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GILBERTO
FANFONI
Gilberto Fanfoni prima
ancora di dare sfogo alla sua
passione cinefila frequentando la
Facoltà di Medicina Veterinaria ha
avuto cani di diverse razze.
Il primo fu un bouledogue francese, di cui si
accattivò la simpatia giocando nella sua infanzia, Ha poi
posseduto ed allevato cani di razze diverse: dai fox
terrier, agli alani, ai pastori tedeschi, ai welsh corgi, ai
dalmati.
Ebbe la fortuna di svolgere decine di assistentati con
Maestri della Cinofilia ufficiale come il dr. Barbieri, il
Conte Brasavola, il mitico Giulio Colombo, il conte
Gatto, il dr. Gorrieri, la N.D. Grondona de Gresti, il prof.
Solaro, tanto per citarne alcuni.
Il colpo magico di fortuna l’ha avuto nascendo
nipote del Cav. Angelo Tavazzani che non ha proprio
potuto fare a meno di aiutarlo a sviluppare la latente
passione cinefila.
Si ritrovò ad essere il più giovane Giudice dell’Ente
Nazionale della Cinofilia Italiana. Non accettò
supinamente i metodi addestrativi a quel tempo in voga
ed in collaborazione con il dr. Claudio Bussadori e
Vittorino Meneghetti, fondò la scuola di pensiero tutta
italiana che diffuse “l’addestramento naturale” del quale
oggi tutti discutono, ma che allora fu una continua serie
di contrasti con l’apparato burocratico della cinofilia
europea.
Come Giudice divenne noto ed officiò in quasi tutta
Europa anche in manifestazioni a livello mondiale, fino al
giorno in cui ebbe un contrasto più violento degli altri con
l’apparato e si chiuse nel suo pensatoio. Per diversi anni
fu Membro fattivo del Comitato prove dell’ENCI per le
razze d’utilità e per le razze da caccia in tana. Fu Vice
presidente della Società Amatori del Pastore tedesco
(S.A.S.) con la responsabilità dell’intero settore
addestramento che trasformò presto in “settore carattere”.
Nella sua qualità di selezionatore della squadra
italiana per i Campionati europei del pastore tedesco, ha
rappresentato più volte l’Italia nei Congressi
internazionali. Ha sviluppato molte teorie sullo studio del
comportamento del cane domestico, anche in contrasto
con opinioni qualificate.
Divenuto un profondo conoscitore dell’impiego del
cane nell’ambito della Protezione civile rivestì diversi
incarichi nelle organizzazioni specialistiche. È stato
Consulente tecnico del Corpo Nazionale di Soccorso
alpino per i cani da valanga; docente di psicologia canina
ai corsi di preparazione delle Unità cinefile da scovo in
macerie sia alla Scuola di Trento che a quella di Milano;
ed ancora Consulente e Docente alla Scuola di
formazione delle Unità cinefile di Ser-rada per i cani da
ricerca in superficie e Giudice delle prove di abilitazione
per entrambe le specialità. È stato Membro fin dagli
esordi della Accademia delle Scienze e Tecnologie della
protezione civile del Centro Studi e Ricerche “G. Natta”.
È morto nel 1999 alla vigilia dei suoi settant’anni e del III
millennio a cui lascia le sue idee.
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COLLANA DI CINOTECNIA
DIRETTA DAL DOTT. FRANCO BONETTI
Associazione Culturale
Editrice San Giorgio
Via Nazario Sauro, 1/2°
40121 Bologna
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GILBERTO FANFONI
GIUSEPPE MONTELEONE
PSICOLOGIA
DEL CANE
IL COMPORTAMENTO DEL CANE DOMESTICO
EDITRICE SAN
GIORGIO BOLOGNA
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G.F.
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Ringraziamenti
Gilberto Fanfoni
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Presentazione
Gilberto Fanfoni è stato nella seconda metà del secolo scorso uno dei
Giudici di Prove di lavoro per cani di utilità fra i più preparati ed apprezzati.
Mi sono spesso trovato a. giudicare con Lui e nelle pause serali delle
manifestazioni, spesso conversando insieme, potei scoprire con sorpresa e
ammirazione la Sua rara conoscenza di una materia assai poco diffusa: la
psicologia del cane.
Ebbi molto da imparare da Lui e sarei stato interessato ad approfondire
ancora numerosi aspetti di questa disciplina se Fanfoni, per motivi strettamente
personali, non avesse deciso di eclissarsi dal mondo della cinofilia per diversi
anni.
Poi improvvisamente venne a trovarmi a Bologna e mi presentò un suo libro
appena edito dal titolo “Un cane entra in casa. Istruzioni per l’uso”
Poco tempo dopo ci rincontrammo e in questa occasione, pur
complimentandomi con lui per il libro decisamente divulgativo che avevo nel
frattempo letto, non potei esimermi dal dichiarargli che con le Sue cognizioni di
psicologia animale, avrebbe dovuto impegnarsi in un’opera più importante e
significativa.
Sul momento rimase perplesso, non volle esprimersi, ma non molto tempo
dopo mi informò di aver accolto il mio invito e di essersi messo al lavoro per
realizzarlo.
Passò un periodo di tempo non breve; successivamente appresi che il libro
era stato scritto e che gli argomenti trattati erano stati utilizzati con successo nel
corso di lezioni tenutesi con Danilo Giorgio presso la Facoltà di Veterinaria
dell’Università di Teramo, lezioni d’avanguardia, volute dal Prof. Zaghini
dell’Università di Bologna e Teramo, ma purtroppo, nel frattempo, Gilberto
Fanfoni ci lasciava senza aver potuto vedere stampato il Suo libro.
Solo oggi L’Editrice San Giorgio mi lui fatto la gradita sorpresa di
presentarmi la prima bozza dell’opera, pregandomi di scriverne una
presentazione.
Ho accolto con piacere l’invito e dopo aver letto questo libro con molta
attenzione e soprattutto con grande interesse, mi sento di concludere che trattasi
di un’opera importante, di notevole valore tecnico, ricca di citazioni desunte da
importanti scritti di specialisti del settore, svolta con rigore scientifico e al
tempo stesso con un linguaggio semplice e sciolto, che ne facilita la
comprensione.
Mi sento perciò di raccomandarne la lettura ai Giudici, ai Medici
Veterinari, agli Allevatori e Cinofili perché sono convinto che consentirà a tutti
di arricchire le proprie conoscenze personali approfondendo un tema di cui fino
ad oggi troppo poco si è scritto e divulgato.
Dr Franco Bonetti
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Precisazione
Premessa
Capitolo I
ORIGINI ED
EVOLUZIONE
DELLA PSICOLOGIA
CANINA
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Konrad Lorenz nel suo libro “E l’uomo incontrò il cane” ipotizza il primo
incontro pacifico fra un nostro progenitore primitivo ed uno sciacallo con una
ricostruzione fantasiosa, ma romantica, che potrebbe essere vicina alla realtà.
L’uomo e lo sciacallo sono rivali nella caccia alle prede destinate alle
rispettive mense. L’uomo, armato delle lance con le punte in osso, e lo sciacallo,
in branchi sparuti, sono entrambi predestinati ad avere pochi successi e la
continua necessità di cacciare porta entrambi i clan ad essere costantemente
nomadi, sospinti del resto anche dal terrore verso i grandi predatori tanto feroci e
potenti.
La casualità dell’incontro fra un ragazzo ed un cucciolo di sciacallo, forse
ciascun rimasto un po’ isolato rispetto al suo clan, favorisce la possibilità che per
la prima volta un animale accetti del cibo... dall’uomo! Questo semplice fatto
sollecita l’attenzione di un uomo dalla mente più sveglia, e gli suggerisce che
una collaborazione può aiutare entrambe le specie a stare insieme in modo più
proficuo e quindi a vivere meglio.
È logico ritenere che non tutti gli sciacalli siano da subito disponibili a
trasformarsi in cane, in pratica a dividere con l’uomo il cibo, il ricovero, i rischi,
i successi, gli insuccessi. L’uomo inizia una selezione mirata ad avere dei bravi
collaboratori fra gli sciacalli pseudodomestici e a trasformarli in cani veri e
propri, applicando, senza saperlo, le regole della psicologia canina. La ricerca
delle doti naturali che rendono confacente all’uomo il canide primitivo significa
selezionare gli individui secondo criteri utilitaristici, con la sola aggiunta di un
sia pure primitivo apprendimento.
Altri autori ritengono che il progenitore del cane sia il lupo, o il dingo od il
coyote. Questa pluralità potrebbe aver favorito nel tempo la così grande
diversificazione fra le attuali razze canine. Oggi però si preferisce considerare il
lupo come il principale, se non l’unico, progenitore del cane domestico.
Da quel giorno, passarono molti secoli, millenni forse, prima che il
progenitore del cane moderno, derivato dal lupo o dallo sciacallo, potesse avere
altre funzioni nel clan dell’uomo. Le prime sistemazioni stanziali dell’uomo
furono rese possibili sfruttando il cane non solo come cacciatore, ma anche come
guardiano. Il cane cacciatore permise all’uomo delle battute meno impegnative e
più vicine al luogo abituale di residenza; quello da guardia consentì la vigilanza
contro le altre tribù e gli altri predatori.
A seguito del consolidarsi delle comunità stanziali, fu possibile coltivare dei
vegetali destinati all’alimentazione e l’uomo iniziò così la lenta trasformazione
da cacciatore a contadino. Divenne anche più facile trattenere del bestiame e
l’uomo divenne pastore. Solo il cane poté condurre il gregge e difenderlo giorno
e notte da altri predatori. Senza il cane la pastorizia non sarebbe mai nata.
Fu dunque compiuto un successivo passo, sempre involontario, verso lo
studio della psicologia canina. Per compiere questo passo divennero
indispensabili una selezione dell’indole del cane e la conseguente assimilazione
di talune regole fondamentali, un po’ più complesse, di comunione di vita fra due
specie. Certo la selezione fu brutale: solo i soggetti rispondenti appieno ai
bisogni dell’uomo furono accettati nel gruppo, gli altri crudelmente soppressi per
togliere di mezzo inutili bocche da sfamare ed anche dei possibili concorrenti
all’ancor scarso cibo.
In qualsiasi periodo storico lo studio degli animali ha portato come prima
conseguenza alla loro classificazione; così Senofonte, quattro secoli prima di
Cristo, divise i cani in due soli gruppi: a) da caccia; b) da guardia.
La selezione del cane su basi unicamente caratteriali continuò per molto
tempo ancora con l’affidamento d’altre incombenze, come quella ad esempio
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leverarius-harriers=
segugi
hounds terrarius-terrier=
terrier
venatici= caccia alla sanguinarius= grandi
selvaggina da pelo seguci
.gentle kind= agaseus-gaze hund
cani da sport cani tipo pointer
huntig
lepararius= levrieri
dauncers= cani da
saltator
spettacolo
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Capitolo. II
L’EVOLUZIONE
DEL CANE
DOMESTICO
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Nella prima fase o stadio tipico del cucciolo (cranio globoso, abbondanza di
rughe) il suo aspetto e gli atteggiamenti sono così disarmanti che non viene
disturbato dai conspecifici, anzi, allo stato selvatico, si salva, talvolta, anche
dall’aggressione del predatore. Non è raro infatti che una femmina di predatore,
frenata proprio dall’aspetto del cucciolo, finisca con l’assumersi l’incarico
d’allattare quella che avrebbe potuto essere una preda molto comoda da
catturare.
Il comportamento del cucciolo, in questa fase, è di estrema dipendenza
parentale e di totale diffidenza verso gli estranei di qualsiasi specie, davanti ai
quali, in genere, guaisce e scappa nell’angolo più recondito della cuccia.
La seconda fase è quella del gioco: l’aspetto fisico muta per una minore
globosità generale del cranio e la tendenza delle rughe a scomparire. Il
comportamento rivela una minor diffidenza verso il mondo esterno in modo tale
che il cucciolo tende ad esplorarlo, e la motivazione dei suoi comportamenti
s’identifica con il gioco. Inizia ad essere indipendente dalla madre.
La terza fase è definita della parata: essa inizia quando la lunghezza del
muso diventa maggiore ed il cranio tende ad appiattirsi molto e le orecchie sono
portate semi erette.
La tendenza del cucciolone è d’inseguire e bloccare qualsiasi oggetto od
essere in movimento da lui percepito. La metodologia di questo bloccaggio sta
nel tagliare la strada a ciò che si muove. In altri termini il cucciolo “para” il fug-
gitivo, oggetto od essere animato che sia; in questa fase continua il comporta-
mento ludico ed appare una certa primitiva aggressività.
La quarta fase è indicata come stadio del tallonamento, e si rileva quando il
cucciolone ha ormai il muso sufficientemente lungo ed il cranio piatto. Dal punto
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2 - Si definisce focato il mantello, solitamente nero o marrone, che presenta dei disegni di
colore marrone/fuoco ben delimitati e particolari in alcune precise regioni della testa, del corpo e
delle zampe.
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Capitolo III
IL CAMPO
D'INDAGINE
DELLA PSICOLOGIA
CANINA
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Capitolo IV
LE DOTI NATURALI
DEL CANE
DOMESTICO
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al gruppo.
Nel caso della vigilanza quindi i due estremi della scala dei valori sia positivi
sia negativi non sono da raccomandarsi, mentre il meglio è rappresentato dai
gradi intermedi.
Abbiamo pertanto un cane:
sollecito (2+) quando la vigilanza è molto accentuata e la vastità dell’area
protetta stabilita dal cane è troppo al di sopra della media calcolabile,
attento (1+) quando la vigilanza è spiccata, ma non esagerata,
disattento (1-) quando l’intervento tarda rispetto al momento in cui si ha un
accenno di minaccia esterna,
svagato (2-) quando la reazione alla minaccia è ritardata oltre ogni normale
attesa.
La vigilanza è strettamente correlata al temperamento; non si confonda
pertanto un cane a corto di vigilanza con un cane di scarso temperamento. Il
primo caso può essere corretto con un addestramento appropriato, il secondo è
solo apparentemente modificabile.
5 - Cfr. Cap. 6.
6 - Cfr. Cap. 5.
7 - Cfr. Cap. 5.
8 - Cfr. Cap. 17
9 - Cfr. Cap. 11
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Capitolo V
L’AGGRESSIVITÀ
E LA
COMBATTIVITÀ
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L’AGGRESSIVITÀ
Il dibattito sull’aggressività del cane domestico divampa violento ogni volta
accade un fatto clamoroso: un “amico dell’uomo” (ma solitamente sono più
d’uno) attacca un bambino od anche un adulto, lo morde al punto tale da ferirlo
gravemente e persino ucciderlo.
I media se ne occupano per un paio di giorni, poi del fatto non si ritrova
traccia alcuna in quanto non fa più notizia. Di conseguenza i particolari non sono
mai rivelati, né si stabiliscono le responsabilità, al di fuori di quella generica del
proprietario, non s’accenna ad una causa scatenante, non si descrive il
comportamento dell’uomo o del bimbo ferito. Nel ricordo della gente resta solo
il comportamento “assassino” di questo cane, solitamente molto tranquillo, che
improvvisamente morde e forse anche uccide senza una apparente motivazione.
Un atteggiamento dei media di questo tipo coltiva la falsa convinzione che
tutti i cani, alla fine, possano diventare pericolosi per l’uomo. La psicosi
raggiunge poi dei limiti assurdi, quando riguarda una razza che già è un poco
“chiacchierata”, ed allora nascono delle teorie fantascientifiche, del tipo che il
dobermann non può essere un cane normale, perché le dimensioni della sua
scatola cranica sono troppo piccole, per contenere un cervello normale.
Senza entrare nel merito di un singolo caso specifico, del quale del resto
nulla si conosce più, dobbiamo fare alcune considerazioni e trarne le relative
conclusioni.
In primo luogo è indispensabile riflettere che non è ancora chiara a tutti la
differenza fra due componenti caratteriali che possono essere causa del
comportamento anomalo, agendo sia in modo alternativo sia sommandosi fra
loro.
Va ricordato che solo recenti ricerche hanno potuto appurare le
diversificazioni comportamentali dovute a ciascuna componente, differenza che
si nota in misura assai contenuta nel cane selvatico, ma che quello domestico ha
sviluppato in modo sicuramente superiore proprio a seguito della prolungata
convivenza con l’uomo e quindi di averlo accolto quale conspecifico.
L’aggressività nel cane si manifesta fin da cucciolo attraverso il gioco con i
genitori e con i fratelli. Il cane deve imparare che questa dote naturale ha dei
limiti ben precisi, raggiunti i quali, la pulsione aggressiva deve trovare una sua
estinzione pressoché immediata.
Sono il padre e la madre che s’incaricano di “educare” il cucciolo e lo fanno
con adeguata severità, ripetendo più volte la tecnica prevista che scatta quando il
morso, giocoso, del figlio supera un certo livello di dolore.
Scatta allora la reazione parentale che d’un tratto blocca l’azione del giovane
cane attraverso il “morso inibitore”, tanto più violento quanto maggiore è la
stretta del cucciolo stesso. Dopo che quest’atteggiamento dei genitori si
manifesta per alcune volte, ecco che il cucciolo sta ben attento a non affondare i
dentini sul corpo del cane adulto oltre i limiti consentiti, e non lo farà più, per
tutta la vita, con i suoi conspecifici.
Il cucciolo, giocando con i suoi fratelli, sviluppa la necessaria gerarchia del
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occupano gli scalini più alti, spettano molti privilegi diventa normale che
ciascuno dei membri del clan cerchi, se può, di sopravanzare chi lo precede.
Questa disputa avviene nella maggior parte dei casi limitandosi ad un
preliminare aggressivo solo posturale e verbale, ma può talvolta degenerare in un
breve lotta che termina per dichiarazione d’impotenza di uno dei concorrenti.
Questa digressione sul cane selvatico serve per renderci conto delle diffe-
renze comportamentali che ritroviamo in quello domestico. È indispensabile
tracciare un limite preciso dal quale partire nella disamina dell’aggressività del
cane domestico e cioè che questo ritiene d’aver formato un branco insieme con i
membri della famiglia in cui vive, non importa quale ne sia il numero.
Entrato in casa da cucciolo ha subito compreso che il capogruppo è il
proprietario: questo ha equilibrio, coerenza nelle decisioni, correttezza dei
comportamenti e senso di giustizia, elementi tutti che convincono il cucciolone a
non metterne in discussione il ruolo. Con gli altri famigliari la situazione varia
secondo il reciproco interessamento: se la moglie accudisce ai bisogni
fondamentali del cane, diventa automaticamente un superiore della scala
gerarchica. I figli maggiori, secondo la loro disponibilità al gioco, assumono il
ruolo di pari grado o di sottoposti.
I figli più piccoli sono annoverati come cuccioli da proteggere ad ogni costo,
ma anche da educare come tali, e quindi da rimproverare severamente in caso
d’errori ed il rimprovero normalmente si limita ad un ringhio deciso, magari
seguito da un leggero morso, una stretta più che altro, quando davvero il
comportamento dei bambini diventa non coerente con l’armonia del gruppo.
Questo per ciò che riguarda l’interno della famiglia. Ci sono poi i parenti e
gli amici più stretti, che arrivano spesso in visita e sono considerati “affiliati” al
gruppo e tollerati, specie se tengono il comportamento che il cane ritiene
corretto: un rapporto un po’ staccato di reciproco rispetto, con nessun tentativo
d’invadere, se non accetti, l’area protetta.
Queste persone possono alternarsi nel ruolo di conspecifici o no, secondo il
loro comportamento visto sempre dalla parte del cane.
infine vi sono tutti gli altri uomini. Questi non fanno parte, neppure come
affiliati, del branco. Sono osservati con indifferenza o sospetto sempre secondo il
loro comportamento. Nello stabilire questi confini ha giocato molto la dote
naturale “sociabilità”, ed anche un mirato apprendimento cognitivo, che è stato
svolto soprattutto nel periodo della socializzazione.
Se mancano sia questa dote naturale sia l’apprendimento, il gruppo è formato
solo dai famigliari conviventi e da un numero ristretto d’amici. Gli altri sono
considerati estranei.
In quanto ai rapporti con gli altri cani l’atteggiamento può essere duplice. Il
cane domestico che si sente inserito realmente nel clan con l’uomo e ha buoni
rapporti con tutti gli uomini in genere, rifiuta il rapporto da conspecifico con gli
altri cani, che hanno in comune a lui solo un certo tipico odore ed alcune
abitudini.
Al contrario se il rapporto con il clan dell’uomo è instabile, difficile da
vivere, ed il cane non è ben inserito, gli altri cani possono anche essere
considerati conspecifici a pieno titolo, purché rispettino le normali regole di vita
in comune.
Esistono delle differenze comportamentali sostenute da altre doti innate che
influiscono sulla pulsione aggressiva: non è pensabile, infatti, paragonare il
comportamento frenetico, vivace, impulsivo del fox terrier e quello un po’
pacioso, sornione, talvolta apatico del bracco italiano.
Il temperamento, la docilità, la sociabilità giocano un ruolo altrettanto
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indispensabile la combattività.
Una seconda differenziazione può essere fatta fra il cane che vive
normalmente in appartamento e quello che, vivendo in villa od in allevamento,
trascorre gran parte del tempo fuori della casa. Si nota che il secondo cane è
sicuramente più aggressivo del primo, per il semplice fatto che quello
prettamente domestico ha già accumulato alcune esperienze che quello
d’allevamento o da giardino deve ancora vivere.
Che poi l’aggressività intraspecifica del cane domestico sia diventata poco
più di un rituale, è dimostrato da un esperimento che chiunque può ripetere.
Quando un cane rinchiuso in un ampio recinto, il giardino di una villa ad
esempio, è avvicinato all’esterno da un cane estraneo, naturalmente inizia
attraverso la rete metallica di recinzione un rituale aggressivo specifico. Il tutto
termina poi in un gran abbaiare ed un gran correre avanti ed indietro dei due cani
ciascuno dalla propria parte della recinzione. Questa ha normalmente un
cancello, che i proprietari timorosi che il loro cane possa scappare, tengono
sempre accuratamente chiuso. Ebbene se un giorno fosse aperto quando già è
incominciato il rituale dell’inseguimento si potrebbe notare un comportamento
da giudicare a prima vista assolutamente anomalo. Nessuno dei cani varcherebbe
il cancello aperto per dar seguito ai tanti rituali aggressivi già consumati. Perché?
Semplicemente perché il rituale non era aggressivo, ma ludico. Varcando la
soglia del cancello uno dei due cani interromperebbe il gioco: perché far cessare
un passatempo così divertente?
Al cane domestico restano ben poche occasioni per sviluppare
comportamenti aggressivi. Può giungervi ancora per la preclusione d’ogni via di
fuga, nel caso in cui ritiene l’atteggiamento della controparte sicuramente
minaccioso, ma è un’evenienza che si ritrova piuttosto nel cane d’allevamento,
che in quello domestico. La fuga, di fronte ad un avversario considerato
gerarchicamente superiore oppure di tipo sicuramente dominante, è un’evenienza
che tende a scomparire nel cane domestico, preferendo un diverso atteggiamento
di subordinazione o di sottomissione. Del resto che senso avrebbe la fuga di
fronte all’uomo capogruppo, se poi si deve sempre dipendere da lui per il
soddisfacimento dei bisogni primari?
L’atteggiamento di fuga si ritrova ancora nei cani che hanno la sfortuna
d’avere a che fare con un proprietario distratto, nel migliore dei casi, o tanto
sprovveduto e sciocco da non comprendere il comportamento di sottomissione
del proprio soggetto. È lampante che un proprietario che continui a ritenere che
la punizione sia la sola strada percorribile per ottenere dal cane l’ubbidienza,
obbliga quest’ultimo a rivedere tutto il sistema di comunicazione.
In questo caso, che non è poi così infrequente, sono diversi i cani che
adottano la fuga come estrema soluzione.
Resta la difesa dell’area protetta. Ecco un nuovo motivo che porta a
considerare come il cane domestico stia perdendo progressivamente il concetto
originario di territorio. Dell’area protetta fa parte anche l’automobile che a stretto
rigore non dovrebbe appartenere al territorio: quali risorse venatorie può dare
infatti un automobile?
Però l’estraneo che s’avvicina all’automobile, lo fa mettendo alla prova il
patto di mutuo soccorso fra proprietario e cane, patto che si basa sui reciproci
compiti di difesa dell’area da loro vissuta. Poiché il proprietario non difende
l’auto, quando per esempio è fermo al casello autostradale, ecco che alla bisogna
si sente in dovere di supplire il cane. A quel punto diventa assolutamente patetico
lo sforzo del proprietario, frastornato dall’abbaio e preoccupato per un eventuale
e possibile intervento aggressivo del cane, che tenta di tenerlo calmo, magari
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LA COMBATTIVITÀ
La COMBATTIVITÀ contempla una risposta di lotta - quindi il mordere -
ad uno stimolo esterno che è considerato dal cane come spiacevole o
minaccioso, da chiunque portato.
Alcuni cani vi giungono attraverso la pulsione aggressiva e dopo averla
scaricata, altri invece vi arrivano direttamente senza che sia implicata
l’aggressività.
Questo dipende sia dal grado d’addestramento, sia dall’assimilazione di
diverse esperienze, autonomamente sviluppata nel singolo soggetto.
La combattività come reazione di lotta, è quindi una risposta volontaria a cui
il cane ricorre, solitamente, in casi estremi, o a cui è portato per errori di
preparazione e di inserimento nella società dell’uomo. Potrebbe essere indicata
come un residuo istintuale mal interpretato e dovuto nel cane domestico da
fattori esterni al soggetto.
Per stabilire semplicisticamente ed in breve la differenza fra aggressività e
combattività si potrebbe definire la prima come il pugilato sul ring e la seconda
come la rissa in osteria. La prima con delle regole ben precise, la seconda
totalmente priva di norme codificate.
La combattività è essenzialmente una reazione di lotta di fronte ad uno
stimolo esterno ritenuto pericoloso dal cane. Non è quindi un’azione volontaria
come l’aggressività, ma una risposta a stimoli esterni. Nel tempo la combattività,
è stata chiamata: istinto di lotta, istinto a mordere ed anche confusa con la
competizione (che al contrario è una spinta ad emergere e non una lotta fisica) e
soprattutto facente parte dell’aggressività.
È molto importante quindi chiarire cosa significa “stimolo esterno
pericoloso” perché la combattività ha una sua prerogativa: è una risposta che non
può avere inibizioni di sorta tanto che, una volta innescato il processo, molto
difficilmente può essere bloccato.
Un semplice gesto che in altre occasioni potrebbe non avere significato
alcuno, può, per esempio, scatenare la combattività all’interno dell’area protetta.
Un gesto, come il chinarsi sul cane, costituisce una postura di minaccia, tanto è
vero che il conduttore l’adotta proprio quando deve rimproverarlo.
Una mimica che richiami la gestualità dell’uomo d’attacco, per un cane
addestrato alle prove, è individuato come uno stimolo pericoloso, così il corrergli
incontro urlando oppure anche il trepestare i piedi sul posto. Insomma sono
stimoli pericolosi tutti quelli che evocano passate esperienze che il cane ha
classificato come spiacevoli e che non desidera affatto ripetere.
Per evitarle il cane risponde combattendo e dal momento che non può
praticare arti marziali, usa l’unica arma che possiede: il morso.
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Ecco la spiegazione più probabile dei diversi incidenti che hanno visto dei
cani mordere a fondo non solo degli sconosciuti, ma anche dei membri del
gruppo familiare.
Solitamente il cane domestico che si sente minacciato dapprima tenta una
ritirata, perché lo spirito di autoconservazione lo guida in questo senso; è un
momento d’avvertimento molto importante che può durare anche solo pochi
secondi. L’uomo in questo caso dovrebbe immobilizzarsi e rassicurare il cane
con un lungo discorso, anche sconclusionato, ma sempre rivolto con toni gentili e
calmi, assolutamente privi di qualsiasi accenno di paura. In questo caso il cane
dopo un tempo neppure lungo si calma, si convince delle buone intenzioni e può
anche avvicinarsi con curiosità e poi senza diffidenza a chi gli ha evocato una
minaccia,.
Ogni cane ha una sua “distanza di fuga”, che coincide con lo spazio minimo
che separa il soggetto dalla presunta minaccia, e che consente ancora la
possibilità di scelta fra la ritirata e l’attacco. Questa scelta fra le due soluzioni è
obbligata solo con gli appartenenti a specie diverse, mentre con i conspecifici
esiste anche una terza possibilità: l’attuare un comportamento di sottomissione.
Pertanto la “distanza di fuga” non è sempre aprioristicamente quantizzabile
da parte dell’uomo, perché dipende dalla socializzazione già acquisita dal cane,
dal suo attuale stato di salute, da un eventuale senso di timore, e da altri fattori
endogeni ed esogeni.
Il fatto che solo con i conspecifici il cane attui atteggiamenti (posture) di
sottomissione, deve consigliare all’uomo la massima attenzione alle sue reazioni
quando s’imbatte in queste posture. Tale attenzione va raddoppiata ove il cane
sia normalmente legato alla catena oppure rinchiuso in un recinto dalle
dimensioni relativamente piccole.
Superata questa fase di fuga senza che l’uomo, per ignoranza o per
noncuranza, cessi dalla sua, anche inconsapevole, azione minacciosa, il cane non
fugge più e si lancia decisamente all’attacco. Il morso del cane, è ben noto, fa
molto male, anche quando è portato in modo molto leggero, per la compressione
esercitata sui tessuti cutanei. La reazione dell’uomo è normalmente duplice:
grida per lo spavento e per il dolore ed accentua così la minaccia, ed inoltre tenta
di strappare il braccio o la gamba dal morso, azione alla quale corrisponde una
reazione analoga, ma in senso contrario. Il cane tira a sé l’arto e provoca quindi
nuovo dolore e nuovo spavento.
È difficile anche per un esperto a quel punto cavarsela con poco danno, se
poi ad essere affrontato è un bambino od una donna debole, il guaio può anche,
essere molto grave, forse irreparabile.
Diverso è il caso dei cani da combattimento. Questo crudele sport vede
protagonisti dei cani abituati sin da piccoli alla lotta, hanno in genere una tempra
durissima e probabilmente provano piacere nel combattimento.
L’esperienza ha un effetto notevole sul successivo comportamento. Il cane
con combattività limitata, ma sempre a livello apprezzabile, che vinca o perda
vede diminuire la qualità della propria risposta.
Al contrario nel cane con combattività spiccatissima le vittorie l’aumentano
ancora e le sconfitte la scalfiscono molto relativamente,
Due conseguenze quindi diverse fra loro e legate probabilmente alla tempra
ed alla somma delle esperienze assunte.
