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Pietro Bonfante e la costruzione di una


'scienza romanistica' italiana

Francesca Lamberti

1.- La condizione degli studi giuridici nell’Italia preunitaria.- L’epoca im-


mediatamente successiva all’unificazione italiana si vide confrontata con
numerose sfide relative alla ‘costruzione’ di una nazione su basi non solo po-
litiche, ma altresì socio-economiche, culturali e soprattutto giuridiche.
L’emanazione del Codice civile del Regno d’Italia del 1865, il c.d. Codice Pi-
sanelli, assieme a quello coevo di procedura civile, aveva dotato l’Italia di
1
una legislazione unitaria, impostandola sulla tradizione proveniente dalla 1
Francia e negli anni diffusasi anche nel resto dell’Europa continentale1.
Emanati i codici, promulgate le leggi a fondamento del nuovo ‘Regno
d’Italia’, era ora necessario che la nazione si dotasse di esperti di diritto al
passo con i tempi2.
Gli studi giuridici nell’Italia preunitaria si trovavano infatti in condizione
poco felice: lo aveva constatato ad esempio Friedrich Carl von Savigny, nel
1828, in un lavoro apparso nel VI volume della Zeitschrift für geschichtliche
Rechtswissenschaft, dedicato all’insegnamento giuridico nelle Università ita-
liane3. In esso Savigny, dopo un primo viaggio in Lombardia e Toscana del
1825 (con visite fra l’altro a Padova, Bologna, Pisa, Perugia), e un successivo
snodatosi per quasi un anno (tra il 1826 e il 1827) fra Firenze, Roma e Napo-
li, riversava le proprie osservazioni quanto agli studi giuridici in Italia, for-
nendone un quadro composito e sostanzialmente negativo. “Savigny scatta-
va una fotografia sostanzialmente esatta della situazione alla metà degli anni

1
GHISALBERTI 1992; GHISALBERTI 1997, part. 30-37; PADOA SCHIOPPA 1994, 923-962; ALPA
2000; CAZZETTA 2012.
2
Si v. per tutti SCHIAVONE 1990, part. 278-281; SALVI 1990, part. 235-240; GROSSI 2000, 7 ss.
3
SAVIGNY 1828, 201-228; sui rapporti di Savigny con l’Italia si v. da ultima MOSCATI 2000,
part. 13 ss., 163 ss. Sulla temperie pre- e postunitaria degli studi universitari di diritto per tutti MAZ-
ZACANE 1994, part. 82-96; CIANFEROTTI 2001, 19-75; LACCHÉ 2010, 153-228.
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Venti: professori distolti dalla pratica forense e dall’attività politico-


amministrativa; Università infiacchite, economicamente e culturalmente po-
vere (anche per via di un forte quietismo politico, programmi sottoposti al
vaglio della censura, il controllo poliziesco nelle aule universitarie conside-
rate luoghi particolarmente propizi alla circolazione di idee e quindi fucine
naturali di ‘dissidenza’); studi condotti - come a Napoli - principalmente nel-
le scuole private (non tutte certo di buon livello); il foro e il diritto forense
come ambiti privilegiati dell’esperienza giuridica”4. I corsi erano spesso im-
partiti in modo superficiale e frammentario (con scelta arbitraria e a tratti
casuale, ad esempio, dei passaggi del Corpus Iuris Civilis e di quello canonico
da discutere con gli studenti), e in svariati casi – e ciò in netta opposizione a
quello che era il ‘modello humboldtiano’ seguito nelle Università tedesche5 -
da professori che si dedicavano, parallelamente, alla professione di avvocati
o di giudici6.
Ancora negli anni Quaranta dell’Ottocento, come rilevabile dall’analisi,
pubblicata in traduzione italiana nel 1845, di Carl Joseph Anton Mitter-
maier7, la situazione delle università in generale e degli insegnamenti giuri-
dici in esse coltivate in particolare, non poteva dirsi (fra l’altro in assenza di
uno stato unitario) granché migliorata:
2
“Una certa scrupolosità in quelli che hanno la direzione degli studii è 2
d’inciampo ai maestri nelle loro libere investigazioni, e qualche valente in-
gegno dalle cattedre rimove, tanto più che l’ordinamento di alcuni stati, in
4
LACCHÉ 2010, 163. Sulla parzialità dell’opinione di Savigny e sull’influsso che essa avrebbe
avuto nel determinare l’immagine storiografica “dell’Ottocento giuridico italiano”, MAZZACANE
1994, 82 ss.
5
Sia sufficiente per tutti il rinvio alle osservazioni, formulate negli anni Venti dell’Ottocento, da
Pellegrino Rossi nel rilevare la netta demarcazione, in Germania, tra i teorici eruditi e i pratici: “En
Allemagne la séparation était complète. Un Professeur n’avait jamais vu un tribunal ...” (ROSSI 1820,
4).
6
Soprattutto Napoli era fatta segno di un giudizio negativo, in parte (MAZZACANE 1984, 82-85)
fondato su una parziale conoscenza della situazione reale: “Il titolare di Istituzioni di diritto romano,
Francesco Avellino, che pure pareva abbastanza colto … in via principale esercitava l’avvocatura.
Non costituiva in ciò un’eccezione: anche gli altri professori erano quasi tutti al tempo stesso avvocati
o magistrati. Gli studenti frequentavano i corsi in numero molto scarso: durante la lezione, poiché le
porte delle aule restavano aperte, usavano entrare e uscire più volte … In sostanza professori e stu-
denti si curavano assai poco dell’università. L’insegnamento veniva prevalentemente impartito in
forma privata da docenti universitari, magistrati ed ecclesiastici. Si svolgeva nelle loro dimore, si
concludeva in un paio d’anni e non aveva alcun pregio scientifico. L’interesse generale si indirizzava
verso la pratica forense. ‘Neapel ist recht eigentlich die Stadt der Advocaten’” (MAZZACANE 1984,
83).
7
MITTERMAIER 1845, part. 188 ss. Di poco precedente il suo lavoro relativo alla condizione de-
gli studi storico-giuridici in Italia: MITTERMAIER 1842, 137-172; altra bibliografia in LACCHÉ 2010,
164 s. nt. 25.
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ciò che all’elezione de’ pubblici istruttori si riferisce, non è tale da invogliarvi
gli uomini di talento ed attivi. L’insegnamento critico che anima, incontra fa-
cilmente impedimenti. I salarii dei professori sono nel più delle università
troppo tenui; quindi i più di essi sono assai distratti in altri ufficii lucrativi. I
professori di medicina si esercitano molto nella pratica; que’ di legge sono
avvocati, e dedicarsi così non possono tutti exprofesso alla scienza insegna-
ta, quantunque sotto altro riguardo dia questo esercizio anche alle disquisi-
zioni teoretiche certa freschezza e direzion pratica … In nessuna università
d’Italia sono così pienamente insegnate tutte le varie materie, come nelle
università di Germania. In alcune università italiane manca, per esempio la
cattedra della filosofìa del diritto; in altre quella di diritto pubblico, e gene-
ralmente poi quella della storia del diritto. Ad una buona storica trattazione
del diritto nemmeno si pensa”8.

2. La ‘rinascita’ degli studi di diritto dopo l’unificazione. Filippo Serafini -


Una nazione, dunque, che dallo stato di frammentazione preunitario9 che
appariva aver privilegiato “il pragmatismo, l’esegesi, l’eclettismo, il giusna-
turalismo privatistico”10, transitava in modo rapido a una unificazione nor-

