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Barbonismo domestico: l’emarginazione


invisibile

 Giugno 9, 2019Fabio MeloniBarbonismo


A volte le parole tecniche, utilizzate per definire in modo clinico alcuni problemi,
finiscono per fare sembrare alcuni drammi quotidiani come cose lontane e difficili
da capire.
Questo può accadere con il cosiddetto “barbonismo domestico”: una parola che
non sembra dire molto ai più, ma che invece definisce un problema sempre più
comune dei nostri tempi e molto vicino a ognuno di noi.
Anzi, spesso viviamo proprio fianco a fianco con casi di barbonismo domestico
senza saperlo.
 

Barbonismo domestico: di cosa si tratta?


Il barbonismo domestico è una forma di isolamento sociale che rende alcune
persone “invisibili” pur se vivono in condizioni di disagio materiale, fisico e psichico.
Come i clochard “di strada” che sono considerati invisibili e ai margini della società,
i barboni domestici sono resi ancora più invisibili dall’avere una casa in cui vivere,
che nasconde ancora più efficacemente la loro esistenza al mondo.
 

Quali sono le cause


Il barbonismo domestico ha diverse cause: come la maggioranza dei senzatetto,
che vive in strada perché si trova in condizioni di povertà estrema o perché affetta
da sindromi psichiatriche, anche il barbonismo domestico ha cause analoghe. I casi
di barbonismo volontario sono, in realtà, piuttosto rari.
Stabilire quanto può essere “volontario” l’isolamento sociale di una persona è
difficile: alcuni disturbi sono talmente gravi da rendere molto difficile la valutazione.
Una delle cause del barbonismo domestico è la cosiddetta sindrome di Diogene. A
differenza del filosofo greco Diogene, che aveva scelto una vita povera dopo una
acuta riflessione filosofica, i moderni Diogene si recludono nelle mura domestiche
per una totale disattenzione alle proprie necessità basilari, come la salute o l’igiene.
Un’altra patologia che colpisce spesso gli isolati in casa è la disposofobia o disturbo
da accumulo: le persone vivono in casa circondati da oggetti di cui non riescono a
disfarsi, accumulandone sempre di più. A volte, invece che oggetti, possono essere
anche animali domestici (tipico il caso di alcune “gattare”), rendendo ancora più
precarie le proprie condizioni igieniche e di salute.

Cosa si fa in questi casi?


Non sono inusuali nelle cronache casi in cui le autorità devono intervenire dopo le
lamentele e denunce dei vicini che si trovano a vivere fianco a fianco con persone
che vivono in case-discariche, con notevoli problemi igienici ma anche di sicurezza
(i cumuli di oggetti associati alla totale noncuranza per la manutenzione possono
causare problemi seri come incendi ad esempio).
Nei casi in cui il barbonismo domestico è causato o aggravato da una sindrome
psichica, la persona afflitta non è pienamente consapevole della sua situazione e
va aiutata piuttosto che ostracizzata.

Isolare ancora di più le persone non è certo una scelta saggia.


Se ci si accorge che un vicino, anche se si tratta di un estraneo, mostra segni di
isolamento che possono sfociare in casi di barbonismo domestico, ci si può
rivolgere sia ai servizi sociali sia ad enti di volontariato come la Caritas. Diverso il
caso in cui si tratta di un parente o amico: allora bisogna usare la propria vicinanza
per avviare un percorso di riabilitazione psicologica il prima possibile.
https://www.treccani.it/vocabolario/barbonismo-domestico_res-bae5ed93-8c16-11e8-a7cb-
00271042e8d9_%28Neologismi%29/

barbonismo domestico
Neologismi (2018)

barbonismo domestico loc. s.le m. Forma di esclusione e isolamento


sociale che caratterizza l’esistenza di chi vive da barbone dentro la
propria abitazione. ♦ Già, perché i "nuovi poveri", così li chiamano i
volontari, sono persone assolutamente normali: sono madri e padri di
famiglia, ragazzi che sono andati via di casa, anziani abbandonati dai
propri figli, ragazze sole in attesa di un bambino. Persone che s'
incontrano tutti i giorni per strada. C'è anche qualche extracomunitario,
ma ormai sono in minoranza. «Tra di loro - racconta F., il volontario-
capo della struttura - c' è anche chi ha un lavoro ma, a fine mese, è
costretto a dare tutto lo stipendio alle finanziarie con le quali si è
indebitato. C'è chi invece il lavoro non ce l'ha e chi, ancora, è stato
salvato dal barbonismo domestico. (Daniele Semeraro, Repubblica, 23
settembre 2006, Bari, p. 5) • Trascorrono le giornate sepolti tra scarti e
rifiuti. Si vestono di stracci, non si lavano per mesi spesso anche per
anni. Dormono in mezzo ai topi e agli escrementi animali. Senza mezzi
termini: barboni. Ma è sbagliato definirli senza dimora perché loro un
tetto ce l’hanno. Hanno una casa, qualcuno abita in appartamenti
prestigiosi o in villette con giardino. Luoghi potenzialmente accoglienti,
oggi trasformati in baracche, sudicie e sporche almeno quanto la strada.
È qui che gli accumulatori consumano la propria ossessione: conservano
spazzatura, oggetti e animali, conducendo tra quattro mura una vita da
clochard. Non se ne parla molto ma il barbonismo domestico è più
diffuso di quanto si pensi, soprattutto nella nostra città: Cotrad, una delle
cooperative sociali che si occupa del fenomeno, ha contato su Roma 67
casi in meno di un anno, 40 segnalati, 27 già agganciati. (Flavia
Scicchitano, Corriere della sera.it, 2 marzo 2015, Roma) • I casi di
anziani, non necessariamente poveri, morti in solitudine (e di solitudine)
sono in continua crescita in Italia e sono riconducibili al fenomeno
indicato dagli operatori sociali col nome di “barbonismo domestico”,
concentrato nei centri delle città e spinto dai mutamenti sociali e degli
stili di vita. Vi sono coinvolti – a quanto risulta da alcuni studi condotti a
Roma – individui per lo più anziani, soli, (più donne che uomini),
bersagliati dalla vita, prigionieri della depressione, senza legami
parentali forti, talora con disagi mentali e isolati dal contesto sociale che
li circonda. (Elena della Bronda, Nuova Sardegna.it, 2 ottobre 2016,
Sassari) • "Finalmente siamo riusciti a mettere insieme tutti i soggetti
coinvolti in questa delicata operazione - afferma l'assessore all'Ambiente
Pinuccia Montanari -. Sono circa 15 anni che i residenti denunciano
questo caso di barbonismo domestico. Siamo intervenuti con la massima
attenzione e ringrazio gli operatori che hanno permesso di scoprire e
mettere in sicurezza la casa: Polizia locale, Servizi veterinari della Asl
RM2, Dipartimento Ambiente, Guardie Zoofile e Ama". (Ansa.it, 12
dicembre 2017, Lazio) • Partiamo da cosa sta dietro a quella definizione
data di “barbonismo domestico”. Una riflessione più approfondita sul
“mondo vissuto” che emerge accostando questi due termini, almeno da
quello che appare dai primi mesi di lavoro, è di un “mondo vissuto” alla
stregua della mostruosità di una istituzione totale. I cancelli, le chiavi, le
porte chiuse, letti spesso vissuti come spazi di contenzione, finestre
sbarrate. Ma quello che angoscia più di ogni altra cosa è l’assenza: non
c’è nessuno, un isolamento totale. Le persone che abitano questi spazi è
come se fossero, ognuna di loro, un internato, invisibile al mondo. Nella
casa una quantità enorme di cose, di oggetti, di rifiuti, come se ognuna
di queste cose potesse parlare, affrontare un dialogo, riempire una
solitudine. Accumulare, conservare, tenere accanto a sé. (Massimo
Pasqua, Caritas Roma.it, 11 maggio 2018, Editoriali).
Composto dal s. m. barbonismo e dall’agg. domestico.
https://www.interris.it/la-voce-degli-ultimi/sociale/barbonismo-domestico-un-dramma-dei-nostri-giorni/