L’americano Thorndike ha definito la combattività come “il piacere
dell’eccitarsi”; l’austriaco Menzel l’ha chiamata “amore per la lotta”.
Comunque la si voglia definire, anche ingentilendola, la combattività è una
cattiva compagna di viaggio per il cane domestico e dovrebbe essere ben valutata
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10-Cfr.Cap. 14.
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Capitolo VI
GLI ISTINTI,
GLI_IMPULSI
E_LE_MOTIVAZIONI
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Nel corso di quest’ultimo secolo tutti gli studiosi del comportamento animale
si sono interessati agli istinti, vuoi per avvalorarne l’importanza, vuoi per
sminuirla secondo i momenti e le scuole di pensiero predominanti. All’inizio del
secolo per lungo tempo gli Istinti furono considerati come un modello
sostanziale di comportamento. Nel 1908 lo psicologo inglese William
McDougall scriveva: “Possiamo assicurare che direttamente od indirettamente
gli istinti sono i motori principali di tutta l’attività dell’uomo (!). Se togliessimo
questi impulsi potenti, l’organismo non sarebbe capace di svolgere alcuna attività
e rimarrebbe immoto ed inerte come un orologio cui fossero state tolte le
lancette”.
Subito dopo gli anni venti, s’incomincia a studiare gli effetti
dell’apprendimento, in maniera più decisa, e su piani diversi da quelli tracciati
dal Pavlov.
Gli studi di Thorndike e di Skinner sul condizionamento operante, tolgono
valore agli istinti, poiché il comportamento dell’animale è profondamente
segnato da quanto riesce ad apprendere. L’apprendimento può mutare, anzi muta,
tutta l’influenza del bagaglio genetico sino a trasformare totalmente il
comportamento dell’animale. Quindi gli istinti passano in seconda fila e servono
solo a spiegare certi comportamenti anomali che ogni tanto s’affacciano
nell’animale e che sono tutto il contrario, ma in senso negativo, di quello che
dovrebbe essere il comportamento corretto.
Arrivano poi gli etologi che restringono il loro campo di ricerca ai soli
animali viventi allo stato brado, od almeno di preferenza verso questi.
Abbiamo quindi oggi nello stretto ambito dell’etologia una certa
rivalutazione degli istinti.
Tutto ciò considerando l’intero mondo animale, ma se restringiamo il campo
alla sola specie canina, si deve considerare l’esistenza ormai conclamata dei
quattro tipi di cani già indicati (selvatici, randagi, d’allevamento e casalinghi),
ciascuno dei quali alle prese con i propri problemi d’adattamento che non sono
comuni fra un gruppo e l’altro.
Gli etologi, intesi in senso stretto, s’occupano dei cani che vivono allo stato
brado e che hanno grandi capacità decisionali e sono indipendenti dall’uomo. Nel
momento in cui gli etologi applicano nell’ambito del cane domestico le loro
teorie comportamentali, non mancano gli equivoci. Si trovano infatti coinvolti
nella difficoltà di districarsi nei problemi, loro sconosciuti perché non cinofili.
Intorno agli anni settanta, per esempio, fece clamore il caso di un allievo del
Lorenz, che per verificare alcune teorie sui cani domestici scelse come soggetti
da esperimento i dingo, dei meticci raccolti per strada e dei norsk elghund
norvegesi, tutti tenuti in un contraddittorio stato di semilibertà fra enormi recinti
e l’accesso volontario alla casa dell’esperimentatore.
Questo non rifletté, dal suo canto, che il dingo non è mai stato animale
domestico, che i meticci non possono fornire buoni punti di riferimento, giacché
troppo sconosciuto è il loro bagaglio genetico, e che gli elghund, sino a vent’anni
addietro, non erano mai entrati nelle case dell’uomo.
Purtroppo i libri di quest’Autore furono diffusi anche in Italia da una
importante Casa editrice, ed ebbero una grande divulgazione, destando scalpore e
curiosità anche nell’ambito della cinofilia ufficiale. Ci vollero poi anni di duro
lavoro con la base cinofila, perché gli equivoci derivanti dalle asserzioni di quel
ricercatore potessero essere chiariti e ristabilita la verità.
Naturalmente questa critica specifica non inficia minimamente, né lo
potrebbe, la validità dell’enorme mole di lavoro svolta dagli etologi
comportamentisti, vuole solo indicare come possa essere difficile, per chi non è
49
GLI ISTINTI
Gli istinti sono, oggi, definiti come “modelli di comportamento, per cui
TUTTI gli individui appartenenti ad una STESSA SPECIE reagiscono in
modo assolutamente IDENTICO ad uno stimolo SPECIFICO”.
Deve essere ben chiaro che questa definizione è valida solo nella sua
interezza: solo che manchi una delle condizioni suesposte viene a cessare la
possibilità di chiamare istinto la pulsione che guida il comportamento del cane
domestico.
Gli istinti dunque debbono rispondere, per essere considerati e riconosciuti
come tali, alle seguenti inderogabili condizioni:
a) stereotipati, vale a dire con le risposte che seguono sempre, anche in
50
GLI IMPULSI
Gli impulsi sono tendenze ad agire senza alcuna determinazione
preliminare. Per questa ragione si differenziano dagli atti volontari e sì
manifestano all’improvviso, ma per quanto attiene alla determinazione
differiscono totalmente dagli istinti.
Nell’ambito della psicologia umana gli impulsi sono quasi tutti
scolasticamente correlati a fenomeni che in qualche misura riguardano
l’aggressività e, talvolta, in campo patologico la volontà di compiere atti illeciti e
d’avere comportamenti asociali.
In psicologia del cane domestico, si preferisce definire impulsi quelle
manifestazioni, che sono il derivato diretto degli istinti del progenitore selvatico,
e che si sono modificati nel corso dei secoli di vita trascorsi a fianco all’uomo.
perdendo lentamente la loro valenza originaria a ragione delle modificazioni
comportamentali che sono il frutto dell’esperienza appresa.
Talvolta, anche in psicologia canina, un comportamento che è ritenuto
dall’uomo anomalo ed asociale, ha una sua base in qualche istinto primitivo del
cane selvatico, che è rimasto anche in quello domestico e che riaffiora
improvvisamente senza che ci siano segnali premonitori. Alcuni avvenimenti
tragici come l’assalire all’improvviso degli essere umani, preferibilmente
bambini o persone dagli atteggiamenti incerti, accadono proprio a causa di
comportamenti istintuali che evidentemente sono attivati in particolarissime
circostanze, quando in altri termini il comportamento appreso e la somma delle
esperienze non possono intervenire efficacemente a bloccare l’istinto. È possibile
51
quindi ritenere che istinti ed impulsi siano derivati dalla stessa matrice, ma la
convivenza con l’uomo e la qualità dell’apprendimento, hanno fatto sì che nel
cane domestico, gli schemi fissi istintivi si siano diluiti e mutati in risposte
flessibili che è pertanto opportuno definire come impulsi per necessità di
chiarezza di linguaggio. Mentre, nel cane domestico, gli istinti non provano a
monte nessuna spinta ad agire, gli impulsi sono regolati dalle motivazioni.
LE MOTIVAZIONI
Il professore Audrey Manning dell’Università di Edimburgo, autore de “Il
comportamento animale” rileva che la risposta dello stesso cane allo stesso
stimolo, presentato però in tempi diversi, può variare e di molto.
Da questa constatazione sono partite le ricerche che hanno portato
all’individuazione, nel cane domestico, della “motivazione” o “drive” che si
manifesta come una forma d’interesse ad uno specifico evento manifestato in un
momento determinato. La motivazione è ovviamente un fattore interno
all’individuo e quindi non immediatamente determinabile come tale, ma solo in
conseguenza del comportamento che innesca, ed è rivolta ad uno specifico
scopo. La motivazione è di carattere fisiologico (sete, fame, eccetera) ed allora si
preferisce chiamarla “bisogno”, oppure è un processo d’ordine psicologico. Essa
condiziona a tal punto il comportamento del cane domestico da sovrastare anche
agli impulsi ed a supplire, talvolta, anche a mancanze di doti innate. Per esempio
un cane tenuto a digiuno ha come motivazione principale il soddisfacimento del
bisogno fame11, e di conseguenza non esegue volentieri gli eventuali esercizi
richiesti, e talvolta non li esegue affatto perché troppo motivato dal bisogno fame
per ascoltare stimoli diversi.
Il cane per la ricerca di dispersi in superficie ha come motivazione di base il
ritrovamento di quell’uomo determinato e non di un uomo qualsiasi, mentre
quello per lo scovo su macerie segnala la presenza di tutti gli uomini sepolti,
senza distinzione alcuna. Questa sostanziale diversità di motivazione fa si che il
cane da ricerca non può svolgere, con grandi probabilità di successo, il lavoro di
scovo su macerie od in valanga, e naturalmente viceversa.
Qualche anno fa durante una prova di lavoro per cani delle Forze di polizia
svoltasi sulle pendici del Monte Pellegrino a Palermo, un gregge di pecore ha
attraversato la pista di un cane della Pubblica sicurezza, proprio mentre questo
stava per sopraggiungere. Il cane ha attraversato tutto il gregge di pecore, senza
distrarsi un solo attimo dal suo lavoro di ricerca della pista; e si trattava di un
pastore tedesco, quindi esponente di una razza da condotta e difesa delle pecore.
La motivazione “seguire la pista” era tanto forte e pregnante, che l’impulso a
radunare il gregge venne tacitato nel modo più assoluto e convincente.
Quando il “drive” si ripete con frequenza innesca una “tendenza”.
Nell’esempio precedente del cane affamato possiamo parlare di drive
alimentare, ma se la situazione dovesse ripetersi più volte dovremmo definirla
come tendenza nutrizionale.
Lo studio delle motivazioni è molto facile nell’uomo perché si può risalire
alle “emozioni”12 che provocano le motivazioni stesse. Nel cane domestico
conosciamo solo poche emozioni attraverso le sue risposte di fronte a
determinate situazioni che sono misurabili perché d’ordine fisiologico: quali
l’aumento della frequenza cardiaca, la secchezza delle fauci e del tartufo,
eccetera.
Sono state riscontrate emozioni del tipo: gelosia, paura, rabbia, nervosismo,
52
ma anche una forte protezione del gruppo, della custodia della casa e così via.
Dall’osservazione diretta del comportamento del cane, senza quindi riscontri
fisiologici misurabili, notiamo come talvolta un soggetto di rango elevato non
potendo portare la sua sfida ad un ipotetico avversario, perché da questi isolato,
s’avventa sul primo sottoposto a disposizione e l’attacca. Si tratta di un
comportamento sostitutivo13. In linea generale si possono definire tre momenti
dello sviluppo e dell’attuazione di una specifica motivazione. Il primo riguarda la
ricerca dell’obiettivo della motivazione. Il secondo mette in azione il
comportamento orientato a raggiungere l’obiettivo. Il terzo consta in una fase di
riposo o di quiescenza della motivazione specifica.
L’esempio classico può essere indicato nel lavoro del cane per la ricerca dei
dispersi in superficie. Il primo stadio comporta il lavoro del cane che, naso a
terra, tende a dettagliare tutte le orme per poi scegliere quella che ritiene essere
la giusta da seguire. Una volta che il cane ha potuto e saputo rintracciare
quest’emanazione sul terreno, alza la testa al vento, si dispone in direzione
opposta alla corrente d’aria predominante in loco ed attua il secondo stadio della
motivazione finendo con l’entrare nel cono dell’odore14. Rintracciato il disperso
il cane ha un periodo di quiescenza della “motivazione ricerca di quel
determinato uomo”. Questo non significa che la quiescenza riguardi tutte le
motivazioni, al contrario coinvolge solo quelle specifiche.
Normalmente il disperso in superficie è solo, ma può avvenire che siano in
due che sono inizialmente insieme e che poi si dividono per avere una maggior
probabilità di salvezza. Il cane in questo caso riprende subito la ricerca del
secondo uomo: come è conciliabile questa soluzione con la norma del terzo
stadio della motivazione che prevede la quiescenza? La soluzione è molto
semplice: il cane per la ricerca in superficie tenta di ritrovare un determinato
uomo e non tutti gli uomini indistintamente. Ritrovato che l’abbia mette in
quiescenza quella motivazione, ma resta aperta l’altra di ritrovare un secondo
determinato uomo, e così il cane può tranquillamente ripartire per terminare il
suo lavoro.
11 - Il bisogno non è solo uno stato di mancanza fisica (come il bisogno di bere), ma anche di
carenza psichica come il bisogno affettivo.
12 - L’emozione è una reazione affettiva intensa e di non lunga durata determinata da stimoli
ambientali: il bello delle Dolomiti, il pauroso della valanga, eccetera,
13 - Cfr. Cap. 17.
14 - Il “cono dell’odore” è la forma che assume l’emanazione dell’uomo disperso, sotto la spinta
del vento. La punta del cono è costituita dalla vittima, mentre l’odore trasportato dal vento tende
a disperdersi in ogni senso longitudinale alla direzione del vento: per questo motivo la
55
Capitolo VII
I PROCESSI
DELL’APPRENDIMENTO
57
L’APPRENDIMENTO
L’argomento sarà trattato dettagliatamente nei successivi capitoli. Qui
importa ricordare che esistono due grandi categorie d’apprendimento:
a) la disordinata, che costituisce la via normalmente percorsa da quasi tutti i
cani domestici del quale il proprietario s’occupa poco e male non
ritenendo sia necessario attuare un concreto piano d’inserimento nella
vita sociale e tanto meno un addestramento particolare;
b) la sistematica, che si basa su un programma d’inserimento del cucciolo e
sull’addestramento generico o particolare del cane domestico adulto.
LA MEMORIZZAZIONE
Secondo J.Z. Young in “Un modello del cervello” l’intero meccanismo che
regola l’apprendimento, la memorizzazione e l’evocazione dei processi mnestici,
si definisce “sistema mnemonico” proprio per esaltare la contiguità dei singoli
eventi.
È assodato che la via periferica d’acquisizione dei dati è costituita dal
sistema sensoriale. Nel cane domestico sono molto ben sviluppati il sistema
olfattivo e quello uditivo, in secondo piano quello visivo e di minor uso gli
apparati tattile e gustativo.
Allo stato attuale delle conoscenze tutti i meccanismi che accompagnano
l’immagazzinamento dei dati, non sono completamente chiariti, tuttavia si può
correttamente affermare che la corteccia cerebrale ha un’importanza
fondamentale nel processo di memorizzazione.
I dati percepiti dai sensi sono trasmessi alla corteccia cerebrale che ha delle
“aree sensoriali” specifiche per ciascuna provenienza.
58
LA MEMORIA O RICORDO
La memoria è la capacità di conservare e d’evocare quanto si è appreso.
È però anche la possibilità di collegare le diverse esperienze fra loro e costi-
tuisce anche un aspetto dell’intelligenza.
La memoria è strettamente collegata all’apprendimento perché non si può
ricordare ciò che non si è appreso, e risulta più facile memorizzare ciò che si è
appreso bene e ripetutamente.
Le vie d’accesso alla memoria sono i sensi, capaci di trasformare degli sti-
moli e delle risposte, in impulsi diretti al sistema nervoso centrale.
Gli studi effettuati per stabilire dove si trovi il “deposito” di tutte le infor-
mazioni, non hanno dato risultati univoci e convincenti.
Sembra però ormai assodato che la corteccia cerebrale giochi un ruolo molto
importante per l’immagazzinamento delle informazioni, che sono dette “tracce
mnemoniche” o “tracce mnestiche” ed ancora “engrammi”.
Allo stato attuale delle ricerche sembra che anche altre zone dell’encefalo
presiedano ad aspetti diversi della memoria. Soggetti con lesioni ai lobi
temporali ed anche all’ipotalamo hanno dato manifesti segni di deficit di
memoria.
Del resto è noto a tutti che, a seguito di un forte trauma cranico, si rileva che
il paziente conserva la memoria di moltissimi fatti del passato anche remoto, ma
ha dimenticato completamente quanto accaduto immediatamente prima
dell’incidente.
In ogni modo la localizzazione della sede o delle sedi della memoria, è un
problema che attiene alla ricerca fisiologica, mentre per chi s’occupi di
psicologia del cane domestico, assume maggior importanza lo studio degli effetti
negativi e positivi della memoria stessa sul comportamento.
Ovunque sia situato questo “magazzino” è ipotizzabile che non abbia una
capienza illimitata e che quindi esistano meccanismi adatti a tagliare la gran
parte delle informazioni, che non interessano oltre un certo livello il
comportamento del cane domestico, oppure a far permanere in memoria per
breve tempo l’informazione che poi scade di valore ed è rimossa.
Da tempo si discetta quindi di “memoria a breve termine” e di “memoria a
lungo termine”. Non tutti i fenomeni possono facilmente rientrare in queste due
condizioni e così oggi si tende ad introdurre una “memoria a medio termine”.
Constatiamo così le seguenti condizioni:
a) la memoria a breve termine è interessata da informazioni che sono
percepite dagli organi di senso del cane, e che sono però presto
dimenticate, perché non ritenute tanto interessanti da portare
l’informazione al sistema nervoso centrale. Essenziale per la
conservazione, sia pure per breve tempo, della memoria di questo tipo è
che il soggetto non sia “disturbato” da altre informazioni d’interesse
maggiore in periodo sequenziale. È probabile che questa selezione
avvenga a livelli di una qualche sinapsi dei nervi deputati alla
trasmissione d’informazioni dai sensi al sistema centrale;
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LA MEMORIA DI RAZZA
Ci interessa stabilire se esista o meno la “memoria di razza”. In pratica se un
gruppo di cani appartenenti ad una stessa razza possa avere una trasmissione
ereditaria degli engrammi. L’osservazione di molti soggetti, appartenenti tutti ad
una stessa razza, ha consentito di stabilire che certe risposte a determinati stimoli
identici, possono essere se non uguali, almeno molto simili in un numero
notevole di cani. Scartata l’ipotesi che tutti i soggetti esaminati abbiano avuto
una o più fasi d’apprendimento uguali od analoghe, non rimane che considerare
due possibilità.
60
LA DIMENTICANZA OD OBLIO
Si tratta di un processo non direttamente osservabile che produce una
diminuzione del ricordo. Si ricorda solamente ciò che si è appreso, e lo si ricorda
tanto meglio e più a lungo, quanto migliore è stato il processo d’apprendimento,
e quindi tante più volte s’è ripetuto il processo stesso.
La teoria che spiega l’insorgere della dimenticanza, prende il nome di
“teoria del decadimento” che sostiene come le tracce mnemoniche
immagazzinate nel cervello perdano lentamente valore, si dissolvano e decadano
con il passare del tempo. Il processo di decadimento è tanto più veloce, quanto
minore è il ricorso all’evocazione di queste tracce mnestiche. In altri termini se
non evochiamo con una certa frequenza i ricordi, tanto più velocemente li
perdiamo. Questa situazione sembra da addebitarsi al fatto che, in ogni momento,
il cane realizza nuove esperienze e, di conseguenza, le nuove interferiscono con
le vecchie e fanno si che queste ultime decadano. Ad un’analisi superficiale
parrebbe che le nuove esperienze abbiano necessità di “spazio” e per questo
annullino le precedenti.
In questo caso, la dimenticanza subentra più facilmente per quelle tracce
mnemoniche che sono state immagazzinate a seguito d’apprendimenti frettolosi e
poco ripetuti.
La forma di decadimento descritta riguarda ciò che si è appreso in passato e
per questo è definita come “interferenza retroattiva”. Esiste però anche una
“interferenza proattiva” vale a dire rivolta al futuro. Questa è spiegata come un
ostacolo che l’esperienza già immagazzinata pone alla memorizzazione di nuove
esperienze. Insomma il vecchio tende ad impedire la memorizzazione del nuovo,
ma il nuovo scaccia il vecchio: un bel rebus davvero!
61
Capitolo VIII
LE PERCEZIONI:
I_MEZZI
DELL’APPRENDIMENTO
63
LA PERCEZIONE GUSTATIVA
Il cane selvatico ha dei gusti particolari nello scegliere il cibo per il suo
sostentamento. Di natura è un carnivoro che però si ciba quasi esclusivamente
d’erbivori e di qualche onnivoro, quasi mai d’altri carnivori, a meno che non
abbia veramente molta fame. Dello stesso erbivoro ucciso consuma inizialmente
le viscere in toto e se, dopo quest’antipasto, non ha più fame, bada a seppellire la
parte muscolare ed ossea in luogo sicuro. La rintraccia e la mangia solo dopo
alcuni giorni quando in pratica sono iniziati i processi putrefattivi di degrado.
Il cane in via d’addomesticamento nei primi tempi della convivenza con
l’uomo si è cibato di scarti e di carogne, meritandosi il compito ufficiale
d’operatore ecologico delle comunità primitive, ruolo mantenuto poi per secoli.
Il cane ha vissuto nella comunità umana per millenni, nella sua qualità di
spazzino, anche quando l’opera d’ausiliario a caccia, nella pastorizia e nella
guardia è diventata sempre più importante.
64
LA PERCEZIONE TATTILE
Questo senso, spesso negletto dall’uomo, ha invece una decisiva importanza
per il cane, specialmente, ma non solo, da cucciolo
Il cane neonato è assolutamente cieco, quasi totalmente sordo ed ha
limitatissime capacità olfattive. La sua sopravvivenza è legata al senso del tatto,
che gli consente di percepire il calore proveniente dalla zona mammaria del
ventre del madre. È il solo segnale che può captare e che gli permette di
sopravvivere nei primi quindici giorni di vita.
Il cucciolino che scivola lontano dalla madre, muovendosi goffamente
s’orienta con il calore e si presenta davanti alla zona dove sono allineate le
diverse mammelle. Se avesse i sensi del gusto e dell’olfatto funzionanti non
avrebbe problemi per orientarsi subito verso i capezzoli, ma ciò non è, ed il
cucciolo deve suo malgrado andare per tentativi prima d’arrivare finalmente ad
approvvigionarsi.
65
La presenza di un fratello che sta già succhiando, potrebbe far pensare che il
cucciolino s’orienti sui rumori della suzione, ma ciò non è, perché è di nuovo il
calore del corpo del fratello a confonderlo e spesso lo stesso cucciolino ricerca
l’improbabile mammella sul corpo caldo del fratello.
Più invecchiato, all’epoca, dello svezzamento il cucciolo impara a sollecitare
la madre a dargli del cibo predigerito, toccando ripetutamente con la punta del
naso la commessura labiale della mamma. Lo stesso comportamento attua poi
con la persona che normalmente lo nutre, toccandolo insistentemente un po’
dovunque, non avendo la capacità d’arrivare alle labbra dell’uomo a causa della
differente altezza.
Questo gesto di “preghiera” diventa poi postura che il cane adotta con i
conspecifici di rango più elevato per avere la loro approvazione, ed il rivolgere lo
stesso tipo d’attenzione verso l’uomo capogruppo non significa volerlo
“baciare”, ma semplicemente chiedere amicizia, aiuto, protezione.
Nel corso dell’apprendimento la mano dell’uomo riveste una grandissima
importanza come rinforzo. La mano non andrebbe mai usata per punire, ma solo
per lodare.
Il cane molto socievole ama farsi accarezzare fra le orecchie, sui lati del
muso, alla giogaia, persino sul garrese, mai però sul Cranio. Quando un cane di
rango elevato vuole imporre la sua volontà ad un sottoposto, è sufficiente che
appoggi la testa od una zampa sul cranio dell’inferiore perché questi accetti
l’ordine. Allora perché il capogruppo uomo, mentre sta premiando il cane
sottoposto, deve anche sovrastarlo gerarchicamente, mentre non c’è affatto
bisogno di un simile atteggiamento?
Per quanto attiene alle percezioni tattili si può rilevare una curiosità che
deriva dall’osservazione che ad ogni azione del conduttore corrisponde un’ana-
loga reazione del cane, solo di segno e di direzione opposta.
Accade spesso che, con il cane seduto al fianco del conduttore, quest’ultimo
prema con il ginocchio contro la spalla. La conseguenza è che, a sua volta il cane
spinge in senso contrario appoggiandosi totalmente alla gamba del conduttore.
Una tecnica d’insegnamento dell’esercizio di seduto a comando, tecnica per
altro sorpassatissima, prevede che l’addestratore prema fortemente verso il basso
sulla groppa del cane per costringerlo a sedersi. Solitamente l’unico risultato che
questa tecnica riesce a dare, a meno di non essere violenti, è che il cane
s’opponga alla mano dell’addestratore spingendo sempre più in alto la groppa
per reazione tattile.
L’ignoranza di queste basi fondamentali è la causa prima di molti insuccessi
durante il programma d’addestramento.
La contraddizione massima si ha allorquando l’addestratore, mentre preme
sulla groppa, unisce all’azione delle mani gli ordini verbali. Il cane aumenta la
resistenza alla manipolazione perché interpreta in senso contrario lo stimolo che
sta ricevendo ed allora l’addestratore lo ritiene un testardo ed un incapace,
mentre non riesce a comprendere come gli ordini verbali siano, per il cane. degli
stimoli volti ad incitarlo ad opporre resistenza alle mani dell’uomo. Ancora una
volta la mancanza di conoscenza della psicologia canina porta i suoi frutti
negativi.
Infine non è condivisibile la teoria d’alcuni Medici veterinari americani, che
sostengono come la percezione tattile costituisca un serio ostacolo nel rapporto
fra uomo e cane, tendendo a far risalire la causa di molti comportamene anomali
proprio a questa percezione tattile così deviante, a loro giudizio.
L’osservazione di un qualsiasi soggetto domestico, ci porta a considerare
che, al contrario, il cane cerca costantemente il contatto con l’uomo, e non lo
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LA PERCEZIONE VISIVA
Il cane domestico non raggiunge la nostra capacità visiva, e non adopera il
senso della vista come fondamentale per la raccolta delle sue informazioni
provenienti dall’esterno. Questa constatazione però non deve trarci in inganno e
farci considerare del tutto secondario il processo di percezione visiva. È
possibile, anzi, affermare che la capacità di dettaglio di un oggetto in movimento
è più accentuata nel cane che non nell’uomo.
La prima sostanziale differenza che si nota fra le due specie, è il numero
proporzionalmente più alto di bastoncelli che il cane possiede. I bastoncelli sono
i mediatori “annegati” nella retina, che permettono un miglior dettaglio fra il
bianco ed il nero. Per questo motivo il cane vede meglio dell’uomo nelle
situazioni in cui la luce è scarsa, come la sera o a cielo coperto.
Il numero dei coni, mediatori dei colori, è invece proporzionalmente
inferiore nel cane, per cui si può presumere che la sua visione non possa
dettagliare fra minime differenze di colore.
Sarebbe in ogni caso da contrastare la teoria secondo la quale il cane
vedrebbe solo in bianco e nero: se ciò fosse vero, perché nella retina, vi sareb-
bero ancora dei coni?
Un secondo dato da tenere in debito conto è che l’ampiezza dell’angolo di
visuale monoculare del cane è certamente superiore alla nostra, talvolta anche di
una sessantina di gradi.
In teoria coprirebbe con la vista, a testa ferma, un arco sicuramente superiore
al nostro. Sennonché la sua visione bioculare, in pratica dei due occhi insieme, è
regolata dalla posizione degli stessi rispetto alla fronte del cane.
Questa posizione può variare moltissimo ed è tipica di ciascuna razza e nel
caso di meticci, di ciascun cane.
Per definire la posizione degli occhi in modo molto semplice, anche se non
del tutto corretto dal punto di vista zoognostico, è sufficiente tracciare una retta
che passa per gli angoli nasali d’entrambi gli occhi. Partendo dall’angolo nasale
di un occhio si traccia poi una semiretta che passa per l’angolo temporale dello
stesso occhio. Avremo così il formarsi di un angolo che può variare dagli zero
gradi ai 45° secondo le razze.
Abbiamo così una posizione frontale degli occhi quando l’angolo
corrisponde a zero gradi, ed è tipica delle razze brachicefale e come esempio si
cita solitamente il Griffoncino di Bruxelles.
Ad un angolo di circa 10° corrisponde la posizione subfrontale degli occhi, e
si fa riferimento, come esempio, al pointer.
Nella posizione semilaterale l’angolo è di circa 25° e l’esempio tipico è il
setter inglese.
I cani nordici hanno una posizione laterale con un angolo intorno ai 35°.
Infine i levrieri russi hanno una posizione ultralaterale con angolo di circa
45°.
È intuitivo che, a testa ferma, la visione laterale sarà maggiore per gli
individui con posizione degli occhi ultra laterale, e minore per quelli che l’hanno
67
frontale.
La visione bioculare, a testa ferma, è inferiore per i cani con gli occhi in
posizione frontale. Nei cani con gli occhi in posizione ultralaterale il punto
morto, dove si perde la percezione di un oggetto, è relativamente distante dal
cane, proprio a causa del sovrapporsi delle due visioni singole tanto distanti fra
loro.
Proprio questa pratica impossibilità di stabilire con certezza la distanza di un
oggetto, che si presenta in movimento frontalmente per il cane, fa sì che molti
soggetti finiscano travolti dal traffico veicolare, perché non hanno ben calcolato
velocità e distanze relative del veicolo e proprie.
Analogamente alcuni attacchi portati sul figurante (il finto “cattivo” delle
prove di lavoro) che si traducono in un grossolano errore di presa del cane,
talvolta sono attribuibili a carenza caratteriale, ma in genere hanno invece la
giustificazione corretta in questa difficoltà obbiettiva di calcolare la distanza, e
nel fatto che il punto morto della visuale frontale è molto più distante del nostro.
Di conseguenza può accadere che il cane sbagli direzione, altezza e distanza
nell’effettuare una rapida, immediata presa sull’uomo d’attacco.
Naturalmente il cane può ovviare a questa difficoltà muovendo la testa più
volte in tutte le direzioni.
Esiste ancora una caratteristica che merita attenzione: quella che riguarda le
razze con pelo abbondante che ricopre anche gli occhi, ad esempio nel bobtail
inglese. La visione del cane è costituita da tante strisce d’immagine, interrotte
appunto dai peli e, poiché il movimento dell’oggetto che è osservato, attraversa
di volta in volta queste strisce in rapida successione, possiamo immaginare che la
visione di quel cane sia di tipo stroboscopico.
LA PERCEZIONE UDITIVA
Fino dai tempi antichi, è nota la possibilità che il cane ha di percepire suoni
ben più acuti di quanti ne possa captare l’uomo.
