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Matr. N.

0000806355

ALMA MATER STUDIORUM


Università di Bologna

Corso di studi in: “Scienze delle Attività Motorie e Sportive”

CAMPI SINTETICI VS CAMPI IN ERBA:


INTERAZIONE NEGLI INFORTUNI

Presentata Relatore:
Luca Polidori Laura Bragonzoni

Anno Accademico 2018/2019


INDICE

INTRODUZIONE ................................................................................................................. 3
CAPITOLO 1 - QUALI SONO I MUSCOLI CHE SI “STRESSANO” NELL’ATTIVITÀ CALCISTICA ... 5
1.1 DEFINIZIONE MUSCOLO........................................................................................... 5
1.2 MUSCOLO SCHELETRICO (41) .................................................................................. 6
1.2.1 Sarcomeri ......................................................................................................... 6
1.2.2. Legame actina e miosina (41)......................................................................... 10
1.2.3 Regolazione della contrazione muscolare ....................................................... 10
1.3 MUSCOLI DELLA COSCIA (41) ................................................................................. 12
1.4 MUSCOLI DELLA GAMBA (41) ................................................................................ 16
1.5 I MUSCOLI DELLA SCHIENA (41) ............................................................................. 17
CAPITOLO 2 - CAMPO IN ERBA VS CAMPO SINTETICO ..................................................... 19
2.1 CAMPO IN ERBA NATURALE................................................................................... 19
2.1.1 Composizione del terreno (44) ........................................................................ 19
2.1.2 Manutenzione (44) ......................................................................................... 22
2.2 CAMPI IN ERBA SINTETICA ..................................................................................... 24
2.2.1 Storia e generalità .......................................................................................... 24
2.2.2 Costruzione di un campo in erba sintetica ...................................................... 29
CAPITOLO 3 – PRO E CONTRO DELL’ATTIVITA’ NEL CAMPO IN ERBA NATURALE E IN ERBA
SINTETICA ....................................................................................................................... 32
3.1 INTRODUZIONE INFORTUNIO ................................................................................ 32
3.2 CONSIDERAZIONI SUGLI INFORTUNI ...................................................................... 34
3.3. LA SUPERFICIE DI GIOCO E LA SCARPA: QUALE RUOLO HA LA LORO INTERAZIONE
NEGLI INFORTUNI? ...................................................................................................... 37
CONCLUSIONI ................................................................................................................. 39
Bibliografia...................................................................................................................... 41
SITOGRAFIA..................................................................................................................... 44

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INTRODUZIONE

È sempre difficile raccontare il perché la vita prende alcune strade invece di altre, quali
sono le “sliding doors” che decidono i nostri destini.
Ricordo che era l’ultimo anno dell’asilo e alcuni dei compagni cui ero più legato mi dissero
che avevano deciso di iscriversi a una locale scuola di calcio. Per amicizia, anche se calciare
un pallone mi piaceva già molto, mi aggregai a loro. Da quel momento iniziai a vivere
l’esperienza del gioco come una cosa estremamente appassionante e divertente, con i
primi anni caratterizzati dalla gioia pura del correre insieme ad altri bambini, le sfide
interminabili ovunque ci fossero un campo e un pallone, le ginocchia sbucciate e così via.
Poi sono avvenute due cose, altrettanto importanti anche se a un livello decisamente
diverso: da un lato ho cominciato a crescere dal punto di vista tecnico, entrando a far parte
dei vari settori giovanili della squadra della mia città e dall’altro mi sono sempre più
appassionato, attraverso un gioco per pc, di tattica calcistica e di programmazione
manageriale di una squadra. Tutto questo è diventato, per me, un possibile obiettivo
professionale, un sogno che – certamente – deve confrontarsi con la realtà ma che rimane,
comunque, l’orizzonte entro cui continuo a pensarmi: il mondo del calcio come ambito
professionale futuro. Questo mi ha portato sempre più ad approfondire i diversi aspetti,
anche tecnici, collegati ad uno sport sempre uguale (22 giocatori ed un pallone) che però è
attraversato da continue innovazioni tattiche, da diverse tipologie di allenamento e
continue innovazioni dei materiali utilizzati o dei campi di gioco. La mia tesi vuole
approfondire quest’ultima parte che vede oggi innovazioni tecnologiche continue che
rendono i campi sintetici sempre più simili ai campi in erba. Simili, ovviamente, non vuol
dire uguali. La corsa, il salto, la caduta restano diversi a seconda delle superfici su cui
avvengono e, ovviamente, lo stesso si può dire per le sollecitazioni e gli infortuni
dell’apparato articolare e di quello muscolare oggetto, quest’ultimo, del presente lavoro.
Nel primo capitolo prenderò in considerazione i principali muscoli che si stressano
nell’attività calcistica, in particolare i muscoli della schiena ed i muscoli flessori ed estensori
degli arti inferiori.

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Nel secondo capitolo verranno invece descritte le caratteristiche dei campi in erba e delle
diverse tipologie di campo sintetico, fino a quelli di ultima generazione. Particolare
attenzione sarà dedicata anche agli aspetti gestionali delle due superfici.
Nel terzo capitolo verranno affrontati e i pro e i contro dell’attività motoria sulle diverse
superfici, con attenzione anche al “vissuto” dei giocatori.
La conclusione, infine, svilupperà anche le linee di indirizzo per ulteriori studi e ricerche.

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CAPITOLO 1 - QUALI SONO I MUSCOLI CHE
SI “STRESSANO” NELL’ATTIVITÀ
CALCISTICA

1.1 DEFINIZIONE MUSCOLO

“Mùscolo s. m. [dal lat. muscŭlus, dim. di mus «topo» (cfr. il gr. µῦς che vuol dire insieme
«topo» e «muscolo»), perché certi movimenti muscolari ricordano il rapido guizzare dei
topi]. – 1. a. In anatomia e fisiologia, organo capace di contrarsi sotto uno stimolo adeguato,
costituito da un insieme di fibre muscolari ognuna delle quali consta di fibrille più piccole
(miofibrille), che a loro volta constano di elementi minori (miofilamenti), di diametro
variabile da circa 6,5 a circa 14 nm” (53).

Prima di individuare le caratteristiche del campo in erba naturale e sintetico, è necessario


spiegare cosa sia un muscolo, quale sia la sua struttura e da cosa dipende il suo
funzionamento. Innanzitutto i muscoli sono gli organi che permettono il movimento del
corpo o di una parte di esso. Nel calcio il 68%-88% degli infortuni avviene agli arti inferiori
e, di questa percentuale, almeno un quarto sono lesioni muscoloscheletriche che avvengono
in particolare nella coscia e all’inguine. Molti studi (1,10,19,24,25,29,39,40) che hanno
analizzato gli infortuni muscolari dei calciatori di squadre professionistiche (comprensive
dei settori giovanili) e non, hanno evidenziato come gli apparati muscolari maggiormente
coinvolti siano: a) gli ischio-crurali, b) il quadricipite, c) gli adduttori, d) il gastrocnemio
senza notare grandi differenze tra gamba dominante (solitamente considerata quella con cui
si calcia) e non. Basandoci sui dati di questi studi è importante andare ad analizzare sia la
composizione del muscolo scheletrico, sia quali siano nello specifico i muscoli
maggiormente stressati. Infine bisogna anche considerare i muscoli della schiena che sono
sempre sollecitati in ogni movimento e, di conseguenza, possono essere soggetti a infortuni.

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1.2 MUSCOLO SCHELETRICO (41)

Il muscolo scheletrico è responsabile del movimento volontario, è costituito da fasci paralleli


di fibre muscolari, unite alle ossa grazie ai tendini. Una fibra muscolare è una cellula
multinucleata, estremamente differenziata per svolgere la contrazione. A livello subcellulare
è percorsa da numerose miofibrille parallele tra loro e al lato lungo della fibra, che hanno un
diametro di 2 µm e una lunghezza che può raggiungere quella della fibra che le contiene;
inoltre sono percorse da filamenti che si organizzano strutturalmente in unità ripetute dette
sarcomeri.

1.2.1 Sarcomeri
I sarcomeri sono costituiti da filamenti spessi, filamenti sottili e proteine accessorie (Fig. 1).
I filamenti spessi sono costituiti da centinaia di molecole di miosina, hanno un diametro di
15 nm e una lunghezza di 1,6 µm e sono disposte una a fianco all’altra e sfalsate, tenute
insieme da interazioni tra le code, in modo che le teste sporgano dal filamento; le teste, hanno
siti di legame specifici per i filamenti sottili di actina adiacenti, e per l’ATP. I filamenti sottili
hanno un diametro di circa 7 nm e una lunghezza di circa 1 µm, e sono costituiti da actina,
tropomiosina e troponina. L’actina è sotto forma di due filamenti di actina F avvolti a doppia
elica, la tropomiosina è una molecola bastoncellare posizionata nel solco dell’elica di actina
ed infine la troponina è un complesso di tre molecole: la troponina T, che lega la
tropomiosina, la troponina C, che lega lo ione calcio e la troponina I che si lega all’actina
svolgendo un ruolo inibitorio.
La struttura e la funzionalità del sarcomero necessitano anche di proteine accessorie: la loro
principale funzione è quella di stabilizzare una struttura che solo in un’adeguata e costante
organizzazione può mantenere una funzionalità. In particolare, i filamenti di actina sono
naturalmente instabili per la loro propensione a polimerizzare e depolimerizzare, di
conseguenza intervengono proteine incappuccianti come la tropomodulina che si lega alle
estremità negative dell’actina bloccandone la lunghezza; l’α-actinina e la proteina
incappucciante CapZ si legano all’estremità positiva dei filamenti di actina, fissandone la
lunghezza e ancorando i filamenti alla linea Z e la nebulina infine stabilizza i filamenti sottili.
Inoltre altre due proteine accessorie, la miomesina e la titina, contribuiscono a mantenere la
corretta posizione dei filamenti spessi di miosina (Fig. 1).

