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Quaderni di Να Ρµη, 5

IL «SAPIENTISSIMO CALABRO».
GUGLIELMO SIRLETO
NEL V CENTENARIO DELLA
NASCITA (1514-2014)
PROBLEMI, RICERCHE, PROSPETTIVE

Atti del Convegno, Roma


Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Corsini -
Sala delle Canonizzazioni, 13-15 gennaio 2015

A cura di
BENEDETTO CLAUSI - SANTO LUCÀ

Università degli Studi di Roma


«Tor Vergata»
2018
La stampa del volume si è giovata del contributo
della Fondazione CaRiCal e del Dipartimento di Studi Umanistici
dell’Università della Calabria

In copertina:
Ritratto del card. Guglielmo Sirleto
XII Cardinalium pietate doctrina rebusq. gestis maxime illustrium imagines et elogia,
Theodorus GALLAEUS Antuerp. in aes incidit,
Antuerpiae, Philippus Gallaeus (…) excudit, 1598

ISSN 2036-9026
ISBN 978-88-32184-00-6

I contributi qui pubblicati sono stati sottoposti a peer review

© 2018 - Università degli Studi di Roma «Tor Vergata»

Università degli Studi di Roma «Tor Vergata»


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LAMPAS CLARISSIMA.
APPUNTI SU SIRLETO E LA SACRA SCRITTURA*

Dicit ei Pilatus: Quid est veritas?


Ioh. 18, 38.

Introduzione
Il 1° di aprile del 1575 un «umile e oscuro» gesuita di trentatré anni
si presentava per lettera al cardinal Sirleto e, dopo avergli ricordato di
essere il cugino di Riccardo Cervini, figlio di Alessandro, e di essere
diventato gesuita insieme a lui a Roma, dove vent’anni prima aveva fre-
quentemente avuto occasione di «salutare» il dotto prelato, continuava:
Adesso vivo a Lovanio, nell’Università della Gallia Belga, piena di
studenti e fiorente di studî. Così hanno voluto i sapientissimi superiori
del nostro ordine. Vi scrivo perché in questi giorni Cristophe Plantin
mi ha chiesto di cercare le Annotationes al Nuovo Testamento di
Lorenzo Valla, che dice di volervi mandare. Io le ho trovate presso un
amico e mentre le stavo mandando a Plantin alcuni uomini dotti, vostri
grandi ammiratori, mi hanno chiesto di suggerire a vostra eminenza di
scrivere un’opera sul Nuovo Testamento – sulla quale abbiamo saputo
che stavate riflettendo (meditari) – contro le perniciose annotazioni di
Valla ed Erasmo. Dicono che essa sarebbe utilissima e graditissima a tutti
gli studiosi, ma che certo sarebbe accolta con favore anche maggiore se
in essa voleste confutare anche le annotazioni di Jacques Lefèvre d’Eta-
ples e di Théodore de Bèze.
L’autore concludeva dicendo di aver osato disturbare l’illustre desti-
natario in base al diritto stabilito da Dio stesso che, avendo donato al
dotto Sirleto una quantità di grazia sovrabbondante, lo aveva reso debitore

* Ho voluto rendere pubblico questo contributo, ancora quasi a uno stato di


abbozzo, per mettere a disposizione degli studiosi il materiale e le riflessioni che ho
raccolto, come a proseguimento della discussione congressuale. Mi auguro di poter
sviluppare meglio in futuro questo ricco tema. Desidero pertanto ringraziare i cura-
tori del volume, Benedetto Clausi e Santo Lucà, per il paziente e solido sostegno
che ho ricevuto durante l’ultima fase del lavoro. Gli errori e le lacune sono natural-
mente di mia esclusiva responsabilità.
222 CECILIA ASSO

nei confronti della cristianità, come il lume più splendente di un cande-


labro che porta luce su ogni oggetto che si trova nella Sua casa. E si fir-
mava Roberto Bellarmino 1.

1 «Qui sim, qui haec scribo, Cardinalis amplissime, initio dicendum esse puto.
Propterea quod etsi tibi aliquando ignotus non fuerim, tamen tot iam anni effluxe-
runt ab eo tempore quo te videre aut salutare desii, ut non immerito existimem ex
animo tuo gravissimis cogitationibus rerum maximarum occupato memoriam mei,
hominis videlicet humilis et obscuri, funditus esse deletam. Ego igitur consobrinus
sum Richardi Cervini, Alexandri Cervini filii, qui una cum eo isthic Romae Socie-
tati Jesu nomen dedi. Nunc vero Lovanii dego, in celeberrima et florentissima Gal-
liae Belgica academia. Ita enim visum est sapientissimis nostri ordinis moderatoribus.
Causa scribendarum ad te literarum haec est. Cum his diebus Christophorus Planti-
nus, vir optimus et Christianae pietatis studiosissimus, a nobis petiisset ut Laurentii
Vallae annotationes in Novum Testamentum perquireremus, quas ad te mittere se
velle dicebat, et nos eas apud amicum quendam inventas ad eum mitteremus, roga-
verunt me nonnulli viri docti et qui te mirifice observant et colunt, ut amplitudini
tuae suggererem opus quod meditari te audimus in Novum Testamentum contra
Vallae atque Erasmi perniciosas adnotationes. Futurum illud quidem studiosis omni-
bus gratissimum atque utilissimum, sed certe multo maiore favore excipiendum si
eadem opera Jacobi Fabri et Theodori Bezae annotationes refellere volueris. Ego
vero, oblatam mihi ad te scribendi occasionem, libenter arripui ut simul etiam quae-
stiones quasdam de sanctis literis proponerem, de quibus miro desiderio incensus
iampridem fui iudicium tuum audiendi. Sed impedivit me hucusque partim vere-
cundia mea, partim metus quidam ne tibi in arce ista dignitatis constituto et pro
salute communi Christianae reipublicae perpetuo excubanti gravis atque importunus
essem. Quamobrem, Cardinalis optime, illud imprimis pietati ac prudentiae tuae
significatum volo Bezae annotationes nunc fere in manibus omnium versari nec
paucos esse qui, cum eas assidue lectitent, cum melle verborum haeresis venenum hau-
riant. Quocirca si a te (quod te facere posse nemo dubitat) ea in Novum Testamen-
tum commentaria prodirent, in quibus et illa ipsa meliora invenirentur quae non
male damnati illi auctores annotaverant, et praeterea illorum lapsus atque errata dete-
gerentur ac refellerentur, uti dici potest, quantum et de Bezae eiusque similum
authoritate decederet, et ad Ecclesiae commodum atque utilitatem accederet! […]
Quod si nimium audax fuisse videor, qui summo viro et publici negotiis occupato
non solum tot verbis meis molestiam attulerim, sed etiam onus respondendi impo-
suerim, non contendo neque excuso temeritatem. Hoc solum dico, me illo iure
ausum id facere quo te nobis debitorem fecit qui, praecipui munere gratiae tuae,
tamquam lampadem clarissimam in candelabro constituit ut luceas omnibus qui in
domo eius sunt» (Vat. lat. 6192/II, ff. 259r-260v; pubblicata in X.-M. LE BACHELET,
S.J., Bellarmin avant son cardinalat 1542-1598. Correspondance et documents, Paris 1911, pp.
90-94; cf. H. HÖPFL, O.S.B., Kardinal Wilhelm Sirlets Annotationen zum Neuen Testa-
ment. Eine Verteidigung der Vulgata gegen Valla und Erasmus, Freiburg im Breisgau 1908
[Biblischen Studien, 13/2], pp. V, 7 n. 1 e 54 n. 1, e P. BATIFFOL, La Vaticane de Paul
III à Paul V d’après des documents nouveaux, Paris 1890, pp. 29-33). Roberto Bellar-
mino (Montepulciano 1542-Roma 1621) era figlio di Alessandro e di Cinzia Cer-
vini, sorella di Alessandro, padre di Riccardo, e sorellastra del cardinale Marcello
(papa Marcello II dal 9 aprile al 1° maggio 1555). Sulla famiglia di Marcello Cervini
vedi P. POLIDORI, De vita gestis et moribus Marcelli II, Roma 1744, pp. 5-6. Tutti i cor-
sivi nel testo e nelle note sono miei.
LAMPAS CLARISSIMA 223

È utile cominciare da questo testo per chiarire subito che l’elemento


più concreto a nostra disposizione riguardo al tema «Sirleto e la Bibbia»
sono i tredici codici, conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana, con-
tenenti le sue Annotationes al Nuovo Testamento – stilate almeno in parte
negli anni ’50 e di cui parleremo nell’ultimo paragrafo – che lo avevano
reso evidentemente famoso nell’ambiente curiale come l’unico uomo
che avesse gli strumenti per contrapporsi ai risultati del lavoro filologico
di Lorenzo Valla e di Erasmo, lavoro che costituiva indiscutibilmente
buona parte della base scritturistica e teologica dello scisma protestante 2.
Quel che sappiamo degli studi biblici del Sirleto precedenti a queste
Annotationes sembra strettamente collegato al rapporto con Marcello
Cervini, soprattutto nel periodo in cui questi era cardinal legato al Con-
cilio di Trento, ma anche precedentemente 3. Già il fatto che Sirleto, poco
dopo il suo arrivo a Roma, si fosse segnalato agli occhi del Cervini per
la sua straordinaria conoscenza del greco, può dirci che il problema degli
studi biblici era considerato prioritario almeno in alcuni ambienti del
potere romano. Era il 1537, un anno dopo la morte di Erasmo e due anni
dopo l’ultima edizione del suo Nuovo Testamento. Tre anni prima era
stata stampata per la prima volta l’intera Bibbia tradotta in tedesco da
Lutero e dai suoi collaboratori. Nel 1532, cinque anni prima, era uscita a
Venezia la Bibbia italiana di Antonio Brucioli, da lui tradotta dalle lingue
originali. La tendenza erasmiana del redire ad fontes anche per quel che
riguardava la Sacra Scrittura (tendenza che aveva trionfato negli anni
Venti e che era già stata esplicitamente condannata dalle accademie teo-
logiche in quegli stessi anni) sembrava avere ormai un corso irrefrenabile
e alimentava le polemiche antiromane, mettendo in evidenza le debo-
lezze e i veri e propri errori contenuti nel testo cui tradizionalmente si
affidava la Chiesa, nella celebrazione dei riti quanto nelle definizioni teo-
logiche, ossia la versione latina che dopo il concilio di Trento sarà comu-

2 HÖPFL, Kardinal cit. è l’unico studio a me noto su questo tema; rec. di G.


MERCATI in Theologische Revue 8/2 (1909), pp. 60-63. Ad esso va affiancato H. HÖPFL,
Beiträge zur Geschichte der Sixto-Klementinischen Vulgata, Freiburg im Breisgau 1913. Su
questi scritti si basa largamente P. PASCHINI, Guglielmo Sirleto ed il decreto tridentino
sull’edizione critica della Bibbia, Lecco 1935.
3 Non mi occuperò in questa sede del lavoro svolto da Sirleto tra il 1561 e il
1563 per il cardinale Girolamo Seripando, quando questi era legato al concilio di
Trento. Vd. A. MARRANZINI, Guglielmo Sirleto e Girolamo Seripando: due amici nella
Chiesa del Cinquecento, in Il Card. Guglielmo Sirleto (1514-1585). Atti del convegno di
studio nel IV centenario della morte, a cura di L. CALABRETTA - G. SINATORA, Catanzaro-
Squillace 1989, pp. 51-121, dove si pubblicano 32 lettere del Seripando a Sirleto dal
Vat. lat. 6189.
224 CECILIA ASSO

nemente nota come «Vulgata». Non so dire adesso se, quando conobbe
Sirleto, Marcello Cervini potesse avere già in mente una risposta romana
agli studi biblici che da almeno tre decenni fiorivano in quell’area della
cristianità che molti autorevoli teologi già consideravano eretica o certa-
mente terreno di coltura di eresie. Il fatto è che le edizioni di antichi testi
cristiani che furono prodotte a Roma all’inizio degli anni Quaranta sotto
l’egida del Cervini sono molto significative. Prendendo in considerazione
anche soltanto l’edizione del commento ai Vangeli di Teofilatto di Bulga-
ria stampata a Roma da Antonio Blado nel 1542, quella delle Disputationes
adversus gentes di Arnobio, stampata da Francesco Priscianese sempre a
Roma nello stesso anno, e quella dei sermoni De providentia di Teodoreto,
stampata anch’essa da Blado nel 1545, sembra piuttosto probabile che nella
mente del Cervini (nominato cardinale da papa Paolo III nel 1539) ci
fosse già una sorta di progetto editoriale finalizzato a produrre gli stru-
menti adatti per affrontare un concilio, o almeno quella sostanziosa
riforma della Chiesa per iniziativa del papa che egli caldeggiava 4.
Quando poi, tra il 1545 e il 1546, sempre Cervini, diventato legato al
concilio di Trento, incaricò specificamente Sirleto di fornirgli sistemati-
camente i testi antichi che gli servivano per discutere e definire i primi
e basilari decreti conciliari sulle Scritture, dobbiamo constatare che il
metodo umanistico della ricerca delle fonti storiche per sostenere e cor-
roborare i principî della fede conservava salde le sue radici anche nel
campo romano 5.
Quel che è interessante e meritevole di approfondimento è la neces-
sità, che presto sarebbe emersa, di porre un limite all’indagine, testuale e
storica, quando essa si trovava in contraddizione con i dogmi e le prati-
che religiose tramandati per tradizione. La mia ipotesi è che i «romani»
quanto i «luterani» (mi si permettano queste due grossolane definizioni)
nutriti dall’umanesimo sottovalutassero (seppure in modo diverso) tale
necessità, sostenuti dalla convinzione che la ricerca filologica ed erudita
avrebbe portato finalmente alla luce indiscutibilmente la verità che cia-

4 Vd., per es., H. JEDIN, Storia del Concilio di Trento, trad. it., I, Brescia 1973, pp.
393 e n. 150, 469-470, 496, 590-591. Cf. alcune delle osservazioni di Benoît Gain in
I. BACKUS - B. GAIN, Le cardinal Guglielmo Sirleto (1514-1585), sa bibliothèque et ses tra-
ductions de saint Basile, in Mélanges de l’École française de Rome. Moyen-Âge – Temps
modernes 98/2 (1986), pp. 889-955: 927. Su Cervini vedi l’ampio studio di Ch. QUA-
RANTA, Marcello II Cervini (1501-1555). Riforma della Chiesa, Concilio, Inquisizione,
Bologna 2010.
5 PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit.
LAMPAS CLARISSIMA 225

scuno di essi considerava contenuta nella propria versione della fede cri-
stiana. Questa ipotesi, che non troverà conferma certo in questa sede,
costituisce tuttavia la chiave di lettura con cui ho affrontato una minima
parte dei documenti che possediamo sugli studi scritturistici di Sirleto.
Esamineremo dunque alcuni punti che emergono dal carteggio di Sir-
leto con Cervini e da altri documenti negli anni intorno alla prima fase
del concilio di Trento (1545-1547), per passare poi ad alcuni sondaggi
fatti nel testo delle Annotationes vaticane (1553, 1575?), fornendo in
appendice un iniziale contributo alle auspicabili edizioni di entrambi
questi corpora documentari.
A titolo puramente preliminare, ricordiamo che in Europa Occiden-
tale, all’epoca in cui nacque e si diffuse l’arte della stampa, il testo sacro
dei cristiani (la Bibbia, costituita da Antico e Nuovo Testamento) circo-
lava in una specifica versione latina che si era andata affermando a partire
dal V-VI secolo, sotto il nome di San Girolamo 6. Essa veniva usata nella
liturgia, nella prediche, nelle opere dottrinali e, a partire dal XIII secolo,
nelle accademie teologiche e assunse il nome di «Vulgata» proprio in
seguito al decreto conciliare dell’aprile 1546, del quale ci occuperemo
più avanti. «Haec vetus et vulgata editio», «questa antica e diffusa edi-
zione», divenne, a partire da quegli anni, senz’altro la «Vulgata» 7. Gli
uomini dotti sapevano inoltre che l’Antico Testamento dei cristiani cor-
rispondeva grosso modo all’ebraico del testo sacro degli Ebrei, il cosid-
detto Tanakh, costituito dai libri della Legge (Torah), dei Profeti
(Nevi’im) e degli Scritti (Ketuvim). Infine, era noto che prima del IV
secolo (il secolo di Girolamo) i cristiani leggevano il loro Antico Testa-
mento soprattutto nella versione greca detta dei Settanta e in alcune ver-
sioni latine basate su di essa, versioni latine che comprendevano anche il
Nuovo Testamento.
È impossibile sopravvalutare l’importanza che le vicende antiche
ebbero sugli umanisti e sui riformatori che si occuparono del testo sacro
nel Cinquecento. Girolamo divenne, come è noto, il patrono di Erasmo

6 Si veda la ricca introduzione di J. GRIBOMONT, Aux origines de la Vulgate, in La


Bibbia «Vulgata» dalle origini ai nostri giorni, a cura di T. STRAMARE, Roma-Città del
Vaticano 1987, pp. 11-20. Su questi temi, ottimo per lo studioso non specialista il
Vademecum per il lettore della Bibbia, 2a ed., a cura di P. CAPELLI - G. MENESTRINA,
Brescia 2017.
7 A. ALLGEIER, Haec vetus et vulgata editio, in Biblica 29 (1948), pp. 353-390. L’e-
spressione ‘vulgata editio’ è peraltro attestata nella prima metà del secolo: cf. C. ASSO,
Érasme et l’interpres. Les polémiques autour de la Vulgate du Nouveau Testament, in La
Vulgate au XVIe siècle, éd. par G. DAHAN - A. NOBLESSE-ROCHER, in corso di stampa.
226 CECILIA ASSO

e della sua impresa neotestamentaria 8. Il rifiuto geronimiano di accettare


l’idea che una traduzione potesse essere ispirata e la sua convinzione che
studiare il testo sacro nelle lingue originali fosse un atto di somma pietà
sostenne tutta l’opera erasmiana. In questo senso, la traduzione dei Set-
tanta entrò nell’orizzonte di Erasmo (che peraltro non si occupò mai
dell’Antico Testamento) proprio come elemento di polemica, tanto da
diventare oggetto nel 1531 di una discussione epistolare con l’agostiniano
Agostino Steuco (1497/8-1548), biblista e futuro bibliotecario della Vati-
cana (1538) 9. Erasmo vedeva il proprio lavoro sul testo greco del Nuovo
Testamento in rapporto alla Vulgata come analogo al lavoro di Girolamo
sui testi ebraici dell’Antico in rapporto alla Settanta.
Quanto ai testi originali del Nuovo Testamento (Vangeli, Atti, Epi-
stole e Apocalisse), si sapeva che erano stati trasmessi solo in greco, seb-
bene si ipotizzasse che alcuni di essi fossero stati compilati in aramaico.
Possiamo dire che fino al XV secolo nessuno in Occidente si pose il
problema di quale fosse la relazione tra il testo latino e le lingue originali
in cui era stato scritto il testo sacro, né chi fosse davvero l’autore della
vetus et vulgata versio. O meglio, se qualcuno ci fu, non trovò risposta
nella cultura medievale, che aveva col passato un rapporto di continuità
e di identità totale. Questo rapporto, come sappiamo, si incrinò nel XV
secolo, quando – più che il desiderio di rendere umanisticamente ele-
gante il latino del testo sacro (come sostennero diversi polemisti nel
secolo seguente) – cominciò a farsi strada l’istanza di risalire alle fonti
originarie della parola di Dio, in particolar modo del Nuovo Testamento,
nel quale principalmente consisteva l’identità cristiana. Rispetto ai testi
dell’antichità classica, però, ci si trovava qui davanti a un libro per il quale
una traduzione era diventata più importante dell’originale. La «Vulgata»
era per la grande maggioranza, non solo del popolo, ma anche dei sacer-
doti e dei teologi, la Sacra Scrittura, senza possibili alternative.