Il nostro campo di variabilità della frequenza passa dai 20 cicli/secondo ai
20.000. Il cane spazia dai 20 cicli/secondo ai 50.000. Soprattutto nell’ambito
delle alte frequenze, esiste un grande campo di variabilità che dipende dal
singolo individuo oppure dallo stato di salute o d’interferenze di tipo
psicosomatico.
In ogni caso la differenza è enorme, e spiega come mai, in decine di casi, il
cane si metta in allarme assai prima che noi si riesca ad udire un qualsiasi suono
e rumore.
A questo maggior campo di frequenze s’aggiunge la potenzialità
dell’apparato sensorio uditivo: verifichiamo che un rumore che noi possiamo
captare ad una distanza di cinque metri, dal cane è udito a circa cinque volte
questa distanza. Sono stati anche segnalati casi in cui il cane ha percepito segnali
a distanze ben superiori a quella indicata come massima e sperimentalmente
accertata.
C’è un particolare fatto da citare a proposito dell’udito. Il cane domestico
tollera molto male che qualcuno fischi stando molto vicino a lui, e non sopporta
assolutamente che gli si soffi nell’orecchio.
Queste due reazioni dovrebbero essere a conoscenza di tutti i cinofili, in
quanto anche quel soggetto che sembra meglio aver socializzato con l’uomo, in
queste occasioni potrebbe anche reagire mordendo. Evidentemente sia il
fischiare, sia il soffiare nell’orecchio, procurano un qualche dolore al cane che
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reagisce nella maniera da lui ritenuta corretta. Non concordiamo invece sul fatto
che entri in gioco l’istinto di difesa in quanto i due suoni evocherebbero nel cane
la presenza di un predatore: nel caso del fischio qualche nemico alato e nel caso
del soffio qualche serpente in fase d’attacco. Se fosse vero e provato l’intervento
di quest’istinto, il cane dovrebbe reagire anche se la fonte del rumore fosse a
qualche metro di distanza dalle sue orecchie. In questi casi invece il cane è com-
pletamente indifferente ai due tipi d’azione che s’attuano relativamente lontano
dalle sua orecchie; risulta quindi difficile credere a questa teoria.
Altra straordinaria capacità del cane è di focalizzare i cambiamenti di
posizione della fonte generante il rumore, che arriva a stabilire differenze sino a
3°, mentre la capacità umana non va al di sotto dei 15° circa!
LA PERCEZIONE OLFATTIVA
La percezione olfattiva del cane ci deve sorprendere per le effettive
possibilità che, non dimentichiamolo, possono essere messe a disposizione
dell’uomo.
È opportuno ripetere che noi “vediamo” il mondo che ci circonda con gli
occhi, il cane lo “annusa” con l’olfatto. La prima percezione che il cane mette in
atto è quella olfattiva, la quale al massimo può essere corretta da altre percezioni,
ma mai anticipata.
Quando il cane avverte rumori sospetti, prima di dare segnali d’avviso
realizza, attraverso l’olfatto, con precisione la natura e la posizione di ciò che
costituisce lo stimolo dell’attenzione.
Se proprio non può adoperare l’olfatto perché, ad esempio, è chiuso in casa,
l’intervento del cane è meno deciso e meno pregnante, sembrerebbe che la
mancanza di una conferma olfattiva lo blocchi su sensazioni di cui non è
perfettamente sicuro.
La natura, nel corso dell’evoluzione millenaria, ha avvantaggiato molto
l’apparato olfattivo del cane mettendolo in condizioni anatomofisiologiche tali
da rasentare la perfezione rispetto alla funzione da compiere.
Anatomicamente il naso del cane ha un’appendice esterna detta “tartufo”
che grazie alla mobilità delle alette laterali può consentire un aumento del
passaggio d’aria, la quale, sfiorando il tartufo s’inumidisce leggermente. Il cane
infatti ha l’abitudine di tenere il proprio naso esterno costantemente bagnato
dalla saliva che trasporta con la lingua. Quest’atto può essere sostituito, in caso
d’operatività concreta del cane, dalla pulizia effettuata con acqua fresca ad opera
del conduttore.
Il naso interno, suddiviso in diversi piani, usa il passaggio inferiore per
l’attraversamento dell’aria diretta ai bronchi, mentre l’espirazione avviene, di
solito, per mezzo della bocca e così non si hanno mescolanze d’odori. Inoltre una
mucosa particolarmente insanguinata, può temporaneamente impedire il
passaggio d’aria per la respirazione, deviandola tutta verso i “turbinati” per un
maggior afflusso d’informazioni. I turbinati sono i canali superiori del naso
interno ed hanno conformazione simile a quella di una turbina, di qui il nome.
L’aria attraversandoli, viene fra l’altro riscaldata per un fenomeno d’aumento
della pressione costituendo così la combinazione fisiologica ideale per una buona
analisi degli odori in essa contenuti.
Il numero delle cellule annegate nella mucosa olfattiva è enorme: si tratta di
un minimo di 150.000 sino ad un massimo di 250.000. I cani di taglia più piccola
ne contano meno, perché mai adoperati per qualche attività che potesse
69
consentire una selezione mirata alla qualità olfattive. Fanno eccezione i fox
terrier, i bassotti ed i welsh corgi, rappresentanti di razze da lavoro che quindi
hanno subito selezioni artificiali anche basate sulle capacità olfattive.
Le cellule olfattive sono in scarso numero anche nei levrieri, giacché sembra
ormai assodato che questi cani preferiscano cacciare a vista anziché a naso.
Si è constatato come alcuni cani di una determinata razza specialista nel
lavoro di fiuto, percepiscono meglio alcuni tipi d’odori, altri soggetti al contrario
avvertono meglio emanazioni ancora diverse. Si pone dunque una domanda: la
predisposizione a percepire un determinato odore è forse legata in qualche modo
ad una mutazione ereditaria?
L’Hubert ha svolto nel 1980 degli esperimenti in proposito, ma con risultati
troppo contrastanti per costituire un’indicazione accettabile. Da allora nessuno ha
ritentato questi esperimenti.
70
Capitolo IX
I TEMPI
DELL’APPRENDIMENTO
72
Il cane, come l’uomo, può apprendere nuove esperienze durante l’intera vita.
Vi sono periodi in cui gli è particolarmente facile apprendere, altri che sono
meno favorevoli. Momenti in cui il cane necessita di una sola esperienza per
memorizzarla, altri durante i quali sono necessari ripetuti accadimenti uguali o
strettamente assimilabili, perché possano essere stabilmente memorizzati.
La sperimentazione ha dimostrato che le esperienze che il cane considera
negative sono di più rapida memorizzazione rispetto a quelle positive. Questa
constatazione deve farci riflettere sul comportamento da tenere con il cane in
ogni occasione onde evitare di creare dei problemi. Risulta spontaneo reputare
che, per dimenticare ogni esperienza negativa, il cane deve affrontare diverse
altre positive, analoghe od uguali. Questo sistema di apprendimento è veramente
insolito e sembra più semplice evitare che il cane abbia esperienze negative,
grazie alla stesura di un programma d’inserimento nella società, ben studiato e
meglio seguito.
Occorre considerare che il cane non solo potrebbe faticare per dimenticare
l’esperienza negativa, ma potrebbe mascherarne temporaneamente gli effetti,
senza rimuovere la causa: questo porterebbe al riapparire di un comportamento
anomalo nei momenti più impensati e magari meno adatti.
Fisiologicamente il cane nasce ancora incompleto, considerando la sua
temporanea impossibilità di raccogliere messaggi esterni, attraverso i sensi
dell’udito, dell’olfatto e della vista, che costituiscono i mezzi che il cucciolo ha
per apprendere e che non sono funzionanti alla sua nascita.
IL PERIODO NEONATALE
Il neonato non vede, sente pochissimo e solo su frequenze molto alte, odora
poco ed in condizioni non ottimali, mentre l’unico senso veramente efficiente è il
tatto che gli consente di percepire il calore della cute della madre e di
localizzarne le mammelle.
Questo periodo d’assenza di possibilità di ricevere stimoli esterni si prolunga
per circa quindici giorni, e solo dopo tale data il cucciolo si rende gradualmente
disponibile ad apprendere i messaggi provenienti dal mondo esterno. Inizia da
quel momento il periodo neonatale che dura sino al trentacinquesimo -
cinquantesimo giorno di vita.
È opportuno chiarire che tutte le indicazioni relative all’età costituiscono una
media, delle osservazioni fatte. La lunghezza di tutti i periodi, è strettamente,
correlata alla mole della razza: tanto più questa è grande, tanto più a lungo dura il
ciclo, ma dipende inoltre dallo stato di salute e quindi dall’alimentazione,
dall’ambiente più o meno stimolante, dal carattere della madre ed anche,
parzialmente, dalla frequentazione del box di uno o più uomini.
Durante il periodo neonatale il cucciolo riceve stimoli dalla madre, dai
fratelli di cucciolata, dal mondo esterno. Allo stato brado il cucciolo è
solitamente in contatto anche con il padre che ha un compito educativo molto
importante da svolgere. La presenza del padre può esservi anche per il cucciolo
domestico o d’allevamento, ma è un’eventualità sempre più rara a verificarsi.
La persona addetta alla somministrazione del cibo, sia esso l’allevatore od un
incaricato, fornisce stimoli al cucciolino, ma a quell’età occorrono atti ripetuti
più volte perché memorizzi qualche esperienza. È difficile dunque che in questo
periodo l’uomo possa avere un’influenza pregnante sull’apprendimento.
Il cucciolino inizialmente esplora la cuccia e, se riesce a muoversi
agevolmente, cerca di conoscere la stanza e soprattutto inizia quei rituali di gioco
73
IL PERIODO DI SOCIALIZZAZIONE
Intorno al cinquantesimo giorno di vita, inizia un periodo caratteristico
dell’apprendimento che, al contrario del precedente, incide pesantemente sul
carattere del cucciolo e del cane adulto.
Si tratta del periodo di socializzazione.
È il periodo in cui il cucciolo allo stato brado o come cane domestico, deve
apprendere alcune regole di vita che sono fondamentali per la sua sopravvivenza.
Il Lorenz lo ha definito come “imprinting” proprio perché ciò che il cucciolo
apprende in questo periodo lo caratterizza per tutta la vita, ne costituisce
l’impronta incancellabile e di solito immodificabile, salvo che come espressione
esteriore, mai come valore memorizzato!
Questo periodo dura dalla fine del ciclo neonatale sino ai novanta giorni
circa di vita del cane. È un intervallo molto breve, durante il quale il cucciolo
deve entrare in contatto con il mondo esterno, nella maniera più completa
possibile e deve fare il maggior numero d’esperienze che gli sono concesse.
Talvolta accade che un proprietario esperto riesca a prolungare oltre i novanta
giorni d’età, il periodo della socializzazione. È un risultato che apre la via a più
ampie esperienze e che si risolve sempre positivamente per il cucciolo. Purtroppo
per il cane domestico nel vivo del periodo di socializzazione avviene il
cambiamento di proprietà fra l’allevatore ed il futuro capogruppo con relativo
cambio di residenza, d’abitudini e di membri del clan. Questo passaggio è di per
sé un momento delicatissimo, ma lo diventa ancor di più se compiuto in questo
frattempo.
La fase evolutiva presa in esame riguarda anche lo sviluppo corporeo che in
questo periodo è molto accentuato. Si pensi che in certi giorni la crescita
ponderale di un alano può superare anche i cinquecento grammi. Il proprietario
potrebbe quindi essere distratto da questi mutamenti e non prestare la dovuta
attenzione alle fasi critiche della formazione caratteriale.
Di primo acchito parrebbe consigliabile ritirare il cucciolo dall’allevamento,
solo a periodo di socializzazione terminato, ma questa soluzione presenta alcuni
difetti di fondo che possono incidere molto sulla formazione del cane domestico
ed è quindi assolutamente sconsigliabile. Sappiamo, infatti, che lasciare il
cucciolo in un box del canile che è normalmente quasi del tutto privo di stimoli,
è una soluzione da rifuggire. L’assenza di stimoli annulla pressoché totalmente la
possibilità d’apprendere.
Proprio in questo periodo è assolutamente necessario il far assumere al
cucciolino, senza spaventarlo, quante più esperienze possibili, ed anche
d’iniziare il programma d’inserimento precoce nella società umana.
È compito dell’Allevatore e del Medico veterinario curante, l’illustrare al
neoproprietario come comportarsi con il cucciolino e quali sono i limiti da non
oltrepassare.
Il cucciolo che è allevato allo stato brado, impara a socializzare con i membri
74
del suo branco attraverso il gioco. Apprende che con il padre (presumibile
capobranco) si può giocare, ma fino ad un certo limite, oltre il quale occorre
portare solo massimo rispetto ove non si voglia incorrere in punizioni severe. Si
può giocare con la coda del padre, ma non si può morderla a fondo, perché in
questo malaugurato caso, il cucciolo impara subito a sue spese come frenare
l’aggressività alle soglie del vero dolore.
Si può camminare sul padre sdraiato a terra, ma non si può transitare sopra il
suo cranio perché il capobranco non può assolutamente tollerare che i sottoposti
gli “montino” in testa.
Il cucciolo può giocare con la madre con maggior confidenza, ma anche con
questa, sia pure più lentamente, sono posti dei limiti alla violenza. Con i fratelli
poi si sviluppa una sana competizione, sia pure condotta per gioco, che stabilisce
la graduatoria tra loro. Insomma s’instaura la legge del branco.
Il cucciolo domestico si trova di fronte agli stessi problemi, fatto salvo che il
capogruppo è solitamente il padrone di casa, poi gerarchicamente viene la moglie
e poi gli eventuali altri parenti, figli compresi.
Per ottenere chiarezza in questa graduatoria il cucciolo domestico sfida
spesso tutti gli altri membri del gruppo e deve convincersi che esistono alcune
supremazie che sono da rispettare, mentre pretende, spesso senza ottenerlo, dai
membri gerarchicamente inferiori a lui (quelli che hanno risposto male alla sfida
portata loro) un uguale trattamento di rispetto.
Il cucciolo domestico deve imparare, durante questo periodo, a conoscere e
ad obbedire ai quattro comandi fondamentali per la sua sopravvivenza nella
società dell’uomo: il “richiamo” (vieni!), il “fermo” dove si trova, il significato
della parola “NO!” e a “camminare al guinzaglio” senza disturbare il
conduttore.
il “richiamo” è indispensabile perché, vista l’attuale situazione della società
umana, non è neppure pensabile che un cane possa essere lasciato senza
controllo diretto del proprietario, che del resto ne è responsabile ai sensi
dell’articolo 2052 del Codice Civile.
Il “fermo sul posto” salvaguarda la vita del cane ed evita di causare
incidenti anche molto gravi: si pensi ad esempio alla necessità d’impedire al
cucciolo d’attraversare una strada battuta dal gran traffico. Non solo è
un’impresa pericolosa per l’incolumità del cane, ma può provocare anche una
inimmaginabile sequenza d’incidenti, la cui responsabilità diretta, ancora una
volta, è del proprietario.
La parola “NO!” mette fine, nel momento stesso in cui vorrebbe metterla in
atto, a qualsiasi azione del cane giudicata sconveniente.
Infine il “camminare al guinzaglio” in modo da non intralciare con
improvvisi ed inopportuni cambiamenti di direzione poco prevedibili,
l’accompagnatore del cane, diventa indispensabile per non creare inutili
problemi.
Si tratta d’impartire al cucciolo un “programma d’inserimento precoce nella
società umana”, che serve ad ogni cane, qualunque attività si voglia fargli
svolgere in un futuro prossimo. Anche il cane prettamente “compagnone” deve
conoscere queste basi, alle quali si possono aggiungere, in tempi successivi, altri
esercizi come: il seduto e/o il terra che sono sempre facenti parte del programma
di base, ma che non devono essere insegnati nel periodo di socializzazione
perché troppo costrittivi.
Il cucciolo, in questo periodo dell’apprendimento, deve essere messo a
contatto con tutto il mondo che lo circonda o che lo circonderà, facendogli
conoscere ogni possibile evenienza in modo tale che ne possa memorizzare
75
IL PERIODO GIOVANILE
Normalmente intorno al terzo - quarto mese d’età inizia il cosiddetto
periodo giovanile che dura sino alla completa maturità sessuale.
Le capacità d’apprendere sono, in questa fase della vita del cucciolo, di
pochissimo inferiori a quelle del periodo di socializzazione. Ad equilibrare
definitivamente la situazione concorre anche il fatto che, il cane, fisicamente,
diventa più forte e più resistente di giorno in giorno e che, dal punto di vista della
memorizzazione delle esperienze, diventa ancor più ricettivo, in modo tale che è
sufficiente un minor numero di stimoli per provocare una determinata risposta.
Aumenta invece il numero necessario delle ripetizioni delle esperienze,
perché queste siano definitivamente inserite nella memoria a lungo termine.
È questo il periodo in cui occorre decidere del futuro impiego del cane, e di
conseguenza predisporre le basi dell’addestramento alla relativa specialità
prescelta. Conseguentemente s’insegnano, sempre sfruttando in prevalenza il
gioco, i primi rudimenti di pista per tutti i cani destinati a questa specifica
attività, o a quella di ricerca o da caccia e così via.
Molto importante, in questa fase, dell’insegnamento, è lo sfruttare sia gli
impulsi che sono propri del cane domestico, sia le doti innate che a quest’età
sono ancora del tutto integre, salvo casi dovuti all’incapacità dell’uomo.
Questo sistema d’insegnamento fa parte integrante dell’addestramento
secondo il metodo naturale, che ormai è ben codificato, e che dovrebbe sempre
servire da guida in quest’età giovanile.
L’uso della coercizione od anche solo di rinforzi negativi (punizioni) in
questo periodo è da condannare nella maniera più assoluta. Una precoce
sottomissione rende il cucciolone meno socievole, ne diminuisce il
temperamento, ne frustra la curiosità ed abbassa il tono della tempra.
In casi limiti può anche suscitare una certa aggressività nei confronti del
proprietario, alla quale diventa poi difficile porre un facile rimedio. In questo
periodo il sistema nervoso centrale acquisisce la quasi piena maturazione, di pari
passo con l’instaurarsi del funzionamento d’alcune ghiandole ormonali, in
particolare quelle rivolte al governo della maturità sessuale.
L’instaurarsi d’alcune pulsioni tipiche della maturità, come l’impulso alla
difesa, si constata nell’esempio del cucciolone che non accoglie più festosamente
come sino ad ieri, gli estranei che si presentano alla porta, anzi tende sempre più
a tenerli a distanza.
76
IL PERIODO ADULTO
Segue il periodo adulto che arriva sino alla vecchiaia del cane.
In questo periodo non solo si può e si deve chiudere il ciclo addestrativo ma
si deve dare luogo a quello pratico, per cui il cane deve continuamente essere
sottoposto ad allenamento specifico durante l’intero anno.
Non è trascorso molto tempo da quando i cinofili, in particolare i cacciatori
cinofili, hanno compreso che il cane non può essere abbandonato per dieci mesi
l’anno e poi pretendere che nei due restanti si comporti al top della condizione
psicofisica.
Questa fu però pratica assolutamente comune e non furono pochi i soggetti
che ricevettero impallinate, anche mortali, ad opera del loro insipiente
proprietario che non tollerò né errori, né stanchezza, pur essendo il primo ed
unico colpevole della scarsa resa del cane. Questo non è una macchina che si può
mettere in moto ogni volta che si vuole, e che si pretende funzioni sempre bene:
il cane ha le sua esigenze e fra queste quella d’essere veramente domestico, in
altre parole di vivere insieme con l’uomo per il maggior tempo possibile.
Ci sono specialità di tutto riposo per il cane come ad esempio quella della
compagnia. In questo caso è sufficiente che il cane rispetti alcune regole
fondamentali di pulizia e di gestione della casa, perché il suo compito termini. Il
cane deve naturalmente rispettare anche le leggi e le consuetudini esterne alla
casa, è bene dunque che il proprietario gli rinfreschi spesso i quattro esercizi
fondamentali del ciclo d’inserimento precoce.
Esiste, al contrario, il soggetto che è sotto pressione tutti i giorni, come il
cane militare o quello della protezione civile. In questo caso è importantissimo
che il conduttore conosca perfettamente i limiti di resistenza psicofisica del cane,
onde evitare che un eccessivo affaticamento, od una concentrazione troppo
prolungata, possano causare stati di stress.
Si ripete insomma il concetto generale che il cane è un essere vivente e come
tale ha i suoi pregi eccezionali, ma anche i suoi limiti che vanno attentamente
rispettati.
IL PERIODO SENILE
Ad un certo momento della vita del cane, si nota una decisa diminuzione
della resistenza fisica, un forte desiderio di riposare ed una quasi assoluta
incapacità di concentrarsi per un periodo superiore a qualche minuto. È il segnale
che siamo giunti al periodo senile che indica il declino della vita attiva del cane.
Al momento dell’acquisto di un cucciolo, è difficile pensare che il cane
invecchierà e che andrà incontro a problemi specifici così come accade per noi
uomini.
Nessuno pone mente al fatto che la speranza di vita di un cane è mediamente
attorno ai dieci anni secondo la razza, la mole e l’attività svolta nella sua
esistenza. Un cinofilo deve, purtroppo, prevedere che nella sua vita avrà a che
fare con almeno sei - sette cani, ognuno dei quali invecchierà prima di lui.
77
Capitolo X
LE CATEGORIE
DELL’APPRENDIMENTO
81
L’APPRENDIMENTO INTUITIVO
Si definisce apprendimento intuitivo la capacità del cane domestico di
trovare soluzioni originali a problemi mai presentatisi prima.
Siamo di fronte ai limiti delle possibilità di un mammifero superiore
d’avvalersi della capacità di collegare con successo nessi logici.
Si tratta effettivamente di saper trovare una soluzione “pensata” dopo aver
“previsto” le conseguenze della sua risposta.
Non esiste, ad oggi, la possibilità di verificare e dimostrare in maniera
definitiva, che il processo che determina una soluzione al problema del
momento, che si presenta nell’uomo con il classico “lampo di genio”
(intuizione), sia presente anche nel cane domestico, nello stesso modo e misura.
Va però osservato che il vivere a costante contatto con l’uomo, sotto la guida
dello stesso dà, al cane domestico, una infinita possibilità d’apprendere, e
favorisce una maggiore applicazione di questo comportamento tanto ricercato.
Esistono molte testimonianze di proprietari di cani, che raccontano episodi la
cui spiegazione si può trovare solo se si ricorre all’intuito come forma di
sostegno al comportamento.
Certamente non costituiscono prove scientifiche, ma nessuno degli Autori, il
Manning anzitutto, che finora si sono occupati di questo fenomeno, hanno fatto
ricerche sul cane domestico.
Esiste un esperimento di W. Koehler sugli scimpanzé che illustra un classico
esempio d’intuizione. Uno scimpanzé ricevette dei bastoni e delle cassette di
legno vuote e sopra la gabbia in cui fu richiuso, ad altezza irraggiungibile per
l’animale, furono legate delle banane.
Orbene dopo molte meditazioni e qualche tentativo di sovrapporre le cassette
per giungere all’altezza giusta, e ciò malgrado non riuscendo ad impadronirsi
dalle banane, lo scimpanzé impugnò un bastone, ma anche questo si dimostrò
troppo corto, ed ecco l’intuizione: sovrapponendo due bastoni uno all’altro
82
APPRENDIMENTO LATENTE
Il Thorpe lo definisce come: “...l’associazione di stimoli indifferenti senza
un rinforzo apparente”. Ciò che è appreso non è rivelato al momento anzi tende
a restare nascosto, “latente”.
L’apprendimento latente od “incidentale” è stato studiato sperimentalmente
sui topi da E.C. Tolman. In una gabbia il Tolman mise un gruppo di topi che fu
regolarmente rinforzato positivamente, una volta giunto alla fine del percorso. In
altra gabbia, simile alla prima, mise invece un gruppo di topi che non ricevettero
alcuna ricompensa a successo ottenuto. Il Tolman notò che il secondo gruppo di
topi impiegò un tempo largamente inferiore al primo, per trovare la soluzione,
partendo dal momento in cui fu rinforzato adeguatamente. Definì quindi la fase
precedente come apprendimento latente in quanto acquisito dagli animali, ma
non portato alla luce per mancanza di una chiara motivazione.
Il grande Piero Scanziani, un insigne cinologo che per primo in Italia studiò,
verso la fine degli anni quaranta, la psicologia canina, riferisce di soggetti molto
giovani portati ad assistere a lezioni dell’esercizio di riporto impartite a cani più
anziani.
Il comportamento di questi giovani non fu apparentemente modificato
dall’aver assistito a queste lezioni, ma la sorpresa venne allorquando essi stessi
furono chiamati, dopo un certo periodo, ad imparare lo stesso esercizio.
Questi giovani improvvisamente si rivelarono capaci d’eseguire l’esercizio
in tutta la sua interezza rispettandone tempi e modi. Il fatto, che inizialmente
stupì tutti, divenne chiaro nel tempo, formulando l’ipotesi che si fosse trattato
d’apprendimento latente, in pratica avvenuto in contemporanea all’aver assistito
alle lezioni altrui, ma “esploso” come apprendimento, ormai verificato, nel
momento in cui quei soggetti erano chiamati sul campo di lavoro in prima
83
persona.
Molti addestratori professionisti che hanno applicato questo metodo, talvolta
migliorandolo, possono confermare che non si tratta d’evenienza isolata, ma di
una metodologia che può dare un buon numero di risultati positivi.
accoglierlo nel migliore e più amichevole dei modi. Ma il proprietario nota che il
cucciolo ha combinato qualche disastro e per questo motivo lo sgrida e lo
punisce. Il cucciolo associa il concetto di punizione all’evento “rientro del
proprietario” e non quello “distruzione di un oggetto”.
Il cucciolo, da quel giorno, non fa più alcuna festa perché per questo fatto, e
non per il disastro combinato, si considera punito.
Va notato ancora una volta che l’assenza di rinforzo costituisce di per sé un
rinforzo negativo, quindi può essere un buon punto di partenza questa abitudine
di non dare rinforzi di sorta in occasione di palese errore del cane.
Una importanza fondamentale ha dunque l’equilibrio del proprietario che
non deve mai eccedere, neppure nei momenti di maggior nervosismo. Il cane
riconosce le virtù del capogruppo proprio nel suo senso di equilibrio e giustizia.
Il tono della voce, non già il significato delle parole, è determinante per costituire
un buon rinforzo sia positivo che negativo e l’atteggiamento del corpo del
conduttore è altrettanto importante: non si può sovrastare il cane quando lo si
loda, e non si possono assumere atteggiamenti rilassati quanto lo si rimprovera.
Perché l’apprendimento per prove ed errori abbia una sua validità occorre
che venga di volta in volta rinforzato dalle “ripetizioni” dell’esercizio.
Tanto più l’esercizio viene ripetuto, tanto maggiore è la capacità del cane di
ricordare le fasi e di rispondere sollecitamente agli stimoli.
Nel cane addestrato la condotta al guinzaglio viene presto sostituita dalla
condotta al piede, ma senza guinzaglio, che è ritenuta meno fastidiosa per il
conduttore e comunque più rivelatrice dell’assonanza di intenti fra proprietario e
cane.
Ciononostante tutti gli addestratori sanno benissimo che ogni seduta d’alle-
namento deve iniziarsi con la condotta al guinzaglio che serve per ricordare al
cane che da quel momento in poi si sta lavorando e non agendo per proprio
piacere o per gioco.
Altra caratteristica importante del condizionamento operante è data dalla
“generalizzazione degli stimoli” e dalla “discriminazione” degli stessi.
Due suoni molto vicini fra loro possono indurre il cane a commettere errori
di interpretazione: ad esempio ad un cane che si chiami Fritz non dovrebbe mai
essere impartito l’ordine di sedersi con il termine tedesco di “sitz”.
I due suoni sono troppo simili ed il cane potrebbe generalizzare.
Al contrario la validità del processo di generalizzazione sta nel fatto di poter
contare su precedenti esperienze, a seguito di stimoli similari, che facilitano
l’apprendimento perché ogni volta non occorre ripartire da zero.
Con la generalizzazione sono evidentemente possibili molti errori, ma
proprio per questo motivo soccorre la discriminazione, che ne è l’esatto
contrario.
La discriminazione fra due stimoli molto simili si ottiene tanto più
facilmente se ad una delle due risposte si da un costante rinforzo, mentre si lascia
cadere l’altra.
È chiaro che il meccanismo dell’estinzione causa la rapida dimenticanza
della seconda risposta.
Attenzione però che a distanza di tempo la stessa risposta estinta, potrebbe
ripresentarsi senza alcuna ulteriore forma di apprendimento. Si tratta di un
processo noto come “recupero spontaneo”.
È opportuno che si presti la massima attenzione al fatto che un cane
domestico che viene spinto oltre la sua capacità di discriminazione e quindi nella
impossibilità di distinguere fra due stimoli diversi, diventa agitato, ed al limite
anche aggressivo e mordace.
86
L’APPRENDIMENTO PRECOCE
Le prime ricerche sull’apprendimento precoce risalgono alla fine del 1800,
ad opera di D. Spalding che ebbe modo di notare come, qualche giorno dopo la
schiusa delle uova, i pulcini seguissero qualsiasi animale od oggetto in
movimento. Il primo ad occuparsi di questa categoria dell’apprendimento, con la
necessaria attenzione e continuità, fu però il Lorenz il quale fu in grado di
descrivere questo processo dalle caratteristiche peculiari, non riscontrabili in
altre categorie d’apprendimento.
Prima del Lorenz era convinzione comune che l’attaccamento dei piccoli di
qualsiasi specie fosse diretto solo verso la figura materna. Oggi sappiamo che
persino qualsiasi oggetto in movimento diventa, per i neonati, un sostituto
materno. Naturalmente dal punto di vista sperimentale questa constatazione è più
facilmente rilevabile negli animali che possono appena nati, nutrirsi da soli,
senza dipendere dal latte materno, come sono ad esempio i volatili.
Nel cane il fenomeno non è normalmente riscontrabile fino al giorno in cui
inizia lo svezzamento e quando il cucciolino ha acquisito la capacità sensoriale
completa, ed una corretta deambulazione e non dipende più esclusivamente dalla
madre per la nutrizione. Ecco che a partire da quell’età, il cucciolo allevato in
canile, vorrebbe seguire indifferentemente sia la vera madre quanto la persona
che gli reca il cibo o che provvede alla pulizia del box.
Per meglio comprendere la validità assoluta dell’apprendimento precoce
occorre considerare alcune situazioni particolari.
