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GIUSTIZIA E OMISSIONI di Concita

De Gregorio
Pubblicato il 7 luglio 2012
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GIUSTIZIA E
OMISSIONI
di Concita De Gregorio, “La Repubblica” del 7/07/2012
Troppo tardi e troppo poco. È per queste due ragioni che non si riesce a sentirsi davvero
al sicuro,
al riparo di una solida e limpida democrazia. È per questo che la sentenza della
Cassazione sulla
Diaz genera sollievo, sì, perché una pagina di verità è stata scri&a e certo assai peggio
sarebbe
stata un’assoluzione generale. Ma non basta, non riesce a ripristinare quella forse
ingenua ma
formidabile e condivisa sensazione di libera ci&adinanza, di fiducia nel rispe&o delle
regole
fondamentali, di possibilità di esprimersi e di manifestare consenso o dissenso che c’era
prima.
Prima di Genova, perché come le torri gemelle hanno segnato uno spartiacque per il
mondo
intero, il G8 ha scandito, in Europa, un prima e un dopo. Oggi la tenacia del sostituto
procuratore
Pietro Gaeta restituisce agli italiani una stilla di giustizia, ed è un’o&ima notizia che
qualcosa sia
cambiato nel Paese e si possa ricominciare a farlo. Le pubbliche scuse e le pesanti meditate
parole
di Giorgio Manganelli, a&uale capo della Polizia, fanno sperare negli uomini: perché le
istituzioni
sono gli uomini che le incarnano. Ciò non toglie che sia troppo tardi, e troppo poco.
Undici anni
sono il tempo che separa un bambino delle elementari dalla sua laurea, un esordio
agonistico dal
ritiro, sono il tempo di mezzo di una vita: troppi per aspe&are i punti di sutura ad una
ferita,
quella che si vede sanguinare dalla testa di uno dei giovani della Diaz nella foto sui
giornali che,
identica di anno in anno, ferma il tempo da allora. Troppi per la ferita colle&iva a un
sentimento
ormai in cancrena.
Quelli che di noi erano alla Diaz, quella no&e, sanno come sono andate le cose da
quell’istante
esa&o. Dalle 23.30 del 21 luglio 2001. Sono andate come la sentenza assai tardivamente
conferma,
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1 di 19 12/07/2012 02:26
come ricostruisce per una piccola parte degli eventi da cui restano tu&avia esclusi i
mandanti. Lo
sanno con la precisione di un ricordo indelebile che chi ha potuto e voluto ha certificato fin
dalle
cronache del giorno dopo, nelle testimonianze ostinate e reiterate in tribunale, in ogni
occasione
pubblica e privata. Non ci volevano undici anni per dire che stavano tu&i dormendo, nella
scuola,
che le luci erano spente quando sono arrivati i mezzi della Polizia e a centinaia i caschi blu.
Che i
vetri sono stati ro&i dall’esterno verso l’interno, i cocci delle finestre erano tu&i dentro,
non uno in
cortile. Che l’irruzione è stata comandata a freddo, che chi dormiva si è svegliato e ha
cercato di
salvarsi correndo su per le scale ma molti sono rimasti dov’erano, invece, perché non
capivano e
non sapevano cosa dovessero temere, e sui loro sacchi a pelo sono stati massacrati. Che
non
c’erano passamontagna di black bloc in quella scuola, nulla è stato portato via quella no&e
che
non fossero persone in barella.
Lo sappiamo da quell’istante perché lo abbiamo visto accadere minuto per minuto,
abbiamo
visto le luci accendersi dopo l’irruzione e sentito le urla salire lungo i piani, perché siamo
entrati
nella scuola subito dopo e a terra c’erano libri, diari, documenti, mutande, una bibbia in
corridoio,
una scatola di tampax per le scale, una copia del Don Chiscio&e strappata, sangue
dappertu&o.
Sangue sui registri della scuola, sulle maniglie antipanico delle porte, sui banchi,
tantissimo
sangue nei bagni. E quella scri&a, comparsa subito, pennarello su foglio bianco, in inglese:
non
lavate questo sangue.
