 mesi, ha uno zio che aveva un ristorante e che ad un certo punto muore. Lo zio
lascia il ristorante al bambino, e i suoi genitori decidono di portare avanti questo ristorante,
richiedendo l’autorizzazione da parte del giudice tutelare. Chi è in questo caso l’imprenditore?
Sono i genitori ad esercitare l’attività, a primo impatto. In realtà, l’imprenditore è il bimbo.
• Avvocato di successo, compra un vigneto in toscana e produce vino. Trova un enologo che per
lui produca vino poiché l’avvocato non può quasi mai andare in toscana e gli da la gestione del
vigneto. Chi è in questo caso l’imprenditore? È l’avvocato
• Imprenditore individuale, consigliato dal suo fiscalista, crea una S.R.L. unipersonale,
l’imprenditore è unico socio e amministratore, conferisce alla società la sua vecchia impresa
ma continua a fare ciò che faceva prima. Chi è in questo caso l’imprenditore? L’S.R.L.
• Un imprenditore qualche anno fa è fallito, ma vuole ripartire aprendo una piccola catena di
negozi di distribuzione alimentare. Prende un suo conoscente nullatenente, e si mette
d’accordo con lui per aprire l’attività a suo nome, intestandosi tutti i contratti d’affitto ecc. e a
fine anno chiede soldi all’ex fallito per mandare avanti l’impresa oppure distribuisce gli utili
all’ex fallito. Chi è in questo caso l’imprenditore? Il prestanome
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Con il contratto di mandato, il mandante conferisce al mandatario il potere di compiere atti per il
mandante, il mandatario si assume l’obbligo di fare e il mandante si assume l’obbligo di provvista
nei confronti del mandatario. È un contratto bilaterale sinallagmatico di fare.
Il mandato può avere due varianti: mandato con o senza rappresentanza (artt. 1704 e ss.).
Nel mandato senza rappresentanza, il mandatario non ha il potere di spendere il nome del
mandante e quindi compie atti per il mandante, ma li fa con il suo nome. L’effetto del mandato è
che poi il mandatario debba compiere un contratto di trasferimento degli effetti del contratto
stipulato verso il mandante.
Nel mandato con rappresentanza, il mandante concede anche il potere di spendere il proprio
nome, e gli atti compiuti dal mandatario si producono direttamente in capo al mandante.
Per vedere su chi si producono effetti giuridici, non bisogna vedere se quest’atto è stato compiuto
o meno nei suoi interessi, ma bisogna vedere se l’atto è stato compiuto a suo nome da un
soggetto che abbia questo potere (criterio formale della spendita del nome). Lo stesso risultato si
ha quando si ha un’attività, come l’attività d’impresa. Quando i genitori assumono un nuovo
cameriere, spendono il nome del minore, in quanto i genitori sono stati autorizzati dal giudice ad
agire in nome e per conto del minore.
Se v’è quindi dissociazione tra il soggetto che ha interessi e il soggetto che esercita, l’imprenditore
è colui in nome del quale viene svolta l’attività.
Altro passo in avanti è la teoria dell’imprenditore occulto, volta ad individuare come vero
imprenditore colui che si occulta dietro ad un ‘’paravento’’. Non solo il dominus è responsabile
con il prestanome, ma fallirà sempre e comunque qualora fallisca il prestanome.
L’art. 147 della legge fallimentare disciplina che quando si scopre che un’attività che fallisce è
frutto di una attività societaria con un socio occulto, fallisce non solo la società, ma anche il socio
occulto (il dominus) à fallimento di socio occulto di società palese.
L’articolo estende questo principio per analogia anche all’ipotesi in cui i soci abbiano occultato
l’esistenza stessa della società di persone, e cioè quando un imprenditore si presenta ai terzi come
imprenditore individuale quando ha dietro di sé più soci occulti. Si parla in questo caso di socio
occulto di una società occulta.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Proseguendo per via interpretativa, oltre al fallimento del dominus, fallisce chiunque domini
un’impresa a lui formalmente non imputabile.
È affermata inoltre la responsabilità del socio tiranno in una S.p.A., ovvero di quell’azionista che
usa l società come cosa propria e ne dispone a proprio piacimento con disprezzo per le regole
societarie.
È affermata anche la responsabilità dei soci sovrani, cioè di quegli azionisti che, pur rispettando le
regole di funzionamento, dominino di fatto l’impresa in virtù del possesso di un pacchetto
azionario di controllo.
Queste società sono società di persone e sono soggette a fallimento per estensione (responsabilità
illimitata). Questo principio nasce quindi da questa legge, e si dichiara che questo principio debba
esistere anche quando non vi è un rapporto societario ma un mandato senza rappresentanza e
quindi anche quando il soggetto occulto è il vero imprenditore, che si nasconde dietro un
prestanome.
In realtà, questa teoria non ha riscosso molto successo e questo principio non si applica.
Nonostante ciò, pur senza qualificare l’ex fallito come imprenditore, si può addossare al mandante
che non ha dato rappresentanza una responsabilità anche nei confronti di terzi che sono derivanti
dall’attività esercitata dal mandatario.
Queste tesi non hanno riscosso molto successo poiché fanno leva su due criteri generali di
imputazione dei debiti d’impresa: la prima sul criterio formale della spendita del nome e la
seconda sul criterio sostanziale del potere di direzione. È proprio quest’ultima idea a non poter
essere condivisa, in quanto farebbe ricadere sul dominus la qualifica di imprenditore. In sostanza,
il potere di gestione non è legato indissolubilmente alla responsabilità illimitata del soggetto, e ciò
lo si evince sia dal diritto societario sia dal diritto fallimentare. La teoria dell’imprenditore occulto
fonda infatti tale connessione su un dato analogico, passando per analogia al fallimento
dell’imprenditore occulto. Nell’ambito del fallimento di socio occulto in società palese, il socio
fallisce poiché la società è una società di persone ed è soggetta al fallimento per estensione
(responsabilità illimitata). Nel fallimento del socio occulto di società occulta, vi è una deroga al
principio della spendita del nome, giustificato dal fatto che i soci intendono limitare la propria
responsabilità. Ma anche in questo caso i soci sono soggetti a fallimento poiché fanno parte di una
società di persone.
È però estraneo dall’applicazione del 147 l’ipotesi di affermare la responsabilità del dominus nel
caso in cui l’impresa sia gestita sotto altrui nome, poiché l’articolo circoscrive il fallimento dei soci
illimitatamente responsabili a tre ipotesi: società in nome collettivo, in accomandita semplice e in
accomandita per azioni.
In sostanza, tra imprenditore occulto ed imprenditore palese non esiste alcun tipo di società,
poiché nel rapporto che si instaura tra questi soggetti mancano tutti gli elementi costitutivi del
contratto di società.
Il dominio di fatto su un’impresa individuale o societaria, formalmente imputabile ad altro
soggetto, non implica di per sé responsabilità illimitata per i debiti d’impresa. Nonostante ciò,
bisogna reprimere in tutti i modi possibili gli abusi dello schermo societario. Vari rimedi sono stati
introdotti con la riforma del diritto societario e con la riforma del diritto fallimentare, e diverse
tecniche sono state usate per affermare l’esposizione al fallimento e la responsabilità formale di
chi abusi della posizione di dominio su una società di capitali.
La tecnica prevalente è quella dell’impresa fiancheggiatrice à i soci (soci tiranni) che hanno
abusato dello schermo societario risponderanno come titolari di un’autonoma impresa per le
obbligazioni da loro contratte nello svolgimento dell’attività fiancheggiatrice.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
L’inizio dell’attività d’impresa inizia con gli atti di organizzazione, in quanto in questo caso già
iniziano a sorgere degli interessi imprenditoriali meritevoli di tutela (trascrizione nelle scritture
contabili di questi atti). La stabile organizzazione (affitto dei locali ecc.) è già indice non equivoco
di attività d’impresa. Inoltre, anche gli atti di organizzazione determineranno l’acquisto delle
qualità di imprenditore quando, per il loro numero e/o per la loro significatività, manifestano lo
stabile orientamento dell’attività verso un determinato fine produttivo.
Per l'imprenditore individuale era pacifico che la qualità di imprenditore si perdesse solo con
l'effettiva cessazione dell'attività (principio di effettività), per le società il punto era invece più
controverso (il dibattito verteva sull’art. 10 della legge fallimentare à con le riforme del 2006 e
del 2007, questa disposizione è stata riformata).
L’articolo 10 prevedeva che l’imprenditore commerciale potesse essere dichiarato fallito entro un
anno dalla cessazione dell’impresa. Bisogna inoltre tenere ben presente che la fine dell’impresa è
di norma preceduta da una fase di liquidazione durante la quale l’imprenditore completa i cicli
produttivi iniziati, vende le giacenze e gli impianti, licenzia i dipendenti e definisce i rapporti
pendenti.
Nessuno dubitava che la fase di liquidazione (regolata per le società ma non per l'imprenditore
individuale) costituisse ancora esercizio dell'impresa e che perciò la qualità di imprenditore si
perdesse solo con la chiusura della liquidazione (la fase liquidativa può ritenersi chiusa solo con la
definitiva disgregazione del complesso aziendale, che rende definitiva ed irrevocabile la
cessazione). Il problema è che la giurisprudenza riteneva che per l’imprenditore individuale non
fosse necessaria la completa definizione dei rapporti sorti durante l’esercizio di impresa (non era
necessario che avvenisse la riscossione completa di tutti i crediti e il pagamento dei debiti).
Per le imprese societarie, chi riteneva che le società diventassero imprese per effetto della sola
costituzione affermava al contempo che esse perdessero tale qualità con la cancellazione dal
registro delle imprese. La cancellazione avrebbe presupposto non solo la disgregazione
dell’azienda ma anche l’integrale pagamento delle passività e la definizione dei rapporti tra i soci.
In sostanza, anche qualora una società fosse stata cancellata dal registro, essa era da ritenersi
esistente ed esposta al fallimento fin quando non fosse pagato l’ultimo debito. Una società poteva
dichiararsi fallita anche a distanza di anni dalla cancellazione dal registro delle imprese e l’articolo
10 della legge fallimentare si rendeva di fatto inapplicabile.
Il nuovo articolo 10 della l. fall. dispone che gli imprenditori individuali possono essere dichiarati
falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese.
Al momento quindi, la cancellazione dal registro delle imprese è condizione necessaria affinché
l’imprenditore benefici del termine annuale per la dichiarazione di fallimento (il debitore non può
dimostrare di aver cessato l’attività prima della cancellazione per anticipare il decorso di tale
termine). Dunque, le società irregolari (non iscritte nel registro) e le società occulte possono
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
essere dichiarate fallite senza limite di tempo finché sussistono debiti insoluti e l’imprenditore è
esposto al fallimento fin quando non ha estinto tutti i debiti d’impresa.
Per gli imprenditori persone fisiche e le società cancellate d’ufficio, oltre alla cancellazione, è
necessaria l’effettiva cessazione dell’attività d’impresa, mediante la disgregazione del complesso
aziendale. Altrimenti, il termine annuale non decorre.
Incapacità e incompatibilità
La capacità all’esercizio di attività di impresa si acquista con la piena capacità di agire e quindi al
compimento del diciottesimo anno di età. Si perde in seguito ad interdizione o inabilitazione.
La capacità di agire è presupposto fondamentale per l’acquisto della qualifica di imprenditore (il
minore che ha occultato la sua minore età non diventa imprenditore, anche se i contratti conclusi
non sono annullabili).
Non costituiscono limitazioni della capacità di agire, ma semplici incompatibilità, i divieti di
esercizio di impresa commerciale posti a carico di coloro che esercitano determinati uffici o
professioni (impiegati civili dello Stato, avvocati, notai). La violazione di tali divieti non
preclude l'acquisto della qualità di imprenditore commerciale, ma espone solo a sanzioni
amministrative e ad un aggravamento delle sanzioni penali per bancarotta in caso di fallimento.
Non impedisce l'acquisto o il riacquisto della qualità di imprenditore commerciale l'inabilitazione
temporanea all'esercizio di attività commerciale che consegue alla condanna per bancarotta o per
ricorso abusivo al credito in caso di fallimento.
In nessun caso è consentito l’inizio di una nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse del
minore. Quando questi acquista, per successione o donazione, una preesistente azienda
commerciale, il rappresentante legale può essere autorizzato dal tribunale a continuare l’esercizio
d’impresa. Avvenuta l’autorizzazione definitiva, il rappresentante è legittimato a compiere tutti gli
atti che rientrano nell’esercizio dell’impresa, siano essi di ordinaria o straordinaria
amministrazione. (per l’interdetto vale lo stesso tipo di disciplina)
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Il minore emancipato può essere autorizzato dal tribunale anche ad iniziare ex novo un’impresa
commerciale, e mediante questa autorizzazione acquista piena capacità di agire.
Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno conserva invece capacità di agire per tutti gli atti
che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministratore di sostegno. Egli
potrà quindi iniziare o continuare l’attività di impresa senza assistenza, salvo che il giudice non
disponga diversamente.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 4
Pubblicità commerciale
Gli imprenditori e coloro che operano sul mercato avvertono l’esigenza di poter disporre di
informazioni veritiere e non contestabili su fatti e situazioni delle imprese con cui entrano in
contatto. Per le imprese commerciali (e più in generale per le imprese che hanno una struttura
societaria) vi è l’introduzione di un sistema di pubblicità legale. È dunque previsto l’obbligo di
rendere di pubblico dominio determinati atti e fatti della vita dell’impresa, secondo forme e
modalità dettate ex lege. In questo modo, le informazioni non sono solo accessibili ai terzi
interessati, ma possono essere opponibili a chiunque gli atti o fatti resi in tal modo conoscibili
(conoscibilità legale)
Art 2195
‘’Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione, nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano:
1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi [2135];
2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni [2203];
3) un'attività di trasporto per terra [1678], per acqua o per aria;
4) un'attività bancaria [1834] o assicurativa [1882, 1883];
5) altre attività ausiliarie delle precedenti [1754].
Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si
applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese
che le esercitano’’
(Questa definizione non è esaustiva, ci sono anche attività commerciali che si possono definire tali
al di fuori di questo elenco e sono tutti quei casi in cui l’imprenditore svolge attività non agricola.)
Art 2188 à
Registro delle imprese, è un registro pubblico10 ed è lo strumento di pubblicità legale delle
imprese commerciali non piccole e delle società commerciali. Era stato previsto già nel ’42, ma è
rimasto privo di applicazione per oltre 50 anni. In questo periodo di transizione è stato utilizzato il
così detto regime transitorio, dove l’iscrizione era prevista nei registri di cancelleria ed era un
sistema che operava solo per le società commerciali e per i consorzi con attività esterna. Il registro
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Altri registri pubblici sono i registri immobiliari, (servono ad evitare conflitti sulle tempistiche di registrazione del
contratto e dare certezza ad un atto o fatto giuridico, mediante una serie di regole che possono cambiare a seconda
dei casi), i registri dei titoli e dei brevetti (solo chi registra per primo dà titolarità al marchio rispetto ai terzi).
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
delle imprese diventa realmente operante a partire dal 1997, ponendo fine al regime transitorio e
aggiungendo dei correttivi e delle novità rispetto al sistema delineato nel ’42:
1. L’iscrizione al registro delle imprese è stata estesa anche agli imprenditori agricoli
(pubblicità legale), ai piccoli imprenditori e alle società semplici (mera pubblicità notizia).
2. La tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio, e non più alle
cancellerie dei tribunali.
3. È tenuto con tecniche informatiche, e non più in forma cartacea.
L’ufficio del registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso le camere di commercio
ed è retto da un conservatore nominato dalla giunta.
Il registro è articolato in una sezione ordinaria e in sezioni speciali.
Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori per i quali l’iscrizione nel registro delle imprese
era originariamente prevista dal codice:
1. Imprenditori individuali commerciali non piccoli (art. 2195)
2. Tutte le società tranne la società semplice (anche se non svolgono attività commerciale)
3. I consorzi fra imprenditori con attività esterna
4. I gruppi europei di interesse economico con sede in Italia
5. Gli enti pubblici che hanno per oggetto un’attività commerciale
6. Le società estere che hanno in Italia l’oggetto principale della loro attività
7. Le reti di imprese dotate di soggettività giuridica
Vi sono poi varie sezioni speciali:
1. Sezione speciale degli imprenditori agricoli e dei piccoli imprenditori (nella stessa sezione
sono annotati anche gli imprenditori artigiani e le società semplici; N.B. gli artigiani non
qualificabili come piccolo imprenditori sono iscritti nella sezione ordinaria come
imprenditori commerciali)
2. Sezione speciale delle società tra professionisti (es. società tra avvocati)
3. Sezione speciale dei soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento
4. Sezione speciale delle imprese sociali
5. Sezione speciale degli atti di società di capitali in lingua straniera
6. Sezione speciale delle start-up11 innovative e degli incubatori certificati
I fatti e gli atti da registrare sono specificati da una serie di norme e sono differenti a seconda della
struttura soggettiva dell’impresa. Riguardano essenzialmente gli elementi di individuazione
dell’imprenditore e dell’impresa, nonché la struttura e l’organizzazione della società (sono posi
soggette a registrazione anche le modifiche di tutti questi atti). Non è consentita l’iscrizione di atti
non previsti dalla legge à tipicità delle iscrizioni
Le imprese pongono in essere atti giuridici verso terzi in un mercato che ha bisogno di certezza di
alcuni atti o fatti posti in essere dalle imprese. In questo registro, vengono trascritte notizie che
riguardano atti giuridici e rispetto ad altri registri, ha la caratteristica strutturale dell’iscrizione non
solo di vicende giuridiche ma anche dei soggetti à imprenditori commerciali (e ciò è imposto dalla
legge). Oltre ai soggetti, ha ad oggetto la trascrizione di atti giuridici che riguardano gli
imprenditori.
Le iscrizioni devono essere fatte nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa ha sede.
11
Società di capitali e cooperative costituite da non più di 4 anni aventi ad oggetto lo sviluppo, la produzione e la
commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Prima di procedere all’iscrizione, l’ufficio del registro deve controllare che il fatto o l’atto è
soggetto a iscrizione e che la documentazione è formalmente regolare, nonché l’esistenza e la
veridicità dell’atto o del fatto (legalità formale). È invece da escludersi che il controllo possa
riguardare anche la validità dell’atto (legalità sostanziale) e che quindi l’ufficio possa rilevare
eventuali cause di nullità dello stesso.
L’iscrizione è eseguita entro 10 giorni dalla data di protocollazione della domanda. Contro il
provvedimento motivato di rifiuto dell’iscrizione, il richiedente può ricorrere entro 8 giorni al
giudice del registro, che provvede con decreto. Contro tale decreto può essere proposto ricorso in
tribunale.
L’inosservanza dell’obbligo di registrazione è punita con sanzioni amministrative pecuniarie e con
sanzioni indirette.
Es. Tizio inizia un’attività di impresa e Alfa SRL viene costituita. La nascita dell’esistenza di
un imprenditore fa sorgere l’obbligo di iscrizione al registro delle imprese (e non
viceversa). Iscriversi al registro vuol dire fornire i dati essenziali dell’imprenditore (dov’è
nato, dov’è domiciliato, dove svolge la sua attività ecc.).
Nel fascicolo invece si depositano gli atti successivi (es. atto costitutivo, delibera nuovo
amministratore ecc.). In questo modo i terzi possono comprendere come agire, e se
dovessero fare un contratto d’appalto possono sapere con chi trattare consultando il
registro mediante una Visura Camerale, e cioè scarico la pagina del registro che mi
interessa.
Per questi atti, serve una forma particolare, che è la forma autentica pubblica.
• Meccanismo giuridico che regola gli effetti dell’iscrizione nel registro delle imprese:
Inserimento della descrizione di quell’ atto/fatto nel registro. Per inserirlo, bisogna fare
una richiesta mediante un deposito, ovvero inviare la domanda di iscrizione allegando il file
con i dati che devono essere recepiti.
L’efficacia giuridica di questa iscrizione è di tre tipi e vale per gli atti iscritti nella sezione
ordinaria:
1. Efficacia dichiarativa à art. 219312 regola di tutti gli atti iscritti nel registro delle
imprese. à intervenuta la registrazione, i terzi non potranno eccepire l’ignoranza
del fatto o dell’atto scritto e qualsiasi prova al riguardo daranno, sarà inutilmente
data. L’omessa iscrizione invece impedisce che il fatto possa essere opposto a terzi
(efficacia negativa)
Es. S.r.l. che ha un amministratore unico con ampi poteri. Litiga con il vecchio
fondatore, che decide di revocarlo. Il vecchio amministratore va nella
concessionaria e compra una Ferrari con il blocchetto della società. Ma poiché era
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I fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione, se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è
obbligato a richiederne l'iscrizione, a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
3. Efficacia normativa à l’iscrizione nella sezione ordinaria, pur non avendo effetti di
pubblicità costitutiva, è presupposto per la piena applicazione di un determinato
regime giuridico (società in nome collettivo ed in accomandita semplice). Tali
società esistono anche se non registrate, ma la mancata iscrizione impedisce che
esse operino in regime di autonomia patrimoniale.
Per quanto riguarda la sezione speciale invece, l’iscrizione ha una funzione di certificazione
anagrafica e di pubblicità notizia (non ha particolari effetti giuridici).
Questa disciplina è stata recentemente modificata per la categoria degli imprenditori agricoli
(anche piccoli), e per le società aventi ad oggetto attività agricola, imponendo che l’iscrizione nella
sezione speciale ha anche effetti di pubblicità legale.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
È regola generale che il conferimento ad altro soggetto dell’incarico di compiere uno o più atto
giuridici relativi alla propria sfera patrimoniale non abilita di per sé l’incaricato ad agire in nome
dell’interessato. Per far ciò è necessario l’espresso conferimento del potere di rappresentanza
mediante la procura. Il terzo che contratta con il rappresentante è tenuto perciò ad accertare
esistenza, contenuto e regolarità formale della procura, esigendo che il rappresentante giustifichi i
suoi poteri.
• Aldo e Giovanni, due fratelli. Aldo è al terzo anno di economia e Giovanni al secondo di
giurisprudenza. Aldo ha un motorino che affida a suo fratello per venderlo, ma vuole
sapere a quanto lo rivenderà. Giovanni trova un acquirente che vuole dargli 1500 euro,
un certo Giacomo. Concludono un contratto, in cui il motorino di Aldo viene venduto a
Giacomo per 1500 euro in contanti. Aldo torna a Milano, Giovanni gli fa la sorpresa ma
Aldo non vuole più vendere il motorino. Va da Giacomo e pretende indietro il motorino,
restituendogli il denaro.
Nell’esercizio dell’attività di impresa subentra una nuova tutela, ovvero quella velocità degli
scambi commerciali che supera il principio della tutela della proprietà.
• F.lli Brambilla, falegnameria e Hotel Lario S.p.a., proprietaria di due hotel sul lago di
Como (x e y). Il consiglio di amministrazione ha nominato un direttore generale degli
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
alberghi. Un giorno, il direttore ritiene che sia arrivato il momento di rifare gli
arredamenti, e contatta i f.lli Brambilla che gli fanno un prospetto per 80 camere da
20.000 euro ciascuna (appalto da 1.5 MLN di euro). Firmano un contratto che prevede
una caparra di 200.000 per attivare, un ‘altra caparra di 400.000 e la consegna in
ottobre. In ottobre, sono pronti a consegnare. Il direttore ha sentito la proprietà e il
consiglio di amministrazione, sono sorti dei dissidi e il presidente del consiglio di
amministrazione va dai Brambilla comunicando loro che il direttore non aveva poteri
per poter stipulare questo tipo di contratto, poiché non ha ricevuto nessuna procura, e
non riconoscono vincolante il contratto.
Si creano quindi delle regole ad hoc per la rappresentanza in attività di impresa, che prende il
nome di rappresentanza commerciale. Coloro che nell’attività di impresa hanno delle funzioni che
presuppongono dei rapporti con terzi hanno in dotazione automaticamente la rappresentanza
dell’imprenditore per stipulare contratti che asseriscono a quella funzione. È un effetto naturale
della loro collocazione nell’impresa ad opera dell’imprenditore. Chi conclude affari con uno degli
ausiliari, dovrà solo verificare se l’imprenditore ha modificato i loro naturali poteri rappresentativi,
e non se la rappresentanza è stata loro conferita.
È un insieme di regole che si applicano agli imprenditori commerciali (non piccoli) che definiscono
tre nozioni di rappresentanti di impresa (ausiliari interni) e danno a queste tre figure diversi poteri:
Per quanto riguarda la rappresentanza processuale, può stare in giudizio sia come attore
che come convenuto per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio
dell’impresa a cui è preposto (atti compiuti non solo da lui, ma anche per quelli posti in
essere direttamente dall’imprenditore)
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
2. Procuratore à coloro che hanno rapporti continuativi con i terzi e in base a ciò abbiano il
potere di compiere atti pertinenti all’esercizio d’impresa pur non essendo preposti ad esso.
Sono di grado inferiore all’institore poiché non sono posti a capo dell’impresa e il loro
potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo dell’impresa
(direttore settore acquisti ecc.).
I procuratori sono quindi dotati di un potere generale di rappresentanza limitatamente alla
specie di operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale.
Non sono invece richiamate le altre disposizioni dettate per l’institore.
3. Commessi à coloro che sono preposti alla vendita al dettaglio di prodotti nei negozi. Per
questa loro posizione, è riconosciuto ai commessi il potere di rappresentanza anche in
mancanza di specifico atto di conferimento. È però un potere estremamente limitato, in
quanto essi possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni
di cui sono incaricati.
Scritture contabili
Normalmente, le persone fisiche non tengono una contabilità analitica del proprio patrimonio.
Per le imprese, si introducono delle regole per tutte le imprese commerciali (non piccole) che sono
obbligate a tenere le scritture contabili (art. 2214) e a comporre il bilancio. Questo è volto a
garantire una costante informazione ed un costante controllo sull’andamento degli affari.
È fisiologico per l’impresa indebitarsi, è insito nella nozione di capitale (capitale proprio e capitale
altrui). Chi presta capitale, riesce a ottenere tassi di interesse vantaggiosi, mentre all’imprenditore
conviene prendere denaro a prestito in quanto ritiene che gli costi di meno rispetto alla
remunerazione che riesce a ottenere reinvestendo questo capitale.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Colui che si assume il rischio è l’imprenditore, che perde tutto in caso di insolvenza. Vero è che se
perde il capitale proprio, rischia anche di non poter restituire il capitale altrui. L’impresa fallisce
quando non riesce a risarcire tutti i debiti contratti. L’ammontare dei debiti coincide con il valore
delle obbligazioni che può risarcire con gli assets (assets-debiti= patrimonio netto).
Quando il patrimonio netto è uguale a zero, vuol dire che riesco a pagare perfettamente i debiti
con gli assets, ma non ottengo remunerazione alcuna.
Se il patrimonio netto è negativo, sono un debitore insolvente e si apre la procedura concorsuale.
Il rischio impone una corretta gestione dei conti in modo che in qualsiasi momento coloro che si
devono soddisfare sull’impresa possano avere una raffigurazione contabile del patrimonio
dell’impresa. Questa raffigurazione serve anche all’imprenditore per monitorare l’andamento
dell’impresa. Se l’imprenditore fallisce, e non ha tenuto le scritture contabili, si parla di bancarotta
fraudolenta.
Se l’impresa è organizzata in forma societaria, vi è l’interesse dei soci nel tenere le scritture
contabili nell’ambito della liquidazione dei dividendi a fine anno.
L’articolo 2214 pone il principio generale che l’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili
richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Stabilisce inoltre determinati libri contabili
che devono essere sempre tenuti dall’impresa: libro giornale e libro degli inventari. Devono inoltre
essere conservate per ciascun affare gli originali della corrispondenza commerciale ricevuta e le
copie di quella spedita.
Le scritture contabili sono una raffigurazione del reale. Esiste la realtà, cioè i fatti, che viene
tradotta in scritture contabili che danno una rappresentazione aderente al vero della realtà
(raffigurazione numerica dei fatti dell’impresa. Questa raffigurazione si basa su due approcci:
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Art. 2217 ‘’Nelle valutazioni di bilancio l'imprenditore deve attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci
delle società per azioni, in quanto applicabili [2425].’’
Il legislatore non si accontenta di obbligare l’imprenditore a comporre il bilancio, ma anche come
comporre questo bilancio per le società per azioni, con norme che fissano sia il contenuto del
bilancio sia i criteri che devono essere seguiti nella valutazione delle singole voci.
Il rinvio sancito dall’articolo 2217 secondo comma ha carattere globale e perciò tutti gli
imprenditori devono osservare, per quanto possibile, anche le disposizioni che disciplinano il
contenuto del bilancio delle S.p.A.
Per tutti gli imprenditori comunque, il cc recupera dalla specificazione della società per azioni i
criteri di valutazione. L’imprenditore ha comunque facoltà di scegliere come strutturare il bilancio,
rifacendosi ai criteri della società per azioni.
Il principio generale sancito dall’articolo 2214 imporrà poi nel caso concreto la tenuta di tutte le
altre scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa:
Libro mastro: le singole operazioni sono registrate non cronologicamente ma sistematicamente
Libro cassa: entrate e uscite di denaro
Libro magazzino: entrate e uscite di merci
La scelta delle altre scritture da tenere è rimessa alla discrezionalità dell’imprenditore, sia pure nei
limiti segnati dalle norme. Nella pratica però, questo principio è puntualmente disatteso e in sede
fallimentare si chiude spesso un occhio, dato che il precetto legislativo si ritiene soddisfatto
purché siano state tenute il libro giornale, il libro inventario e la corrispondenza commerciale.
Per garantire la loro veridicità, sono stabilite delle regole formali e sostanziali nella loro tenuta.
Le regole formali sono state progressivamente diminuite à i libri devono solo essere numerati
progressivamente (prima vi erano vidimazione e bollatura, ora soppresse)
Vi sono alcune norme che impongono il carattere formale di tenuta. Hanno grande rilevanza
pratica, si evolvono nel tempo (dal cartaceo all’elettronico) e consistono nel tenere le scritture
secondo le norme di una ordinata contabilità (senza spazi in bianco ecc.).
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Queste scritture non sono di regola soggette ad un controllo esterno, ma a partire dal 1975 la
contabilità delle società per azioni quotate in borsa è sottoposta ad un controllo esterno da parte
delle società di revisione. Tale controllo è stato poi esteso nel 2003 anche alle società per azioni
non quotate e a numerose altre imprese.
L’obbligo di tenuta delle scritture non è soggetto ad alcuna sanzione generale e diretta, ma non
mancano sanzioni eventuali ed indirette (l’imprenditore che non tiene regolarmente le scritture
private non può utilizzarle come mezzo di prova a proprio favore ed è assoggettato alle sanzioni
penali per i reati di bancarotta semplice o fraudolenta in caso di fallimento)
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 5
L’azienda è quindi solo insieme di beni (materiali) o è anche insieme di tutti questi altri cespiti?
La risposta più sensata dovrebbe essere la seconda, ma dal punto di vista giuridico la risposta non
può essere data senza tener conto della disciplina verso cui è data questa nozione.
Ha più senso interpretare la nozione in funzione del suo scopo, e cioè per poter meglio disciplinare
le regole che seguono. Queste regole danno per scontato che non sia necessario, bensì naturale,
che con un trasferimento d’azienda non si trasferiscano anche debiti, crediti e contratti.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Ne deve quindi conseguire la soluzione prevalente, secondo la quale l’azienda, in senso stretto, è
costituita esclusivamente dai beni. Possono aggiungersi anche gli altri rapporti giuridici, ma se
anche non ci fossero, rimane azienda.