Il Lorenz assunse egli stesso nei confronti di una nidiata d’oche selvatiche, la
“figura materna”. Solo in un secondo tempo constatò che una sagoma di cartone,
purché avesse la possibilità di muoversi, poté rivestire un identico ruolo.
Allora quali sono gli stimoli che sviluppano questo comportamento?
Anzitutto quelli visivi di movimento, non importa quale forma o colore abbia
l’oggetto; il movimento però non è sempre indispensabile perché basta compiere
un gioco di luci perché, a sagoma ferma, i pulcini si raccolgano intorno allo
stesso feticcio. Alla fine diviene superflua persino la luce, è sufficiente sostituirla
con stimoli sonori per ottenere uguale risultato. A questo punto diventa
importante stabilire se sia la qualità del suono, oppure la capacità di
discriminazione dei piccoli, in fase di crescita, a far preferire suoni assai simili a
quelli che sono propri della specie d’appartenenza.
Altra osservazione importante è che i pulcini che vivono in gruppo sono nel
medio periodo, meno sensibili a questa pseudomadre, mentre il pulcino solitario
mostra un interesse maggiore e protratto nel tempo. Furono così individuati dei
limiti temporali alla durata del periodo d’apprendimento precoce, che potevano
variare da pochi giorni a qualche settimana. Ultimo dato assolutamente
stupefacente fu che i pulcini, diventati ormai del tutto indipendenti, smettevano
87
ASSUEFAZIONE
L’assuefazione è il tipo d’apprendimento più semplice in quanto non ha
come finalità l’acquisizione di nuove risposte, ma piuttosto quella di
cancellazione delle precedenti esperienze.
Abbiamo già visto come una mancanza dì risposta protratta nel tempo porta
alla dimenticanza della qualità dello stimolo.
Nel cane domestico abbiamo un esempio classico che è dato dal soggetto che
apparentemente distratto assiste al colloquio del padrone con un amico. Durante
questo colloquio il proprietario menziona dei fatti che riguardano il cane e per
semplicità di comprensione ne pronuncia più volte il nome.
La prima volta che ciò accade, il cane l’intende come un richiamo a lui
rivolto e si aspetta un ordine, che al contrario non viene e quindi lo stimolo
costituito dal nome stesso, cade nel vuoto. La seconda volta che il proprietario
menziona il cane, questi si mostra ancora attento, ma in misura minore, e così
ogni volta che sente il suo nome, ha una reazione sempre più blanda. Alla fine
del racconto, il cane non da più alcun segnale di reazione, anche a seguito di un
eventuale vero e proprio richiamo del proprietario. È scattata la forma
d’assuefazione perché agli stimoli d’avvertimento non sono seguiti gli stimoli
chiave che richiedono una risposta obbligatoria. La “soglia di stimolo” del cane
si è alzata ed il cane è diventato “sordo” perché assuefatto.
Occorre prestare attenzione perché esistono dei confini molto incerti fra il
fenomeno assuefazione e quello che si può definire come una “diminuzione
della risposta”.
In linea generale, si ritiene che l’assuefazione coinvolga anche il sistema
nervoso centrale, mentre la diminuzione della risposta riguardi solo gli organi di
senso, che bloccano al loro livello gli stimoli abituali ai quali non corrisponde
più un’adeguata risposta.
16 - Questa dizione è oggi preferita nel mondo scientifico, a quella originale, ma è meno diffusa
fra gli operatori cinofili.
17 - Questo condizionamento è definito operante in quanto influisce sull’ambiente.
18 - Le gabbie dello Skinner furono definite “gabbie per insegnare” in quanto gli animali che vi
erano rinchiusi impararono ad uscirne solo dopo aver tentato più volte dei gesti predeterminati,
come lo schiacciare una leva, che consentivano loro d’eseguire tutte le prove necessarie e
compiere gli errori dovuti all’inesperienza, prima di giungere alla soluzione favorevole del
problema che dava adito alla somministrazione del premio.
88
Capitolo XI
ALTRI ELEMENTI
CHE REGOLANO
L’APPRENDIMENTO
89
ABITUDINE
L’abitudine è un comportamento che spinge ad agire in modo meccanico
ripetendo ciò che si è già acquisito per esercizio. Essa ha un gravissimo difetto:
ostacola la possibilità d’apprendere delle novità.
Il cane domestico abituato a sistemarsi su una determinata poltrona, che la
famiglia gli ha in pratica riservato, reagisce infastidito nel caso in cui la stessa sia
spostata da un lato all’altro della stanza, tanto da rifiutare di risalirvi.
Il cane addestrato a certi esercizi sempre ripetuti con uguale scaletta
d’esecuzione e che si trova improvvisamente mutata la sequenza, tende,
nonostante gli ordini contrari, a seguire l’abitudine precedente. Gli addestratori
sanno bene che un cane abituato a lavorare sempre ed unicamente in un solo
luogo, si trova in difficoltà nel momento in cui gli si fanno ripetere gli esercizi in
posti diversi dall’abituale.
Il cane domestico è tendenzialmente un abitudinario e tale atteggiamento si
rafforza con l’avanzare dell’età, allorquando l’interesse per il mondo esterno va
scemando ed il “vecchio poltrone” preferisce rifugiarsi nelle vecchie abitudini.
AMICIZIA - EMPATIA
Esiste l’amicizia fra uomo e cane? Certamente si, ammesso che abbia un
qualche valore il legame che esiste fra moltissimi proprietari ed il loro cane.
Talvolta si raggiungono livelli tali che il cane è definito come il miglior amico
dell’uomo, ed a sostenere questa tesi non sono solamente vecchietti
arteriosclerotici o vecchiette solitarie bisognose d’affetto, ma persone
assolutamente normali. Queste riconoscono di avere con il loro cane un rapporto
così intenso ed articolato da comprenderne il linguaggio in maniera
assolutamente perfetta.
Queste persone riconoscono anche i valori dell’amicizia fra uomini, a cui
danno valenza diversa, in fondo sempre sospettosi dell’effettiva fedeltà
dell’amico, mentre non hanno dubbi su quella del cane.
Dalla parte del cane non sempre può essere totalmente superato lo scoglio
della gerarchia del gruppo, ed allora si mescolano con un buon risultato finale,
sia l’amicizia quanto la dipendenza.
Che il giudizio sull’amicizia fra uomo e cane non sia inficiato da un errore di
valutazione è dimostrato dal fatto che la stessa persona, cambiando cane, non
sempre riesce ad instaurare con il nuovo soggetto un rapporto analogo a quello
avuto con il precedente.
È interessante anche scoprire che queste fusioni fra uomo e cane non
nascono nel tempo, ma s’instaurano d’acchito già dal primo incontro.
In qualche modo entra in gioco l’“empatia” cioè la capacità di comprendere
immediatamente i pensieri ed i sentimenti altrui.
I FEROMONI
I feromoni sono dei secreti organici che differiscono, dal punto di vista
91
dell’azione, dagli ormoni veri e propri perché gli effetti si fanno sentire
prevalentemente verso l’esterno del corpo e non all’interno. Regolano cioè il
comportamento non del cane secretore, ma di riflesso ed in risposta, quello del
soggetto che si trova a percepirli.
Il cane secerne feromoni e poi li porta all’esterno attraverso le urine, le feci,
la respirazione ed i cuscinetti plantari.
La loro funzione fondamentale è di marcare il territorio e di avvertire che la
presenza del cane secretore è minacciosa nei confronti degli eventuali intrusi.
Sembra infatti assodato che soggetti che, pur annusando la presenza dei
feromoni, violino ugualmente i confini dell’area protetta, siano decisi ad
attaccare senza dar vita ad alcun preliminare di sorta.
La femmina secerne i feromoni, ma lo fa per richiamare l’attenzione del
maschio: si nota infatti che la secrezione aumenta sensibilmente durante il
periodo di estro e tende a diminuire in modo deciso subito dopo
l’accoppiamento.
I feromoni in quasi tutte le evenienze, possono costituire un fattore esaltante
dell’aggressività.
IL GIOCO
Abbiamo già potuto osservare l’importanza del gioco nella formazione
caratteriale del cucciolo e del cane adulto e la sua influenza diretta e non, sul
comportamento dei cani domestici. Si è anche detto che lo sfruttare il gioco è
uno dei cardini del programma d’inserimento precoce del cucciolone e del
metodo naturale di addestramento adottabile nella maggior parte delle
specializzazioni in cui il cane, oggi, si rende utile all’uomo. L’utilità di ricorrere
al metodo naturale d’addestramento è data anche dal fatto che, in tal modo, si
sfrutta quello che in psicologia è definito come apprendimento dei compiti. Il
cane casualmente apprende che, assumendo la posizione di seduto, in
contemporanea ad uno stimolo del proprietario che pronuncia la parola “siedi”,
riceve una ricompensa. Ecco una forma d’apprendimento molto semplice e molto
premiante nei risultati.
L’addestramento del cane domestico “compagnone”, non richiede alcuna
precisione d’esecuzione, risulta quanto mai sufficiente che il cane esegua
l’ordine impartito al momento giusto anche se con atteggiamento finale un po’
rabberciato.
Questo significa che all’ordine “terra” deve sdraiarsi subito, ma non
importa, come per altre specialità, che assuma la posizione “a sfinge”, che invece
è obbligatoria nel cane che partecipa alle gare di lavoro.
Pertanto per questo cane destinato a fare compagnia all’uomo ed ai suoi
famigliari il metodo addestrativo può basarsi interamente sul gioco.
Vi sono al contrario delle specializzazioni, come quella delle gare d’utilità,
che richiedono al cane ed al conduttore la massima precisione di esecuzione ed
impongono l’assunzione di posizioni particolari fisse e non “ad libitum” del
cane.
In questo caso il metodo interamente basato sul gioco non porta a risultati
molto favorevoli, perché il cane che gioca molto, tende ad avere lo stesso
comportamento anche quando non dovrebbe, perché la sua motivazione non sta
nell’eseguire bene l’esercizio, bensì nel giocare tramite l’esercizio!
Occorre allora mettere in pratica un mix molto dosato fra gioco,
assolutamente valido all’inizio, applicazione scrupolosa del rinforzo variabile, e,
92
ove occorra, arrivare anche ai rinforzi negativi purché questi siano sempre
applicati con senso di giustizia ed equità.
In talune specializzazioni quali ad esempio la ricerca della droga o
dell’esplosivo, lo scovo su macerie, la ricerca dei dispersi, occorre alternare alle
sedute d’allenamento ed alle azioni operative reali, delle sessioni esclusivamente
dedicate al gioco.
In quest’ultime occasioni il conduttore deve dimenticare l’esistenza di
stimoli chiave, costituiti dagli ordini, e provocare solamente uno scarico ludico
che assume contemporaneamente significato di rinforzo positivo di estrema
valenza, e di manifestazione collettiva di gioia di tutto il gruppo a ragione del
successo ottenuto.
LA MATERNITÀ
Gli stati d’estro, di gravidanza e di maternità alterano il rapporto fra l’uomo
e la cagna domestica. I gradi di quest’alterazione sono pochissimo accentuati,
quasi irriconoscibili se l’uomo capogruppo ha saputo conquistare la piena ed
assoluta fiducia della cagna. Diventano molto preoccupanti quando il
proprietario è stato uno sprovveduto nel suo rapporto con la cagna, e l’ha
sottomessa anziché portare alla luce l’innato desiderio di sociabilità.
La femmina di solito, profitta di questi stati, per far chiaramente intendere al
proprietario quanto abbia sbagliato e può anche arrivare a morderlo se questi
s’avvicina ai cuccioli neonati, che lascerebbe invece maneggiare con estrema
fiducia, anche al momento dell’espulsione, da un padrone intelligente.
In ogni caso tutte e tre le situazioni fisiologiche citate provocano un
abbassamento del livello di motivazione specifica, perché subentra nella
femmina l’istinto della riproduzione (uno dei pochi non del tutto cancellati dalla
convivenza con l’uomo) che è di maggior valenza rispetto alla motivazione
abituale che sostiene il lavoro solitamente svolto dalla cagna.
Inutile, anzi dannoso, è il pretendere di lavorare in queste condizioni.
La cagna non apprende alcunché e lavora così svogliatamente da rendere
indispensabili dei rinforzi negativi, che sono altrettanto ingiustificati; meglio
quindi lasciare a riposo la femmina per tutto intero il periodo che va dall’estro
allo svezzamento dei cuccioli.
La maternità, in particolare, fa temporaneamente aumentare il livello
d’aggressività e devia la sociabilità in almeno la metà dei casi. Di questo fatto si
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deve tenere debito conto per meglio regolare i rapporti fra la cagna e gli altri
membri del gruppo. Gli estranei, durante il periodo del parto e dell’allattamento
non devono aver accesso al locale dove è tenuta la cucciolata, almeno a cagna
presente.
IL MODELLAGGIO
Nel corso del programma d’addestramento ad una qualunque specialità, ci si
trova spesso, a dover far apprendere al cane un esercizio abbastanza complesso,
costituito da fasi separate, ma modulari. È evidente che non si può pretendere dal
cane che “impari” l’esercizio per intero in un’unica soluzione.
In questi casi è utile adottare la tecnica del “modellaggio” o
“modellamento”, che consiste nel frazionare l’intero esercizio complesso, in
momenti diversi e distinti.
Per ogni tappa risolta brillantemente occorre abbondare in rinforzi positivi
ben calibrati e ripetere diverse volte, quanto si è appreso. Solo dopo che ogni
singola parte è ben memorizzata, si può proseguire oltre.
È come se le singole tracce mnestiche relative alle diverse parti, fossero
conglobate in un engramma complessivo con una sequenza ben prestabilita. Il
cane nel ripetere l’esercizio non ne salterà alcuna parte, anzi, se noi lo
fermassimo a metà programma, ne rimarrebbe del tutto sconcertato.
LA PAURA
È una reazione emotiva di fronte a situazioni giudicate d’estremo pericolo.
Va subito precisato che a determinare la paura nel cane non sono le conseguenze
dello stimolo, ma lo stimolo stesso. Al contrario di quanto accade nell’uomo, per
esempio, la paura nei confronti di un colpo d’arma da fuoco, nel cane domestico
non è data dal pericolo che può rappresentare la pallottola sparata, ma più
semplicemente dal rumore improvviso e secco.
La paura dà origine a disturbi di natura organica quali il mutamento del ritmo
cardiaco e della respirazione, ad alterazioni digestive, ad iperproduzione e
perdita d’urina.
La paura distoglie l’attenzione, che è totalmente rivolta alla fonte del
fenomeno minaccioso, ed annulla la motivazione, che non ha più alcun valore nel
guidare il cane ad un determinato scopo.
Nel cane, a differenza dell’uomo, la paura non può essere controllata dalle
convenzioni sociali che agendo sull’emotività possono anche frenarla e non
renderla palese all’esterno.
Qualche volta accade che un buon conduttore, che conosce molto bene il
proprio ausiliario, riesca a controllarlo attraverso stimoli adeguati e sostitutivi,
ottenendo così, quanto meno, d’evitarne la memorizzazione, che costituirebbe un
grave ostacolo per il futuro proseguo dell’attività del cane, potendo influire
direttamente sul comportamento normale.
Le cause della paura sono molteplici e fra queste non vanno dimenticate
quella derivata dall’imitazione e quella dipendente dalla trasmissibilità genetica.
Un cucciolino che sta ancora insieme con la madre nel box e, che, per la
prima volta, ode un colpo improvviso e forte può rimanere sorpreso, ma è subito
rassicurato dal comportamento indifferente della genitrice che non dimostra
alcuna paura. Può accadere invece che la madre abbia paura dei rumori forti ed
improvvisi, e vada quindi, per questo motivo, a rifugiarsi nel più profondo della
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cuccia: ecco che il cucciolino, suo malgrado, pur non avendo avuto reazioni
negative, da quel momento incomincia ad avere paura del colpo, perché imita in
questo l’esempio della madre.
Alcuni ricercatori americani hanno potuto stabilire con certezza, che la paura
dei rumori forti ed improvvisi provoca anche un dolore fisico, e favorisce un
comportamento di fuga: si tratta di una componente ereditaria legata ad un
fattore di consanguineità ed a mancanza di una seria selezione dei parenti rispetto
a questo tipo di comportamento.
Il cane dapprima ha paura solo dell’oggetto che provoca lo stimolo
spiacevole, ma per il processo di generalizzazione, diventa poi pauroso anche per
rumori assai simili a quello che fu la causa scatenante. L’esempio classico è dato
dal cane che s’impaurisce per il passaggio di una motocicletta scoppiettante;
dapprima avrà paura solo di quella determinata moto, ma in breve
generalizzando, dimostrerà uguale paura anche di tutte le altre motociclette!
Di fronte allo stimolo che provoca una reazione di paura, il cane cade in
frustrazione ed ha due diversi modi di comportamento:
a) sviluppa l’aggressività reattiva da paura nei confronti dell’oggetto o
dell’essere che ha provocato lo stimolo;
b) sente un senso fortissimo d’inferiorità e fugge con un comportamento
d’elusione.
Nel primo caso la gestualità del cane sarà un misto d’espressione di paura
(orecchie tese all’indietro, coda fra le gambe, posizione molto vicina a terra) e
d’aggressività dimostrata soprattutto dalle labbra che scoprono i denti, ma senza
che la lingua esca dal cavo orale, dalla tensione muscolare e dallo sguardo fisso
che “mostra il bianco degli occhi”.
Purtroppo la causa profonda di un tale comportamento può essere anche un
conduttore poco perspicace, e la ragione del suo atteggiamento risiede nella
paura che prova per la reazione del cane.
Nel secondo caso il desiderio di fuga è talmente forte che il cane svelle
qualsiasi ostacolo, e può anche mordere la persona che tenti di bloccarlo.
LA REGRESSIONE
È un meccanismo di difesa messo in atto da un soggetto che tende a ritornare
inconsciamente a fasi antecedenti all’attuale sviluppo psicologico, assumendo
comportamenti puerili ed immaturi. Casi di regressione sono stati osservati in
cani domestici che hanno un capogruppo non equilibrato e con scarso senso di
giustizia. Il ritorno morboso al gioco è la forma più comunemente usata, ma la
meno compresa per diagnosticare lo stato di regressione.
Talvolta il cane domestico può regredire a tal punto da ricominciare a
soddisfare i suoi bisogni corporali esattamente come faceva da cucciolo.
Si possono constatare comportamenti infantili dovuti a regressione
allorquando nel branco s’introduce un nuovo membro, specie se bambino o
cucciolo e si tende a trascurare i soggetti che già erano all’interno del gruppo. La
situazione è assolutamente analoga a quella che si verifica, alla nascita di un
fratellino, nella famiglia in cui i genitori non sanno controllare i propri
sentimenti con il bilancino dell’equità e al bimbo più grande sembra che amino e
dedichino più tempo al nuovo venuto piuttosto che a lui.
Nel cane domestico la situazione è oggettivamente più grave. Non esiste
infatti il modo di comunicare direttamente i sentimenti. Il capogruppo deve
quindi assumere un atteggiamento assolutamente imparziale, anzi deve
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LA RIMOZIONE
La “rimozione” è un meccanismo di difesa che respinge gli impulsi od anche
i ricordi che sono sgradevoli, coinvolgendo quindi eventi del passato che
sembravano dimenticati.
In ogni caso, quando il cane è obbligato ad affrontare queste situazioni, che
vorrebbe rimosse, cade nel comportamento conflittuale che sarà trattato nel
capitolo 17.
IL RINFORZO VARIABILE
Sulla qualità e sulla quantità dei rinforzi vi sono alcune regole cui prestare
attenzione.
Anzitutto devono essere forniti in modo assolutamente tempestivo, se
possibile contigui nel tempo alla risposta. Se per avventura si dovesse tardare nel
dare un rinforzo, meglio non fornirlo in seguito, per evitare di premiare o
rimproverare qualche altra risposta subentrata nel frattempo.
Molto importante non è la sola “quantità” del rinforzo, ma soprattutto la
“qualità“. Un rinforzo dato in modo quasi automatico, eventualmente ripetitivo
sia nella gestualità sia nel tono della voce, perde progressivamente in valore.
Il rinforzo ripetitivo è poco gradito al cane, che tende ad abituarsi ai gesti o
al tono, e quindi a non considerare più l’azione del proprietario come rinforzo.
Conseguentemente, e l’abbiamo già notato diverse volte, la mancanza di rinforzo
positivo diventa un rinforzo negativo, con evidente calo della motivazione e
relativo innalzamento della soglia di stimolo.
Ogni volta che si desideri dare un rinforzo positivo al cane, occorre mutarne
la qualità e la quantità, passando dal lieve al forte, secondo le occasioni e
badando bene di non ripetersi.
Chi è abituato a dare come rinforzo positivo una leccornia, è bene che sappia
che questo sistema ha molti limiti nel medio e lungo termine, in quanto se
somministrato ad un cane “mangione” (in pratica sempre affamato e di bocca
buona) perde progressivamente d’efficacia concreta. Può valere per quel soggetto
un po’ più selettivo nei gusti, ma in ogni caso, sono sempre preferibili dei
rinforzi vocali o gestuali, che meglio s’accompagnano alla situazione di
reciproco rapporto che è definito come la costituzione dell’unità cinofila.
LA SOGLIA DI STIMOLO
Chiunque abbia avuto a che fare con un cane, sa che un uguale stimolo,
presentato in tempi diversi, è recepito dal cane con velocità di risposta diverse e
talvolta persino ignorato totalmente.
Lasciando a parte la motivazione che semmai condiziona la risposta e non i
tempi della stessa, considerando che il temperamento non può influire perché
sempre costante nello stesso soggetto, occorre chiedersi la ragione di siffatto
comportamento anomalo.
Esso è da attribuire ad un fenomeno indicato come “soglia di stimolò” e che
significa come, in determinate particolari situazioni, per ottenere una risposta
occorrono qualità di stimoli più forti, o più deboli, di quelli normalmente
96
sufficienti.
Immaginiamo, per esempio, d’essere andati a letto la sera con gli avvolgibili
arrotolati quando la nostra abitudine è di dormire al buio. Al sorgere del sole non
saremo svegliati dall’aurora, perché nonostante l’abitudine al buio, la nostra
mente è ancora a riposo, ma non appena un raggio di sole penetrerà nella stanza,
anche senza colpirci gli occhi, ecco il brusco risveglio. Se, al contrario, siamo
abituati a riposare con le tapparelle aperte, occorre una quantità di luce ben
superiore per svegliarci. Questo significa che la luce (stimolo) provoca la
risposta (lo svegliarsi) solo quando raggiunge una determinata quantità di lumen.
Esiste un gradino al di sotto del quale i nostri sensi e la nostra mente non
sono sollecitati, ma superato il quale la trasmissione dello stimolo al sistema
nervoso centrale diventa obbligatoria ed automatica.
La soglia di stimolo può riguardare tutti i processi ed allora abbiamo una
“soglia assoluta”, mentre può riferirsi ad uno solo e quindi indicata come
“specifica”.
Poiché dipende da molteplici fattori è bene considerare che essa varia in
occasione di malattie (con rialzo della soglia a livelli notevoli), o nelle femmine
in estro (per motivi d’origine ormonale), o per assenza di motivazione, o per
situazione contingente come il gioco o come lo svolgere altre attività molto
interessanti per il cane domestico.
Un ruolo importante può averlo inconsciamente il proprietario del cane che
tarda, per esempio, a dare un rinforzo o che lo da in quantità insufficiente rispetto
all’impegno profuso dal cane, oppure lo da in maniera troppo ripetitiva.
Se poi la stessa motivazione viene a scemare, si ha in conseguenza un
notevole aumento del livello di soglia di stimolo.
Soprattutto durante l’esecuzione dei test di controllo è necessario non
attribuire ad una carenza di temperamento la scarsa velocità della risposta,
anziché ad una soglia di stimolo particolarmente elevata.
Il conduttore non deve confondere questa particolare situazione, ben
governabile ed in maniera rapida, con l’indolenza o peggio con la voglia di non
fare!
Due difetti che sono invece difficilissimi da togliere e che richiedono un
processo di rieducazione ben mirato.
IL TEMPO D’ATTENZIONE
Chiunque frequenti le aule universitarie, conosce il “rito” del quarto d’ora
accademico, in altre parole del voluto ritardo con il quale inizia la lezione,
ritardo spesso attribuito ad impegni del Docente, ma che invece trova la
giustificazione esatta nel fatto che anche una mente ben allenata, come quella di
un universitario, non riesce a seguire una lezione oltre un determinato tempo
limite che per convenzione è fissato in quarantacinque minuti. Sulla durata
giocano anche altri fattori, come l’obbiettivo interesse all’argomento, la
monotonia dell’esposizione verbale, la mancanza di dimostrazioni visive,
eccetera.
Nel caso del cane domestico ciò significa che una volta percepito lo stimolo
il soggetto può dare una risposta che può essere di breve durata, ma che può
richiedere anche diverso tempo per vederne l’attuazione finale. Ad esempio il
tempo per eseguire un ordine di “seduto” è di pochi secondi, ma il periodo
d’attività che risponde al comando “cerca”, nel corso di una ricerca di un
disperso, può durare anche un’ora e più.
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IL TIMORE
Il timore è una reazione emotiva ad una situazione che potrebbe diventare
spiacevole. Siamo quindi ad un livello sicuramente inferiore alla paura, ed ha
cause diverse perché non s’instaura per uno stimolo improvviso, ma perché il
cane deve affrontare una situazione che non è piacevole, anche se talvolta è
abituale. Un conduttore che scelga la sottomissione come mezzo
d’addestramento, deve sapere che la posizione del cane è subordinata al fatto che
qualora non obbedisca è punito ed anche severamente. Il cane quindi ha timore di
lavorare con questo tipo di conduttore, che non stima, non ama e non comprende.
Sa solo che deve obbedire altrimenti...!
Il cane affronta quindi ogni passaggio addestrativo con tanto timore,
cercando di procurarsi, con un atteggiamento sottomesso, il perdono o quanto
meno la comprensione del proprietario. Accade normalmente che quando il cane
impara che in certe occasioni il conduttore non può usare mezzi coercitivi, lo
sbeffeggi disattendendo, nella maniera più plateale, gli ordini del conduttore.
È quanto accade normalmente nei soggetti addestrati alle prove di lavoro per
cani d’utilità, i quali imparano presto che sul terreno della prova, sotto il
controllo dei Giudici, il conduttore non può usare mezzi violenti, e così
98
Capitolo XII
L’INTELLIGENZA
DEL CANE
DOMESTICO
100
Allo stato attuale delle conoscenze è corretto ritenere che il cane sia
intelligente e quindi sia in grado di pensare?
Se lo chiedessimo ai cinofili avremmo una risposta affermativa ed
entusiastica, con il chiaro sottinteso che il proprio cane è il più intelligente di
tutti.
Però anche grandi filosofi ed uomini di scienza, tanto tempo fa, hanno
affermato che il cane ha una sua intelligenza ed una sua capacità di pensare.
Il filosofo stagirita Aristotele s’interessò ai problemi della vita e, riflettendo
sui diversi aspetti di questa, indicò sfere diverse d’attività: l’essere vivente
mangia, si riproduce, esplora l’ambiente. Fa anche qualcosa di più: ha delle
possibilità che investono la sfera mentale; scopre con i sensi il mondo che lo
circonda, memorizza le sensazioni, apprende dall’esperienza, ragiona ed
analizza.
Aristotele con una grande intuizione afferma che il cane (così come altri
animali) differisce dall’uomo solo per la complessità di queste sensazioni e di
questi processi mentali, ma anche i cani imparano, hanno memoria,
s’avvantaggiano dell’esperienza, in altre parole usano l’intelligenza. Certo in
grado diverso dall’uomo cui è consentito di far meglio degli animali. Nessuno
infatti, anche allo stato attuale delle conoscenze, potrebbe sostenere che fra
l’uomo ed il cane non c’è differenza sul piano dell’analisi dell’intelligenza.
Charles Darwin nella sua “ORIGINE DELL’UOMO” scrisse che: “I sensi
e le intuizioni come l’amore, la memoria, l’attenzione, la curiosità, la ragione,
dei quali l’uomo va tanto fiero, pure si riscontrano in fase almeno iniziale anche
negli animali”. Aggiunge che la differenza non sta nel tipo, nel genere, bensì
nella quantità. Non vi dovrebbe quindi essere più alcun dubbio sull’intelligenza
del cane, almeno nella misura in cui l’opinione di questi due Grandi ha valore.
Invece...?
Verso la metà degli anni settanta, fui invitato a tenere una lezione di
psicologia canina, al corso di formazione dei conduttori di cani per lo scovo in
valanghe, organizzato dal Corpo Nazionale di Soccorso Alpino.
Per la prima volta un Organismo ufficiale, al di fuori dell’Ente Nazionale
della Cinofilia Italiana, s’interessò di fornire ai propri volontari un minimo di
conoscenze per capire e farsi comprendere meglio dal cane.
Il corso si tenne in Alto Adige ed il Parroco del luogo, ci ospitò tutti nella
sua bellissima Casa della montagna. Egli è un alpinista di grande esperienza, un
soccorritore volontario coraggioso e preparato, che ha personalmente addestrato
due cani allo scovo di sepolti in valanga. Nel momento in cui lasciai libera la
platea di porre domande e di chiedere spiegazioni, il sacerdote, mi domandò:
“Ma allora per lei i cani hanno un’anima?”.
Io avevo per la verità parlato d’intelligenza e capacità cognitive e
d’apprendimento, ma mi sovvenne subito che la posizione della Chiesa cattolica
era ferma, in quegli anni, alla teoria di Cartesio che nega la presenza
d’intelligenza negli animali, cane compreso, perché senza l’anima non può
esservi intelligenza, e gli animali non possono avere l’anima. Su questa
posizione si trincerò, trecento anni più tardi, anche quel Parroco, mentre io
rimasi dell’opinione che quanto riferito da Aristotele, da San Tommaso
D’Aquino e da Darwin fosse più logico ed importante di quanto sostenuto da
Cartesio.
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UN PO’ DI STORIA
Ci si chiede: perché allora l’intelligenza del cane, è stata misconosciuta e
rifiutata, anche dalla scienza ufficiale, per centinaia d’anni?
Purtroppo il cane incontrò o meglio si scontrò con le religioni. San
Tommaso nel tredicesimo secolo, accettò che il cane, come altri animali, avesse
una forma d’intelligenza, sia pur ridotta rispetto a quella dell’uomo. I teologi del
momento, che già legavano l’intelligenza alla presenza dell’anima, non poterono
accettare che gli animali avessero un’anima. Questo avrebbe complicato di fatto
tutta la loro teoria, in effetti a quell’epoca sarebbe stato difficile spiegare come
un daino od un topo potessero avere un anima, e fu, quindi, giocoforza
respingere l’assunto di San Tommaso.