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La contrazione muscolare evidente a livello macroscopico, trova le sue ragioni nel
meccanismo molecolare che porta all’accorciamento e al rilassamento del sarcomero. Il
modello dello scorrimento dei filamenti, proposto nel 1954, propone che la contrazione sia
dovuta ad uno scorrimento dei filamenti sottili su quelli spessi, portando ad un
accorciamento del sarcomero, quindi delle miofibrille, quindi delle fibre, quindi del
muscolo. Lo scorrimento dei filamenti sottili si basa sulla interazione tra actina e la miosina
considerando che: la miosina è la miosina di tipo II, le code di miosina si associano ad altre
code di miosina per costituire il filamento spesso e la regolazione è peculiare di questo
meccanismo.

Fig. 1 Struttura muscolo rilasciato e muscolo contratto

I microfilamenti sono polimeri di actina, una proteina globulare. È la proteina intracellulare


più abbondante nelle cellule eucariotiche, costituendo il 10% delle proteine della cellula
muscolare e l’1-5% delle proteine nelle cellule non muscolari. Il monomero globulare di
actina (G-actina), costituito da 375 aminoacidi, può dare origine ad un polimero filamentoso
(F-actina), costituito da una catena lineare di monomeri. Ogni molecola di G-actina contiene
uno ione Mg++ che può legare ATP o ADP. Il monomero pertanto presenta un orientamento

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specifico che si mantiene anche nel polimero. Dopo che un monomero di G-actina associato
a ATP polimerizza, l’ATP ad esso associato si idrolizza ad ADP + P: pertanto i filamenti sa-
ranno costituiti da monomeri di ADP-G-actina per la maggior parte, mentre alle estremità vi
saranno monomeri di ATP-G-actina; dal momento che l’idrolisi di ATP avviene dopo la
polimerizzazione si desume che non sia necessaria a tal fine.
La polimerizzazione di actina avviene seguendo fasi sequenziali:

§ La fase di latenza, in cui la G-actina si associa in corti e instabili oligomeri;


§ La fase di nucleazione, in cui un oligomero sufficientemente grande funge da nucleo
§ La formazione di un nuovo filamento a cui si aggiungono mono- meri di G-actina;
§ La fase di allungamento, in cui il filamento di F-actina si allunga da entrambi le
estremità;
§ La fase stazionaria che si raggiunge quando i monomeri di G-actina liberi sono in
equilibrio con i monomeri legati; lo scambio di monomeri liberi e legati alle estremità
continua per la natura dinamica del filamento, ma la lunghezza del filamento stesso
non cambia.

La concentrazione di monomeri di G-actina liberi all’equilibrio è definita concentrazione


critica: quando la concentrazione di monomeri di G-actina è superiore alla concentrazione
critica si ha la polimerizzazione, quando è inferiore si ha la depolimerizzazione. Come già̀
accennato i monomeri, così come i filamenti, hanno un orientamento e parleremo pertanto
per convenzione di estremità̀ negativa (quella con il sito che lega ATP o ADPesposto verso
l’esterno) e di estremità̀ positiva (quella con il sito che lega ATP o ADP verso il filamento).
La velocità di allungamento all’estremità̀ positiva è di 5-10 volte maggiore dell’estremità̀
negativa. Questo fa sì che un filamento possa mantenere la stessa lunghezza pur avendo un
ricambio di monomeri alle estremità̀ , e in particolare avendo velocità diverse di
allungamento si evidenzia uno spostamento del filamento, detto trademilling.
Le cellule adottano meccanismi specifici per regolare la polimerizzazione dei filamenti di
actina, mediante l’utilizzo di proteine che impediscono o favoriscono la polimerizzazione
stessa. Tali proteine sono: le proteine di frammentazione, che sono in grado di rompere i
filamenti di una rete in frammenti più̀ piccoli, andandosi a legare alle estremità̀ positive e
lasciando libere quelle che tendono spontaneamente a depolimerizzare; le proteine
incappuccianti che sono in grado di legare entrambe le estremità̀ dei filamenti di actina. Un

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filamento con proteine incappuccianti da entrambe le parti risulta un filamento
efficacemente stabilizzato, situazione tipica di ambiti in cui il filamento di actina deve
mantenere una lunghezza precisa.
I filamenti di actina comunemente si dispongono all’interno della cellula in due modi: in
fasci o in reti. L’organizzazione in fasci prevede la disposizione in fasci paralleli dei
microfilamenti; mentre l’organizzazione in reti prevede che i filamenti di actina si
dispongano a circa 90° formando una rete, sia planare che tridimensionale. Sia fasci che reti
sono mantenuti tali dalla presenza di proteine che legano l’actina e che presentano due siti
di legame per il filamento di actina, uno ad ogni estremità̀ e, inoltre, creano una struttura che
funge da sostegno per la membrana plasmatica risultando quindi responsabili della forma
della cellula.
I microfilamenti, così come i microtubuli, sono responsabili del movimento cellulare e a tal
fine la cellula ha sviluppato due meccanismi per generare movimento: il primo si basa sulla
capacità dei filamenti di actina di polimerizzare e di depolimerizzare; il secondo coinvolge
i motori proteici. Il motore proteico dell’actina è la miosina.
La miosina è una ATPasi che accoppia l’idrolisi di ATP a cambiamenti conformazionali. Il
cambiamento conformazionale della miosina porta ad uno scorrimento della stessa lungo i
filamenti di actina.
La famiglia genica delle miosine è molto estesa e ad oggi 18 classi di miosine sono state
identificate. Nonostante le specificità̀ dei diversi tipi di miosina, tutte funzionano da motori
proteici. La miosina I e la miosina II sono le più̀ abbondanti e le più̀ studiate e sono presenti
in quasi tutte le cellule eucariotiche. Anche la miosina V, meno comune, è ben studiata e
caratterizzata.
Tutte le miosine sono composte da una o due catene pesanti e da diverse catene leggere: Le
catene pesanti presentano tre domini: il dominio della testa globulare che contiene i siti di
legame all’actina e all’ATP, responsabile dello sviluppo della forza; la regione del collo che
è associata alle catene leggere e svolge una funzione regolatoria sui domini della te- sta; il
dominio della coda che contiene siti di legame specifici in relazione alle specifiche attività
di quel tipo di miosina. Tutte e tre le tipologie di miosina sono in grado di legare lo ione
Calcio e tutte le miosine sono regolate dallo ione stesso. L’attività ATPasica della miosina
è attivata dal legame della miosina stessa con l’actina infatti l’idrolisi di ATP avverrebbe
molto lentamente senza un legame tra la testa di miosina e il filamento di actina, che fa si
invece che la velocità di idrolisi sia massima.

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1.2.2. Legame actina e miosina (41)
La miosina può muoversi lungo un filamento di actina: in particolare è la testa della miosina
che scorre lungo il filamento, andando sempre verso l’estremità positiva del filamento di
actina. La velocità è maggiore quando il meccanismo è associato alla contrazione muscolare
(4,5 µm/sec) e minore nel trasporto intracellulare (anche 0,04 µm/sec). Ogni legame tra una
molecola di miosina e un filamento di actina è accoppiato all’idrolisi di una molecola di
ATP. Quando la testa di miosina non lega ATP, è salda mente legata ad una molecola di
actina, mentre quando la miosina lega l’ATP la testa di miosina modifica la propria
conformazione, il sito di legame per l’actina perde quindi la sua affinità specifica e la
miosina si stacca dall’actina; avvenuto il distacco l’ATP può essere idrolizzato inducendo
un nuovo cambio di conformazione della testa della miosina che si lega all’actina in una
posizione più vicina all’estremità positiva del filamento (in questo momento è importante
ricordare che ADP e P sono ancora associati alla miosina); appena il fosfato si stacca dalla
testa di miosina, questa ultima subisce un nuovo cambiamento conformazionale, il
cosiddetto colpo di potenza, che fa muovere la testa verso l’estremità; dal momento che la
miosina rimane in questa fase legata all’actina, determina uno spostando del filamento di
actina stesso; il rilascio di ADP riporta la testa nella posizione iniziale pronta per un nuovo
ciclo. Questo meccanismo porta ad uno spostamento del filamento di actina rispetto a quello
di miosina e costituisce la base dei diversi meccanismi in cui sono coinvolte queste due
molecole, come la contrazione muscolare o il trasporto di vescicole: le differenze sono
determinate dal tipo di miosina e dal substrato che lega la coda di miosina.

1.2.3 Regolazione della contrazione muscolare


All’origine del movimento c’è un impulso nervoso che si genera nel cervello e viene
trasmesso lungo la colonna spinale ai motoneuroni interessati che sono in diretto rapporto
con la fibra muscolare mediante una struttura chiamata giunzione neuromuscolare. Dal
motoneurone giunge un potenziale d’azione ed a livello della terminazione del motoneurone
il segnale porta al rilascio di vescicole contenente il neurotrasmettitore adeguato; il
sarcolemma a contatto con i terminali dell’assone contiene canali ionici che, quando legano

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l’acetilcolina, si aprono permettendo il passaggio spontaneo di ioni sodio verso l’interno
della fibra muscolare, determinando una depolarizzazione. La depolarizzazione viene
trasmessa lungo tutta la fibra grazie al sistema di tubuli T del sarcolemma, che rendono
veloce la risposta al segnale prendendo contatto in corrispondenza delle triadi e con le
cisterne terminali del reticolo sarcoplasmatico, che rispondono con l’apertura di canali del
calcio e quindi ad una fuoriuscita spontanea del calcio dal reticolo verso il sarcoplasma, dove
sono localizzate le miofibrille. Il calcio, rilasciato in tempi brevissimi, raggiunge alte
concentrazioni e si va a legare alla troponina C sul filamento sottile del sarcomero.