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Home  LA VOCE DEGLI ULTIMI  Sociale  Barbonismo domestico, un dramma dei nostri giorni

Barbonismo domestico, un
dramma dei nostri giorni
 Damiano Mattana

ULTIMO AGGIORNAMENTO 0:01Aprile 23, 2019


Ormai nel pieno dell'era della globalizzazione, avere a che fare con contesti di
povertà urbana risulta quasi una consuetudine alla quale non sempre si presta
la giusta attenzione, laddove il termine “povertà” non sempre si intende nella
sua declinazione economica. Condizioni di estremo disagio che, molto spesso,
vanno a coinvolgere persone della porta accanto, altre che, nella routine
quotidiana, capita di incontrare in modo ricorrente, pur senza conoscerle. E non
sempre si tratta di difficoltà visibili: molte volte il disagio cresce nell'intimità
della sfera abitudinaria, lasciando trasparire poco o nulla a chi vive il nostro
stesso di quotidianità. Per questo, parlando di disturbi come la cosiddetta
Sindrome di Diogene, meglio nota come barbonismo domestico (anche se i due
termini non sono sempre sovrapponibili), vige ancora una certa sorpresa
nell'apprendere come condizioni di forte alienazione sociale, ben radicate in una
società di massa, possano in realtà manifestarsi in modo anche piuttosto
crescente, mostrando effetti letteralmente spiazzanti.

La segregazione del sé
Nelle scorse settimane, un servizio della trasmissione “Le Iene” ha portato alla
luce un emblematico caso in cui la sindrome si è manifestata nei suoi effetti più
devastanti, quello di una giovane donna che, da anni, viveva in pessime
condizioni igieniche dovute all'accumulo a livelli seriali di spazzatura all'interno
del suo piccolo appartamento, privo di energia elettrica e disseminato da
escrementi del proprio cane. La segnalazione, come avviene peraltro nella
maggior parte dei casi, era arrivata dai vicini, insospettiti dai lamenti
dell'animale e dalle finestre sempre chiuse. In questo caso, come emerso nel
corso del servizio dal racconto della stessa giovane, le cause della
problematica sono da ricercare in forti stress emotivi dovuti a episodi della
propria vita personale particolarmente duri. In altri casi, invece, l'esasperazione
del disturbo psichico risulta dovuta a una difficoltà socio-relazionale che
impedisce la corretta integrazione sociale, lasciando spazio a una sorta di
alienazione dai contesti esterni che, di fatto, si traduce nella segregazione di se
stessi all'interno delle proprie mura domestiche, spesso accompagnata da
ulteriori disturbi quale disposofobia, ovvero la tendenza ad accumulare oggetti
in modo compulsivo nel proprio ambiente di vita, fino a un punto di totale
esasperazione.

I dati
Un fenomeno più diffuso di quanto si possa immaginare, con dati
significativi dovuti a una presa di coscienza in realtà piuttosto recente, con il
primo testo a tema (“Uno studio sul barbonismo domestico nell’area
metropolitana di Roma. Tra povertà, Sindrome di Diogene e
disposofobia”) redatto nel 2016 a cura del sociologo Luca Di Censi e da un
gruppo di lavoro composto da esperti del fenomeno provenienti dal Servizio
Sociale della città di Roma e dalla Cooperativa Ambiente e Lavoro Onlus, autori
di un'indagine approfondita sulla casistica della Capitale. E già allora si parlava
di numeri importanti, dal momento che furono individuati 660 casi tra il 2003 e
il 2014. Un dato indicativo emerso da quell'indagine, risultò la quasi totale
diversità dei soggetti coinvolti: giovani e anziani (con una tendenza maggiore
verso questi ultimi), uomini e donne interessati allo stesso modo, con effetti
simili dalla gravità più o meno elevata.

Una connotazione sociale


Altrettanto indicativo, in questo caso per dare un'idea della forte condizione di
alienazione e intrinseca difficoltà nell'accorgersi del fenomeno, è il fatto che i
suoi effetti tendono a essere percepiti nel momento di massima esasperazione
del problema, ovvero quando le condizioni di scarsa igiene portano a cattivi
odori sempre più intensi, insospettendo il vicinato che, a quel punto, effettua la
segnalazione. Un aspetto significativo non solo in quanto strumento rivelatore di
quello che, a tutti gli effetti, è considerato un disturbo psichico ma, al tempo
stesso, perché unico modo per arrivare a una forte presa di coscienza sul
problema a tutti i livelli e delle necessarie contromisure, innanzitutto sul piano
assistenziale. La forte connotazione sociale alla base della problematica, rende
quasi superflua la riflessione sulle condizioni economiche dei soggetti
interessati, spesso una componente che influisce in minima parte sulla
manifestazione del disturbo: a esserne affetto, infatti, può essere chiunque, uomo
o donna di ogni fascia d'età (con una casistica maggiore concentrata sui
maggiori di 74 anni, circa il 49% dei casi nel 2016).

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Responsabilità sociale
Inevitabile, di fronte a tale problematica, riflettere su quanto la sfera socio-
relazionale incida sulla nostra società e su coloro che, come nel caso del
barbonismo domestico, non riescano a entrarvi pienamente, restando vittime di
alienazione e, in qualche modo, di ignoranza da parte dell'altro. Un dramma che
cresce con la persona e che, per questo, necessita di un profondo percorso di
assistenza che vada innanzitutto a ricucire lo strappo fra il soggetto coinvolto e
quel contesto sociale nel quale va reinserito. Da qui, il bisogno primario di agire
sull'individuo, creare una rete di solidarietà ma, soprattutto, un coinvolgimento
maggiore in un senso di reponsabilità comune, che ci consenta di ricordarci gli
uni degli altri.

https://www.rosannadonofrio.it/hikikomori/hikikomori-e-barbonismo-domestico-analogie-e-differenze-di-
due-fenomeni-sociali-della-societa-moderna/
Hikikomori e Barbonismo Domestico:
analogie e differenze di due fenomeni sociali
della società moderna
Hikikomori

Hikikomori e Barbonismo Domestico:


analogie e differenze di due fenomeni sociali
della società moderna
Nella nostra società sempre più individui scelgono di vivere nella propria casa escludendo il mondo
esterno e le relazioni sociali dalla loro vita, facendo della propria casa l’unico posto dove poter
vivere. Ecco che le mura domestiche diventano un luogo dove potersi nascondere, divengono
uno strumento attivo di protezione del sé.
Il fenomeno del Ritiro Sociale Volontario (Hikikomori) e il Barbonismo Domestico sono in
larga diffusione nella nostra società. Sono individui che, seppur con modalità differenti, fanno della
solitudine e della mancanza di relazioni e contatti con il mondo il loro modo di vivere.
Ma chi sono gli Hikikomori e i Barboni Domestici? Esistono delle correlazioni tra questi due
fenomeni? In questo articolo proverò a rispondere a questi e ad altri quesiti.