La teoria atomistica concepisce invece l’azienda come una semplice pluralità di beni tra loro
funzionalmente collegati e sui quali l’imprenditore può vantare diritti diversi. Si esclude quindi che
esista un bene ‘’azienda’’ formante oggetto di autonomo diritto di proprietà o di altro diritto reale
unitario.
In sostanza, l’unificazione giuridica dei beni aziendali è solo relativa e funzionale, dato che per il
trasferimento del complesso aziendale dovranno necessariamente essere osservate le forme
stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda.
La concezione atomistica si lascia preferire come scelta di base
Considerare inoltre l’azienda un’universalità di beni non offre argomenti per concepire la stessa
come un bene nuovo ed unitario né consente alcuna sicura integrazione della disciplina
dell’azienda. Norme specifiche sono infatti dettate solo per le universalità di mobili ex art. 816, ma
si può applicare questa disciplina all’azienda?
Un’applicazione diretta è certamente da escludere, poiché l’azienda è di norma composta da beni
eterogenei (immobili e mobili) e che possono non essere di proprietà dell’imprenditore.
Si potrebbe ammettere un’applicazione della disciplina in via analogica, e che quindi
analogamente alle universalità di mobili, l’insieme dei beni aziendali sia sottratto alla regola
‘’possesso vale titolo’’, possa essere acquistato per usucapione mediante un possesso protratto
per 20 anni e il titolare dell’azienda possa avvalersi dell’azione di manutenzione anche per tutelare
il possesso dei beni aziendali.
Trasferimento dell’azienda
L’ordinamento non dice come deve essere organizzata o composta l’azienda ma si preoccupa solo
di un aspetto à il suo trasferimento.
L’azienda può infatti formare oggetto di atti di diversa natura (venduta, conferita in società ecc.).
L’imprenditore può anche compiere atti di disposizione che riguardino uno o più beni aziendali.
È importante quindi stabilire se un determinato atto di disposizione sia da qualificare come
trasferimento di azienda o di singoli beni aziendali, poiché solo nel primo caso potrà trovare
applicazione la disciplina ricollegata alla circolazione di un complesso aziendale.
La qualificazione di una data vicenda circolatoria deve essere operata mediante criteri oggettivi, e
cioè guardando al risultato perseguito e realizzato e non al nomen dato al contratto dalle parti.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
È altrettanto pacifico che, per aversi un trasferimento dell’azienda, non è necessario che l’atto
comprenda l’intero complesso aziendale e si rimane nell’ambito della disciplina del trasferimento
di azienda anche quando l’imprenditore trasferisca solo un ramo particolare dell’azienda, purché
dotato di organicità operativa.
Necessario e sufficiente è che sia trasferito un insieme di beni di per sé potenzialmente idoneo ad
essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività di impresa.
Accertati i fattori oggettivi, l’atto di disposizione comprenderà tutti i beni presenti in quel dato
momento nell’azienda, anche se non specificatamente menzionati in contratto. Naturalmente, i
beni passeranno all’acquirente nella medesima situazione giuridica in cui si trovavano presso il
trasferente, se nulla è pattuito a riguardo.
Art. 2556 à ‘’Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il
trasferimento della proprietà o il godimento dell'azienda devono essere provati per iscritto, salva
l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono
l'azienda o per la particolare natura del contratto.
I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono
essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del
notaio rogante o autenticante.’’
Per la validità del contratto del trasferimento d’azienda, si ha libertà di forma, tant’è che un
trasferimento può avvenire anche in forma orale. Sono validi solo se stipulati con l’osservanza
delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o
per la particolare natura del contratto.
Per le sole imprese soggette a registrazione è previsto che ogni atto dell’azienda sia provato per
iscritto.
Infatti, la forma è richiesta ad probationem, quindi ai soli fini processuali, chi ha l’onere della prova
di dimostrare la validità e l’esistenza del contratto non può avvalersi di testimoni, ma ha bisogno
della prova scritta (oppure deferire il giuramento all’avversario).
Può essere che il contratto con cui io realizzo questo schema sia per sua natura un contratto che
richiede una determinata forma (es. donazione, richiede la forma pubblica ad substantiam),
oppure che l’azienda contenga dei beni che hanno bisogno di forme particolari (es. beni immobili,
il trasferimento richiede l’atto scritto ad substantiam)
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Per quanto riguarda la pubblicità, i contratti, redatti per atto pubblico o per scrittura privata,
devono essere depositati per l'iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di 30 giorni, a cura
del notaio rogante o autenticante.
Vendita dell’azienda
SRL Alfa, ha un ristorante a Roma, uno a Milano e uno a Napoli.
Poi vi è una SPA Beta, che ha un ristorante a Milano ma vuole espandersi.
Concludono un contratto di trasferimento, con il quale Alfa vende l’insieme dei beni del ristorante
a Milano sotto il corrispettivo pagamento di un prezzo, ma non vende i muri di questo ristorante,
in quanto i muri sono di proprietà di un terzo, il quale aveva concluso con Alfa il contratto di
locazione.
Alfa aveva inoltre aperto con la banca una apertura di credito, tramite la quale operava con un
fido di cassa, e tutte le esigenze di cassa erano regolate giorno per giorno.
Aveva un contratto con un bravissimo fornitore di vini, in modo che il ristorante di Milano fosse
sempre fornito di grandi varietà di vini.
Aveva un contratto con 3 circoli della Rotari, in modo che per due pranzi ed una cena il locale era
pieno in cui aveva questi individui che gli riempivano il locale.
Questo ristorante aveva anche diversi crediti: verso il Rotari, che a fine mese gli pagava i pranzi;
crediti verso la clientela abituale; crediti per servizi di catering fatti in passato.
Oltre ai crediti, aveva anche dei debiti: fornitore dei vini, fornitore carni, verso la banca.
In questo contratto di vendita, le parti decidono che si trasferiscono anche tutti i crediti, tutti i
contratti ma non i debiti, che rimangono ad Alfa. Sorgono però una serie di problemi:
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Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se
queste non sono state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Questo tipo di disciplina non trova attuazione per i contratti stipulati che abbiano
carattere personale, ovvero quei contratti nei quali l’identità e le qualità personali
dell’imprenditore alienante sono state in concreto determinanti del consenso del terzo
contraente.
Per il trasferimento di tali contratti saranno necessari sia un’espressa pattuizione
contrattuale tra alienante e acquirente dell’azienda, sia il consenso del contraente ceduto.
Art 2560 à ‘’L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta
anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito.
Il 2558 ci dice qualcosa che il 2559 e il 2560 non dicono, ovvero il carattere suppletivo della norma
(’Se non è pattuito diversamente’’).
Questo perché magari c’è l’intenzione delle parti di voler includere o escludere i debiti e i crediti.
Le norme in questione sono a tutela del terzo, ma non disciplinano i rapporti tra le parti.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Bisogna quindi vedere caso per caso, la regola suppletiva verrebbe meno.
Negli orientamenti più recenti, permane l’idea che debiti e crediti non passino automaticamente
in testa all’acquirente, ma sia a tal fine necessaria una espressa pattuizione.
Il titolare di Alfa, dopo aver venduto il ristorante di Milano, ne riapre un altro dall’altro lato della
strada. Beta vede dimezzati i propri clienti.
Non può farlo a causa del divieto di concorrenza. (art. 2557)
‘’Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare
una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela
dell'azienda ceduta.’’
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
È previsto inoltre che venga redatto un inventario all’inizio e alla fine dell’usufrutto e che la
differenza tra i due sia compensata in denaro.
La medesima disciplina si applica anche all’affitto di azienda, per l’espresso rinvio operato dall’art.
2562. Non bisogna far confusione tra l’affitto di azienda (oggetto del contratto è il complesso di
beni) e la locazione di un immobile destinato all’esercizio dell’attività di impresa (oggetto del
contratto è il solo bene immobile).
Usufrutto e affitto sono parzialmente regolati anche da norme in tema di vendita. Si applicano ad
entrambe le fattispecie gli artt. 2557 e 2558. All’usufrutto si applica la disciplina dei crediti dettata
dal 2559, ma non si applica a nessuna delle due fattispecie la disciplina dei debiti dettata dall’art.
2560.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 6
I segni distintivi
La ditta, l’insegna e il marchio sono i tre principali segni distintivi dell’imprenditore.
La ditta contraddistingue la persona dell’imprenditore nell’esercizio dell’impresa (nome
commerciale.)
L’insegna individua i locali in cui l’attività d’impresa è esercitata.
Il marchio individua e distingue i beni o i servizi prodotti.
Una crescente rilevanza la sta acquisendo anche il nome a dominio del sito internet dell’impresa.
Questi segni distintivi hanno la funzione di favorire la formazione ed il mantenimento della
clientela in quanto consentono al pubblico e ai consumatori di distinguere tra i vari operatori
economici ed effettuare scelte consapevoli.
Intorno ai segni distintivi ruotano una serie di interessi, sui quali domina un interesse più ampio e
generale a che la competizione concorrenziale si svolga in modo ordinato e leale. Proprio la
realizzazione di questa finalità è l’obbiettivo cui tende la regolamentazione giuridica dei segni
distintivi.
Ditta, insegna e marchi sono disciplinati con posizioni parzialmente diverse, ma è possibile
desumere dalle tre discipline anche dei principi comuni:
1. L’imprenditore gode di ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi,
rispettando le regole di verità, novità e capacità distintiva.
2. L’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni distintivi. È un diritto relativo e
strumentale (non quindi assoluto) alla realizzazione della funzione distintiva rispetto agli
imprenditori concorrenti.
I segni distintivi presentano quindi una tutela non piena ed assoluta sul piano patrimoniale. Ciò
rende plausibile che si possano inquadrare nella categoria dei beni immateriali, in quanto si è di
fronte ad un tipo di proprietà, definita come proprietà industriale, che è limitata e funzionale, e
non assoluta.
La ditta
È il nome commerciale dell’imprenditore. È necessario, ed in mancanza di diversa scelta coincide
con il nome civile dell’imprenditore.
Nella scelta della propria ditta l’imprenditore incontra due limiti specifici: rispetto dei principi di
verità e novità.
• Principio di verità della ditta (art. 2563): diverso contenuto a seconda che si tratti di
una ditta originaria o una ditta derivata.
La ditta originaria è quella formata dall’imprenditore che la utilizza e deve contenere
almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore. Questo è necessario e sufficiente per
soddisfare il requisito della verità.
La ditta derivata è quella formata da un altro imprenditore e successivamente trasferita ad
altro imprenditore insieme all’azienda. Non è necessario che sia integrata con indicazione
idonee ad individuare l’attuale titolare dell’impresa (cognome o sigla).
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
• Principio di novità della ditta (art. 2564): la ditta non deve essere uguale o simile a
quella usata da altro imprenditore e tale da creare confusione per l’oggetto
dell’impresa o per il luogo in cui questa è esercitata. Chi ha adottato per primo una
certa ditta ha quindi il diritto all’uso esclusivo della stessa, e acquista tale diritto per il
solo fatto dell’uso della ditta.
Il criterio della priorità dell’uso era in passato usato anche per le imprese individuali, ma
adesso l’iscrizione al registro delle imprese per le imprese commerciali ha fatto si che
l’obbligo di integrazione o modifica spetti ha chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle
imprese. Dovrebbe quindi prevalere il criterio della priorità dell’iscrizione, ma tende a
prevalere l’opinione che ciò valga solo quando chi ha preusato la stessa ditta senza
registrarla non riesca a provare la conoscenza del proprio preuso da parte dell’altro
imprenditore.
Il principio di novità opera anche nei rapporti tra ditta e altri segni distintivi, soprattutto
verso il marchio. È fatto divieto di adottare come propria ditta il marchio altrui, se vi è
pericolo di confusione tra i segni (principio di unitarietà dei segni distintivi)
La ditta è trasferibile, ma solo con l’azienda. Se il trasferimento avviene per atto fra vivi, è
necessario l’espresso consenso dell’alienante. Se l’azienda è acquistata per successione a causa di
morte, la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria.
Ciò consente al titolare della ditta di monetizzare il valore di avviamento alla stessa connesso, e
permette di tutelare quanti hanno avuto rapporti con l’imprenditore. Se però tutela abbastanza i
consumatori, tutela invece molto meno quanti fondano i loro rapporti sulla persona
dell’imprenditore (fornitori ecc.)
Il fatto che la ditta derivata non dovesse essere integrata con indicazione idonee ad individuare
l’attuale titolare dell’impresa (cognome o sigla) ha esposto ed espone tuttora i terzi a vistose
possibilità di inganno circa la reale identità dell’attuale titolare d’impresa. Pericolo che sussiste
ancora di più nel momento in cui si ammette che la ditta sia trasferibile anche se si trasferisce un
solo ramo d’azienda, purché dotato di una organica unità. Il pericolo maggiore esiste per coloro
che concedono credito all’imprenditore, tratti in inganno dall’uso della medesima ditta.
La giurisprudenza ritiene che chi ha trasferito l’azienda è responsabile in solido con l’acquirente
per i debiti da questi contratti spendendo la ditta derivata, qualora il terzo contraente abbia
potuto ragionevolmente di trattare con il cedente. Si addossa quindi all’alienante l’onere di
portare a conoscenza i terzi dell’avvenuto trasferimento dell’azienda.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Ogni imprenditore ha un nome civile, che gli è attribuito per legge ed è unico e non è liberamente
modificabile. Principi opposti regolano invece la formazione della ditta, ed è concesso ad un
singolo imprenditore di avere più ditte (es. una ditta originaria e altre derivate).
Ditta e nome civile, anche se di fatto a volte coincidono, sono soggetti a tutele diverse e formano
oggetto di diritti ben diversi. La ditta è infatti tutelata come mezzo di attrazione della clientela e
come valore patrimoniale, mentre il nome civile è un attributo della personalità. Mentre è sempre
ammessa omonimia tra nomi civili, non è mai ammessa omonimia fra ditte di imprenditori in
rapporto di concorrenza.
Questa distinzione è da ritenersi valida anche per le società (art. 2567). La norma stabilisce la
ragione sociale delle società di persone e la denominazione sociale delle società di capitali,
aggiungendo che si applicano anche ad esse le disposizioni dell’art. 2564, e cioè il divieto di
utilizzare ditta uguale o simile a quella di altro imprenditore concorrente (non sono richiamati né il
2563 né il 2565).
Si è chiarito che ragione sociale e denominazione sociale non vanno confuse con la ditta. Esse
costituiscono il nome necessario delle società e vanno poste sullo stesso piano del nome civile
della persona fisica; l’art. 2567 non impedisce quindi che si utilizzi una ditta differente dalla
ragione o denominazione sociale.
Le società devono quindi avere una ragione o denominazione sociale, formata rispettando le
norme dettate a riguardo. Il nome della società non può essere uguale o simile a quello prescelto
da altra società corrente e non è trasferibile. Le società possono inoltre avere ditta originaria,
formata ai sensi del 2564, nonché una o più ditte derivate. Le ditte rimangono distinte dal nome e,
a differenza di questo, possono essere trasferite.
Il marchio
È il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa. È disciplinato sia in sede nazionale che
internazionale.
Il marchio nazionale è regolato dal codice civile e dal codice della proprietà industriale, e gli è stato
di recente affiancato l’istituto del marchio comunitario (marchio unico tutelato allo stesso modo in
tutti i paesi UE)
Il marchio internazionale è disciplinato da due convenzioni internazionali: convenzione d’unione di
Parigi del 1883 e l’accordo di Madrid del 1891.
Tali normative, alla quale si aggiunge l’istituto della registrazione del marchio, riconoscono al
titolare del marchio il diritto all’uso esclusivo dello stesso, così che esso possa assolvere alla sua
funzione di identificazione e differenziazione dei prodotti similari esistenti sul mercato.
Il marchio non è un segno distintivo essenziale ma è il più importante per il ruolo che assolve nella
moderna economia.