8
MITTERMAIER 1845, 216; LACCHÉ 2010, 165 s. pone in risalto altresì i ‘chiaroscuri’ presenti 3
3
nel volume di Mittermaier quanto alla differenza fra i nessi fra teoria e pratica inestricabilmente pre-
senti in Italia da un lato, e l’impostazione solo teorica dell’insegnamento universitario in Germania
dall’altro: “Pratici sì, ma ‘guidés par la science’ era la formula che Mittermaier privilegiava, ricer-
cando un positivo equilibrio nell’ambito dell’insegnamento e dello studio”. Sulla natura ‘stereotipica’
di queste ed altre narrazioni, MAZZACANE 1984, 87: “Caratteristica degli stereotipi è di resistere alla
ragion critica. Essi si radicano nell’opinione diffusa e riaffiorano inavvertitamente anche nelle descri-
zioni più acute. Quelli sull’Italia e su Napoli circolarono largamente nell’Ottocento specie fra i tede-
schi, e non solo in ambienti artistici e letterari”.
9
Per tutti (quanto agli anni della Restaurazione almeno) MAZZACANE 1894, 95: “In sostanza,
l’utilità e il vantaggio dell’istruzione privata, rispetto allo sclerotico assetto universitario, apparivano
evidenti … Era assente, infatti, l’idea di un’istruzione esclusivamente statale; nebulosa e lontana
quella dell’università quale sede propria dell’educazione più elevata o ‘sublime’, come la definì Cuo-
co. In Italia e a Napoli la riforma universitaria era di là da venire: al pari dell’Inghilterra e a differen-
za della Francia e della Germania, l’Italia avrebbe stentato ad assumere, ben oltre la metà del secolo,
un proprio modello definitivo”.
10
Sono sempre parole di LACCHÉ 2010, 176; sull’eclettismo, oltre allo stesso Lacché, si v. fra al-
tri GENTA 1987, 285-309; CIANFEROTTI 2001, 20, 23 s.: “Mentre giungevano dalla Francia i detta-
mi dell’école de l’eségèse, la scuola eclettica guardava ai più vari orizzonti scientifici e legislativi,
italiani ed europei, e rifletteva tutti i ‘contrasti’ e gli ‘ideali politici del tempo’: ‘sensualisti’ e ‘spiri-
tualisti’, ‘scuola storica’ e ‘scuola filosofica’, ‘scuola teologica e gius di natura’ … In essa …
l’economia, la politica, la storia, la filosofia e la teologia, soccorrevano il giurist nell’interpretazione,
nell’applicazione e nella critica della legge”. Su impostazione giusnaturalistica e ruolo dell’esegesi
nell’Italia post-codicistica si v. altresì GROSSI 2000, 7: “La scelta italiana per la codificazione tra-
smette il complesso, antinomico messaggio giusnaturalistico alla nostra scienza giuridica. La quale è
indiscutibilmente statalista, legalista e – di conseguenza – almeno in un primo momento, esegetica,
trapiantando in Italia una metodologia … già pienamente manifestatasi in Francia dopo la Codifica-
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mativa (sul piano almeno del diritto civile, commerciale, processuale) in cui
si sarebbe richiesto al futuro ‘operatore del diritto’ una preparazione nuova,
adeguata ai tempi, e solidamente fondata dal punto di vista delle conoscenze
e dell’uso ‘scientifico’ del sapere appreso.
Era tempo “di riorganizzazioni, di nuove disposizioni concettuali, di pa-
radigmi atti a fondare criteri metodologici, statuti epistemologici, processi di
autonomizzazione. Pur senza riuscire pienamente nell’intento, le Università
cominceranno a proporsi come luoghi monopolistici della cultura giuridi-
ca”11. Fondamentale, nel processo di riorganizzazione, il ruolo delle riviste
come espressione della voce dei ‘nuovi intellettuali’. Parte integrante della
‘svolta’ in esame sarebbe stata, nel primo ventennio postunitario, la rivista
Archivio Giuridico, fondata da Pietro Ellero nel 1868, cui sarebbe immedia-
tamente dopo subentrato, nella direzione, Filippo Serafini (guidandola fra il
1869 e il 1897)12.
L’appena divenuto direttore, nel corso del 1869, avrebbe inaugurato il
passaggio di testimone con una energica riflessione sulla precaria situazione
in cui versavano all’epoca gli studi giuridici in Italia, in particolare in con-
fronto con la scienza giuridica tedesca:

“La necessità di quei mezzi che favoriscono il simultaneo progresso della 4


vita intima di un popolo e della sua legislazione fu bene intesa dalla dotta 4
nazione germanica, presso la quale fioriscono numerose le riviste di diritto
che abbracciano l'intiera scienza od un ramo speciale di essa, quando pure
non siano rivolte ad illustrare una parte specialissima, come sarebbe, ad

zione napoleonica. L’esegesi non è infatti soltanto la dimessa attitudine metodica del giurista che si
propone come fine ultimo e massimo di arrivare a cogliere la volontà del legislatore sepolta nel testo
della legge ma si concreta soprattutto in un atteggiamento psicologico di sostanziale passività con una
rinuncia da parte del giurista interprete – sia esso il maestro teorico, sia esso il giudice applicatore – a
un suo ruolo autonomo, a un suo coinvolgimento nella dinamica evolutiva dell’ordinamento giuridi-
co”. Ne consegue (ibid. 8) che “la posizione esegetica della prima scienza giuridica italiana”, sul sol-
co di quella francese, “abbia radicazioni e fondazioni nella idealizzazione, sopravvalutazione e asso-
lutizzazione dello Stato che sono il risultato singolare delle proposte giusnaturalistiche”.
11
LACCHÉ 2010 177. Sul ruolo svolto, in ogni caso, dai pratici del diritto e dalle scuole private a
ridosso dell’Unità d’Italia, MAZZACANE 1984, 82-96.
12
Serafini è unanimemente considerato “un pioniere e un protagonista di quella prima ripresa
degli studi di diritto romano nel nostro paese che caratterizzò gli anni successivi al 1840” (SCHIAVO-
NE 1990, 279 s.). Ordinario a Pisa fra il 1873 e il 1897, “aveva avuto una lunga ‘Schulung’ nelle uni-
versità tedesche e austriache ed era stato soprattutto allievo a Vienna di Ludwig Arndts … verso il
quale restò sempre legato da una memore devozione e di cui tradusse in italiano la nona edizione del
Lehrbuch des Pandektenrechts” (TALAMANCA 1988, XV). L’Archivio Giuridico di Serafini avrebbe
lasciato, come vedremo, ampio spazio al diritto romano, benché in un’ottica fortemente orientata
all’impostazione pandettistica e ad una valorizzazione del “heutiges römisches Recht” (TALAMANCA
1988, XCIII). Si v. altresì STOLFI 2013, 1850-1851.
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esempio, la rivista del diritto cambiario. La Francia, il Belgio, l'Olanda, la


Svizzera ed altre nazioni ancora seguono l'esempio della Germania, e danno
vita a pregevolissime riviste, redatte dai più insigni cultori della scienza. Ma
se passiamo dalla Germania all'Italia, quale enorme differenza! Il nostro or-
goglio nazionale ha ben di che restare avvilito e sentirsi umiliato: ma è me-
glio dire schietta la verità e non far luogo ad illusioni: occorre scoprire le
piaghe per apprestarvi gli opportuni rimedi. - Culla della scienza del diritto
all’epoca romana, sede del risorgimento degli studi giuridici nel medio evo,
patria di profondi giuristi in ogni tempo, l’Italia si è riposata neghittosa sui
mietuti allori e lasciò passare senza contesa alle vicine nazioni quel primato
che aveva un dì formato la sua gloria più bella”13.

Era arrivato il momento di recuperare quella tradizione illustre, per


riappropriarsi con orgoglio di un sapere che si considerava ‘patrio’. Come
opportunamente rilevato da Massimo Brutti, “si affaccia a partire dagli anni
’60 [dell’Ottocento] uno dei temi retorici che accompagneranno la cultura
delle classi dirigenti, dal conservatorismo liberale – dominante dopo l’unità
– fino al fascismo. È l’idealizzazione del passato premoderno, che diventa
materia di discorsi apologetici, utili a realizzare finalità educative e a legit-
timare il presente. Così, per quanto riguarda il diritto, si afferma la sua con- 5
nessione con la storia, il suo essere punto d’arrivo di un lungo e lineare pro- 5
cesso …”14.
Sul filo del collegamento operato fra l’antico diritto romano ‘a base giuri-
sprudenziale’ e l’attuale scienza del diritto in Italia, che doveva profonda-
mente riformarsi (o meglio: costituirsi ex novo)15, ma ricollegandosi a quel
glorioso precedente, Filippo Serafini avrebbe pronunciato anche la sua fa-
mosissima ‘prolusione’ romana, il 25 novembre 1871. Era infatti appena sta-
to chiamato dalla sua sede di Bologna presso l’Università di Roma, dove sa-
rebbe stato anche Rettore (fra il 1872 e il 1873), a insegnare Diritto roma-
no16.
13
SERAFINI 1869, 229. Le considerazioni formulate da Serafini non erano granché distanti da
quelle formulate, un ventennio prima, da MITTERMAIER 1845, part. 1-8; segno di un vero e proprio
luogo comune già assai diffuso al tempo.
14
BRUTTI [2011] 2013, 2.
15
CIANFEROTTI 2001, 32 s.: “Assieme alla dogmatica e alla sistematica del diritto positivo ita-
liano mancò la prevalenza all’interno delle università di un ceto di giuristi istituzionalmente dedito
allo svolgimento dell’attività di ricerca e di trasmissione del sapere. Mancava – al di là di casi indivi-
duali di personalità pur assai rilevanti – un ceto omogeneo di giuristi accademici, che collocasse la
propria identità professionale nell’impegno a porre problemi di definizione dogmatico-giuridica del
vigente sistema istituzionale italiano e nell’attività di educazione giuridica nelle università”.
16
A Roma sarebbe rimasto solo due anni, per poi terminare (fra il 1873 e il 1897) la carriera a
Pisa. Serafini sarebbe stato chiamato a Roma “in sostituzione di uno studioso (Alibrandi) venuto me-
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Nella prolusione di Serafini – come posto in risalto da Paolo Grossi – si


coniugavano tattica e strategia. Tatticamente, sia pur ingenua, era “apprez-
zabile l’affermazione di un nesso inscindibile fra Risorgimento nazionale e
rinascita del diritto romano … programma suadente per chi l’ascoltava nel
1872”17. La strategia si inverò, con Serafini, attraverso numerosi strumenti
culturali: ovviamente l’insegnamento, che egli impartì prima a Pavia 18, poi a
Bologna19, a Roma, e infine a Pisa20; la pubblicazione di una Rivista, l’Archivio
Giuridico che “pur essendo a largo spettro, grazie alla direzione di un cultore
del diritto romano, sarebbe stata palestra ospitalissima per esercizi romani-
stici”; un ‘manuale’ istituzionale ragionato in chiave di ‘comparazione dia-
cronica’, con la chiara finalità di porre in risalto i punti di connessione fra il
diritto romano antico e la nuova codificazione; la traduzione del Lehrbuch
des Pandektenrechts del suo maestro Arndts e il coordinamento, assieme al
genero Pietro Cogliolo, della traduzione delle Pandette di Glück21.
Basti citare, di quella prolusione sin troppo nota, ancora a 150 anni di di-
stanza, fra i romanisti, alcuni essenziali passaggi:

“Se noi scorriamo la storia primitiva di qualsiasi popolo, noi troviamo


che ogni nazione forma un insieme organico distinto per sua natura da tutte
le altre. Questo carattere particolare si manifesta nella lingua, nei costumi, 6
nel diritto. Nella stessa guisa che è impossibile creare di pianta una lingua 6
nazionale e nazionali costumi, così è pure impossibile improvvisare un dirit-
to nazionale. La vera fonte del diritto adunque non è il capriccio del legisla-
tore, ma la necessità di provvedere ai rapporti della convivenza civile, e trae
la sua impronta non dall’ingegno di pochi saggi, ma dal genio individuale
della nazione … Se volete davvero meritarvi nome onorato di giureconsulti,
dovete meditare sulle opere della classica antichità e studiare nella loro ori-
gine e nel loro svolgimento storico le fonti da cui sono tratte le disposizioni

no all’insegnamento proprio in conseguenza dei difficili rapporti fra governo italiano e papato”: ciò
varrebbe a meglio comprendere il senso ‘nazionalistico’ della prolusione di Serafini alla “Sapienza”
(STOLFI 2013, 1850); “la sua prolusione … voleva essere … una specie di solenne manifesto pro-
grammatico per la rinascita degli studi del diritto romano nella nuova Italia” (SCHIAVONE 1990, 279).
Si v. sul punto anche FIORI 2014, 452 e nt. 47: “Il caso di Alibrandi fu in realtà molto chiacchierato,
perché si sospettò che anch’egli, come altri colleghi, avesse rifiutato di giurare [scil. ‘fedeltà al Re e
alle leggi del Regno’]. Vittorio Scialoja chiarì però – una volta per tutte – che le dimissioni di Ali-
brandi erano state determinate dalle pressioni delle autorità religiose a seguito della sua visita al re
Vittorio Emanuele, al Quirinale, fatta come preside e in rappresentanza della Facoltà”.
17
GROSSI 2000, 40 s.
18
Tra il 1857 e il 1868: cfr. SERAFINI 1897, 507-526; Necrologie 1898, 38-43; STOLFI 2013,
1850.
19
Tra il 1868 e il 1871: v. i citt. retro, nt. precedente.
20
Tra il 1873 e la morte, avvenuta nel 1897: v. i citt. retro, nt. 18.
21
GROSSI 2000, 41; si v. altresì STOLFI 2013, 1850.
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del codice. Chi non ricorre alle origini degli istituti giuridici, e non ne studia
il successivo svolgimento, non arriverà mai a comprenderne il vero spirito e
la vera essenza. … Al popolo romano pertanto, alieno dalle arti del bello, si
convenne il culto del giusto: ed i monumenti che ci rimangono ne attestano
quella inarrivabile grandezza per cui Roma fu celebrata terra sacra del dirit-
to. E noi mercè lo studio di questo diritto non solo ci formeremo quel retto
criterio giuridico indispensabile al vero giureconsulto per apprezzare con
esattezza ed a primo tratto i casi non contemplati dal codice e le questioni
giuridiche le più intricate, ma ci troveremo in grado di indagare quale sia
stata la sua influenza sulle legislazioni posteriori ed esaminare quali istituti
giuridici sieno tuttora regolati dai principii da esso sanciti, quali invece e per
quali cause abbiano riformato o ripudiato quelle norme”22.

Trapelava, in alcuni punti del discorso serafiniano, un afflato analogo a


quello che aveva mosso Savigny, nel 1814, nel notissimo ‘pamphlet’ Vom
Beruf unsrer Zeit für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft: Savigny (nel con-
trastare, come noto, il progetto di un codice civile tedesco) affermava che,
ben prima che attraverso le leggi e i codici, fosse necessario dare unità alla
nazione formando “una scienza giuridica che si evolvesse organicamente”23.
7
22
SERAFINI [1872] 1901, 208. V. da ultimo FIORI 2014, 451 ss. 7
23
SAVIGNY 1814, 17 ss.: “Hier ist … folgendes gemeint. Der Staat soll seinen gesammten
Rechtsvorrath untersuchen und schriftlich aufzeichnen lassen, so daß dieses [Gesetz]Buch nunmehr
als einzige Rechtsquelle gelte, alles andere aber, was bisher etwa gegolten hat, nicht mehr gelte.
Zuvörderst läßt sich fragen, woher diesem Gesetzbuch der Inhalt kommen solle. Nach einer oben
dargestellten Ansicht ist von vielen behauptet worden, das allgemeine Vernunftrecht, ohne Rücksicht
auf etwas bestehendes, solle diesen Inhalt bestimmen … man ist darüber einig gewesen, das ohnehin
bestehende Recht soll hier aufgezeichnet werden, nur mit den Abänderungen und Verbesserungen,
welche aus politischen Gründen nötig seyn möchten … Demnach hätte das Gesetzbuch einen doppel-
ten Inhalt: theils das bisherige Recht, theils neue Gesetze … Um … unsere Untersuchung nicht zu
verwirren, wollen wir die neuen Gesetze ganz beiseite setzen, und bloß auf den wesentlichen und
Hauptinhalt des Gesetzbuchs sehen. Demnach müssen wir das Gesetzbuch als Aufzeichnung des
gesamten bestehenden Rechts denken, mit ausschließender Gültigkeit vom Staat selbst versehen. Daß
wir dieses letzt als wesentlich bei einer Unternehmung dieser Art voraussetzen, ist in unseren
schreibtätigen Zeiten natürlich, da bei der Menge von Schriftstellern und dem schnellen Wechsel der
Bücher und ihres Ansehens, kein einzelnes Buch einen überwiegenden und dauernden Einfluß anders
als durch die Gewalt des Staates erhalten kann. An sich aber läßt es sich gar wohl denken, daß diese
Arbeit ohne Aufforderung und ohne Bestätigung des Staates von einzelnen Rechtsgelehrten voll-
bracht würde … Wir bleiben aber jetzt bei dem Begriff stehen, welcher unseren Zeiten angemessen
ist. Jedoch ist es klar, daß der Unterschied lediglich in der Veranlassung und Bestätigung von Seiten
des Staates liegt, nicht in der Natur der Arbeit selbst, denn diese ist auf jeden Fall ganz technisch und
fällt als solche den Juristen anheim, indem bey dem Inhalte des Gesetzbuches, den wir voraussetzen,
das politische Element des Rechts längst ausgewirkt hat, und bloß diese Wirkung zu erkennen und
auszusprechen ist, welches Geschäft zur juristischen Technik gehört” … “Fassen wir dasjenige, was
hier über die Bedingungen eines vortrefflichen Gesetzbuches gesagt worden ist, zusammen, so ist es
klar, daß nur in sehr wenigen Zeiten die Fähigkeit dazu vorhanden sein wird. Bei jugendlichen Völk-
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Il progetto di Savigny si era inverato attraverso la creazione di una Scuola


storica che avrebbe prodotto maestri (quelli almeno coevi agli studiosi
dell’Italia postunitaria) del calibro di Windscheid, Dernburg, Pernice, Lenel,
e così via elencando.
Dalla prolusione serafiniana è possibile cogliere tutti gli elementi su cui
si sarebbe fondata, da allora in avanti, la ‘retorica’ della costruzione di un ce-
to di studiosi di diritto tutto italiano: l’orgoglio nazionale, il necessario radi-
camento della neo-costituenda scienza giuridica italiana nella tradizione del
diritto romano, l’importanza di uno spirito giuridico ben allenato alla com-
parazione fra antico e moderno e alla interpretazione delle norme che muo-
vesse da una fondata conoscenza dell’esperienza giuridica del passato24.