Andiamo con ordine. Gli Hikikomori sono degli individui, per lo più adolescenti  e giovani adulti
che, nei casi gravi, scelgono di portare avanti il proprio progetto di vita escludendo le relazioni e la
vita sociale nella sua interezza.

Le motivazioni sono le più disparate e vanno da predisposizioni caratteriali, problematiche


scolastiche o familiari, fino alla necessità di sottrarsi alla pressione di realizzazione sociale tipica
della nostra società che sta diventando sempre più narcisista e che, inconsapevolmente, ci porta ad
avere degli standard di noi stessi sempre più elevati.  
Passano le loro giornate chiusi nella loro camera, alternando il giorno con la notte, occupando il
loro tempo leggendo libri, giocando ai video games, guardando serie tv, insomma facendo attività
solitarie. Nei casi gravi vengono interrotte anche le relazioni con i propri familiari e si rinchiudono
nella loro camera che diventa la zona franca dove poter vivere tenendosi alla larga dalla società,
dalla scuola, dal lavoro e tutte le attività che quotidianamente riempiono la vita di ognuno di noi.

Spesso vengono definiti fannulloni o nullafacenti ma alla base della loro scelta non c’è un bisogno
di sottrarsi alle responsabilità quotidiane per pigrizia o svogliatezza, ma una problematica seria che
se non trattata nel giusto modo può portare il soggetto all’ isolamento totale e può incentivare lo
sviluppo di una psicopatologia.

Infatti, l’Hikikomori non è una patologia ma può produrre patologia come ad esempio


depressione, disturbi alimentari, disturbi d’ansia, sindromi psicosomatiche ecc..
Il Barbonismo Domestico è una forma di isolamento sociale che riguarda un’altra fetta di
popolazione, per lo più adulti e anziani che si isolano dalla società. Anch’essi fanno della loro casa
l’unico posto in cui vivere. La persona che vive in Barbonismo Domestico sceglie di vivere in
condizioni igienico sanitarie molto precarie, accumula oggetti, perlopiù spazzatura.  L’isolamento
sociale, l’abbandono della cura di se e degli spazi in cui si vive sono gli elementi distintivi del
Barbonismo Domestico.
La prima grande analogia tra queste due forme di isolamento sociale è senza dubbio la solitudine. 
La scelta di vivere in casa propria escludendo le relazioni sociali. Sicuramente nell’Hikikomori c’è
una scelta più ponderata e razionale rispetto alle persone in Barbonismo Domestico, i quali, spesso,
la subiscono a causa di fattori esterni scatenanti come la perdita del lavoro o delle relazioni
familiari. 
In entrambi i casi c’è una solitudine che con il passare del tempo viene a creare un circolo vizioso
che porta il soggetto a rinchiudersi sempre di più dentro casa. Spesso anche nell’hikikomori c’è una
forma di Barbonismo Domestico, anche se blanda, ma comunque improntata alla mancata cura di se
e all’igiene dell’ambiente domestico. Questo è vero soprattutto nei casi molto gravi di ritiro sociale
dove il soggetto è completamente rinchiuso nella propria camera e sviluppa una tendenza ad
accumulare sporcizia.

Ad esempio, in Giappone, esiste una fetta di popolazione di Hikikomori che vivono rintanati in casa
in condizioni igienico sanitarie molto precarie che si traducono in una condizione di Barbonismo
Domestico.

Uno dei segnali di grave ritiro sociale è proprio la mancata cura di se che si estende anche in una
mancata cura degli spazi dove si vive: accumulo di panni sporchi, stoviglie sporche, residui di cibo,
imballaggi alimentari ecc..

Nel Barbonismo, come già detto, spesso il ritiro sociale è subordinato all’assenza di legami
familiari, perdita del lavoro  e/o  alla presenza della Sindrome di Diogene e della Disposofobia.
La Sindrome di Diogene è un disturbo psicologico e comportamentale caratterizzato da un’estrema
disattenzione alle necessità basilari come l’igiene personale e le cure sanitarie. La Disposofobia è
un disturbo ossessivo che si manifesta nell’accumulare compulsivamente oggetti che non hanno
alcuna utilità o sono addirittura pericolosi.   

Questo accumulo può essere letto come il tentativo dell’individuo di riempire un vuoto relazionale
che viene ad instaurarsi con il passare del tempo.

Nella mia esperienza professionale ho avuto modo di lavorare sia con persone in Barbonismo
Domestico e ad oggi studio attivamente il fenomeno degli Hikikomori grazie al mio lavoro con
L’Associazione Hikikomori Italia. La prima grande differenza che ho ritrovato tra il Ritiro Sociale
Volontario e il Barbonismo Domestico riguarda proprio l’età degli individui, giovani nel primo caso
e adulti/anziani nel secondo. Inoltre, gli Hikikomori, scelgono volontariamente di isolarsi dalla
società e il ritiro non è improvviso ma frutto di un processo che solitamente inizia a strutturarsi tra i
banchi di scuola. Alla base del Barbonismo, invece, solitamente c’è un evento scatenante che porta
il soggetto a vivere come un barbone nella propria casa.

Tutto ciò porta il soggetto a riempire un vuoto interno accumulando oggetti e spazzatura dai quali
sembra impossibile separarsi.

C’è quindi correlazione tra queste due forme di ritiro sociale? La risposta è si!  In entrambi i casi
si smette di abitare il mondo:  c’è un isolamento sociale, negli Hikikomori “scelto” nei barboni
domestici “subito”. Inoltre, mentre gli Hikikomori possono  sviluppare una forma di Barbonismo
Domestico che si manifesta perlopiù nella mancata cura di se e degli spazi in cui vivono, nel
Barbonismo Domestico l’isolamento sociale diviene secondario a un disturbo psicologico che
investe la sfera socio- relazionale e  che porta i barboni domestici ad essere vittime di un’alinazione.
Quale trattamento quindi per queste due forme di disagio moderno? Ne parlerò nel mio prossimo
articolo.
https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/barbonismo_domestico_a_roma_660_casi_in_12_anni

Barbonismo domestico: a Roma 660 casi in 12


anni
Sono anziani, quasi tutti italiani, la metà ha una casa di proprietà e si tratta in genere di persone non note ai
servizi. Vivono la marginalità isolati nella propria abitazione, in cattive condizioni igieniche e spesso con
problemi di salute mentale. In un libro il primo bilancio sul fenomeno nella capitale

ROMA - Vivere la marginalità in casa propria, spesso in cattive condizioni igieniche, in una
condizione di isolamento relazionale e a volte convivendo con patologie psichiatriche. E’ il
cosiddetto barbonismo domestico, un fenomeno poco visibile nelle grandi città, ma che negli ultimi
anni sta emergendo grazie al lavoro degli assistenti sociali e di alcuni servizi dedicati al problema.
E i trend osservati sembrano parlare di un aumento per i prossimi anni. A fare una prima
accurata analisi è Luca Di Censi, sociologo e autore del libro “Uno studio sul barbonismo
domestico nell’area metropolitana di Roma. Tra poverta`, Sindrome di Diogene e disposofobia”,
edito da UniversItalia. Il testo è il primo in Italia che cerca di inquadrare un fenomeno difficile da
intercettare. Il territorio interessato è quello della città di Roma, mentre i dati raccolti partono dal
2002 e rappresentano un vasto archivio di casi che permettono di dare una lettura completa ad un
fenomeno complesso.