Al marchio infatti i produttori affidano la funzione di differenziare i propri prodotti da quelli
concorrenti. Costituisce perciò il principale simbolo di collegamento tra produttori e consumatori
e svolge quindi un ruolo centrale nella formazione e nel mantenimento della clientela.
Il marchio è però anche indicatore della provenienza del prodotto da una funzione unitaria di
produzione (es. associare un determinato marchio al suo produttore). Dal 1992 però, questa
funzione è stata decisamente ridimensionata.
È venuto meno il divieto di circolazione del marchio separatamente all’azienda e si è riconosciuta
la legittimità nell’uso dello stesso marchio da parte di più imprenditori concorrenti sulla base di
una licenza di marchio non esclusiva concessa dal titolare dello stesso.
48
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Fra le funzioni del marchio non può però ricomprendersi quella di garanzia della qualità dei
prodotti. Il pubblico associa molto spesso un marchio ad un certo standard di qualità e ha
l’aspettativa che tale rimanga nel tempo.
Nella disciplina però non vi è alcuna norma che assolva una funzione di garanzia della qualità dei
prodotti e vieti al produttore variazioni qualitative nella propria produzione.
Certi marchi inoltre finiscono con l’assumere autonoma forza attrattiva dei consumatori, e spesso
si acquistano prodotti a preferenza di altri poiché contrassegnati da un marchio famoso.
È comprendibile perciò l’interesse dei titolari di marchi celebri a contrastare l’uso degli stessi da
parte di altri produttori, anche per prodotti diversi.
L’attuale disciplina fa espressa distinzione tra marchi ordinari e marchi celebri ed ha esteso la
tutela di questi ultimi oltre i limiti segnati dalla necessità di evitare confusione tra prodotti affini.
b) Marchio di servizio: utilizzato da imprese che producono servizi (es. di trasporto ecc.), e la
forma tipica di utilizzo di questi marchi è quella pubblicitaria.
c) Marchio generale e marchi speciali: l’imprenditore può usare un solo marchio per tutti i
propri prodotti (marchio generale) o servirsi di più marchi, quando vuole differenziare i
diversi prodotti della propria impresa e sottolineare ai consumatori le relative diversità
qualitative (marchi speciali). È altresì legittimato l’uso contemporaneo di un marchio
generale e di più marchi speciali (es. Fiat-punto, Fiat-panda ecc.)
Una seconda distinzione è basata sulla forma e sulla composizione del marchio:
a) Marchio denominativo: costituito solo da parole, e può coincidere con la stessa ditta o con
il nome civile dell’imprenditore.
d) Marchio di forma o tridimensionale: il marchio è costituito anche dalla forma del prodotto
o dalla confezione dello stesso (es. particolare forma della bottiglia di un liquore).
Un tipo particolare di marchio è poi il marchio collettivo. Si distingue dai marchi d’impresa in
quanto titolare del marchio collettivo è un soggetto che svolge la funzione di garantire l’origine, la
natura o la qualità di determinati prodotti o servizi (es. prosciutto di parma). Sono di regola usati
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
in aggiunta a quelli individuali e assolvono ad una funzione, seppur limitata, di garanzia della
qualità o della provenienza del prodotto.
Per essere tutelato giuridicamente, il marchio deve rispondere a determinati requisiti di validità:
liceità, verità, originalità e novità.
a) Liceità: il marchio non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al
buon costume; segni protetti da convenzioni internazionali; segni lesivi di un altrui diritto
d’autore o di proprietà industriale.
A tutela dell’altrui diritto d’immagine, è fatto divieto di usare come marchio l’altrui ritratto
senza il consenso dell’interessato.
A tutela dell’altrui nome, vi è una diversa tutela a seconda della diversa capacità attrattiva
che il nome può avere. Se si tratta di una persona famosa, è necessario il consenso
dell’interessato o dei suoi eredi. Per le persone non note invece, il nome altrui può essere
inserito nel marchio anche senza il consenso dell’interessato, purché tale uso non leda la
fama, il credito o il decoro dell’avente diritto al nome.
b) Verità: vieta di inserire nel marchio segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare
sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi.
È inoltre possibile usare come marchi denominazioni generiche o parole di uso comune mi
modificate o combinate tra loro in modo fantasioso (es. Amplifon). La capacità distintiva
del marchio è affidata alla modificazione o alla combinazione di fantasia, e solo entro tali
limiti è tutelato contro l’altrui imitazione à marchi deboli, basteranno lievi modifiche per
escludere la confondibilità tra marchi.
Si definiscono marchi forti quelli dotati di accentuata capacità distintiva e sono tali, in
genere, i marchi di pura fantasia. Per tali marchi, modifiche anche notevoli non basteranno
per evitare la contraffazione.
Questa distinzione non è sempre molto agevole e spesso può accadere che un marchio da
debole diventi forte a seguito dell’uso e della notorietà acquisita presso il pubblico, anche
grazie ad un’accorta pubblicità (secondary meaning).
Si riconosce che il secondary meaning può:
• far acquistare carattere distintivo ad un segno che originariamente ne era privo,
rendendone possibile la registrazione come marchio
• trasformare un marchio originariamente privo di capacità distintiva (nullo) in un
marchio valido
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
d) Novità: ulteriore profilo della capacità distintiva del marchio, complementare ma non
distinto rispetto all’originalità. Il codice della proprietà industriale distingue in materia tra
marchi ordinari e marchi celebri.
Per i marchi ordinari, non sono nuovi i segni che possono determinare un rischio di
confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione dei due
segni, perché si tratta di segni identici o simili ad un altro segno già noto come marchio, o
al più già registrato per prodotti identici o affini.
Tale requisito non è necessario se il marchio già registrato è diventato un marchio celebre.
È non nuovo anche il marchio non utilizzato per prodotti affini se chi lo usa trarrebbe
vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o
recherebbe pregiudizio agli stessi.
Il difetto di questi requisiti porta alla nullità del marchio, che può riguardare anche solo parte dei
prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato. Ci sono però due eccezioni:
1. La nullità del marchio per difetto di novità non può essere più dichiarata quando chi ha
richiesto la registrazione non era in malafede ed il titolare del marchio anteriore ne abbia
tollerato l’uso per 5 anni.
2. La nullità del marchio per difetto di originalità non può essere dichiarata quando, a seguito
dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato capacità distintiva prima della proposizione
della domanda o dell’eccezione di nullità à nel caso cioè di sopravvenuto secondary
meaning.
Il titolare di un marchio che risponde ai requisiti di validità sopra indicati ha il diritto all’uso
esclusivo del marchio prescelto. La tutela del diritto però è diversa a seconda che il marchio sia
stato o meno registrato presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi.
Marchio registrato
Per quanto riguarda il marchio registrato, può essere richiesto non solo dall’imprenditore che
intende utilizzarlo direttamente nella propria impresa ma anche da chi voglia usarlo in altre
imprese di cui abbia il controllo con il suo consenso.
La registrazione attribuisce al titolare l’uso esclusivo del marchio su tutto il territorio nazionale, e il
titolare di marchio registrato può impedire a terzi di mettere in commercio, importare o esportare
prodotti contrassegnati con il proprio marchio, nonché di utilizzarlo nelle pubblicità.
Il diritto di esclusiva copre non solo i prodotti identici, ma anche quelli affini, qualora possa
determinarsi un rischio di confusione per il pubblico.
Ciò però vuol dire che, di regola, la tutela del marchio registrato non impedisce che altro
imprenditore registri o usi lo stesso marchio per prodotti diversi.
Il problema sorge però nel caso dei marchi celebri. Se essi sono usati anche per prodotti diversi,
oltre a costituire un’usurpazione dell’altrui fama, può facilmente creare equivoci sulla reale fonte
di produzione.
Con la riforma del 1992, il titolare di un marchio registrato che gode di una certa fama può vietare
a terzi di usare un marchio identico o simile al proprio anche per prodotti o servizi non affini.
Il diritto di esclusiva consente inoltre di impedire l’utilizzo di segni confondibili non solo in
funzione del marchio, bensì anche come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna, nome a
dominio o altro segno distintivo.
Il diritto d’esclusiva del marchio registrato decorre dalla data di presentazione della relativa
domanda all’Ufficio brevetti. Il titolare di un marchio registrato è perciò tutelato ancor prima che
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
inizi ad utilizzare il marchio stesso. Una volta presentata la domanda ogni marchio uguale o simile
presentato in seguito è ex lege nullo per difetto di novità.
La registrazione nazionale è poi presupposta per estendere la tutela anche in ambito
internazionale (registrazione presso l’OMPI di Ginevra).
La registrazione nazionale dura 10 anni, ma è rinnovabile un numero illimitato di volte. La tutela è
pressoché perpetua, salvo dichiarazione successiva di nullità di uno dei requisiti o di decadenza.
Marchio di fatto
L’ordinamento tutela anche il titolare di marchio non registrato, ma si tratta di una tutela
decisamente minore rispetto a quella del marchio registrato.
Art. 2571: ‘’ chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne,
nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne è avvalso’’
La tutela del diritto di esclusiva si fonda in questo caso sull’uso di fatto del marchio e sull’effettivo
grado di notorietà raggiunto.
Se è diventato noto su tutto il territorio nazionale, potrà impedire che altri usino lo stesso marchio
per gli stessi prodotti, ma non per prodotti affini e potrà ottenere che sia dichiarato nullo un
marchio confondibile successivamente registrato, poiché difetta del requisito di novità.
Se è diventato noto solo a livello locale, non potrà impedire che un altro imprenditore usi lo stesso
marchio per gli stessi prodotti in altra zona del territorio nazionale e non potrà impedire che un
altro concorrente registri tale marchio; in tal caso, potrà continuare ad usare il marchio nei limiti
della diffusione territoriale.
Le azioni a tutela del marchio non registrato sono quelle previste in via generale per la disciplina
della concorrenza sleale
Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo che a titolo temporaneo
(licenza di marchio).
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Con la riforma del ’92, è stato abolito il precedente collegamento tra circolazione di azienda e
circolazione del marchio, optando per una libera circolazione del marchio. Oggi può essere
trasferito o concesso in licenza, senza che sia necessario il contemporaneo trasferimento
dell’azienda. Resta però ferma la regola che il trasferimento del marchio non costituito da ditta
originaria si presume quando è trasferita l’azienda.
La novità più significativa è costituita dall’espresso riconoscimento dell’ammissibilità della licenza
di marchio non esclusiva, è cioè consentito che lo stesso marchio sia contemporaneamente usato
dal titolare originario e da uno o più concessionari. È ammesso che sul mercato vengano introdotti
prodotti dello stesso genere con stesso marchio, ma con diversa provenienza.
Dal trasferimento e dalla licenza del marchio non devono però derivare inganno nei caratteri dei
prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico.
La licenza non esclusiva è inoltre subordinata alla condizione che il licenziatario si obblighi ad usare
il marchio per prodotti con caratteristiche qualitative uguali a quelle dei corrispondenti prodotti
messi in commercio dal concedente o da altri licenziatari.
La violazione di tali regole espone alla sanzione della decadenza del marchio per sopravvenuto uso
ingannevole dello stesso
L’insegna
Contraddistingue i locali dell’impresa o l’intero complesso aziendale.
L’art. 2568 rinvia al 2564, dichiarando che l’insegna non può essere uguale o simile a quella già
utilizzata da altro imprenditore concorrente, con conseguente obbligo di differenziazione.
Anche per quanto riguarda l’insegna trovano comunque applicazione i principi visti con la ditta e il
marchio. Dovrà essere lecita, veritiera, originale. Nulla è invece disposto circa il trasferimento
dell’insegna, e per analogia si utilizza la disciplina del trasferimento del marchio.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 7
Questa disciplina muove da dei principi ispiratori comuni, che tendono a realizzare un punto di
equilibrio tra l’esigenza di promuovere ed incentivare l’attività creativa dei privati e l’esigenza di
consentire nel contempo che tutti possano fruire del progresso raggiunto evitando che si creino
stabili posizioni di monopolio culturale e tecnologico.
Il primo obiettivo si ottiene riconoscendo all’autore o all’inventore il diritto esclusivo di
sfruttamento economico dell’opera o dell’invenzione.
Per quanto riguarda il secondo obiettivo, esso è perseguito escludendo innanzitutto che una
posizione di esclusiva possa essere riconosciuta rispetto a talune creazioni intellettuali
particolarmente significative per la collettività.
Questi obiettivi sono poi perseguiti attraverso una regolamentazione del diritto di esclusiva, volto
a far si che i progressi conseguiti siano di pubblica conoscenza, in modo da limitare gli effetti
monopolistici insiti nel riconoscimento del diritto di privativa.
Mentre infatti il diritto d’autore si acquista per il solo fatto della creazione dell’opera, per le
invenzioni industriali invece il diritto di esclusiva sorge solo in seguito alla loro brevettazione, che
serve inoltre a rendere di pubblico dominio il contenuto dell’invenzione stessa.
Il diritto di esclusiva è limitato nel tempo e dura fino a 70 anni dopo la morte dell’autore per le
opere dell’ingegno, 20 anni per le invenzioni industriali, 10 anni per i modelli di utilità e 5 anni per i
disegni e i modelli, che decorrono a partire dalla domanda di brevetto. Trascorsi questi periodi,
l’opera dell’ingegno è liberamente riproducibile e l’invenzione liberamente sfruttabile.
L’invenzione inoltre deve essere attuata sul territorio italiano in misura tale da non risultare un
grave sproporzione con i bisogni del paese. Trascorsi 3 anni dal rilascio del brevetto, se
l’invenzione non è stata ancora attuata, può essere concessa una licenza obbligatoria per l’uso
dell’invenzione a favore di ogni interessato che ne faccia richiesta.
Il diritto patrimoniale su una creazione intellettuale è quindi un diritto funzionale e limitato.
54
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Questi diritti sono irrinunciabili e inalienabili, non si perdono con la cessione dei diritti
patrimoniali e possono essere esercitati dai congiunti dopo la morte dell’autore.
L’opera dell’ingegno può essere frutto dell’attività creativa di una sola persona ed in tal caso il
diritto (morale e patrimoniale) d’autore è acquistato a titolo originario dall’autore stesso.
È frequente però che l’opera sia frutto della collaborazione di più persone ed in questo caso
l’attribuzione dei diritti segue regole specifiche.
Opera collettiva à l’opera è costituita da più contributi autonomi e separabili organizzati in forma
unitaria da un direttore o coordinatore. Essa costituisce di per sé opera originale e autore della
stessa è considerato il direttore, mentre i diritti di sfruttamento economico spettano all’editore. Ai
singoli autori è riconosciuto il diritto d’autore sulla propria parte.
Opera in collaborazione à l’opera è costituita da contributi omogenei e oggettivamente non
distinguibili e non divisibili. Si instaura tra i coautori un regime. Ogni autore può tutelare
autonomamente il diritto morale, mentre è necessario il consenso di tutti per pubblicare o
modificare l’opera già pubblicata.
Opera composta à l’opera è costituita da contributi eterogenei e distinti, ma che danno vita ad
un’opera funzionalmente unitaria ed indivisibile.
Diritti connessi o affini al diritto d’autore sono poi riconosciuti a determinate categorie di soggetti
(attori, cantanti ecc.) ai quali è riconosciuto il diritto ad un equo compenso da parte di chiunque
utilizzi la loro opera creativa ed interpretativa.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Il diritto d’autore è protetto con specifiche sanzioni civili, amministrative pecuniarie e penali.
In particolare, il titolare di uno dei diritti di utilizzazione economica dell’opera di ingegno e il
titolare del diritto morale (qualora differissero) che hanno ragione di temere la violazione del
proprio diritto possono adire l’autorità giudiziaria per chiedere l’accertamento del proprio diritto e
l’inibizione della violazione temuta o in atto. Possono inoltre chiedere che vengano applicate le
sanzioni tipiche della rimozione e della distruzione di quanto ha leso il diritto patrimoniale o
morale, oltre il diritto al risarcimento dei danni subiti. Tale risarcimento è dovuto anche per danni
non patrimoniali subiti dall’autore.