Fig. 2 Regolazione contrazione muscolare

Il sarcomero rilassato presenta un assetto delle troponine e tropomiosine tale per cui la
tropomiosina si lega all’actina in corrispondenza dei siti di legame per la miosina, in modo
che non avvenga il legame actina-miosina e quindi la contrazione. Quando invece il calcio
viene rilasciato e si lega alla troponina C, l’assetto delle troponine e di conseguenza delle
tropomiosine cambia rendendo libera l’actina di legarsi alle teste di miosina, permettendo il
processo di contrazione. Una volta avvenuta la contrazione, il pompaggio attivo di calcio
all’interno del reticolo sarcoplasmatico abbassa il livello di calcio nel sarcoplasma ed il
calcio si stacca così dalla troponina C e il complesso delle troponine e tropomiosina ritorna
nella conformazione precedente e l’actina non può più interagire con le teste di miosina,

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portando alla rottura dei ponti trasversi, allo scivolamento dei filamenti sottili su quelli spessi
in direzione opposta, al rilassamento del sarcomero e quindi anche del muscolo.
Dopo aver descritto le peculiarità del muscolo scheletrico, è opportuno descrivere ora quali
siano nello specifico i muscoli più soggetti a infortuni in ambito calcistico secondo lo studio
precedentemente citato.

1.3 MUSCOLI DELLA COSCIA (41)

I muscoli della coscia sono gli elementi muscolari che attraversano la sezione anatomica
occupata dal femore, dove le fibre muscolari prendono posto, totalmente o solo in parte,
nella sezione anatomo-scheletrica; consentono principalmente la flessione dell'anca,
l'estensione della gamba, il movimento di adduzione degli arti inferiori e l'estensione
dell'anca.
Li possiamo suddividere sia per la regione in cui si trovano sia per il movimento che essi
eseguono. In questo caso andremo ad analizzare i muscoli principali che vengono utilizzati
suddividendoli per regione anatomica.
I muscoli della coscia del compartimento anteriore sono in tutto 4: il muscolo sartorio, il
muscolo pettineo, il muscolo quadricipite femorale e il muscolo ileo-psoas (Fig. 3).
Il sartorio è il muscolo più lungo del corpo umano e il più superficiale del compartimento
anteriore. È sottile e attraversa l'intera coscia con un'orientazione infero-mediale. Concorre
alla formazione del triangolo femorale. Origina a livello della spina iliaca anteriore superiore
e si aggancia alla superficie mediale superiore della tibia.
Il pettineo è un muscolo piatto e quadrangolare, situato alla base del triangolo femorale. È
vicino ai muscoli della coscia del compartimento mediale; ha il punto di origine a livello
cresta pettinea del pube e il punto di inserzione a livello della linea pettinea del femore,
appena sotto il piccolo trocantere.

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Fig. 3 Struttura anatomica osteomuscolare della coscia

Il quadricipite femorale è un insieme di quattro muscoli differenti: il muscolo vasto laterale,


il muscolo vasto intermedio, il muscolo vasto mediale e il muscolo retto femorale. Il
quadricipite femorale è uno dei muscoli più voluminosi di tutto il corpo umano. Il vasto
laterale origina, in parte, a livello del grande trocantere e, in parte, a livello della linea aspra.
Il vasto intermedio prende origine a livello della superficie anteriore e laterale del corpo (o
diafisi) del femore. Il vasto mediale origina, in parte, a livello della linea intertrocanterica
anteriore e, in parte, a livello della linea aspra. Infine, il retto femorale origina a livello
dell'ilio. Le estremità distali di tutti e quattro i muscoli confluiscono in un tendine molto
grosso, noto come tendine rotuleo. Il tendine rotuleo attraversa superiormente la rotula e
s'inserisce a livello della tuberosità tibiale.
L'ileo-psoas è un muscolo risultante dall'unione di due elementi muscolari: il muscolo
grande psoas e il muscolo iliaco. La particolarità di questi due elementi muscolari costituenti
l'ileo-psoas è il fatto che, nel loro punto d'origine, sono due muscoli separati e senza alcuna
relazione tra loro; mentre, nella loro estremità terminale, formano un tutt'uno. L'estremità
prossimale del grande psoas è situata a livello della superficie laterale dei corpi delle vertebre
T12, L1, L2 ed L3, mentre l'estremità prossimale del muscolo iliaco è a livello della

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cosiddetta fossa iliaca; l’estremità prossimale infine s'inserisce a livello del piccolo
trocantere del femore.
Tra i muscoli della coscia del compartimento mediale, il gracile è il muscolo più superficiale
e mediale. Sottile e appiattito, attraversa le articolazioni di anca e ginocchio.
Origina a livello del cosiddetto ramo ischio-pubico che rappresenta il punto d'unione tra il
pube e l'ischio, e s'inserisce a livello della superficie mediale della tibia, precisamente nella
zampa d'oca.
L'otturatore esterno è un muscolo piatto e triangolare. Tra i muscoli della coscia del
compartimento mediale, è il più piccolo e quello situato più in superficie, origina a livello
della membrana che ricopre il cosiddetto foro otturatorio e s'inserisce a livello della
cosiddetta fossa trocanterica del femore che è una piccola depressione situata in prossimità
del grande trocantere.
L'adduttore breve è un muscolo di piccole dimensioni, che risiede, per buona parte, al di
sotto del muscolo adduttore lungo; ha origine a livello della superficie anteriore di due zone
caratteristiche del pube, che sono: il ramo inferiore e il corpo e s'inserisce, in parte, a livello
del piccolo trocantere e, in parte, a livello della linea aspra del femore.
L'adduttore lungo è un muscolo lungo, grande e piatto. Per un tratto del suo percorso, ricopre
il muscolo adduttore breve e il muscolo grande adduttore; il primo concorre alla formazione
del bordo mediale del cosiddetto triangolo femorale, origina nel corpo del pube e s'inserisce
a livello della linea aspra del femore. Il grande adduttore, invece, è un muscolo di forma
triangolare, situato in profondità, sotto tutti gli altri muscoli della coscia del compartimento
mediale.
Spesso gli anatomisti tendono a riconoscere nel muscolo grande adduttore due componenti:
una componente pubofemorale e una componente ischiocondilare.
L'estremità prossimale della componente pubofemorale origina, in parte, a livello del ramo
inferiore del pube e, in parte, a livello del ramo inferiore dell'ischio. L'estremità prossimale
della componente ischiocondilare, invece, ha origine a livello della tuberosità ischiatica.
L'estremità distale della componente pubofemorale s'inserisce a livello della linea aspra del
femore. L'estremità distale della componente ischiocondilare s'inserisce a livello del condilo
mediale del femore, precisamente nel cosiddetto tubercolo adduttore del femore.
Innervazione: spetta in parte al nervo otturatorio e in parte al nervo tibiale.
Irrorazione: spetta all'arteria femorale profonda.
Situati sul di dietro della coscia, i muscoli della coscia del compartimento posteriore sono in
tutto tre: il bicipite femorale il semitendinoso e il semimembranoso.

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I muscoli della coscia del compartimento posteriore sono noti anche con il termine
hamstrings e svolgono una funzione di estensori dell’anca e flessori del ginocchio.
Il bicipite femorale è un muscolo che presenta, nel tratto d'origine, due capi, ovvero il capo
lungo e il capo breve. Il capo lungo origina a livello della tuberosità ischiatica dell'ischio,
mentre il capo breve a livello della linea aspra del femore e s'inserisce a livello della
cosiddetta testa del perone.
Il semitendinoso è un muscolo superficiale, che copre, per gran parte, il muscolo
semimembranoso; ha origine a livello della tuberosità ischiatica e s'inserisce a livello della
superficie mediale della tibia, precisamente nella cosiddetta zampa d'oca.
Il semimembranoso è un muscolo appiattito, localizzato al di sotto del muscolo
semitendinoso. È il più mediale dei muscoli costituenti l'hamstrings; a origine a livello della
tuberosità ischiatica, inserendosi a livello del condilo tibiale mediale (Fig. 4).

Fig. 4 Muscoli dell’hamstrings

I muscoli dell’hamstrings sono particolarmente soggetti a infortuni, soprattutto tra coloro


che praticano sport come la corsa, il calcio, il football o il rugby.

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1.4 MUSCOLI DELLA GAMBA (41

I muscoli della gamba, invece, sono i muscoli con sede totale o parziale nel compartimento
scheletrico compreso tra la coscia e il piede (Fig. 5).
Sono i muscoli le cui fibre risiedono totalmente o solo in parte nella sezione anatomo-
scheletrica costituita dalla tibia e dal perone e contribuiscono a movimenti fondamentali per
la locomozione. Nella fattispecie, concorrono a: plantarflessione, dorsiflessione, estensione
della gamba e delle dita dei piedi, flessione della gamba e delle dita dei piedi, eversione del
piede ed inversione del piede.
Riguardo i muscoli della gamba si andranno ad analizzare il soleo e il gastrocnemio che sono
i muscoli più sollecitati durante la prestazione sportiva.

Fig. 5 Struttura anatomica osteomuscolare del tricipite surale

Il gastrocnemio deriva dall'unione di due grossi capi muscolari: il gemello mediale e laterale.
È il muscolo che, insieme al soleo, forma il cosiddetto “tricipite surale.”
Rispetto al soleo, il gastrocnemio occupa una posizione più superficiale e non possiede
alcune estremità legata allo scheletro della gamba. Il gemello mediale origina dalla parte
postero-superiore del condilo mediale del femore e il gemello laterale origina dalla parte

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postero-superiore del condilo laterale del femore, mentre sia il gemello mediale che il
gemello laterale si agganciano al calcagno attraverso il tallone d’Achille.
Il soleo prende contatto con la parte posteriore della testa del perone e la cosiddetta linea del
soleo. La linea del soleo è una linea obliqua, situata sulla superficie posteriore della tibia e
con origine appena sotto il condilo laterale; sviluppandosi in obliquo e verso il basso, tende
a portarsi verso il margine mediale dell'osso tibiale e, infine, si aggancia al calcagno, tramite
lo stesso tendine del gastrocnemio.