-Nella capitale sono 660 i casi di barbonismo domestico segnalati dal 2003 al 2014 alla Sala
operativa sociale del Comune di Roma. “E’ un fenomeno che riguarda tutte le fasce di popolazione
esclusi i minori, ma a volte ci sono anche loro all’interno dei nuclei - spiega Di Censi -.
L’isolamento relazionale è dovuto a traumi e può essere correlato a pregresse o insorte patologie
psichiatriche a cui si associa tutta quella caratterizzazione tipica del barbone in casa: cattive
condizioni igieniche o anche l’accumulo di oggetti”. Un fenomeno, spiega Di Censi, che spesso
viene alla luce “nel momento più catastrofico”, cioè quando il vicinato lamenta cattivi odori o in
situazioni ancora più critiche. Questo perché, spiega il testo, si tratta di “persone perlopiù non note
alla rete dei servizi socio-sanitari o, seppur prese in carico in passato da servizi sanitari, non più
agganciati ad essi”.

I dati raccolti e analizzati nel testo parlano di soggetti anziani, soli e quasi tutti italiani: gli stranieri
sono solo il 3 per cento. Minima la differenza tra uomini e donne, con una lieve predominanza di
queste ultime (sono il 51,7 per cento), “da interpretarsi come un dato in linea con la distribuzione
demografica nazionale”, specifica il testo. La fetta più cospicua di persone interessate è quella
degli over74: sono il 49 per cento. Tra 65 e 74 anni sono il 21 per cento. Non mancano quelli che
non hanno ancora raggiunto i 65 anni, rappresentano il 30 per cento dei casi rilevati dalla Sala
operativa. “Un’età` ampiamente correlata a pluripatologie - spiega Di Censi - oltre che a una serie
di problemi di gestione della propria persona. Ovviamente queste criticita` nella citta` di Roma
assumono elementi distintivi piu` problematici, che spesso degenerano in forme di grave
marginalita`”. Anziani solitari (lo sono sei su dieci) spesso per scelta, per cause naturali o per
rotture nelle proprie reti familiari. Il 44 per cento delle persone risulta celibe o nubile, il 27 per
cento sono vedovi. Solamente il 18 per cento e` coniugato e l’1 per cento convivente, mentre si
registra un 6 per cento di divorziati e il 4 per cento di separati. Nonostante le criticità, si tratta di
persone che hanno una certa stabilità alloggiativa. Più della metà di loro, il 51 per cento, vive
nella casa di proprietà. Il 15 per cento è locatario presso alloggi di edilizia popolare o di enti e un
25 per cento da privati. Solo il 5 per cento è in emergenza abitativa. “La stabilita` abitativa in questi
soggetti e` una costante, anche perche´ il manifestarsi del barbonismo domestico - spiega il testo -,
escluso alcuni casi, e` graduale e l’inagibilita` della casa avviene in un lungo periodo di tempo, di
conseguenza e` raro trovare persone in barbonismo domestico che non abbiano una stabilita`
abitativa”.

Essere in possesso dell’abitazione in cui si vive e avere anche un reddito, però, non salva queste persone dalla marginalità.
dati raccolti dalla cooperativa sociale Ambiente e Lavoro Onlus da gennaio 2012 a dicembre 2015 durante lo svolgimento
domiciliare per oltre 300 casi di barbonismo domestico finanziato dal Dipartimento delle Politiche Sociali di Roma Capita
aggiunti altri 60 casi del progetto della Regione Lazio di contrasto alle nuove povertà. “Gli utenti non possono essere ide
condizione di poverta` economica - spiega l’autore nel testo - poicé tra questi si registrano anche redditi al di sopra delle
poverta`”. Per questo, spiega l’autore, leggere il fenomeno in termini esclusivamente economicistici e` “riduttivo e fuorvia
in barbonismo domestico, infatti, dequalificano i loro averi o non sono in grado di gestirli e, di conseguenza, non riescono
propri bisogni scivolando in situazioni di grave marginalita` fino alla poverta` estrema. Il disporre di redditi e di un potere
equiparabili a quelli del ceto medio non e` sufficiente a sfuggire a questa situazione di marginalita`”.

Ad essere coinvolto è tutto il tessuto cittadino. Lo dimostrano le mappe della sua diffusione
all’interno del Grande raccordo anulare. Una distribuzione “a macchia di leopardo”, spiega Di
Censi, che tocca quartieri più agiati e periferie senza distinzioni. Che si tratti di una condizione
complessa lo dimostrano anche i dati sul titolo di studio degli assistiti raccolti dalla cooperativa
Ambiente e Lavoro Onlus. Il 40 per cento di questi, infatti, e` in possesso del diploma o della
laurea; il 24 per cento della licenza elementare e il 35 per cento della licenza media inferiore. “Il
barbonismo domestico è un’interconnessione di diverse problematiche - spiega Di Censi -, sia
sociali che sanitarie. Passando per le psicologiche che sono centrali per il discorso relazionale.
Riduttivo schiacciare tutto a livello sanitario”. Per questa ragione, aggiunge Di Censi, la risposta dei
servizi non può che essere a sua volta articolata. “Occorre una maggiore sinergia e predisposizione
di tutti i servizi coinvolti a lavorare più celermente rispetto ad alcune situazioni - aggiunge il
sociologo -. Non si può dare una risposta settoriale, bisogna entrare in un’ottica di sinergia. La
complessità dei problemi richiede risposte complesse, che non possono arrivare precodificate da un
servizio o dall’altro”. 

L’aspetto più preoccupante, però, riguarda il futuro. I dati raccolti a Roma non hanno solo il merito
di aver illuminato una zona d’ombra della marginalità nel nostro paese, ma permettono di avanzare
ipotesi sui trend. “Ci sono delle correlazioni quali l’invecchiamento, l’assottigliarsi delle reti
familiari, sociali e se non si cambia direzione rispetto anche ad un welfare generativo e un maggiore
coinvolgimento per ricostruire socialità nei contesti locali probabile che il fenomeno aumenti”,
mette in guardia Di Censi. C’è poi tutta quella fascia di persone dipendenti da sostanze, soprattutto
oppiacei, che rischia di finire in questo nuovo girone. Persone che a causa dell’uso degli
stupefacenti vivono già un isolamento relazionale e sono “maggiormente esposte al barbonismo
domestico”. Tutte questioni che lasciano presupporre, secondo il sociologo, che il fenomeno “avrà
una sua prevalenza maggiore negli anni”. (ga)
https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/tra_i_barboni_domestici_anche_ex_insegnanti_e_dirige
nti_d_azienda

Tra i "barboni domestici" anche ex insegnanti


e dirigenti d'azienda
Fenomeno in crescita. Hanno casa di proprietà, vivono con la pensione ma non sono tutti poveri. Spesso
soffrono di un disturbo di accumulo, riempiendo di roba le loro stanze in solitudine. Presentati a Roma i
risultati "del progetto X"

ROMA – Ci sono ex insegnanti, oppure ingegneri in pensione, tra di loro anche ex dirigenti di
azienda. Molto spesso hanno una casa di proprietà, ma vivono una condizione di isolamento a volte
sconosciuta ai servizi territoriali. È il “barbonismo domestico”, un fenomeno a cui sul territorio
romano ha lavorato il "Progetto X", i cui risultati sono stati presentati oggi presso la sede della
Regione Lazio. Avviato nell’agosto 2014, il progetto che ha visto coinvolte dieci cooperative e circa
14 operatori terminerà quest'estate nella speranza che possa essere rifinanziato. In un anno di
attività, infatti, il progetto ha raccolto 63 richieste da parte di singoli cittadini e 58 richieste di
attivazioni dai servizi sociali che hanno portato a far seguire 39 persone su tutta Roma. Numeri
esigui rispetto alla popolazione della capitale, ma a preoccupare sono soprattutto le tendenze. “Il
fenomeno è più ampio di quanto ci aspettavamo – spiega Fernanda Taruggi, coordinatrice del
Progetto X della Cooperativa Cotrad Onlus -. Sono quasi tutte persone che presentano un disturbo
da accumulo, ma tra le nostre attività facciamo anche prevenzione laddove possibile”.