La tutela delle opere di ingegno è stata estesa anche a livello internazionale mediante la
Convenzione di Unione di Berna e la Convenzione Universale sul diritto d’autore di Ginevra.
Tre sono le grandi categorie di invenzioni industriali che possono formare oggetto di brevetto:
1. Invenzioni di prodotto, hanno per oggetto un nuovo prodotto materiale
2. Invenzioni di procedimento, possono consistere in un nuovo metodo di produzione di beni, in
un nuovo processo di lavorazione, in un nuovo dispositivo meccanico
3. Invenzioni derivate, si presentano come derivazione di una precedente invenzione e possono
consistere nella combinazione di invenzioni precedenti (invenzioni di combinazione), nel
miglioramento di una invenzione precedente (invenzioni di perfezionamento), in una nuova
utilizzazione di una sostanza o di una composizione di sostanze già conosciute (invenzioni di
traslazione)
4.
Per scelta legislativa, molte fattispecie non sono considerate invenzioni e quindi tutti ne possono
liberamente fruire, come le scoperte scientifiche, i metodi per attività intellettuali e le
presentazioni di informazioni. Non sono brevettabili neanche i software e i metodi per il
trattamento chirurgico/terapeutico del corpo umano o animale (es. TAC), ma le invenzioni
biotecnologiche e le nuove varietà vegetali sono tutelati mediante speciali forme di brevettazione
disciplinate dal codice della proprietà industriale.
Ciò che non ricade in questi divieti deve rispondere a determinati requisiti di validità per poter
formare oggetto di brevetto. Devono essere leciti, nuovi, implicare un’attività inventiva e idonei ad
avere un’applicazione industriale.
È nuova l’invenzione che non è compresa nello stato della tecnica (manca del requisito della novità
l’invenzione già divulgata).
L’invenzione implica inoltre attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, non risulta in
modo evidente dallo stato della tecnica. L’importante è che il trovato sia frutto di attività creativa
ed è invenzione anche un piccolo grado di progresso, purché non conseguibile da un tecnico
medio del ramo facendo ricorso alle sue ordinarie capacità e conoscenze.
L’invenzione è considerata atta ad avere applicazione industriale quando può essere fabbricato o
utilizzato in qualsiasi genere di industri, compresa quella agricola.
La tutela giuridica dell’invenzione ha contenuto sia patrimoniale che morale. L’inventore ha diritto
ad essere riconosciuto come autore dell’invenzione e acquista tale diritto morale per il solo fatto
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Non sempre però l’autore dell’invenzione coincide col soggetto legittimato a richiedere il brevetto
e a sfruttarlo economicamente:
Invenzione dei dipendenti, il lavoratore è sempre riconosciuto quale autore
dell’invenzione, ma l’attribuzione dei diritti patrimoniali può essere:
a) Attribuita al datore di lavoro, il quale prevede l’attività inventiva come oggetto del
contratto e prevede una specifica retribuzione per tale attività (invenzione di
servizio)
b) Attribuita al datore di lavoro, ma l’invenzione è fatta nell’esecuzione di un contratto
che non prevede una specifica retribuzione per l’attività inventiva (invenzione
aziendale). Se il datore di lavoro consegue il brevetto, il lavoratore ha comunque
diritto ad un equo premio tenuto conto dell’importanza dell’invenzione ecc.
c) Attribuita al lavoratore e solo lui potrà chiedere il brevetto, quando l’invenzione
rientra nel campo delle attività dell’impresa ma è indipendente dal contratto
(invenzione occasionale).
Il datore di lavoro ha però una posizione privilegiata rispetto allo sfruttamento
dell’invenzione, godendo di un diritto di prelazione, da esercitarsi entro 3 mesi dal
conseguimento del brevetto, per l’uso dell’invenzione, l’acquisto del brevetto è per
la brevettazione all’estero della stessa invenzione.
Chiaramente, dovrà pagare un corrispettivo concordato con il lavoratore.
Queste distinzioni, applicabili anche ai pubblici dipendenti, sono venute meno quando il rapporto
di lavoro intercorre un’università o altra istituzione pubblica di ricerca. Titolare esclusivo dei diritti
derivanti dall’invenzione è sempre il ricercatore autore dell’invenzione e solo lui potrà chiedere il
brevetto. All’istituzione pubblica di ricerca spetta solo una partecipazione ai proventi dello
sfruttamento dell’invenzione, tenendo conto che l’inventore ha diritto a non meno del 50% di tali
proventi. Tale disciplina non trova applicazione per le ricerche finanziate dai privati, soggette alla
regola generale sulle invenzioni dei dipendenti.
Lo svolgimento di attività inventiva può anche essere affidato a lavoratori autonomi o a gruppi
organizzati di ricercatori tramite appositi contratti di ricerca, per i quali però manca una disciplina
generale che regoli il diritto al rilascio del brevetto e allo sfruttamento economico dell’invenzione.
Il brevetto per invenzione industriale è concesso dall’Ufficio italiano brevetti e marchi, sulla base
di domanda corredata, a pena di nullità, dalla descrizione dell’invenzione in modo
sufficientemente chiaro e completo, affinché ogni persona esperta del ramo possa attuarla,
nonché dai disegni necessari alla sua intelligenza. Ogni domanda deve avere per oggetto una sola
invenzione.
L’Ufficio brevetti è tenuto ad accertare la regolarità formale della domanda, la liceità e che
l’invenzione abbia un oggetto per cui è consentita la brevettazione. È inoltre tenuto a svolgere
un’indagine preventiva volta ad accertare gli altri requisiti di validità della domanda (novità,
originalità e industrialità del trovato).
Il brevetto per invenzioni industriali dura 20 anni dalla data di deposito della domanda ed è
esclusa ogni possibilità di rinnovo. Il relativo diritto di esclusiva si può perdere prima della
scadenza qualora sia dichiarata la nullità del brevetto o sopravvenga una causa di decadenza dello
stesso.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Il brevetto conferisce al titolare la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e di trarne profitto nel
territorio dello Stato. L’esclusiva comprende non solo la fabbricazione, ma anche il commercio e
l’importazione. L’esclusività del commercio si esaurisce con la prima immissione in circolazione del
prodotto brevettato un uno Stato membro dell’UE. Questa limitazione (principio dell’esaurimento
del brevetto) è ispirata alla finalità di ridimensionare la posizione monopolistica connessa allo
sfruttamento del brevetto in quanto impedisce che il titolare controlli e condizioni anche il
mercato della distribuzione.
L’esclusiva sussiste nei limiti dell’invenzione brevettata. Se l’invenzione riguarda un nuovo metodo
o un nuovo processo di produzione (invenzione di procedimento), l’esclusiva copre solo la messa in
commercio del prodotto identico a quello direttamente ottenuto con il nuovo metodo o processo.
Il titolare del brevetto non potrà quindi impedire il commercio degli stessi prodotti ottenuti con
metodo diverso. Per poter impedire ciò, dovrà conseguire un ulteriore brevetto anche per il
prodotto.
Il brevetto è liberamente trasferibile sia fra vivi sia mortis causa, in maniera indipendente rispetto
al trasferimento dell’azienda.
Il titolare del brevetto può altresì concedere licenza di uso dello stesso, con o senza esclusiva di
fabbricazione a favore del licenziatario. La licenza di brevetto non è espressamente regolata e può
assumere i contenuti più vari. La licenza di brevetto senza esclusiva è utilizzata dalla grande
industria per mettere a disposizione di altri paesi i brevetti fondamentali, attuando una forma di
dipendenza tecnica ed economica e di controllo monopolistico del mercato mondiale.
L’invenzione brevettata è tutelata da sanzioni civili e penali.
In particolare, il titolare del brevetto, ma anche il licenziatario, possono esercitare azione di
contraffazione nei confronti di chi usi abusivamente l’invenzione. La sentenza che accerta la
contraffazione ordina l’inibitoria per il futuro della fabbricazione o dell’uso di quanto forma
oggetto del brevetto. Sono inoltre previste sanzioni volte ad eliminare dal mercato gli oggetti
realizzati in violazione del brevetto.
Il titolare del brevetto ha in ogni caso diritto al risarcimento dei danni subiti, che comprendono sia
il danno patrimoniale che morale, può richiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore
della violazione in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nel caso in cui tali utili siano
maggiori del mancato guadagno.
Brevettazione internazionale
La Convenzione di Unione di Parigi riconosce a chi ha richiesto il brevetto per invenzione in uno
degli Stati dell’Unione diritto di priorità per ciascuno degli altri paesi. L’inventore deve presentare
distinta domanda per ciascun paese, conseguendo in tal modo distinti brevetti, ma il requisito
della novità sarà valutato con riferimento alla data del primo deposito nazionale. Il Trattato di
Washington ha poi consentito una notevole semplificazione di tale procedura.
L’inventore può inoltre conseguire un brevetto europeo (regolato dalla Convenzione di Monaco di
Baviera), dove unica è la domanda, unica è la procedura, unico è l’Ufficio e unica è anche la
disciplina per quanto riguarda i requisiti di brevettabilità ed il procedimento di brevettazione. Il
contenuto del diritto d’esclusiva resta regolato, in via di principio, dagli stati membri. Il brevetto
europeo non è nient’altro che equivalente ad un fascio di brevetti nazionali.
Per avere un brevetto autonomo ed unitario bisogna aspettare il 2011, quando si è introdotto il
brevetto europeo con effetto unitario, che ha carattere sovranazionale, unitario ed autonomo. (il
nostro paese non aderisce a tale disciplina)
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
• Disegni e modelli: nuove idee destinante a migliorare l’aspetto dei prodotti industriali
(industrial design).
I modelli industriali riguardano la funzionalità o l’estetica dei prodotti. Distinguere fra i due tipi di
modelli industriali non è sempre agevole, poiché un nuovo prodotto può essere sia molto
funzionale che esteticamente pregevole.
La tutela deli modelli di utilità continua a fondarsi sull’istituto della brevettazione e in materia
trova applicazione larga parte della disciplina delle invenzioni industriali, ma rispetto ad esse il
brevetto dura solo 10 anni, e non 20.
Rimane comunque difficile nell’atto pratico distinguere le invenzioni industriali dai modelli di
utilità, dato che entrambi tendono a risolvere un problema tecnico e anche un’invenzione vera e
propria può riguardare la forma funzionale di un prodotto già preesistente. La differenza potrebbe
essere qualitativa: l’invenzione dà vita alla creazione di un nuovo prodotto, il modello di utilità
presuppone un prodotto già esistente.
La tutela dei disegni e modelli avviene mediante la registrazione presso l’Ufficio italiano brevetti e
marchi, e possono essere registrati i disegni e modelli che siano nuovi e abbiano carattere
individuale. Non possono essere registrati disegni o modelli contrari all’ordine pubblico o al buon
costume, né stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali o che rivestono particolare
interesse pubblico.
La registrazione dura 5 anni dalla domanda, ma può essere prorogata fino ad un massimo di 25
anni.
La registrazione conferisce al titolare il diritto esclusivo di utilizzarlo e di vietare a terzi di utilizzarlo
senza il suo consenso.
Con l’attuale disciplina inoltre, le opere del disegno industriale sono ammesse a godere anche
della più ampia tutela del diritto d’autore quando presentino di per sé carattere creativo e valore
artistico.
Esistono inoltre disegni e modelli comunitari, che ricevono una protezione autonoma e unitaria
estesa a tutti gli Stati membri dell’UE. Si riconosce anche una determinata tutela, per un periodo
di 3 anni, anche ai disegni e modelli comunitari non registrati, consentendo al titolare di vietarne
una imitazione pedissequa da parte di terzi.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 8
Concorrenza e Anti-Trust
Il modello della concorrenza perfetta è, appunto, un modello solo ideale e teorico. Le imprese
dedite alla produzione di massa sono sempre meno numerose e sempre più grandi, dando quindi
vita in alcuni settori a situazioni di oligopolio, e cioè ad un mercato caratterizzato dal controllo
dell’offerta da parte di poche grandi imprese. Molto spesso, gli imprenditori concorrenti
preferiscono stipulare intese tra loro, ovvero dei patti limitativi della concorrenza, piuttosto che
tentare di prevalere sugli altri.
• Compagnie assicurative (Generali, Reale Mutua, Allianz, Unipol), tavolo comune per
scambiarsi dati per valutare i rischi del ramo danni per rendere ottimale il prodotto, con il
fine di tarare i prezzi delle assicurazioni che venderanno. Inoltre, si mettono d’accordo su
determinate condizioni contrattuali delle polizze RCA, stabilendo ad esempio di avere la
stessa franchigia del 10%, stesso sconto per le guidatrici, prevedere per tutti un premio
decrescente a seconda degli anni che passano, prevedere lo stesso margine massimo di
rimborso ecc. Ciò avrà l’effetto che queste imprese si faranno meno concorrenza di prima.
(cartello dei prezzi).
• Ferrero à primo gruppo dolciario in Italia, che ha una posizione fortissima sulla Nutella.
Per essere ancora di maggiore impatto, decide di lanciare dei biscotti, chiamando però i
grandi supermercati italiani e dicendo loro che se vogliono ancora vendere la Nutella,
devono dedicare almeno il 50% degli scaffali per i biscotti. Il direttore commerciale di
Carrefour, se perde uno dei prodotti più amati (Nutella) rischia di perdere clienti, e allora
preferisce accontentare la Ferrero. Questo comportamento è suscettibile di attirare le
regole dell’ordinamento per gli effetti che questo contratto ha sul mercato.
Il tema della disciplina della concorrenza è un tema abbastanza recente nella storia del diritto
commerciale, in contrasto a quello che è il liberismo economico dell’800, dove gli imprenditori
erano dotati di assoluta libertà.
All’inizio del ‘900, negli USA, ci si accorge che qualcosa non va, soprattutto con la costituzione di
grandi compagnie (ferroviarie, siderurgiche), e si iniziano a sviluppare norme a riguardo.
In Europa avviene un po’ più in laà art 41 della costituzione italiana, l’iniziativa economica è
libera, non possono essere posti dei limiti dallo stato.
60
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Il punto chiave è la sottoscrizione del Trattato di Roma del 1957, che sancisce la costituzione della
CEE. Tra i capisaldi di questo trattato, vi era quello delle libertà della circolazione delle persone,
delle merci, dei servizi e dei capitali. Tutto ciò era volto alla creazione di un mercato unico dove gli
attori si facessero concorrenza gli uni con gli altri. Ciò ha dei nemici: gli Stati stessi, che potevano
falsare la concorrenza (es. compagnia aerea statale che va male, lo stato gli butta dentro dei soldi
per risollevarla à ciò è vietato dal trattato, non si può dare un aiuto statale poiché si falsa la
competizione concorrenziale) e le imprese stesse, che pongono in essere dei comportamenti
nocivi per la concorrenza stessa.
Il laissez faire funziona fino ad un certo punto: in perfetta concorrenza, i benefici sono assoluti e di
carattere economico (bassi prezzi e perfetta concorrenza). Ma vi è una tendenza delle stesse
imprese a ottenere dei benefici ulteriori; infatti, in concorrenza perfetta, i profitti dell’impresa
tendono allo zero, e quindi un imprenditore che vuole guadagnare di più tenta di ottenere potere
di mercato per guadagnare di più.
Un tipico accordo restrittivo della concorrenza è il cartello dei prezzi, dove le imprese decidono di
fissare prezzi e condizioni contrattuali simili tra di loro.
Gli ordinamenti giuridici hanno cominciato a dettare una serie di norme a tutela della concorrenza,
che si dividono in due grandi ambiti:
1. Norme di diritto privato à servono per tutelare degli interessi privati di una impresa
quanto è attaccata da un atto concorrenziale di un’altra impresa (concorrenza sleale art.
