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Il binario 21

Tra il 1943 e il 1945, dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano partirono ventitré treni diretti ad
Auschwitz e ad altri campi di concentramento. Nei vagoni, originariamente destinati al trasporto postale,
vennero stipate migliaia di persone perseguitate dagli occupanti nazifascisti: erano soprattutto ebrei, ma
anche partigiani e dissidenti politici. Oggi quel binario ospita il Memoriale della Shoah.

Il Binario 21 oltre ad essere un luogo della Memoria è diventato il Memoriale della Shoah di Milano e ad
esso collegato c’è un progetto più ampio che ha lo scopo di rendere omaggio alle vittime dello sterminio e
di far nascere un contesto vivo e dialettico in cui rielaborare attivamente la tragedia della Shoah. E,
soprattutto, per non dimenticare.

Non c’è continuità di numerazione tra i binari “ufficiali” della Stazione Centrale e quelli dell’area sotto ad
essa, inizialmente concepita come luogo di carico/scarico della posta. Anzi, la denominazione Binario 21
non è nemmeno troppo corretta ma nel momento in cui è emersa questa cosa, ormai era troppo tardi per
cambiare il nome. Fisicamente, lo spazio che ospita oggi il Memoriale della Shoah, si trova sotto il 18mo
binario e quando partono o arrivano treni si sente chiaramente anche sotto.

Ad accogliere i visitatori c’è una grande scritta che non passa di certo inosservata. INDIFFERENZA. Questa
parola è stata scelta con cura e sta a rappresentare il sentimento che, più di ogni altro, ha fatto patire gli
ebrei: l’indifferenza della gente nei confronti di ciò che stava accadendo durante tutto il periodo, non
soltanto durante la deportazione. Dopotutto gli ebrei erano molto ben integrati nella società di allora,
l’indifferenza che hanno subito è stata devastante.

Nel “cuore” del Memoriale si trovano quattro carri merci dell’epoca, uguali a quelli che si avviarono alla
volta dell’inferno. L’odore del legno, che di solito evoca qualcosa di buono, diventa insopportabile. Tra il
dicembre 1943 e il gennaio 1945 partirono da qui una ventina di convogli stipati di ebrei e di oppositori
politici. In ogni vagone stavano dalle 50 alle 80 persone, quando chiaramente non c’era spazio per tutti.
Non c’erano finestre, se non qualche fessura. Non veniva dato da mangiare né da bere ed i bisogni
fisiologici si facevano in un secchio. D’inverno faceva maledettamente freddo, d’estate un caldo infernale. Il
viaggio durava 7 giorni e non tutti arrivavano a destinazione.

Lungo il Muro dei Nomi si trova una grande installazione in cui sono riportati i nomi delle 774 persone che
vennero deportate nei primi due convogli che partirono da qui (il secondo è quello in cui c’era anche Liliana
Segre). Purtroppo non si conoscono tutti i nomi di chi è partito nei convogli successivi al secondo quindi, per
rispetto, sono stati inseriti solo i nomi dei “passeggeri” dei primi due.

In bianco le vittime e in arancione i pochi sopravvissuti, 27. I nomi non sono statici ma vengono messi in
evidenza a rotazione, per restituire dignità a queste persone.

All’interno del Memoriale c’è anche un luogo di riflessione, ricavato in una fossa di traslazione della
stazione. Il suo interno è volutamente opprimente e buio (l’unico spiraglio di luce è una striscia che indica
l’est) ed ha lo scopo di stimolare la riflessione ed il raccoglimento. Perché il Memoriale non vuole essere
soltanto un monumento alla memoria di chi non c’è più, ma anche un luogo per riflettere.

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