3. Il ruolo di Scialoja e Bonfante. L’istituzionalizzazione di un progetto - Il


progetto in esame, la “elaborazione di un nuovo diritto d’Italia” mettendo al
centro della costruzione il diritto romano e soprattutto dando vita a una ge-
nerazione di studiosi (e docenti) “agguerrita e moderna”25, che a sua volta
educasse ulteriori generazioni di giuristi atti a supportare, con le loro com-
petenze, il nuovo Stato-nazione, in realtà, ben più e ben oltre che da Serafini
e dai suoi allievi26, sarebbe stato portato avanti e svolto con cura, dedizione,
ed enorme attenzione anche alle tradizioni e agli sviluppi di Oltralpe, prima- 8
8

ern findet sich zwar die bestimmteste Anschauung ihres Rechts, aber den Gesetzbüchern fehlt es an
Sprache und logischer Kunst, und das Beste können sie meist nicht sagen, so daß sie oft kein indi-
viduelles Bild geben, während ihr Stoff höchst individuell ist … In sinkenden Zeiten dagegen fehlt es
meist an allem, an Kenntnis des Stoffs wie an Sprache. Also bleibt nur eine mittlere Zeit übrig,
diejenige, welche gerade für das Recht, obgleich nicht notwendig auch in anderer Hinsicht, als Gipfel
der Bildung gelten kann. Allein eine solche Zeit hat für sich selbst nicht das Bedürfnis eines Ge-
setzbuchs; sie würde es nur veranstalten können für eine folgende schlechtere Zeit, gleichsam Win-
tervorräte sammelnd. Zu einer solchen Vorsorge aber für Kinder und Enkel ist selten ein Zeitalter
aufgelegt”.
24
SERAFINI 1872, 210 s.; se ne v. la sintesi operata in SCHIAVONE 1990, 280: “Sbaglia grave-
mente chi pensa che con il nuovo codice civile unitario (quello del 1865) il più di quel che andava
compiuto sia stato già fatto. I codici da soli non possono mai bastare (l’esempio della Francia inse-
gni), e il migliore dei legislatori rischia sempre di inciampare nel proprio limitato arbitrio, se non si
alza a proteggerli e sorreggerli, robusta e matura, una cultura giuridica adeguata … ma non vi può
essere cultura giuridica degna del nome senza mantenere un forte rapporto con la tradizione e il pas-
sato … E la tradizione, nella storia giuridica d’Italia, più e meglio che in ogni diverso luogo
d’Europa, non significa altro che diritto romano”. Analogo (“sostanzialmente identico”: GROSSI
2000, 40 nt. 8) discorso è nella prolusione maceratese di FADDA 1881, 23; v. anche SOLIMANO 2013,
813.
25
Sono parole di SCHIAVONE 1990, 281.
26
Pure – in particolare a Pisa – Serafini avrebbe vantato una valentissima discendenza scientifi-
ca: basti pensare a Biagio Brugi, a Giovanni Baviera, nonché agli allievi (che furono anche suoi gene-
ri) Lando Landucci e Pietro Cogliolo. Si v., sull’opera e l’influsso di Serafini, da ultimo il denso la-
voro di FURFARO 2016, part. 123 ss.
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riamente (ma non soltanto) presso l’Università di Roma27, ad opera di due


figure ‘epocali’ per quel che attiene alla rifondazione ottocentesca della
scienza romanistica (e più in generale della scienza giuridica) italiana: Vitto-
rio Scialoja e il nostro Pietro Bonfante.
Il programma enunciato da Serafini presupponeva il ricorso a strumenti
di rappresentazione, conoscenza, analisi, interpretazione, applicazione del
diritto, inteso come un insieme organico e frutto di lunga evoluzione storica,
che potevano provenire, nel contesto degli studi dell’epoca, soltanto da area
germanica. È ben noto, e non ha mancato di colpire la storiografia moderna,
come la nostra nazione, che sul piano della codificazione si era fortemente
orientata alla Francia, subito dopo l’unificazione guardasse invece alla Scuo-
la Storica e alle università tedesche per la formazione della propria classe
dirigente e di un ceto di intellettuali giuristi28. Oltre all’attività di traduzione
dei lavori di Savigny e dei suoi contemporanei, operata già nei decenni pre-
cedenti da una generazione di avvocati e pratici colti e avvertiti 29, il recupero
culturale del modello tedesco si inverava attraverso un’intensificazione dei
rapporti fra romanisti nostrani e giuristi-professori tedeschi. Anche in que-
sto caso Serafini fu (per i romanisti) un pioniere. Favorito dalla sua prove-
nienza da Trento (allora Preore), che negli anni a ridosso della sua nascita
apparteneva all’impero austro-ungarico, Serafini vantò legami profondissimi 9
con la cultura austriaca e tedesca: si era formato infatti a Vienna (studi giu- 9
ridici), Innsbruck, Berlino e Heidelberg (oltre che a Siena con Conticini)30;
intrattenne sempre contatti assai intensi con studiosi tedeschi, e soprattutto
con Ludwig Arndts, del quale – si è detto – tradusse anche in italiano (con
Note, appendici e confronti) il Lehrbuch des Pandektenrechts31.
Molti altri giovani studiosi italiani avrebbero svolto, in epoca subito
post-unitaria, periodi di studio presso università tedesche: “lo sguardo at-
tento verso le cose di Germania”32 fu dovuto non solo al rafforzamento dei
collegamenti stradali e ferroviari, ma soprattutto al significativo impulso (at-
traverso borse di studio e di perfezionamento) fornito da un lato dal Mini-

27
Fra i romanisti ‘diretti seguaci’ di Serafini nel progetto di rifondazione romanistica della
scienza giuridica italiana GROSSI 2000, 42, annovera a giusta ragione anche Carlo Fadda, coetaneo di
Scialoja, che avrebbe svolto tuttavia la sua pionieristica attività soprattutto fra Macerata e Genova:
cfr. SOLIMANO 2013, 813 s.
28
SALVI 1990, 234-241; CIANFEROTTI 2001, 32 ss.
29
V. sul punto per tutti NAPOLI 1987; RÜCKERT, DUVE 2014; VANO 2016, 1-16.
30
Cfr. i citt. retro, nt. 18.
31
Cfr. i citt. retro, nt. 18.
32
Sono parole di GROSSI 2000, 41.
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stero dell'Istruzione, e dall'altro da singoli enti (banche, collegi) 33. Vi fu, in-
somma, un massiccio investimento, da parte della neo-costituita Nazione,
sulle giovani menti del Paese (altri tempi, verrebbe da dire!). In un elenco
realizzato qualche anno fa da Arianne Dröscher spiccano (su circa borsisti
provenienti da Facoltà giuridiche italiane) i romanisti Giuseppe Leone
(1876/77, Vienna), Biagio Brugi (1877/78, Berlino), Pietro Cogliolo (feb.
1883), Muzio Pampaloni (1883, Lipsia), Ferdinando Piccinelli (1884/85),
Francesco Brandileone (dic. 1886, Germania), Alfredo Ascoli (1888/89, Lip-
sia e Gottinga), Adolfo F. Rossello (1890) e Carlo Arnò (1894/95, Berlino e
Strasburgo)34. Ad essi devono aggiungersi (non finanziati dal Ministero
dell’Istruzione) almeno Contardo Ferrini (1880/82, Berlino), Silvio Perozzi
(1883/84, Berlino), Giovanni Baviera (1898/90, Berlino, Strasburgo e Pari-
gi) 35.
Il ‘modello tedesco’ per la neocostituenda scienza giuridica italiana rap-
presentava “l’esempio vivente di un diritto romano vegeto e vitale, trasfor-
mato e deformato nel contatto con le nuove esigenze ma pur sempre svilup-
po della comune piattaforma normativa, tecnica, culturale offerta dalle Pan-
dette giustinianee. Un modello, il pandettistico, che non mancava di rivelare
certe inadeguatezze … ma che mostrava – per parecchi versi – lo sforzo e an-
che il tentativo riuscito di una scienza giuridica alla ricerca di schemi ordi- 10
nanti idonei a disciplinare la fitta circolazione economica di una società capi- 10
talistica”36. E non solo la Pandettistica giocava un ruolo nell’apprendistato
universitario dei futuri romanisti italiani. A Berlino era possibile ad esempio,
per chi vi si recasse negli anni Ottanta dell’Ottocento, seguire le lezioni di
storia di Theodor Mommsen. Soprattutto i corsi di Alfred Pernice (1841-

33
Parla di «un vero e proprio pendolarismo di giovani intellettuali dall’Italia verso la Germania,
subito dopo la 'svolta' unitaria» MANTOVANI 2003, 140, con rinvio al lavoro di DRÖSCHER 1992, 545-
569.
34
DRÖSCHER 1992, 555-569.
35
Stando a MANTOVANI 2003, 141, «il viaggio d’istruzione in Germania esercitò sui giovani
giuristi che si affacciavano al mondo della ricerca romanistica un’attrazione anche più intensa di
quanto risulti dal solo osservatorio delle borse ministeriali di perfezionamento. Lo stesso Ferrini, che
stette a Berlino per due anni di seguito (1880-1882), non compare nella lista, poiché godette di soste-
gni finanziari d’altra fonte: una borsa del Collegio Ghislieri di Pavia il primo anno (il che, trattandosi
d’un borromaico, è segno della razionalità del sistema pavese dei collegi) e un assegno della Cassa di
Risparmio il secondo. Indagini più minute consentirebbero di aggiungere altri nomi. Di sicuro, negli
stessi anni in cui vi dimorava Ferrini, erano a Berlino Silvio Perozzi (1857-1931) e Guido Fusinato
(1860-1914)». Perozzi avrebbe in realtà soggiornato a Berlino dalla metà del 1883 alla metà del 1884:
nel suo caso lo studioso era sovvenzionato da una borsa della Cassa di Risparmio per le province
lombarde (BONFANTE 1930a, 286). All’elenco è da aggiungere altresì Giovanni Baviera, che si sareb-
be recato in Germania nel 1898 (cfr. VARVARO 2013, 301 s. e altresì D’ANGELO 2013,199).
36
GROSSI 2000, 41.
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1901)37, che coniugava un’impostazione storico-sistematica e una profonda