2598) à limite pattizio alla concorrenza, obbligo a contrarre del monopolista e
concorrenza sleale.
La ricerca di un punto di equilibrio fra il modello teorico ed utopico della perfetta concorrenza e la
realtà operativa, spesso orientata verso situazioni di oligopolio o di monopolio, costituisce la linea
di fondo che ispira la disciplina della concorrenza nei sistemi giuridici ad economia libera
(concorrenza sostenibile).
La disciplina italiana, dopo aver fissato il principio generale di concorrenza, consente limitazioni
legali alla stessa per fini di utilità sociale, determina dei divieti di concorrenza tra le parti volti alla
tutela degli interessi patrimoniali del beneficiario del divieto stesso, consente limitazioni negoziali
della concorrenza e reprime gli atti di concorrenza sleale.
61
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Identici sono i fenomeni pericolosi per la struttura concorrenziale che sono posti sotto controllo
sia dalla disciplina comunitaria che da quella nazionale: intese, abuso di posizione dominante e
concentrazioni. La norma interna è però applicabile solo quando questi fenomeni non ricadono
nell’ambito d’applicazione della norma comunitaria (ha quindi carattere residuale). Oggi in realtà è
previsto che siano le autorità nazionali ad applicare la disciplina comunitaria in ambito di intese e
abusi di posizione dominante.
La disciplina antimonopolistica italiana deve essere interpretata secondo i principi
dell’ordinamento comunitario, e deve essere perciò applicata ad imprese private, imprese
pubbliche, con esclusione delle imprese in posizione di monopolio legale, ma anche verso gli
esercenti di professioni intellettuali (in Italia sono esclusi dalla nozione di impresa).
62
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Intese restrittive ‘’Sono considerati intese gli ‘’Sono vietate le intese tra L’ordinamento lascia
della concorrenza accordi e/o le pratiche imprese che abbiano per libera scelta se
concordate tra imprese oggetto o per effetto di
(art.2 l.287/90) nonché le deliberazioni, impedire, restringere o assoggettarle ad un
anche se adottate ai sensi falsare in maniera controllo preventivo o
di disposizioni statutarie o consistente14 il gioco della successivo.
regolamentari, di consorzi, concorrenza all'interno del Abbiamo due piani di
associazioni di imprese ed mercato nazionale o in una conseguenze che
altri organismi similari.’’ sua parte rilevante’’
derivano da un divieto di
che abbiano ad Le intese vietate sono intesa restrittiva della
oggetto/effetto una quelle tra produttori concorrenza, uno
restrizione della (orizzontali), e anche amministrativo e uno
concorrenza, e deve quelle tra produttori e civilistico.
avvenire tra imprese che distributori che Dal punto di vista
prima erano indipendenti. prevedono clausole di amministrativo, l’AGCM
produce una sanzione
esclusiva, volte alla
amministrativa.
chiusura del mercato
Dal punto di vista
(verticali)
civilistico, abbiamo la
nullità dell’intesa stessa,
Sono lecite le intese
demandata all’autorità
minori, cioè quelle che
del tribunale, che in
non incidono sull’assetto
questo caso in realtà è la
concorrenziale del
corte d’appello.
mercato.
Bisogna fare un’analisi in
due step: vedere qual è
l’arena competitiva in cui
militano le imprese
(attraverso il criterio
dell’elasticità della
domanda, in che misura
questo prodotto possa
essere sostituito con un
altro prodotto) e vedere
quanto questa operazione
incide a livello di
consistenza sul mercato.
14
Vuol dire non marginale, non irrilevante per il mercato.
63
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
15
Sotto il 30%, presumo non ci sia mai una posizione dominante, oltre il 60% presumo ci sia sempre una posizione
dominante. Tra il 30 e il 60 valuto caso per caso.
64
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Abusi di posizione È vietato l'abuso da parte di Il divieto non è Tale divieto non
dominante una o più imprese di una disciplinato direttamente ammette eccezioni.
posizione dominante
(art. 3, l.287/90) all'interno del mercato
dalla norma, ma si Accertata l’infrazione,
nazionale o in una sua desume dall’insieme che il l’AGCM ne ordina la
parte rilevante divieto si attui sempre. cessazione prendendo le
Se la posizione dominante misure necessarie.
Vietato non è avere una
è volta a sfruttarla in Infigge inoltre sanzioni
posizione dominante, ma
modo da ostacolare il pecuniarie identiche a
solo lo sfruttamento
regime di concorrenza, si quelle stabilite per le
abusivo della stessa, con
è sempre difronte ad un intese e, in caso di
comportamenti lesivi dei
abuso di posizione inottemperanza, disporre
concorrenti e dei
dominante. la sospensione
consumatori.
dell’attività dell’impresa
Fondamentale è quindi fino a 30 gg.
l’individuazione del
mercato rilevante, e ciò È vietato inoltre anche
non è sempre agevole. l’abuso di dipendenza
economica nel quale si
Ad un’impresa in trova un’impresa rispetto
posizione dominante è ad altre imprese anche in
fatto divieto di: posizione non dominante
-Imporre prezzi o altre sul mercato, e cioè nella
condizioni contrattuali situazione in cui
ingiustificatamente un’impresa sia in grado di
gravose. determinare, nei rapporti
-Impedire o limitare la commerciali con altra
produzione a danno dei impresa, un eccessivo
consumatori squilibrio di diritti ed
-Applicare nei rapporti obblighi.
commerciali condizioni
oggettivamente diverse Il patto attraverso il
per prestazioni quale si realizza questo
equivalenti abuso è nullo ed espone
-Subordinare la al risarcimento dei danni.
conclusione di contratti
all’accettazione di
prestazioni supplementari
che non abbiano
connessione con l’oggetto
del contratto stesso.
65
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Si attua una distinzione tra intese e concentrazioni, nonostante le operazioni siano effettuate da
imprese indipendenti sul mercato che cercano di aumentare il proprio potere sul mercato, poiché
la disciplina sostanziale è diversa nei due casi.
Dal 1957 al 1989, le intese erano regolate e le concentrazioni no, poiché erano ritenute sempre
legittime e favorevoli all’economia in generale. Questo perché l’Europa era da poco uscita dalla
WWII, l’economia e le imprese erano molto deboli e si avvertiva il bisogno di avere imprese grandi
che potessero non solo competere sul mercato comunitario, ma anche con i colossi statunitensi e
asiatici. Ci si è poi reso conto che il rapporto costi-benefici si stava riequilibrando e quindi si sono
introdotte delle norme per regolare le concentrazioni. Esse hanno però una disciplina diversa da
quella delle intese.
Immaginiamo che in un mercato non troppo grande, tutte le imprese attuino fusioni, oppure che
esse decidano di attuare delle politiche comuni à il risultato è assolutamente analogo e porta alla
creazione di un monopolio.
Le concentrazioni però, a differenza delle intese, hanno dei benefici economici maggiori,
producendo delle economie di scala (si producono delle sinergie di mercato, ciò dei risparmi di
costi o dei maggiori profitti).
La regola sostanziale nei confronti delle intese è più aspra rispetto a quella nei confronti delle
concentrazioni.
1 (art. 16 l.287/90) à notifica all’AGCM16; prende il fatturato globale della impresa acquirente ed
il fatturato della impresa acquisita, nell’ipotesi in cui entrambe insieme abbiano un fatturato
notevole o che almeno l’impresa acquisita abbia un fatturato di almeno 1/10 della soglia globale.
2 (regolamento UE)à notifica alla commissione dell’UE; viene affidata alla decisione dell’UE, che
lascia fuori da questo giudizio tutte le autorità degli stati membri.
Queste soglie non hanno nulla a che vedere con la valutazione della concentrazione, ma servono
solo per comprendere se la concentrazione vada o meno notificata. L’autorità fa una prima analisi
16
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, organizzazione indipendente che si occupa di concorrenza. È
svincolata dal potere gerarchico dell’esecutivo ed è dotata da un carattere di una certa indipendenza.
66
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
senza aprire l’istruttoria e da il via libera, oppure apre l’istruttoria, l’analizza e poi da un giudizio in
merito.
In deroga a tutto ciò, stare al di sotto della soglia 1 non solo implica non fare notifica, ma anche la
tutela di non poter essere vietata la concentrazione, anche quando si tratta di mercati molto
delicati.
L’esito dell’istruttoria può:
• Ammettere la concentrazione, poiché non crea posizioni dominante
• Non ammettere la concentrazione (i casi si contano su una mano, sono pochissimi),
avviene quando l’AGCM ritiene che la stessa comporti la costituzione o il rafforzamento di
una posizione dominante con effetti distorsivi per la concorrenza stabili e durevoli.
• Soluzione intermedia à l’AGCM può dire che questa fusione si possa fare a condizione che
l’impresa dismetta un impianto produttivo, degli sportelli ecc. (come ha previsto Intesa San
Paolo)
Pesanti sanzioni pecuniarie, fino al 10% del fatturato delle imprese interessate, sono inflitte
dall’AGCM se la concentrazione vietata viene ugualmente eseguita. Diversamente dalle intese,
non è però sancita la nullità selle operazioni che hanno dato vita alla concentrazione vietata.
Intese à sono ancora di più delle concentrazioni, ma non è stato posto l’obbligo di notifica
preventiva. C’è chiaramente la facoltà di poter far ciò, ma non l’obbligo. Le conseguenze negative
di un divieto successivo hanno ricadute solo sulle imprese chiamate in causa, quindi non provoca
una perdita a livello di società. Quando si sottopone a controllo, abbiamo due piani di
conseguenze che derivano da un divieto di intesa restrittiva della concorrenza, uno amministrativo
e uno civilistico.
Dal punto di vista amministrativo, l’AGCM produce una sanzione amministrativa.
Dal punto di vista civilistico, abbiamo la nullità dell’intesa stessa, demandata all’autorità del
tribunale, che in questo caso in realtà è la corte d’appello.
Il divieto non ha però carattere assoluto; l’Autorità può anche concedere esenzioni temporanee
purché ricorrano le condizioni specificate dalla legge. Si deve trattare di intese che migliorano le
condizioni di offerta sul mercato e producono un sostanziale beneficio per i consumatori.
L’interesse generale può addirittura legittimare la radicale soppressione della libertà di iniziativa
economica privata e di concorrenza. L’art. 43 della costituzione pone seri limiti al riconosciuto
potere statale di creare monopoli pubblici, ritenendo che sia necessario che il sacrificio della
67
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
libertà di iniziativa risponda a fini di utilità pubblica e i settori in cui si può legittimamente istituire
un monopolio pubblico sono predeterminati in modo tassativo. I monopoli pubblici oggi tendono a
ridursi, ma alcuni sono ancora utilizzati, come i monopoli fiscali (es. tabacchi, lotto).
Quando la produzione di determinati beni o servizi è attuata in regime di monopolio legale, sia
dallo stato direttamente o da altro ente pubblico, sia da imprenditore privato per effetto di
concessione esclusiva della PA, non trova applicazione nei confronti dell’impresa monopolistica la
normativa antitrust.
Derogando al principio generale della libertà di contrarre, l’art. 2597 pone un duplice obbligo a chi
opera in regime di monopolio:
a) Obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto
dell’impresa
b) Obbligo di rispettare la parità di trattamento fra i diversi richiedenti.
L’obbligo di contrarre del monopolista e il corrispondente diritto soggettivo dell’utente sussistono
perciò per le richieste che siano compatibili con i mezzi ordinari dell’impresa. Tali richieste devono
essere soddisfatte in ordine cronologico.
Il rispetto del principio della parità di trattamento comporta, a sua volta, che il monopolista debba
predeterminare e rendere note al pubblico le proprie condizioni contrattuali che, di regola, sono in
larga parte fissate in via legislativa o sottoposte a preventiva approvazione amministrativa.
La parità di trattamento non implica però che le condizioni contrattuali debbano essere
necessariamente le stesse per tutti gli utenti. Il monopolista potrà prevedere anche modalità e
tariffe differenziate, purché predetermini i relativi presupposti di applicazione e ne faccia godere
chiunque si trovi nelle condizioni richieste.
Tale disciplina si applica al così detto monopolio legale, e presupposto per la sua applicazione è
quindi la produzione ed il commercio di quel dato bene o servizio che per legge siano riservati ad
un solo imprenditore. Essa non è però applicabile al monopolista di fatto, cioè colui che, pur non
godendo di un regime di esclusiva, abbia una posizione dominante sul mercato ed in fatto controlli
la produzione ed il commercio di un bene o un servizio non facilmente sostituibili dai consumatori.
Al monopolista di fatto è però applicabile la normativa a tutela della concorrenza introdotta dalla
legge 287/1990.
68
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
economica. Ogni patto limitativo è valido quando non ricorrono i presupposti per l’applicazione
delle norme antimonopolistiche comunitarie e purché non ricadano nel divieto di intese o di abuso
di posizione dominante.
È inoltre opportuno separare due categorie di patti anticoncorrenziali: i patti autonomi e quelli
accessori.
• Patti autonomi: il patto limitativo della concorrenza può presentarsi come un contratto
autonomo, che ha come oggetto e funzione esclusivi la restrizione della libertà di
concorrenza. Un tale contratto può porre obblighi di restrizione per una sola delle parti
(restrizioni unilaterali), oppure può prevedere obblighi di non concorrenza a carico di tutti
gli imprenditori (restrizioni reciproche). Quest’ultimo contratto è noto come cartello o
intesa, e può prevedere impegni reciproci di vario tipo (es. ripartire le zone di distribuzione
à cartelli di zona)
Le finalità perseguite mediante un cartello possono però essere perseguite anche da un
contratto di consorzio, attraverso la creazione di una organizzazione comune fra
imprenditori e senza limiti di durata. Ne consegue che il limite di durata di 5 anni previsto
dal 2596 è applicabile con certezza solo alle restrizioni reciproche della concorrenza che
non prevedono la costituzione di una organizzazione comune per la realizzazione del loro
oggetto. Incerto è se ciò si applica anche quando l’accordo è strutturato sotto forma di
consorzio, ma si ritiene che ciò non avvenga.
• Patti accessori: il patto limitativo della concorrenza può anche essere sotto forma di
clausola accessoria di altro contratto avente un diverso oggetto. Anche questi possono
prevedere restrizioni unilaterali e restrizioni reciproche. Possono inoltre intercorrere tra
imprenditori in diretta concorrenza che operano al medesimo livello produttivo o
commerciale (restrizioni orizzontali) e tra imprenditori che operano a livelli diversi e fra i
quali manca un rapporto diretto di concorrenza (restrizioni verticali).
Alcuni di questi patti formano oggetto di specifica disciplina legislativa (patti nominati):
a) Clausola di esclusiva
b) Patto di preferenza: il somministrato si obbliga a preferire, a parità di condizioni, lo
stesso somministrante qualora voglia stipulare un successivo contratto di
somministrazione per lo tesso oggetto
c) Patto di non concorrenza: si limita l’attività del prestatore di lavoro per il tempo
successivo alla cessazione del contratto
d) Patto con cui si limita la concorrenza dell’agente dopo lo scioglimento del contratto
di agenzia.
Non tutti i patti accessori ricadono nella disciplina del 2596, ma solo quelli innominati, cioè
che non prevedono una disciplina specifica. Si ritiene che però il limite quinquennale si
applichi alle sole clausole innominate che comportano limiti alla concorrenza non
funzionali al tipo di contratto cui accedono.
Si ritiene inoltre che le relative limitazioni si applicherebbero solo alle restrizioni
orizzontali, e cioè ai patti stipulati fra produttori o fra rivenditori della stessa merce. Si
sottrarrebbero a tale disciplina tutte le restrizioni verticali, regolati dall’art. 1379 (divieto
convenzionale di alienazione). Ciò in realtà non merita di essere condiviso e si ritiene che le
restrizioni verticali ricadano nell’ambito di applicazione del 2596.
69
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Concorrenza sleale
È interesse generale che la competizione fra imprenditori si svolga in modo corretto e leale.
Tale disciplina nasce da trattati internazionali, quindi non nell’ambito del codice civile.