A far calare definitivamente il silenzio su queste ricerche ci pensò Cartesio
che nel diciassettesimo secolo affermò come il cane, ad uguaglianza di tutti gli
altri animali non avesse caratteristiche mentali in ogni modo paragonabili o
commisurabili con quelle umane.
Questa fu la posizione ufficiale della Chiesa cattolica sino a pochi anni or
sono, ed anche le altre religioni monoteiste non riuscirono ad accettare il cane
come essere intelligente.
Per la religione islamica il cane è un essere impuro. Il semplice contatto con
il cane comporta per i canoni fondamentali islamici una serie d’atti di purifica-
zione.
Lo stesso Maometto, spaventato dal numero enorme di cani che
circondavano Medina, ritenne opportuno ordinarne l’abbattimento. Solo un atto
d’estrema resipiscenza salvò questi poveri paria, eccezion fatta per quelli dal
mantello nero che rappresentavano il male.
I motivi per cui Maometto non diede corso alla sua decisione, furono
d’ordine religioso (anche i cani sono creature di Allah, e quindi solo lui può
togliere loro la vita) ma anche e più importanti e più fermamente sostenibili,
furono quelli d’ordine pratico: tolti di mezzo i cani, chi avrebbe provveduto alla
pulizia delle strade, chi a fare la guardia, chi ad andare a caccia?
La religione ebraica ritiene anch’essa che il cane è un essere impuro.
Ai tempi si nutriva di cadaveri, e già questo era un atto di contaminazione,
vuoi per motivi religiosi, vuoi pratici perché il controllo delle malattie infettive
era all’epoca inesistente. Il compito di tenere pulite le strade e gli spazi fuori
dalle mura della città, era affidato ai cani, che svolgevano così la loro opera di
spazzini.
È vero che talvolta è accaduto a singole personalità religiose di possedere ed
amare un cane, ma era un momento della loro vita privata che nulla aveva da
interferire con il credo religioso.
Dal momento che però l’intera cultura dal Medioevo all’Illuminismo,
s’identificò con la religione, ecco che quanto era stato sostenuto nel passato da
pur autorevoli autori, non fu minimamente tenuto in conto.
Solo l’Illuminismo mise fine a questa situazione e consentì alla scienza di
percorrere strade diverse dalla religione.
LA DEFINIZIONE E LE CATEGORIE
Molti psicologi umani hanno tentato di dare una definizione
dell‘intelligenza, ma nessuna fra quelle proposte è accettata come universale e
definitiva. Gli psicologi animali hanno cercato una definizione per l’intelligenza
del cane, ottenendo risultati un po’ migliori in considerazione del minor grado di
102
complessità trovata.
Una buona definizione potrebbe suonare così: “È la capacità di capire, di
ricordare, di fruire delle esperienze precedenti di fronte a nuove situazioni”.
Non devono però essere dimenticate la capacità d’apprendere in fretta e di
poter scegliere fra soluzioni diverse, anch’esse facenti parte dell’intelligenza.
Per analizzare meglio cosa sia l’intelligenza del cane domestico, si può
osservare che esiste un livello complessivo ed uno settoriale. L’intelligenza
globale s’impone in diversi spazi della conoscenza. Quella settoriale si limita ad
una sola area oppure a quelle esattamente limitrofe.
Stabiliti dei test su argomenti diversi, nell’uomo si possono avere per alcuni
degli ottimi risultati in molti settori dello scibile, ma per altri si trovano risultati
positivi solo su determinati campi. Sintomatico può essere l’esempio ormai
notissimo del premio Nobel per la teoria della relatività, il fisico Albert Einstein,
il quale ha scritto anche testi di filosofia e si è esibito in concerti di violoncello.
Il suo cruccio era quello degli estratti conto bancari, con i quali pare non
concordasse mai, perché s’ostinava a fare le somme e le sottrazioni senza
calcolatrice e così commetteva sempre errori d’aritmetica! Chissà se poi, qui sia
la verità, oppure qualche fasullo scoop giornalistico? Ma “vox populi, vox dei”.
Limitatamente alla sfera d’interesse del cane domestico possiamo
identificare dei soggetti che accolgono esperienze e svolgono analisi in molti
settori d’applicazione, altri invece che sono grandi solo in aree specifiche.
È molto difficile, anche se non da escludere a priori, che un pastore tedesco
eccella come cane da ferma, mentre difficilmente un setter inglese riesce a
ricercare un uomo disperso.
Vi sono però dei cani, le cui origini sono da caccia e da ferma, che riescono
molto bene nel lavoro di scovo su macerie o di ricerca in superficie come
esempio i kurzhaar: si tratta di razze che sono state selezionate certamente per un
buon carniere, ma anche contemporaneamente per difendere la preda e la zona di
territorio dove la caccia si svolge.
Ponendo mente alle diverse capacità d’apprendimento che le razze
sviluppano, notiamo una gran disparità, ad esempio, fra un testardo Dandie
Dinmont terrier ed un vivace Airedale terrier.
Lo stesso dicasi per la possibilità d’adattarsi più o meno rapidamente alle
diverse situazioni: sembrerebbe che il pastore tedesco sia il più duttile, mentre
altre razze sono più difficili in quanto a contemperare le nuove esigenze con le
proprie abitudini. Recentemente sta affacciandosi alla ribalta per la sua duttilità
una razza prettamente italiana: il cane corso, che dalle prime, anche se ancor
recenti, osservazioni sembrerebbe molto adatto a diversi impieghi pratici, quindi
in possesso di un’intelligenza, nei limiti canini, di tipo globale.
Per analizzare meglio le differenze fra i tipi canini dovremmo analizzare
altre categorie dell’intelligenza, ben studiate sull’uomo, e stabilire quali siano
riconducibili anche al cane.
In psicologia umana si conoscono almeno questi tipi d’intelligenza:
ambientale: appresa dall’esperienza condiziona l’intelligenza fluida,
fluida: vanta grande interesse per l’ambiente, afferra bene le situazioni,
conosce i mezzi per raggiungere gli obiettivi,
rappresentativa: la capacità di sostituire un oggetto, o un’azione, con un
gesto, un suono, ecc.,
sensomotoria: prevede la presenza fisica di un oggetto per agire su di esso,
verbale: la capacità d’esprimersi in modo corretto e comprensibile.
Nel cane domestico quali di queste categorie sono riscontrabili? Verrebbe
d’acchito di rispondere: “Tutte!”, ma sarebbe una maniera d’agire da cinofili po’
103
cercando del cibo, un’occupazione allora ed oggi indefessa per questi poveri
cani. Poiché c’erano alcuni avanzi di cucina da smaltire, il cuoco gettò sul mar-
ciapiede qualcosa, che il cane subito divorò. Da quel giorno, e per lungo tempo,
al passaggio del treno, il cane si faceva trovare puntuale in stazione, tanto più che
il cuoco aveva avvertito anche i suoi colleghi d’altre vetture ristorante di trattarlo
bene!
Un giorno in cui il personale di bordo era molto occupato nel preparare i
piatti di portata, al cane non fu gettato nulla, e questo, dopo un attimo di
smarrimento, non ci pensò oltre e saltò sulla vettura ristorante che aveva lo
sportello aperto. Poiché quando il personale s’accorse dell’intrusione il treno era
già in movimento non fu possibile rifocillare il cane e farlo scendere subito.
Discese quindi alla stazione successiva: San Vincenzo.
Il giorno seguente il cuoco s’aspettava di trovare il cane a San Vincenzo,
dove riteneva che avesse pernottato, invece se lo trovò ancora a Cecina, pronto
questa volta a saltare a bordo e a farsi il viaggetto con pranzo da Cecina a San
Vincenzo.
Dopo un mesetto circa il cuoco decise di vederci chiaro nel comportamento
del cane e fattosi sostituire nel turno, giunto a San Vincenzo scese dal treno e
seguì le mosse del cane. Questo rimase a vagabondare per i marciapiedi della
stazione per circa un’oretta, fino a quando cioè arrivò un treno locale che
procedeva in senso contrario al diretto. Profittando dello sportello lasciato aperto
da un passeggero in arrivo, il cane saltò sul “locale” e ne discese a Cecina,
avviandosi poi verso il centro della cittadina.
Tutte le azioni di questo meticcio sono spiegabili ricordando le teorie
sull’apprendimento, meno una: come fece il cane a scegliere la prima volta un
treno che procedeva in senso contrario al diretto-dispensa?
C) Qualche anno fa, sui giornali canadesi, è apparsa una notizia che ha
dell’incredibile, se non fosse riferita da persona di fiducia. Due amici, una
mattina, partirono equipaggiati di tutto punto per una battuta di caccia
accompagnati da un Golden Retriever. Alla fine della mattinata, stanchi ed
affamati i due amici si fermarono sulle rive di un fiume e si tolsero diversi
indumenti visto che ormai la temperatura era più che accettabile. Fra questi i loro
due cappelli, uno del tipo alla cow-boy e l’altro un berretto con visiera.
Rifocillati che furono, si misero in marcia per tornare all’automobile, ma
dimenticarono entrambi il copricapo. Giunti alla vettura s’accorsero della
dimenticanza e mandarono il cane a ricuperare i cappelli. Con loro grande
meraviglia dopo qualche minuto il cane tornò con i bocca i due copricapo, il più
grosso conteneva il più piccolo! Ma allora cosa dire della certezza che taluni
esprimono nel sostenere che il cane non ha il concetto astratto di misura?
Capitolo XIII
I CONTROLLI
CARATTERIALI
110
LA BELLEZZA PSICHICA
Il cane può essere valutato sotto diversi aspetti secondo le diverse esigenze
dell’uomo. Possiamo ad esempio giudicarlo per l’aspetto estetico: il cane è bello
o meno, secondo la nostra inclinazione personale ed esiste anche un gusto
comune per cui il bulldog piace ad un numero inferiore di persone mentre i più
prediligono invece il pastore tedesco.
Talvolta questa tendenza è persino un fenomeno di moda e ci riferiamo
allora alla cosiddetta “bellezza convenzionale” legata al capriccio del momento.
Possiamo esaminare il cane sotto il profilo dell’utilità per l’uomo: abbiamo
così uno specialista nello scovo su macerie che è, sentimentalmente più
ammirato di quanto non lo sia un occupante il salotto di casa.
Dal punto di vista morfologico, abbiamo un cane che è stato trasformato per
ottenere il massimo possibile dalla sua costruzione anatomica e fisiologica a
vantaggio dell’attività prefissata. Ci troviamo di fronte al classico esempio di
bellezza d’adattamento o utilitarista.
Un giudizio può essere dato tenendo conto della bellezza armonica che
secondo il prof. Giuseppe Solaro, insigne studioso di cinotecnia e Presidente per
anni dell’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana, è espressa “dalla perfezione
delle proporzioni”, secondo un’unicità di stile di costruzione anatomofisiologica.
Per l’analisi del comportamento ci si riferisce alla “bellezza psichica”
introdotta, come concetto, in cinotecnia da quel grande studioso che fu il dottor
Ignazio Barbieri. La bellezza psichica si rivela in un cane, allorquando il
carattere corrisponde perfettamente alle esigenze dell’impiego al quale noi
vogliamo adibirlo. Il cane per la ricerca dei dispersi ha un carattere diverso da
quello da salvataggio in acqua. Il cane da ricerca della droga differisce
totalmente da quello destinato alla guardia, e così via. In considerazione della
complessità della vita odierna persino il più disoccupato fra i cani: quello da
salotto, deve avere un suo carattere molto ben definito, se vuole vivere accanto
all’uomo moderno senza creargli problemi e, soprattutto, se vuole integrarsi nella
nostra moderna società in costante evoluzione.
Il carattere del cane è rivelato dal suo “comportamento” che è costituito,
vale la pena di ricordarlo, sia dalle doti innate, sia dalle conoscenze apprese
attraverso le diverse esperienze. L’addestramento, specie se si tratta di quello che
va sotto il nome di “metodo naturale”, fa parte delle esperienze apprese e
conseguentemente entra di diritto nella formazione caratteriale.
Stabilito quanto sopra diventa normale ritenere che siano stati predisposti dei
mezzi di controllo per la bellezza psichica, mezzi che s’avvalgono, ancora una
volta, della “descrizione delle conseguenze” rilevabili nelle variazioni del
comportamento del cane domestico.
In altri termini non è possibile lo studio caratteriale diretto, come si farebbe
con l’uomo, grazie all’esistenza di una buona comunicazione verbale, ma occorre
studiare il comportamento del cane per trarne le relative conclusioni sul
carattere.
I controlli caratteriali sono di tipo disparato, e corrispondono, ancora una
volta, alle esigenze di una vita “normale” del cane domestico, inserito nella
società dell’uomo.
Alcuni fra questi controlli possono anche essere personalizzati, allorquando
si deve rintracciare una concausa di un comportamento che esce per qualche
verso dalla normalità
111
I CONTROLLI PRECOCI
Diciamo subito che i controlli precoci o test giovanili sono i più difficili da
attuare e da leggere.
Difficili da attuare perché devono essere assolutamente ininfluenti sul
carattere del cucciolo. Non devono lasciare traccia alcuna della loro effettuazione
sul giovane cane.
Difficili da leggere perché, se condotti in modo rispettoso dell’integrità
caratteriale del cucciolo, mettono in evidenza solo poche reazioni, anche se
fondamentali, che sono talvolta così impercettibili da sfuggire ad un occhio poco
esperto.
Per mille motivi andrebbero eseguiti unicamente dall’allevatore della
cucciolata o dall’uomo che provvede materialmente al sostentamento della
stessa.
Solamente ove esistano dei fondati dubbi, prima dell’acquisto del cucciolo si
potrebbe ricorrere all’opera di professionisti preparati nel settore, come giudici
neutrali.
I controlli precoci vanno svolti ad un’età compresa fra i quaranta ed i settanta
giorni, in diretta dipendenza con la razza, avendo cura di ritardare per i cani di
media e grande mole.
Il loro svolgimento deve evidenziare se esistano, nella misura necessaria, le
doti naturali che sono indispensabili per ottenere un buon risultato dalla
preparazione ad uno specifico lavoro od attività che sia prescelta per il cane che è
esaminato.
Il cane destinato allo scovo su macerie, non deve dare, da cucciolo, segni
d’aggressività. Deve essere portato al gioco ed alla confidenza verso gli uomini
in generale (sociabilità), il cane destinato al servizio d’ordine pubblico deve
dimostrare, già da cucciolo, di possedere una buona tempra, ed anche una decisa
carica d’aggressività.
Il cane da salotto deve essere un buon compagno di giochi, poco aggressivo,
ma se, per esempio, vi sono dei bambini piccoli in casa, deve anche avere una
buona tempra per sopportarli, caratteristica quasi superflua se la famiglia è
composta solo da adulti.
Si comprende quindi come questi controlli siano tanto variegati nella loro
esecuzione, che non si possano dare indicazioni specifiche, le quali spettano, per
i cani di razza, alle singole società specializzate che le tutelano e, per i cani
destinati alla vita strettamente domestica, sono di competenza d’esperti psicologi
canini.
Al contrario di questa logica quasi tutti gli Autori che hanno scritto
sull’argomento dei controlli caratteriali, hanno divulgato il loro metodo
d’indagine. L’errore non sta nella presunzione che le prove caratteriali devono
rimanere segrete ed appannaggio solo di pochi, ma più semplicemente perché la
loro pubblicazione ha scatenato reazioni abnormi fra i cinofili interessati.
Molti allevatori si sono subito preoccupati di sottoporre ai controlli descritti
le proprie cucciolate, prima che fossero esaminate dai tecnici, falsando così
totalmente i risultati. Alcuni tecnici hanno provveduto, dal loro canto, a
modifiche, spesso inutili se non dannose ai fini di una corretta stesura della
diagnosi. Infine c’è stato chi, profittando dell’ignoranza altrui, si è presentato
come tecnico dando origine a situazioni davvero ridicole,
Si ricordi che le verifiche caratteriali precoci non devono essere provate
prima, e che vi sono cautele particolari da mettere in atto soprattutto prima che
siano eseguiti i controlli precoci.
112
I CONTROLLI D’ALLEVAMENTO
Con il termine allevamento, si prende in considerazione solo il cane di razza.
Sarebbe invero un poco strano che ci fosse chi si dilettasse ad allevare dei
meticci, a meno che non avesse scopi di ricerca scientifica oppure l’intento di
creare una nuova varietà, compito invero assai arduo.
I controlli d’allevamento sono studiati e prescritti dalle singole Società
specializzate, che sono state costituite ed operano per la tutela di una singola
razza o di un gruppo di razze molto affini fra loro.
L’esame della storia delle razze in generale e della selezione dei soggetti a
queste appartenenti, c’indica che i criteri di scelta dei riproduttori furono da
sempre due: quello funzionale, mirato in pratica ad uno o due compiti specifici, e
quello morfofunzionale che tiene conto anche della bellezza armonica.
Dal punto di vista della selezione caratteriale, a partire dal secondo
dopoguerra, la cinotecnia ha fatto passi da gigante, avendo finalmente compreso
che un cane non può essere “bello in assoluto” se anche il carattere dello stesso
non è consono ai dettami della razza. Un bel rappresentante di una razza che però
è pauroso o troppo mordace, non può essere un “bel cane” anzi deve essere
senz’altro squalificato nelle esposizioni di bellezza e talvolta, nei casi davvero
allarmanti, non ammesso alla riproduzione, mediante il ritiro del certificato
d’iscrizione al Libro delle Origini Italiano (il cosiddetto pedigree).
L’odierna tendenza prevalente prende in esame sia il comportamento
(bellezza psichica) quanto le bellezze armoniche e d’adattamento, concedendo
alla bellezza convenzionale ben poco: il taglio della coda o delle orecchie, per
esempio.
L’ideale rappresentante di una razza è descritto in una raccolta d’indicazioni
tecniche che si chiama “standard”. Lo standard costituisce la summa della razza
ed il giudizio espresso sui cani ad essa appartenenti fa riferimento alle norme ivi
indicate, pur con delle piccole variazioni personali dovute al gusto estetico
proprio del giudice.
C’è chi ha una preferenza per un determinato colore, chi per un altro: ecco
per esempio una differenza assai piccola rispetto al complesso delle norme da
rispettare, che può fornire differenti giudizi soprattutto per quanto attiene la
classifica (valore relativo dipendente dal numero occasionale dei concorrenti),
non certo la qualifica (valore assoluto d’aderenza all’ideale dello standard).
113
LE GARE AGONISTICHE
Per una disamina migliore occorre por mente anche a prove che poco hanno
a che fare con il controllo d’allevamento, ma che spesso sono confuse, nel
concetto dei più con queste.
Le gare agonistiche hanno il chiaro compito di mettere a confronto diversi
soggetti, e di stabilire, fra i presenti, quindi relativamente alla concorrenza
occasionale, il miglior cane che s’identifica in quello che esegue il lavoro
secondo gli stretti criteri di un regolamento complesso e che difficilmente lascia
spazio a valutazioni d’ordine psicologico.
Un esercizio deve essere eseguito in un determinato modo, e ciò che conta è
la perfezione nell’esecuzione.
È facile arguire come tutto il programma addestrativo ed il relativo controllo
attraverso le gare agonistiche siano assolutamente artificiali e quindi poco
attendibili per l’indicazione fornite ai fini di un lavoro di selezione.
Si potrebbe per il vero ricorrere a criteri di giudizio diversi da quelli che
sono oggi correntemente applicati, ma l’operazione, già tentata, negli anni
settanta/ottanta, non è di facile attuazione per motivi diversi.
Il giudizio nelle gare agonistiche è formulato a punteggio con una dotazione
iniziale di cento punti per ogni specialità: pista, obbedienza, attacchi.
Si valutano gli errori commessi dai cani e dai conduttori e si sottrae ai cento
punti iniziali, una determinata quota per ogni sbaglio. Naturalmente non tutti gli
errori hanno lo stesso peso e, di conseguenza, quel soggetto che ne commette il
minor numero, finisce con il conservare il massimo della dotazione del
punteggio, rispetto agli altri cani, che ne commettono di più gravi od in maggior
quantità.
La classifica è presto stilata e tiene appunto conto prevalentemente
dell’esecuzione dell’esercizio. Nulla si lascia alla valutazione caratteriale perché
risulta difficile penalizzare un soggetto per esempio apatico, ma preciso per i
cinque minuti in cui si svolge la gara, rispetto ad un cane vivace di
temperamento e quindi portato eventualmente a commettere delle inesattezze.
Non tenendo conto di queste doti naturali, ma badando solo all’esteriore
comportamento del cane, le gare di lavoro non sono affatto un metro di giudizio
valido per definire il carattere del singolo e tanto meno la sua aderenza ai canoni
della bellezza psichica più volte citata. Le gare restano e sono, quello che dice la
definizione: un confronto estemporaneo fra scuole, metodologie
d’addestramento, capacità del conduttore nel sostenere il cane in difficoltà, ma
nulla di psicologicamente valido.
Possono avere ed hanno in questo momento una valenza propagandistica ben
chiara ed interessante per gli sviluppi che può portare, specie la cosiddetta gara
d’agility, una sorta di prova d’abilità contro il tempo, che è spettacolare ed attira
molti interessi, ivi comprese le riprese televisive.
Il valore espresso dalle gare agonistiche è dunque relativo e dipende dalla
concorrenza per quanto concerne la classifica, e dalla occasionalità del
rendimento in quella determinata giornata, del cane, per ciò che concerne la
114
Capitolo XIV
IL LINGUAGGIO
DEL CANE
DOMESTICO
117
PREAMBOLO
Al capitolo 12 abbiamo elencato fra le forme d’intelligenza anche quella
verbale che sta nel sapersi esprimere in modo corretto e comprensibile,
La comunicazione è essenziale per il cane sia domestico che selvatico senza
eccezione di sorta. Quello domestico perché deve poter esprimere ai membri del
suo gruppo tutto ciò che ritiene necessario.
Nel cane selvatico la comunicazione diventa semplicemente essenziale per la
sopravvivenza. Stabilito che all’interno del branco occorra una scala gerarchica,
diventa normale ritenere che esistano delle continue sfide per sorpassare in
autorità, e vantaggi, chiunque sia più avanti.
A rigore di logica quest’atteggiamento favorisce la selezione del branco, la
qualità dei singoli e l’armonia della specie, se considerata globalmente. La lotta
fra due o più membri del branco anche autorevoli, può però arrecare
conseguenze gravi ai singoli soggetti, con una loro menomazione che potrebbe
anche essere permanente, quindi un danno vero e proprio.
Ecco quindi nascere le già note inibizioni al proseguimento della lotta per la
supremazia oltre i limiti d’interesse comune.
Occorre però che esista un mezzo per comunicare all’avversario che questa
situazione limite è stata raggiunta e che pertanto non serve andare oltre nella
lotta; senza questo messaggio che deve essere chiaro e percepibile a chiunque,
l’inibizione del singolo non avrebbe alcun significato perché la controparte
continuerebbe nella lotta.
Ecco dunque creati i mezzi di comunicazione fra i lupi, prima, ed i cani
selvatici, dopo, che hanno avuto necessità di lunghi tempi d’apprendimento, in
quanto è noto che oltre a chi sia capace d’insegnare, occorre vi sia chi è disposto
ad apprendere: conseguentemente ci sono volute molte generazioni perché tutti
gli appartenenti alla specie abbiano potuto memorizzare queste gestualità.
Di qui la persistenza, anche nel cane domestico, di questo comportamento
tanto ben radicato, con una differenziazione però importante: nel cane domestico
si è passati dal linguaggio prettamente gestuale, proprio del canide selvatico, ad
un misto fra gestualità e vocalizzazione con una progressiva tendenza ad usare
quest’ultima forma. Dal momento che l’uomo usa con il cane domestico, in
prevalenza, il linguaggio vocale, è diventato ovvio per questo imitarlo, passando
lentamente, ma inesorabilmente dal gesto alla voce.
È un dato di fatto che l’uomo sta imparando, solo ora ad apprezzare
concretamente le “posture” del cane e ad interpretarle nel modo dovuto.
Il linguaggio con il quale il cane domestico comunica con noi, che ritiene
suoi conspecifici, comprende due grandi categorie: il verbale ed il gestuale.
Chiunque compia ricerche sul linguaggio canino non dovrebbe dimenticare
una differenza sostanziale fra questo ed il nostro linguaggio: la comunicazione
del cane riguarda l’attualità (sensazioni, avvertimenti, sentimenti, tutti del
momento), quella dell’uomo è più estesa nel tempo ed oltre al presente può
riferirsi al passato ed anche al futuro.
Il linguaggio verbale del cane consta di queste possibilità: l’abbaiare, il
guaire, il ringhiare, l’uggiolare e l’ululare.
Quello gestuale può contare su una gamma molto vasta di “posture” che
interessano di volta in volta l’intero corpo oppure una parte di questo. In genere
le più importanti coinvolgono sia le orecchie quanto la coda.
118
IL GUAIRE
È un suono generalmente flebile a mezzo tono che nei caso di una singola
emissione significa dolore acuto ed improvviso.
Una serie prolungata può essere semplice reazione al dolore prolungato, ma
anche ad uno stato di forte timore o di paura. In questo caso è opportuno prestare
119
la massima attenzione all’atteggiamento generale del cane che, proprio per paura,
potrebbe sfociare anche in azioni aggressive. Occorre allora reagire usando un
tono di voce cordiale, un atteggiamento sorridente, ma senza toccare il cane.
Il guaito accompagnato da movimenti festosi è espressione di gioia per
quanto sta per accadere: uscire di casa, ricevere il cibo, eccetera.
Nel caso in cui, malauguratamente, quest’atteggiamento dovesse dare
fastidio sarebbe necessario impartire l’ordine “No!” ed in sequenza il “Siedi!”,
affrettando poi le operazioni d’uscita o di somministrazione del cibo.
IL RINGHIARE
Il ringhio è un verso continuo e ripetuto molto profondo, in genere
accompagnato dal sollevamento di un breve tratto delle labbra. Ha un tono
baritonale percepibile solo da vicino, ma può diventare talvolta più marcato,
accompagnato dal totale sollevamento delle labbra e dallo spostamento
all’indietro del padiglione auricolare esterno.
Attenzione al cane che ringhia: un tono sicuramente basso segnala che il
soggetto intende avvertire il suo gruppo dell’avvicinarsi di un pericolo molto
serio per tutti, ed usa lo stratagemma del suono appena percettibile per non
rivelare la sua presenza al probabile nemico.
Se al contrario il cane ringhia a noi o a qualunque altra persona presente, in
modo molto udibile ed assume posture di una certa minaccia, può attaccare da un
momento all’altro. Qualche azione che abbiamo compiuto o che stiamo
compiendo, lo disturba quindi ci avverte in maniera perentoria che è in procinto
di attaccare. Potrebbe però anche scegliere una seconda soluzione tipica del cane
domestico, che consiste nell’allontanarsi dal presunto pericolo, obbedendo al
noto principio che “soldato che fugge è buono per un’altra volta!”
(comportamento di fuga).
Qualche cane usa ringhiare anche dopo il gioco e può avere anche la
dentatura scoperta, ma l’atteggiamento generale del corpo non è di minaccia.
Qualche soggetto preparato alle gare per cani d’utilità può ringhiare una
volta cessata la pulsione aggressiva contro l’uomo d’attacco (il finto malfattore):
questo accade in particolare quando il cane ha interpretato l’esercizio come un
gioco, vuoi per un difetto di metodo d’insegnamento, vuoi per qualche errore
commesso o dal proprietario o dall’uomo d’attacco.
In proposito non si può concordare con quanti sostengono che il cane che
ringhia nel momento in cui il figurante si ferma e l’ordine di lasciare non è
ancora pervenuto, non può contemporaneamente mantenere una buona presa.
L’emissione vocale del ringhio avviene anche a bocca e dentatura
perfettamente chiuse attraverso la commessura labiale la cui muscolatura è
assolutamente indipendente da quella dei masseteri, i principali muscoli che
entrano in gioco durante la presa.
Il soggetto che ringhia nella fase descritta sta semplicemente segnalando al
figurante la esplicita minaccia “se tu muovi, riattacco”.
L’UGGIOLARE
L’uggiolio, un verso indeciso e molto lamentoso, è tipico del cane molto
giovane che esprime due distinti sentimenti. L’essere in difficoltà nell’attuare un
suo desiderio, oppure dimostrare attenzione verso l’occasionale presenza di un
suo superiore nella scala gerarchica del branco.
120
L’ULULARE
Il cane selvatico ulula solitamente quando annuncia agli altri del branco che
è giunto il momento della caccia a scopo alimentare.
Questa non è più la motivazione del cane domestico, che spesso ulula, al
contrario del selvatico, anche di giorno e non solo di notte.
Nei cani da caccia, specie nei segugi, può accadere che fiutino nelle
vicinanze l’odore di una possibile preda e di conseguenza avvertano il
capogruppo cacciatore, della possibilità d’andare a fare una bella battuta
venatoria.
Il cane domestico non va a caccia per il proprio sostentamento, anzi
probabilmente non ricorda neppure che qualche suo lontano antenato vi è andato.
Si danno così due spiegazioni al suo ululare: la prima è che sentendosi
isolato ha abbaiato per diverso tempo per attirare l’attenzione dei suoi del
branco, non vi è riuscito e pertanto usa un tono ancor più pietistico.
La seconda ragione riguarda la trasformazione dell’istinto predatorio in
pulsione venatoria. Per il cane domestico è preda tutto ciò che si muove al di
sopra di una certa velocità, a maggior ragione se muovendosi provoca un rumore
sgradevole e provocatorio. Fanno parte di questa categoria le automobili, le
motociclette, i trattori, talvolta anche le biciclette o chi s’allena per la maratona.
Poiché non può raggiungerli, dal momento che si trova confinato in casa od
in giardino, il cane domestico, ulula con il proposito di distrarre l’attenzione
della possibile preda.
IL LINGUAGGIO GESTUALE
Il linguaggio gestuale è parzialmente di derivazione ereditaria e parzialmente
è appreso dai genitori e dai fratelli. Conseguentemente non può essere omogeneo
per tutti i soggetti in ogni sua parte, ma si possono rilevare facilmente degli
atteggiamenti che sono pressoché comuni alla totalità dei cani domestici. Gli
atteggiamenti che il cane assume durante lo scambio gestuale delle informazioni
si chiamano “posture”.
Il linguaggio gestuale s’esprime attraverso: gli occhi, le orecchie, la bocca, la
posizione della testa e del collo, quella del torace e dell’addome rispetto al
terreno, l’inclinazione del pelo, il portamento della coda e la flessione degli arti.