conoscenza della filosofia antica all’approccio pandettistico tradizionale, cui
si sarebbero affiancate a partire dal 1883/1884 anche le lezioni di Otto Gra-
denwitz in qualità di ‘Privatdozent’38, erano un punto di riferimento per gio-
vani italiani, e lo sarebbero stati soprattutto per il nostro Contardo Ferrini39.
A Strasburgo (all’epoca in mano tedesca) insegnava Otto Lenel, uno dei pre-
cursori del metodo filologico e della critica interpolazionistica.
Sullo sfondo delineato (sul quale molto di interessante è già stato scrit-
to40, molto resta ancora da ‘scavare’), fortemente influenzato dalla Scuola
storica, ma altresì dall’incipiente applicazione dei nuovi metodi di ricerca fi-
lologica alle fonti giuridiche antiche, come condotta da Rudorff, Lenel, Gra-
denwitz e altri, si sarebbe innestata, si diceva, l’opera innovatrice di Vittorio
Scialoja e Pietro Bonfante.
Scialoja, come ben noto, nato nel 1856, laureatosi a Roma nel 1877, ave-
va ‘bruciato le tappe’, iniziando nel 1879 come straordinario (di Diritto ro-
mano e civile) nella libera Università di Camerino, passando a Siena come
incaricato nel 1880, finalmente in Sapienza nel 188441. Le ‘tappe’ della car-
riera scientifica e politica di Scialoja, dopo la sua chiamata in Sapienza, sono
state illustrate da molti biografi, e – per quanto attiene al suo ruolo nella co-
struzione di una ‘scienza romanistica’ italiana – conservate in dettaglio in un 11
prezioso ricordo di Mario Talamanca risalente al 198842. Il 14 luglio del 11

37
Pernice avrebbe insegnato a Berlino a partire dal 1881, e dal 1884 sarebbe stato ufficialmente
cooptato nella Akademie der Wissenschaften: BEKKER 1901, 18 s. Sulla scia di Lenel si sarebbe oc-
cupato del diritto (privato) romano prevalentemente da una prospettiva giurisprudenziale: il suo La-
beo. Römisches Privatrecht im 1. Jahrhundert der Kaiserzeit, 5 voll. Halle 1873-1900, sarebbe rima-
sto una ‘pietra miliare’ del rinnovamento della scienza romanistica tedesca, col suo tentativo di rea-
lizzare una storia del pensiero dogmatico romano, mescolando concettualizzazioni astratte di impron-
ta pandettistica, dottrine filosofiche e contestualizzazione storica della emersione di istituti e concetti
nell’esperienza giuridica romana. Si rinvia sul punto ancora a MANTOVANI 2003, 151s. che ivi valo-
rizza anche il saggio su “Ulpiano scrittore”: PERNICE 1885.
38
Sul periodo berlinese di Gradenwitz, GRADENWITZ 1929, 44-49; KOSCHAKER 1936, IX-XII;
MARINO, BUONGIORNO 2018, 19-35.
39
A un contatto fra Ferrini e Zachariae von Lingenthal, da tempo ritiratosi a vita privata in Sas-
sonia (Grosskmehlen bei Ortrand), rinvia MANTOVANI 2003, 144 s.
40
V. part. MANTOVANI 2003, 140-147, nonché i contributi raccolti in AVENARIUS, BALDUS,
LAMBERTI, VARVARO 2018.
41
Una ‘storia attuale’ della biografia di Scialoja rappresenta quella delineata, ancora in vita dello
studioso, nel volume Ricordo delle onoranze a Vittorio Scialoja pel suo 25° anno d’insegnamento il
18 dicembre 1904 nella R. Università di Roma, Prato 1905, con le sintesi degli interventi di F. Schup-
fer, V. Simoncelli, P. Bonfante, S. Marsili, F. Buonamici, E. Carusi, V. E. Orlando, e con la replica di
Vittorio Scialoja. Fra i molteplici necrologi, particolarmente significativi ALBERTARIO 1934a;
ARANGIO-RUIZ 1934, 335-355; DE FRANCISCI 1935, 3-13. Una dettagliata biografia di Scialoja da ul-
timo in CHIODI 2013, 1833-1837.
42
TALAMANCA 1988, IX-CXLVII.
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1887 (seduta di approvazione dello statuto), Scialoja dava vita all’Istituto di


diritto romano: ‘Istituto’ che non era l’Istituto di diritto romano e dei diritti
dell’antico Oriente mediterraneo incardinato all’interno dell’Università di
Roma “La Sapienza”, ben noto a ogni romanista di oggi, ma una libera asso-
ciazione privata di cultori degli studi romanistici43. Ad esso si ricollegava,
quasi senza soluzione di continuità, la pubblicazione del primo volume del
Bullettino dell’Istituto di diritto romano. È certo che Scialoja facesse ‘proseli-
tismo’, inviando a numerosi studiosi italiani lo statuto del nuovo ‘Istituto’, e
invitandoli a pubblicare nella neonata rivista44. Il Bullettino rappresentava la
prima rivista completamente dedicata al diritto romano in Italia. L’Archivio
Giuridico diretto da Serafini, all’epoca certo la rivista italiana più avanzata
sul piano scientifico, era pubblicazione scientifica non solo romanistica.
Sin da quella data era dunque evidente la strategia ‘scientifica’ di Scialo-
ja. Un’associazione (su base nazionale) di ‘cultori del diritto romano’, un or-
gano di divulgazione dei risultati della ricerca romanistica (il Bullettino, ap-
punto), un’intensa attività di traduzione (su base scientifica) dell’opera di
Savigny e dei suoi allievi, la pubblicazione di svariati corsi di diritto romano,
fra cui quello fondamentale sui Negozi giuridici, del 1892-93 e quello sulle
Obbligazioni del 190045. Non diversa sarebbe stata la linea seguita, a solo
qualche anno di distanza, per la giuspubblicistica e il diritto amministrativo 12
da Vittorio Emanuele Orlando: nel 1889 con un testo-base costituzionalisti- 12
co, nel 1891 con l’avvio dell’Archivio di diritto pubblico, fra il 1897 e il 1900
con la definizione del primo volume del Primo trattato completo di diritto
amministrativo italiano46.

4. Pietro Bonfante, fra recezione e innovazione. - Veniamo finalmente a


Pietro Bonfante. Quanto all’esperienza scientifica e accademica di Bonfante,
non si rinvengono tracce, nelle notizie biografiche a me note, di un periodo
di formazione tedesco. L’assenza di un soggiorno in Germania sarebbe com-
prensibile, data la rapidità della carriera, fulminea come quella del suo Mae-
stro Scialoja. Nato a Poggio Mirteto nel 1864, laureatosi nell’87, sarebbe sta-
to chiamato subito dopo a tenere un corso romanistico nella libera Universi-
tà di Camerino47. Avrebbe svolto poi il suo magistero a Macerata (1889-

43
TALAMANCA 1988, X.
44
TALAMANCA 1988, XVI-XXIV.
45
BRUTTI [2011] 2013, part. 65-79.
46
Sulla pionieristica attività di Vittorio Emanuele Orlando sono stati scritti fiumi d’inchiostro.
Sia sufficiente in questa sede il rinvio a GROSSI 2000, part. 67 ss. e a CIANFEROTTI 2001, 36 ss.
47
RICCOBONO 1933a, 6 [estr.]; ALBERTARIO 1934b, 3-19; DE FRANCISCI 1934, XXXVII-LIV;
SCIALOJA 1934, 307-309; VOLTERRA 1937, 371-378; CASAVOLA 1959, 305-325; SINI 2003, part. § 2;
CAPOGROSSI COLOGNESI 2013a, 292-295.
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1891), a Messina (1891-1894), a Parma (1895-1901), a Torino (1901-1903),


per trascorrere successivamente un lungo periodo (dal 1904 al 1917) a Pa-
via, succedendo nella cattedra a Contardo Ferrini48: qui in particolare avreb-
be rivelato “le più alte doti di maestro creando intorno a sé una scuola che
costituì, per tutta la vita, la sua passione, il suo orgoglio”49.
A partire dal 1917 e sino alla morte, nel 1932, avrebbe proseguito
l’attività di studioso e maestro presso la Facoltà giuridica di Roma. Nel 1929
sarebbe stato nominato membro dell’Accademia d’Italia, di cui sarebbe stato
vicepresidente per la classe di Scienze morali e storiche. Nonostante
l’inquadramento metodologico della disciplina e l’iniziativa di una ‘concre-
tizzazione’ del rinnovamento della scienza giuridica italiana attraverso
l’Istituto di diritto romano e il Bullettino siano da riconnettere a Vittorio
Scialoja, è in realtà proprio a Bonfante che (richiamo il giudizio di Capogros-
si Colognesi sul punto) “si deve la diretta fioritura di una generazione di
nuovi studiosi maturata grazie alla sua incessante attività didattica e acca-
demica”50. La forza attrattiva di Bonfante, nel solco del suo maestro Scialoja,
ma nel rispetto del “carattere schivo della sua personalità” e della “totale
dedizione alla vita scientifica”51, si inverò da un lato nell’insegnamento, che
vide concentrarsi intorno a lui – come subito vedremo – una vastissima
schiera di allievi, dall’altro in una produzione scientifica “dal carattere quasi 13
titanico”52. Accanto al primo lavoro monografico, il notissimo volume dedi- 13
cato a ‘Res mancipi’ e ‘nec mancipi’ nel quale Bonfante rielaborava la propria
tesi di laurea53, sarebbero apparsi già nel 1888, ad esempio, nel volgere di
qualche mese dalla laurea, la traduzione e il commento al tit. III del 6° volu-
me del Commentario alle Pandette di Glück54. A qualche anno di distanza
avrebbero poi visto la luce le Istituzioni di diritto romano (1896), il Diritto
romano (1900) e la prima edizione della Storia del diritto romano (1903)55.
Frattanto Pietro Bonfante avrebbe dato alle stampe in svariate riviste e col-