1.5 I MUSCOLI DELLA SCHIENA (41)


I muscoli della schiena ricoprono interamente la parte posteriore del tronco e sono costituiti
essenzialmente da uno strato più profondo e da uno più superficiale (Fig. 6).
Come abbiamo detto, possiamo suddividere i muscoli della schiena in due grandi
sottocategorie, aventi funzioni, localizzazione e caratteristiche differenti: la muscolatura
profonda e quella superficiale.
Lo strato profondo è composto dai muscoli erettori della colonna, lunghi fasci muscolari che
si estendono dalla bassa schiena fino alla cervicale e comprendenti tra gli altri il multifido,
l’ileocostale e il lunghissimo.

Fig. 6 Struttura muscolare dei muscoli estensori della schiena

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Questi muscoli, assieme agli interspinosi e intertrasversari, hanno l’importante funzione di
estendere la schiena, di mantenerla eretta e di stabilizzare le vertebre soprattutto durante i
movimenti del tronco e degli arti.
Lo strato superficiale è invece composto da muscoli che possono influenzare l’estetica del
corpo e quelli più stressati sono (Fig. 7):
a) il gran dorsale, il muscolo più esteso del nostro corpo che origina a livello del bacino,
della fascia toracolombare, delle vertebre toraciche e dalle coste per inserirsi a livello della
cresta del tubercolo minore; è un estensore, adduttore e intrarotatore della spalla, oltre che
un estensore del tronco e un antiversore del bacino;
b) il quadrato dei lombi, un piccolo muscolo localizzato dal bacino all’ultima costa e alle
vertebre lombari, che ha la funzione di estendere e inclinare la colonna. Molto spesso i
muscoli della schiena, in particolare il quadrato dei lombi e gli erettori spinali profondi,
possono andare incontro a una contrattura lombare che genera dolore a livello locale e alla
palpazione.

Fig. 7 Posizionamento del muscolo gran dorsale (a) e del quadrato dei lombi (b)

18
CAPITOLO 2 - CAMPO IN ERBA VS CAMPO
SINTETICO

2.1 CAMPO IN ERBA NATURALE

Il campo in erba naturale è la superficie preferita dai calciatori; la qualità del campo sia la
migliore è determinata fondamentalmente da due componenti: la composizione del terreno
e la manutenzione dello stesso.

2.1.1 Composizione del terreno (44)


Nella composizione e manutenzione del campo bisogna considerare i calendari dei diversi
campionati, di conseguenza nei mesi di maggio e giugno, periodo in cui terminano i
campionati di calcio si può̀ procedere in tutta libertà̀ , senza i vincoli dettati dalle necessità di
gioco, ad effettuare tutte le operazioni di tipo agronomico atte a riparare i danni che si sono
verificati sul tappeto erboso durante l'intenso utilizzo dei mesi invernali.
Il tappeto erboso giunge stressato da un lungo periodo di sfruttamento, in un'epoca poco
favorevole alle attività̀ metaboliche e che quindi limita le intrinseche capacità di “recupero”
della pianta stessa, nonché́ da un intenso calpestio che modifica la struttura fisica del
substrato rendendolo meno consono alle esigenze fisiologiche delle piante.
Le principali operazioni che si svolgono in questo periodo sono la concimazione, la foratura,
il top-dressing e la trasemina, ma esse possono essere integrate o sostituite da altre
operazioni agronomiche di tipo straordinario che devono essere valutate in funzione delle
condizioni di ogni singolo campo di gioco e purtroppo delle disponibilità̀ economiche che i
gestori dei campi stessi mettono a disposizione e che sono il principale fattore limitante la
corretta gestione di un impianto sportivo.
La prima operazione da effettuare è una concimazione azotata a pronto effetto che deve
precedere di circa tre settimane la data prevista per la bucatura. La concimazione, che
comunque, deve tener conto del calendario dei diversi campionati, si effettua in genere nel
corso del mese di maggio e ha lo scopo di dare una “sferzata” alla pianta che si trova nel
periodo di più̀ intensa crescita. È in questo mese infatti che le condizioni climatiche sono

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particolarmente favorevoli allo sviluppo dell'intera pianta, in quanto le temperature
raggiungono valori ottimali per la crescita delle essenze erbacee microterme, solitamente
utilizzate nella composizione dei miscugli per uso sportivo. Inoltre, la presenza di
abbondanti precipitazioni in questo periodo dell’anno facilita il processo di crescita del
manto erboso.
La foratura è un'operazione meccanica che consiste nel creare dei fori nel terreno, con
l'ausilio di apposite macchine, con lo scopo di diminuire gli effetti nefasti che il
compattamento, causato dal calpestio dei giocatori e dal passaggio dalle macchine utilizzate
per le varie operazioni di manutenzione, produce sulla pianta. Gli effetti positivi della
foratura non si limitano all'effetto fisico di diminuzione del costipamento che impedisce lo
sviluppo radicale, ma, migliora gli scambi gassosi tra suolo e atmosfera, incrementa la
circolazione dell'acqua a livello radicale, diminuisce la formazione di ristagni idrici
superficiali e permette la penetrazione in profondità̀ degli elementi nutritivi poco mobili nel
terreno come il fosforo e il potassio, insieme di fattori che interagiscono sullo sviluppo
radicale e di conseguenza sulla resistenza dell'intera pianta agli stress climatici e meccanici.
Un altro vantaggio è quello di creare delle zone, in corrispondenza dei fori, adatte
all'insediamento delle nuove piantine che si possono sviluppare più̀ velocemente
diminuendo i tempi di recupero della struttura sportiva (44).
La bucatura viene effettuata con l'ausilio di apposite macchine di tipo semovente, trainate o
portate, che possiedono delle punte piene o delle fustelle che estraggono una carota di terra
e permettono di effettuare fori di diversi diametri (da un minimo di 6 a 25 mm) e di
raggiungere profondità̀ variabili da 5 cm a 40 cm; in questa fase bisogna considerare il
compattamento del campo per decidere quanto andare in profondità con la bucatura.
Un altro elemento importante da considerare è il livello di umidità del terreno al momento
dell'intervento; con un terreno secco si ha infatti una forte resistenza alla penetrazione degli
organi meccanici, mentre con un suolo saturo di acqua si causerà̀ la demolizione della
struttura del suolo. È quindi fondamentale verificare il tasso di umidità del suolo prima di
ogni bucatura e, se necessario, rimandare l'intervento fino a quando le condizioni non
saranno ottimali.
A seguito della foratura per mezzo di fustelle, si otterranno delle carote di terreno che
andranno raccolte o, solo nel caso in cui il campo sia stato creato su un top-soil di sabbia di
adeguata granulometria, esse potranno essere frantumate e riutilizzate come top-dressing.
L'intervento che segue la bucatura è il top-dressing o sabbiatura, che consiste nella
distribuzione di sabbia sull'intera superficie del campo al fine di colmare i fori creatisi con

20
la bucatura e di contrastare la formazione del feltro. Il top-dressing si effettuerà utilizzando
sabbia a norma U.S.G.A., che fornisce le migliori garanzie di possedere una granulometria
consona all'utilizzo come ammendante o substrato per tappeti erbosi, ed a dosi variabili in
funzione del numero e dimensione dei fori praticati. La sabbia verrà̀ applicata per mezzo di
appositi rimorchi spargi sabbia, uniformemente su tutta la superficie, e cioè prima di
effettuare la bucatura qualora si sia optato per l'utilizzo di punte piene, oppure dopo la
raccolta delle carote lasciate dalle fustelle.
Dopo la distribuzione della sabbia, si effettua la concimazione fosfo-potassica, con quantità̀
che saranno state determinate in relazione delle necessità evidenziate da un'analisi chimica
del suolo. Terminata la concimazione si procederà̀ ad incorporare la sabbia ed il concime nei
fori della carotatura e tra le “maglie” del feltro.
Al termine delle operazioni di carotaggio e sabbiatura, resta da verificare se sia necessaria
una trasemina sull’intera superficie o su una determinata zona particolarmente usurata, in
considerazione dello sfruttamento del campo durante l’anno.
Nel caso in cui fosse necessaria una trasemina a fine campionato, dovrebbe essere eseguita
entro il mese di aprile dato che è in base ad essa che si precluderà̀ la possibilità̀ di effettuare
dei trattamenti diserbanti antigerminello che, una volta eseguiti, comprometterebbero
fortemente il buon esito di un’eventuale semina. È meglio effettuare la trasemina sull'intera
superficie del campo in modo da contrastare la nascita delle infestanti negli interspazi lasciati
liberi dalle operazioni di bucatura nonché́ a migliorare l'aspetto estetico generale che
potrebbe essere influenzato negativamente dalla differente colorazione e densità̀ di una
particolare zona sottoposta a trasemina. Poiché́ il periodo a disposizione per lo sviluppo delle
nuove piantine è limitato a circa tre mesi, ed in una stagione con condizioni climatiche sub-
ottimali per le graminacee microterme, si dovranno preferire specie erbacee a rapido
sviluppo.
Se la risemina non avviene su tutta la superficie, sarà̀ raccomandabile utilizzare le stesse
varietà̀ presenti nel miscuglio usato all'impianto, oppure occorre prestare particolare
attenzione al colore delle varietà̀ scelte in sostituzione, al fine di non creare un effetto
antiestetico “bi-color”. Anche nel caso di risemina sull'intera superficie, si dovrà̀ creare un
blend le cui componenti devono avere caratteristiche similari di intensità̀ di colorazione,
velocità di germinazione e di insediamento, in modo tale che non si crei una competizione
squilibrata tra le stesse. La scelta delle varietà̀ deve essere effettuata sulla base di elevate
velocità di germinazione ed insediamento, resistenza al calpestio, alle malattie funginee e