In altri termini tutto il cane o solo una sua parte, può partecipare alla
121
LA BOCCA
LA CODA
La coda esprime molto bene i comportamenti del cane domestico.
Occorre distinguere anzitutto i soggetti che hanno la coda integra che ha per
base un numero variabile di vertebre normalmente intorno alle venti; fra questi il
pastore belga, il pointer, l’alano, il setter ed in genere la maggior parte delle
razze canine oggi allevate.
Possono esservi cani con coda integra, ma non così lunga ad esempio
l’épagneul breton.
All’opposto esistono cani che nascono senza coda evidente (anuri): il bobtail
e lo skipperke; oppure con una coda cortissima di poche vertebre come il welsh
corgi pembroke.
Esistono poi diverse razze cui la coda è amputata artificialmente a lunghezza
diversa, nei primi giorni di vita, o per motivi estetici (boxer, dobermann) o
funzionali, perché la coda potrebbe ferirsi in battute di caccia (bracchi italiani e
tedeschi, spinoni) o perché la coda serve come presa in talune situazioni
particolari (nei fox terrier in azione durante la caccia in tana).
Un’altra distinzione va fatta per quello che è definito “portamento” in
pratica la direzione che la coda presenta normalmente con il cane tranquillo né
eccitato né rilassato.
Il portamento può essere quasi orizzontale, con la coda in sostanza diritta
parallela al suolo, come nel pointer, oppure a scimitarra vale a dire con una
curvatura prima verso il basso e poi dolcemente verso l’alto (pastore scozzese),
arrotolata sul dorso (volpino) e a candela in pratica pressoché diritta verso l’alto
(fox terrier).
Fra queste posizioni base vi sono infinite variazioni tipiche di ciascuna razza.
Una curiosità è data dal bull dog che porta la coda in maniera che ricorda il
cavaturaccioli.
Per comprendere meglio i messaggi che il cane lancia con la coda, occorre
fare ancora altre distinzioni che derivano delle indicazioni già fornite.
Vi sono cani anuri o brachiuri artificiali che, non potendo esprimersi con la
coda, muovono l’intero posteriore (atteggiamento tipico ad esempio del boxer).
Nello scottish terrier la gioia è espressa con il cane seduto che batte ritmicamente
la coda sui terreno dall’alto verso il basso.
La guida per la disamina delle espressioni della coda può fare riferimento
123
GLI OCCHI
Lo sguardo del cane è un segnalatore perfetto di due momenti che riguardano
in particolar modo la gerarchia del branco. Il cane alpha (quello in altre parole
destinato a comandare) ha sempre uno sguardo attento, vivace, fissa negli occhi
la persona o l’animale che incontra e difficilmente li distoglie. Il cane che sta nei
posti inferiori della scala gerarchica, ha uno sguardo sfuggente, mai vivace e che
denota sempre un certo timore nei confronti della persona o dell’animale che
incontra. Per evidenti motivi non si deve aver paura di un cane ; mentre il
sottoposto impaurito può anche avere le reazioni tipiche di questo stato d’animo
e, in determinate occasioni, può mordere.
Il cane che “mostra il bianco”, in pratica che mette in evidenza una porzione
di cornea superiore alla normale, può essere un cane temibile perché ha
sicuramente paura e quindi poca o nulla è l’efficacia degli stimoli che potrebbe
ricevere e che darebbero in ogni caso spesso origine ad un comportamento molto
aggressivo.
LE ORECCHIE
Per quanto riguarda le posture delle orecchie, occorre suddividere le razze
canine in almeno tre grandi gruppi:
a) i cani dalle orecchie completamente erette sia per selezione quanto per
intervento estetico - chirurgico (pastore tedesco e belga, boxer,
dobermann...);
b) i cani dalle orecchie semi erette, in pratica con la base eretta e la punta
ripiegata (pastore scozzese, fox terrier...);
124
Il cane a riposo avrà le orecchie di lato. Nei soggetti del gruppo c) per
distinguere le posture si pone mente agli angoli d’attacco anteriore e posteriore.
In attenzione l’angolo d’attacco anteriore sarà certamente più rialzato di quello
posteriore. In caso di riposo l’intero padiglione auricolare sarà perfettamente
combaciante con il cranio.
Il segnale di paura è indicato dall’orientamento dell’orecchio rivolto quasi
all’indietro. Il padiglione è abbassato e deviato, con la parte interna, verso il
suolo.
IL PELO
Tutti i cani, anche quelli a pelo corto o raso, hanno la facoltà di sollevare il
singolo pelo rispetto al suo asse normale. Quest’operazione è nota come “ere-
zione del pelo” ed è consentita dalla presenza di piccolissimi muscoli erettori.
Nei cane a pelo raso, liscio o semi lungo è evidentissima la differenza che salta
all’occhio, più difficile da notare nei soggetti a pelo lungo perché il muscolo
erettore non ha la potenza sufficiente per drizzare il singolo pelo e quindi si
forma un rigonfiamento meno percepibile pur essendo pronunciato. La zona
interessata a questo fenomeno è tutta la linea dorsale dal collo alla coda.
Il cane solleva il pelo per motivi diversi:
a) quando incontra un avversario e nell’esibizione della personale potenza
fisica aumenta il volume del proprio corpo per fare maggiore
impressione;
b) quando lascia il campo senza accettare il confronto con l’avversario, ma
senza assumere atteggiamenti di sottomissione. Questo comportamento è
comune a tutti quei soggetti che invadono per sbadataggine l’area protetta
di qualche altro cane. La lotta in questo caso sarebbe contraria al normale
comportamento del cane domestico, ma la qualità dell’errore commesso
non è tale da richiedere un atteggiamento di sottomissione;
c) quando esprime aggressività solitamente provocata e sostenuta dal timore
forte od anche dalla paura
In ogni caso è bene controllare le proprie reazioni alla presenza di un cane
che ha “alzato” il pelo.
125
LE POSTURE COMPLESSE
Un cane che ha lo sguardo aperto, la bocca
spalancata, la lingua pendente, una posizione del corpo
fra la semieretta e l’eretta, la coda in movimento,
difficilmente, anche se ringhia, attacca. Preferisce
definire la questione eventualmente insorta, in maniera
diversa dalla lotta.
Al contrario un cane a bocca chiusa, con la lingua
ben ritenuta nel cavo orale, gli occhi stretti a fessura, il
pelo orripilato, le orecchie all’indietro ed una
posizione generale vicina a terra con gli arti
parzialmente distesi è, di solito, intenzionato ad
attaccare. S’è detto “di solito” e non “sempre”, perché
talvolta anche il cane più aggressivo all’ultimo
momento decide di soprassedere per qualche stimolo
inibitorio che in qualche modo riesce ad evocare.
Il cane che, rimproverato, distoglie lo sguardo,
porta le orecchie all’indietro e tiene la coda bassa,
assume quest’atteggiamento non perché “offeso”, ma
solo perché si sente; insicuro. Quest’insicurezza
prelude probabilmente ad un atto di subordinazione
rispetto a chi gerarchicamente lo sovrasta. Non è certo
il caso d’insistere oltre nel nostro rimprovero.
Il cane forte ed intelligente (l’individuo alpha)20 a
contatto con un suo effettivo conspecifico di grado inferiore gli appoggia una
zampa sulla schiena all’altezza del garrese, in segno
di manifesta superiorità.
È questa la posizione iniziale assunto dal maschio
durante il corteggiamento e prelude agli altri rituali
dell’accoppiamento. Conseguentemente il
comportamento del cane dominante che tenta di
copulare il sottoposto, non è il segnale di una
deviazione sessuale, bensì il logico compimento del
rituale di sottomissione. Dopo il primo infruttuoso
tentativo tale comportamento, di norma, cessa.
Analogamente il cane può tentare un gesto simile anche con l’uomo, quando
veramente lo consideri un suo conspecifico. In tale caso non è un atto di
corteggiamento, come taluni purtroppo credono, bensì un chiaro segnale del
tentativo del cane di mettere in discussione il ruolo dell’attuale capogruppo.
Quando questo accade all’uomo non resta che far eseguire in rapida
sequenza una successione di esercizi di ubbidienza, senza concedere alcun
rinforzo positivo. Il tutto sempre con assoluta
calma ed equità.
Il cane seduto, con la coda fra le gambe, gli arti
anteriori leggermente spinti in avanti, il collo basso,
il muso rivolto al terreno, lo sguardo spento e la
lingua pendente dà la fotografia del soggetto stanco
fisicamente. La posizione di terra simile alla
precedente, ma con la coda portata a lato di una
126
Il cane che si getta a terra con l’addome rivolto verso l’alto, gli arti anteriori
flessi, quelli posteriori allargati, e la coda sul ventre invia un segnale di massima
sottomissione.
Quest’atteggiamento è assunto sia con altri cani dominanti, sia con l’uomo
capogruppo.
Una posizione di subordinazione che il cane assume solo con l’uomo e con
gli individui alpha è di mettersi seduto, con gli arti un po’ allargati, il collo
allungato, la testa verso l’alto, con le orecchie diritte all’indietro e lo sguardo
supplice, la bocca chiusa con la commessura labiale ben tesa all’indietro e la
coda raccolta sotto il ventre. Si tratta della postura normale del cane sottomesso
che viene sgridato dall’uomo che invece ha una normale posizione eretta.
È intuitivo che le posture del cane sono innumerevoli, perché segnalano ogni
stato d’animo e non solo quelli di dominanza o di sottomissione. In genere
occorrono molti anni d’esperienza per comprenderle tutte, tenendo però conto
che esiste sempre la possibilità di differenziazioni personali ancorate in ogni caso
ad un comportamento generale stereotipato.
20 - Nella gerarchia del branco è il capobranco oppure un cane destinato a diventarlo perché
riunisce in sé doti fisiche eccezionali e doti psichiche al massimo grado.
127
Capitolo XV
L’EREDITARIETÀ
DELLE DOTI
CARATTERIALI
128
“adattativa”.
Il secondo problema riguarda i neoproprietari, che hanno acquistato dei cani
sotto lo stimolo d’impulsi non razionali, e che si sono trovati impreparati di
fronte all’ovvia necessità d’aiutare il proprio cane ad adattarsi a condizioni di
vita tanto mutevoli ed in così breve tempo.
Il risultato è tale che oggi si possono contare molti soggetti che soffrono di
una vita stentata all’interno delle mura domestiche, assillati da insormontabili
problemi d’adattamento.
La soluzione è demandata agli specialisti siano essi Medici veterinari o
addestratori o direttori di corsi collettivi. Questa è però la soluzione al problema
momentaneo, mentre le Autorità cinofile sono impegnate a fare in modo che in
avvenire l’attuale situazione non abbia a ripetersi.
Per questo hanno chiesto aiuto alla genetica del comportamento, per scoprire
la validità di certe teorie, onde garantire l’applicazione dei risultati delle ricerche,
volte a dare una risposta ai tanti interrogativi che riguardano questa branca della
scienza.
L’analisi delle differenze messe in evidenza da diversi individui
nell’esprimere un determinato comportamento introduce una problematica
preliminare: il modello d’attuazione è prevalentemente influenzato
dall’ereditarietà oppure dall’ambiente, inteso come tutto ciò che può operare sul
cane per mutarne le reazioni?.
La controversia fra ereditarietà ed ambiente, è stata formalmente superata
attraverso l’adozione di un concetto noto come “norma di reazione”, che fa
assumere al ricercatore una posizione intermedia fra le due teorie estreme quella
che fa risalire alla sola ereditarietà delle doti naturali la determinazione del
comportamento e quella che invece crede nella sola influenza
dell’apprendimento.
A fondamento di questo concetto, sta la constatazione che il “genotipo” (il
bagaglio genetico d’ogni individuo), può trasformarsi in diversi “fenotipi” (nel
caso specifico le espressioni comportamentali realmente mostrate dal soggetto in
esame) trasformazioni queste regolate dall’apprendimento.
Siamo dunque alla presenza di un intimo coinvolgimento fra due cause da
ritenersi apparentemente sullo stesso piano.
Gli studi in proposito si sono svolti sull’uomo, come quelli di Francis
Galton sui gemelli omozigoti ed eterozigoti (situati alla fine del XIX secolo
scorso), e da Franz Kallmann sulla schizofrenia (intorno al 1930).
L’interesse dei ricercatori sugli animali si è rivolto invece su di alcuni
comportamenti specifici come ad esempio il corteggiamento.
Una svolta indicativa è venuta quando sono stati studiati gli effetti
dell’ereditarietà, dell’apprendimento e del comportamento sul metabolismo del
singolo individuo.
Si è avuta la ventata degli etologi che però si sono, al solito, occupati della
“selezione naturale” studiando l’animale quanto più possibile in assoluta libertà
ed indipendenza dall’uomo; situazione che abbiamo già constatato non essere
valida per i cani domestici.
È ancora una volta la storia che ci soccorre nel fornirci una base di partenza
per la ricerca mirata.
Gli antenati dell’attuale cane domestico furono dapprima dei semplici
collaboratori dell’uomo in battute di caccia talvolta aiutandolo a localizzare ed
abbattere la preda, talaltra volgendo il risultato della battuta al loro
sostentamento. Poi, diventando spazzini delle prime comunità, furono degli
ausiliari più completi, ma sempre prevalentemente cacciatori. L’uomo che nel
130
Capitolo XVI
IL CANE
DOMESTICO
134
CONSIDERAZIONI GENERALI
dell’insuccesso patito.
IL CANE D’APPARTAMENTO
La vita in casa dell’uomo è certamente molto protetta e appagante, specie per
quei cani che hanno nella loro indole assai sviluppata la dote sociabilità (ma è
folta di rinunce con alcuni problemi d’adattamento).
L’uomo troppo spesso ritiene d’aiutare il cane premiandolo con allettanti
bocconcini che il soggetto, inizialmente, accetta ben volentieri soprattutto per
l’atavica fame cronica dei suoi lontani antenati, di conseguenza il bocconcino è
ritenuto un rinforzo positivo di notevole valore. Con il trascorrere di un tempo
neppure molto lungo, il cane domestico gradisce poco questo tipo di rinforzo La
ragione è sempre la stessa: l’assuefazione ad un determinato tipo di rinforzi: ne
fa diminuire il valore!
Il condurre la propria vita a costante contatto con l’uomo, fa si che il cane
può anche imitarne i gesti ed il comportamento generale. Non è certo un danno
se il comportamento dell’uomo è quello illustrato al capitolo 19.
È un dato di fatto che spesso si sente sussurrare: “Guarda quel cane come
assomiglia al padrone’”, o viceversa. Talvolta si tratta di una vaga somiglianza
fisica, limitata ovviamente al solo viso ed al muso, ma altre volte ci si riferisce
proprio ad un’assoluta affinità caratteriale e comportamentale.
Tutto ciò deriva da un sentimento che taluni chiamano amore, ma che per
ovvie ragioni, è forse più opportuno definire “affetto”. Questo accade sovente
quando il cane entra in casa da cucciolino e sviluppa tutta una serie d’esperienze
a fianco del proprietario. Il cane prova anche affetto per le altre persone facenti
parte del gruppo e le difende, se necessario, dai pericoli che individua. È proprio
una motivazione affettiva che fa sviluppare il concetto di “area protetta”. Di
questa fanno parte anche le cose inanimate come la casa, gli oggetti diversi.
Tutti i cani che entrano nell’automobile, guardano con sospetto chiunque
s’avvicini e, se hanno carattere e prestanza fisica, la difendono anche in assenza
del proprietario. A maggior ragione, a meno d’apprendimenti particolari dovuti
all’addestramento, il cane difende l’auto anche quando vi sono a bordo il
proprietario ed i suoi familiari. L’estraneo che siede nell’auto, è rispettato e
difeso dal cane, perché il quel momento fa parte, sia pur provvisoriamente, del
gruppo.
Serve qui ricordare un fatto reale che sembra apparentemente senza uni
motivazione e che invece indica un comportamento ben chiaro, se lo conside-
riamo dalla parte del cane.
Dovendo affrontare un lungo viaggio di centinaia di chilometri, una persona
di tutta fiducia ed esperto di cani, accettò l’ospitalità di un automobilista che si
stava recando con il cane, nello stesso luogo. L’ospite fu presentato al cane in un
luogo appartato e lontano dall’automobile, fu fatto salire per primo e subito
dopo, quasi contemporaneamente, salirono il cane ed il proprietario. Nessuna
reazione durante il viaggio, ma una volta giunti ad un’area di servizio e
desiderando tutti di sgranchirsi le gambe, il proprietario fece scendere per primo
il cane e poi l’ospite.
Spiegò che tale comportamento era dovuto al fatto che, se il cane fosse
rimasto in automobile con l’ospite avrebbe potuto avere reazioni di minaccia nei
confronti di quest’ultimo. A sentire il proprietario, la minaccia sarebbe stata solo
“verbale”, senza azioni serie contro l’ospite, ma in ogni caso fu convinzione
comune che non valesse la pena, in quel momento, di verificare l’asserzione.
137
IL CANE D’ALLEVAMENTO
Il cane d’allevamento non può essere considerato esclusivamente come una
macchinetta sforna cuccioli, e quindi lasciato a se stesso, per tutto il tempo
rinchiuso in un box, anche se grande, anche se comodo.
A turno deve essere portato ad affrontare il mondo esterno per apprendere
che non esiste solo il canile. A turno deve poter vivere come un cane da giardino,
quindi almeno di giorno, portato in grandi recinti insieme con altri cani, dove
poter organizzare una sua vita sociale che costituisce la sua massima aspirazione.
La casa del proprietario deve essere conosciuta, magari una sola volta, ma il
cane deve apprendere che, oltre all’uomo di canile, esistono anche altri uomini e
se possibile ne deve conoscere la relativa struttura sociale.
Certi risultati negativi, che alcuni allevatori ottengono alla prima apparizione
140
sui ring delle esposizioni canine, sono dovuti quasi esclusivamente alla
mancanza d’esperienza di questi soggetti che per la prima volta mettono il piede
fuori dal loro box e non conoscono l’esistenza d'altri cani e d’altri uomini.
141
Capitolo XVII
IL
COMPORTAMENTO
CONFLITTUALE
142
dell’assuefazione21.
In ogni caso devono essere sempre studiati degli stimoli nuovi e forniti dei
rinforzi d’alta qualità.
Il cane domestico può trovare importanti interventi negativi nella memoria:
un pastore tedesco era ben lieto di sentire tintinnare il suo collare perché quel
rumore significava passeggiata all’aperto. Si mise in “attività conflittuale” nel
percepire il tintinnio del collare dal giorno in cui fu colpito sui testicoli dal lancio
da parte del conduttore, autore di una magnifica pensata, che voleva farlo
desistere da un’azione a lui non gradita. Ci vollero tanta pazienza e mille astuzie,
fra queste l’adozione di un collare di cuoio, per ottenere che il cane tornasse a
manifestare la propria gioia nel predisporsi ad uscire di casa.
LO STRESS
È un fenomeno di cui si conoscono molti aspetti, e che è dibattuto anche al di
fuori dello stretto ambito scientifico, dai media e nei salotti.
Il cane, come l’uomo, è soggetto a questa situazione che ha tali e tanti gradi
d’influenza sull’organismo da poter essere un disturbo di poco conto, ma anche
diventare una serissima malattia dalla quale diventa difficile uscire guariti del
tutto.
Di volta in volta è stato definito come “stato d’ansia”, “ angoscia”,
“esaurimento”, “logorio”, “ sofferenza”, “tensione” e così via: tutti lemmi che
tradotti in linguaggio comune indicano uno che “non ce la fa più”!
Alcuni studiosi hanno però posto in evidenza che senza lo stress
mancherebbe “il sale della vita” intendendo che talvolta, a patto di mantenerlo
entro certi limiti, lo stress funziona da meraviglioso stimolo.
Altri studiosi hanno completato le ricerche affermando che anche le
emozioni piacevoli, quando sono esageratamente ripetute, o di gran valenza, od
improvvise, possono essere causa di stress.
Ogni volta che ci troviamo di fronte ad una novità, possiamo reagire in
maniera corretta o meno, e quando l’organismo ha una reazione non consona
ecco scattare a livello del sistema nervoso l’intervento dell’ipotalamo che
provoca uno stato di sofferenza.
Nel cane domestico i motivi stressanti sono inferiori per numero rispetto a
quelli dell’uomo, se non altro, perché dobbiamo scartare molti momenti negativi
che sono propri del pensiero astratto (ad esempio: pensare a Dio, riflettere sulla
giustizia, eccetera).
In compenso, e lo si è osservato in diversi casi, il cane può giungere allo
stress perché già ne è stato colpito il proprietario, e non si conosce ancora se ciò
avvenga per “simpatia” o perché un padrone stressato è, per il cane, ma non solo
per lui, un uomo nevrotico.
Durante il lavoro di scovo su macerie o in valanga, accade più volte di notare
dei cani che lavorano con tale forte motivazione da riuscire a restare sul campo
per ore consecutive. Qui deve soccorrere l’abilità e la conoscenza del conduttore,
il quale in ogni caso, deve sapere quale è il momento di rottura fra la fatica
psicofisica del lavoro di ricerca, e la grande motivazione che sostiene il cane e
che lo porterebbe a continuare nella sua attività.
Individuato il punto di rottura il conduttore può togliere momentaneamente
dal lavoro attivo il cane e farlo riposare il tempo necessario. Andare oltre invece,
significa portare il cane alle soglie dello stress da affaticamento, oppure, nei casi
più sfortunati, precipitarvi di colpo, con gravissime conseguenze per l’ausiliare
146
che diventa inutilizzabile per tempi anche lunghi e con il risultato che quella
Unità Cinofila non può continuare nel suo servizio.
La situazione di conflitto che s’instaura e che è generata dallo stress, può
portare a conseguenze lievi, nelle quali è riscontrabile solo un aumento d’attività
del sistema nervoso autonomo, quindi un’influenza diretta sia sull’apparato
gastroenterico che su quello muscolare. Si ha anche un rilevabile aumento
dell’attività delle surrenali con presenza d’adrenalina nel sangue.
Lo stato di stress può anche essere più grave, ed allora abbiamo, fra l’altro,
un aumento del battito cardiaco, ed una respirazione più celere.
Nei casi veramente gravi, si può arrivare a stadi molto pericolosi e persino
alla morte, soprattutto se non si rimuovono celermente la cause scatenanti.
ALTRE CAUSE
Nel cane domestico, salvo rarissime eccezioni, il conflitto territoriale non ha
significato, in quanto evidentemente legato alla ricerca del cibo che è diventato
compito dell’uomo ed al quale solo in casi eccezionali il cane fa più riferimento.
L’eventuale comportamento aggressivo nei confronti degli altri membri del
branco quando sia generato dal desiderio d’avanzare nella scala sociale,
difficilmente diventa causa di un comportamento conflittuale, salvo che non si
tratti d’aggressività di dominanza assoluta, nel qual caso è possibile che
l’eventuale repressione di questa tendenza abbia effetti frustranti.
Il corteggiamento non può essere causa di comportamenti conflittuali, in
quanto è breve e non mette in discussione la tendenza alla riproduzione
d’entrambi i soggetti. Solamente se al maschio è presentata una femmina che non
è ancora “disponibile” per motivi fisiologici, all’accoppiamento, questa mancata
soddisfazione principale potrebbe generare, specie se ripetuta più volte, uno stato
di frustrazione, mai un comportamento conflittuale.
È da richiamare invece come una delle cause più importanti dei conflitti che
portano allo stress, il problema dell’adattamento alle abitudini domestiche, che
non incide allo stesso modo su tutti gli individui.
Si possono riscontrare persino delle razze che sono meno sottoposte a questo
pericolo, altre in misura maggiore. Gli individui appartenenti a razze che vivono
allo stato domestico da più tempo, sono meno sottoposte allo stress (cani da
caccia da ferma, l’alano, il dalmata, il pastore tedesco) altri che sono diventati
cani “casalinghi” da poco tempo sono più deboli rispetto a quest’aspetto del
problema (cani da traino, da combattimento, terrier).
Vi sono poi delle cause che, al solito, sono dovute all’insipienza del
proprietario e non alle tendenze contrastanti del cane. Si tratta, in genere, di quei
piccoli cani cosiddetti da compagnia (barboncini, toys) che troppe gentili signore
tendono ad antropomorfizzare tanto da spegnere ogni loro precipua personalità.
21 - Cfr. Cap. 10 e 18
147
Capitolo XVIII
IL RICUPERO
COMPORTAMENTALE
148
Dal complesso delle posture del cane nasce il suo desiderio di comunicare
con noi, mentre a lui non interessa il significato delle parole che noi usiamo, ma
piuttosto il tono delle stesse.
Una prova si può avere subito: è sufficiente insultare il cane, ma con un tono
affettuoso, perché questo si precipiti verso di noi, mentre se lo lodiamo con
acconce parole, ma con tono di rimprovero, lo vediamo rifugiarsi in cuccia od in
un angolino dispiaciuto del nostro atteggiamento. Tutti i cani domestici
conoscono almeno una ventina di “parole chiave”, quelle cioè che corrispondono
ad una precisa richiesta del proprietario.
Un’eccezione a questa regola, è data dal cane, al quale è stato impartito un
programma d’inserimento di base ed un addestramento mirato a qualche servizio.
Questo soggetto conosce il significato esatto d’almeno un centinaio di parole
chiave, ad ognuna delle quali corrisponde una risposta che il cane deve fornire
all’uomo.
Le parole sono: “Vieni”, “Vai”, “Fermo”, “Seduto”, “Cerca” “Attacca” e
così via.
Il cane da salotto conosce tante altre parole chiave come: “A spasso”, “Giù
di lì”, “Pappa”, e così via.
Ci sono poi soggetti che conoscono molte più parole chiave e sono quelli che
vivono costantemente con il proprietario, magari seguendolo in automobile
anche durante la sua vita di lavoro.
Un altro tabù da dimenticare è la convinzione che molti proprietari hanno di
non essere loro in grado di modificare la situazione spiacevole.
Conseguentemente affidano il cane ad una scuola d’addestramento con la
certezza che il tecnico possa risolvere il problema. In effetti, in un ambiente
totalmente diverso, le deviazioni comportamentali possono anche non presentarsi
od essere di piccola entità, rispetto a quelle manifestate nella situazione
domestica.
Il professionista, a conclusione del ciclo di rieducazione, restituisce il cane
potendo garantire il mutamento positivo.
Purtroppo accade che dopo pochi giorni la grande maggioranza dei cani così
rieducati, ma ritornati nel medesimo ambiente, che nel frattempo non ha subito
modifiche sostanziali, riaffaccino tutte le problematiche precedenti al corso di
rieducazione. Di chi la colpa? Certamente del mancato adeguamento
dell’ambiente domestico, cose ed uomini, che è stata la causa prima delle
deviazione comportamentale iniziale, e che ridiventa il motivo della nuova
spiacevole ripetizione. Se infatti la causa risiedesse nel bagaglio caratteriale del
cane, non subirebbe alcuna influenza ambientale durante il breve periodo
trascorso alla scuola.
Si è notato più volte che il cane che vive con una coppia in crisi, cade
spessissimo in uno stato di conflitto verso entrambi i partner. La stranezza si
rileva nel fatto che, se decide di scegliere fra una delle due parti, non sempre
sceglie il capogruppo, ma spesso si schiera con il cosiddetto “coniuge perdente”.
Altro ostacolo serio da superare è la mancanza fattiva e continuata da parte
del proprietario e dei familiari in genere.
Da principio i consigli sono seguiti alla lettera, ma poi la fatica e la
mancanza di tempo da dedicare all’opera di rieducazione, fanno si che il
proprietario diminuisca la frequenza degli interventi e soprattutto la qualità degli
stessi. Con il passare dei giorni tutti diventano sempre più indisponibili a seguire
il programma preciso di rieducazione, con il risultato negativo facilmente
immaginabile.
Infine, non deve essere dimenticata la tendenza di molti proprietari ad
150
interpretare in chiave “umana” certi atteggiamenti del cane, che sono invece
chiare espressioni di dominanza. Un esempio fra tutti: il cane appoggia spesso la
propria zampa sulla gamba del proprietario seduto, questo gesto è inteso come
una richiesta d’affetto e di comprensione. Al contrario, è un gesto che
normalmente usa il superiore della scala gerarchica del branco (l’individuo
alpha) nei confronti dell’inferiore, appoggiando la zampa sul dorso dello stesso
in segno di dominanza.
Se questo gesto ed altri simili, non sono interpretati nella maniera corretta, il
programma di rieducazione non ha significato alcuno fino al momento in cui il
proprietario non si è ripreso il ruolo di capogruppo.
Costituisce, al contrario, un segnale d’amicizia il portare l’arto anteriore
ripetutamente a contatto con l’uomo, ma il movimento non è tanto ampio da
arrivare al ginocchio e soprattutto è intermittente. Ripete in pratica il movimento
che il cucciolino esegue con la zampa sulla mammella perché sia sollecitata la
secrezione lattea.
È perfettamente inutile iniziare un programma di ricupero se tutte le
premesse non sono favorevoli alla buona riuscita della stesso.
Vi sono comportamenti anomali che, per la loro gravità meritano interventi
di tipo farmacologico, quali l’uso dei sedativi che devono essere
obbligatoriamente prescritti dal Medico specialista e somministrati sotto il suo
diretto controllo.
I problemi meno complessi, oppure che si presentano in condizioni tali da
non rendere necessario l’intervento terapeutico, possono trovare buon ausilio in
alcune tecniche che gli esperti ben conoscono.
Negli Stati Uniti d’America, laddove per la legge dei grandi numeri, tutto
assume una proporzione gigantesca, si possono contattare decine di migliaia di
proprietari che hanno, o credono d’avere, un cane-problema. Sono stati così
istituiti decine e decine di centri di ricupero per cani disadattati che hanno cioè
comportamenti non consoni alle esigenze della vita sociale.
Premesso che il corso inizia ripassando, o instaurando le tecniche
dell’inserimento precoce (in pratica gli esercizi d’ubbidienza), s’applicano
tecniche specifiche dopo aver individuato alla radice la causa del comportamento
giudicato anomalo. Quello che appare strano, nello scorrere le norme applicative
è che esso risulta un mix d’attuazioni pratiche di conoscenze psicologiche
modernissime, con fasi che ormai dovrebbero essere considerate superate.
Dal punto di vista psicologico si tende a sfruttare il riflesso condizionato del
Pavlov, nel tentativo di spostare la motivazione del cane da uno scopo ad un
altro. Per esempio nel caso del cane timoroso dei rumori improvvisi, un aiutante
fa fuoco con una rivoltella a salve, mentre l’addestratore somministra il cibo
giornaliero all’allievo. Con questa tecnica si possono ottenere dei buoni risultati,
nel breve periodo, soprattutto se ripetuta in luoghi ed occasioni diverse.