48
Dettagli sul magistero di Bonfante a Pavia sono ora rinvenibili in BATTAGLIA, BETTINAZZI,
BONO, PELLECCHI 2017, part. 1205-1207; MANTOVANI 2013, 1245.
49
Sono parole di RICCOBONO 1933a, 6 [estr.].
50
CAPOGROSSI COLOGNESI 2013a, 292.4;
51
Sono sempre parole di CAPOGROSSI COLOGNESI 2013a, 292.
52
Sono parole di L. CAPOGROSSI COLOGNESI [1988] 1997, 254. V. anche sul punto SINI 2003, §
3.
53
BONFANTE [1888-1889] 1918, 1-326.
54
ASCOLI, BONFANTE, SEGRÈ 1888. “Le ampie note di commento scritte da Bonfante all’actio
Publiciana assumono da sole il peso e il valore scientifico di una piccola monografia”: CAPOGROSSI
COLOGNESI [1988] 1997, 256.
55
BONFANTE 1896; BONFANTE 1900; BONFANTE 1903. La riedizione completa delle opere di
Bonfante, a cura del figlio Giuliano e di Giuliano Crifò, è apparsa per i tipi dell’editore Giuffrè, Mi-
lano, nell’arco di più decenni.
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lettanee innumerevoli scritti, successivamente raccolti in quattro volumi


(1916-1925)56. Il ricchissimo Corso di diritto romano avrebbe visto la luce,
poi, fra il 1925 e il 193057. Nonostante la verosimile assenza di un periodo di
studi in Germania nella sua biografia, Bonfante conosceva profondamente la
lingua e la letteratura giuridica tedesca, come rivelano le diverse imprese di
traduzione di cui fu iniziatore e/o autore - al di là della prima del 1888 -, fra
le quali il completamento delle note dell’edizione italiana delle Pandette di
Windscheid58 e la traduzione (assieme a Carlo Longo) della monumentale
Giurisprudenza etnologica di Hermann Post59.
Fra i romanisti di maggiore spicco della generazione di Pietro Bonfante,
basti menzionare Silvio Perozzi (1857-1931)60, che fu anche collega di Bon-
fante nel periodo parmense61, Salvatore Riccobono (1864-1958)62, che fu fra
gli allievi romani di Scialoja tra il 1894 e il 1895 (dopo un lungo periodo di
formazione in Germania)63, Gino Segrè (1864-1942), nel 1890 presso Scialo-
ja, prima di proseguire il suo magistero in varie Università d’Italia64; Carlo
Longo (1869-1938), laureatosi nel 1893 con Scialoja e dal 1893 a Pavia, do-
ve sarebbe rimasto sino al 1925, avendo Pietro Bonfante dal 1904 al 1917
come collega65. Personaggi di primo piano, attivi nell’insegnamento, con fre-
quenti cambiamenti di sede e cattedra (come all’epoca del tutto usuale), nel-
la produzione di manuali e corsi, nell’attività di traduzione dal tedesco e dal 14
14

56
BONFANTE 1916, BONFANTE 1918, BONFANTE 1921b, BONFANTE 1925a.
57
BONFANTE 1925b; BONFANTE 1928; BONFANTE 1930b; BONFANTE 1933.
58
Sul lavoro di prosecuzione della traduzione delle note del Windscheid (portata avanti, come
notissimo, da Carlo Fadda e Paolo Emilio Bensa) ad opera di Pietro Bonfante e Fulvio Maroi, v. part.
FURFARO 2016, 214-215.
59
POST 1906-1908: sull’attività di traduttore di Bonfante v. anche SINI 2003, § 3.
60
BONFANTE 1930a, 285-294; RICCOBONO 1933b; GUALANDI 1988, part. 77-92.
61
Perozzi insegnò a Parma undici anni, fra il 1891 e il 1902. Sui rapporti fra lui e Pietro Bonfan-
te, giuntovi nel 1894, cfr. V. ARANGIO-RUIZ 1948, VIII s.: «… non sì che non gli fosse stata, al con-
tempo, di grande incitamento al lavoro e quasi di ponte per passare a cimentarsi in questioni storiche
e dogmatiche agitate la lunga convivenza a Parma con Pietro Bonfante e la concordia discors che ne
era seguita. Per tutto il tempo successivo si rinnovarono quasi periodicamente i contrasti: sulla fun-
zione primitiva dell’eredità, sul condominio, sul silenzio nella conclusione dei contratti, su tanti e tan-
ti temi che nella discussione affioravano, sembrava che l’uno non potesse esprimersi senza suscitare
la decisa opposizione dell’altro … Ma poi si vedeva che era stato soltanto il calore della discussione a
trarre dalle penne veloci le parole del cocente rammarico e della sdegnosa valutazione, e alla prossi-
ma occasione favorevole i due compagni di lavoro si ritrovavano l’uno accanto all’altro, uniti non so-
lo dall’indomito amore della scienza ma anche dal profondo rispetto che ciascuno aveva della perso-
nalità del contraddittore».
62
BAVIERA 1936, XXI-CVIII; GUARINO 1993, 43-49; RANDAZZO 2002, 123-144; CASCIONE
2009, 3-51; VARVARO 2010-2011, 301-315; VARVARO 2013, 1685-1688.
63
Cfr. i citt. retro, nt. precedente.
64
GROSSO 1942, 69-70; GROSSO 1972, 1-2; NICOSIA 2013, 1846-1848.
65
SCHERILLO 1938, 588-594; CURSI 2005, 705-707; NEGRI 2013, 1196-1197.
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francese. Fra gli allievi diretti di Scialoja, basti menzionare Siro Solazzi
(1875-1957)66, che con Pietro Bonfante fu, sin dagli anni subito successivi
alla laurea, in strettisssimi rapporti scientifici, tanto da succedergli, nel
1917, sulla cattedra di Pavia, e da vedersi dedicato, quale “felice indagatore
dei rapporti familiari”, da Bonfante il I volume del suo Corso di diritto roma-
no67. Fra quelli ‘direttamente discendenti’ da Pietro Bonfante è d’obbligo il
riferimento a Pietro De Francisci (1883-1971)68: dapprima allievo di Ferrini,
si sarebbe laureato a Pavia con Bonfante nel 1905 con una tesi sulla ‘fidu-
cia’69. Notissima la sua produzione scientifica, di impressionante vastità70,
così come l’ascesa e il declino politico dello studioso (che fu fra l’altro Mini-
stro di Grazia e Giustizia fra il 20 luglio del 1932 e il 24 gennaio del 1935) in
concomitanza con le sorti del fascismo71. Grande influsso ebbero nella sua
opera l’organicismo e il naturalismo bonfantiano, con una forte diffidenza
verso un’evoluzione concepita come “un movimento lento e graduale”72. Al-
tro allievo talentuosissimo e prematuramente scomparso sarebbe stato,
sempre a Pavia, Giovanni Rotondi (1885-1918)73, laureatosi nel 1907 con
una tesi dedicata al Deposito in diritto romano, esperto di lingue moderne e
antiche (quali oltre a latino e greco l’ebraico, il siriaco, l’armeno e l’arabo
classico), e sino ad oggi ancora, con i suoi lavori, indispensabile punto di ri-
ferimento per chi si occupi di leges comitiales74. Il nome di Emilio Albertario 15
(1885-1948)75, altro punto di riferimento della romanistica della prima me- 15
tà del Novecento, compare a pieno diritto fra gli allievi di Bonfante di mag-
gior levatura: laureatosi a Pavia con Bonfante nel 1907, e in una prima fase
attratto dall’avvocatura, sarebbe stato guadagnato dal suo maestro al diritto
romano e convinto a un approfondimento della propria formazione in Ger-