21
basse temperature di vegetazione che permette al prato di mantenere un aspetto estetico
apprezzabile anche durante i mesi invernali.
Una delle varietà più utilizzate per la semina e il Lolium perenne. Le dosi di seme di Loliun

perenne da utilizzare variano da 25 a 35 g/m2 in funzione delle differenti condizioni, e


andranno distribuite in due passaggi incrociati. La profondità̀ di semina, dovrà̀ essere di 1
cm per ottenere i migliori risultati; infatti con semine superficiali il seme è maggiormente
soggetto al disseccamento mentre con semine troppo profonde il seme rischia di esaurire le
proprie riserve nutritive prima che la plantula raggiunga la superficie.
Dopo la semina diventa importante l'irrigazione, che deve essere costante, poiché́ un
disseccamento può̀ risultare fatale per il seme in fase di germinazione. Si dovrà̀ pertanto
mantenere il terreno sempre umido effettuando irrigazioni leggere ma frequenti e se le
temperature sono particolarmente elevate si dovrà̀ intervenire anche 5-6 volte al giorno
avendo l’accortezza di effettuare l'ultima irrigazione a fine pomeriggio, dando così la
possibilità̀ alle foglie di asciugarsi prima della notte al fine di diminuire le possibilità̀ di
attacchi funginei.
Il taglio del prato dopo la semina dovrà̀ essere mantenuto basso al fine di limitare la
competizione per l'aria e la luce tra il tappeto erboso esistente e le nuove piantine e solo in
concomitanza con il primo taglio del nuovo prato, si aumenterà̀ l'altezza di taglio e la si
porterà̀ ad un 50% in più̀ rispetto al periodo di gioco, e ciò̀ per tutto il periodo di riposo del
campo.
Se la trasemina non fosse necessaria, si potrà̀ intervenire con un diserbo antigerminello al
fine di evitare la germinazione dei semi di infestanti che troverebbero terreno favorevole al
loro sviluppo in un tappeto erboso stressato dalle varie operazioni meccaniche che ne hanno
favorito un momentaneo indebolimento, nonché́ dalla presenza di spazi vuoti, in
corrispondenza dei fori praticati dalla carotatrice, facilmente colonizzabili.

2.1.2 Manutenzione (44)


Nell'eseguire la manutenzione occorre conciliare le esigenze del calendario sportivo con la
capacità di resistenza del tappeto che, specie nel periodo invernale-primaverile, risente delle
avverse condizioni climatiche (Fig. 8).
Gli interventi manutentivi riguardano:
• Taglio dell'erba. L'altezza di taglio è compresa tra 25 e 35 mm, mentre la frequenza
è legata al periodo vegetativo, per cui si fanno, mediamente, due tagli a settimana

22
nel periodo di massimo rigoglio, mentre in quello invernale la frequenza viene
ridotta;
• Fertilizzazione. Gli interventi mediamente sono 4-6 nel corso dell'anno;
• Trattamenti. Normalmente hanno una bassa frequenza. Diverso è il discorso in caso
di comparsa di malattie;
• Sfeltratura e carotatura. L'asportazione del feltro è fatta una volta all'anno anche se
vi possono essere frequenze maggiori. La carotatura si rende necessaria per
eliminare l'eccessiva compattezza del terreno. Si fanno da 1 a 4 interventi all'anno
in relazione allo stato del suolo e alla capacità drenante. Per ridurre l'impatto sul
calendario sportivo vengono anche impiegate foratrici a getto d'acqua;
• Top-dressing. Questa operazione è indispensabile non solo dopo un intervento di
carotatura ma anche per mantenere la permeabilità del suolo e ridurre la formazione
di feltro. La distribuzione di sabbia mista a sostanza organica viene normalmente
effettuata in primavera e in autunno;
• Pulizia. Consiste nell'asportazione dei corpi estranei (carta, mozziconi, foglie ecc.);
• Irrigazione. Nel periodo estivo la frequenza è di 1-2 interventi a settimana.

Fig.8 Manutenzione campo in erba naturale

23
2.2 CAMPI IN ERBA SINTETICA

2.2.1 Storia e generalità

Gli impianti sportivi in erba artificiale sono la nuova rivoluzione del calcio. Una rivoluzione
partita dalla LND (Lega Nazionale Dilettanti) (42), che il 13 Giugno 2001 ricevette
dall'allora commissario FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) (43), Gianni Petrucci
l’autorizzazione a far giocare su questa nuova superficie i campionati della LND e del
Settore Giovanile e Scolastico. Quell’anno erano tre i campi omologati. Nel 2002 sono
diventati 35, nel 2003 90 e via via sono sempre andati aumentando. Una delle concause di
questa apertura è stata, nel 1999, la partecipazione della nostra nazionale universitaria alle
Universiadi di Palma di Majorca, in Spagna (43).
Un primo ostacolo da superare fu quello di andare oltre quanto prescrivevano le norme e
cioè̀ superare quanto espressamente indicato e cioè che il terreno di gioco doveva essere di
erba naturale. Partì quindi la formale richiesta all’allora commissario straordinario della
FIGC Petrucci, che diede la sua approvazione.
Avuta l’autorizzazione, la Lega fece da collegamento verso le società̀ (vi era anche la
possibilità̀ di ricorrere al Credito Sportivo per ottenere finanziamenti) e fu così che partirono
i campi pilota di Manfredonia (Puglia), San Miniato (Toscana), Pretola e San Marco
(Umbria) a cui seguirono Capo d’Orlando (Sicilia), Canzo (Lombardia), Loseto (Puglia),
Lavagna (Liguria) e Bolzano (Alto Adige) (43).
Stessa strada è stata poi percorsa dalla Lega di Serie C che nell'aprile 2004 ha fatto formale
richiesta al Consiglio Federale, ottenendo anche in questo caso parere favorevole (51).
Dalla stagione 2002/2003 così, la Lega Nazionale Dilettanti ha colto al volo la novità̀ : per
coordinare il settore, è stata costituita dal 2001 la Commissione Impianti Sportivi in Erba
Artificiale (C.I.S.E.A.), l'unico ente in Italia deputato all'omologazione degli impianti in erba
artificiale ed al rilascio del "Certificato di abilitazione allo svolgimento dell'attività̀
agonistica ed amatoriale" (42). Questo mercato è caratterizzato da indici di crescita molto
alti sia in Italia che in Spagna, Germania, Francia e Inghilterra.
A Vienna, il 10 novembre 2004, l'Esecutivo UEFA ha approvato i campi sintetici dopo una
propria sperimentazione durata circa 2 anni in diverse città e stadi europei: Almelo (Olanda)
Mosca (Russia), Dunfermline (Scozia), Örebro (Svezia) e Salisburgo (Austria). È stata una

24
decisione che ha fatto seguito a quella pronunciata a febbraio 2004 dall'International Board,
che aveva di fatto dato il via libera alle competizioni su queste nuove superfici. Già dalle
scorse edizioni delle coppe europee (Champion's League ma anche Uefa Cup e Intertoto)
c'era dunque la possibilità, per chi volesse, di giocare sui nuovi campi artificiali. Anche le
qualificazioni al Mondiale 2006 e all'Europeo 2008 hanno avuto l'opportunità̀ di servirsi del
"sintetico", eccezion fatta per le fasi finali 2008 e 2012. Il Consiglio Federale si è poi
adeguato il 15 marzo 2005, autorizzando per la stagione allora in corso l'utilizzo di campi in
erba sintetica “purché́ vengano rispettate le norme e i requisiti tecnici contenuti nel
Regolamento internazionale” (6).
Dal 13 febbraio 2006 è entrato in vigore il nuovo regolamento per i campi in erba artificiale
elaborato dalla Lega Nazionale Dilettanti (l’unico ente in Italia che omologa i campi sintetici
per l’attività̀ agonistica). Le principali modifiche rispetto al passato riguardano soprattutto
le gomme da intaso da potersi utilizzare nel rispetto dell’impatto ambientale, della salute di
chi opera nel settore e degli atleti che utilizzano i campi da calcio in erba artificiale. Il
Regolamento entra in vigore con norme sempre più restrittive in fatto di eco-compatibilità e
sull’intaso la scelta è chiara: l’utilizzo di prodotti atossici per l’intaso, infatti, è il cavallo di
battaglia della LND (42).
La decisione della LND è stata quella di accettare “tutte” le gomme vergini (ovvero
progettate e fabbricate per essere utilizzate quale intaso nei campi da calcio in erba
artificiale) come pure le gomme di pneumatico post uso, purchè superino la normativa
tossicologica con le restrizioni della LND (vedi normativa DIN 18035-7), siano nobilitate
con opportune verniciature e ciascun granulo sia avvolto e protetto da un film di poliuretano
e/o termoplastico, come pure per mezzo di un compound di termoplastico (in cui il polverino
o granulo di pneumatico post uso e/o SBR proveniente da altri utilizzi non costituisca più̀
del 30% del peso totale del compound preparato) fuso ad alta temperatura ed estruso in
granuli (49).
I numeri dicono che sono circa 20.000 i campi da calcio sparsi nel nostro territorio e 14-15
mila di questi sono omologati per l’attività̀ della Lega Dilettanti (42), dalla Serie D a tutto
quell'insieme di leghe che sta alla base della piramide del calcio professionistico, spesso
caratterizzate da terreni con manti erbosi decisamente rovinati. La questione poi della
pericolosità̀ di certi terreni (gelo, buche, eccetera) si presenta ad ogni inverno, dato questo a
cui concorre probabilmente il ricorso a scarpini che invece del tradizionale tacchetto rotondo
presentano sulla suola le cosiddette lamelle che se da una parte devono permettere al
calciatore una presa sul terreno utile per poter rispondere alle esigenze di un calcio sempre