Nel codice di commercio dell’82 erano trattati come illeciti civili, e nel sistema attuale ricadono
nella fattispecie della concorrenza sleale.
2. Spot pubblicitario à Linkem lancia una campagna pubblicitaria un po’ aggressiva; un soggetto
apre un browser con l’adsl Tim, e ci mette tantissimo a caricare. Così si suggerisce all’individuo
di passare a Linkem per avere un servizio migliore.
Si ricade sicuramente nella seconda fattispecie delineata dal 2598 à non posso togliere credito
concorrenziale al concorrente né aggiungere credito concorrenziale che deriva dal concorrente
al mio prodotto.
Con una logica di laissez faire, queste dinamiche dovrebbero essere tollerate. Il codice invece,
tratta questa fattispecie nel 2598:
‘’Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi17 e dei diritti di brevetto18,
compie atti di concorrenza sleale chiunque:
17
Marchio che contraddistinguono il prodotto
18
Alcune componenti sono tutelate da brevetti
70
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi
legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con
qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un
concorrente; (atti di confusione)
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della
correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda (fattispecie generale o
residuale)’’
La norma ha carattere residuale, in quanto si aggiunge alla tutela dei diritti di marchi e brevetti,
nei casi in cui la tutela dei marchi non viene applicata oppure quando ci si trova al di fuori della
fattispecie dei marchi e dei brevetti
I principi cardine della fattispecie generale sono che sia vietato servirsi di mezzi e tecniche non
conformità alla correttezza professionale e che questi atti siano idonei a danneggiare l’azienda
altrui.
Importante è anche l’elemento concorrenziale. ‘’Chiunque’’ si riferisce a ciascun individuo che si
trovi in un rapporto concorrenziale tra imprenditori.
Ma dove si trovano i principi di correttezza professionale? C’è chi dice che bisogna considerare il
comune sentire di una determinata area professionale in un determinato tempo. Questa ipotesi
non ha molto convinto, se in un dato tempo gli imprenditori sono dei truffatori, certamente non
sarà il loro comune sentire a delineare i principi cardine della correttezza professionale.
Sono coerenti con la correttezza professionale quei comportamenti che non falsano, non creano
elementi di squilibrio nell’arena competitiva dell’impresa, non creano disuguaglianze ingiustificate
dal punto di vista economico.
Es. caso di una catena di negozi dove una buona parte dei dipendenti era pagata in nero. Un
concorrente la cita in giudizio per concorrenza sleale. Il comportamento di violazione di norme
pubbliciste può costituire un reato di concorrenza sleale nel momento in cui va a falsare il mercato
(ha costi inferiori, paga meno imposte e vince nei confronti della concorrenza violando norme
pubblicistiche).
La violazione di norme tributarie e di ritenute d’acconto a titolo d’imposte possono quindi
ritenersi quindi comprensivi anche della fattispecie di concorrenza sleale, poiché si va a falsare la
concorrenza.
Questa clausola generale di chiusura, di carattere residuale, racchiude gli elementi che qualificano
in generale l’atto di concorrenza sleale e che anche le fattispecie tipiche si caratterizzano per
scorrettezza professionale e idoneità a danneggiare l’azienda altrui. Questi caratteri sono da
ritenere sempre presenti e non hanno bisogno di essere provati.
71
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
2. Atti di denigrazione, che consistono nel diffondere notizie e apprezzamenti sui prodotti e
sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito.
Atti di vanteria, cioè appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa concorrente
comune ad entrambe le fattispecie è la finalità di falsare gli elementi di valutazione
comparativa del pubblico, attraverso comunicazioni indirizzate a terzi e in primo luogo
avvalendosi dell’arma della pubblicità. Diversa è però la modalità con cui tale fine è perseguito:
Con la denigrazione si tende a mettere in cattiva luce i concorrenti danneggiando la loro
reputazione commerciale.
Con la vanteria si tende invece ad incrementare artificiosamente il proprio prestigio
attribuendo ai propri prodotti o alla propria attività pregi e qualità che in realtà appartengono
a uno o più concorrenti.
Diverse sono le pratiche riconducibili nello schema della concorrenza sleale per denigrazione:
a) Denunce al pubblico di pratiche concorrenziali illecite da parte di concorrenti specifici,
quando la diffida sia priva di fondamento o il suo contenuto oltrepassi i limiti della
necessaria tutela del proprio diritto. (in generale, si traduce nella divulgazione di notizie
che possano screditare la reputazione commerciale di un concorrente.
b) Pubblicità iperbolica: si tende ad accreditare l’idea che il proprio prodotto sia il solo a
possedere determinate qualità e pregi, che vengono implicitamente negati ai
concorrenti. Lecito è invece il puffing, che consiste nella generica affermazione di
superiorità dei propri prodotti.
72
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Per quanto riguarda le altre fattispecie delineate dalla clausola generale di chiusura del 2598, si
affida al giudice il delicato compito di farsi interprete della coscienza sociale del momento.
Fra gli atti contrari al criterio della concorrenza professionale abbiamo:
a) Pubblicità menzognera: falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi non
appartenenti ad alcun concorrente. Illecita deve essere considerata non solo quando
scredita un concorrente, ma anche quando non è specificatamente lesiva di un
determinato concorrente ed esprime un danno potenziale per tutti i concorrenti sul
mercato.
b) Concorrenza parassitaria: sistematica imitazione delle altrui iniziative imprenditoriali,
attuata con accorgimenti per evitare la piena confondibilità delle attività.
c) Boicottaggio economico: rifiuto ingiustificato ed arbitrario di un’impresa in posizione
dominante o di un gruppo di imprese associate di fornire i propri prodotti a determinati
rivenditori, in modo da escluderli dal mercato.
d) Dumping: vendita sottocosto dei propri prodotti
e) Storno di dipendenti: sottrazione ad un concorrente di dipendenti o anche di collaboratori
autonomi particolarmente qualificati, quando venga attuata con modalità tali da
manifestare il deliberato proposito di danneggiare l’altrui azienda.
f) Sottrazione di segreti aziendali: rivelazione a terzi e l’acquisizione o l’utilizzazione da parte
di terzi, in modo contrario alla correttezza professionale, delle informazioni aziendali
segrete.
L’applicazione della disciplina della concorrenza sleale presume che i due soggetti abbiano qualità
di imprenditore e che vi sia un rapporto di concorrenza economica fra i medesimi.
Che il soggetto passivo dell’atto di concorrenza sleale debba essere un imprenditore è ormai fuori
discussione, poiché solo verso costui può verificarsi la fattispecie di danneggiare l’altrui azienda.
Il soggetto attivo invece è delineato dalla disciplina come ‘’chiunque’’. La dottrina e la
giurisprudenza propendono per una interpretazione restrittiva di tale formula. Concorrente di un
imprenditore non può che essere un altro imprenditore. L’imprenditore risponde a titolo di
concorrenza sleale anche per gli atti compiuti da altri nel suo interesse e su suo specifico incarico.
Inoltre, questi due soggetti devono essere in un rapporto di concorrenza prossima o effettiva.
Un ulteriore passo avanti lo si ha avuto con l’ammissione che la disciplina sia applicabile anche fra
operatori che agiscono a livelli economici differenti (concorrenza verticale).
Necessario e sufficiente è che il risultato ultimo di entrambe le attività incida sulla stessa categoria
di consumatori, anche se è diversa la cerchia di clienti servita.
73
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
La regola nell’atto civile è quasi una beffa nell’ambito della concorrenza sleale. Vedo ad esempio
che un’azienda mi sta denigrando, dovrei quindi calcolare quanti clienti abbandonano l’azienda e
chiedo un risarcimento del danno subito.
In questo caso, si ha una sostituzione delle regole civilistiche con regole che vadano a tutelare
l’interesse del cliente.
La regola usata in questo caso è l’azione inibitoria (art. 2599)à aziona volta ad ottenere una
sentenza che accerti l’illecito concorrenziale, ne inibisca la continuazione per il futuro e disponga a
carico della controparte i provvedimenti reintegrativi necessari per far cessare gli effetti della
concorrenza sleale.
È tipico di quando l’ordinamento non vuole che il danno si manifesti, ma vuole impedire il danno
inibendo il comportamento.
La sentenza che accerta gli atti di concorrenza sleale ne inibisce le azioni e delinea gli opportuni
provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti (art. 2599).
Questo perché l’interesse primario dell’imprenditore è quello di ottenere la cessazione delle
turbative alla propria attività e di ottenerla ancor prima che l’atto gli abbia causato un danno
patrimoniale.
L’azione inibitoria e le conseguenti sanzioni prescindono dal dolo o dalla colpa del soggetto attivo
dell’atto di concorrenza sleale e dall’esistenza di un danno patrimoniale attuale per la controparte.
Gli interessi tutelati sono non solo gli interessi degli imprenditori, ma anche l’interesse più
generale che non vengano falsati gli elementi di valutazione e di giudizio del pubblico e non siano
tratti in inganno i consumatori. Comunque, necessario e sufficiente a qualificare un atto come atto
di concorrenza sleale è l’idoneità dello stesso a danneggiare i concorrenti, anche se non reca alcun
pregiudizio ai consumatori.
I soggetti legittimati a reagire contro gli atti di concorrenza sleale sono solo gli imprenditori, non il
singolo consumatore. Il sistema di concorrenza sleale non può essere perciò deputato ad assolvere
una diretta funzione protettiva dei consumatori, ma una disciplina è stata introdotta dal codice del
consumo del 2005.
Tale legittimazione è poi estesa anche alle associazioni professionali di imprenditori e agli enti
rappresentativi di tale categoria, quando gli atti di concorrenza sleale pregiudichino gli interessi di
una categoria professionale.
74
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
L’Autorità garante inibisce le pratiche commerciali illecite (può farlo anche d’ufficio), ne elimina gli
effetti e fa gravare sanzioni pecuniarie in capo al professionista. L’Autorità può anche disporre la
pubblicazione della sentenza, ma nei casi meno gravi può anche chiudere il procedimento
mediante un accordo con cui il professionista si impegna a porre fine all’infrazione, senza ulteriori
sanzioni.
Resta di competenza del giudice ordinario la decisione sull’azione risarcitoria eventualmente
promossa dal consumatore che si sente danneggiato.
Ciò non preclude che comunque si possano azionare preventivamente sistemi di autodisciplina,
organizzati da associazioni imprenditoriali e professionali, prima di rivolgersi all’Autorità. La
decisione dell’organo di autodisciplina non pregiudica il consumatore di adire l’Autorità garante o
di promuovere un’azione giudiziaria.
Pubblicità ingannevole
I più grandi mezzi di pubblicità hanno dato via ad un sistema di autodisciplina pubblicitaria, che li
impegna a non diffondere messaggi pubblicitari che contrastino con le regole di comportamento
fissate dall’apposito codice di autodisciplina pubblicitaria. Il Giurì di autodisciplina vigila sul
rispetto del codice e funge da organo giudicante e le sue decisioni sono insindacabili. Queste
decisioni, come lo stesso codice, sono vincolanti soltanto per i mezzi pubblicitari che hanno
aderito all’autodisciplina.
Si è infatti affiancata una disciplina legislativa, sottoposta al controllo dell’Autorità garante:
1. La pubblicità deve essere palese, veritiera, corretta e chiaramente riconoscibile come tale.
2. È fatto divieto di qualsiasi pubblicità ingannevole, cioè quelle pubblicità che in qualunque
modo inducono in errore o possono indurre in errore le persone alle quali sono rivolte e
possano pregiudicare il loro comportamento economico oppure ledere un concorrente.
3. È vietato ogni tipo di pubblicità subliminale
4. Sono dettate norme specifiche per i prodotti pericolosi e quelle pubblicità suscettibili di
arrivare a bambini ed adolescenti.
Ogni interessato può denunciare l’uso di pubblicità ingannevole o comparativa illecita all’Autorità
garante, che può procedere anche d’ufficio.
75
Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 9
Più imprenditori possono però dar vita ad un consorzio anche per conseguire un fine parzialmente
o totalmente diverso, e cioè per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. In
questo caso il consorzio rappresenta uno strumento di cooperazione interaziendale finalizzato alla
riduzione dei costi di gestione delle singole imprese, e prende il nome di consorzio con funzione di
coordinamento.
Questi consorzi, rispondendo all’esigenza di conservare e accrescere la competitività delle
imprese, concorrono a preservare la struttura concorrenziale del mercato. Per questo motivo, tali
consorzi sono guardati con favore dal legislatore, che ne agevola la costituzione ed il
funzionamento.
A queste forme di cooperazione reciproca ricorrono tipicamente piccole e medie imprese, per
raggiungere e recuperare competitività sul mercato attraverso la riduzione delle spese generali di
esercizio.
Sul piano del diritto privato, questi consorzi sono regolati in modo tendenzialmente uniforme. Sul
piano civilistico vi è però una distinzione rilevante, cioè quella fra consorzi con sola attività interna
e consorzi destinati a svolgere anche attività esterna. Nei consorzi con sola attività interna il
compito di tale organizzazione si esaurisce nel regolare i rapporti reciproci fra consorziati e nel
controllare il rispetto di quanto convenuto. Nei consorzi con attività esterna le parti prevedono
l’istituzione di un ufficio comune destinato a svolgere attività con i terzi nell’interesse delle
imprese consorziate.
Contratto di consorzio
Può essere stipulato solo fra imprenditori, non sono richiesti altri requisiti soggettivi e perciò al
consorzio potrà partecipare qualsiasi imprenditore.
È un contratto formale, deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità.
Deve inoltre contenere una serie di indicazioni, specificate nel secondo comma dell’art. 2603.
Essenziale è la determinazione dell’oggetto del consorzio, degli obblighi assunti dai consorziati e
degli eventuali contributi in danaro da essi dovuti per il funzionamento del consorzio.
Tale contratto è per sua natura un contratto di durata, che può essere liberamente fissata dalle
parti. Se sulla durata le parti tacciono, il contratto è valido per 10 anni.
È un contratto tendenzialmente aperto, ed è perciò possibile la partecipazione al consorzio di
nuovi imprenditori senza che sia necessario il consenso di tutti i consorziati.
Tale indicazione non è tuttavia essenziale, e se il contratto non prevede nulla a riguardo è da
ritenersi che il consorzio abbia struttura chiusa. I nuovi imprenditori potranno aderire, per iscritto
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
a pena di nullità, solo con il consenso di tutti i consorziati, salvo quanto previsto dall’art. 2610 per
il trasferimento dell’azienda.
L’art. 2610 dispone che, salvo diversa pattuizione tra le parti, il trasferimento a qualsiasi titolo
dell’azienda comporta l’automatico subingresso dell’acquirente nel contratto di consorzio.
Tuttavia, se sussiste una giusta causa e solo se il trasferimento dell’azienda e avvenuto per atto fra
vivi, gli altri consorziati potranno deliberare l’esclusione dell’acquirente dal consorzio, entro un
mese dalla notizia dell’avvenuto trasferimento.
Il contratto di consorzio può sciogliersi limitatamente ad un consorziato, per volontà di questo
(recesso) o per decisione degli altri consorziati (esclusione). Le cause di recesso ed esclusione
devono essere indicate nel contratto, ma non essendo clausole essenziali, se nulla è pattuito,
opererà la clausola di esclusione prevista dal 2610.
Al consorziato receduto o escluso competerà la liquidazione della sua quota di partecipazione al
fondo patrimoniale consortile.
Dalle cause di recesso e di esclusione vanno tenute distinte le cause di scioglimento dell’intero
contratto di consorzio (elencate dall’art. 2611)
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Nei consorzi con attività esterna, l’organo direttivo è disciplinato in maniera più esaustiva. È
disposto che il contratto specifichi le persone cui è attribuita la presidenza, la direzione e la
rappresentanza del consorzio e i relativi poteri.
Inoltre, è previsto che il consorzio può essere chiamato in giudizio (rappresentanza processuale
passiva) nelle persone del presidente e del direttore, anche se la rappresentanza è attribuita ad
altre persone.