8 Mi limito a ricordare, oltre a E.F. RICE, Saint Jerome in the Renaissance, Balti-
more-London 1985, B. CLAUSI, Ridar voce all’antico Padre. L’edizione erasmiana delle
Lettere di Gerolamo, Soveria Mannelli (CZ) 2000, e H. PABEL, Herculean Labours. Eras-
mus and the editing of St. Jerome’s Letters in the Renaissance, Leiden 2008.
9 La polemica è costituita da due epistole, la prima di Erasmo a Steuco, del 27
marzo 1531, e la risposta di Steuco del 25 luglio 1531 (Epist. 2465 e 2513. Cf. Opus
epistolarum Des. Erasmi Roterodami, ed. P. S. ALLEN [ET ALII], I-XII, Oxford 1906-1958,
d’ora in poi ALLEN). Vd. R.K. DELPH, Emending and Defending the Vulgate Old Testa-
ment: Agostino Steuco’s Quarrel with Erasmus, in Biblical Humanism and Scholasticism in
the Age of Erasmus, ed. by E. RUMMEL, Leiden-Boston 2008, pp. 297-318.
LAMPAS CLARISSIMA 227

L’operazione che contribuì alla crisi dell’unità cristiana nel XVI


secolo fu perciò non tanto l’approccio storico-filologico al testo sacro,
quanto la scelta di rivolgersi all’originale greco, e vedremo come questo
punto sia centrale per capire anche l’opera di Sirleto.
Quando Erasmo da Rotterdam pubblicò a Basilea, nel 1505, le Anno-
tationes in Novum Testamentum che Lorenzo Valla aveva scritto negli anni
Quaranta del secolo precedente e che fino a quel momento erano circo-
late manoscritte in circoli ristretti 10, egli voleva appunto promuovere il
programma (fortemente spirituale e impregnato di platonismo) di recu-
pero del testo originale con il quale Dio stesso aveva voluto mettersi in
comunicazione con gli uomini per portarli alla salvezza. Sia Valla sia
Erasmo sostenevano che la traduzione latina del Nuovo Testamento fosse
pessima, e non potesse essere opera di Girolamo. D’altra parte, era noto
e assodato che il Vecchio Testamento latino fosse quello tradotto dal
santo Padre dagli originali in ebraico, come attestava anche il carteggio
tra Girolamo stesso e Agostino. Dunque, nell’ottica di Valla e di Erasmo,
era del tutto lecito «correggere» il Nuovo Testamento dagli errori dello
sconosciuto e rozzo traduttore, l’interpres, basandosi sull’originale greco.
A questo punto, lo studio del testo sacro si interseca con la storia
della critica testuale, e le cose si complicano. Come ben sappiamo, i
nostri criteri di ricostruzione di un testo il cui originale sia perduto si
sono sviluppati molto lentamente a partire dall’età umanistica per conso-
lidarsi definitivamente in disciplina scientifica tra il XVIII e il XIX
secolo. Ancora per tutto l’arco del XVI secolo tali criteri rimasero piut-
tosto fluidi, ed è questo che va tenuto maggiormente presente nell’af-
frontare il nostro tema. È stato messo in discussione che Erasmo volesse
effettivamente stabilire il testo greco del Nuovo Testamento, e non piut-
tosto emendare il testo latino servendosi delle lezioni del greco 11. In
realtà possiamo affermare che in Erasmo era dominante la volontà di tro-
vare la Parola di Dio nelle sue fonti originali (e dunque in lingua greca,
per il Nuovo Testamento). E, come emerge dai suoi scritti, avvicinarsi il
più possibile al testo sacro quale era stato dettato inizialmente agli Evan-
gelisti e agli Apostoli significava avvicinarsi il più possibile a Dio stesso.
L’impresa editoriale che nacque da questa istanza religiosa ha trovato giu-

10 Per una messa a punto della storia del testo delle Annotationes di Valla cf. S.
DONEGÀ, Per l’edizione critica delle Annotationes in Novum Testamentum, in Pubblicare
il Valla, a cura di M. REGOLIOSI, Firenze 2008, pp. 243-261.
11 H.J. DE JONGE, Novum Testamentum a nobis versum. The Essence of Erasmus’
Edition of the New Testament, in Journal of Theological Studies 35 (1984), pp. 394-413.
228 CECILIA ASSO

stamente posto nelle storie della critica testuale, ed è considerata il primo


tentativo di approccio al testo sacro con un metodo storico-critico 12.
Non possiamo tuttavia valutare il lavoro filologico di Erasmo con i cri-
teri della moderna filologia. Analogamente, non possiamo valutare gli
scontri e le polemiche che derivarono dall’edizione erasmiana del
Nuovo Testamento semplicemente come una lotta tra progresso e rea-
zione a un nuovo metodo scientifico. È piuttosto possibile che un nuovo
metodo scientifico sia in effetti nato in questo momento critico proprio
dalla tensione tra due modi diversi di intendere la storia.
La prima edizione del Nuovo Testamento a cura di Erasmo uscì, col
titolo Novum Instrumentum, nel 1516, e fu seguita da altre quattro nell’arco
di vent’anni (1519, 1522, 1527, 1535). Le apologie che l’autore fu costretto
a scrivere per difendersi dagli attacchi che essa suscitò occupano (come
rilevava Erasmo stesso con rammarico) due in-folio degli Opera omnia 13.
Dallo studio approfondito di queste opere emerge che quasi tutti i critici
del Nuovo Testamento erasmiano, pur essendo teologi di formazione
scolastica, avevano ricevuto un’educazione umanistica e in alcuni casi si
erano dedicati allo studio filologico della Scrittura. Un nome per tutti è
quello dello spagnolo Diego López Zúñiga († 1531), latinizzato in Jaco-
bus Lopis Stunica. Uomo dotto in greco, ebraico, aramaico e arabo, fu
collaboratore del cardinale Jiménez de Cisneros nella prestigiosa impresa
della Poliglotta Complutensis, l’edizione dell’intera Bibbia pubblicata ad
Alcalá nel 1516 nelle tre lingue sacre 14. Nonostante questi precedenti
professionali, Stunica attaccò duramente Erasmo proprio per aver voluto
porre i codici greci come massima autorità nello stabilire il testo sacro. Il
punto esemplare di questo attacco fu la polemica sul comma Ioanneum,
nella quale Stunica si ricollegò a quanto aveva scritto poco tempo prima
Edward Lee (altro teologo di educazione umanista, amato negli ambienti
inglesi filoerasmiani) nelle sue Annotationes contro le prime due edizioni
di Erasmo. Come è ben noto, il versetto 7 del capitolo V della prima
Epistola dell’apostolo Giovanni secondo il testo della Vulgata conteneva
l’unica esplicita citazione scritturistica delle persone della Trinità (Quo-
niam tres sunt qui testimonium dant in caelo: Pater, Verbum et Spiritus sanctus:

12 Br.M. METZGER, The Text of the New Testament. Its Transmission, Corruption
and Restoration, Oxford 1968, pp. 98-103.
13 Vd. i volumi IX e X di DES. ERASMI ROTERODAMI Opera omnia, ed. J. LE
CLERC, Leiden 1706 (d’ora in poi LB) e cf. Ep. I in ALLEN, p. 21.
14 Vd. la voce López Zúñiga, Diego, in Contemporaries of Erasmus cit., II, pp. 348-
349.
LAMPAS CLARISSIMA 229

et hi tres unum sunt). Erasmo non trovò il versetto nei codici greci che
vide e dunque, in base al suo criterio di priorità assoluta dei testimoni
greci sulle altre fonti, lo eliminò nell’edizione del 1519 (la seconda). A
fronte del testo greco, il testo latino «emendato» (ovvero la traduzione
latina erasmiana del greco) mostrava chiaramente a tutti che il comma
Ioanneum era sparito. La reazione di Edward Lee, che riempì pagine e
pagine di annotationes su questo punto, seguita a breve da quella di Stu-
nica, fu evidentemente tutt’altro che isolata e priva di lettori, poiché
Erasmo – avendo dichiarato che se avesse trovato anche un solo codice
greco che contenesse il versetto dello scandalo lo avrebbe inserito nel
suo testo – dovette inchinarsi di fronte a un codice vistosamente inter-
polato da una mano recentissima, prontamente giunto dall’Inghilterra, e
reintegrò il comma nell’edizione del 1522 15. Quel che qui ci interessa è
osservare che, all’inizio degli anni Venti del secolo, gli avversari di
Erasmo, invece di rivendicare fieramente l’autorità del testo latino tradi-
zionale (come sarebbe accaduto dal 1546 in poi) si affannarono ad andar-
gli incontro sul suo stesso terreno, producendo un testimone falsificato,
sì, ma greco!
«Citami almeno un concilio nel quale questa versione [la “Vulgata”]
sia stata approvata ufficialmente – aveva scritto Erasmo nel 1515 durante
la sua prima polemica scritturistica – Come si può infatti approvare uffi-
cialmente un testo che non si sa da chi sia stato scritto?» 16.

1546. La cìtta stroppiata


Tandem venne la vostra sessione et doe l’aspettavamo un bel putto
maschio havete fatta la citta et stroppiata et per dirla in una parola,
tutta la congregatione et qualche amico se dole et meraviglia che
haviate messo «vetus et vulgata editio», senza specificare altro, perché se
vede manifestamente quanti errori ve sonno, sì de stampa, s’anco de scorret-
tione de tempi per agiugnere et sminuire. Et dicano che qui bisognava
distintamente toccar questo ponto, quale editione antiqua s’habbia d’inten-
dere, essendoci anco quella di S. Jeronimo, et ce pareva per tutto ciò
che voi doveste dire «alla quale tradutione per l’errori se farà correg-
gere per li deputati di Sua Santità o del Concilio», che qui restava in
nostro favore il campo largo et se tolleva a tutte le natione el possere chia-
chiarare […] Qua s’è fatto provisione che non se stampi a causa la pos-

15 Vd. C. ASSO, La teologia e la grammatica. La controversia tra Erasmo ed Edward


Lee, Firenze 1993, p. 86 e n. 89. Cf. METZGER, The Text cit., p. 101.
16 Epist. 337 a Martin Dorp.
230 CECILIA ASSO

siate con quel meglio modo correggerla con uno codicillo, et noi et
voi in questo mezzo pensate al rimedio, il quale so che non mancherà;
ma per discorso quello che potesse partorir questo rimedio fa ritener
un poco più grosso et men sottile l’ingegno del concilio, cioè di farli
perdere un poco di riputatione17.
Mettiamo da parte la nostra sensibilità di genere e prendiamo atto
che nella franca parlata senese di Giambattista Cervini, familiare e procu-
ratore del cardinale Marcello Cervini, la bambina storpia che i padri
conciliari avevano finalmente partorito a Trento dopo tanto travaglio era
il testo del decreto sulla sacra scrittura emesso l’8 aprile 1546. La delu-
sione di cui Giambattista si faceva portavoce, la mancata nascita di «un
bel putto maschio», testimonia della diffusa presenza a Roma, nell’am-
biente della Curia e nello stesso collegio cardinalizio, dell’idea che il
testo sacro della Chiesa latina avesse urgente bisogno di essere restaurato
in base ai criteri filologici elaborati dalll’umanesimo.
Quando si aprì il Concilio di Trento l’ambito del problema «Sacra
Scrittura» non si limitava, come abbiamo visto, alla liceità della diffusione
delle versioni in volgare della Bibbia 18. Sebbene Lutero fosse il più
vistoso degli avversari da fronteggiare, e sebbene la sua Bibbia tedesca
fosse il simbolo stesso del «sola scriptura», risulta chiaro dai decreti che i
padri conciliari avevano presente non solo il pericolo, per l’autorità
ecclesiastica, di mettere la Scrittura nelle mani del popolo cristiano, ma
anche (e forse soprattutto) quello di permettere ai dotti (religiosi, pastori
o laici che fossero) di studiarne la storia del testo. Questo aspetto si tro-
vava naturalmente a monte del primo, dal momento che le traduzioni in
volgare dovevano pur basarsi su di un originale. In questo senso, l’avver-
sario innominato contro cui si rivolgono i due decreti sulla Scrittura è,
accanto e prima di Lutero, Erasmo.
Nel decreto primo (Recipiuntur libri sacri et traditiones apostolorum), dell’8
aprile 1546, l’esigenza di ribadire il canone tradizionale dei libri sacri, che
era stato respinto da Lutero, si affianca alla volontà di dare alla rivelazione
divina trasmessa per tradizione orale pari dignità e rispetto. Anche questa
era, come si sa, una risposta al principio luterano del sola scriptura, ma qui,

17 Al cardinale Marcello Cervini, Roma, 17 aprile 1546 (cf. PASCHINI, Guglielmo


Sirleto cit., p. 10; pubblicata in G. BUSCHBELL, Concilii Tridentini Epistolarum pars
secunda […], Freiburg im Breisgau 1937, pp. 890-891). Giovanni Battista Cervini è
presumibilmente il cugino del cardinal Cervini (cf. W.V. HUDON, Marcello Cervini and
Ecclesiastical Government in Tridentine Italy, Dekalb 1992, p. 23 e n. 19).
18 Si veda, a mo’ di introduzione al problema, JEDIN, Storia cit., II, pp. 67-118.
LAMPAS CLARISSIMA 231

come vedremo, si può leggere anche una risposta al problema dell’impos-


sibilità di fondare la maggior parte dei dogmi ecclesiastici sulla Scrittura,
quale era emerso proprio dal lavoro scritturistico di Erasmo.
Rileggiamo il testo con attenzione:
Il concilio riunito a Trento […], proponendosi in generale che, eli-
minati gli errori, si conservi nella Chiesa l’autentica (ipsa) purezza del
Vangelo che, promesso dai profeti tramite le scritture sante, nostro
signore Gesù Cristo Figlio di Dio ha inizialmente predicato personalmente
a voce, e poi ha ordinato che venisse predicato a tutte le creature tramite
i suoi apostoli, come fonte sia di verità salutifera, sia di disciplina dei
costumi; vedendo che questa verità è contenuta in libri scritti e in tradi-
zioni non scritte che – ricevute dagli apostoli dalla bocca stessa di Cristo,
oppure trasmesse, per ordine dello Spirito Santo, dagli apostoli stessi
come di mano in mano – seguendo l’esempio dei Padri ortodossi,
accoglie e venera con pari devozione e reverenza tutti i libri del Vec-
chio come del Nuovo Testamento, essendo Dio autore di entrambi, e le
tradizioni stesse, che riguardino la fede o i costumi, in quanto, dettate o
direttamente (ore tenus) da Cristo, o dallo Spirito Santo, sono state con-
servate in successione ininterrotta nella chiesa universale 19.
Alla luce dell’analisi storica, la «cìtta stroppiata» sembra stare ben ritta
sulle gambe della coerenza. Di fronte alla friabilità del terreno scritturi-
stico (che emergeva dall’approccio di Erasmo) per sostenere la dottrina
tradizionale, il Concilio reagiva elevando la tradizione a pari dignità della
scrittura, in contrapposizione decisa all’atteggiamento latitudinario che
aveva invece caratterizzato la posizione di Erasmo: se la Scrittura non
sostiene i dogmi tradizionali, vuol dire che questi non sono essenziali,
sono (secondo la famosa definizione erasmiana) adiaphora. E dunque
adiaphora diventavano anche – come tuonavano indignati i teologi suoi

19 Vedi Conciliorum Oecumenicorum Decreta, ed. G. ALBERIGO [ET ALII], Basileae…


19622, p. 639: «Tridentina synodus […] hoc sibi perpetuo ante oculos proponens ut,
sublatis erroribus, puritas ipsa evangelii in ecclesia conservetur quod, promissum ante
per prophetas in scripturis sanctis, dominus noster Iesus Christus Dei Filius proprio ore
primum promulgavit, deinde per suos apostolos tamquam fontem omnis et salutaris
veritatis et morum disciplinae omni creaturae praedicari iussit; perspiciensque hanc
veritatem et disciplinam contineri in libris scriptis et sine scripto traditionibus quae ab
ipsius Christi ore ab apostolis acceptae, aut ab ipsis apostolis Spiritu sancto dictante
quasi per manus traditae ad nos usque pervenerunt, orthodoxorum patrum exempla
secuta, omnes libros tam veteris quam novi testamenti, cum utriusque unus Deus sit auctor,
nec non traditiones ipsas, tum ad fides tum ad mores pertinentes, tamquam vel ore tenus a
Christo, vel a Spiritu sancto dictatas et continua successione in ecclesia catholica conservatas,
pari pietatis affectu ac reverentia suscipit et veneratur».
232 CECILIA ASSO

avversari e Lutero stesso mostrava di temere – buona parte dei sacramenti,


compreso il battesimo, e il dogma della divinità di Cristo e della Trinità 20.
Nel secondo decreto della stessa sessione la presenza di Erasmo si fa
ancora più palpabile. Dopo aver dichiarato che «haec ipsa vetus et vulgata
editio» doveva essere considerata «authentica» (e di conseguenza autore-
vole) 21 il testo prosegue così:
[…] Inoltre, per reprimere gli ingegni petulanti, dichiara che nessuno,
basandosi sul proprio buon senso (suae prudentiae innixus), osi interpre-
tare la sacra scrittura distorcendola arbitrariamente (ad suos sensus) nelle
cose che riguardano la fede e gli usi (morum) che riguardano le fonda-
menta (aedificationem) della dottrina cristiana, andando contro il senso
che le ha dato e le dà (tenuit et tenet) la santa madre chiesa, alla quale
spetta il compito di giudicare sul vero significato e sull’interpretazione
delle scritture sante, o anche contro l’unanime consenso dei padri, anche se
interpretazioni di questo genere non dovessero mai essere pubblicate a stampa 22.
Sembra impossibile non identificare i petulantia ingenia con Lorenzo
Valla e soprattutto con il suo editore e continuatore Erasmo, entrambi
certamente suae prudentiae innixi. E specificare che huiusmodi interpretatio-
nes, interpretazioni di questo genere, erano escluse anche se destinate a
non essere mai stampate fa pensare che la storia delle Annotationes di
Valla, che per quasi un secolo erano circolate manoscritte, preoccupava i
padri conciliari quanto le diffusissime edizioni a stampa erasmiane. È
vero che Erasmo aveva più volte dichiarato di essere disposto a sottomet-
tersi al giudizio della Chiesa, se questa avesse voluto pronunciarsi sulle
questioni controverse. Ma cosa egli intendesse con «Chiesa» non è suffi-