25
più intenso e veloce, dall’altra bloccano maggiormente la scarpa aumentando i rischi per
caviglie e (ancor più̀ ) ginocchia (34).
I manti sportivi in erba artificiale sono giocabili in qualsiasi condizione grazie al tipo di fibra
ed alle soluzioni costruttive adottate al fine di garantire identiche prestazioni
indipendentemente dal periodo dell'anno durante il quale il campo viene utilizzato. Con un
campo da gioco in erba artificiale non si vedranno più̀ infatti rinvii ed annullamenti di gare
ufficiali a causa delle avverse condizioni climatiche (pioggia, fango, neve...).
Un'ulteriore differenza tra l'erba artificiale e l'erba naturale è che la prima può̀ essere soggetta
ad un uso più̀ intensivo. Un campo in erba naturale può̀ essere utilizzato mediamente 250
ore, massimo 300 l'anno, mentre un campo in erba artificiale è utilizzabile sette giorni su
sette.
Allo stesso modo viene inoltre garantita l'omogeneità̀ della qualità̀ del manto erboso su tutta
la superficie del campo: non si vedranno più̀ infatti zone del campo dove l'erba non riesce a
ricrescere a causa dell'intensa attività̀ di gioco (area di porta, centrocampo) (44).
Per quanto riguarda le caratteristiche dei campi, se da un lato la tecnica calcistica è sempre
più̀ elevata e i giocatori sono chiamati sempre più̀ a praticare un calcio tecnicamente perfetto,
dall’altra parte il supporto su cui questo gioco prende vita deve essere sempre più̀
standardizzato, deve cioè̀ mantenere le stesse caratteristiche a qualsiasi latitudine e
longitudine del mondo. Ecco dunque perché́ la politica della FIFA, la Federazione
internazionale, guarda anche alla diffusione di campi in erba sintetica e impone l’adozione
di un unico standard di riferimento (49). Il risultato deve essere unico o, quanto meno, molto
simile, in tutto il globo così da evitare che le partite siano condizionate da determinate
caratteristiche della superficie di gioco (l’esempio più̀ famoso in Italia è l’erba del San Siro)
o dalle conseguenze di eventi meteorologici (piogge abbondanti ecc.). Con il campo in erba
sintetica e con il rispetto dello standard “2 Star” della FIFA tutto questo non dovrebbe
succedere più̀ (49). Innanzitutto perché́ un campo in erba sintetica ha caratteristiche di
permeabilità̀ e di drenaggio tali da limitare al massimo condizioni di impraticabilità̀ , inoltre
perché́ con il materiale sintetico si possono realizzare campi sostanzialmente identici, sia
come altezza dell’erba che come substrato. Non che tutto ciò sia stato raggiunto con facilità.
Va detto infatti che ora si è arrivati alla terza generazione in questi tipi di campo. La prima
generazione è nata negli Stati Uniti, circa trent’anni fa, ed era studiata appositamente per il
football americano. In sostanza si trattava di poco più̀ di una moquette, alta circa 15
millimetri. Poi si è scoperto il sintetico anche nel tennis, con erba sintetica alta circa 25
millimetri, più̀ rada e intasata con la sabbia. Si trattava però di un campo non ancora del tutto

26
adatto per il gioco del calcio a causa dell’eccessiva compattezza del terreno, che avrebbe
potuto causare problemi fisici ai giocatori. Ecco allora l’arrivo di campi sintetici di terza
generazione (50).

L’erba è alta 45, 60 millimetri, più̀ rada, e intasata con un misto di sabbia e granuli di gomma
nella proporzione, rispettivamente, di 2/5 e 3/5. In questo modo, come dimostrano già̀ alcuni
campi realizzati in Italia (sono circa 140 i campi sintetici nel nostro Paese omologati dalla
Lega nazionale dilettanti), si può̀ giocare tranquillamente con le scarpe a 12 tacchetti senza
alcun problema particolare (49) (Fig. 9).

Fig. 9 Composizione del campo sintetico

Ad ulteriore conferma delle prestazioni ottenute da queste superfici, i massimi organismi


competenti (FIFA; UEFA FIGC-LND) hanno inserito nelle specifiche di omologazione dei
campi da gioco anche le prestazioni minime garantite dai campi in erba artificiale (valutate
con le stesse metodologie e strumentazioni impiegate per i campi convenzionali), in tutto e
per tutto paragonabili se non addirittura migliori rispetto a quelle ottenibili da superfici
convenzionali (49). La sensazione di gioco su erba artificiale è perfetta: i campi sono
progettati con caratteristiche tali da avvicinarsi ed in alcuni casi ad eguagliare quelle di un
campo in erba naturale.

La pavimentazione del campo offre giocabilità̀ assoluta, con notevoli vantaggi rispetto
all'erba naturale, che si traduce in diminuzione dell'affaticamento e dei traumi muscolari,

27
tempi prolungati di utilizzo, minori costi di manutenzione e maggiori prestazioni per uso
sportivo (49). Approvato inizialmente dalla FIFA e dalla UEFA, in Italia la Lega Nazionale
Dilettanti ha elaborato un ottimo protocollo di qualità̀ per l'omologabilità dei campi in erba
di "terza generazione" per il calcio che, per ora, possono ospitare competizioni del
Campionato di Lega Nazionale Dilettanti e del Settore Giovanile e Scolastico (52).

La riuscita di un campo artificiale dipende non solo dalla qualità̀ dei singoli elementi che lo
compongono (erba sintetica, materiale per intaso e fondo drenante) ma anche dalla perizia
tecnica con cui è progettato e costruito l'intero sistema (44).
Se realizzate a regola d'arte, le superfici artificiali presentano alcuni vantaggi rispetto ai
campi in erba naturale (44):
• Consentono lo sfruttamento potenzialmente illimitato dell'impianto sportivo,
indipendentemente dai fattori stagionali e ben oltre i limiti di utilizzo consentiti da
un campo naturale;
• Richiedono minori costi di manutenzione;
• L’intasamento in gomma termoplastica garantisce un elevato livello di sicurezza ai
giocatori con un eccellente assorbimento degli shock e una riduzione dei rischi di
traumi muscolari, mentre l'omogeneità̀ e la morbidezza della superficie offrono
condizioni di gioco ottimali.

La realizzazione di un campo artificiale è, dunque, particolarmente consigliabile quando vi


è la necessità di un utilizzo intensivo della struttura sportiva (superiore alle 25 ore settimanali
oltre le quali si supera la massima potenzialità̀ di sfruttamento di un campo naturale e se ne
danneggia gravemente l'efficienza).
L’intasamento è, senza ombra di dubbio, l’aspetto più̀ delicato di un campo da gioco in erba
sintetica. Per questo la scelta del granulo di gomma da utilizzare non va lasciata al caso, ma
è per molti aspetti, fondamentale (49).

28
2.2.2 Costruzione di un campo in erba sintetica

Per costruire un campo in erba sintetica di ultima generazione, in modo tale che venga
approvato dalla LND, è bene seguire l'apposito regolamento redatto dalla stessa LND ed
approvato dalla CISEA (Commissione Impianti Sportivi in Erba Artificiale) il 31 Gennaio
2008 (52).
Il suddetto regolamento innova e sostituisce la normativa in materia emanata il 5 Giugno
2006 ed ogni successiva modificazione.

Gli elementi base per la preparazione del programma di campi da calcio con tappeto in erba
artificiale sono:

• Caratteristiche prestazionali con test specifici da effettuarsi in laboratorio ed in


campo;
• Identificazione dei requisiti tecnici di base richiesti per manti in erba artificiale di
terza e/o di ultima generazione;
• Identificazione dei requisiti tecnici di base obbligatori richiesti per i prodotti da
intaso
(sabbia silicea, granulo elastomerico e prodotti organici);
• Descrizione delle opere di preparazione dei sottofondi;
• Tipologie dei sottofondi;
• Manto in erba artificiale;
• Tipologia degli intasamenti.

Gli elementi valutativi adottati dalla Commissione Federale Impianti Sportivi (C.F.I.S) e
successivamente recepiti ed elaborati in termini regolamentari dalla Commissione Impianti
Sportivi in Erba Artificiale (C.I.S.E.A.) della LND su schede tecniche, campionature e
verifiche d'idoneità̀ effettuate sulla base dei risultati di prove e di analisi di laboratorio, di
risultati di prove tecniche eseguite sui terreni di gioco sono (52):

1. Test da eseguire e corrispondenza ai riferimenti normativi;


2. Attestazione del sistema rispondente ai riferimenti normativi del regolamento;
3. Attestazione dell'intaso di stabilizzazione rispondente ai riferimenti normativi del
regolamento;

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4. Attestazione dell'intaso prestazionale rispondente ai riferimenti normativi del
regolamento;
5. Attestazione della colla e relativa banda incollata rispondente ai riferimenti
normativi del regolamento;
6. Attestazione del sottotappeto elastico rispondente ai riferimenti normativi del
regolamento;
7. Requisiti tecnici del sottofondo e corrispondenza ai riferimenti normativi.

La prima parte del regolamento indica, in particolare, le caratteristiche prestazionali del


campo ed identifica i requisiti tecnici di base richiesti sia per i manti in erba artificiale di
terza generazione sia per i prodotti da intaso.
Dal momento che tutti i requisiti prestazionali devono sussistere anche in caso di pioggia, è
fondamentale garantire al campo un'adeguata permeabilità̀ ; per fare ciò̀ si inizia con la
progettazione del sistema di drenaggio del sottofondo, il quale può̀ essere di tipo verticale
od orizzontale. Nei sottofondi a drenaggio verticale viene utilizzato un infiltrometro a doppio
anello inserito sulla superficie del sottofondo, con gli strati di inerti drenanti, in modo che
l'acqua sia costretta a penetrare verticalmente.
Nei sottofondi a drenaggio orizzontale sotto il manto, l'acqua scorre in modo orizzontale e
viene utilizzato un infiltrometro a doppio anello inserito sulla superficie del sottofondo,
mentre nelle tipologie dei sottofondi con inerti l’acqua scorre sopra il geodreno; infine nelle
tipologie dei sottofondi che hanno il geodreno direttamente a contatto del manto,
l'infiltrometro non verrà̀ utilizzato.
Per geodreno si intende un prodotto tipo “sandwich” dello spessore minimo di 10 mm e
massimo di 25 mm canalizzato all'interno per permettere lo scorrimento orizzontale
dell'acqua ed avere una resistenza alla compressione di almeno 0,2 kgF/cm2, come pure i
tappeti elastici drenanti e modificati con canalizzazioni per svolgere anche la funzione dello
scorrimento orizzontale del drenaggio. Tutti i suddetti prodotti devono comunque essere
attestati dalla LND o singolarmente o nel “sistema manto” prima del loro impiego nella
realizzazione del campo (Fig. 10).