Un fenomeno in crescita
Secondo i responsabili del progetto, si tratta di un fenomeno “crescente” che vede “situazioni,
individuali o familiari, spesso sconosciute ai servizi territoriali, che versano in condizione di pieno
isolamento e scarsa igiene dell’appartamento, non di rado utilizzato come rifugio e come
magazzino per ogni genere di materiale”. Per Taruggi, però, se da un lato c’è un “aumento di casi”,
è anche vero che “adesso gli interventi lo rilevano maggiormente e poi lo si vede nelle statistiche
dei reparti psichiatrici dove c’è una percentuale significativa che presentano questa sintomatologia”.
Tuttavia, si tratta di una realtà che presenta ancora diverse zone d’ombra “che non emergono, ma
presenti”.

Chi sono i barboni domestici


- Dai dati raccolti emerge un profilo piuttosto variegato delle persone seguite. “Abbiamo un’ampia
costellazione: ex insegnanti, ex dirigenti d’azienda, ingegneri – spiega Taruggi -. A quanto
emerge dai dati statistici c’è una buona percentuale in cui sono proprietari di casa, o sono in affitto
o nelle cosiddette case popolari. Ci sono parecchie persone benestanti. L’associazione barbone e
povertà nel caso del barbonismo domestico non può essere così lineare e diretta”.
Secondo l’esperienza condotta sul campo dagli operatori, le persone seguite dal progetto X sono
donne e uomini praticamente in egual misura. Solo una piccola parte di loro sono stranieri, mentre
per quanto riguarda le fasce d’età si va dai 50 agli 80 anni, nella maggior parte dei casi, con una
buona fetta di 50-60 enni (sono 14 su 39) e non mancano anche alcuni casi tra i 30 e i 40 anni. Più
della metà di loro hanno una pensione da lavoro o sociale, meno della metà ha una pensione di
invalidità o d’accompagno.
Ma se non mancano casi in cui la disponibilità economica non è un problema, non sono neanche
pochi i casi cui misere pensioni sono l’unico mezzo di sostentamento e in taluni casi, manca
qualsiasi forma di reddito e si vive di espedienti. Quel che accomuna quasi tutti, invece, è la
solitudine. In quasi tre casi su quattro, la persona presa in carico dal progetto vive da sola e
con scarsi rapporti con i familiari, se presenti. Questi ultimi, nella maggior parte dei casi non
sono di nessun supporto, quando solo in un caso su quattro le persone che vivono in questa
condizione non presenta patologie. Negli altri casi si va da quelle psichiatriche alle dipendenze.

Interventi lunghi e delicati


Una “realtà sommersa”, spiega Taruggi, nascosta dietro una porta chiusa che non sfugge ai
condomini o agli amministratori di condominio. Sono proprio loro, spesso, a fare delle segnalazioni
che nella maggior parte dei casi arrivano sempre quando la situazione è ormai al limite. Spesso,
infatti, ha spiegato Valter Gallotta, direttore Uoc ospedaliera servizio di diagnosi e cura presso
l’ospedale San Giovanni, si confonde il barbonismo con l’avarizia o la pigrizia dei condomini e non
viene segnalata per tempo, soprattutto in quei casi in cui i legami familiari sono andati persi per
diverse ragioni. Tempi lunghi che, di riflesso, si ritrovano anche negli interventi che a volte
possono richiedere anche mesi per poter instaurare un rapporto con il paziente. “Il nostro
intervento consiste con una prima visita domiciliare insieme all’assistente sociale per attivare il
servizio – spiega Taruggi -, ma non è detto che l’utente accetti da subito. Ci vuole una lunga attesa e
tanta pazienza per trasmettere al paziente che quel tempo è dedicato a lui, anche se spesso ci
chiudono la porta in faccia”. I risultati raccolti in un anno fanno ben sperare, spiegano gli operatori,
ma il progetto ora è al termine e sul futuro attualmente non ci sono certezze. “Il nostro è un
intervento utile in una realtà che sta crescendo – spiega Taruggi - per dare un aiuto a persone che
alla fine l’aiuto non solo l’accettano, ma lo vogliono”. (ga) 

http://www.retisolidali.it/barbonismo-domestico-un-progetto-dice-come-affrontarlo/

Home » BARBONISMO DOMESTICO: UN PROGETTO PER AIUTARE I “SEPOLTI VIVI”

BARBONISMO DOMESTICO: UN PROGETTO PER AIUTARE I


“SEPOLTI VIVI”
Si chiama "Progetto X" e ha dato buoni risultati per un
problema drammatico, anche se a volte invisibile
 Categorie: Fatti, Roma, Sezioni  Argomenti: barboni, esclusione, Terzo settore 26-
06-2015 Loretta Barile

«Un mondo di cose, di polvere, fobie, paure che si sono stratificate negli anni
per riempire chissà quali vuoti». Con queste parole un operatore del
Progetto X descrive quello che si trova quando si entra nell’abitazione di
un “barbone domestico”.
Proprio così, in un mondo in cui le definizioni sono sempre più incerte si
può essere barboni anche vivendo in una casa, perché la condizione di
trascuratezza e solitudine che caratterizza queste persone è una
dimensione umana oltre che materiale.
I cosiddetti barboni domestici sono adulti o anziani, con problemi di
natura psico-sanitaria che vivono in situazioni di degrado ambientale ed
isolamento sociale, per cui la casa diventa un rifugio dove tutto rimane
fuori.
Da agosto 2014 ad occuparsi di alcune di queste persone e
contemporaneamente ad analizzare il fenomeno in crescita nella nostra
città ci ha pensato il Progetto X, un percorso d’interventi sul territorio di
Roma, attuato in collaborazione tra dieci cooperative: Cotrad (la capofila),
Meta, Cecilia, H anno Zero, Virtus Italia, Nuove Risposte, Isola, Santi
Pietro e Paolo, Patatrac e Mille e una Notte, che hanno condiviso una
metodologia d’intervento multidisciplinare per affrontare il problema.
Di questo progetto, che ha coinvolto 15 operatori, tra assistenti
domiciliari e psicologi, sono stati presentati nel convegno alla Regione
Lazio “Si può fare altro” (Roma, 23 giugno) i risultati di un anno di attività,
e sono stati descritti gli aspetti clinici e le tipologie d’intervento.