66
LAURIA 1957, 305-308; BRASIELLO 1957, 570-572; ARANGIO-RUIZ 1957, 3-11; DE MARTINO
1958, 147-149; G. MELILLO 2014, 1886-1889; un recente restatement è in GIUFFRÈ [2013] 2014, 97-
113.
67
BONFANTE 1925b, V.
68
ALBERTARIO [1932] 1953, 489-497; SERRAO 1959, 381-389; MAZZARINO 1970, 1-18; CAN-
CELLI 1970, 359-370; MANTELLO 2009, 37-80; LANZA 2013, 674-678.
69
Poi rifluita parzialmente nel lavoro DE FRANCISCI 1906, 346-411.
70
Si rinvia alla panoramica fornita da LANZA 2013, 675-678.
71
Parziale descrizione delle vicende politiche di de Francisci è in MANTELLO 2009, 37-80.
72
V. LANZA 2013, 675.
73
BONFANTE 1921a, V-XI; BONFANTE 1922, IX-XII; TALAMANCA 1988, CIX; MAROTTA 2013,
1745-1747.
74
Il suo volume ROTONDI 1912, assieme alle postille all’opera, edite in ROTONDI 1922, 411-432,
è a tutt’oggi punto di riferimento indispensabile per chi si occupi della materia, e non è stato reso su-
perato dalla sia pur pregevole opera di CRAWFORD 1996.
75
LARRAONA 1947-1948, 1-2; DE FRANCISCI 1948, 402-410; KASER 1950, 628–631; VOLTERRA
1960, 671; NEGRI 2013, 23-24.
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mania, presso Ludwig Mitteis e Otto Lenel76. Fra i campioni del ‘metodo in-
terpolazionistico’ in Italia, la sua opera dovrebbe essere oggetto (a mio mo-
do di vedere) di una più ampia riconsiderazione e rivalutazione77. Allievo
condiviso fra Scialoja e Bonfante sarebbe stato poi il più giovane ed enor-
memente dotato Edoardo Volterra (1904-1984), laureatosi nel 1926 con
Pietro Bonfante, ma indubbiamente sotto “la diretta e forte influenza di Scia-
loja”78. L’elenco è ancora lungo, e comprende fra l’altro studiosi del calibro
di Pietro Ciapessoni (1881-1943), Guglielmo Castelli (1891-1919), Umberto
Ratti (1905-1932).
Quanto all’attività di ‘maestro’ di Pietro Bonfante piace infine ricordare il
giudizio, formulato a poca distanza dalla sua morte, dall’allievo Emilio Alber-
tario: “Egli educò intorno a sé un largo numero di discepoli conquistati dalla
esuberante signorilità della sua dottrina, dal fascino del suo pensiero e dalla
sua bontà. Molti gliene portò via, in giovanissima età, la morte … ma il semi-
natore continuò a gettare il suo buon seme senza tregua … Perché la sua
missione era quella di donare agli altri, ininterrottamente, tanto di sé”79.
Un’attività coniugata con la sua tempra particolare di studioso: ché “anche
come scrittore Bonfante mirava a stabilire i termini vivi della lezione e del
colloquio e a raggiungere il medesimo scopo: il movimento, il contrasto, la
fertile sollecitazione delle idee. Non amava rendere semplici le cose che non 16
lo fossero, esigendo dal lettore e dall’interlocutore il fruttuoso indugio della 16
meditazione o l’impegno della replica e della personale ulteriore elaborazio-
ne”80.
Non è possibile, in questa sede, se non un cenno assolutamente somma-
rio (e per forza di cose riduttivo) a metodi e percorsi: essi vennero infatti de-
finendosi nel lavoro di Scialoja, e nel suo costante confronto con Savigny, e
parallelamente in quello di Bonfante e nella sua opera di rielaborazione di
fortunatissime teorie d’oltralpe in particolare d’ambiente anglosassone o di
provenienza jheringhiana.
In estrema sintesi, lo sfondo concettuale su cui si muoveva Scialoja era
quello definito da Savigny: il ‘diritto attuale’ si poneva in continuità storica
con quello antico; non era possibile comprenderlo e applicarlo senza una
conoscenza profonda del diritto romano; al tempo stesso, essendo un pro-
dotto storico, esso era legato al divenire storico della società stessa, renden-
do necessaria la presenza del giurista per orientarne correttamente la pro-

76
V. part. KASER 1950, 628; NEGRI 2013, 23.
77
Si v. sul punto anche NEGRI 2013, 23 s.
78
Per tutti TALAMANCA 1985, IX-LXXIX; CAPOGROSSI COLOGNESI 2013b, 2067-2069.
79
ALBERTARIO 1934b, 17.
80
CASAVOLA 1959, 308.
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duzione e l’applicazione. A ciò si saldava la necessità del ‘sistema’, che rap-


presentava la vera novità della Scuola storica: il diritto, come ‘organismo’, si
sarebbe fondato su un impianto strutturalmente definito (fatto di ‘concetti’ o
– come successivamente saranno definiti – di ‘dogmi’), in buona parte pro-
venienti dall’esperienza giuridica antica81.
Sarebbe toccato alla scientia iuris, agli studiosi di diritto, cogliere
l’organicità dei rapporti giuridici e rinvenire la coesione del sistema, vale a
dire rapportare le nuove esigenze che emergessero nella società al sistema
così ‘ricostruito’ e definito. Scialoja recuperava questi (e altri) motivi, divul-
gandoli presso i propri allievi attraverso l’attività del Bullettino, i corsi di le-
zione, e la traduzione italiana del System. Nella visuale di Scialoja, la Scuola
storica aveva avuto il grande merito di far sì che “i giuristi più insigni rivol-
gessero la loro attenzione al diritto passato e soprattutto al diritto romano”
e di “ricondurre il diritto privato e il diritto civile ai principi del diritto ro-
mano”. Era dunque necessario “studiare il diritto passato cercando di trarne
tutti i frutti, anche pratici, che esso può produrre”82. Ciò avveniva però ora-
mai in una temperie, quella dell’Italia postunitaria, già dotata di un codice, e
di un codice proveniente in parte da una diversa tradizione nazionale. For-
mare la nuova scienza giuridica italiana (oltre che e in particolare la romani-
stica) comportava sfide diverse, e la necessità di un solido bagaglio concet- 17
tuale e storico per puntellare lo studio del diritto sulla tradizione del diritto 17
romano. In più provenivano da ambiente anglosassone e germanico nuovi
stimoli e nuove metodologie e ‘tecniche’ per approssimarsi allo studio stori-
co del diritto. Nella recezione e mediazione di correnti e tendenze dall’estero
avrebbe giocato un ruolo incomparabile appunto Pietro Bonfante83.
La concezione del diritto come ‘organismo’, già emersa in modo rudi-
mentale in Savigny, avrebbe condotto, nella rielaborazione fornita da Pietro
Bonfante, a valorizzare i profili evolutivi dell’organismo in esame, con rife-
rimento specifico a quello che iniziava a profilarsi come ‘oggetto di ricerca’
autonomo, vale a dire il diritto romano dalle origini fino agli sviluppi giusti-
nianei. L’evoluzionismo che si andava affermando all’epoca presso le ‘scien-
ze dure’ si avviava a influenzare anche gli studi umanistici rivolti alle società
arcaiche (favorito dal rapido accumularsi di scoperte archeologiche, epigra-
fiche, numismatiche, linguistiche e così via elencando): da un lato esso con-
sentiva di pensare che si potesse pervenire a una conoscenza ‘scientifica’
81
BRUTTI [2011] 2013, 16: “L’idea di sistema è … una specie di modello sovrastorico, riferibile
a tempi e vicende diverse, con adattamenti e sviluppi, ma con una fissità delle figure fondamentali,
simile a quella propria delle categorie giusnaturalistiche. Il radicamento nella vita del popolo, in quel-
lo che Savigny chiama ‘elemento politico del diritto’, dà una base non artificiale alle categorie”.
82
SCIALOJA 1911, 943-945.
83
SCHIAVONE 1990, 287 s.
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delle stesse origini della società civile84; dall’altro rendeva pensabile una ri-
costruzione à rebours, andando dal noto all’ignoto, col valorizzare «il concet-
to delle sopravvivenze, dei residui anomali singolari, caduchi di epoche ol-
trepassate»85.
Per quanto attiene al lavoro bonfantiano, esso non si esaurì certo nella
recezione e nella rielaborazione di metodi sviluppatisi nel campo delle
scienze naturali, a partire da Vico, attraverso Spencer, Lamarck e Darwin 86.
Bonfante avrebbe divulgato in Italia (per opporsi polemicamente all’uno o
all’altro singolo aspetto delle loro teorie, ma sostanzialmente favorendone la
recezione) le innovative teorie, fra altri, di antropologi del calibro di Henry
Sumner Maine87 e Lewis Henry Morgan88, del Rudolf von Jhering del Geist
des römischen Rechts89, del Fustel de Coulanges de La cité antique.
A ciò si sarebbe aggiunta l’innovativa ‘teoria politica’ della famiglia, a cui
Bonfante ha indissolubilmente legato il suo nome. Secondo Bonfante90 la fa-
miglia, sin dai suoi esordi in seno all’ordinamento romano, avrebbe integra-
to una struttura di carattere sovrano, caratterizzata da una rigida disciplina
nei riguardi dei sottoposti al capofamiglia e da un elevato livello di difesa
verso analoghe formazioni: un ‘organismo’ la cui forte, originaria, connota-
zione politica valeva altresì a chiarire la primordiale intensità dei poteri del
pater familias romano e la sopravvivenza di alcuni di essi ancora in avanzata 18
età repubblicana e classica91. 18
Quanto alle altre ‘correnti’ che, provenienti d’oltralpe, andavano pren-
dendo piede in Italia anche grazie al ‘viaggio in Germania’ di numerosi gio-
vani romanisti, Bonfante – sia pur prudente nell’approccio – vi avrebbe fatto
ricorso (divulgandone e propagandone altresì l’utilizzo) da par suo. Per quel
che attiene ad esempio al metodo esegetico-critico, benché egli avesse di re-
gola «maneggiato lo strumento dell’interpolazionismo … in funzione del di-
84
CAPOGROSSI COLOGNESI 2013, 293.
85
BONFANTE [1917] 1925, 60.
86
Basti in questa sede il rinvio a BONFANTE [1917] 1925, 46 ss. e al saggio di Francesco Arca-
ria, Il ‘metodo naturalistico’ di Pietro Bonfante, in questo volume.
87
MAINE 1861.
88
MORGAN 1877.
89
Del quale – è noto – vi furono molteplici edizioni (con ripensamenti e riscritture a cura dello
stesso Jhering) a partire dal primo volume della prima edizione, JHERING 1852.
90
Spunti di tale visuale sarebbero in realtà già in Scialoja (benché non esplorati in tutte le possi-
bili sfaccettature): Brutti [2011] 2013, 60 ss.
91
Bonfante stesso ha tracciato lo status quaestionis delle proprie teorie e della recezione delle
stesse in BONFANTE 1925b, part. 7-245. Il dibattito storiografico in materia non è forse ancora com-
pletamente esaurito. Panoramica delle tesi bonfantiane (in chiave fortemente critica) in VOCI [1953]
1985, 147-195; si v. altresì il bilancio tracciato da GALLO 1982, 29-51 e CAPOGROSSI COLOGNESI
1982, 53-76. Si cfr. ulteriormente Capogrossi Colognesi [1988] 1997, 253-302. Si consenta altresì il
rinvio, sul punto, a LAMBERTI 2018, 215-238.
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segno sostanziale che si veniva formando nella lettura delle fonti, mai guida-
to dall’occasionalità del criterio formale»92, non per questo avrebbe rinun-
ciato a ‘denunciare’ interpolazioni, là dove esse manifestassero un palese
anacronismo fra la condizione del diritto classico e le affermazioni ‘attribui-
te’ a un giurista del principato93.
Al sistema e alla storia si aggiungevano insomma, nell’insegnamento e
nell’attività di ricerca e di traduzione di Bonfante, peculiari letture evoluzio-
nistiche e altresì una intelligente attenzione all’esegesi critica delle fonti94.
Può dirsi, in ultima analisi, che, a partire dalla fine dell’Ottocento, e in
concomitanza con l’intensificarsi dell’impegno politico di Scialoja (soprattut-
to dal 1894)95, Bonfante sarebbe divenuto uno dei principali teorici del nuo-
vo inquadramento del diritto romano all’interno delle scienze storiche ita-
liane ed europee, e il punto di riferimento – come abbiamo visto - di una va-
sta schiera di allievi. Al di là delle affermazioni di intonazione (anche forte-
mente) campanilistica che si rinvengono in alcuni suoi scritti96, per quanto