30
*Secondo la normativa CNR B.U. Anno VII N. 36-21/02/73 parte IV Norme Tecniche, una terra, affinché risulti adatta
alla stabilizzazione a calce, deve essere di tipo limo-argilloso ed avere un indice di plasticità normalmente superiore a 10.
Possono essere stabilizzate anche le terre ghiaino- argillose qualora presentino una frazione di passante al setaccio 0,4
UNI non inferiore al 35%. Nella norma viene anche riportato il fuso di riferimento all'interno del quale deve rientrare la
curva granulometrica del materiale da trattare. Le terre non rientranti nel fuso, e quindi con prevalente componente inerte,
invece, migliorano le loro caratteristiche meccaniche aggiungendo calce e cemento in percentuali variabili fino alla totale
sostituzione della calce col cemento.

Fig. 10 Requisiti tecnici obbligatori per la realizzazione del sottofondo

31
CAPITOLO 3 – PRO E CONTRO
DELL’ATTIVITA’ NEL CAMPO IN ERBA
NATURALE E IN ERBA SINTETICA

3.1 INTRODUZIONE INFORTUNIO

Gli infortuni sono, sfortunatamente, un evento molto frequente nel mondo del calcio.
Distorsioni, o rotture dei legamenti delle articolazioni di caviglia e ginocchio e strappi
muscolari avvengono spesso. In alcuni casi gli infortuni avvengono in seguito a contatto con
un altro giocatore come, per esempio, quando un giocatore impatta con notevole forza sul
lato del ginocchio di un altro calciatore. Questo, spesso, ha come conseguenza un danno al
legamento mediale collaterale, al menisco laterale e al legamento crociato anteriore. Tuttavia
non bisogna dimenticare che un numero sostanziale di infortuni avviene senza alcun contatto
con altri giocatori. Il semplice cambio di direzione durante una fase di gioco fa sperimentare
una torsione al ginocchio e alla caviglia, che può comportare uno stiramento o una rottura
del legamento. I ricercatori hanno identificato una serie di fattori di rischio per quanto
riguarda gli infortuni non collegati a contatto fisico. Questi possono essere suddivisi in fattori
intrinseci (come la propriocezione, la forza muscolare, le proprietà dei legamenti) e fattori
biomeccanici come la superficie di gioco e le condizioni ambientali. Molti studi si sono
concentrati su questi ultimi fattori, in particolare le superfici sintetiche utilizzate per il gioco.
L’ipotesi è che l’aumentata frizione che si crea tra la scarpa e la superficie aumenti la
torsione sperimentata dalla caviglia e dal ginocchio (35). Nel corso degli ultimi trenta anni
vi è stata un’attenzione crescente al tema degli infortuni nel mondo del calcio, in particolare
mettendo a confronto quanto avveniva sulle superfici in erba rispetto ai campi in terreno
sintetico (1,3), con particolare attenzione all’evoluzione che i campi sintetici hanno avuto in
questi anni. Se, infatti, i primi studi sui campi sintetici dimostravano un incrementato rischio
di infortuni (2), gli studi attuali forniscono indicazioni assolutamente diverse. I primi campi
sintetici costituiti da un piccolo strato di tessuto sintetico posto su una sottile imbottitura
sono stati infatti sostituiti da superfici formate da lunghe fibre “simili all’erba” incorporati

32
in uno strato di gomma sbriciolata, sabbia e/o silice posti su uno spesso cuscinetto. Questa
evoluzione tecnologica non ha però sostanzialmente modificato l’opinione di molti calciatori
o allenatori.
Un gruppo di ricerca dell’English Football Association (FA) ha valutato, in particolare, lo
spettro di infortuni e il rischio di incorrere in essi in una serie di studi sul calcio
professionistico inglese (19, 20, 21). Essi dimostrarono come il rischio di infortuni per i
calciatori professionisti fosse complessivamente 1000 volte superiore a quello dei lavoratori
ad alto rischio nel mondo dell’industria. Proprio il rischio di infortuni strettamente connesso
con il mondo del calcio ha portato a dare rilevanza alle diverse tipologie di campi di gioco
utilizzati nelle manifestazioni, professionistiche e non (22). E’ pertanto imperativo
comprendere i fattori di rischio che possono determinare gli infortuni nel calcio al fine di
promuovere tutti gli interventi necessari a ridurre la loro frequenza e i danni associati.
Al momento FIFA e UEFA (6) riconoscono due tipologie di campo per lo sport
professionistico: i campi in erba naturale (NG) e i campi sintetici (di terza e quarta
generazione), generalmente definiti come “Football Turf” (FT) o “Artificial Turf” (AT),
tuttavia vi sono ancora forti resistenze basate sull’idea, non sostenuta dai dati di ricerca, che
i campi sintetici favoriscano l’insorgere di infortuni nei calciatori. I campi sintetici
presentano indiscutibilmente alcuni vantaggi, come quello di diminuire l’influenza delle
condizioni ambientali, ridurre gli alti costi di mantenimento associati con NG ed aumentare
la fruibilità dei campi stessi (23,24). Il clima e le condizioni ambientali hanno infatti una
significativa influenza sulle condizioni di gioco nei campi NG, e questo è dimostrato avere
un’influenza sugli infortuni correlati (5). E’ incomprensibile quindi che gli atleti intervistati
negli studi citati dichiarino che le condizioni climatiche influenzano maggiormente la
possibilità di infortuni in campi FT. Certamente i campi sintetici trattengono una maggior
quantità di calore nei climi caldi, ma gli infortuni sono maggiormente presenti in periodi di
pioggia e campi bagnati. Una possibile spiegazione potrebbe essere basata sul fatto che il
campo bagnato aumenta la velocità del pallone, imponendo nel gioco su FT un maggior
lavoro fisico e una maggior sollecitazione muscolare ai calciatori. Questa ipotesi è sostenuta
dallo studio di Martinez et al. (30) che ha dimostrato come la palla viaggi più velocemente
sui campi artificiali. In realtà queste sono soprattutto le opinioni dei giocatori che, tuttavia,
devono essere tenute in considerazione. Va altresì notato come queste differenze vengano
fortemente percepite in calciatori più “anziani”, abituati a giocare in campi NG o FT di prima
generazione, mentre calciatori più giovani non rilevano particolari differenze tra i due campi
di gioco. Probabilmente c’è la necessità di un sostegno psicologico per atleti che rientrano

33
in gioco in un campo sintetico dopo un infortunio, in particolare per quegli atleti che hanno
sofferto per una lesione muscolo-tendinea, o per problemi articolari o sono reduci da una
serie di infortuni (31).
Gli studi che hanno analizzato il rischio di infortuni legati allo sport professionistico e agli
allenamenti correlati hanno trovato percentuali analoghe tra quanto accadeva nei campi NG
e in quelli FT (24,25).

3.2 CONSIDERAZIONI SUGLI INFORTUNI

Una prima considerazione da fare è che non c’è una definizione universalmente condivisa
di infortunio (4) anche se la maggioranza dei ricercatori concorda sul fatto che debbano
esistere una o più delle seguenti condizioni: (a) un infortunio per cui un atleta è costretto ad
uscire dal terreno di gioco o rimane assente almeno per un giorno dopo l’evento occorso; (b)
ogni frattura, indipendentemente dal tempo di assenza dai campi di gioco; (c) ogni trauma
cranico, indipendentemente dal tempo di assenza dal campo di gioco; (d) ogni infortunio
all’arcata dentaria, indipendentemente dall’assenza dal campo di gioco; (e) ogni infortunio
occorrente durante la fase di riscaldamento. Gli infortuni si prestano poi ad altre
classificazioni (traumi derivanti dal contatto tra giocatori, tra giocatori e terreno, da
sovraccarico, …) oppure possono essere analizzati in relazione alla posizione in campo
dell’atleta infortunato. Vanno poi analizzate tutte le variabili connesse allo stato del terreno
più o meno asciutto e alla temperatura, in relazione alle differenti stagioni (5). Hershman et
al. (3) ha riscontrato una maggior incidenza di distorsioni articolari delle ginocchia con
interessamento del legamento crociato anteriore nelle partite giocate in campi sintetici
(FieldTurf) mentre non ha riscontrato differenze significative nelle lesioni interessanti il
legamento collaterale mediale. Altri studi hanno però contraddetto tali conclusioni (1)
arrivando a sostenere che i campi sintetici di ultima generazione (FieldTurf) sono, in molti
casi, più sicuri dei campi in erba naturale. Tale affermazione appare particolarmente vera se
si considera la componente atmosferica (campo bagnato o gioco nella stagione invernale).
Recentemente Ekstrand et al. ha condotto uno studio su calciatori professionisti e i loro
infortuni da cui si evinceva come il tasso di infortuni fosse del 3.5/1000 ore di allenamento
in entrambi i tipi di campo, mentre durante le gare il tasso di infortuni era del 22.4/1000 ore