20 Su questi temi cf. ASSO, La teologia cit., ed EAD., Erasmo e il battesimo: materiali
di lavoro e spunti di riflessione, in Salvezza delle anime disciplina dei corpi. Un seminario
sulla storia del battesimo, a cura di A. PROSPERI, Pisa 2006, pp. 255-311.
21 «Insuper eadem sacrosancta synodus considerans non parum utilitatis acce-
dere posse ecclesiae Dei si ex omnibus latinis editionibus quae circumferuntur sacro-
rum librorum quaenam pro authentica habenda sit innotescat, statuit et declarat ut
haec ipsa vetus et vulgata editio, quae longo tot saeculorum usu in ipsa ecclesia pro-
bata est, in publicis lectionibus, disputationibus, praedicationibus et expositionibus
pro authentica habeatur et quod nemo illam reiicere quovis praetextu audeat vel
praesumat»: Conciliorum Oecumenicorum Decreta cit., p. 640.
22 «Praeterea ad coercenda petulantia ingenia decernit ut nemo, suae prudentiae
innixus, in rebus fidei et morum ad aedificationem doctrinae christianae pertinen-
tium sacram scripturam ad suos sensus contorquens, contra eum sensum quem
tenuit et tenet sancta mater ecclesia, cuius est iudicare de vero sensu et interpreta-
tione scripturarum sanctarum, aut etiam contra unanimem consensum patrum ipsam
scripturam sacram interpretari audeat, etiamsi huiusmodi interpretationes nullo unquam
tempore in lucem edendae forent »: Conciliorum Oecumenicorum Decreta cit., p. 640.
LAMPAS CLARISSIMA 233

cientemente chiaro e c’è da chiedersi come avrebbe reagito se avesse


saputo che dieci anni dopo la sua morte il Concilio (con tutte le pole-
miche sulla sua capacità di rappresentare la cristianità) si sarebbe pronun-
ciato basandosi, come vedremo, sulle opere di coloro che lo avevano
implacabilmente attaccato nel corso della sua vita.
Forse le parole di Giambattista Cervini con cui abbiamo aperto
queste riflessioni possono darci un’idea di cosa pensassero gli «erasmiani»
che ancora circolavano a Roma, protetti probabilmente dall’aura di anti-
luteranismo di cui era circonfuso Erasmo dai tempi della polemica sul
libero arbitrio (1524) 23. Ma è chiaro che la risposta ufficiale era pronta e
meditata. L’uomo che l’aveva preparata era Guglielmo Sirleto.
Ho scritto in una mia a V. S. R.ma che saria stato bene dare il carico
a persone dotte in tutte tre le lingue che rivedessero la Bibbia ebrea,
greca et latina et le conferissero insieme co’ esemplari antiqui et faces-
sero una la quale fosse conforme alla santa madre chiesa e santi padri, et
dove nell’ebreo fosse de più, che l’aggiugnessero, et anche avessero buoni esem-
plari greci antiqui, perché ve sono molte scorretioni cossì nel greco come nel latino,
et me pare che quelle parole d’Herma Laetmatio, le quali in una lettera
ho scritto a V. S. R.ma son da notare, «Nemo – inquit – hoc ita intelligat
ut putet hanc LXX versionem sufficere et propterea hebraicam origi-
nem reiiciendam, sed ut, teste Tertulliano, Ptolemaeus fecit, potius
utramque coniungi debere, quod illa huic nostrae translationi auctorita-
tem, haec vero hebraicae veritati multum addat lucis et perspicuitatis».
Dico questo perché alcuni m’han detto, quantunque huomini di poco
momento, che quella parola che se dice essere stata determinata in la
ultima sessione, «ut editio vetus et vulgata pro authentica habeatur» non
par che satisfacci. Io l’ho risposto che il parere de tanti homeni gravis-
simi et esercitatissimi nella s. Scrittura et il concilio tutto insieme non se
ha d’accommodare al parere de quattro o cinque, ma l’altri conformarse
al iudicio di tante persone savie, massime dicendo che sia autentica
quella traduzione che santa madre chiesa ha sempre autenticata et
tenuta, e quella parola «quae legi consueverat» me pare che risolvi tutto,
intendendosi da qui che niuna cosa de novo s’è determinato. È ben vero
che volendo determinare una cosa di tanta importanza credo che saria stato bene
dichiarar meglio la cosa parlando de la hebrea de la greca et de la latina, et
determinando che se habbi a tener quella che per costituzione del con-

23 Vd. ERASMO DA ROTTERDAM, Scritti religiosi e morali, a cura di C. ASSO, Pro-


getto editoriale e introduzione di A. PROSPERI, Torino 2004, pp. 490-492. Sulla
sostanza della discussione un importante contributo è R. TORZINI, I labirinti del libero
arbitrio. La discussione tra Erasmo e Lutero, Firenze 2000.
234 CECILIA ASSO

cilio sarà proposta emendata «ad fidem veterum exemplarium». Io ho


sentito dir qui alcune chiachare et per questo ne scrivo 24.
La lettera porta la stessa data di quella di Giambattista Cervini con
cui abbiamo aperto questo paragrafo, il 17 aprile 1546. Ma il lavoro di
Sirleto sul testo sacro a sostegno dell’attività di Marcello Cervini a Trento
in qualità di legato pontificio era cominciata svariati mesi prima 25. Sarà
bene dunque cominciare dall’inizio. In una lettera del 13 febbraio 1546 a
proposito dell’abuso della Sacra Scrittura, Sirleto fornisce a Cervini una
testimonianza dall’Adversus haereses di Ireneo di Lione (120/130-202 ca.),
che paragona chi distorce il senso della Scrittura a qualcuno che, avendo
tra le mani l’immagine di un re mirabilmente composta di pietre pre-
ziose, la disfaccia e componga con quello stesso materiale l’immagine di
un cane o di una volpe 26. In un’altra del 20 febbraio adduce le autorità
dello stesso Ireneo e di sant’Agostino a favore della traduzione dei Set-
tanta, che entrambi quei Padri ritengono ispirata da Dio 27. È un punto,
questo dei Settanta, che era evidentemente cruciale per sostenere che
una traduzione, e dunque anche la Vulgata, può essere ispirata da Dio
quanto il testo originale.
Il 27 febbraio 1546 Cervini scriveva a Sirleto che i padri conciliari
avevano stabilito di porre come base della fede la Scrittura e la tradizione
apostolica e che,
dovendosi ora trattare de purgare gli abusi che occorrono a ciascuni
di questi due capi, non è da reputare nel ultimo loco tante varie inter-
pretationi et editioni della Bibia et però come m’è stato caro il testimo-
nio di quelli dui sancti Padri per la translatione delli Settanta, così harò
piacere che non tardiate a mandarmi quel di più che in questo propo-
sito vi sarà occorso 28.
Infatti, era a tutti evidente che, allo stato delle cose, era ormai impos-
sibile fare riferimento a un testo unitario, sia per quel che riguardava le
traduzioni latine sia per quel che riguardava gli originali. Si decise così
che un’apposita commissione identificasse e sintetizzasse gli «abusi» cui

24 Da Roma, il 17 aprile 1546, Vat. lat. 6177/I, f. 33r. Vd. infra, Appendice IIe,
p. 281. C. VERCELLONE, Studi fatti in Roma e mezzi usati per correggere la Bibbia Volgata,
in ID., Dissertazioni accademiche di vario argomento, Roma 1864, p. 81.
25 PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., p. 15 e n. 28, che cita una lettera di Sirleto a
Cervini in Vat. lat. 6178, f. 86r-v.
26 Vat. lat. 6177/I, f. 57r-v (infra, Appendice IIa, pp. 275-276).
27 Vat. lat. 6177/I, ff. 55r-56v (cf. infra, Appendice IIb, pp. 276-278).
28 PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., p. 6 e n. 3, che cita Vat. lat. 6178, f. 72r-v.
LAMPAS CLARISSIMA 235

era stata sottoposta la Sacra Scrittura e ne suggerisse i rimedi. Gli undici


deputati furono: Antoine Filhol, arcivescovo di Aix-en-Provence (m.
1550); Marco Quinto Vigerio della Rovere, vescovo di Senigallia (m.
1560), Giovanni Tommaso Sanfelice, vescovo di Cava de’ Tirreni (1494-
1585); Juan Fonseca, vescovo di Castellammare di Stabia (m. 1559); il
domenicano Pietro Bertani, vescovo di Fano (1501-1558); il francescano
Cornelio Musso, vescovo di Bitonto (1511-1574); Diego de Álava y
Esquivel, vescovo di Astorga (m. 1562); Girolamo Seripando, generale
degli Agostiniani (1493-1563), oltre al domenicano Ambrogio Catarino
Politi (1484-1553), e ai francescani Alfonso de Castro (1495-1558) e Ric-
cardo Cenomano (Richard du Maine, m. 1552) in qualità di teologi 29.
Già il 1° marzo, in una congregazione particolare, Cervini affron-
tava il problema proponendo di prendere un’edizione latina e di cor-
reggerla (purgetur) in base ai codici ebraici e greci 30. Questa doveva
sembrare la soluzione più logica per i padri conciliari di formazione
umanistica che, pur non essendo biblisti, avevano in qualche modo
recepito la lezione di Erasmo e non volevano retrocedere davanti alle
accuse di ignoranza riguardo alla parola di Dio che venivano mosse a
Roma da parte protestante.
Ma nelle settimane seguenti Sirleto portò al cardinal legato argo-
menti che dimostravano quanto fosse tortuosa e sdrucciolevole quella
strada. Il 3 marzo scriveva:
Alcune volte li testi latini son più corretti de quelli greci che
havemo adesso […] et per haver voluto Erasmo dare fede ad ogni
esemplare greco, ha fatto molteplici errori 31.
Quando, il 15 marzo, si costituì la commissione sugli abusi il Cervini
non ne fece parte 32. La commissione si riunì l’8 e il 9 marzo 33, mentre
il 10 marzo Sirleto scriveva ancora a Cervini:
[…] pure havendo de tenere de le bibie latine basteria quella di san
Gerolimo, essendo stata confirmata da la chesa, et havendo allegata la
scrittura secondo quella tralatione molti dottori santi et dotti, come san
Gregorio papa in molti lochi, Beda, san Thomaso, Dionysio Carthu-

29 Cf. HÖPFL, Beiträge cit., pp. 2-3.


30 Concilii Tridentini diariorum pars I, ed. S. MERKLE, Freiburg im Breisgau 1965
(Concilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collec-
tio, 1), pp. 500 e 505-506. Cf. HÖPFL, Beiträge cit., p. 2, nn. 2 e 3.
31 Vat. lat. 6177/I, f. 88v. Cf. PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., p. 8 e n. 10.
32 HÖPFL, Beiträge cit., pp. 2-3 e n.
33 HÖPFL, Beiträge cit., p. 3.
236 CECILIA ASSO

siano et santo Agostino nell’ultimo de la sua età. Quando io ho allegato


quelli che traducono adesso intendo Leone Juda il qual ha tradotto ulti-
mamente la bibia, et se tene che habbi tradotto secondo la verità hebraica,
come loro dicono 34.
Il 17 marzo 1546 la commissione riferì sugli abusi della Sacra Scrit-
tura, che erano stati identificati come quattro. Il primo, che circolassero
diverse edizioni della Sacra Scrittura, ciascuna di esse rivendicata pubbli-
camente come autentica. Il secondo, che vi fossero alcuni errori nella
«vulgata editio». Il terzo, che «chiunque, facendo affidamento sul proprio
discernimento (propriae prudentiae innixus), non con l’intenzione di sotto-
mettersi alla Sacra Scrittura (non in scriptura sacra voluntatem habens), ma
distorcendola a proprio piacimento (sed ad suam voluntatem Scripturam
sacram contorquens), nei punti che riguardano la fede e i costumi cristiani,
con la scusa che la parola di Dio è semplice e accessibile a tutti (pretextu
facilitatis verbi Dei), la interpreti, sia in privato sia in pubblico, in senso
contrario a quello che la Chiesa e il consenso dei Padri le ha sempre
dato e le dà». Infine, il quarto abuso riguarda gli stampatori, che pubbli-
cano liberamente (pro libito suo) e senza il permesso dell’autorità ecclesia-
stica la Sacra Scrittura e i commenti ad essa, mescolando talvolta ciò che
fa parte della tradizione della Chiesa con ciò che non ne fa parte (ali-
quando miscent non recepta ab ecclesia cum receptis), spesso omettendo e
spesso anche falsificando i dati tipografici (sepe tacito sepe et ementito prelo):
Anche gli stolti scrivono e trascrivono libelli, ciò che sembra una
specie di stampa, e così comunicano di nascosto, o addirittura divul-
gano, empi dogmi sotto le mentite spoglie della pietà 35.
Il rimedio suggerito per il primo abuso è ritenere un’unica versione
della Bibbia, ossia «illam S. veterem et Vulgatam», da imporre come unico
e indiscutibile testo sacro (quam nemo reiicere et cui nemo contradicere
audeat), pur senza togliere autorità alla versione dei Settanta e ad altre
eventuali versioni che siano utili all’interpretazione della «Vulgata» (neque
reiiciendo alias editiones quatenus authenticae illius intelligentiam iuva[n]t).

34 Vat. lat. 6177/I, f. 64r. Cf. PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., pp. 7-12; HÖPFL,
Beiträge cit., p. 11, n. 1; ID., Kardinal cit., p. 5 n. 2.
35 Vat. lat. 6786, ff. 21-24: «Stulti quoque scribunt et transcribunt libellos, quod
speties quedam impressionis esse videtur, sicque impia dogmata pietatis spetiem
habentia aut clanculo communicant aut etiam evulgant». Cf. Concilii Tridentini Acto-
rum pars altera (II). Acta post sessionem tertiam usque ad concilium Bononiam translatum,
ed. St. EHSES, Freiburg im Breisgau 1911 (Concilium Tridentinum cit., 5), pp. 29-30.
LAMPAS CLARISSIMA 237

Quanto al secondo abuso, il rimedio è il seguente:


[…] che correggendo i codici la edizione vulgata venga restituita al
mondo cristiano ripulita dagli errori contenuti nei libri che adesso cir-
colano. Questo sarà compito del Papa […], che il Concilio pregherà di
farsi carico di questo compito, […] curando che per opera sua la Chiesa
abbia anche un unico codice greco e un unico codice ebraico 36.
A nessuno sarà poi permesso, per quanto riguarda il terzo abuso, di
interpretare la Sacra Scrittura in modo diverso da quello ufficiale della
Chiesa. Infine, il quarto abuso comporta come reazione il noto controllo
a tappeto sull’editoria, che non potrà più pubblicare libri di commento
e interpretazione della Scrittura senza un preventivo intervento dell’au-
torità ecclesiastica.
Il 18 marzo 1546 Sirleto scriveva ancora a Cervini sulla Settanta e sulla
storia raccontata nella Lettera di Aristea, citando un passo in latino dalla
traduzione del pisano Mattia Palmieri (passo che peraltro comprende parti
che non sono presenti nelle moderne edizioni della Lettera) 37. Il problema
sono sempre le prove della natura ispirata dei Settanta, che evidentemente
serviva da base per sostenere la natura ispirata della «Vulgata» 38.
L’8 aprile vennero pubblicati il Decretum de canonicis scripturis e il Decre-
tum de editione et usu sacrorum librorum che abbiamo sopra scorso e che
recepivano evidentemente le osservazioni della commissione sugli abusi.
È datata lo stesso giorno, da Trento, una lettera dei cardinali legati al
Concilio diretta al cardinal nipote Alessandro Farnese 39. In essa si
descrive sommariamente l’affollata sessione in cui si era data lettura dei
decreti concernenti la Scrittura e la tradizione 40. Alla fine, i presenti con
diritto di voto, alla domanda «se tutte quelle cose piacevano»

36 Vat. lat. 6786, ff. 21r-24v: «Remedium est ut expurgatis et emendatis codici-
bus restituatur Christiano orbi hec [sic] ipsa vulgata editio sincera et pura a mendis
librorum qui circumferuntur. Id autem munus erit Sanctissimi Domini Nostri Papae
quem Sacra Sancta Synodus humiliter exhorabit ut […] hoc onus […] suscipiat,
curando etiam ut unum codicum grecum, unum item hebreum, quoad fieri potest,
correctum sua ipsius opera habeat Ecclesia Sancta Dei».
37 Su Mattia Palmieri vd. la voce di E. VALERI, in Dizionario biografico degli Ita-
liani, LXXX, Roma 2014.
38 Vat. lat. 6177/I, ff. 61r-62v. Cf. infra, Appendice IIc, pp. 278-279.
39 VERCELLONE, Studi cit., p. 79. Non ho potuto controllare la fonte (Vercellone
si limita a citare «dall’archivio di Firenze») che con tutta probabilità si trova nel
fondo Cervini dell’Archivio di Stato di Firenze (vd. Guida generale degli Archivi di
Stato Italiani, II, Roma 1983, p. 158).
40 «La sessione s’è celebrata, con la gratia di Dio, ordinatamente et pacifica-
mente con la presentia di molti gentilhuomini forestieri ch’erano venuti a posta da
238 CECILIA ASSO

Risposero tutti placent, eccetto monsignor di Chioggia, il quale


disse solo obediam, forse per un poco di reprensione fattali in la congre-
gatione antecedente. Fiesole, Capaccio et Osca risposero che desidera-
vano nel titolo universalem ecclesiam repraesentans. Il coadiutore di Ber-
gamo non approvava che le traditioni degli Apostoli si ricevessero pari
pietatis affectu con le Scritture, ma in cambio di pari voleva summo. A
tutti gli altri piacque tutto quel che s’era letto indifferentemente 41.
Il giorno dopo, 9 aprile, Marcello Cervini, esprimeva chiaramente al
segretario Bernardino Maffei la sua posizione riguardo alla «correzione»
della Scrittura:
Come vedrete per la lettera comune, s’è celebrata la sessione et
fatto il decreto della receptione delle Scritture e dei dogmi, quale, a
mio iudicio, è di molta importantia. A questo s’è aggiunta l’altra parte
pertinente alla reformatione degli abusi che circa la detta Scrittura
occorrevano. Non in tutto secondo che li deputati havevano iudicato.
Perché quel che loro havevano posto per secondo abuso, che la nostra
editione Volgata fusse scorretta, non è stato accettato se non forse de incorrettione
de’ librari, delle quali non occorreva far mentione nel decreto, ma più
presto tacitamente purgarle conferendo molti exemplari vecchi insieme et
far poi stampare una Bibbia latina corretta. Il simile era giudicato
doversi fare della greca, conferendo molti exemplari greci insieme,
ancora che difficilmente si può sperare che il testo greco concordi de verbo ad
verbum con il latino. Il qual testo greco, perché è stato più corrotto dalli ariani
et altri heretici che il nostro latino, però s’è accettato per authentico il nostro
senza fare altra mentione de quello, come nel decreto vedrete. Hora nostro
Signore faria opera degnissima di sé et utilissima al pubblico se com-
mettesse a qualch’uno che incontrasse con diligentia molti testi antichi, prima
latini fra sé et poi greci fra sé, annotandosi tutte le varietà, et ne mandasse
poi exemplo a noi per farlo etiam approvare dal sinodo 42.
Dove emergono tre punti cruciali. Anzitutto, l’idea che la Vulgata con-
tenesse «errori» (ossia che le lezioni discordanti dai codici ebraici e greci
potessero essere considerate sbagliate), idea che forse ancora albergava le
menti di alcuni dei deputati, era stata complessivamente respinta, per cui si
sollecitava solo una revisione linguistica per rimediare alla «incorretione