92
TALAMANCA 1995, 175.
93
Basti per tutti un esempio tratto da BONFANTE 1925b 39 (e nt. 3). A proposito del principio
adoptio naturam imitatur, e di D. 1.7.16 (Iavol. 6 ex Cass.: Adoptio enim in his personis locum habet,
in quibus etiam natura potest habere), lo studioso, reputando il frammento “barocco nella forma … 19
19
assolutamente errato nella sostanza per l’epoca di Giavoleno”, svolgeva, nelle note relative al testo,
un’intensa riflessione sulle differenze fra struttura agnatizia arcaica e ancora repubblicana, e la “pre-
valente importanza data nel periodo romano-ellenico ai rapporti di sangue”.
94
ALBERTARIO 1934b, 13, avrebbe scritto: “Problemi secolari, che aduggiavano anche le miglio-
ri creazioni della Pandettistica tedesca, furono da Lui risoluti, perché sapeva pur essere, quando oc-
correva, signore dell’esegesi. L’esegeta non forza mai i testi, a far dire quel che non dicono, anzi, dif-
fida perfino dello strumento che adopera”.
95
Scialoja sarebbe stato membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione fra il 3 mag-
gio 1894 e il 29 maggio 1898 e di nuovo fra il 25 giugno 1899 e l’11 giugno 1903. L’attività politica
di Scialoja “è cominciata nel 1890 e lo porterà nel 1904 all’ingresso nel Senato, con vari impegni isti-
tuzionali, tra cui quello nel Consiglio Superiore dell’Istruzione Pubblica. Sono perciò più stretti gli
spazi per il lavoro scientifico, che tende a riversarsi tutto nell’attività didattica” (BRUTTI [2011] 2013,
12 nt. 9).
96
Basti pensare solo alle affermazioni contenute (siamo agli albori della Grande Guerra) in un
lavoro pure volto a perorare l’apertura delle Università italiane alla frequenza da parte di studenti
stranieri: BONFANTE [1915] 1925, 372: “So per esperienza (potrei citare un ottimo cultore del diritto
romano, il Berger, e parecchi altri giovani tedeschi) che alcuni studenti stranieri sono rimasti sorpresi
e ammirati dall’elevatezza del carattere scientifico e insieme non scevro di spirito pratico che hanno i
corsi universitari in Italia: pur troppo non solo il nostro insegnamento ma anche il nostro movimento
scientifico più originale non è veramente noto all’estero, dove ci si reputa una colonia tedesca! Nella
stessa Germania non hanno nome, dei nostri studiosi, se non coloro che desiderano di averlo, cioè i
buoni coloni, e nella misura in cui desiderano di averlo; gli altri, i più originali, ma i più sdegnosi, o
sono completamente ignoti, o sono talvolta citati in tal forma che meglio varrebbe essere ignoti.
L’affluenza di giovani stranieri nelle nostre aule e nei nostri seminari, vale a dire, di un elemento fre-
sco, vivace, non nutrito di preconcetti, capace di ricevere impressioni e di esser maneggiato dalla no-
stra mentalità, come pur troppo sono maneggiati i giovani che noi mandiamo in Germania e tornano
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sia riferibile alla sua attività di studioso e di maestro Bonfante sarebbe stato
uno dei principali responsabili (assieme a Scialoja) della apertura interna-
zionale della romanistica italiana, attraverso la recezione e divulgazione,
nell’ambito dei nostri saperi, di tradizioni di pensiero, metodi, impostazioni,
approcci nuovi alla ricerca storico-giuridica, provenienti da Germania, Fran-
cia, Inghilterra, e svariate altre nazioni europee ed extraeuropee. Ne è esem-
pio, anche per quel che attiene alle sue visuali politiche, la convinzione, da
lui espressa nel primo Novecento, della necessità del costituirsi degli “Stati
Uniti d’Europa”, assai ben illustrata in un contributo recente da Valerio Ma-
rotta97. Quella ‘apertura’ intellettuale e scientifica, che poteva fargli afferma-
re, in uno scritto di natura giuridico-politica del 1915:

“Noi parliamo di antitesi inconciliabile tra la civiltà latina e la civiltà


germanica colla stessa ragione con cui nell’antica Ellade si sarebbe potuto
discorrere di antitesi inconciliabile tra civiltà dorica e ionica. Non esiste in
Europa che una sola civiltà, cresciuta su basi classiche e omogenea nelle
grandi linee del suo svolgimento ulteriore in tutti i popoli d’Europa, e se la
sfera di azione di questa civiltà non si vuol ridurre a una mera zona archeo-
logica, se i popoli d’Europa non vogliono intisichire in questa piccola aiuola
di fronte agli imperi futuri del Canada, dell’Australia, del Sud-Africa, degli 20
Stati Uniti, noi dobbiamo di tutta l’Europa libera costituire un grande Stato 20
libero. Il carattere dell’Università è nazionale, ma non si deve indulgere a
questo carattere oltre i limiti della necessità, e se una parola verso un ideale
più alto non universale, ma europeo, è possibile farla risuonare, è bene che
essa risuoni nelle sfere della cultura superiore”98.

E sarebbe stato proprio nelle ‘sfere della cultura superiore’ che Bonfante,
assieme ad altri grandi del proprio tempo, avrebbe fatto risuonare quegli in-
flussi della letteratura (non solo giuridica) europea della quale era profondo
conoscitore e sapientissimo divulgatore. La connotazione ancor oggi inter-
nazionale della nostra disciplina risente, certo, di un forte debito verso la
Germania dell’Ottocento, ma ancor più verso Maestri che, come Pietro Bon-
fante, con la loro opera sapiente e certosina, avrebbero contribuito al forte
afflato internazionale degli studi romanistici sin dalla fase della costruzione
di una ‘scienza giuridica’ italiana del diritto romano.

con un pensiero scientifico italo-tedesco, questa ci manca”. Sul preteso (e infondato) nazionalismo di
Pietro Bonfante basti il rinvio al (definitivo) contributo di MAROTTA 2015, 279-281.
97
MAROTTA 2015, 278-284.
98
Bonfante [1915] 1925, 378.
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21
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