Non si capisce, a questo punto, come mai altri comportamenti scorretti siano
modificati, od almeno si tenti di farlo, con il ricorso a palliativi anziché
adoperare sempre la stessa tecnica. Ad esempio ai proprietari di cani che
inseguono ed uccidono le galline, si consiglia di legarne una al collare del cane e
lasciarla per almeno ventiquattro ore. Oppure si ricorre addirittura a stimolazioni
elettriche e a mezzi chimici da cospargere laddove abitualmente il cane attua il
suo comportamento scorretto.
La chicca finale di queste metodologie, sta nel consiglio di mescolare un
emetico al bocconcino offerto da un estraneo, per attuare il programma di rifiuto
del cibo dato da persona non appartenente al gruppo.
Ammesso che il cane possa comprendere la correlazione che c’è fra
151
Capitolo XIX
IL RUOLO
DEL
PROPRIETARIO
153
Piero Scanziani, nel suo libro “IL CANE UTILE”, già citato e dato alle
stampe nei primi anni cinquanta, scrive che, in genere, la causa degli insuccessi
nell’addestramento, deve addebitarsi in gran parte ad errori degli uomini e non a
colpe del cane. Un’intuizione davvero geniale, ove si consideri che solo in questi
ultimi anni novanta, alcuni studiosi americani sono giunti alla stessa conclusione,
mettendo finalmente in discussione la teoria che per decenni aveva attribuito al
solo cane la causa della cattiva riuscita comportamentale. La perspicacia dello
Scanziani rimase per molto tempo confinata nel ristretto ambito degli studiosi
dell’addestramento, che furono in grado di mettere a punto nuovi metodi
d’insegnamento da contrapporre ai vecchi dettati, tutti basati sulla sottomissione.
Non è certamente esagerato sostenere che senza la sua opera non si sarebbe
arrivati in Italia, primi nel mondo, alla ricerca sul metodo addestrativo naturale di
cui si tratterà diffusamente nel capitolo successivo.
In questa sede c’interessa analizzare, seguendo le osservazioni dello
Scanziani, i diversi tipi di proprietari, candidati capogruppo, per conoscerne
qualità e difetti.
Con un poco di autocritica chiunque s’occupi di cani domestici dovrebbe
analizzare il proprio comportamento e ritrovarsi in una delle categorie descritte,
sia per conoscere se stesso, o almeno come ci “vede” il cane, sia per evitare dei
comportamenti non corretti che a loro volta potrebbero costituire valido motivo
per causare un comportamento anomalo.
I PROPRIETARI “DIFETTOSI”
Si dividono fondamentalmente in due grandi categorie: quelli che vogliono
“dominare” il cane a tutti i costi e quelli che invece non s’accorgono di “essere
dominati”.
I primi vogliono il potere esprimendo non la superiorità psichica, bensì, in
genere, quella fisica. Impartiscono gli ordini sempre con qualche tono superiore
al necessario in modo tale che quelli dati a voce normale non vengono neppure
percepiti perché, per il cane, non corrispondono a stimoli-chiave. Questi
proprietari non s’accontentano di dominare il cane con la voce, ma anche con le
posture a muscolatura rigida, talvolta sovrastandolo dall’alto della statura.
Un proprietario di questo tipo non riesce a preparare il suo cane a nessuna
specialità ed anche il soggetto tenuto per compagnia è privo d’iniziative, triste, e
poco socievole; ha sempre un atteggiamento dettato dal comportamento
d’evitamento, proprio a causa dell’eccessiva prepotenza dell’amico uomo. Il
risultato però è ovvio: un cane totalmente sottomesso, impaurito, dubbioso sul da
farsi per tema di sbagliare, sordo ai toni di voce dolci.
Altro tipo di proprietario destinato ad avere problemi d’adattamento nel
rapporto con il cane, è il “disilluso”. Solitamente si tratta di chi non ritrova nel
secondo cane che possiede, tutte quelle belle qualità che ha individuato nel
soggetto precedente, o, ancor più spesso, che si è inventato nei ricordi. Questo
proprietario non si rende conto che ogni cane ha un suo personalissimo carattere
irripetibile in altri soggetti, e poiché non ottiene ciò che desidera, definisce il
nuovo soggetto uno stupido, un inetto.
Quando si scontra con le prime difficoltà, non riflette sul fatto che per ogni
cane può essere necessaria una metodologia diversa, insiste su quella già
155
applicata, passa facilmente ai rinforzi negativi, alza il tono della voce, diventa
impaziente ed alla fine si rassegna a non poter ottenere nulla dal nuovo cane e
riversa le colpe tutte sull’amico che l’ha tradito. Il cane certamente avvalora
quest’ipotesi di mancanza di capacità perché resta sconcertato e poco
socializzato con l’uomo. Diventa un cane triste, sottomesso, ma purtroppo anche
assai propenso a reazioni aggressive che possono destare qualche allarme.
Anche il proprietario “disilluso” è destinato a non avere successo con altri
cani, fino a quando non comprende che ogni soggetto ha una sua personalità e
che a questa si deve adeguare.
Fin qui i proprietari del tipo “dominante”, occupiamoci ora dei “dominati”
loro malgrado.
Esiste il proprietario che antropomorfizza il cane in modo eccessivo, tende
ad assumere atteggiamenti da sottoposto nella scala gerarchica, perché nella
smania di renderselo amico gli lascia il ruolo di capogruppo.
Si potrebbe definire come il classico caso della “zitella” e poco importa se il
proprietario sia donna od uomo.
Il cane s’impone, domina e diventa pericoloso per tutti coloro che non fanno
strettamente parte del gruppo familiare. Il suo ruolo di capogruppo gli impone di
fatto l’adozione d’alcune regole di difesa, che lo portano a non tollerare estranei
nell’ambito dell’area protetta che ha individuato.
Dal suo canto il proprietario, che non ha compreso la vera essenza del
processo di trasformazione, s’inorgoglisce sempre più del ruolo decisionale che
il cane sa assumere, lo definisce intelligentissimo e lo ritiene il compagno ideale.
In genere quando s’accorge del sorgere del problema, è troppo tardi e con le sue
sole forze non riesce più a dominare la situazione.
Esiste poi anche il proprietario “lusingatore” che è altrettanto deleterio.
Solitamente ha alle spalle un’esperienza negativa dovuta a metodi impositivi di
cui ha compreso la negatività, ma reagisce con il nuovo cane, con un
atteggiamento non equilibrato, ma altrettanto estremo però di segno opposto.
A qualunque costo non vuole più essere impositivo, quindi diventa troppo
lassista con blandizie sia verbali sia con rinforzi gestuali (carezze, gioco troppo
protratto, bocconcini, eccetera). Premia il cane persino quando non è
strettamente necessario pur di “farselo amico”, e quando poi lo punisce, perché
costretto a farlo, usa mezzi duri che vanno al di là dal corretto comportamento e
dell’equilibrio che dovrebbe dimostrare.
Il cane non comprende nulla e decide di diventare anche in questo caso il
capogruppo; ci tenta e, solitamente, vi riesce, dato lo sconcertante
comportamento del proprietario. Diventa pericoloso non solo per gli estranei, ma
purtroppo anche per il proprietario stesso ed i suoi famigliari con chiari
atteggiamenti di minaccia assai riprovevoli.
Questi sono i tipi fondamentali dei proprietari difettosi ma ne esistono tutta
una serie di sfumature intermedie.
In ogni caso il proprietario peggiore è quello che lascia in un box per
lunghissimo tempo il cane badando solo a fornirgli il cibo e poche altre cure, ma
che poi, quando ritiene giunto il momento che il cane gli abbisogna, pretende che
questi abbia un buon rapporto con lui, si dimostri indipendente quel tanto che
basta e collabori con attenzione alla buona riuscita dell’intrapresa.
Va detto che fino a qualche tempo addietro, era questa la posizione comune a
moltissimi cacciatori che si dichiaravano poi insoddisfatti delle prestazioni del
proprio cane, magari stupiti che al contrario l’amico uomo, compagno di battuta,
avesse una certa dimestichezza con il cane che sembrava più affezionato
all’occasionale accompagnatore che non al proprietario stesso. Talvolta questo
156
accade perché esistono degli “uomini di cane” così come esistono gli uomini di
“cavallo”, quelli che hanno in altre parole una “mano” tanto felice con l’animale
da possedere una speciale aura!
Altre volte accade perché il cane d’altri è generalmente trattato bene
dall’occasionale cacciatore che non lo conosce e che ritiene quindi di doverlo
studiare assumendo una posizione neutra, ma aperta: ed è questa una sensazione
che in genere i cani percepiscono al volo.
Capitolo XX
DELL’ADDESTRAMENTO
160
L’ADDESTRAMENTO AVANZATO
Per il proprietario che invece ha intenzione di svolgere con il cane delle
attività sia agonistiche, sia pratiche ed operative s’aprono diverse vie, ognuna
delle quali richiede un diverso tipo d’addestramento specifico che però non può
prescindere dall’aver già acquisito e memorizzato il programma di base.
Il primo consiglio che può essere dato a chi vuole affrontare una
specializzazione è d’esaminare bene e con atteggiamento critico anzitutto se
stessi.
162
struttura che può essere anche privata, ma che deve essere inquadrata
nell’organizzazione generale del Dipartimento di Protezione civile. Queste
Organizzazioni di volontariato hanno propri campi particolarmente attrezzati per
l’allenamento, una struttura di corsi con personale esperto e qualificato sia a
livello di dirigenti sia di collaboratori.
In ogni caso l’intervento operativo, salvo di nuovo casi assolutamente
eccezionali, è consentito solo ad Unità cinofile che abbiano superato una serie di
prove ed esami attitudinali che sono organizzati dal Dipartimento suddetto.
Le altre specializzazioni sono invece libere a tutti senza limitazioni.
Occorre solo ricordare che ostacoli non di poco conto sono talvolta frapposti
agli allenamenti ed alle prove dei cani da caccia, in particolar modo quelle da
tana, da organizzazioni protezionistiche.
dei nuovi cani, semplicemente perché conoscono una sola metodologia che non
può essere il toccasana per tutte le occasioni.
Per fortuna del neofita esistono oggi diversi campi attrezzati che forniscono
quanto meno un capo-corso, degli aiutanti, un’attrezzatura generica e specifica,
un’assistenza tecnica specializzata al tipo d’addestramento che si desidera
impostare.
Sono normalmente organizzati da gruppi cinofili che fanno capo alle Società
specializzate oppure ad associazioni di volontariato, garantiscono, con il rispetto
di precisi orari una continua assistenza per tutto l’arco dell’anno.
In genere si ricorre alla scuola quando si vuole un tipo d’addestramento
generico, oppure molto avanzato nel settore delle prove per cani delle razze
d’utilità o del cane da caccia in grande cerca. Per le altre specialità è più comodo
addestrare direttamente il proprio cane.
Le caratteristiche comportamentali di un buon addestratore sono quelle già
indicate al capitolo 18 per il buon proprietario. Non v’è differenza alcuna, se non
che l’addestratore deve avere tutte quelle qualità ed esprimerle al massimo grado
senza tentennamenti o momenti di pausa.
La durata dei corsi organizzati impegna generalmente per alcuni mesi per
una prima base di fondo e poi, secondo le specialità, per un periodo più o meno
lungo che per taluni (cani per lo scovo in macerie) può essere un impegno di un
paio d’anni prima d’arrivare al brevetto operativo.
Per chi poi desidera partecipare davvero alle prove sia sportive quanto
d’attività di protezione civile, allora l’allenamento può essere settimanale oppure
quindicinale, ma in genere dura tutta la vita del cane, almeno fino a quando
questo non diventa troppo anziano, per affrontare con desiderio e giusta
motivazione, le prove.
Capitolo XXI
L’ANALISI
COMPORTAMENTALE
DEL CANE
OPERATIVO
169
Per tentare di chiudere l’ormai lungo esame del comportamento del cane
domestico, ci si deve occupare del soggetto operativo, quello che abbandonata la
comoda poltrona del salotto è impiegato in qualche maniera al servizio del
gruppo familiare e/o della comunità.
Essenzialmente può essere fatta una suddivisione di massima, seguendo
anche la terminologia abitualmente usata nei rapporti fra i cinofili:
a) cane da caccia,
b) cane da compagnia,
c) cane d’utilità,
d) cane di servizio.
Il cane da caccia è l’ausiliario dell’appassionato cacciatore nelle battute
venatorie. I tipi di caccia, i terreni su cui si svolgono, la selvaggina da scovare,
sono i motivi che fanno suddividere il cane venatorio in altri sottotipi: da ferma,
da cerca, da riporto, da caccia in tana, da seguita, eccetera.
Il cane da compagnia è generalmente considerato quello che trascorre gran
parte del proprio tempo nell’accogliente casa del capogruppo, preferibilmente nel
salotto, pieno di vizi e di pretese. Forse sarebbe bene considerare l’aspetto
dell’apporto che il cane dà a molti individui soli, della sua fedeltà indiscussa,
della capacità di riempire una giornata a molte persone destinate altrimenti a
trascorrere le loro ore sul campo di bocce o a giocare a scopa!
Se consideriamo quest’aspetto, il cane “compagnone” ne esce certamente
rivalutato e degno della nostra attenzione. Ovviamente vi sono razze che sono
state create apposta per la compagnia, ma tutti i cani, di razza o no, che non
hanno un loro lavoro specifico rientrano in questa categoria.
Il cane d’utilità si rende interessante all’uomo per le tantissime attività che
può svolgere: la guardia, la difesa, la guida dei non vedenti, il traino, l’agility, la
condotta del gregge o della mandria, eccetera.
Anche in questo caso ogni specialità ha raccolto intorno a sé delle razze
specifiche che sono state pensate e create apposta per quel lavoro specifico.
Infine il cane di servizio: esso ha i compiti più affascinanti da svolgere. La
ricerca dei dispersi, il salvataggio in acqua, lo scovo in valanga o sotto le
macerie, la ricerca delle armi o della droga e di recentissima attuazione delle
fughe di gas, costituiscono la sublimazione dell’utilità del cane nel nostro secolo.
Il solo pensare per un attimo che la vita di uno o più uomini, dipende dalle
capacità fisiche ed intellettive di un cane, rende quest’animale un qualcosa
d’insostituibile e di grandissimo
I CANI DA CACCIA
Il bagaglio caratteriale del cane da caccia, esclusi quelli da tana, ha il
fondamento principale su uno spiccato impulso venatorio che li porta ad agire
per la cattura od il recupero della preda che deve essere ceduta al cacciatore,
bandendo quindi dal proprio agire l’istinto predatorio che li porterebbe a cibarsi
della preda ritrovata.
Senza quest’impulso venatorio che deriva anzitutto dalla motivazione di
collaborare con il proprietario alla cattura della preda, non esiste il cane da
caccia.
Questo deve avere poi un quadro di doti naturali siffatto: aggressività max.
1+, curiosità min. 1+, docilità min. 1+, sociabilità almeno 1+, temperamento
almeno 1+, tempra min. 1+, vigilanza min. 1-.
L’aggressività, anche se è opportuno che sia presente, non deve essere tale
170
I CANI DA COMPAGNIA
Per svolgere il suo importantissimo compito di carattere morale il cane
compagnone deve essere il più inserito fra i tutti i soggetti domestici nella società
dell’uomo.
Deve conoscere le regole di comportamento generale del gruppo in cui vive,
chi viene in visita, chi è il fornitore, chi (come il portalettere) non ha nessuna
intenzione di commettere violazioni dell’area protetta e chi, al contrario, può
rivelarsi un malfattore. Sembra strano a prima vista, ma quello del cane da
compagnia, specie di persone sole, è il compito più difficile che l’uomo abbia
affidato al suo amico.
Il quadro delle doti caratteriali ha questo sviluppo: aggressività max. 1+,
curiosità preferibilmente 1+, docilità 2+, sociabilità 2+, temperamento preferibile
1+, tempra 1- (se non ci sono bambini nel gruppo, altrimenti 1+), vigilanza 1+.
Un minimo d’aggressività è necessaria perché potrebbe diventare utile in
condizioni particolari, come un tentativo di rapina od altro, importanti sono la
docilità e la sociabilità al massimo grado possibile, sta bene un po’ di
temperamento e di curiosità, ma una dose superiore potrebbe costituire un
problema specialmente per le persone di una certa età.
Il cane compagnone deve avere un minimo d’addestramento, il programma
d’inserimento precoce è sufficiente, ma ricordiamo che ha tante necessità che
sono state già tratteggiate nel capitolo 16 al quale rimandiamo.
Fra i cani da compagnia possiamo includere, senza grande scandalo, anche
quelli da sport, che sono avviati alla carriera sportiva sia essa in esposizione di
bellezza o in prove di lavoro. A ben guardare, questi cani da sport servono solo a
soddisfare l’ambizione dei proprietari, fermo restando che molti dei soggetti
presentati alle esposizioni ed alle prove caratteriali (non alle gare), vi sono
portati per un confronto di valutazione fra allevatori ed esperti, ed hanno quindi
un grande valore dal punto di vista cinotecnico.
I cani da esposizione sono dei soggetti che aderiscono molto all’ideale di
171
standard di ciascuna razza. Sono quindi presentati alle esposizioni per farli
conoscere e per procurarsi quel minimo di popolarità, che consente poi al loro
proprietario d’adoperarli come soggetti da riproduzione.
Il cane da gara è addestrato per completare, quando possibile, tutto l’iter
delle diverse classi in cui queste gare sono suddivise. Portare un cane al titolo di
Campione italiano di lavoro è un risultato eccezionale che costituisce
l’aspirazione di molti, anche se poi sono in pochi a riuscirci.
Il cane da agility, una specialità molto recente sulla scena cinofila, diverte
ed appassiona molti proprietari di cani delle razze più diverse dai piccolissimi ai
giganti. Si tratta di un passatempo che ha funzioni salutistiche per il conduttore e
per il cane, ed una grande capacità d’attirare l’attenzione del pubblico e quindi
d’essere un interessante veicolo promozionale. Non ha significato tecnico
d’alcun tipo.
L’ideale caratteriale del cane da sport è: docilità 2+, temperamento 2+,
sociabilità almeno 1+. Secondo poi i diversi regolamenti, dovremo avere anche
aggressività, tempra, vigilanza eccetera nella misura che è normalmente indicata
dalle singole Società specializzate che redigono o commentano gli standard di
ciascuna razza.
IL CANE D’UTILITÀ
Le specialità tipiche del cane d’utilità sono quelle che tornano vantaggiose a
gran parte dell’umanità al di fuori delle specializzazioni venatorie.
Dette specializzazioni sono molte e diverse fra loro; non è quindi possibile
tracciare un quadro sinottico riassuntivo, ma occorre soffermarsi su ogni singola
specialità.
La prima che possiamo esaminare è quella del cane da guardia che, a sua
volta, ha due compiti: uno passivo ed uno attivo. Il compito passivo concerne il
cane avvisatore (alias “campanello”), il cui dovere è solo di segnalare la
probabile invasione d’estranei nell’area protetta. Possono esservi adibiti i
soggetti di tutte le razze se dimostrano un vigilanza sollecita 2+, mansuetudine e
docilità 1+, gran senso del gruppo ed un’aggressività 1+.
La guardia attiva è invece riservata a soggetti di razze di taglia media e
grande, perché di solito prestano servizio di guardia da soli senza l’appoggio
dell’uomo, in capannoni o proprietà isolate e quindi non possono limitarsi a far
squillare l’allarme, ma se opportuno devono anche difendere l’area protetta. Per
questo abbisognano di aggressività 2+, di tempra dura, di temperamento vivace e
di un gran senso di possessività nei confronti dell’area protetta e quanto
contenuto, non occorre una vigilanza superiore al 1+ perché è bene che
intervengano solo in caso di accertato pericolo; dal punto di vista della
personalità devono avere spiccate capacità decisionali.
Il cane da difesa, propriamente detto, deve essere una specie di gorilla a
quattro zampe, pronto ad intervenire all’ordine vocale o gestuale del proprietario
o dei famigliari. Sociabilità 1-, temperamento almeno 1+, tempra preferibilmente
1+ e docilità almeno 1+.
Il cane da pastore e quello da mandria hanno perduto molto della loro
possibilità di rendersi, come tali, utili all’uomo.
L’uso del cane da mandria si è ristretto, almeno in Italia, a poche situazioni
che fanno capo alla pratica dell’alpeggio estivo.
Di qui la scarsa richiesta d’impiego pratico di queste razze. In ogni caso ha
una discreta sociabilità con gli uomini perché in genere, la sera, si rientra nelle
172
malghe dove si incontrano anche persone del tutto estranee che non vanno
disturbate.
Il cane da pastore sta rincominciando ad essere adoperato con favore specie
dai pecorai che hanno un discreto numero d’ovini da custodire. Anche in questo
caso esiste una differenza fondamentale tra il cane da condotta e quello da difesa
del gregge. Il cane da condotta tiene riunito il gregge durante le brevi fasi di
trasferimento giornaliero, dal momento che i lunghi percorsi oggi si compiono a
mezzo autocarro essendo la transumanza a piedi un non senso per la fatica, la
perdita di tempo ed in considerazione delle condizioni attuali del traffico
veicolare.
Al pascolo ha poi il compito di non far allontanare troppo i soggetti
indisciplinati e d’andare a recuperare gli eventuali dispersi. Per una certa facilità
d’individuazione solitamente questi soggetti hanno un pelo dal colore che si
stacca nettamente da quello delle pecore.
Caratterialmente si rilevano: aggressività max. 1+, temperamento 2+, tempra
2+, docilità 2+ ed una grande capacità di autogestione decisionale.
Il cane da difesa del gregge ha il compito di proteggerlo da eventuali
attacchi di predatori e da tentativi d’abigeato. In questo caso si preferiscono cani
dal mantello quasi uguale a quello delle pecore, perché il predatore od il ladro
devono scoprire solo all’ultimo momento che quella “pecora” morde ed attacca.
Il cane da pastore da guardia del gregge non ha molta dimestichezza con
l’uomo in genere, ma solo con il pecoraio, perché vive la maggior parte del
tempo distante dagli insediamenti umani. Deve avere una tempra 2+, un
temperamento almeno 1+, aggressività almeno 1+, una grande resistenza alla
fatica.
Il cane guida per i non vedenti ha un compito affatto particolare, perché
deve muoversi in situazioni assai disparate, senza mai mettere a repentaglio
l’incolumità del cieco, di cui costituisce il mezzo fondamentale per liberi
spostamenti. Deve quindi imparare a conoscere molto bene il senso della misura
fisica: laddove il cane può passare facilmente, il non vedente può urtare contro
l’ostacolo a causa della differenza d’altezza fra i due. La segnalazione di un
ostacolo non può essere fatta all’ultimo momento, ma deve essere preceduta
dall’invio di chiari e percepibili segnali d’avvertimento.
Il traffico, le persone che incontra per via, gli altri cani, le tante evenienze
facilmente ipotizzabili sono qualcosa che non deve mai distrarre dal suo lavoro il
cane da guida ciechi.
Di qui un quadro delle doti naturali siffatto: aggressività 1-, curiosità max.
1+, docilità 2+, sociabilità 2+, temperamento preferibile 1+, tempra 1+, vigilanza
1+. A ciò si deve aggiungere una spiccata personalità nel senso delle capacità
decisionali autonome.
S’annovera infine la categoria dei cani da traino caduti in disuso con
l’avvento, anche in montagna, della motorizzazione e ripresi oggi per lo sport del
traino delle slitte sulla neve.
Trattiamo quindi per ragioni storiche questo tipo di cane fra quelli
strettamente appartenenti alla categoria del cane utile, anche se, fatte le dovute
eccezioni per certe popolazioni del Nord, il cane da traino dovrebbe oggi essere
inserito fra i cani da sport.
Il bagaglio caratteriale si estrinseca in una tempra di almeno 1+, in queste
razze sono pochi i contatti con l’uomo che non sia il “musher” o conducente
della slitta. In questo caso è raro trovare la docilità, la sociabilità ed in genere
tutte quelle doti che si rivelano solo attraverso il contatto con l’uomo. In questi
cani, proprio per la loro lontananza dal tipo di cane domestico, è ancora forte e
173
IL CANE DI SERVIZIO
Il cane di servizio copre diverse specializzazioni che vanno dalla protezione
civile al vestire la divisa di un Corpo armato dello Stato con funzioni di polizia
ed anche di soccorso.
Le specialità proprie del cane militare sono quelle dell’ordine pubblico,
dello scovo della droga e delle armi ed esplosivi, che non possono essere affidate
a privati cittadini per motivi ovvi anche legali.
Il cane addetto ad accompagnare l’Agente in servizio d’ordine pubblico ha
le stessa caratteristiche del cane da difesa, con l’unica differenza che deve essere
perfettamente socializzato con l’uomo, ancor più docile e dal punto di vista della
personalità non deve avere timore delle situazioni nuove che possono presentarsi.
Il cane per lo scovo della droga, delle armi e degli esplosivi sembra
destinato ad una vita di continuo gioco: il metodo addestrativo che è usato più
frequentemente è quello di far conoscere al cane una sola persona, il suo
conduttore, di farlo giocare con un piccolo salamotto fatto di stracci per cui la
sua ricerca è guidata al ritrovamento del giocattolo. Questo giocattolo è sempre
associato alla presenza di droga o d’esplosivo, quindi il cane segnala al
conduttore quanto è ricercato, e che non gli interessa minimamente, salvo che
come stimolo ad eseguire una ricerca più intensa. La motivazione è quindi di
carattere prettamente ludico e della droga, contrariamente a quanto talvolta
ancora si crede, al cane proprio non interessa nulla.
Negli ultimi tempi, specialmente negli USA, si sta adottando il sistema del
boccone come rinforzo. Sappiamo però quali e quante sono le difficoltà di una
ricompensa d’ordine gustativo e, a meno che non si trovino soluzioni
complementari diverse, quanto poco duri nel tempo questo tipo di rinforzo e
stimolo.
Anche la recente specializzazione del cane da ricerca di fughe di gas o di
perdite di oleodotti, è basata sul gioco. In questo caso il salsicciotto (giocattolo) è
impregnato di odore di gas o di petrolio.
Il soggetto per la ricerca dei criminali agisce come un normale cane da
ricerca delle persone scomparse della Protezione civile. La diversità essenziale si
nota nel momento del ritrovamento perché se al cane della Protezione civile è
consentito solo di seguire gli eventuali spostamenti che il ritrovato sotto stress
può compiere, il cane con le stellette non deve permettere al criminale nessuna
azione che possa costituire pericolo.
Il cane da protezione civile ha diverse specialità che mal s’adattano ad un
impiego onnicomprensivo dello stesso soggetto, perché sono diverse le
motivazioni e le doti naturali che entrano nell’attività pratica, e spesso anche le
caratteristiche di resistenza alle condizioni esterne, con le quali si lavora.
Il cane per lo scovo in macerie deve avere, anzitutto, una tempra 2+, che
gli consente di poter lavorare a lungo in condizioni difficili e stancanti, un
temperamento almeno 1+, una curiosità 2+, una sociabilità 2+, una docilità
almeno 1+ mentre è da bandire l’aggressività.
Dal punto di vista della personalità il cane per lo scovo in macerie deve
avere una spiccata capacità decisionale, dal momento che è lui, e non il
conduttore, a guidare la danza nell’operatività reale. Il Volontario di protezione
174
civile deve conoscere molto ben tutte le possibili reazioni del suo cane, e le
posture, che questo assume nei diversi momenti della ricerca. La motivazione di
base è la ricerca di qualsiasi uomo indeterminato, sepolto dalle macerie, dai
detriti di una frana, dal fango eccetera.
Il cane per lo scovo su valanga ha le stesse doti caratteriali di base del
soggetto impiegato nello scovo in macerie. In più deve avere una resistenza al
freddo ed alle avverse condizioni climatiche, e deve essere abituato a muoversi
in alta montagna, senza debito d’ossigeno che limiterebbe le sue capacità
sensoriali olfattive. In un certo senso è però facilitato nel suo compito perché non
si trova in presenza, se non in casi rari, d’odori ed emanazioni diverse da quelle
dell’uomo.
Si tratta quindi prevalentemente di diversità d’ordine fisico nei due lavori
tanto simili fra loro.
Il cane per la ricerca in superficie deve invece ricercare solo quel
determinato uomo, e non altri, di conseguenza la motivazione non è rivolta
all’individuazione di una persona purchessia, ma del disperso in particolare.
Tempra anche in questo caso 2+, temperamento 2+, sociabilità almeno 1+,
nessuna neofobia, resistenza fisica e gran docilità al momento del ritrovamento.
Il cane per la ricerca in superficie rappresenta il massimo della capacità
d’autogestione, perché solo a lui in ogni momento del lavoro, sta la scelta di ciò
che deve fare, per ottenere il soddisfacimento della sua motivazione.
Il metodo della ricerca è completamente diverso da quello dello scovo: i cani
per lo scovo lavorano naso a terra per captare anche le più deboli informazioni
che provengono dal sotto della superficie. Il cane da ricerca lavora
prevalentemente, nelle fasi risolutive, con il naso all’aria alla percezione
dell’emanazione portata dal vento (tecnicamente indicata come cono dell’odore).
Ma la grande differenza sta, come già indicato, nella motivazione che guida
il cane. Nello scovo si cercano le emanazioni di qualsiasi uomo, nella ricerca
solo quelle di quel determinato uomo, ed è una differenza assolutamente
sostanziale.
In tutte queste specializzazioni l’aggressività deve essere in sostanza
inesistente ed è logico riflettere sui guai che, dopo il ritrovamento, deriverebbero
al sepolto o al disperso, se a seguito di suoi atteggiamenti inconsulti, dovuti allo
stato di stress, il cane l’aggredisse.
Diverso è il compito del cane da soccorso in acqua che normalmente svolge
due funzioni: quella di sostituto bagnino mentre salva persone in pericolo
d’annegamento, oppure la più modesta opera di trasportatore, sia pure in
condizioni di periglio, di cavi od attrezzature diverse alle barche in avaria od in
pericolo oggettivo.