Venetia e d’altrove per vederla, ai quali c’è parso non denegare l’entrata, et per
quello che di poi s’è inteso, è stato ben fatto, perché sono restati con molta satisfa-
tione. Sonvi intervenuti oltre alli Ill.mi cardinali di Trento e di Iaen [cioè Madruzzi
e Pacheco] et l’ambasciatore dell’imperatore, circa cinquantacinque mitrie et li
Generali». Cf. VERCELLONE, Studi cit., p. 79.
41 VERCELLONE, Studi cit., p. 79.
42 VERCELLONE, Studi cit., pp. 79-80.
LAMPAS CLARISSIMA 239

de’ librari» (agli errori dei copisti) confrontando molti «exemplari vecchi
insieme». In secondo luogo, questa operazione di ripulitura andava fatta in
maniera riservata, «tacitamente», per non dare scandalo. Infine, si auspicava
anche un’edizione, indipendente dalla latina, del testo greco con lo stesso
metodo (cioè, «conferendo molti exemplari greci insieme»), sebbene Cer-
vini fosse ben consapevole che non si poteva sperare in un accordo tra
testo latino e testo greco, in quanto quest’ultimo (come da sempre dice-
vano i polemisti) era stato corrotto dagli eretici. E perciò nel decreto non
si faceva parola del greco e si era senz’altro data la massima autorità alla
Vulgata.Va anche osservato che a questa data Cervini si mostrava fiducioso
nella possibilità che due opere del genere potessero essere compiute in
tempi tali da inviarle al Concilio perché potesse approvarle.
A questo punto della vicenda Paschini rileva che Cervini aveva cam-
biato opinione riguardo all’opportunità di stabilire il testo sacro in base
ai codici greci, e che all’origine del cambiamento doveva esserci Sir-
leto 43. E in effetti la posizione di Sirleto in proposito fu sempre in oppo-
sizione a qualunque operazione «erasmiana», continuando egli a sostenere
che i codici greci erano stati modificati dagli eretici antichi, soprattutto
ariani, e dalla scismatica Chiesa greca.
È del tutto possibile che Cervini credesse nella possibilità di affron-
tare un lavoro che noi chiameremmo filologico sul testo sacro senza per
questo accettare di mettere in discussione dogmi e tradizioni e tanto
meno ammettere la libertà di analisi. La consapevolezza che ciò fosse
impossibile dovette prendere forma nel corso proprio di quei mesi,
grazie a chi si era dedicato sistematicamente allo studio del problema
(Sirleto), con tutta probabilità anche servendosi della letteratura antiera-
smiana dei decenni precedenti.
In Paschini leggiamo che «Il partito che s’era preso era il più pru-
dente, perché infatti ai dotti piuttosto che alla Chiesa in genere spettava il
compito di fare un esame critico sulle varianti scritturali quali risultavano
dai confronti dei codici, delle citazioni, delle versioni antiche; invece
opportunissimo era il criterio pratico adottato di insistere sull’uso della
antica versione Volgata per evitare dannose confusioni ed errori e di pro-
porne un’edizione esatta e corretta» 44. Secondo questo autore, lo studio
critico degli originali greco ed ebraico era dunque solo stato rimandato.

43 PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., p. 9; HÖPFL, Beiträge cit., p. 45 e n. 2, rimanda


a Sirlets Annotationen, pp. 9ss., 31ss., a una lettera di Sirleto a Farnese del 3 marzo
1546 (Vat. lat. 6177/I, f. 89r) e alla lettera di Cervini a Bernardino Maffei del 24 aprile
1546, pubblicata in VERCELLONE, Studi cit., pp. 84-85, per la quale vedi qui avanti.
44 PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., p. 9.
240 CECILIA ASSO

Il 9 aprile 1546 Cervini chiedeva a Sirleto di annotare le buone


lezioni dei testi latini e greci 45.
Nella interessante lettera del 10 aprile che pubblichiamo in Appen-
dice 46, Sirleto porta esempi di come le lezioni della tradizione latina
siano spesso più attendibili di quelle dei codici greci giunti fino a noi, e
chiama ancora in causa Erasmo 47. È interessante rilevare, aprendo una
breve parentesi, come l’ultima comunicazione di questa lettera riguardi la
predica tenuta il 28 marzo («la tertia domenica di Quaresima») dal pro-
curatore degli Agostiniani – Giovanni Giacomo Barba, di lì a poco
vescovo di Terni –, predica che aveva suscitato l’entusiasmo del cardinal
Morone e verteva sul tema «quanto imperio haveva il Demonio sopra
l’humana generatione et quanta fu la benignità et gratia del nostro Sal-
vator, il quale ne liberò da una servitù et tyrannide tanto acerba». Il pre-
dicatore aveva infatti dimostrato «che fu il figliol de Idio, il quale con la
sua gratia et potentia espugnò il Demonio, et talmente il disarmò che
qualsevoglia Christiano facilmente il può superare mediante la gratia del
nostro Salvatore». Era una discreta segnalazione a Cervini dell’atteggia-
mento di Morone su un tema caldo quale quello della grazia e della sal-
vezza dei cristiani? Non saprei dirlo, ma per il ragionamento che stiamo
qui svolgendo è molto interessante rilevare che Sirleto sembra non solo
immerso negli studi biblici, ma ben attento e sensibile a ogni moto
«luterano» nell’ambiente che lo circondava.
Mentre Sirleto svolgeva il suo lavoro di ricerca sulle fonti, ormai in
vista non solo del decreto, ma anche delle edizioni auspicate dal decreto
stesso, da Roma arrivavano a Trento le reazioni negative delle quali l’e-
pistola di Giambattista Cervini del 17 aprile che abbiamo visto all’inizio
sembra solo un esempio. Lo stesso giorno Sirleto scriveva al suo patrono,
esprimendo la propria approvazione riguardo al decreto, ma sottoli-
neando la necessità di migliorare sia il testo greco sia il latino (sempre
dalle «scorretioni» dei copisti).
E sempre lo stesso giorno, in una lettera ai tre legati pontifici, il car-
dinale Alessandro Farnese esprimeva perplessità sul decreto:

45 PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., p. 12, senza citazione; Concilii Tridentini Epistu-
larum pars prima, ed. G. BUSCHBELL, Freiburg im Breisgau 1916 (Concilium Tridenti-
num, 10), p. 892.
46 Vat. lat. 6177/I, ff. 68r-69v (infra, Appendice IId, pp. 279-281).
47 Si tratta di 1Cor. 15, 51 (omnes quidem resurgemus) e di Rm. 12, 11 (tempori ser-
vientes), già censurato da Edward Lee.
LAMPAS CLARISSIMA 241

Non lascierò già di avvertirle che, quanto al primo capo delli abusi, è
stato considerato da qualcuno che l’havere ricevuto per autentica la tra-
duttione comune, così semplicemente, senza mentione alcuna di farla cor-
reggere o rivedere, potrà forse essere biasimato con qualche calore, essendo
manifesto che in essa sono delli errori che male si possono attribuire alla stampa 48.
Cervini difese il lavoro dei padri conciliari in una lettera del 24
aprile 1546 a Bernardino Maffei, dove si spiegano le ragioni del decreto
e sembra emergere per la prima volta la consapevolezza di cosa potesse
essere la filologia biblica: «Et chi havesse humor in tale impresa non havrà
causa di corrucciarsi con noi per questo. Staremo adunque aspettando che voi
ci mandiate presto una bella Bibbia corretta et emendata, per poter stam-
parla», dove serpeggia forse un filo di ironia:
Quanto al primo della recettione de le Scritture sacre et de le tra-
ditioni apostoliche, mi meraviglierò che ci si trovi errore, essendo passato
per ignem et aquam et bene spesso con tali contradditioni che in Vittembergh
sarieno state honorevoli. Quanto al secondo della reformatione delli abusi,
credo che sia dispiaciuto a qualch’uno il non vedersi rimessa costà la
correttione de la Bibbia, secondo che da principio fu mosso. […] quelli
che volevano far mentione di ciò nel decreto non havevano pescato
tanto al fondo che bastasse; perché invero il voler pubblicare in un
decreto che la nostra Bibbia fusse scorretta, cioè quella della Chiesa
romana (perché da lei, come da madre, è derivata nelle altre chiese
latine) saria troppo errore per noi, maxime a questi tempi che la detta
Chiesa è pur troppo calunniata et oppressa. Dove che col partito qual
s’è preso si viene a fare il medesimo effetto senza pericolo alcuno,
perché né più né meno si rimette a nostro Signore la correttione della
Bibbia così latina come greca et hebrea. Et chi havesse humor in tale
impresa non havrà causa di corrucciarsi con noi per questo. Staremo adunque
aspettando che voi ci mandiate presto una bella Bibbia corretta et emendata, per
poter stamparla. Et se di qua li studi et le fatiche di molti valent’homini
che ci sono potranno aiutare pronto, sarete aiutati volentieri. Et così
quelli che pigliassero hora ammiratione, come fate voi, di essere stata
authenticata l’editione commune, senza mentione di farla correggere,
vedendola poi corretta n’havranno perpetuo obbligo a sua Santità, et il
concilio non havrà data la sententia contra alla Scrittura della nostra
Chiesa, anzi per contrario l’havrà authenticata et approvata. Il che non
è da stimare di poca importantia. […] non si crede per molti che in essa
si trovi altra incorretione che de librari, ancora che paia hoggi a nostri
ingegni più delicati che alcune cose si potessero interpretare con più
chiarezza o con più elegantia, volendo sempre questi tali adattare la let-

48 PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., p. 10. Cf. VERCELLONE, Studi cit., p. 80.
242 CECILIA ASSO

tione latina alla greca et a l’hebrea, li testi delle quali due lingue sono
ben spesso più scorretti che li latini; anzi quanto più sono di exemplari
antichi et fedeli, tanto più si trovano conformi alla nostra Vulgata. Et
nondimeno havrò caro de intendere come sua Santità approva o non
approva queste ragioni 49.
Di due giorni dopo (26 aprile 1546) è la lettera dei tre cardinali
legati al cardinale Alessandro Farnese, in cui si chiariscono le scelte del
decreto, in risposta a quella dello stesso Farnese del 17 aprile, che
abbiamo visto sopra 50. Si esordisce mettendo in evidenza il problema lì
sollevato: nel decreto si accetta la Vulgata («l’editione commune et vul-
gata della Bibbia»), ma «non s’è fatta mentione di correggerla», il che
potrebbe essere criticato anche con buoni argomenti («con qualche
colore») poiché è «manifesto» che essa contiene «errori» che non pos-
sono essere considerati refusi di stampa. Le motivazioni del Concilio
sono poi spiegate con grande chiarezza:
Saperà adunque che alcuni, fra i quali sono molti dotti religiosi spa-
gnoli et francesi dell’ordine de’ predicatori et di san Francesco osser-
vanti et anco molti altri della natione italiana de diversi ordini, hanno
tenuto che la nostra editione vulgata latina sia quella de santo Hiero-
nimo, et qualchun di loro n’ha raccolte molte ragioni. Li altri non
hanno affermato questo, ma son ben convenuti uno omnium consensu che
la editione quale ha usata la Chiesa romana sia più sicura, come quella
che non è stata mai imputata d’heresia, non ostante che paia diversa in
qualche loco dal testo hebreo et greco et che sia de stile humile et non senza
qualche barbarismo o solecismo; perché essendo assai chiaro che li
hebrei et li heretici hanno corrotti li testi della Scrittura sacra in molti
lochi, non si vede dove si possa ricorrere più sicuramente che all’osser-
vatione di quella Chiesa che, oltre all’essere capo della christianità, per spetial
privilegio et gratia de Dio s’è mantenuta sempre senza macula d’heresia, et con
perpetua successione et non mai interrotta de pontefici. Et questo è
quanto alla recettione della vulgata editione latina, per l’approbatione
della quale però non si dannano le altre che fussero catholiche et coadiuvas-
sero la intelligentia di questa, che sola deve essere autentica, ma senza
altrimenti nominarle, ciascuna si lassa nella sua prima dispositione 51.
I delegati proseguono poi col chiarire che nel decreto non si era
fatta menzione della «incorrettione» della Vulgata per non sminuirne
pubblicamente l’autorità. Il Concilio si rendeva ben conto che essa con-

49 PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., pp. 11-12. Cf. VERCELLONE, Studi cit., pp. 84-85.
50 VERCELLONE, Studi cit., pp. 81-84. Cf. supra, p. 240.
51 VERCELLONE, Studi cit., p. 82.
LAMPAS CLARISSIMA 243

teneva errori («in lochi però che non mutano le cose essentiali della
fede» e «ancora che li libri sieno chi più et chi meno incorretti»), ma
aveva deciso di correggere i libri sacri «tacitamente» e di pubblicarli poi
con l’approvazione del pontefice e del Concilio stesso: prima l’edizione
latina e poi anche la greca e l’ebraica 52. Anzi, questa lettera aveva
appunto lo scopo di sollecitare un lavoro del genere a Roma, mentre si
sarebbe fatto fare lo stesso a Trento (sempre «senza rumore»), allo scopo
di confrontare alla fine i due risultati e ottenere un testo migliore.
Comunque, il sinodo non ha voluto «infamare questa editione», e i dele-
gati ne danno ragione come segue. Anzitutto, una cosa è dire che quel-
l’edizione è scorretta e una cosa è dire che sono scorretti i suoi esem-
plari («altro è dire essere incorretta l’editione, altro essere incorretti i libri
più o meno», p. 83). In secondo luogo, i padri conciliari non hanno
voluto indebolire la causa romana irrobustendo gli argomenti degli
avversari, che dicono di essersi separati da Roma non solo per i costumi
corrotti, ma anche per la falsa dottrina 53. Ammettendo che ci fossero
errori nella Vulgata, si sarebbe ammesso che anche la dottrina che ne era
derivata per secoli era falsa 54. E non sarebbe bastato specificare che si
trattava di errori che non coinvolgevano argomenti di fede, perché
sarebbe valso il principio che un testo mendace in un luogo può essere
mendace ovunque 55. Inoltre, difendere la Vulgata significava difendere la
Chiesa romana, che su di essa si era sempre basata e che avrebbe perso
prestigio se essa fosse stata dichiarata inattendibile da un concilio gene-
rale 56. L’ultima motivazione è particolarmente interessante:
Ultimamente, perché o quest’edizione ha errori notabili, o no. Se
no, saria stato gran male accusarla a torto. Se ella ha errori, sua Santità
et il concilio gli potranno così aeque ben emendare in tanti lochi
quanti bisognerà, senza alcun pericolo di scandalo o d’infamia, come se
in più sessioni et mille volte fusse stata promessa tale emendatione; et
emendata che sarà allhora pubblicarla, potendo sempre attribuire all’incorre-

52 Vedi in proposito le considerazioni di VERCELLONE, Studi cit., p. 83, n. 1a.


53 VERCELLONE, Studi cit., p. 83: «Di poi per non debilitare da noi medesimi li
fondamenti nostri, et fortificare quelli delli avversari, quali in più lochi hanno scritto
che si sono partiti da noi non solo per li mali costumi, ma ancora per la falsa dottrina».
54 VERCELLONE, Studi cit., p. 83: «il che noi saremmo venuti a comprobare con-
fessando che la nostra Scrittura sacra, quale già tante centinaia d’anni hevemo letta,
predicata et interpretata fusse mendosa».
55 VERCELLONE, Studi cit., p. 83: «Né saria bastato che le mende fussero dove
non importava alla fede, perché da uno errore si potria arguire a infiniti».
56 VERCELLONE, Studi cit., p. 83.
244 CECILIA ASSO

tione dei librai o moderni o antiqui ogni varietà che si fusse fatta: di che si tro-
verà mentione nel decreto 57.
Qui emerge con chiarezza sia la consapevolezza intellettuale di cosa
significhi «emendare» il testo sacro sia la volontà politica di controllare
questa operazione e piegarla agli interessi teologici della Chiesa romana.
Non è del tutto trasparente invece il significato della parola «varietà»: se
si intenda una correzione che si staccasse dal testo tradizionale oppure
ogni punto in cui la Vulgata, nell’edizione definitiva ed emendata, appa-
risse discordante dal greco e dall’ebraico. Non escluderei nessuna delle
due ipotesi, né che l’ambiguità della frase fosse deliberata, considerata la
perizia diplomatica di cui questo testo dà prova. Lungi dall’essere frutto
di una reazione sprovveduta e confusa di fronte all’attacco protestante, il
decreto dell’8 aprile si rivelava così frutto di una sapiente e abile capacità
di affrontare una materia peraltro ancora informe. E a buon diritto i
legati potevano concludere che «di quel decreto non solo si è ponderata
la sustantia, ma ogni minima parola, et spesso con grandissima contradit-
tione»58. Il che ricorda la frase usata allo stesso proposito dal Cervini
nella già citata lettera e che adesso assume per noi maggior valore:
«[quanto al decreto sulla Sacra Scrittura] mi meraviglierò che ci si trovi
errore, essendo passato per ignem et aquam et bene spesso con tali contrad-
dittioni che a Vittembergh sarieno state honorevoli» 59. A questo punto
risulta dunque chiaro che il principio di difendere la Vulgata attribuendo
agli originali ebraici e greci l’inattendibilità di testi corrotti per motivi
dottrinali si era già affermato e doveva aver sostenuto a Trento le ragioni
degli autori del decreto.
Il 28 aprile Giambattista Cervini riferiva al cardinal Marcello di aver
mostrato al cardinal Morone la lettera di Marcello Cervini stesso a Sir-
leto, datata 9 aprile, che sopra abbiamo visto, nella quale si raccomandava
di annotare le «buone lezioni» dei testi sia latini sia greci. Il Morone –
leggiamo – se ne è molto compiaciuto, e anzi non vuole conservare la
lettera presso di sé perché quando annuncerà in Curia che i cardinali
legati si stanno preoccupando della emendazione del testo sacro vorrà
farla passare per una propria intuizione 60. Questo significa che i senti-

57VERCELLONE, Studi cit., pp. 83-84.