È inoltre espressamente prevista la formazione di un fondo patrimoniale (fondo consortile),
costituito dai contributi iniziali e successivi dei consorziati e dai beni acquistati con tali contributi.
Tale fondo è elevato a patrimonio autonomo rispetto al patrimonio dei singoli consorziati, essendo
destinato a soddisfare i creditori del consorzio ed è da questi aggredibile fin quando dura il
consorzio. Per la durata del consorzio, i consorziati non possono richiedere la divisione del fondo e
i creditori particolari dei consorziati non possono fa valere i loro diritti sul medesimo fondo.
Le obbligazioni gravanti sul fondo consortile sono disposte dall’art. 2615, il quale distingue tra
obbligazioni assunte in nome del consorzio e obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per
conto dei singoli consorziati.
Per le prime, risponde esclusivamente il consorzio ed i creditori possono far valere i loro diritti solo
sul fondo consortile.
Per le seconde, c’è invece una maggiore tutela dei terzi, in quanto per tali obbligazioni rispondono
solidalmente sia il consorziato o i consorziati interessati, sia il fondo consortile. In caso di
insolvenza del consorziato interessato, il debito si ripartisce fra tutti gli altri consorziati in
proporzione alle loro quote. Per tali obbligazioni, la responsabilità del fondo consortile ha funzione
di garanzia. Il consorzio, se costretto a pagare, avrà azione di rivalsa per l’intero nei confronti del
consorziato interessato e, qualora questi sia insolvente, azione di rivalsa pro quota verso gli altri
consorziati.
Società consortili
Consorzi e società sono istituti diversi, e tale diversità è netta quando il consorzio svolge attività
esclusivamente interne (manca l’esercizio in comune di un’attività economica), è più sottile
quando svolge anche attività esterna. Società e consorzi con attività esterna hanno in comune sia
il carattere imprenditoriale dell’attività esercitata, sia il fine di realizzare un interesse economico
dei partecipanti (scopo egoistico).
Essi si differenziano tuttavia per la diversità dello scopo egoistico programmato e perseguito.
La definizione di scopo consortile si desume dall’art. 2602 à funzione tipica di un consorzio con
attività esterna è quella di produrre beni o servizi necessari alle imprese consorziate ed almeno
tendenzialmente destinati ad essere assorbiti dalle stesse. L’attività d’impresa del consorzio non si
può ritenere tipicamente finalizzata né alla produzione di beni ceduti ai terzi né al conseguimento
di utili. L’intento tipico non è infatti quello di ricavare un utile, ma quello di usufruire dei beni e
servizi prodotti e messi a loro disposizione dall’impresa consortile, in modo da conseguire un
vantaggio patrimoniale diretto nelle rispettive economie, sotto forma di minori costi sopportati o
maggiori ricavi conseguiti.
Lo scopo tipico dei consorzi è perciò diverso da quello delle società lucrative, ovvero produrre utili.
Lo scopo consortile presenta maggiori affinità con lo scopo tipicamente perseguito dalle società
cooperative, e cioè lo scopo mutualistico. Anche l’impresa mutualistica infatti non mira al
conseguimento degli utili ma ad arrecare un vantaggio patrimoniale diretto ai soci.
La ‘’mutualità consortile’’ però si differenzia comunque dalla mutualità delle cooperative, poiché
specifico e tipico è il vantaggio mutualistico perseguito dai partecipanti ad un consorzio: riduzione
dei costi o aumento dei ricavi. L’interesse dei consorziati è tipicamente imprenditoriale.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Era inoltre largamente diffusa la prassi di perseguire i fini propri del contratto di consorzio non
costituendo un consorzio, bensì una società, dando vita ad una società per azioni o cooperativa. In
questo modo si poteva beneficiare del regime di responsabilità limitata e di disporre di una
struttura organizzativa per il funzionamento.
Questa prassi ha ottenuto riconoscimento legislativo con la riforma dei consorzi del 1976,
disponendo che le società lucrative possono assumere come oggetto sociale gli scopi ex. art. 2602.
Resta però il problema se una società consortile deve essere disciplinata come società per azioni o
in parte da questa ed in parte dalla disciplina dei consorzi (disciplina mista).
Esigenze di certezza del diritto inducono a preferire l’impostazione che vede nelle società
consortili vere e proprie società, integralmente assoggettate in via di principio alla disciplina del
tipo societario prescelto.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 10
Il contratto costitutivo della Geie deve essere redatto per iscritto a pena di nullità e nel contratto
devono essere indicati almeno la denominazione del gruppo (preceduta o seguita dalla sigla Geie),
la sede, l’oggetto, il nome dei membri e la durata.
Il contratto è soggetto a pubblicità legale, mediante iscrizione nel registro delle imprese (efficacia
costitutiva) e successiva pubblicazione nella G.U. (efficacia meramente dichiarativa).
Per gli atti compiuti in nome del gruppo prima dell’iscrizione sono responsabili solidalmente ed
illimitatamente coloro che li hanno compiuti qualora il gruppo non assuma, a seguito
dell’iscrizione, gli obblighi che derivano da tali atti.
Le cause di nullità del Geie sono previste dai singoli ordinamenti nazionali (il nostro non dispone
nulla al riguardo).
Uniforme è invece la disciplina degli effetti della nullità, molto simile a quella delle società di
capitali. La dichiarazione di nullità:
• Non ha effetto retroattivo
• Non pregiudica la validità degli atti precedentemente compiuti
• Opera solo come causa di scioglimento ex lege del gruppo
• È sanabile ed il tribunale, se ritiene possibile la regolarizzazione della situazione, deve
concedere un termine entro il quale provvedervi.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
La gestione del Geie è affidata ad uno o più amministratori, nominati con il contratto costitutivo
del gruppo o con decisione dei membri. Può essere nominato amministratore anche una persona
giuridica.
I poteri degli amministratori sono fissati dal contratto, e soltanto ad essi spetta per legge la
rappresentanza del gruppo verso i terzi.
La Geie deve tenere le scritture contabili previste per gli imprenditori commerciali,
indipendentemente dalla natura commerciale o meno dell’attività esercitata. Gli amministratori
redigono il bilancio, lo sottopongono all’approvazione dei membri e lo depositano nel registro
delle imprese entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio.
Il Geie non ha lo scopo di realizzare i profitti per sé stesso, e gli utili risultanti dall’attività sono
considerati direttamente profitti dei membri e ripartiti fra gli stessi secondo la proporzione
prevista nel contratto o, nel silenzio, in parti uguali.
La disciplina del Geie non richiede la formazione obbligatoria di un fondo patrimoniale iniziale, ma
vi è un contrappeso che consiste in un regime di responsabilità per le obbligazioni particolarmente
rigoroso.
Delle obbligazioni di qualsiasi natura assunte dal Geie rispondono infatti solidalmente ed
illimitatamente tutti i membri del gruppo. La responsabilità dei membri è tuttavia sussidiaria a
quella del Geie: i creditori possono infatti agire nei confronti dei membri soltanto dopo aver
chiesto al gruppo di pagare e qualora il pagamento non sia stato effettuato entro un determinato
termine.
Ogni nuovo membro del gruppo risponde anche delle obbligazioni anteriori al suo ingresso, salvo
patto contrario, e i membri che cessano di far parte del gruppo continuano a rispondere delle
obbligazioni anteriori. Tale responsabilità permane anche dopo lo scioglimento del Geie, per un
massimo di 5 anni.
L’ammissione di nuovi membri deve essere decisa all’unanimità e l’unanimità è necessaria anche
per l’efficacia della cessione della quota di partecipazione.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 11
Queste ultime associazioni temporanee sono molto importanti, e la legislazione consente che
l’esecuzione di una stessa opera siano affidate in appalto ad una pluralità di imprese che
conservano la propria individualità.
Il raggruppamento temporaneo di imprese disciplinato dal codice degli appalti pubblici si fonda su
un mandato collettivo con rappresentanza conferito dalle imprese che intendono partecipare alla
gara d’appalto ad una di esse qualificata come capogruppo. Il mandato deve risultare da scrittura
privata autenticata e in base a tale mandato l’impresa capogruppo è ammessa a formulare
un’unica offerta, in nome e per conto proprio e delle altre imprese riunite.
La capogruppo conserva tale veste per tutta la durata dell’appalto, e il mandato conferitole è
irrevocabile e la revoca, anche per giusta causa, non ha effetto nei confronti del soggetto
appaltante.
La capogruppo ha la rappresentanza esclusiva, anche processuale, delle imprese mandanti nei
confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti
dall’appalto, fino all’estinzione di ogni rapporto. La posizione di rappresentante opera ex lege solo
a favore dell’ente committente.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
La tutela dell’ente committente emerge anche alla disciplina della responsabilità nei suoi
confronti, a seconda che l’opera comprenda o meno parti dichiarate scorporabili dall’ente stesso.
Gli appalti non scorporabili danno vita ai così detti raggruppamenti orizzontali, dove tutte le
imprese rispondono solidalmente per l’intera opera, la divisione dei lavori nella fase esecutiva ha
valore solamente interno e l’ente committente potrà chiedere il risarcimento dei danni ad una
qualsiasi delle imprese riunite.
Gli appalti scorporabili danno vita ai così detti raggruppamenti verticali, dove responsabile
dell’opera è la capogruppo, mentre le altre imprese rispondono solo per l’esecuzione della loro
parte di competenza.
Per quanto riguarda l’ipotesi di fallimento di una delle imprese riunite e di morte, interdizione o
inabilitazione del suo titolare, se tali eventi riguardano la capogruppo, l’ente committente ha la
facoltà o di proseguire il rapporto di appalto con altra capogruppo o di recedere dall’appalto.
Se tali eventi colpiscono un’altra impresa partecipante, l’appalto prosegue e la capogruppo ha la
facoltà di sostituire questa impresa con un’altra. Se non provvede alla sostituzione, la capogruppo
sarà tenuta ad eseguire la parte rimasta scoperta.
Il legislatore lascia poi piena libertà alle imprese riunite per quanto riguarda l’assetto dei rapporti
reciproci e di quelli con i terzi diversi dal committente.
È inoltre espressamente consentito che le imprese riunite per la partecipazione ad appalti di lavori
pubblici costituiscano fra loro una società dopo l’aggiudicazione dell’appalto per l’esecuzione
unitaria, totale o parziale dei lavori.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
CAPITOLO 12
Le reti di imprese
Quando più imprenditori instaurano tra loro stabili rapporti di collaborazione per incrementare la
reciproca capacità competitiva, sotto il profilo economico si dice che essi hanno fatto una rete di
imprese.
Il legislatore, per favorire e dare garanzie alla rete di imprese, ha introdotto il contratto di rete.
Con questo contratto, egli vuole creare uno strumento giuridico utilizzabile per quasi tutte le
forma di collaborazione fra imprese e consentire ai terzi ed alla pubblica amministrazione di venire
a conoscenza di tali accordi e di valutarne il programma.
Con il contratto di rete più imprenditori, allo scopo di accrescere, individualmente e
collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, si obbligano,
sulla base di un programma comune ad una o più delle seguenti attività:
a) Collaborare in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese
b) Scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o
tecnologica
c) Esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.
Tale contratto presenta indubbie analogie con i consorzi, e scopo del contratto di rete è la
predisposizione e l’attuazione di un programma di collaborazione fra imprenditori contraenti volto
a migliorare la capacità innovativa e la competitività delle rispettive imprese.
A differenza del consorzio però, la costituzione di un’organizzazione comune non è elemento
necessario del contratto di rete. Inoltre, oggetto della collaborazione può essere qualsiasi attività
idonea al conseguimento degli obbiettivi predeterminati dal programma di rete.
Mentre lo scopo consortile è affine allo scopo mutualistico, il contratto di rete è piuttosto un
contratto a scopo lucrativo o di tipo mutualistico a seconda dell’attività perseguita dal
programma.
Il contratto di rete può essere stipulato solo tra imprenditori, per atto pubblico, scrittura privata
autenticata o atto munito di firma digitale, e ciò è richiesto ai fini degli adempimenti pubblicitari.
Il contratto è iscritto nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun
partecipante, e questa pubblicità ha effetti costitutivi poiché l’efficacia del contratto inizia a
decorrere solo da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico dei contraenti
originari.
Ex lege, è determinato il contenuto minimo del contratto, che deve indicare gli obiettivi strategici
di innovazione e innalzamento della capacità competitiva perseguiti tramite la rete e deve definire
il programma di rete.
Il contratto determina anche la durata della rete, ed in mancanza di espressa indicazione, il
contratto è stipulato a tempo indeterminato.
Ciascun contraente può recedere dando il giusto preavviso, ma quando la rete è stipulata a tempo
determinato, il recesso anticipato è consentito solo in presenza di giusta causa.
Nulla è previsto per quanto riguarda la liquidazione della quota all’imprenditore che recede o
viene escluso dalla rete.
Il contratto di rete può avere le caratteristiche di un contratto aperto: le modalità di adesione di
nuovi imprenditori sono quindi predeterminate dal contratto stesso ed è sicuramente lecito
prevedere procedure di ammissione che non prevedano il consenso preventivo degli altri
contraenti.
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Appunti di Diritto Commerciale Primo parziale
Se non è però previsto nulla, le nuove adesioni devono essere decise all’unanimità, come le
modifiche del contratto, a meno che il contratto non preveda che le modifiche possano essere
effettuate a maggioranza. Con le stesse modalità deve essere deciso anche lo scioglimento
anticipato della rete.
La disciplina dell’organizzazione della rete è molto flessibile, fino al punto che sono ipotizzabili reti
del tutto prive di organi. Facoltativa è pure la costituzione di un organo incaricato di gestire in
nome e per conto dei partecipanti l’esecuzione del contratto o di singole fasi dello stesso. È il
contratto stesso a delineare i poteri di tale organo e la sua durata. In assenza di previsioni, il
soggetto nominato (che può essere anche una persona giuridica) resta in carica a tempo
indeterminato, ma può ammettersi la possibilità della sua revoca per giusta causa con decisione
unanime dei contraenti.
Regole speciali sono inoltre previste per le reti destinate a svolgere attività con i terzi, e che a tal
fine sono provviste di un organo esecutivo e di un fondo patrimoniale comune. La rete dovrà avere
anche una denominazione e una propria sede nel contratto.
La rete con attività esterna può essere dotata o meno di una soggettività giuridica distinta dai
partecipanti. Tale soggettività si ottiene con l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle
imprese, e quindi in aggiunta all’ordinaria iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso
cui è iscritto ciascun partecipante.
La rete con autonoma soggettività giuridica opera tramite il proprio organo esecutivo, che ne ha
rappresentanza legale. All’organo comune potrà essere affidata anche la rappresentanza degli
imprenditori partecipanti alla rete.
Quando la rete è priva di soggettività giuridica, la legge presume che sussista tale potere di
rappresentanza per alcune materie espressamente indicate, se dal contratto non risulti
diversamente.
Il fondo patrimoniale della rete è formato dai conferimenti dei contraenti e da eventuali contributi
successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare. Tale fondo è un patrimonio autonomo e
distinto dai patrimoni personali dei partecipanti, e di conseguenza è aggredibile solo dai creditori
della rete.
In merito alle responsabilità per le obbligazioni della rete, si applicano principi analoghi a quelli dei
consorzi con attività esterna. Per le obbligazioni assunte dall’organo comune, i terzi possono far
valere i loro diritti solo sul fondo comune, e per le obbligazioni assunte dai singoli imprenditori,
rispondono questi ultimi in solido con il fondo comune.
Nella prassi inoltre avviene talvolta che le finalità del contratto di rete siano perseguite mediante
la costituzione di una società, che non è disciplinato espressamente dalla legge ma deve ritenersi
lecito che nello statuto della società venga indicato espressamente il fine di realizzare un
programma di rete. La rete sarà interamente soggetta alla disciplina del tipo societario prescelto.
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