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Catechesi Giovani-Vecchi

Nome di Dio e Idolatria: una questione sempre attuale


Venerdì 5 Dicembre 2020, III incontro

Riprendiamo il nostro cammino attraverso i dieci comandamenti e ci soffermiamo su un concetto


che la Legge racchiude in parte nel primo comandamento, già analizzato, e messo al centro nel
secondo comandamento: la distanza di Dio. Per distanza di Dio non intendiamo che l’essere di Dio
è completamente staccato dal mondo e dall’uomo ma intendiamo invece quel concetto, tipico della
mentalità ebraica, per cui non è tanto Dio che prende le distanze quanto l’uomo deve rispettare la
divinità di Dio prendendone le distanze o meglio prendendo coscienza del grande mistero che si
cela dietro la Rivelazione.

Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù
sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li
servirai. (Es 20,3-5)

Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio (Es 20,7)

Tale atteggiamento si concretizza con la seconda parte del primo comandamento che prescrive il
divieto di fabbricarsi immagini, idoli e con il secondo comandamento che prescrive
l’impronunciabilità del nome di Dio.

Il nome
Il secondo comandamento prescrive di rispettare il nome del Signore. Come il primo
comandamento, deriva dalla virtù della religione e regola in particolare il nostro uso della parola a
proposito delle cose sante. Tra tutte le parole della Rivelazione ve ne è una singolare, che è la
rivelazione del nome di Dio, che Egli svela a coloro che credono in Lui; egli si rivela ad essi nel suo
mistero personale. Il dono del nome appartiene all’ordine della confidenza e dell’intimità. Il nome
del Signore è santo. Per questo l’uomo non può abusarne. Lo deve custodire nella memoria in un
silenzio di adorazione piena d’amore. Non lo inserirà tra le sue parole, se non per benedirlo, lodarlo
e glorificarlo. Il rispetto per il nome di Dio esprime quello dovuto al suo stesso mistero e a tutta la
realtà sacra da esso evocata. Il senso del sacro fa parte della virtù della religione:

«Il sentimento di timore e il sentimento del sacro sono sentimenti cristiani o no? [...]
Sono i sentimenti che palpiterebbero in noi, e con forte intensità, se avessimo la visione
della Maestà di Dio, se ci rendessimo conto della sua presenza. Nella misura in cui
crediamo che Dio è presente, dobbiamo avvertirli. Se non li avvertiamo, è perché non
percepiamo, non crediamo che Egli è presente » (J. H. Newman)

Il fedele deve testimoniare il nome del Signore, confessando la propria fede senza cedere alla paura.
L’atto della predicazione e l’atto della catechesi devono essere compenetrati di adorazione e di
rispetto per il nome del Signore nostro Gesù Cristo.

L’immagine
Una delle immagini più emblematiche dell’idolatria è quella che ci viene presentata nel libro
dell’Esodo: l’episodio del vitello d’oro. Israele ha attraversato il Mar Rosso ed è stato condotto da
Dio per il deserto, dietro ad una colonna di nubi (di giorno) e di fuoco (di notte) fino ad incontrarsi
con Dio ai piedi del monte Sinai, dove è stato invitato a sigillare liberamente l’alleanza e a custodire
le parole di vita rivelate attraverso un uomo, Mosè.

Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si affollò intorno ad
Aronne e gli disse: «Facci un dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l'uomo
che ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto». Aronne
rispose loro: «Togliete i pendenti d'oro che hanno agli orecchi le vostre mogli e le vostre
figlie e portateli a me». Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li
portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne
un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto
uscire dal paese d'Egitto!». Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e
proclamò: «Domani sarà festa in onore del Signore». (Es 32, 1-5)

Cos’è questo idolo? Dove sta l’essenza di questa idolatria? Il peccato che Israele compie nel deserto
non è il cambiamento di divinità: Israele non passa da una divinità all’altra. L’essenza del peccato è
molto più subdola: la tentazione che prende Israele è invece quella di dare visibilità, di dare volto
preciso a un Dio che è rimasto per troppo tempo inafferrabile e innominabile. Non si tratta di un
nuovo dio: è sempre Lui, «colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto». Ma ora finalmente ha un
volto, si vede, si tocca, sta nelle nostre mani, si lascia portare. Al Dio invisibile e inafferrabile che ti
conduce per un deserto senza strade, che traccia Lui la via, chiedendoti di fermarti quando Lui si
ferma e ripartire solo quando Lui si alza, Israele appiccica invece una statua visibile, nominabile,
trasportabile. Non sarà più Dio a tracciare la strada e a chiederci di seguirlo, ma saremo noi a
portarci dietro la divinità per le strade che decideremo di percorrere. Al Dio inafferrabile la cui
esperienza richiede tempo e pazienza (40 notti Mosè sul Sinai), Israele appiccica invece
un’immagine visibile, concettualizzabile. All’alleanza, Israele preferisce la cerimonia: molto più
tranquillizzante, sicura, addomesticabile, a misura delle nostre ansie e delle nostre esigenze.

Convergere nell’Incarnazione
Come ultimo sguardo, per concludere e per riflettere, voglio proporre un punto di convergenza nel
mistero che ogni Avvento mette a fuoco: l’Incarnazione di Cristo. Cristo facendosi carne, ha
assunto tutto ciò che investe l’uomo, dal tempo alla Legge, e ha permesso di comprendere meglio
quell’intimità, quella familiarità che il nome di Dio contiene. Egli, incarnandosi, ha realizzato il
significato autentico del titolo messianico di Emmanuel che significa Dio è con noi. Dire
Incarnazione vuol dire che quando qualcuno di noi arriva a casa, la sera, stanco, stravolto dal
lavoro, Dio sa cos’è! Quando qualcuno soffre perché sta male, Dio sa cos’è. Quando qualcuno si
sente abbandonato, perché lasciato dalla propria fidanzata, Dio sa cos’è, perché è stato abbandonato
sulla croce. Accogliamo, allora, in questo tempo, questo sguardo che l’Incarnazione ci propone
come via concreta per entrare a sondare il grande mistero della Rivelazione e della vita morale.

Spunti per una riflessione successiva

• Come vivo il secondo comandamento nel concreto? Uso il nome di Dio in modo sacro o
diventa un pretesto, una parola come tante?
• Chi è Dio per me? Una cosa, un concetto o una persona? Quante volte l’atteggiamento
idolatrico permea le mie azioni? Ti è capitato di essere autentico, icona della mia fede?
• Come mi sto preparando (azioni, parole, preghiera) in questo Avvento? Sono pronto ad
accogliere, con uno sguardo iconico, il mistero che ogni Natale porta con sé?

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