58VERCELLONE, Studi cit., p. 84.
59 VERCELLONE, Studi cit., p. 83. Cf. supra, p. 241.
60 PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., p. 12 e n. 18. Cf. Concilii Tridentini Epistolarum
pars prima cit., p. 892 e supra, p. 238.
LAMPAS CLARISSIMA 245

menti «filologici» alla corte di Roma erano ancora vivissimi e che in


seguito al decreto si dubitava che potessero trovare espressione a Trento.
Il 5 maggio ancora Giambattista scrive a Marcello Cervini che
Morone è molto contento dell’iniziativa di Cervini riguardo alla raccolta
delle lezioni greche e latine e ha persuaso in proposito i cardinali Sado-
leto, Crescenzio, de Cupis, Ardinghello e Sfondrato «e la prega di volerci
tenere avvisati, attese le grandi malevolenze, e già c’era un cardinale (non
so il nome, ma spagnolo) che voleva scrivere contro il decreto vostro» 61.
Il 13 maggio il cardinal nipote Alessandro Farnese scrive ai tre legati
che «questi signori della congregatione», cioè i prelati incaricati di occu-
parsi della questione, «se bene accettano per bone le ragioni di VV. SS.
Rme» in favore della necessità di avviare il lavoro di emendazione della
Vulgata, non sono del tutto soddisfatti e convinti riguardo alle difficoltà
che comporta «questa materia», per cui hanno rimandato la decisione alla
prossima riunione («congregatione»), perché nell’ultima non sono riusciti
a trovare una soluzione 62.
Mentre Cervini continuava a sollecitare Sirleto di inviargli nuove
correzioni testuali come risulta anche da una lettera del 21 maggio 63, a
Roma si discuteva del problema e il 29 maggio il cardinal nipote scriveva
ai legati a Trento quanto deliberato dalla congregazione che si occupava
della cosa 64. I partecipanti alla congregazione «avrebbero avuto più caro
che» la parte del decreto relativa alla Vulgata «si fosse pretermesso». Ma
poiché così non è stato fatto – leggiamo – essi apprezzano la raccoman-
dazione fatta dai padri conciliari di «correggere et stampare de novo la
detta editione». Certo, questo non viene considerato un rimedio suffi-
ciente, ma è sempre meglio che niente. Quanto a quello che si dovrà fare
a Roma per mettere in pratica l’esortazione a stampare «quam emenda-
tissime» la Vulgata, i prelati romani ci penseranno («si anderà pensando al
modo di eseguirla»), così come dovranno fare i padri a Trento. Ciò
nonostante, a Trento non dovranno smettere di pensare se ci sia un modo
di ammorbidire spiegandolo meglio («di temperare o dichiarare») il
decreto in questione. Infatti esso infastidisce molti, sia «per la ragione

61 PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., pp. 12-13 e n. 19. Cf. Concilii Tridentini Episto-
larum pars prima cit., p. 894. Si tratta del decreto secondo, con il «quam emendatissime
imprimatur».
62 VERCELLONE, Studi cit., p. 85.
63 Vat. lat. 6178, f. 86r (PASCHINI, Guglielmo Sirleto cit., p. 13; HOEPFL, Sirlets
Annotationen cit., p. 10 e n. 2.
64 VERCELLONE, Studi cit., pp. 85-86.
246 CECILIA ASSO

scritta altra volta» (cioè che nella Vulgata «sono delli errori che male si
possono attribuire alla stampa» 65) sia «per lo anathema annesso» 66. Sembra
sorprendente ai padri di Roma che la Vulgata non si possa rifiutare nean-
che nei passi «dove il senso del testo commune hebreo et greco non
concorda, o non è ben espresso nel latino». Il seguito della lettera del
Farnese è alquanto sorprendente. Infatti, sempre facendosi portavoce dei
padri che avevano esaminato la questione a Roma, egli prosegue che
non si vede come rimediare alla difficoltà sorta dal tono del decreto
(cioè il dover accettare il testo della Vulgata anche quando dissente dal-
l’ebraico e dal greco): perché se ci si limiterà a correggere gli errori di
scrittura o di stampa «ne rimarranno molti che male si possono imputare
a questa cagione» e dunque non si potrà dire di avere emendato intera-
mente il testo («et così il rimedio non sarà intero»), mentre se si vor-
ranno correggere «etiam quelli che fossero stati fatti dallo autore della
editione» il lavoro sarebbe enorme e dai risultati incerti («si entrerà in
una impresa troppo larga e troppo indeterminata, la quale tirerà seco
delle altre difficultà»). Da questo possiamo dedurre che lo scontento che
circolava a Roma (almeno, quello dei vertici) riguardo al decreto sulla
Vulgata fosse dovuto non al desiderio di addentrarsi in un’impresa di
revisione critica della Sacra Scrittura, che veniva così preclusa, ma al con-
trario al timore che aver affrontato apertamente una questione tanto spi-
nosa avrebbe continuato a generare dubbi e problemi. Insomma, dal
punto di vista romano (a quel che sembra di capire) imporre la Vulgata
così com’era, dopo quasi un secolo di studi filologici, avrebbe significato
fare una brutta figura non solo di fronte ai protestanti, ma anche di
fronte agli studiosi rimasti fedeli a Roma, che erano ben consapevoli dei
difetti di quell’edizione. D’altra parte, aprire a una possibile emendazione
del testo latino significava ammettere implicitamente di poterlo correg-
gere in base agli originali ebraico e greco, il che, come insegnavano cin-
quant’anni di polemiche, soprattutto antierasmiane, era pericolosissimo
per i dogmi e le tradizioni della Chiesa. La soluzione suggerita da Roma
a questa data, sebbene ormai non più praticabile, era (come emerge da

65Vd. sopra, pp. 240-241, la lettera del Farnese del 17 aprile.


66Cf. Conciliorum Oecumenicorum Decreta cit., p. 641: «decernit et statuit ut
posthac sacra scriptura, potissimum vero haec ipsa vetus et vulgata editio quam
emendatissime imprimatur, nullique liceat imprimere vel imprimi facere quosvis libros de
rebus sacris sine nomine auctoris, neque illos in futurum vendere aut etiam apud se reti-
nere, nisi primum examinati probatique fuerint ab ordinario, sub poena anathematis
et pecuniae […]».
LAMPAS CLARISSIMA 247

questa lettera) di lasciare semplicemente da parte il problema, senza


nominare la Vulgata nel decreto.
Dalla lettera dell’8 giugno 1546 al cardinal Farnese emerge la consa-
pevolezza dei legati pontifici riguardo al problema scritturistico e si riba-
disce la convinzione che il decreto sulla Vulgata, frutto delle deliberazioni
dell’apposita deputazione, sia buono, «sperando che tal remedio sia per
essere di più efficacia che forse hora non si crede» 67. Si auspica che il
papa commissioni al più presto il lavoro di edizione della Vulgata, cosa
che assicurano verrà fatta anche a Trento (secondo il progetto già formu-
lato di lavorare parallelamente per confrontare infine i risultati). Il che
significa che essi sottovalutavano le dimensioni dell’impresa, o immagina-
vano che il concilio sarebbe durato ben più di quanto accadde. Se nel
decreto si fosse omesso di approvare pubblicamente l’edizione vulgata –
continuavano i legati – non solo si sarebbe andati contro la volontà dei
padri e dei teologi del concilio, ma si correva il rischio, in breve tempo,
di non sapere più quale fosse la vera Bibbia, «tante se ne sono tradutte da
venti anni in qua»:
Et traducevasene tutto il giorno et tante se ne sono stampate et
stampavasene tutto il giorno varie l’una dall’altra in molti et importan-
tissimi lochi et attissimi non solo a fomentare et nudrire le presenti
heresie, ma a farne nascere delle altre; dove la editione vecchia et vulgata
non fu mai sospetta d’heresia; la qual parte è la potissima nei libri sacri 68.
A questo si aggiungeva il principio che quando i testi ebraici o greci
sono attendibili coincidono con la Vulgata 69 (una forma di petitio principii
che si fonda sull’autorità della tradizione, della quale la Vulgata diventa
così la rappresentazione scritturistica). Inoltre, aggiungevano i legati, se
qualcuno avesse voluto correggere i luoghi oscuri o stilisticamente rozzi
non è tolto o proibito ad alcuno di potere, o con interpretatione o
con annotatione, o con nuova traduttione dichiararli et illustrarli: di che
par che ciascuno si potesse contentare, senza volere ancora refutarli et
mettere in compromesso et in iscompiglio tutta la fede de’ nostri padri,
che hanno letta et usata tal Bibbia, et la nostra 70.
In questo contesto, dunque, Sirleto stava lavorando alla quadratura
del cerchio, insistendo sulla distinzione indispensabile fra tradizione greca

67 VERCELLONE, Studi cit., pp. 86-87.


68 VERCELLONE, Studi cit., p. 87.
69 VERCELLONE, Studi cit., p. 87.
70 VERCELLONE, Studi cit., p. 87.
248 CECILIA ASSO

(per il Nuovo Testamento) ed ebraica e tradizione latina, e sulla necessità


di trattare il testo della Vulgata come un’opera a sé stante, testimone della
storia e della teologia della Chiesa romana nonché universale.
Si ha la forte impressione che egli avesse compreso ben presto le peri-
colose conseguenze per la dottrina tradizionale della Chiesa di un’inda-
gine critico-testuale sul testo sacro, i cui strumenti e fondamenti gli erano
peraltro ben presenti. Accanto a tale consapevolezza, dovette apparirgli
con sempre maggiore chiarezza l’importanza dello studio sulle origini
storiche della tradizione e sulla trasmissione orale di molti usi ecclesiastici.
In proposito, è interessante concludere questo paragrafo con una lettera, o
piuttosto un biglietto, senza data né firma, indirizzato a Sirleto e proba-
bilmente consegnatogli in giornata, come a continuazione di una discus-
sione a voce. Si tratta di un problema di armonizzazione del racconto dei
Vangeli, forse a proposito dell’ora della morte di Gesù. Il mittente sembra
suggerire a Sirleto un argomento per un testo scritto, forse per le Anno-
tationes 71. Quel che a noi interessa qui è il seguente passaggio:
[…] et soggiognerei anche come gli Evangeli non furo scritti tanto
per historia a’ populi, quanto per Indice delli Predicatori, ponendo questo
con l’usanza perpetua de la Chiesa di far sempre le Homelie doppo la
letione de lo Evangelio. Et con quella ragione quale è necessaria, che
l’Evangelio non fu dato in scritto, né comandato che si scrivesse, ma predicasse.
Et quel che han fatto poi gli Evangelisti è stato per un memoriale a’
Predicatori che colla voce lo destendessero poi et esplicassero.
Dove possiamo constatare vivamente quanto lontane queste conside-
razioni fossero dall’idea del Verbo divino incarnato nella Scrittura che era
al centro della fede di almeno una metà dei cristiani d’Europa. D’altra
parte, una visione così radicale del concetto di tradizione può apparire
sorprendente anche in campo romano, se non che nel classico Diction-
naire de Théologie Catholique troviamo queste parole: «Le Noveau Testa-
ment, en effet, laisse entendre que la “bonne nouvelle” fut, en grande
partie transmise oralement. Le Christe lui-même n’a rien écrit et n’a
intimé à aucun apôtre l’ordre d’écrire; mais il leur a commandé expressé-
ment de précher sa doctrine […]» 72. L’autorità citata per queste afferma-
zioni è solo quella di Bellarmino, che nel De verbo Dei ci fa riannodare

71 Vat. lat. 6178, f. 29r. Vd. infra Appendice IIf, pp. 281-282. Non sono riuscita a
trovare un riscontro nelle Annotationes.
72 Tradition, in Dictionnaire de Théologie Catholique, XV/1, Paris 1946, col. 1254. Il
corsivo è mio.
LAMPAS CLARISSIMA 249

il filo con le meditazioni di Sirleto e del suo interlocutore: «Per cui


risulta chiaro che gli Apostoli inizialmente pensarono non di scrivere, ma
di predicare il Vangelo. Inoltre, se avessero avuto l’intenzione di affidare la
propria dottrina alla parola scritta avrebbero certo scritto un catechismo
o qualcosa del genere» 73.

Le Annotationes al Nuovo Testamento


In tredici codici in-4° conservati a Roma nella Biblioteca Vaticana si
trovano manoscritte le Annotationes di Sirleto al Nuovo Testamento. Si
tratta di codici Vaticani latini, i primi dodici numerati di seguito, dal 6132
al 6143, il tredicesimo numerato 6151. I primi nove (6132-6140) conten-
gono le annotationes ai quattro Vangeli, i seguenti tre (6141-6143) agli Atti
degli Apostoli e alle sette Epistole cattoliche, il 6151 all’Apocalisse. A quanto
ho potuto vedere, mancano le annotationes alle Epistole di Paolo 74. Il
manoscritto Inventario dei Manoscritti Vaticani Latini le definisce opera
autografa di Sirleto (il cui nome non compare, a quanto ho potuto
vedere, nei codici), «contra Erasmum» 75. Le testimonianze esterne su
quest’opera sono, a mia conoscenza, sparse nei codici che contengono le
lettere di Sirleto 76, oltre alla lettera di Bellarmino che abbiamo visto
all’inizio di questo saggio e al testamento di Sirleto, datato 1° ottobre
1585, pochi giorni prima della morte (6 ottobre). Di quest’ultimo esiste
una copia nel Barb. lat. 4760 (ff. 43r-45v) 77. In esso leggiamo che il

73 De Verbo Dei scripto et non scripto, liber IV: De Verbo dei non scripto, in Roberti
Bellarmini Disputationum de controversiis Christianae fidei Tomus quartus, Venetiis, Apud
Societatem Minimam, 1599, col. 167E: «Ex quo manifeste colligitur Apostolos non
de scribendo, sed de praedicando Evangelio primaria intentione cogitasse. Praeterea,
si doctrinam suam literis consignare ex professo voluissent, certe Catechismum aut
similem librum confecissent».
74 Cf. HÖPFL, Kardinal cit., p. 21, e BACKUS - GAIN, Le cardinal cit., p. 912.
75 Inventario dei Manoscritti Vaticani Latini, Biblioteca Apostolica Vaticana, Sala
Consultazione Ms., vol. 307, p. 62: «6132 GULIELMI Cardinalis Sirleti annotationes
in Evangelium Matthaei contra Erasmum […] manu propria auctoris»; lo stesso per
i mss. Vat. lat. 6133-6138; per i Vat. lat. 6139-6143 dice «annotationes autographae».
76 Largamente esaminate in HÖPFL, Kardinal cit., pp. 15-21 e passim.
77 Cf. L. DOREZ, Recherches et documents sur la bibliothèque du cardinal Sirleto, in
Mélanges d’archéologie et d’histoire 11 (1891), pp. 457-491; Fr. LO PARCO, Il cardinale
Guglielmo Sirleto. Notizie bio-bibliografiche con la pubblicazione del suo testamento inedito
dal Cod. Vat. Barb. lat. 4760 (già LII, 36, ff. 43-46), in Bollettino del bibliofilo 1 (1919),
pp. 261-276. Va sottolineato che, diversamente da quanto emerge dal lavoro degli
studiosi (cf. per esempio D. TACCONE-GALLUCCI, Monografia del cardinale Guglielmo
Sirleto nel secolo decimosesto, Roma 1909, p. 64 e n. 181), il testo contenuto in questo
codice non è il testamento originale, del quale non ho notizia.
250 CECILIA ASSO

nostro cardinale lascia tutti i suoi beni al fratello ancora in vita, Matteo,
e ai nipoti, compresi i libri e le carte,
[…] eccettuati tuttavia i manoscritti delle annotazioni sul Nuovo Testa-
mento, insieme alla Bibbia stampata a Lovanio ed emendata [Vat. lat.
9517], il libro delle lettere che furono scritte al tempo della celebrazione
del Concilio Tridentino all’Ill.mo cardinale di Santa Croce [Vat. lat.
6177], poi Marcello II Pont. Max., di felice memoria, e all’Ill.mo cardi-
nale Seripando [Vat. lat. 6179] 78, di buona memoria, e le loro risposte
[Vat. lat. 6178 (Cervini) e 6189 (Seripando)], [ed] eccettuati anche
alcuni manoscritti sul Vecchio e il Nuovo Testamento: [tutti scritti] che
sono una sorta di selva, in base alla quale si possono comporre svariati
libri in favore della religione cattolica e della santa sede apostolica. Tutti
questi [libri e carte] voglio che siano consegnati ai miei esecutori testa-
mentari perché li custodiscano e li esaminino, e se lo riterranno oppor-
tuno li facciano stampare per la comune utilità della santa Chiesa 79.
Questo gruppo di scritti che Sirleto separava dalla biblioteca desti-
nata agli eredi e affidava agli amici esecutori costituiva nel suo com-
plesso, secondo la mia lettura, una selva nel senso che questa parola ha in
latino e nell’italiano letterario, cioè un insieme di note e appunti di vario
genere dal quale si poteva attingere il materiale per opere antiprotestanti
di carattere – aggiungerei – specificamente scritturistico 80. In questa selva
distinguiamo dunque quattro gruppi di opere:
1) annotazioni al Nuovo Testamento manoscritte;
2) un esemplare della Bibbia di Lovanio con note marginali e corre-
zioni [Vat. lat. 9517];

78 Cf. MARRANZINI, Guglielmo Sirleto cit. Non si tratta del Vat. lat. 6189 (che
contiene le risposte di Seripando), come invece si legge in DOREZ, Recherches cit., p.
459, n. 2.
79 Uso il testo pubblicato in DOREZ, Recherches cit., p. 459 (con qualche modi-
fica nella punteggiatura), riscontrato sull’originale: «[…] excipiendo tamen manu
scripta annotationum super novo Testamento una cum Biblia Lovanii impressa et
emendata, libellum litterarum quae scriptae sunt tempore celebrationis Concilii Tri-
dentini ad Ill.mum Card. S. Crucis, postea Marcellum Secundum Pont. Max. fel. rec.,
et Ill.mum D. Cardinalem Seripandum bo. mem., et illorum responsa, excipiendo
etiam quaedam manu scripta super Veteri et Novo Testamento, quae sunt veluti Sylva
ex qua componi possunt nunnulli libri ad favorem Religionis Catholicae et Sanctae
Sedis Apostolicae. Quae quidem universa volo quod tradantur Ill.mis DD. meis exe-
qutoribus custodienda et examinanda, et si ipsis visum fuerit imprimenda ad com-
munem Sanctae Ecclesiae utilitatem». Cf. Barb. lat. 4760, f. 45r.
80 Cf. LO PARCO, Il cardinale cit., p. 273. La lettura di DOREZ, Recherches cit., p.
459, e di Gain in BACKUS – GAIN, Le cardinal cit., pp. 911-912, non mi sembra con-
vincente.
LAMPAS CLARISSIMA 251