Rendere tangibile ciò che è invisibile


Il progetto, da agosto 2014 ha raccolto 63 richieste da parte di singoli
cittadini e 58 richieste di attivazioni dai servizi sociali, che hanno portato
a far seguire 39 persone su tutta Roma: il panorama descritto è composto
da donne e uomini in numero pari compresi tra i 50 e gli 80 anni nella
maggior parte dei casi, con una percentuale importante di 50-60enni
(sono 14 su 39), ma ci sono anche casi tra i 30 e i 40 anni, una piccola
parte sono stranieri. Più della metà di loro hanno una pensione da lavoro
o sociale, meno della metà ha una pensione di invalidità o d’accompagno.
La condizione di disagio non sempre è esistita, in tutti i casi si è
verificato un episodio traumatico scatenante, infatti molti degli utenti
prima conducevano una vita normale, ed hanno una casa di proprietà, dei
redditi. Il fenomeno dunque coinvolge persone di diverse fasce sociali,
ciò che lo caratterizza è sicuramente la condizione d’isolamento e di
solitudine, le persone prese in carico dal progetto infatti, vivono sole, con
pochi o nessun rapporto con i familiari, che quando ci sono non sono di
nessun supporto. Inoltre spesso sono affette da patologie psichiatriche,
da disturbi ossessivi, soprattutto dal cosiddetto accumulo compulsivo
caratterizzato dall’impossibilità di disfarsi delle cose: un disturbo di
grande complessità che li porta – in solitudine – a trasformare le loro
abitazioni in accumuli di oggetti, spazzatura, animali.

Un progetto per l’inclusione sociale


La pratica quotidiana del progetto ha portato alla luce la necessità di
uscire dallo schema di forme di erogazione di assistenza sanitaria a cui
siamo abituati.
Per intervenire è necessario che ci sia un gruppo multidisciplinare ben
formato e sensibilizzato. Gli interventi sono lunghi e delicati. Entrare in
contatto con l’utente e stabilire un contatto è la fase più delicata ed
impegnativa: il dottor Valter Gallotta, direttore Uoc ospedaliera servizio
di diagnosi e cura presso l’ospedale San Giovanni, racconta di un caso in
cui sono stati necessari 9 mesi di “scampanellate ed attese davanti la
porta prima di riuscire ad entrare in casa”.
Tempi lunghi, quindi, per interventi complessi. Una volta identificate le
situazioni individuali o familiari riconducibili al barbonismo domestico, il
primo passo è una visita domiciliare insieme all’assistente sociale, per
attivare il servizio che deve sempre essere concordato con l’utente: la
persona deve acquisire fiducia e comprendere che quel tempo e
quell’intervento è dedicato proprio a lui. Per attuare poi questo servizio
condiviso, è fondamentale l’integrazione delle figure professionali dei
settori sociale e sanitario,  tra Municipi, ASL, Terzo settore per attivare
tutte le risorse esistenti sul territorio ed i servizi da prevedere in queste
situazioni come l’assistenza domiciliare, l’erogazione di pasti a domicilio, il
trasporto per visite mediche e per il disbrigo di pratiche burocratiche,
sgomberi e pulizie, sanificazioni e derattizzazione delle abitazioni.
Fondamentale la preparazione e la motivazione degli operatori.
Gli utenti sono persone che incontrano altre persone, gli operatori, ed il
lato umano nell’intervento realizza fiducia e collaborazione, perchè il
barbonismo è prima di tutto una forma estrema di precarietà, povertà ed
esclusione dalla società in cui il ritorno alle relazioni  – in primis con gli
operatori-  avvicina ad un rientro nella società.
Anche l’impatto sociale del fenomeno è importante, perché queste
situazioni possono determinare una mancanza di tutela dell’ordine
pubblico, ed una mancanza di tutela delle norme igienico sanitarie e
infatti sono molto sentite nei contesti di vicinato, spesso vissute con
preoccupazione ( per rischi d’incendio, di esplosione) ed infatti molto
spesso le segnalazioni arrivano proprio da condomini o amministratori di
palazzi.

Il futuro di Progetto X
Il progetto terminerà a settembre 2015 e sul futuro attualmente non ci
sono certezze.
Dai racconti di chi per un anno si è occupato di queste persone, appare
che molti sono stati i risultati raggiunti e che piano piano gli assistiti
hanno accettato di essere seguiti ed anzi, aggiunge Fernanda Taruggi,
coordinatrice di Cotrad, «dopo le prime insistenze, l’aiuto queste persone
non solo l’accettano, ma lo vogliono».
Agli amministratori si è chiesto di dare continuità a queste
esperienze con programmazioni di durata almeno triennale, per evitare
che l’interruzione dei progetti per esaurimento del finanziamento non
vanifichi esperienze avviate con successo.
La Regione ed il Comune si sono resi disponibili a mantenere alta
l’attenzione su questi fenomeni anche in sede di programmazione, noi ci
auguriamo che l’impegno venga mantenuto.
Loretta Barile

Lavora nell’area comunicazione e promozione del Cesv.

http://www.caritasroma.it/2018/05/isolamento-sociale-il-fenomeno-del-barbonismo-domestico/
"La Caritas è la carezza della Chiesa al suo popolo" Papa Francesco

Isolamento sociale, il fenomeno del “barbonismo domestico”


11 Mag 2018 - 23:58
Dal mese di aprile, la Caritas, dopo anni di lavoro sul campo della marginalità domestica in cui ha incontrato
anziani e adulti in molti dei territori di Roma, ha iniziato un servizio di cura per persone affette da forme di
esclusione ed isolamento sociale. Si tratta di un progetto del V Dipartimento del Comune di Roma che
prevede interventi domiciliari a contrasto di realtà molto degradate che mettono a rischio una parte
consistente di popolazione, tendente all’accumulo e ad una forma estrema di trascuratezza degli ambienti
domestici, al limite spesso di emergenza socio-sanitaria.

Abbiamo già incontrato 60 persone delle possibili 133 segnalate e vediamo che si tratta in maggior misura di
anziani, soli e malati; di adulti singoli; a volte in piccoli nuclei, con patologie psichiatriche o psichiche di
diversa natura, ma tutte socialmente inabilitanti.

La solitudine che è dentro a queste storie marca la qualità di queste esistenze.


E’ un progetto che vede una ramificazione su tutti i municipi della Capitale, che mette insieme pubblico e
privato, cittadinanza e comunità, case e convivenza condominiale, aspetti sociali e sanitari, staticità e
movimento pastorale.
Grazie a questa opportunità abbiamo visitato già numerose situazioni, che oggi abbiamo iniziato ad “abitare”,
per essere segno di prossimità e di comunità inclusiva. Una situazione complessa, spesso difficile,
sicuramente indicativa di un bisogno di rivedere il nostro modo di essere città, territorio, comunità ecclesiale,
testimoni di possibilità e di inclusività. Quello che stiamo vedendo, ascoltando, sentendo deve diventare
strumento pedagogico di cambiamento e riflessione.

Partiamo da cosa sta dietro a quella definizione data di “barbonismo domestico”.

Una riflessione più approfondita sul “mondo vissuto” che emerge accostando questi due termini, almeno da
quello che appare dai primi mesi di lavoro, è di un “mondo vissuto” alla stregua della mostruosità di una
istituzione totale. I cancelli, le chiavi, le porte chiuse, letti spesso vissuti come spazi di contenzione, finestre
sbarrate. Ma quello che angoscia più di ogni altra cosa è l’assenza: non c’è nessuno, un isolamento totale.
Le persone che abitano questi spazi è come se fossero, ognuna di loro, un internato, invisibile al mondo.
Nella casa una quantità enorme di cose, di oggetti, di rifiuti, come se ognuna di queste cose potesse parlare,
affrontare un dialogo, riempire una solitudine. Accumulare, conservare, tenere accanto a sé.

“Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di
nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal
momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi
non sono sfruttati ma rifiuti, avanzi”. ( Evangelii Gaudium)
La violenza dell’isolamento e la tortura della porta chiusa diventano intollerabili. Cosa ci dicono le donne e gli
uomini che incontriamo? La persona che abbiamo di fronte è “l’essere nel mondo” abitato da nessuno e quel
mondo è la sua storia. E capire questa appartenenza è importante per interpretare i significati del suo
linguaggio. Il suo linguaggio non è lo strumento per comunicare ma è il declinare le modalità del suo pensare
e del suo percepire l’altro da sé. Se non comprendiamo il mondo della persona che abbiamo di fronte non
stiamo parlando con nessuno. Ma come facciamo a percepire il mondo dell’altro? Lo percepiamo solo
attraverso il “sentire”, entriamo nel suo “mondo vissuto” con il sentimento, perché il sentimento conosce. Il
sentimento è sempre un sentimento d’amore. L’incontro è sempre un incontro d’amore. Il riconoscimento
dell’altro come altro da se stesso frantuma la condizione di isolamento; riaffiora nella persona il desiderio
della mancanza e in questo senso il desiderio è sempre un movimento di apertura verso l’altro. Le persone
tornano ad ascoltare il battito del proprio cuore perché la sola percezione del suono è il segnale del ritorno
alla vita vissuta. Il riconoscimento di esserci rimette in condizione la persona di riattivare capacità e risorse
tenute fino ad allora prive di possibilità di affermazione. Le porte si aprono, le finestre non sono più sbarrate
entra una luce, i letti tornano ad essere oggetti del riposo. Ora si può iniziare a condividere con ogni persona
quali sono i possibili significati che emergono dalla narrazione del loro“mondo vissuto” per rimodulare e
rigenerare il proprio agire in funzione di un ritorno alla vita sociale.

https://nonsoloansia.wordpress.com/2012/09/25/disposofobici-o-sindrome-della-soffitta-piena/

Vincere l'ansia con la Psicoterapia


Cognitivo Comportamentale
Un blog d'informazione su ansia, attacchi di panico, stress, depressione,
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Disposofobici o sindrome della soffitta piena


Pubblicato il 25 settembre 2012| Lascia un commento

Autore: Dott.ssa Francesca La Lama


La disposofobia è nota anche come “sindrome di Collyer”, in ricordo di due eccentrici fratelli statunitensi nati
alla fine dell’800 noti per la loro natura ossessivo-compulsiva.
Gli inglesi la chiamano compulsive hoarding, sarebbe a dire “accumulo compulsivo”, in Italia ha il nome di
disposofobia o anche “sindrome della soffitta piena”.  Si tratta di un disturbo patologico ossessivo che costringe
chi ne è vittima ad accumulare irresistibilmente oggetti di ogni tipo – utili e non – fino a che questa raccolta di
“beni” arriva a invadere letteralmente la casa e impedire la circolazione fra le quattro pareti domestiche.

Questa condotta interferisce e provoca ostacoli e danni significativi alle fondamentali attività quotidiane quali
muoversi, cucinare, fare le pulizie, lavarsi e dormire. Gli spazi della casa perdono il loro originario utilizzo e
vengono letteralmente invasi da ogni tipo di oggetti.

I contatti sociali vengono ridotti o perduti e chi soffre di questo disturbo si ritrova in un isolamento sociale in balia
di oggetti-tesoro incapace di dare ordine anche alla quotidianità.

Non esiste una definizione chiara di accumulo compulsivo in termini di criteri diagnostici accettati (come l’attuale
DSM); tuttavia, Frost e Hartl (1996) forniscono per la definizione di questo problema le seguenti caratteristiche:
 acquisire, senza poi disfarsene, un gran numero di beni che appaiono inutili o di scarso valore
 spazi vitali ingombrati in modo tale da impedire le attività per le quali tali spazi sono stati progettati
 disagio significativo o menomazione nel funzionamento causati dall’accaparramento
 ritrosia o incapacità a restituire oggetti presi in prestito; essendo i contorni non ben definiti,
l’accaparramento impulsivo potrebbe a volte portare a cleptomania o furto.
 Nelle sue forme peggiori, l’accumulo compulsivo può causare incendi, condizioni di scarsa igiene (ad esempio,
infestazioni di topi o scarafaggi), lesioni inciampando nel disordine e altri rischi per la salute e la sicurezza.La
comorbilità della disposofobia con altre malattie mentali non è stata ancora ampiamente compresa ed è ancora
oggetto di studio ma dagli studi fino ad ora effettuati vi è una certa correlazione con altri disturbi quali altre al
DOC:

 depressione maggiore
 disturbo d’ansia generalizzato (GAD)
 fobia sociale
 disturbo post-traumatico da stress (PTSD)
 Attention Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD)
 demenza
Secondo lo psicologo Randy Frost, uno dei maggiori esperti di questo problema, la tendenza a mettere da parte
diventa patologica quando le masse di oggetti inutili rendono inabitabili intere aree della casa, o comunque
compromettono fortemente la vita degli individui interessati. Il dato sorprendente che emerge dagli studi di Frost è
che le persone la cui abitazione è spesso in preda al caos più totale sono spesso dei perfezionisti. Frost ha scoperto
che gli “accumulatori” compulsivi sono estremamente coinvolti nei confronti degli oggetti che possiedono al
punto di essere percepiti come parte della propria persona e della propria storia. Le persone affette da disposofobia
sembrano assegnare a un gran numero di oggetti un valore sentimentale o un’utilità futura che non gli permette di
liberarsene.

Nel 2007 Frost ha pubblicato, insieme a Jeffrey Wincze e Gail Steketee dell’Università di Boston uno studio dal
quale è emerso che le persone affette da disposofobia hanno bisogno di molto più tempo rispetto al gruppo di
controllo per riordinare o classificare categorie comuni di oggetti. Lo psichiatra David Mataix-Cols del King’s
College di Londra,  ha esaminato pazienti con disturbi ossessivo-compulsivi con o senza sintomi di disposofobia
servendosi della risonanza magnetica celebrale. I soggetti reclutati per questo studio dovevano immaginare di
buttare via alcuni oggetti: nei pazienti con “sindrome di accumulo” le sollecitazioni interessavano soprattutto la
corteccia prefrontale che si attiva quando devono essere prese decisioni difficili.

Nel 2008 Mataix-Cols insieme ad altri colleghi britannici, ha cercato di rispondere alla domanda: la disposofobia
rappresenta una patologia indipendente o si tratta di un disturbo compulsivo? Dallo studio effettuato sembra che
l’accumulo compulsivo possa essere considerato un disturbo psichico indipendente, confermato anche da altri
ricercatori e psichiatri i quali sostengono che farmaci come gli inibitori della ricaptazione della seretonina, che nei
pazienti con DOC vengono spesso impiegati con successo, mostrerebbero scarsi effetti nel caso dei disposofobici.
Una ulteriore differenza tra le due patologie è data dal fatto che, mentre di solito i pazienti affetti da DOC si
rendono conto dell’irrazionalità e dell’insensatezza del proprio comportamento, questa consapevolezza è minima
nel caso dei disposofobici. Attualmente sono poche le terapie consolidate per curare questa patologia.Nel 2007
Steketee e Randy Forst hanno messo a punto la prima terapia comportamentale ideata appositamente per i pazienti
affetti da disposofobia, la cui efficacia è stata esaminata in uno studio pilota insieme a David Tolin nel 2008. Nel
corso della terapia i pazienti, con l’aiuto di vari esercizi, imparano a organizzarsi meglio e a prendere decisioni.
Inoltre si propone loro di riconsiderare il loro rapporto con gli oggetti vecchi, rotti o privi di valore. Quasi sempre
l’esercizio più difficile per i pazienti è quello di permettere agli psicoterapeuti di entrare in casa propria.