La caratteristica fondamentale è la naturalezza con cui il cane affronta
l’acqua salata o dolce che sia, con tutti i fenomeni che l’accompagnano. Una
gran resistenza fisica, quindi una tempra 1+ ed un temperamento 2+. Il cane
lavora per ubbidire volonterosamente agli ordini del conduttore e, salvo brevi
periodi di particolari difficoltà, non deve avere capacità decisionali spiccate, anzi
talvolta è più opportuno per la buona riuscita dell’operazione e la salvaguardia
della sua vita, che non prenda iniziative, ma dipenda nell’azione esclusivamente
dagli ordini del conduttore stesso, conseguentemente la docilità deve essere 2+
ed anche la sociabilità deve raggiungere un minimo di 1+.
175
GLOSSARIO
176
Abbaiare: l’abbaio del cane fa parte della comunicazione verbale che può
avvenire fra conspecifici o ritenuti tali; è da notare che il canide selvatico abbaia
pochissimo, preferendo altri mezzi, mentre quello domestico comunica spesso
abbaiando senza trascurare però il linguaggio gestuale.
Abitudine: è la tendenza che spinge ad agire in modo meccanico come
espressione di ciò che si è appreso per esercizio. Costituisce una grave difficoltà
per apprendere nuove esperienze nello specifico settore.
Adattamento (sindrome generale dell’adattamento): è l’insieme dei sintomi
sia organici, sia psicologici, che s’osservano quando il cane domestico si deve
adeguare alle novità.
Addestrare: nel concetto moderno significa ottenere che il cane esegua dei
movimenti che gli sono naturali, però a comando e nel momento e nell’occasione
desiderata dal proprietario.
Aggressività: è una dote naturale di tutti i cani, domestici e non, che il
Lorenz definisce come una tendenza innata di conflitto verso i propri simili.
L’Autore è quindi restrittivo nel campo d’intervento dell’aggressività,
limitandola agli appartenenti alla stessa specie del cane o agli assimilati del
branco. Oggi s’incomincia però a studiare anche una pulsione diversa
dall’aggressività che è rivolta verso tutti, conspecifici o meno: si tratta della
combattività. Attenzione: l’aggressività, come azione principale, non è mai una
risposta a stimoli altrui, ma è portata per volontà propria del singolo.
- da predominio: è la forma specifica dell’aggressività correlata alla scala
gerarchica del branco che porta con sé l’aspirazione ad un miglioramento e
quindi a portare sfide a chi, al momento, sta più in alto. Si tratta, per la maggior
parte, di sfide formali.
- interspecifica: riscontrabile particolarmente nel cane selvatico è rivolta
verso gli appartenenti a specie diverse da quella canina. Nel cane domestico è
preferibile fare riferimento alla combattività.
- intraspecifica: è rivolta all’interno della specie canina e nel cane
domestico, per estensione, anche verso gli uomini appartenenti al branco od, al
più, agli “affiliati” allo stesso, intendendo fra questi gli amici in visita, le persone
casualmente per strada e così via.
AIAD: l’Associazione Italiana Amatori Dobermann è la Società specializzata
che tutela la razza dobermann in Italia.
Allevamento: è tutto ciò che riguarda la produzione del cane di razza pura:
dallo studio delle correnti di sangue, pregi e difetti dei riproduttori, alla ricerca
del miglior partner possibile, alle cure durante la diverse fasi
dell’accoppiamento, della gravidanza, del parto e dell’allattamento. L’allevatore
si cimenta spesso in competizioni ufficiali, anche a carattere internazionale,
sottoponendo i suoi prodotti al controllo dei Giudici ufficiali d’esposizione e di
prove di lavoro. Raccoglie spesso intorno a sé dei proseliti ai quali tenta di
trasfondere ciò che conosce, realizza, insieme con gli altri allevatori, la società
177
Cane randagio: è quel soggetto che per essere nato in mezzo alla strada o
per essere stato abbandonato, vive solitario senza alcun aiuto dell’uomo, salvo il
fatto di poterne godere i rifiuti della mensa nei cassonetti della spazzatura. La
scelta del randagismo è imposta al cane da eventi esterni alla sua volontà, e se
potesse, rientrerebbe subito nella società dell’uomo, la sua diffidenza è tale che
non riesce quasi mai a compiere il passo decisivo. Non riesce a vivere in branco
con gli altri randagi, infatti non conosce le regole della cooperazione, per
mancanza di precedenti esperienze.
Cane selvatico: è il soggetto che è nato in un branco di cani inselvatichiti o
selvatici da sempre. È quindi soggetto in pieno alle leggi del branco inteso come
unione primitiva degli antenati del cane domestico. È del tutto indipendente
dall’uomo, non lo cerca e, quando può, lo evita come un nemico e come un
concorrente delle risorse naturali del suo territorio. Difficilmente un cane
selvatico, a meno che non sia stato portato in casa da cucciolo molto giovane,
riesce ad inserirsi nel consorzio umano e non appena possibile l’abbandona.
Capobranco: per il cane selvatico è il soggetto più forte, più capace, quello
che gode d’alcuni privilegi, ma anche è portatore delle maggiori responsabilità di
scelta. In psicologia del cane domestico è invece opportuno, al fine di non
confondere situazioni del tutto diverse, definire il superiore del clan costituito da
uomini e cani come —► Capogruppo.
Capogruppo: costituisce la definizione più appropriata dell’uomo che guida
il gruppo o clan costituito dai familiari e dal cane o dai cani che convivono allo
stato domestico.
Carattere: è l’insieme delle caratteristiche psicologiche del cane domestico
che lo differenziano da tutti gli altri soggetti, ne condizionano il modo d’agire,
l’atteggiamento ed i rapporti con il mondo esterno. È formato dalle doti innate
modificate, più o meno, dall’apprendimento.
Coda: i movimenti della coda consentono d’identificare gli stati d’animo e le
comunicazioni che il cane vuole inviarci. In questo senso sono da interpretare le
diverse posture che il cane assume.
Combattività: è la risposta di lotta ad uno stimolo esterno, da chiunque
portato, che è considerato dal cane spiacevole o dannoso o minaccioso. È quindi
rivolta anche ai non conspecifici.
Comportamento: indica la maniera di reagire di fronte a specifiche
situazioni.
- conflittuale: è la conseguenza della contemporanea presenza di una
tendenza a compiere ed una ad evitare d’attuare una determinata azione.
- d’evitamento: indica la precisa volontà del cane di non ripetere esperienze
negative del passato legate al ricordo evocato da uno stimolo uguale o simile.
- normale: è il comportamento del cane domestico perfettamente aderente
alle norme della convivenza nella società dell’uomo e che conseguentemente,
non crea problemi. È molto più diffuso di quanto non si creda. Poiché tutti gli
studi sono rivolti ad esaminare i comportamenti anomali, sembra che questi siano
molto numerosi, mentre nella realtà statisticamente non vanno oltre il cinque per
cento dei cani nella loro globalità.
180
Distanza di fuga: coincide con lo spazio minimo che separa il soggetto dalla
presunta minaccia, e che consente ancora la possibilità di scelta fra la ritirata e
l’attacco. Questa scelta fra le due soluzioni è obbligata solo con gli appartenenti
a specie diverse, mentre con i conspecifici esiste anche una terza possibilità:
l’attuare un comportamento di —► sottomissione.
Dominanza —► predominio.
Doti naturali: è la serie di qualità psicologiche che sono trasmesse
ereditariamente e che costituiscono la base del carattere del cane domestico.
Formano fra loro un tutt’uno, ma possono essere esaminate e vagliate una per
una per stabilire l’esatta mappa caratteriale del cane. Vengono più o meno
modificate dal comportamento appreso, alcune solo in senso negativo, per altre si
può ottenere un miglioramento. Senza una qualità naturale presente in un certo
grado è impossibile ottenere dal cane domestico un determinato tipo di attività.
Docilità: è la qualità naturale che consente al cane domestico d’accettare il
proprietario come suo naturale superiore.
Drive —► motivazione.
Duttilità: a stretto rigore di definizione non si tratta di una dote naturale, ma
è piuttosto una mescolanza fra docilità, tempra e sociabilità che rendono il cane
più recettivo all’apprendimento ed alla convivenza con l’uomo e gli altri membri
del gruppo.
Educare: significa guidare le facoltà intellettive. Allo stato attuale delle
conoscenze s’incomincia ad ammettere che anche il nostro fedele amico abbia
capacità di comprendere richieste dirette all’intelligenza, alla conoscenza anche
astratta ed all’associazione delle idee con relativa discriminazione..
Effetto —► legge dell’effetto.
Emozione: si tratta di una reazione affettiva intensa, ma di non lunga durata
determinata da stimoli ambientali. È stata studiata a fondo in psicologia umana.
La ricerca nel cane domestico è più difficile, dal momento che questo
difficilmente riesce a trasmetterci, con il suo linguaggio, la notizia
dell’emozione, probabilmente perché non abbiamo ancora studiato abbastanza il
fenomeno.
Empatia: è l’instaurarsi già dal primo incontro di uno stretto legame
d’amicizia fra uomo e cane. Significa comprendere i pensieri, le reazioni, i
sentimenti del partner. Sembra l’incontro di due “anime gemelle”!
Emulazione (tendenza all’emulazione): la convivenza con l’uomo e la
capacità innata del cane ad imitare quasi ogni gesto o mimica altrui fanno si che
esista una somiglianza d’atteggiamenti fra proprietario e cane, come ad esempio,
la maniera di sedersi di certi cani di taglia adatta che appoggiano il posteriore
sulla poltrona e tengono ben tese verso terra le zampe anteriori, imitando così,
come è loro possibile la posizione del proprietario. Questi atteggiamenti non
sarebbero possibili negando la validità della tendenza all’imitazione.
E.N.C.I.: l’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana controlla l’intero
comparto dell’allevamento italiano del cane di pura razza. Il principale compito è
la tenuta dei —► Libri Origini Italiani che gli è stata affidata dal Ministero delle
182
dalle attese.
- cristallizzata: è quella forma che avvalendosi delle esperienze apprese, in
qualche modo condiziona l’innata abitudine ad affrontare nuove situazioni.
Conseguentemente non sempre costituisce un pregio.
- fluida: rappresenta un’innata tendenza ad affrontare nuove esperienze. È
sempre un pregio.
- globale: è l’intelligenza che permette di comprendere molte, se non tutte, le
esperienze nei diversi campi in cui si presentano.
- operativa: è l’intelligenza che il cane dimostra nel saper comprendere ed
ubbidire agli ordini del proprietario. È una forma molto importante per i soggetti
che svolgono un qualsiasi lavoro che torni utile all’uomo: dall’ausiliario a caccia,
al cane della protezione civile, al soggetto in servizio d’ordine pubblico e per
scopi di ricerca di droga od altro e per quello che partecipa alle prove di lavoro.
Non se ne deve disconoscere l’importanza anche per il cane “da compagnia”.
- pratica: è l’intelligenza volta a risolvere i problemi pratici semplici e
costanti che l’ambiente in genere porta con sé.
- rappresentativa: è l’intelligenza che consente di sostituire un oggetto o
un’azione con mezzi di comunicazione come il disegno, la musica, eccetera. È
ovviamente difficile da riscontrare nel cane.
- sensomotoria: esprime la capacità d’agire su di un oggetto o su di un essere
vivente in maniera sempre corretta e coerente.
- settoriale: è l’intelligenza particolarmente sviluppata su un tipico
argomento o su argomenti affini.
- verbale: è la capacità d’esprimersi con suoni comprensibili agli altri
membri del branco. Nel cane domestico s’estende anche alla capacità gestuale.
Interferenza proattiva: è la forma di —► dimenticanza che riguarda ciò che
è possibile ancora apprendere, ma che trova difficoltà ad inserirsi nella memoria
per la presenza di precedenti esperienze non ancora decadute.
Interferenza retroattiva: è la forma di dimenticanza che riguarda ciò che s’è
appreso in passato e che tende ad interferire sull’assunzione di nuove esperienze.
Inserimento precoce: si tratta di un semplice programma d’insegnamento di
alcune norme di comportamento essenziali per la convivenza del cane fra le mura
domestiche. Gli esercizi da insegnare sono molto semplici, ma il conoscerli può
salvare il cane da situazioni pericolose ed il proprietario da momenti
imbarazzanti. Costituisce il minimo indispensabili di esercizi da insegnare al
cane tenuto per compagnia.
Insight —► atto intuitivo.
Intuito —► atto intuitivo.
Istinto: il canide selvatico è principalmente guidato nel suo comportamento
dalle necessità essenziali della sua sopravvivenza e della perpetuazione della
specie. Gli istinti sono quindi schemi di comportamento che interessano in ugual
misura, tutti i canidi selvatici, e che impongono soluzioni volte a soddisfare
185
quanti sono i suoi bisogni primari. Nella stessa specie, tutti gli individui che sono
interessati da un determinato stimolo danno un’identica risposta. Questo è il
presupposto fondamentale ed assoluto perché un comportamento sia definito
istintuale. Nel cane domestico, dal momento che a provvedere ai bisogni del
soggetto pensa l’uomo, gli istinti hanno perso la loro originaria valenza. Alcuni
sono già scomparsi, altri sono evocati raramente, ed altri ancora, sono in via
d’estinzione ed in genere sono stati sostituiti dagli impulsi.
Latenza (tempo di): si tratta del periodo intercorrente fra la percezione di
uno stimolo e la risposta che è data. Può dipendere dal —► carattere del cane,
ma anche dal suo stato di salute oppure dalla soglia di stimolo.
Legge dell’effetto: è una legge del Thorndike secondo la quale sono
acquisite solo le risposte seguite in contiguità dai rinforzi. L’Autore ha precisato
d’aver rilevato come le risposte con rinforzi positivi si rafforzano continuamente,
mentre quelle che hanno avuto esito negativo s’indeboliscono, salvo che non
costituiscano engramma.
Libro origini (LOI): il Libro Origini Italiano (LOI), gestito dall’E.N.C.I. per
incarico del Ministero delle politiche agricole e forestali, elenca tutti i soggetti di
pura razza denunciati come nati od importati in Italia in via definitiva, bona fide
dal proprietario o dall’allevatore.
Linguaggio gestuale: è il mezzo di comunicazione preferito dal canide
selvatico usato anche dal cane domestico nei suoi rapporti con il gruppo. Con gli
individui al di fuori del branco il cane preferisce usare il linguaggio verbale o
sonoro, ciò non toglie che, per abitudine, anche in questo caso abbia degli
atteggiamenti (posture) tipici dello stato d’animo che intende esprimere.
Linguaggio verbale: è il mezzo che il cane domestico usa normalmente nella
comunicazione con l’uomo, specie quando è assillato da bisogni o teme pericoli.
In genere è associato anche ad evidenti posture tipiche.
Lupo: è ora comunemente ritenuto il progenitore del cane.
Maternità: dal punto di vista caratteriale lo stato di maternità ed il periodo
dell’allattamento modificano i rapporti con il gruppo, nel senso che le cure
parentali fanno scemare il livello di sociabilità ed aumentano quello
dell’aggressività per difesa della prole.
Memoria: indica la possibilità e la capacità psichica di conservare ciò che si
è appreso.
- a breve termine: le informazioni percepite sono ricordate solo per
brevissimo tempo. Sembra essere il caso di più stimoli in diretta sequenza
ravvicinata che si annullano l’un l’altro.
- a lungo termine: le informazioni assunte hanno un particolare significato e
pertanto sono conservate per lungo tempo.
- a medio termine: le informazioni hanno un significato importante, ma non
rilevante, per cui sono conservate per un certo periodo. Anche in questo caso
sono importanti le eventuali distrazioni.
- di razza: la selezione mirata degli allevatori per ottenere una piena
rispondenza di comportamento del cane domestico alle esigenze di ciascuna delle
186
specializzazioni cui adibirlo, ha fatto in modo che fossero usati dei riproduttori
aventi specifiche caratteristiche. L’insieme delle doti naturali caratteriali dei
soggetti selezionati costituisce la cosiddetta memoria di razza.
Memorizzazione: le informazioni assunte attraverso l’esperienza da
percezioni si trasformano in —► engrammi. Il processo è di natura chimica e
coinvolge sia il sistema nervoso centrale sia quello periferico.
Metodo naturale (addestramento con il): si tratta di un metodo
d’addestramento che sfrutta ciò che il cane già conosce per ottenere che metta in
pratica certe posizioni e certi atteggiamenti nel momento da noi desiderato. Per
esempio il cane sa già sedersi da solo: si tratta di una sua naturale posizione
d’attesa e parzialmente di riposo. Bandendo il metodo violento un tempo
propugnato dagli addestratori, oggi s’ottiene che il cane si sieda non solo quando
ne sente il desiderio, ma anche quando gli viene ordinato. Il metodo addestrativo
naturale non fa ricorso a coercizioni di sorta, si basa invece sulla ripetizione
costante di tanti stimoli lanciati con estremo tempismo.
Modellaggio o modellamento: si tratta della suddivisione in momenti
successivi dell’addestramento ad un esercizio complesso. S’insegna una prima
parte, poi la si ripete sino a che è perfettamente memorizzata, si passa poi alla
successiva legandola in stretta sequenza alla precedente, e così via sino ad
ottenere il risultato finale. Evita l’affastellarsi di tanti apprendimenti in una sola
soluzione che può portare a notevoli difficoltà. Durante il periodo d’uso di
questo metodo per ogni fase dell’apprendimento deve essere dato un rinforzo.
Morso inibitore: è il tipico intervento parentale volto a frenare l’eccessiva
aggressività del cucciolo durante il gioco. Poiché il morso è solitamente
doloroso, costituisce un’esperienza molto pregnante, che è conservata per tutta la
vita, e che consente —► l’inibizione delle risposte aggressive troppo violente.
Motivazione: pulsione interna che sviluppa un’energia comportamentale
volta al conseguimento di un determinato scopo.
Neotenia: secondo la teoria dei coniugi Coppinger è il permanere nel cane
adulto di caratteristiche psico-fisiche del periodo infantile.
Oblio —► dimenticanza.
Odorato: è la percezione sensoriale più sfruttata dal cane. La
specializzazione dell’odorato nasce dal fatto che i canidi primigeni vivevano in
boscaglie o radure con erba molto alta e per questo motivo non riuscivano a
vedere le eventuali prede, né i loro predatori. Per rimediare alla situazione di
difficoltà hanno quindi sviluppato potentemente il senso dell’odorato,
provocando l’instaurarsi di condizioni anatomiche e fisiologiche rimaste poi
anche nel cane domestico.
Parola chiave: si tratta di un’espressione che induce nel cane domestico una
risposta specifica ad una sollecitazione che può essere un ordine, uno stimolo od
anche un semplice richiamo, come il pronunciare il nome del soggetto. È in ogni
caso un parola della quale il cane conosce benissimo il significato.
Paura: è la reazione emotiva di fronte ad una situazione giudicata
pericolosissima. Blocca in genere ogni motivazione, e suggerisce la fuga. Va
affermato che al contrario di quanto avviene nell’uomo, la paura non è data dalle
187
conseguenze dello stimolo, bensì dallo stimolo stesso. L’uomo ha paura delle
conseguenze di un colpo d’arma da fuoco, il cane del colpo in sé come fenomeno
acustico.
Pedigree: o certificato d’origine. Si tratta dell’unico documento rilasciato
dalle Autorità cinofile nazionali (in Italia dall’E.N.C.I.), che attesta, su
dichiarazione bona fide dell’allevatore, che il cane è figlio di genitori a loro volta
iscritti ad un libro genealogico italiano od estero, e che di conseguenza, è un cane
di razza pura.
Percezione sensoriale: elaborazione delle informazioni captate dai centri
periferici aventi per oggetto l’essenza del mondo esterno e delle sue, anche
temporanee modificazioni.
Periodo neonatale: è il periodo formato da due settimane immediatamente
successivo alla nascita. Nel cane domestico l’unico senso parzialmente in
funzione è il tatto, che consente al cucciolo d’avvicinarsi alla mammella e
nutrirsi. In genere il cucciolo lo trascorre dormendo per la maggior parte del
tempo.
Periodo di socializzazione: va dal termine del periodo neonatale sino ai
novanta giorni circa d’età del cane. Per le razze di grande mole è leggermente
più lungo. Definito dal Lorenz come periodo dell’imprinting, è riconosciuto
come il lasso di tempo durante il quale le facoltà cognitive del cucciolo si
esprimono al meglio. Per questo motivo si deve accelerare lo svolgimento del
programma d’inserimento precoce nella vita sociale dell’uomo. È indispensabile
che questo tempo sia adoperato per il meglio, malgrado segni, in genere, il
momento della separazione dalla cucciolata e dell’entrata nella nuova casa.
Occorre che il neoproprietario conosca molto bene il comportamento da tenere,
perché le esperienze accumulate in questo periodo sono pressoché indelebili per
il cane, e sono ancor più difficilmente cancellabili se negative.
Periodo senile: è l’ultima fase della vita, durante il quale il cane domestico
subisce alcune importanti trasformazioni comportamentali. Non gioca più, è
disturbato dalle novità, s’affatica in breve tempo.
Personalità: è una forma psicologica dell’individuo nel suo complesso e che
nel cane s’individua nel modo di pensare, d’esprimersi, nelle azioni, nell’abilità
di adattarsi, negli atteggiamenti e nelle sue capacità decisionali.
Possessività: è la dote naturale che porta il cane domestico a riconoscere e a
difendere la sua area protetta, le persone e le cose che la interessano.
Posture: sono i diversi atteggiamenti del corpo del cane domestico, per
mezzo dei quali comunica con il resto del branco e talvolta anche con gli
estranei. Nei rapporti fra conspecifici veri assumono una grande importanza
soprattutto nella sfera d’interesse dell’aggressività.
Predisposizioni innate —► doti naturali.
Predominio: indica la specifica forma di sfida gerarchica all’interno del
branco. Particolarmente sentita nel canide selvatico, ha una minor rilevanza in
quello domestico, eccezione fatta per talune razze che non sono troppo docili e
socializzate con l’uomo
188
delle conseguenze.
Risposta condizionata (RC): secondo gli esperimenti del Pavlov, appare
dopo la somministrazione di stimoli neutri ripetuti, come il suono del campanello
o l’accendersi della luce.
Risposta non condizionata (RNC): o anche risposta incondizionata, sempre
secondo il Pavlov è una risposta innata che segue ad uno stimolo; un classico
esempio è quello della salivazione alla vista del cibo.
SAS: la Società Amatori Schaeferhunde è la Società specializzata che tutela
in Itala la razza del cane da pastore tedesco.
Sciacallo: per diverso tempo è stato ritenuto da molti, Lorenz compreso, il
progenitore del cane odierno. Questa teoria ha ormai assunto un ruolo marginale
e poco dimostrato.
Scuole d’addestramento: sono dei complessi gestiti da professionisti che
ricevono i cani di altri proprietari e li preparano secondo un programma
concordato in precedenza.
Selezione: indica essenzialmente i criteri per cui si allevano determinati
individui e non altri. Può essere naturale, senza quindi l’intervento dell’uomo e
quindi è mirata alla sola perpetuazione della specie, senza che siano tenute
presenti le esigenze di convivenza con l’uomo stesso. Oppure può essere
artificiale, guidata in pratica dall’uomo e rivolta a perpetuare quelle specifiche
caratteristiche che sono utili alla società e che possono riguardare ogni settore da
quello caratteriale, a quello anatomico, a quello funzionale.
Sicurezza: è una dote naturale che segnala un grande equilibrio di fronte a
stimoli di qualsiasi tipo. Può essere testata come tale oppure sotto sforzo, in
pratica di fronte ad una grave provocazione.
Sistema mnemonico: è il meccanismo che regola la memorizzazione
l’apprendimento e l’evocazione dei processi mnestici.
Sociabilità: è la dote naturale che consente al cane domestico di formare un
gruppo con l’uomo, di farne parte con gran piacere e di predisporsi a vivere una
tranquilla vita nella società umana.
Società specializzate: sono associazioni d’allevatori e d’appassionati ad una
razza o ad un gruppo di razze affini (es. i terriers) che sotto l’ègida dell’E.N.C.I.
svolgono attività tecniche, propagandistiche, di selezione e sportive. In questo
periodo in Italia esiste una Società specializzata per quasi tutte le razze.
Soglia di stimolo: indica il livello oltrepassato il quale ad ogni stimolo
corrisponde una risposta. Dipende dal carattere del singolo cane, ma anche dal
suo stato di salute. Talvolta subisce l’influenza di fattori psicologici precedenti
quali il ricordo d’esperienze negative oppure della rimozione.
Sottomissione: è il livello massimo dell’ubbidienza ottenuta attraverso
l’imposizione ed i rinforzi negativi. Nel vecchio concetto d’addestramento tutto
era basato sulla sottomissione. Oggi con l’adozione del metodo naturale
d’addestramento, la sottomissione è totalmente denegata e rifuggita.
Standard: elenco delle caratteristiche fisiche e psicologiche che
190
BIBLIOGRAFIA
194
APPENDICE
E
CONSIDERAZIONI
FINALI
198
IL CANE VA COMPRESO
G. Fanfoni
200
molto accentuate di resistenza fisica allo sforzo. Sono riusciti benissimo soggetti
da caccia da ferma, cani da pastore ed in genere quelli delle razze da utilità.
Anche i cani di taglia relativamente modesta possono essere assai utili: su
certi tipi di macerie ho visto utilizzare dei welsh corgi che, grazie alla loro
modesta altezza, possono entrare in cunicoli in cui mai potrebbe un soggetto di
taglia media.
Ho ammirato un leonberger che ha resistito, in una ricerca su detriti di una
frana, molto più a lungo di soggetti di razze più piccole.
Occorre che il singolo cane abbia le doti caratteriali e di forza fisica
necessarie e la razza, a questo punto, conta poco. E' chiaro a tutti che il
rappresentante di una razza creata apposta per il lavoro ha maggiori possibilità di
riuscire di quello di una razza formatasi per altri scopi, la corsa o la compagnia
ad esempio. È però sempre il carattere o comportamento del singolo cane a
guidarne o meno la riuscita.
L'età migliore per iniziare è la più giovane possibile, fin da cuccioletto
insomma. Va chiarito che anche cani adulti sono perfettamente riusciti nel loro
compito, in questo caso è assolutamente indispensabile che il cane abbia
riconosciuto nel suo Conduttore il vero capo gruppo del clan. Nell’ambito del
cane domestico il capo gruppo sostituisce ed integra la figura del capo branco
propria solo dei cani selvatici o inselvatichiti.
Infine l’Organizzazione cui rivolgersi per ottenere maggiori informazioni:
nulla di meglio che la Redazione di questo foglio. Essa è in grado, attraverso le
notizie in suo possesso, di mettere in comunicazione il Lettore desideroso di
conoscere altro sul cane della protezione civile, con gli Esperti a lui più vicini.
Gilberto Fanfoni
203
1 - Gilberto Fanfoni - Giuseppe Monteleone, Un cane entra in casa. Istruzioni per l’uso, Varese 1996,
Macchione Editore.
205
in tempo ad indossare.
Caro Gilberto a volte ci scherzavi con la morte. Come quel martedì prima di
Natale quando sei venuto a pranzo a casa mia e di Tiziana, per l’ultima volta.
Nelle nostre discussioni affiorava ogni tanto il pensiero della morte quasi come a
voler allontanare e scacciare questo passaggio obbligato per noi comuni mortali.
Ti chiedevi cosa ci sarà dopo, laggiù, lassù, di la o di qua: io non ho risposte
precise o meglio una ce l’avrei e la dico: tanti cani che ti faranno le feste.
Caro Gilberto dalla vita non si riesce mai ad avere tutto quello che si vuole o
si vorrebbe avere. Non ero pronto a vivere senza la tua amicizia.
Caro Gilberto è con sofferenza che ho scritto queste poche righe soprattutto
per ricordarti come uomo e maestro. Nelle prossime settimane dovrò correggere
da solo le bozze dei libri a cui avevamo lavorato. Non sarà faticoso dal punto
meramente grammaticale ma lo sarà dal punto affettivo. L’eredità di studi che mi
hai lasciato è grande ma ce la farò. Stanne certo.
INDICE
I feromoni ................................................................................................................................. 90
Il gioco ...................................................................................................................................... 91
Latenza - Tempo di latenza ....................................................................................................... 92
La maternità .............................................................................................................................. 92
Il modellaggio ........................................................................................................................... 93
La paura .................................................................................................................................... 93
La regressione ........................................................................................................................... 94
La rimozione ............................................................................................................................. 95
Il rinforzo variabile ................................................................................................................... 95
La soglia di stimolo................................................................................................................... 95
Il tempo d’attenzione ................................................................................................................ 96
Il timore .................................................................................................................................... 97
L’ intelligenza del cane domestico ................................................................................ 99
Un po’ di storia ....................................................................................................................... 101
La definizione e le categorie ................................................................................................... 101
Ai confini della realtà ............................................................................................................. 104
È misurabile l’intelligenza del cane? ...................................................................................... 105
È meglio avere un cane “stupido” o …? ................................................................................. 106
La personalità del cane ........................................................................................................... 107
I controlli caratteriali .................................................................................................. 109
La bellezza psichica ................................................................................................................ 110
I controlli precoci .................................................................................................................... 111
I controlli d’allevamento ......................................................................................................... 112
Le gare agonistiche ................................................................................................................. 113
I brevetti: le prove attitudinali................................................................................................. 114
Il linguaggio del cane domestico ................................................................................. 116
Preambolo ............................................................................................................................... 117
Il linguaggio verbale: l’abbaiare ............................................................................................. 118
Il guaire ................................................................................................................................... 118
Il ringhiare .............................................................................................................................. 119
L’uggiolare ............................................................................................................................. 119
L’ululare ................................................................................................................................. 120
Il linguaggio gestuale .............................................................................................................. 120
Le posture semplici: l’addome ................................................................................................ 121
Gli arti anteriori ...................................................................................................................... 121
La bocca .................................................................................................................................. 121
La coda ................................................................................................................................... 122
Gli occhi ................................................................................................................................. 123
Le orecchie.............................................................................................................................. 123
Il pelo ...................................................................................................................................... 124
Le posture complesse .............................................................................................................. 125
L’ereditarietà delle doti caratteriali .................................................................... 127
Il cane domestico ......................................................................................................... 133
Considerazione generali .......................................................................................................... 134
Il cane d’appartamento ............................................................................................................ 136
Il cane da giardino o da cortile ................................................................................................ 138
Il cane d’allevamento .............................................................................................................. 139
Il comportamento conflittuale .................................................................................... 141
Gli ostacoli esterni .................................................................................................................. 143
L’intervento della memoria..................................................................................................... 144
Lo stress .................................................................................................................................. 145
Altre cause .............................................................................................................................. 146
Il ricupero comportamentale ............................................................................... 147
Il ruolo del proprietario .............................................................................................. 152
La figura del proprietario ideale ............................................................................................. 153
I proprietari “difettosi” ............................................................................................................ 154
208