3) quattro codici con le lettere a Cervini e a Seripando e le rispettive


risposte (Vat. lat. 6177, 6179, 6178 e 6189);
4) alcuni manoscritti sul Vecchio e il Nuovo Testamento.
L’esemplare con le note di Sirleto (2) della Bibbia stampata molte
volte a Lovanio da Bartolomeo Gravius a partire dal 1547, con l’approva-
zione di quella facoltà di Teologia, è conservato tra i manoscritti della
Biblioteca Vaticana, Vat. lat. 9517 81. I quattro codici di corrispondenza
con Cervini e Seripando (3) sono noti e oggetto di studio e, auspicabil-
mente, di prossime edizioni 82. Dei manoscritti sul Vecchio e il Nuovo
Testamento (4) non saprei attualmente dare conto 83, salvo ricordare il
codice Vat. lat. 6149, che contiene una miscellanea attribuita a Sirleto 84.
Vi troviamo alcuni scritti di argomento patristico, almeno due elenchi di
libri proibiti (uno in spagnolo), alcune annotazioni al Nuovo Testamento,
e vari appunti analitici su libri diversi, forse relativi al periodo di Sirleto
all’Indice, per un totale di circa 200 carte. Su tre carte troviamo uno
scritto In Erasmi Roterodami Paraphrases in Matthaeum et epistolas Pauli et
aliorum 85. Ma è presumibile che i testi manoscritti «super Veteri et Novo
Testamento» di cui parla il testamento siano molto più consistenti.
I «manu scripta annotationum super novo Testamento» (1) devono
invece essere con tutta probabilità i tredici codici cui abbiamo già accen-
nato e dei quali ci occuperemo qui.
Il primo volume (Vat. lat. 6132) comincia senz’altro con l’annota-
zione a Mt. 3, 17. Solo al f. 84v si trova un elemento di connessione che
fa presupporre il progetto di un’opera organica con intenti polemici:
«Annotazioni con le quali si vanificano le obiezioni degli avversari sui
luoghi del capitolo tredici di Matteo evangelista che, a quanto essi
dicono, il nostro traduttore (interpres) ha tradotto male». Un altro ele-

81 A. GERACE, Francis Lucas ‘of Bruges’ and Textual Criticism of the Vulgate Before
and After the Sixto-Clementine (1592), in Journal of Early Modern Christianity 3/2
(2016), pp. 201-237: n. 58; H. QUENTIN, Mémoire sur l’établissement du texte de la Vul-
gate, Première Partie, Rome-Paris 1922, pp. 168-169.
82 MARRANZINI, Guglielmo Sirleto cit., pubblica alcune lettere dei Vat. lat. 6179 e
6189.
83 Ma vd. LO PARCO, Il cardinale cit., p. 267, n. 29: «La raccolta più copiosa di
annotazioni e commenti del Sirleto alla Sacra scrittura, ai SS. Padri, ai Concili orien-
tali e alla liturgia è contenuta nel Cod. Vat. lat. 7093».
84 Cf. S. LUCÀ, Guglielmo Sirleto e la Vaticana, in La Biblioteca Vaticana tra riforma
cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di M. CERESA, Città
del Vaticano 2012 (Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, 2), p. 78, n. 22.
85 Vat. lat. 6149, ff. 177r-179v.
252 CECILIA ASSO

mento di passaggio si trova al f. 35r del secondo volume (Vat. lat. 6133:
«Sed iam ad caeteras annotationes quas in XV Caput annotarunt transea-
mus») 86. Ma nei volumi seguenti fino al 6138 non si trovano altre tracce
di un quadro generale dell’opera. All’inizio del codice 6139, che contiene
le note ai primi dieci capitoli del Vangelo di Giovanni, troviamo, sul
verso della prima carta: «24 gennaio 1553 ho cominciato la annotazioni a
Giovanni» 87, seguita da un’invocazione a Gesù Cristo in lingua greca 88.
Il volume seguente (6140), con le annotazioni dal capitolo XI alla fine
del Vangelo di Giovanni, si apre con la stessa invocazione in greco seguita
dalla nota: «Ho cominciato a scrivere le annotazioni al capitolo XI di
Giovanni il giorno 11 del mese di maggio 1553, festa dell’Ascensione di
Cristo» 89. Infine, anche il Vat. lat. 6141, con le annotazioni ai primi
dodici capitoli degli Atti degli Apostoli, si apre per la terza volta con l’in-
vocazione greca a Cristo e la nota: «Ho cominciato le annotazioni agli
Atti degli Apostoli il 25 settembre del 1553, quando ero a Roma e vivevo
con grande piacere presso Marcello Cervini cardinale di Santa Croce» 90.
I seguenti due volumi contengono solo le rimanenti annotationes agli Atti
e alle Epistole cattoliche, senza ulteriori indicazioni 91. Sembra assodato che
la mano sia di Sirleto. A causa del brusco incipit del Vat. lat. 6132, con
l’annotazione a Mt. 3, 17, che però non sembra corrispondere a una
lacuna materiale nel volume, viene da chiedersi se non si tratti di un
lavoro di ricopiatura di note precedenti, se non che le frequenti corre-
zioni fanno invece pensare a un lavoro di prima mano.
Quanto alla cronologia della stesura, sappiamo che almeno fin dal
settembre del 1549 Sirleto lavorava a «il notare di luoghi del Testamento
Novo in defensione de la editione vulgata» 92. Nell’agosto 1550 stava

86 Vd. Appendice I A, p. 262.


87 Vd. Appendice I A, p. 264.
88 Trascritta in HÖPFL, Kardinal cit., pp. 22-23.
89 Vd. Appendice I A, p. 264.
90 Vd. Appendice I A, p. 264.
91 Vd. Appendice I A, pp. 264-265. Non ho visto il volume 6151 che contiene le
annotationes all’Apocalisse.
92 Vat. lat. 6177/I, f. 164r, Sirleto a Cervini del 28 sett. 1549: «Il notare di luoghi
del Testamento Novo in defensione de la editione vulgata per gratia di nostro
Signore Idio me riesche tutta via meglio et dopo la partita di V. S. Rev.ma ho rispo-
sto a più di xxv luoghi, dico con testi antiqui et con allegationi di dottori in modo
che saranno in tutto duicento cinquanta. Pure resta di rispondere a più di 200 altri
alli quali spero con l’aiuto di Jesu Christo che risponderemo, et quel che non potrò
io assuplirà alcun altro di meglior spirito et lettione che non son io» (cf. HÖPFL, Kar-
dinal cit., p. 16, n. 2).
LAMPAS CLARISSIMA 253

lavorando alle note su Matteo 93 e nel maggio dell’anno seguente prose-


guiva informando Cervini che il lavoro si faceva pesante, perché era arri-
vato a un punto del testo sacro particolarmente fitto di «luoghi notati
dagli adversari» e non trovava nessun aiuto nelle opere polemiche scritte
contro Valla ed Erasmo 94. Il caldo soffocante del luglio 1551 non gli
impediva di continuare a scrivere 95 e il 3 settembre 1552 era arrivato al
capitolo 11 di Luca 96. Durante l’estate del 1553 lavorò alle annotazioni al
Vangelo di Giovanni 97 e il 27 settembre poteva scrivere a Cervini:
Le mie fatighe son finite quanto a san Giovanni. Ho incominciato
a scrivere sopra il primo capitolo de gl’Atti de l’Apostoli, et v’è molto
da dire, sì circa li sensi, come circa le parole. Il Spirito Santo, il qual è
stato capo et guida a quelli santi apostoli in operare tanto grandi et
salutifere opere spero che aiuterà anche me in far che possi in alcuna
parte assequire quel che in questo libro è scritto, et V.S. m’aiuterà
mentre ch’è fuore co’ le sue orationi, et quando sarà qui anche in con-
sigliarme et advertirme come in l’altre ha fatto quante | volte è acca-
duto raggionare di luoghi difficili 98.
Pur essendo qui impossibile un’analisi sistematica del testo, possiamo
affermare che l’opera si presenta come un confronto, spesso serrato, con
Erasmo e, tramite Erasmo, Valla, confermando le informazioni che rica-

93 Vat. lat. 6177/II, f. 177r, Sirleto a Cervini, 16 ago. 1550: «Questi dì ho risposto
a Lorenzo Valla sopra quel luogho del xiii cap. di san Matteo qual è anche in lo
ultimo degli Atti de l’Apostoli: Auditu audietis et non intelligetis et videntes videbitis et
non videbitis [Mt. 13, 14, e Act. 28, 26]» (cf. HÖPFL, Kardinal cit., p. 19 e n. 1).
94 Vat. lat. 6177/II, f. 173r, lettera del 30 maggio 1551: «Quant’alle mie annota-
tioni, vo tutta via innanci. È ben vero che in questi ultimi capituli ho maggior dif-
ficultà che in l’altri passati, per esser più luoghi notati dagli adversari et per non
haver niuno che me sia aiuto, dico di quelli chi hanno voluto parer di risponder a
Lorenzo Valla et Erasmo. Pure con gratia di nostro signor Idio, quantunque vada un
poco più tardo, non di meno me par che vadi bene» (cf. HÖPFL, Kardinal cit., p. 19
e n. 2).
95 Vat. lat. 6177/II, f. 195r, lettera del 18 luglio 1551: «Qui son tanto gran caldi
chi non le ho mai sentito tali. Non se può far altro che star serrato in cammera et
appena se resiste al sudore et al sonno. Le mie annotationi in tanto gran caldi vanno
fredamente, non però tanto che non vadino innanti quanto se può» (cf. HÖPFL, Kar-
dinal cit., p. 18 e n. 4, dove si cita però erroneamente il f. 194).
96 Vat. lat. 6177/II, f. 387r: «Quanto alle mie annotationi, in gratia di nostro
Signor Idio sono arrivato al xi capitolo di san Luca» (cf. HÖPFL, Kardinal, cit., pp. 17-
18 e n. 1 a p. 18).
97 Vat. lat. 6177/II, f. 367r-v (cf. HÖPFL, Kardinal cit., p. 20 e n. 3, dove si cita
erroneamente il f. 363); Vat. lat. 6177/II, f. 363r (cf. ibid., p. 20 e n. 4, dove si cita
erroneamente f. 361); Vat. lat. 6177/II, f. 353r (cf. ibid., p. 18 e n. 5).
98 Vat. lat. 6177/II, f. 354r-v (cf. HÖPFL, Kardinal cit., pp. 20-21 e n. 1 a p. 21).
254 CECILIA ASSO

viamo dalle testimonianze esterne. E sembra anche chiaro che il lavoro


di Sirleto, pur nella sua straordinaria capacità di presentare e analizzare
una grandissima quantità di materiale, si avvale largamente degli scritti
dei teologi e biblisti filoromani che negli anni Venti avevano attaccato il
Nuovo Testamento erasmiano. Una conferma di ciò la troviamo nell’in-
ventario dei libri della biblioteca personale di Sirleto 99. Già a un primo
e parziale esame emergono, accanto alle Annotationes di Erasmo 100 e di
Valla (queste ultime nell’edizione, sempre curata da Erasmo, stampata da
Andreas Cratander, Basilea 1526) 101, le opere apologetiche di Jacques
Masson (Latomus) 102, di Noël Bédier (Beda) 103, di Frans Titelmann 104, di
Stunica 105, di Alberto Pio da Carpi 106, di Petrus Sutor 107, di Johannes
Eck 108, di Josse Clichtove 109, di Edward Lee 110, oltre a una raccolta di
censure dell’inquisizione spagnola contra haereticorum errores relativi alla
Sacra Scrittura 111.
L’opera di Stunica emerge esplicitamente nel primo dei tre passi che
prenderemo qui brevemente in considerazione per dare un’idea del rap-
porto tra le Annotationes di Sirleto e le polemiche scritturistiche del Cin-
quecento 112.

99 Vat. lat. 6163: Index librorum Graecorum et Latinorum manuscriptorum et impresso-


rum Cardinalis Sirleti. Su questo codice vd. Fr. RUSSO, «La biblioteca del card. Sirleto», in
Il Card. Guglielmo Sirleto cit., pp. 219-299; DOREZ, Recherches cit., pp. 463-466;
BACKUS - GAIN, Le cardinal cit., pp. 921-923.
100 Vat. lat. 6163, f. 344r, al nr. 198: «Erasmi Roterodami, Annotationes in Novum
Testamentum» (senza altre indicazioni).
101 Vat. lat. 6163, f. 371r, al numero 880. Cf. M. ROSSI, Il censimento delle opere di
Lorenzo Valla: elenco e riferimenti bibliografici, in Pubblicare il Valla cit., p. 191.
102 Vat. lat. 6163, f. 344r, al nr. 196.
103 Vat. lat. 6163, f. 352v, al nr. 380.
104 Vat. lat. 6163, f. 353v, al nr. 428; f. 354r, al nr. 432.
105 Vat. lat. 6163, f. 355v, al nr. 483; f. 360v, al nr. 579.
106 Vat. lat. 6163, f. 355v, al nr. 484; f. 360r, al nr. 554; f. 375v, al nr. 1014.
107 Vat. lat. 6163, f. 360v, al nr. 573.
108 Vat. lat. 6163, f. 360v, al nr. 579; f. 372v, al nr. 929.
109 Vat. lat. 6163, f. 364r, al nr. 673.
110 Vat. lat. 6163, f. 380v, al nr. 1151.
111 Vat. lat. 6163, f. 380r, al nr. 1140: Censura inquisitionis Hispaniae contra haereti-
corum errores, Venetiis 1562 (cf. EDIT16: Censura generalis contra errores quibus recentes
haeretici Sacram Scripturam asperserunt, edita a supremo Senatu Inquisitionis constituto
adversus haereticam pravitatem et apostasiam in Hispania et aliis regnis et dominiis Caesareae
Maiestati subiectis, Venetiis, ex officina Iordanis Zileti, 1562).
112 Può essere utile ricordare qui che Sirleto sembra aver avuto un rapporto
privilegiato con la Spagna, non solo tramite il rapporto con Benito Arias Montano
(1527-1598), soprattutto al tempo dell’edizione della Poliglotta di Anversa (1568-1572),
ma anche con lo stesso Filippo II, che nel 1570 gli versò una cospicua «pensione»
LAMPAS CLARISSIMA 255

Si tratta di Mt. 14, 10, che nella Vulgata è tradotto Misitque et decollavit
Ioannem in carcere, ricalcando esattamente il testo greco: καὶ πέμψας
ἀπεκεφάλισεν Ἰωάννην ἐν τῇ φυλακῇ 113. Il soggetto è il re Erode, che
manda le sue guardie al carcere dove è rinchiuso Giovanni il Battista per
farlo decapitare. Erasmo tradusse in modo più esplicito: «Et missis carni-
ficibus amputavit caput Ioannis in carcere» 114. E nel commento critica il
sottinteso interpres su due punti. Anzitutto, per aver lasciato la forma
involuta del greco (misit), mentre sarebbe stato meglio, più chiaro (com-
modius), se avesse aggiunto un sostantivo (misso carnifice, misso ministro),
come l’interpres stesso fa in altri casi 115. D’altra parte, osserva Erasmo,
sarebbe stato più aderente all’originale tradurre la parola greca ἀπεκεφά-
λησεν con decapitavit, essendo (scrive nel 1516) decollavit parola non clas-
sica, presente sì in Seneca, ma nella satira Apocolocyntosis contro Claudio e
dunque con probabile tono di scherno116. Stunica gli fece notare che decol-
lare è invece presente diffusamente in Seneca, concludendo la sua annota-
zione su questo punto con una indignata difesa dell’antico traduttore:
«Quae tandem insolentia est veterem interpretem ex obliquo carpere,
calumniari, mordere et quasi barbare loquutus fuerit passim exsybilare?» 117.
Erasmo, come spesso faceva (e come rileverà scandalizzato Sirleto) 118,
accolse le osservazioni di Stunica (senza citarlo) nelle annotationes 119, ma

(cf. BACKUS - GAIN, Le cardinal cit., p. 923 e n. 94) e che si mostrò attivamente inte-
ressato all’acquisto della sua già allora celebre biblioteca (DOREZ, Recherches cit., pp.
462-463; RUSSO, La biblioteca cit., p. 225 e n. 59 e 60 a p. 233; sulla fama della biblio-
teca, ibid., p. 224 e n. 54 a p. 233).
113 Uso Novum Testamentum Graece et Latine, edd. E. NESTLE - K. ALAND,
London 1969.
114 LB VI, col. 78C (il testo greco a fronte, nella col. 77, non corrisponde, forse
a causa di un errore di impaginazione). Il volume VI-1 di ASD (DES. ERASMI ROTE-
RODAMI Opera omnia, recognita et adnotatione critica instructa notisque illustrata,
Amsterdam-New York-Oxford-Tokyo 1969-) con il testo del Nuovo Testamento
edito da Erasmo non è ancora disponibile.
115 ASD VI-5 (ed. P.F. HOVINGH, 2000), p. 232, ll. 972-973: «Commodius sup-
plesset “misso carnifice” aut “ministro”; id quod alibi facit».
116 ASD VI-5 cit., p. 232, ll. 974-978. Da notare che Erasmo, in base ai suoi studi
sullo iotacismo, scrive il verbo greco con η, diversamente dal testo tràdito, dove si
trova la ι (cf. ibidem, nota alla l. 975).
117 IACOBI LOPIDIS STUNICAE Annotationes contra Erasmum Roterodamum in defen-
sionem tralationis Novi Testamenti, In Academia Complutensi Toletanae prouinciae, per
Arnaldum Guilielmum de Brocario artis impressoriae magistrum, 1520, f. [12]v:
«Che insolenza è mai cercare obliquamente di prendere in fallo l’antico traduttore,
di calunniarlo e aggredirlo, di insinuare subdolamente qua e là che scriveva come un
barbaro?».
118 Vd. infra, p. 257 e nota 123.
119 In ASD VI-5 cit., p. 232, ll. 972-980, si può osservare l’evoluzione del testo.
256 CECILIA ASSO

lasciò la propria traduzione immutata 120. Sirleto dedica una pagina singo-
larmente aspra a questo punto:
Prima che cominciassi a scrivere queste annotazioni, pensavo di
avere il dovere di rispondere a due uomini – Lorenzo Valla ed Erasmo,
senza dubbio dotti, ma poco corretti –, non per difendere l’edizione
vulgata dalle loro maldicenze (cosa potrebbe infatti aggiungere la difesa,
da parte mia o di chiunque altro, di un oggetto approvato da tanti anni
e da tanti uomini eccellenti per santità di costumi e per dottrina?), ma
per strappare dall’animo dei loro ammiratori – e sono molti – questa
inclinazione, e dimostrare che questi uomini non furono di un valore
tale da essere minimamente paragonati all’erudizione del nostro tradut-
tore (interpres). E non parlo della purezza stilistica: come ho spesso detto,
il traduttore non si è prefisso di andare a ricercare un’eleganza che gli
autori stessi dei testi originali hanno disprezzato, o quanto meno non
hanno cercato. «Sarà un vantaggio – mi dicevo – avere dalla nostra
Erasmo che, sebbene non sia del tutto corretto, è certamente meno
scorretto di Valla». Cominciato il lavoro con questa speranza, ho capito
che le cose stavano ben diversamente. In molti luoghi, infatti, troviamo
che Valla è corretto, ed Erasmo considerevolmente scorretto. Non so
perché si comportasse così. Sospetto che, poiché egli intraprese questo
lavoro per secondo, perché non sembrasse che annotava soltanto i passi
annotati da Valla, e dunque che si fosse sobbarcato un lavoro superfluo
e inutile, e perché non si dicesse che aveva fatto poco o nulla, raccolse
molte altre [annotazioni] che sarebbe stato meglio non raccogliere. In
esse danneggiò non poco il proprio buon nome e non fu di nessun
danno all’interpres, anzi gli rese un servizio. Infatti la conseguenza dei
suoi attacchi è stata che le traduzioni dell’interpres che ad alcuni sembra-
vano cattive, vengono [oggi] stimate (se quelli non continuassero osti-
natamente ad opporvisi) prudenti e corrette. A che serve, direte, una
così lunga digressione? Serve a capire che in un passo in cui Valla si è
dimostrato corretto, rimanendo in silenzio – perché non c’era nulla da
dire, è vero, ma egli è da lodare perché, come gli accade spesso, rico-
nobbe che qui non c’erano osservazioni da fare – Erasmo si pavoneggia
così: «Et misit, καὶ πέμψας. Commodius supplesset misso carnifice aut mini-
stro, id quod alibi facit» 121. Cosa vuol dire questo commodius? Forse vuoi
dire che traduce commode colui che aggiunge elementi che rendono più
chiara la frase? Proprio questo, dirai tu. Ma questo non è tradurre,
questo è spiegare. Chi traduce dal greco non deve aggiungere niente, se
non quello che è necessariamente richiesto dalla lingua latina. Perché,
se la frase è chiara, ogni aggiunta a quello che non è espresso può essere