Abbiamo visto in quel cortile, quella no&e, il responsabile delle relazioni esterne della
Polizia di
Stato Roberto Sgalla, braccio destro di De Gennaro allora capo della Polizia, parlare al
telefono
cellulare fino ad operazioni concluse, per così dire. Fino a che il novantatreesimo corpo è
stato
portato via in barella. E abbiamo sentito il questore di Genova Colucci dire, poche ore
dopo, che
Sgalla era stato mandato alla Diaz da De Gennaro stesso, in quelle ore assente da Genova.
Salvo
ritra&are anni dopo, a processo, e modificare la versione: a convocare Sgalla, ha messo a
verbale
Colucci, sono stato io.
Da questa nuova versione è scaturita la sentenza che certifica l’estraneità di De Gennaro ai
fa&i.
Non fu il capo della Polizia, dunque, a disporre “la macelleria messicana” della Diaz —
dice
quella sentenza — né furono gli esponenti politici del centrodestra al governo presenti in
massa
durante le operazioni, nessuno dei quali ha mai pronunciato una sola parola di autocritica,
di
giustificazione, di spiegazione. Se ne deduce che gli alti dirigenti di Polizia ora sospesi
dalle
pubbliche funzioni, molti dei quali nel fra&empo promossi a più alti incarichi e infine,
undici anni
dopo, condannati, abbiano agito quella sera di loro iniziativa: che abbiano disposto a
freddo la
ma&anza senza essere stati da alcuno autorizzati a farlo. Così, una loro idea.
Ricordiamo a chi avrebbero potuto chiedere un parere, proprio lì sul posto e sul momento,
se ne
avessero avvertita l’esigenza. A Gianfranco Fini, allora vicepresidente del Consiglio e in
quei
giorni prima in visita alla sala operativa della questura poi, il sabato della morte di Carlo
Giuliani,
chiuso nella caserma di San Giuliano. A Claudio Scajola, allora ministro dell’Interno ma
fin da
allora evidentemente inconsapevole. A Filippo Ascierto, ex carabiniere e responsabile
Difesa di
An, in quei giorni a capo di una delegazione di parlamentari costantemente presente negli
uffici
di pubblica sicurezza: tra la sala operativa e il comando provinciale dell’Arma alla vigilia
dell’assalto alla Diaz transitarono con Ascierto Giorgio Bornacin, An, ele&o a Genova,
Federico
Bricolo, Lega, Ciro Alfano, Biancofiore, e Giuseppe Cossiga, ele&o con Forza Italia. Fu
suo
padre Francesco qualche se&imana dopo a pronunciare al Senato il celebre discorso in
favore di
Scajola, alla vigilia del voto che rinnovava al ministro la fiducia del Parlamento.
In assenza dell’accertamento di una responsabilità politica e/o gerarchica le condanne di
Gra&eri,
Luperi, Calderozzi e dei loro colleghi nulla dicono su quale sia stata la catena di comando
che ha
disposto il massacro della Diaz e qualche giorno dopo quello di Bolzaneto, carcere dove i
reclusi
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2 di 19 12/07/2012 02:26
venivano picchiati in cella al suono di Facce&a nera nei telefoni cellulari, suoneria del
resto in
voga ancora oggi negli uffici pubblici delle principali municipalizzate romane, chissà se è
al
corrente Alemanno. Giova infine ricordare, per quanto ovvio, che a Genova era
naturalmente
presente Silvio Berlusconi, allora e per molto tempo ancora presidente del Consiglio.
Della morte
di Carlo Giuliani disse, quel pomeriggio: “Un inconveniente”.
Bene dunque che il clima sia cambiato, che si possa oggi salutare una pagina di verità con
una
consapevolezza colle&iva che certo ci arriva anche dalle tragedie di Cucchi e Aldrovandi,
chè il
pericolo del sopruso vestito da istituzione è sempre in agguato. Bene le scuse, peccato per
le
omissioni. Resta ancora da scrivere, imminente, la sentenza per dieci manifestanti accusati
di
“devastazione e saccheggio”, termini ada&i ad una guerra benché di guerre tra eserciti
non si sia
vista traccia, a Genova. Le guerre si comba&ono tra schieramenti avversi e in armi, non le
comba&ono i ci&adini che manifestano contro coloro che sono chiamati a garantire la
sicurezza di
tu&i, anche la loro.
Per quei dieci manifestanti sono stati chiesti 100 anni di carcere. Anche dall’esito di quella
sentenza dipenderà la possibilità che la ferita del G8 possa cominciare, con così grave
ritardo e
tante amputazioni, a chiudersi.

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