34
nei campi artificiali e di 21.7/1000 ore nei campi naturali (26). Il limite di questi studi, se
vogliamo, è il fatto che nessuno di loro prende in considerazione la variabile psicologica,
cioè l’opinione dei giocatori, sull’influenza che il tipo di superficie esercita nel determinarsi
dell’infortunio. Un precedente studio di Anderson et al. (27) aveva approfondito i movimenti
e l’abilità di gioco in calciatori e calciatrici durante competizioni su campi sintetici di
seconda e terza generazione e su campi in erba naturale non rilevando differenze tra le due
superfici, anche se due terzi circa dei soggetti partecipanti allo studio rilevavano che l’attività
sul campo sintetico era percepita come fisicamente più pesante ed impegnativa rispetto a
quella sul campo naturale. Nedelec (28) ha approfondito questo aspetto dimostrando come
calciatori che si sottoponevano a test sul sintetico riportassero un affaticamento
moderatamente superiore al muscolo quadricipite immediatamente dopo la prova, ai glutei
24 ore dopo il test e indolenzimento ai tendini del ginocchio 48 ore dopo lo stesso. La cosa
interessante di questo studio è che benché non esistano dati a supporto, la maggioranza degli
atleti (94%) percepisce un maggiore rischio di infortunio giocando in campi sintetici. I
calciatori individuavano come fattori di rischio la durezza della superficie sintetica, il suo
attrito e il conseguente costo metabolico nell’attività fisica. Congiuntamente a questi fattori
una grande influenza veniva riconosciuta alla qualità della superficie e alle condizioni
climatiche. Certamente in molte considerazioni degli atleti una forte influenza l’hanno avuta
le precedenti esperienze di gioco sul sintetico per cui alcune opinioni potrebbero essere
basate, in realtà, su esperienze negative avute giocando sui campi di prima generazione. Non
bisogna neanche imputare tutta la responsabilità degli infortuni al tipo di superficie adottata
in quanto lo studio di Hagglund et al. (29) ha dimostrato come il 54% di tutti gli infortuni
dipenda dai contrasti fisici tra calciatori e, se si prende in considerazione il tempo di gioco,
questa percentuale arriva al 63%. Certamente bisogna tenere in considerazione il fatto che,
nelle ricerche indicate, molti atleti di sport diversi considerano i campi sintetici come “troppo
duri” e anche questa percezione soggettiva può influenzare l’atteggiamento dell’atleta verso
il tipo di campo di gioco ed il comportamento su questo. Una forte attenzione va anche
rivolta al fatto che poco si sa ancora su quanto il deterioramento del campo di gioco abbia
influenza sul determinarsi di infortuni, sia per quanto riguarda i campi naturali sia per i campi
sintetici (5). Ne consegue che il tema del mantenimento dei campi di gioco (FT e NG) è un
tema centrale da sviluppare nella ricerca, in particolare per quanto riguarda il tema degli
infortuni non conseguenti a contatto fisico.

35
Ma torniamo un attimo al tema della “durezza” del campo. E’ ampiamente condiviso che gli
infortuni da affaticamento siano dovuti all’alta forza di impatto su un terreno e che quindi
questa è fortemente ridotta quando il piede poggia su un terreno dotato di una sorta di effetto
ammortizzatore. Questo ha generato l’idea che i terreni con maggiore assorbimento
dell’impatto siano quelli più adatti a prevenire gli infortuni, anche se gli studi hanno
dimostrato che la forza di impatto non viene modificata dai diversi tipi di superficie (32).
Va però considerato come molti infortuni insorgono in seguito a ripetuti impatti con superfici
diverse, dipendono dalla qualità e dalle caratteristiche delle scarpe da gioco e sono causati
anche dai tipi di movimento in campo. Per tale motivo è estremamente difficoltoso sostenere
una teoria causa-effetto (9,10) e dal momento che gli infortuni da affaticamento, per
definizione, non possono essere ricondotti a un singolo evento è altrettanto evidente come
non possano essere attribuiti ad un tipo di superficie piuttosto che ad un altro. Basandosi su
ricerche, svolte in gran parte prima della sua applicazione reale, si pensava che il 3G Turf
determinasse un impatto più dannoso rispetto all’erba naturale.

Recenti studi hanno però contraddetto tali conclusioni (11). L’impatto tra un giocatore e il
terreno di gioco è invece fortemente influenzato da come è stata realizzata la superficie (12),
una proprietà che è a sua volta strettamente connessa con il suo spessore. Fattori come la
compattezza del materiale utilizzato per il riempimento e la presenza o assenza di un
cuscinetto per assorbire i colpi posto sotto la superficie si pensa siano i maggiori
determinanti delle proprietà anti-impatto traumatico per i 3G Turf (13,14). Cuscinetti di
assorbimento associati con infiltrazioni di gomma si sono dimostrati efficaci, soprattutto se
non posti in profondità nel terreno.

Rispetto alla possibile rilevanza del materiale utilizzato per gli infiltrati, sembra avere une
maggiore importanza la sua compattezza, anche in considerazione del possibile
danneggiamento per il forte uso del campo di gioco nel corso del tempo (13-16).

36
3.3. LA SUPERFICIE DI GIOCO E LA SCARPA:
QUALE RUOLO HA LA LORO INTERAZIONE
NEGLI INFORTUNI?

L’evoluzione della tecnologia non ha soltanto riguardato la composizione dei campi di


gioco, ma anche il materiale e la tipologia della superficie che si frappone tra il piede e il
campo, cioè la scarpa di gioco (33, 34).

Anche la composizione delle calzature e la tipologia di tacchetti utilizzati hanno, infatti una
grande influenza sull’assorbimento dei colpi e si è anche teorizzato che la loro influenza
potrebbe essere addirittura superiore a quella esercitata dalle caratteristiche del terreno. La
relazione tra calzature, tacchetti, erba naturale e erba sintetica non ha ancora trovato
conclusioni unanimi (16,17), anche se un’ampia e uniforme distribuzione di tacchetti sulla
suola sembra ridurre l’entità dei colpi assorbiti correndo sul terreno sintetico (Fig. 11).

Fig. 11 Nike Turf Cleat, scarpa appositamente studiata per campi artificiali

37
Lo studio di MCGhie e Ettema (18) ha anche distinto i campi sintetici utilizzati per gli sport
dilettantistici (con scarso assorbimento dei colpi) rispetto ai campi, sempre sintetici,
utilizzati per gli sport professionistici (con maggiore capacità di assorbimento).

Questo rilievo è particolarmente importante in considerazione del fatto che i primi sono
frequentati da un gran numero di persone, con una intensità maggiore rispetto ai secondi.
Tuttavia bisogna anche considerare che il tempo trascorso sul campo da parte di ogni
individuo è molto maggiore nell’ambito del professionismo.

38
CONCLUSIONI

I maggiori studi di settore concordano, ormai che non vi è alcuna rilevanza statistica a
sostegno dell’opinione che giocare o allenarsi su campi sintetici aumenti il rischio di
infortuni muscolari, indipendentemente dalla tipologia di gioco o di ruolo, anzi vi sono
evidenze che alcune tipologie di infortuni possono essere ridotte per gli atleti che utilizzano
campi sintetici. Certamente vi sono alcuni elementi da puntualizzare nei diversi studi citati
nel presente elaborato: per esempio alcuni studi parlano di incidenza di infortuni basandosi
sulla localizzazione degli stessi o la loro tipologia (distorsione del ginocchio, per esempio),
mentre altri citano solo la localizzazione (ginocchio) o solo la tipologia (distorsione). Altri
ancora, una minoranza, prendono in considerazione i legamenti (per esempio, la rottura del
legamento crociato anteriore). Anche la definizione di gravità dell’infortunio – basata sui
giorni di assenza dal campo di gioco - non è un dato omogeneo in quanto un infortunio
definito lieve può comportare un’assenza da uno a sette giorni, da quattro a sette giorni
oppure di una due settimane a seconda dei diversi ricercatori. Gli infortuni definiti come
gravi possono invece comportare un’assenza superiore ai 21 giorni, secondo alcuni, o
superiore ai 28 giorni, secondo altri.
Altra variabile significativa è che pochi studi differenziano gli infortuni conseguenti a
contatto di gioco da quelli non legati a contrasti con altri giocatori.
Bisogna poi aggiungere che le ricerche citate non riportano uniformemente (o non riportano
affatto) altre variabili significative come la temperatura, le condizioni del terreno, umido o
secco, al momento del gioco oppure il tipo di scarpa o di tacchetti utilizzati. Altra cosa da
tenere in considerazione è che buona parte degli studi sono stati svolti su campi in erba
naturale di squadre professionistiche che, quindi, erano dotati di superfici in erba naturale o
sintetica di elevata qualità e con un’ottima manutenzione.
È anche possibile, che altri fattori esercitino un’influenza nell’esprimere un giudizio sulle
diverse superfici. Per esempio, i giocatori paiono modificare il proprio stile di gioco sui
campi FT. Per esempio le analisi dimostrano che il tempo di corsa durante una partita è
simile fra i due tipi di campo, ma nel sintetico i giocatori tendono a diminuire i contrasti in
scivolata e i passi della corsa sono di minore estensione (27). La riduzione delle entrate in
scivolata può essere determinata dalla paura di abrasioni cutanee ma, in questo modo, si
limitano le situazioni ad “alto rischio” di infortunio. Inoltre i calciatori hanno la sensazione

39
che la temperatura sui campi sintetici e la velocità del gioco richiedano un maggior sforzo
muscolare se paragonati ai campi in erba. Queste tesi, in realtà, non sono mai state dimostrate
dagli studi condotti (36-38).

Indicazioni per lo sviluppo di ulteriori studi:


a) Sviluppare ricerche sui calciatori di entrambi i sessi. Oggi le ricerche sono indirizzate
verso giocatori di sesso maschile.
b) E’ necessario uniformare la categorizzazione degli infortuni.
c) Gli infortuni vanno catalogati per sede e tipologia.
d) Vanno condotti studi approfonditi sul dispendio energetico e sulla fatica nei campi
naturali ed artificiali, se possibile creando situazioni che replichino le fasi di gioco.
e) Devono essere indagati i movimenti dei giocatori in relazione al rischio di infortuni.
f) Analisi approfondite vanno condotte in maniera specifica nell’ambito dei giovani
calciatori che crescono allenandosi e giocando, fin dall’inizio della loro attività, in
campi sintetici.

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