120 Cf. n. 114.


121 Cf. supra, p. 255 e n. 114.
LAMPAS CLARISSIMA 257

sviante: come fai a sapere che sia stato mandato un carnefice (carnificem)
o un servitore (ministrum)? Lo so, dici tu, perché da quel misit capisco
che fu mandato qualcuno al quale era stato dato il compito di fare da
carnefice. E se tu capisci questo dal testo greco, perché gli altri non
possono capirlo egualmente dalla traduzione latina in cui non c’è nulla
di più di quel che ci sia in greco? Quanto poi al dire che Marco Evan-
gelista ha espresso più esplicitamente quello che qui era sottinteso
(subaudiendum: è così che parla costui) 122, tanto meno necessario era,
come dicevo, aggiungere qui delle parole solo perché un altro evange-
lista l’ha fatto. Non è infatti necessario che, se in un evangelista c’è
qualcosa in più lo si debba cumulare in un altro evangelista. Se ciò fosse
lecito, infatti, niente ci impedirebbe di redigere un unico Vangelo da
tutti e quattro. Ma – dice Erasmo – l’interpres ha fatto così in altri
luoghi. Non è vero che faccia la stessa cosa che fai tu. Invece, sei tu che
fai qui quello che altrove hai rimproverato a lui, adesso che ti fa
comodo mostrare di fare, seguendo il suo esempio, quello che non
hanno osato né l’interpres né alcuno di coloro che tra gli antichi ha tra-
dotto i Vangeli dal greco 123.
Sirleto continua con le sue osservazioni a proposito di decollavit, met-
tendo in evidenza il contributo delle Annotationes antierasmiane di Stu-
nica sull’argomento, e conclude:
Ma su questo punto non voglio dilungarmi ulteriormente, dal
momento che Erasmo stesso nelle annotazioni seguenti ha ammesso
che le cose stanno così [come ho detto], ma – per valutare bene la per-
tinacia dell’uomo – pur emendando le annotazioni non ha emendato la
traduzione del passo. Questo ci riguarderebbe fino a un certo punto, se
questa pertinacia fosse stata dannosa soltanto per lui, se non vedessimo
che anche uomini buoni, ingannati in qualche modo dall’aspetto esteriore, sono
caduti nel medesimo errore. Parlo di coloro di recente hanno pubblicato
l’Antico e il Nuovo Testamento sulla base dello stesso esemplare tra-
dotto da Erasmo. Ma ritengo che essi vadano perdonati, perché sono
stati ingannati, piuttosto che persuasi ragionevolmente ad agire in
questo modo. Noi seguiamo la retta e vulgata lezione della Chiesa 124.
C’è da chiedersi chi siano i «viri boni» che sedotti da Erasmo avreb-
bero di recente riprodotto la sua traduzione ingannevole. Una rapida veri-
fica sui testi delle due grandi edizioni precedenti alla Sistina, quella di

122 Il verbo subaudire usato da Erasmo è tardo e poco attestato. Qui Sirleto
rende la pariglia all’umanista che frequentemente usava espressioni come «sic loqui-
tur» per stigmatizzare il latino scolastico e «barbarico» dei suoi avversari.
123 Cf. Appendice I B, p. 266.
124 Cf. Appendice I B, p. 267.
258 CECILIA ASSO

Estienne (1546) e quella di Plantin (1568-1572), ci fa sorgere alcuni dubbi


sulla datazione di questa annotazione. Nella Bibbia pubblicata a Parigi
nel 1546 da Robert Estienne troviamo infatti, in Mt. 14, 10, la lezione
della Vulgata difesa da Sirleto: Misitque et decollavit Iohannem in carcere 125. È
invece nella Poliglotta plantiniana, la monumentale opera curata dall’eru-
dito spagnolo Benito Arias Montano e stampata ad Anversa nell’arco di
cinque anni, dal 1568 al 1572, che troviamo la lezione erasmiana accolta
nel testo: Et mittens decapitavit Ioannem in custodia, mentre la lezione tradi-
zionale (misitque et decollavit) è collocata a margine tra le varianti 126.
Potremmo formulare l’ipotesi che ancora all’inizio degli anni Settanta
Sirleto continuasse ad aggiornare la sua opera contro Valla ed Erasmo,
come si può dedurre dalla lettera di Bellarmino che abbiamo sopra visto,
e che i manoscritti arrivati fino a noi siano stati stilati in quel periodo.
Ma un’ipotesi del genere può essere verificata solo con un accurato
esame materiale dei codici, che esula dalle possibilità e dagli intenti del
presente lavoro.
Qualche altra perplessità emerge da quella che potremmo conside-
rare la seconda metà dell’opera, costituita dagli ultimi cinque codici (Vat.
lat. 6139-6143) 127.
Esaminiamo rapidamente le note dedicate a due soli passi, i più cele-
bri e significativi. L’inizio del Vangelo di Giovanni aveva fatto molto par-
lare di sé nella prima metà del Cinquecento, e anche in questo caso era
stata la traduzione erasmiana a dare inizio alle polemiche. Il testo della
Vulgata, In principio erat verbum, et verbum erat apud Deum, et Deus erat
verbum era stato da Erasmo trasformato così: In principio erat sermo, et
sermo erat apud deum et deus erat ille sermo. È impossible ricordare qui la
portata teologica di questa traduzione, che, tra l’altro, riportava in vita le
antiche e sanguinose discussioni sulla natura di Gesù Cristo e il dogma
trinitario. Teniamo comunque presente che i polemisti sopra elencati non
mancarono di far sentire la propria voce, e che Erasmo rispose puntual-
mente sia con opere specifiche sia allargando notevolmente il suo com-
mento. Risulta perciò un poco sorprendente che Sirleto, pur dedicando

125 Biblia […], Lutetiae Parisiorum, ex officina Roberti Stephani, 1546, p. 295.
126 Novum Testamentum Graece cum vulgata interpretatione Latina Graeci contextus
lineis inserta […] Ben. Ariae Montani Hispaliensis opera […] Lovaniensium vero censorum
iudicio et totius Academiae calculis comprobata […], Antverpiae, Excudebat Christopho-
rus Plantinus, 1572, p. 11. Come si vede, la versione latina non coincide qui con
quella di Erasmo, ma ne accoglie la sostanza.
127 Continuo a non prendere in considerazione il Vat. lat. 6151 con la annota-
zioni all’Apocalisse.
LAMPAS CLARISSIMA 259

diverse pagine al prologo di Giovanni, non nomini affatto Erasmo, ma


scelga una forma allusiva, e piuttosto breve per polemizzare con la sua
traduzione. Dopo avere elencato le illustri autorità patristiche che
seguono il testo della Vulgata (Ilario, Girolamo, Gaio Mario Vittorino,
Ambrogio, Vittorino Martire e Agostino), secondo il metodo umanista
che egli pratica in tutte le Annotationes, Sirleto osserva:
Dunque, dal momento che tanti e così importanti Padri non si
sono vergognati di conservare la lezione dell’edizione vulgata, non vedo
perché alcuni nuovi traduttori non abbiano voluto seguirla. Tra di essi
alcuni hanno tradotto, al posto di in principio erat verbum, in principio erat
sermo, altri in principio erat illud verbum 128.
Non so dire concretamente a chi altri Sirleto potesse riferirsi se non
a Erasmo, né sono in grado adesso di formulare diverse congetture.
Certo, entrambi gli elementi qui evidenziati, cioè la sostituzione di
verbum con sermo e l’uso dell’aggettivo dimostrativo (illud o ille, a seconda
del genere del sostantivo) fanno parte, come si vede, della traduzione era-
smiana. Non possiamo fare a meno di domandarci perché su questo
punto tanto carico di significato e sul quale tanto era stato già scritto
Sirleto sfumi e in un certo senso nasconda la portata dell’intervento di
Erasmo. Proseguendo nella nostra lettura selettiva, osserviamo ancora che
il nome di Erasmo riemerge invece a proposito del comma Ioanneum,
anche se, si direbbe, in seguito a una lettura piuttosto frettolosa delle
annotazioni dell’umanista, poiché Sirleto equivoca qui l’uso che Erasmo
fa della testimonianza di Girolamo 129. Non è il caso di esaminare qui
questo complesso problema. Non ci stupisce comunque che il dotto car-
dinale difenda senz’altro la lezione della Vulgata, servendosi abbondante-
mente delle testimonianze antiche e sostanzialmente ignorando le lunghe
discussioni che Erasmo sostenne in proposito con Lee e con Stunica.

Conclusioni
Troppe lacune nelle conoscenze attuali di chi scrive impediscono di
trarre conclusioni certe sull’interessantissimo tema degli studi biblici di
Sirleto e del loro significato teologico e politico nel lungo processo di

128 Vd. Appendice I C, p. 270.


129 Vd. Appendice I D, p. 274, e cf. ASD VI-10 (ed. M.L. VAN POLL-VAN DE
LISDONK, Leiden 2014), pp. 542-544, ll. 290-318. Sul comma Ioanneum vd. supra,
pp. 228-229.
260 CECILIA ASSO

formazione della Chiesa controriformata. Quelle che seguono vanno


perciò considerate caute ipotesi.
Anzitutto, fin dai suoi primi contatti con l’ambiente romano, proprio
negli anni in cui Erasmo usciva di scena, le sue straordinarie doti di stu-
dioso potrebbero aver fatto di Sirleto una sorta di predestinato degli
studi biblici al servizio della Chiesa di Roma. La sua selezione da parte
di Cervini, che rimase colpito dalla sua conoscenza del greco e dalla sua
straordinaria capacità di lavoro, può naturalmente far pensare alla con-
sueta assunzione di un segretario di cultura umanistica, o di un istitu-
tore 130, ma anche alla scelta di un uomo che potesse affrontare da parte
romana la spinosa strada della filologia biblica (in specie, neotestamenta-
ria) che Erasmo aveva percorso aprendo il cammino ai riformatori 131. In
secondo luogo, egli dovette farsi carico di questo compito familiarizzan-
dosi non solo con i testi di Valla, di Erasmo e dei riformatori stessi, ma
anche con la letteratura polemica, soprattutto antierasmiana, che a Roma
aveva preso largamente piede da almeno dieci anni 132. Il lavoro di rac-
colta di testi cristiani antichi per conto di Cervini sembra poi una vera
e propria preparazione alla definizione di un testo sacro adatto a fronteg-
giare i protestanti, o in sede di concilio, o anche nel caso di una riforma
interna diretta dal pontefice. E anche nel corso delle sessioni tridentine,
c’è da chiedersi quanto l’enorme lavoro documentario testimoniato dal
carteggio sia servito effettivamente ai lavori del concilio o non si stesse
piuttosto accumulando proprio in vista di un’edizione romana ufficiale.
Nel corso di questo lavoro sembra emergere una decisa posizione «antie-
rasmiana» di Sirleto, ossia fermamente contraria a un lavoro filologico sul
Nuovo Testamento che desse la priorità testuale agli originali in greco,
quando forse ancora una parte dei prelati romani più influenti (non
escluso probabilmente il Cervini stesso) credeva nella possibilità di con-

130 Sirleto fu incaricato dell’educazione dei nipoti di Marcello Cervini, Ric-


cardo ed Erennio (vd. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXVII,
Venezia 1854, p. 35).
131 Cf. (sebbene alquanto tarda) la valutazione di Riccardo Cenomano in una
lettera a Cervini del 17 gennaio 1550: «Audio tamen quod tuam amplitudinem
agere quendam virum doctrina refertum qui sua dexteritate atque linguarum peritia
potest omnia de hoc negotio praestare, unde miro exultavi gaudio propter deside-
rium quo semper desideravi talem virum publicae utilitati nasci» (H ÖPFL, Kardinal,
cit., pp. 15-16).
132 Cf. le lamentele di Erasmo, per es. nell’Epist. 1 (a J. Botzheim, 30 gennaio
1523), Opus epistolarum cit., I, p. 23, ll. 36-37, a proposito di Sancho Carranza: «Et
invenit Roma qui tales nenias legant».
LAMPAS CLARISSIMA 261

futare i protestanti sulla sola base della veritas scritturistica. Sirleto appare
consapevole dell’inaffidabilità delle fonti scritturistiche più antiche per
confermare tanto la dottrina quanto le consuetudini ecclesiastiche. Data
forse da quest’epoca anche il suo interesse per le testimonianze materiali
della tradizione ecclesiastica.
Perché le Annotationes non abbiano mai visto la luce a stampa è una
domanda alla quale si può probabilmente rispondere studiando la grande
quantità di documenti, soprattutto epistolari, che abbiamo a disposizione.
Potrebbe essere anche utile studiarne l’eventuale influenza sull’apologe-
tica romana di fine secolo, a partire dalle opere di Bellarmino stesso. E
una moderna edizione di quest’opera ci aiuterebbe certamente a fare
luce su una larga zona della cultura europea del secondo Cinquecento.
Possiamo immaginare che l’idea di essere definito un «Erasmo sco-
nosciuto» 133 avrebbe turbato molto Sirleto: uomo della Controriforma a
tutti gli effetti, egli vedeva nell’opera del grande umanista la radice prima
degli scismi e delle eresie del suo secolo. Certo, la dedizione e la coe-
renza con cui egli percorse la strada degli studi biblici al servizio della
chiesa romana lo portarono probabilmente a eguagliare, e forse superare,
per conoscenze e acribìa, il prestigioso modello Germanicus. Ma risulta
evidente anche da questo primo approccio che egli respinse con deci-
sione fin dall’inizio la tentazione di affidare il credo cristiano alla filolo-
gia e alla critica testuale, rifiutando così, e anzi apertamente combat-
tendo, la sostanza dell’eredità erasmiana, che faceva coincidere la ricerca
dei principî della fede con la ricerca della pura e originaria Parola di
Dio, celata sotto le incrostazioni della parola scritta.
Guglielmo Sirleto, il lume più splendente posto da Dio sul candela-
bro della sua Chiesa, aveva perfettamente compreso, fin dai primi, rigidi
tempi della sua giovinezza romana, il concetto tutto italiano che su
alcuni angoli della casa è bene non fare troppa luce.

133 La definizione è di E. ROMERO POSE, G. Sirleto y la tradición manuscrita patri-


stica, in ID., Scripta collecta, II, Madrid 2008, pp. 673-716: 674, «Yo me atrevería a cali-
ficarle come el “Erasmo desconocido”. Es una de las figuras de la filología más olvi-
dadas».
262 CECILIA ASSO

APPENDICE I

Contributo per un’edizione delle Annotationes *

A. Indice generale

Vat. lat. 6132. Sembra fatto di quaderni di 12 carte, eccetto il primo, che è di 10
carte. Il primo fascicolo è integro, con le prime 4 carte bianche.
Matteo III, 17 f. 1r
– V, 8 f. 2r
– V, 18 f. 2v
– V, 26 f. 3v
– V, 45, 47 f. 4r
– V, 48 f. 4v
– VI, 9 f. 4v
– VI, 11, 13 f. 5r
– VII f. 8r
– VIII f. 9r
– IX f. 14v
– X f. 20r
– XI f. 35v
– XII f. 63v
– XIII f. 84v: «Annotationes quibus di-
luuntur obiectiones adversariorum
in ea quae vetus interpres illi aiunt
nostrum interpretem male vertisse
in XIII Cap. Matth. evangelistae»
– XIV f. 124r (fino al v. 13)
Vat. lat. 6133 – XIV f. 1 (dal v. 13)
– XV f. 35r: «Sed iam ad XV Capitis cae-
teras annotationes quas in XV
Caput annotarunt, transeamus».
– XVI f. 64r
– XVII f. 94v
– XVIII f. 129v
– XIX f. 157r
– XX f. 179v
– XXI f. 196r
– XXII f. 220v
– XXIII (fino al v. 2) f. 247r

* Si dà qui, di seguito al sommario, un abbozzo di edizione ‘diplomatica’ di


alcuni passi delle Annotationes e di alcune lettere di Sirleto.
LAMPAS CLARISSIMA 263

Vat. lat. 6134 – XXIII (dal v. 3) f. 1


– XXIV f. 20v
– XXV f. 47r
– XXVI f. 66r
– XXVII f. 113r
– XXVIII f. 155v
Marco I f. 171v
– II f. 207v
– III f. 225v
– IV f. 243v
– V f. 278r
– VI f. 284v
Vat. lat. 6135 – VI (dal v. 3) f. 1r
– VII f. 20r
– VIII f. 34v
– IX f. 49v, 90v-92v passim
– X f. 63r
– XI f. 74v
– XII f. 83r, 93r
– XIII f. 140v
– XIV f. 149v
– XV f. 190v
– XVI f. 213v
Luca I f. 235v
– II (fino al v. 8) f. 314v
Vat. lat. 6136 – II (dal v. 8) f. 1
– III f. 36v
– IV f. 66v
– V f. 114v
– VI f. 131v
– VII f. 179v
– VIII (fino al v. 54) f. 252v
Vat. lat. 6137 – IX f. 3v
(a partire da questo – X f.71r
vol. i capp. sono quasi – XI f. 137v
sempre segnati a margine)
– XII f. 209v
– XIII f. 272r
– XIV f. 309r
– XV f. 339v
– XVI (fino al v. 31) f. 367r
Vat. lat. 6138 – XVI (dal v. 31) f. 1
– XVII f. 25r
– XVIII f. 53v
– XIX f. 84v
– XX f. 106r
– XXI f. 140r
– XXII f. 176v
– XXIII f. 240v
– XXIV f. 293r
264 CECILIA ASSO