La disposofobia è un disturbo molto diffuso negli Stati Uniti, a tal proposito è stato realizzato un docu-reality per
la televisione originariamente trasmesso a partire dal 14 marzo 2010 dall’emittente statunitense TLC con il titolo
“Hoarding: Buried Alive”. In Italia è mandato in onda da Real Time con il titolo “Sepolti in casa”. La parola
“hoarding” è il termine inglese con il quale si indicano le persone affette da questa patologia.

Sul sito dell’APA , American Psychological Association, è apparso a questo proposito un articolo molto
interessante: (http://www.apa.org/gradpsych/2011/09/psychology-shows.aspx)
Sembra proprio che i media sfruttino come sempre l’effetto voyeurismo degli spettatori, e mettano in secondo
piano il vero modo con cui affrontare il disagio proponendo un’idea poco realistica del disagio psicologico che
queste persone vivono realmente.

Frost, autore del libro “Stuff: Compulsive Hoarding and the Meaning of Things” 2011, sostiene che il programma
televisivo Sepolti in casa ( in Italia) e Hoarding: Buried Alive ( in Usa) dovrebbe essere utile per rendere le
persone consapevoli di un problema serio e spesso incompreso. Specificando che non si tratta di persone pigre e
disordinate, ma di persone che non hanno alcun controllo sul proprio comportamento. Sembra però che il
programma televisivo semplifichi eccessivamente il trattamento per questo problema, che viene rappresentato solo
come un week-end di pulizia. Anche se questo è una sorta di passo avanti per la risoluzione del problema
sarebbero necessari  tempi molti più lunghi.

https://ciemmezeta.it/pulizie-speciali-barbonismo-domestico/
CIEMMEZETA.IT
CIEMMEZETA.IT • IMPRESA DI PULIZIE MONZA / PULIZIE SPECIALI BARBONISMO
DOMESTICO
PULIZIE SPECIALI BARBONISMO
DOMESTICO
Il “barbonismo domestico” colpisce moltissime persone.

La nostra azienda, nata e orgogliosamente sviluppatasi negli anni come seria e strutturata
impresa di pulizie attiva in Lombardia e Liguria, si è nel tempo specializzata in interventi
particolari come la consulenza su forme gravi di isolamento domestico e sociale e la
cosiddetta “Sindrome di Diogene”, quella che con un termine piuttosto crudo ma molto
concreto ed efficace viene anche definito “barbonismo domestico”.

Si tratta di situazioni molto delicate e difficili nelle quali uno o più soggetti, spesso afflitti da
disagio psicologico di varia e complessa natura, si chiudono in casa rifiutando visite e
contatti con l’esterno e diventano nel tempo “accumulatori seriali” e vivono (spesso
costringendo alla stessa complicata quotidianità anche i propri familiari e conviventi)
letteralmente sommersi da vecchi oggetti, mobili e vestiti, spesso purtroppo anche cibo
scaduto e lasciato marcire, immondizie, vetri e detriti pericolosi, e, qualora convivano con
animali anche le loro deiezioni (situazioni ben descritte dalla celebre docu-reality dedicata
al tema della disposofobia, ovvero “Sepolti in casa” del canale televisivo Discovery).

Il Disturbo grave da Accumulo consiste in un modello di comportamento caratterizzato


dall’incapacità di eliminare qualsivoglia oggetto dal proprio ambiente domestico, spesso
accompagnato dall’ossessiva raccolta di “cose” fino al punto da rendere inutilizzabili o
pericolosi quegli stessi spazi abitativi.

Tale situazione riguarda soggetti sia giovani che anziani, quasi sempre residenti in una
casa di proprietà, in possesso di un reddito e con una educazione scolastica qualificata.
Queste persone non rientrano, se non in casi marginali, in una situazione di disagio
economico ma  la loro situazione è il frutto di più problematiche, che necessitano di un
intervento piuttosto complesso.

In tali casi, che abbiamo già affrontato con successo in contesti piuttosto variegati dal
punto di vista sociale e con differenti livelli di gravità, ci troviamo davanti a situazioni da
affrontare con estrema attenzione da molti punti di vista ; in primo luogo la grande difficoltà
degli stessi familiari a gestire una vicenda tanto delicata e dolorosa e l’accettazione di un
percorso che mette fine certamente ad un lungo periodo di disagio ma comporta scelte
estreme e radicali oltre ad un costo talvolta importante per completare i servizi necessari.

A tal fine lo staff della Cmz sia avvale di professionisti esperti in materia di diritto, in ambito
psicologico oltre che di tecnici formati proprio per affrontare la parte concreta del lavoro in
maniera efficace e garantendo risultati oltre ogni più rosea aspettativa in tempi brevi.

La fase del sopralluogo è fondamentale per garantire al cliente la concreta fattibilità del
lavoro che va gestito attentamente fin dal preventivo iniziale per garantire l’incolumità dei
tecnici coinvolti (ancor più a seguito dell’emergenza Covid 19) e poter assicurare al cliente
un esito finale soddisfacente a 360 gradi.
Garantiamo la massima riservatezza ed attenzione ai dettagli in ogni fase per
accompagnarvi nella risoluzione di queste problematiche ; non esitate a contattarci per
una prima consulenza telefonica.

Come pocanzi descritto, il barbonismo domestico è un disturbo psicologico di cui soffrono


moltissime persone in tutto il mondo e che porta le loro vite a essere sommerse tra
sporcizia, scarti di cibo, rifiuti, muffa. Dormono in mezzo ai topi e agli escrementi animali.
Si chiama “barbonismo domestico”, un modo estremo di esternare un malessere interiore,
riducendo la propria abitazione ad una sorta di discarica emotiva. Spessissimo sono
necessari diversi viaggi in discarica, nessun problema, i nostri partner lo potranno fare nel
pieno rispetto delle corrette procedure comunali.

I proprietari degli appartamenti non vivono in povertà, anzi, spesso dimorano in ville o
appartamenti di prestigio, trasformati nell’arco di anni in baracche, molto sporche, che
richiedono interventi di pulizie straordinarie molto impegnative. E’ spesso la prima chiave
di svolta per chi decida di uscire da un peso psicologico di tale portata. Chi si rivolge a
noi è perchè ha deciso quantomeno di provarci.

Ciemmezeta è specializzata in interventi mirati e soprattutto molto discreti.

E’ il giusto partner per aiutare chi ha deciso di mettere ordine nella propria vita e non solo
e soprattutto, nella propria casa.

Chiamateci in ufficio ai numeri 039/2001834 oppure 039/2622241 per un preventivo


totalmente gratuito e senza impegno e chiedete di parlare esclusivamente con Gigliola.
Vi saprà ascoltare, seguendo ogni Vostra necessità e gestirà la situazione personalmente,
con la dovuta e discreta professionalità di chi ha già avuto molte esperienze in un settore
cosi delicato.

Gigliola organizzerà per Voi la squadra, adoperandosi al meglio per combinare giorni ed
orari più favorevoli all’intervento, proponendo, successivamente alle pulizie di primo
ingresso, un supporto settimanale o a chiamata, per potere poi mantenere un decoro
costante dell’abitazione.

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