Vat. lat. 6139 Contiene le Annotationes al Vangelo di Giovanni, fino a tutto il cap. X.
Al f. 1v nota in alto a destra: «Mensis januarii XXIIII die feria III anno 1553 auspi-
catus sum notationes in joannem», seguita da un’invocazione a Gesù Cristo in greco.
Giovanni I f. 2r
– II f. 75r
– III f. 97r
– IV f. 128r
– V f. 161r
– VI f. 194r
– VII f. 239r
– VIII f. 280v
– IX f. 324v
– X f. 352r
Vat. lat. 6140 Stessa invocazione in greco del Vat. lat. 6139. Di seguito: «Aggressus
sum ad notationes scribendas in XI caput joannis die XI mensis Maij MDLIII cum
dies festus Ascensionis christi celebraretur».
Giovanni XI f. 2r
– XII f. 50r
– XIII f. 97r
– XIV f. 145r
– XV f. 181v
– XVI f. 217v
– XVII f. 243v
– XVIII f. 275r
– XIX f. 315r
– XX f. 355v
– XXI f. 394r
Vat. lat. 6141 Stessa invocazione dei precedenti. Segue: «Notationes in acta aposto-
lorum aggressus sum anno Domini MDLIII die XXV mensis Septembris, cum
essem Romae et apud Marcellum Cervinum proximum (?) Cardinalem Sanctae
Crucis libentissime viverem».
Atti I f. 2r + 29r-57v
– II f. 11r + 57v-84v
– III f. 23r-28v + 85r-104r
– IV f. 104v
– V f. 127v
– VI f. 155r
– VII f. 163v
– VIII f. 218r
– IX f. 263r
– X f. 250r
– XI f. 284r
– XII (fino al v. 19) f. 299r
Vat. lat. 6142 Atti XII f. 2r
(dal v. 25)
– XIII f. 2v
– XIV f. 48v
– XV f. 66v
– XVI f. 96v
LAMPAS CLARISSIMA 265

– XVII f. 124r
– XVIII f. 260v
– XIX f. 183v
– XX f. 221v
– XXI f. 253r
– XXII f. 276r
– XXIII f. 303r
– XXIV f. 326r
– XXV f. 350r
– XXVI f. 370r
– XXVII f. 394v
– XXVIII f. 411v
Epistola di Giacomo II f. 422-424r
I f. 425v
II f. 441v
III f. 457v
Vat. lat. 6143 I Epistola di Pietro I f. 2r
II f. 19v
III f. 44v
IV f. 66r
V f. 84v
II Epistola di Pietro I f. 101v
II f. 122r
III f. 142v
I Epistola di Giovanni I f. 165v
II f. 171v
III f. 196v
IV f. 208v
V f. 224v
II Epistola di Giovanni f. 250v
III Epistola di Giovanni f. 275v
Epistola di Giuda f. 294r

B. Annotationes a Matteo XIV, 9-10 «Et contristatus est rex: propter iura-
mentum autem et eos qui pariter recumbebant iussit dari. | Misitque et
decollavit Ioannem in carcerem».
Vat. lat. 6132, ff. 136r-141r.
«[136r] Quod vero beatus Hieronymus dicat “discumbentes”, una syllaba non
tanti est ut, cum sententia eadem servatur, velimus pugnare de verbis. Sed non idem
licet Erasmo, quod viro probato et docto. Quod si volebat ab interpre- [136v] te
discedere honestius ac tolerabilius erat ad sanctorum virorum auctoritatem confu-
gere quam se auctorem facere. Nam si quando [?] illi deviant a communi lectione,
hoc non de industria fecerunt, sed prout quisquam dilucidius ac magis proprie sen-
266 CECILIA ASSO

tentiam proferre sibi visus est, ita verbis pro tempore utebantur. Sed neque Erasmus
neque quisquam e recentioribus rationem aliquam attulit quare hunc locum ita
inverterit ut vel arrogantes, vel astutos fuisse suspicari possimus. Arrogantes quod
tanti se esse opinati sint ut satis hoc putemus quod illi dixerint […], astutos quia lec-
torem imprudentem se posse capere his versutiis sperarunt.
[137r] “Misitque et decollavit Ioannem in carcere”. Antequam cepissem has
notationes scribere, mecum ita cogitabam cum duobus viris Laurentio atque Erasmo,
doctis illis quidem sed parum aequis, mihi respondendum sit, non ut aeditionem
vulgatam ab eorum maledictis defendam (quidnam mea aut cuiusvis hominis defen-
sio rei tam multos annos a tot et tantis viris morum sanctitate ac doctrina praestan-
tibus probatae afferre potest?), sed ut ex eorum quos illi multos habent sui studiosos
animis eam opinionem eximerem, non tanti hos homines fuisse ut vel minimum
cum nostri interpretis eruditione conferri possent. Missum facio dictionis candorem,
neque enim hoc sibi, ut saepe dixi, interpres proposuit ut quem auctores ipsi
neglexerunt, aut certe non quaesiverunt, ille inquireret. “Hoc, dicebam, commodi
erit quod Erasmum si non omni ex parte aequum, ut esset optandum, habebimus, at
minus certe iniquum quam Laurentium”. Hac spe opus ingressi longe aliter rem se
habere intelleximus. Nam multis in locis Laurentium aequum, Erasmum satis ini-
quum habemus. Nescio quo consilio hoc ille fecerit, ego hanc caussam fuisse suspi-
cor, cum Erasmus posterior hoc negocium suscepisset, ne ea tantum notasse videretur
quae Laurentius, ac propterea supervacaneam operam atque inanem laborem subiisse
videretur, ne non aliquid aut multum fecisse existimaretur, multa [138r] alia collegit
quae satius fuisset non colligere. In his enim existimationi suae parum consuluit,
interpreti autem nihil obfuit, quin profuit potius. Nam eius impugnationibus factum
est ut quae temere ille vertisse nonnullis videbatur, prudenter ac bene, nisi illi obsti-
nate pugnare adhuc velint, existimetur. Quorsum, dices, tam longa digressio? Ut
intelligeres quo in loco Laurentius aequum se praebuit, neque quicquam dixit,
quippe qui nihil habuit, at hac in re laudandus quod hic, ut saepe, nihil se habere
cognovit, Erasmum se iactasse his verbis «Et misit, καὶ πέμψας, commodius supplesset
“misso carnifice” aut “ministro”, id quod alibi facit». [138v] Quid est hoc “commo-
dius”? An eum commode supplere dicis qui ea addit quae sententiam clariorem red-
dunt? Hoc, inquies. At hoc non est vertere, sed explanare. Qui enim graeca vertit is
nihil debet addere nisi quod Latinae linguae ratio postulat. Quod si sententia clara
est, vitiose additur quod non intelligitur, quaero qui scis carnificem aut ministrum
fuisse missum? Ex eo, dices, quod ait “misit” intelligo aliquem fuisse missum cui car-
nificis munus demandatum esset. Quod si tu ex graeco hoc intelligis, cur non et alii
idem intelligent ex latino, in quo nihil plus est quam in graeco? Quod dicit Marcum
Evangelistam ex- | [139r] pressisse quod hic erat subaudiendum (ita enim loquitur)
eo inquam minus necesse fuit hic addere, quia ab alio evangelista positum est, neque
enim sequitur ut, quoniam in alio evangelista aliquid est, propterea velimus in alium
evangelistam cumulare, si enim hoc liceret nihil impediret quo minus ex quatuor in
unum redigemus. At facit, inquit Erasmus, hoc alibi interpres. Nego eum ita facere
ut ipse facis, at tu quod alias in illo reprehendisti, nunc quia pro te facit eius exem-
plo vis videri hoc fecisse, quod neque interpres ausus est, neque quisquam ex his qui
apud veteres evangelia | [139v] ex graeco verterunt, qui certe multi fuerunt, ut testis
est beatus Augustinus in Lib. De doctrina Christiana. Quod vero pro “decollavit
Joannem” non Erasmus solum sed et alii recentiores verterunt “amputavit caput
Joannis”, non necesse est duobus verbis unam dictionem graecam ἀπεκεφάλισεν
explicare, cum posset recte uno hoc verbo “decollavit” explicari. Quis enim non
videt et brevius et gravius hoc dici “decollavit Joannem”, servato eodem casu in
latino qui est et in graeco, quam “ampu- | [140r] tavit caput Ioannis”, cum praeser-
LAMPAS CLARISSIMA 267

tim verbum decollare non sit inusitatum apud auctores, ut Nonius Marcellus annota-
vit, et Diomedes grammaticus, sitque apud Senecam ac Svetonium in hac significa-
tione positum, ut Iacobus Stunica ante nos animadvertit, sed demus non fuisse, quid
tum, annon licuisset ex “de” et “collo” fingere hoc verbum “decollo”, ut ex ἀπὸ καὶ
κεφαλῆς licuit facere ἀποκεφαλίζω? Nunc autem, ne quis novum hoc putet, a Jacobo
Stunica diligenter collecti sunt loci et Erasmus ipse convictus est hoc verbum non
fuisse a Seneca in ludo de Morte | [140v] Claudii ludibrii caussa, ut ipse in prioribus
annotationibus suspicabatur, usurpatum, sed serio, ut ex aliis locis clare intelligimus, in
quibus eodem verbo usus est. Sed hac in re non erimus longiores, cum ipsemet in
posterioribus notationibus confessus sit rem ita se habere, sed ut hominis pertinatiam
noscere possimus, emendavit quidem annotationes, sed non emendavit locum quem
initio ita verterat “amputavit caput Joannis”. Sed parum esset quod deberemus, si haec
pertinatia illi tantum | [141r] obfuisset, nisi etiam bonos viros, specie quadam decep-
tos, in eundem errorem lapsos videremus. De his loquor qui Vetus et Novum Testa-
mentum nuper cum eodem [?] quod Erasmus vertit exemplari collatum evulgassent.
Sed his veniam dandam censeo, quod decepti sunt, potiusquam persuasi ratione aliqua
ut hoc facerent. Nos ecclesiae vulgatam ac rectam lectionem sequamur».

C. Annotationes al primo capitolo del Vangelo di Giovanni.

Vat. lat. 6139, ff. 2r-29r


[2r] In principio erat verbum et verbum erat apud Deum, et Deus erat verbum. Hoc erat
in principio apud Deum.
Quanta sit Ioannis Evangelistae dignitas atque praestantia ex multis tum graecis
tum latinis, et illis quidem veteribus qui multa de ipsius laudibus in suis monumentis
scripta reliquerunt, intelligere possumus ut ex Ireneo, inquam, Clemente Alexan-
drino, Hippolito Epiphanio, Ambrosio, et Hieronymo et Chrysostomo. Sed ex nullo
certius ac melius quam ex Evangelio ipso hoc discimus, quod testatur discipulum
hunc fuisse a Christo dilectum et supra pectus Domini recubuisse, et quis futurus
fuisset [2v] Christi proditor solum antea scivisse. Neque enim parum hoc est ad eius
dignitatem et fidutiam quam erga Christum habebat, significandam quod cum
summus apostolus Petrus cuperet scire quisnam Christi proditor ex discipulis futurus
erat, non ausus est ipse interrogare, sed a Joanne petivit ut hoc faceret. Quid quod
illi matrem suam commendavit atque in sui locum esse voluit? neque solum jussit
discipulo eam pro matre, sed et matri eum pro filio habere jussit. Aufugerant disci-
puli, at ipse paulo post magistrum revisit, neque solum ille ingressus est ubi erat
Jesus, sed fecit etiam ut | [3r] Petrus ingredi posset. Erat in cruce Jesus, et noti
omnes longe positi ab illo aberant, at ipse una cum matre cruci adstabat, quamobrem
nulli ex aliis licuit ab illo, cum in cruce esset, verbum aliquod referre nisi matri et
discipulo Joanni, quin, ut diximus, et in fratrem adoptavit, cum eamdem et eum
matrem habere voluit. Quid tum? Postquam Christus a mortuis resurrexit et in
coelum ascendere parabat, Petro mortem praedicens quam passurus erat, rogatus
quidnam fiet de discipulo illo, respondit se velle sic eum manere donec veniat.
Magna quidem et ampla Joannis praeconia haec sunt, sed longe maius quod | [3v]
divinorum mysteriorum in primis et ipse particeps factus est et alios participes fecit.
Quid enim maius aut sublimius de Deo ipso dici aut cogitari potest quam quod ipse
in evangelio suo nobis tradidit? Ab aliis certe evangelistis Christi ortum, quod ad
carnem pertinet, et generis a Davide rege deducti seriem didicimus, originem vero
268 CECILIA ASSO

illam caelestem, divinam atque aeternam eius, denique [?] cum patre ac sancto spi-
ritu coniunctissimam et parem communionem a Joanne ipso edocemur, sed quia
eius verba valde obscura | [4r] sunt et ad intelligendum paucis sane perspicua, dabi-
mus operam ut quae in veterum ac probatorum patrum monumentis ad huius evan-
gelii explicationem pertinentia notavimus ea in his nostris commentariis inferamus.
Neque enim aut mihi aut cuipiam alii convenire arbitror divina scripta pro suo arbi-
trio ac libidine interpretari, haec autem eo minus quo et obscuriora sunt et nisi
recte intelligantur maiorem perniciem afferre possunt. Sequimur igitur duces eos
potissimum auctores quos ecclesia ipsa delegit doctoresque haberi ac dici voluit, ac
si qui post illos fuerunt quorum | [4v] sententia non abhorreat a veterum illorum
probata et sana doctrina eos etiam interdum sequemur. At ne quis se a nobis decep-
tum putet si eorum nomina ex quibus interpretationem aliquam sumpsimus praete-
rierimus, nominatim singulos citabimus et locos ipsos non adducemus solum, sed
etiam indicabimus.
Primum autem quaerendum nobis illud occurrit quae fuerit huius evangelii
constituendi ratio et caussa, deinde quo loco et quo tempore scriptum fuerit. | [5r]
Cum Cerinthus haereticus in Asia haeresim suam disseminaret, et populos illos ad
eum errorem impellere conaretur, quod videlicet Christus ipse non aeternus Dei
filius, sed ex Maria et Josephi semine ortus fuerit, Joannes apostolus cum non
nemini illud latius serpere intelligeret, ut siqui pesti illa infecti ac labefactati essent
eos sanos redderet, ad scribendum evangelium se contulit, vel potius a Spiritu Sancto
collatus fuit, ut Christum ipsum, quod ad divinitatem pertinet, Dei filium esse doce-
ret eorumque errorem convinceret qui omnem hominem eum fuisse opinati fue-
rant, eademque opera illos redargueret qui mundi fabricatorem | [5v] non Dei patris
filium fuisse, sed alium quempiam fuisse dicebant, eorum denique falsas opiniones
refutaret qui […] ex alto descendisse et in Iesu ipso impassibilem perseverasse atque
eo unde descenderat rediisse et huiusmodi alia absurda excogitaverant. Cum enim
omnia haec amantissimus Christi discipulus ita ut sunt falsa esse vellet redarguere ac
veritatis regulam in ecclesia constituere, quia unus est Deus omnipotens, qui per
verbum suum omnia fecit, tam quae videmur quam quae spectabilia non sunt, signi-
ficans etiam per verbum illud per quod Deus res ipsas procreavit fuisse hominibus
etiam ipsis salutem conciliatam, sic evangelii sui doctrinam inchoavit: «In principio
erat verbum, et verbum erat apud Deum». | [6r] Haec ex Irenei martyris et aposto-
lici viri libro tertio in hunc locum contulimus. Convenit cum Ireneo et beatus Hie-
ronymus qui in libro de scriptoribus ecclesiasticis haec scripsit de Joanne: «Novissi-
mus omnium scripsit evangelium rogatus ab Asiae episcopis adversus Cerinthum
aliosque haereticos, et maxime tunc Ebionistarum dogma consurgens, qui asserunt
Christum ante Mariam non fuisse, unde et compulsus est divinam eius nativitatem
edicere». Haec beatus Hieronymus. His omnibus consentanea scripsit et beatus
Epiphanius in libro adversus eorum haeresim qui Evangelium et Apocalypsim Joan-
nis non admittebant. | [6v] Haec ait: «Coegit Ioannem Spiritus Sanctus evangelium
scribere quod antea modestiae atque humilitatis caussa recusaverat. Scripsit autem
illud cum esset iam in aetate senili et nonagesimum annum excessisset. Post suum e
Pathmo reditum qui fuit sub Claudio Caesare imperante et post multos annos quibus
in Asia versatus fuit, evangelium edere coactus est. Huic necesse non fuit de his quae
Christus quae ad corporeas Christi actiones pertinebant de his minutissima quaequam
persequi necesse non fuit, iam enim hac in parte ab aliis evangelistis satis provi- [7r]
sum fuerat, sed tanquam quorundam vestigia persequens eosque videns ulterius pro-
gressos atque in aspera errantia et spinosa loca se ultro coniectos, cum illos ad
rectam viam revocare sibi proposuisset et tanquam praeconium quoddam ipsis edi-
cere animum obfirmasset, “Quid – inquit – erratis! In quos errores Quibus erroribus
LAMPAS CLARISSIMA 269

Cerinthe, Ebion et qui similes estis vos implicatis! Non est inquam res ipsa quemad-
modum vos opinamini. Natus certe est Christus secundum carnem. Manifestum
quidem hoc est, ecce enim ut et ipse hoc fateor, cum dico “Verbum caro factum
est”. Sed nolim | [7v] existimetis ex quo tempore caro esse fieri cepit, tunc eundem
illum esse cepisset. Non enim, quemadmodum unusquisque nostrum, tunc esse inci-
pit cum gignitur et antea quam natus non fuerit non est, sic et sanctus Deus verbum
filius Dei Christus dominus noster Jesus ex Mariae et Josephi temporibus fuisse
tamen censendus est, neque ex quo tempore fuit Eli, Levi, Zorobabel, Salastiel,
Nathan, David, Jacob, Isaac, non denique quibus temporibus fuit Adam, Noe,
Abraham, non ex quo caelum et terra finita est et mundus universus constitit, sed
“In principio erat verbum, et Deus erat verbum, et verbum | [8r] erat apud
Deum”». Vertimus ex Epiphanio quantum ad hunc locum pertinere arbitrati sumus.
Non discrepat ab his Ambrosius, qui in libro De sacramentis 4 «Sanctus – inquit –
Joannes ultimus scripsit evangelium, quasi necessarius requisitus et electus a Christo
maiore quadam tuba fudit aeterna mysteria. Quicquid locutus est mysterium est».
Affert Eusebius Caesariensis et aliam caussam quare ad evangelium conscribendum
Ioannes venerit, quam et beatus Hieronymus in libro De scriptoribus ecclesiasticis
his verbis exposuit: «Sed et aliam caussam huius | [8v] scripturae ferunt, quod cum
legisse Matthaei, Marci et Lucae volumina probaverit quidem textum historiae et
vera eos dixisse firmaverit, sed unius tantum anni, in quo et passus est, post carcerem
Joannis historiam textuisse. Praetermisso itaque anno cuius acta a tribus exposita
fuerant, superioris temporis antequam Joannes clauderetur in carcerem gesta narra-
vit, sicut manifestum esse poterit his qui diligenter quatuor evangeliorum volumina
legerint». Quae res etiam διαφωνίαν <etiam> quae videtur Joan- | [9r] nis esse cum
caeteris tollit. Scripsissem hic et Eusebii locum qui est in libro tertio Historiae
ecclesiasticae nisi tam similis esset iis quae ex divo Hieronymo paulo ante diximus,
ut prope idem sit et ex his quae graece scripsit Eusebius a Hieronymo in latinum
conversus.
[9v] Locum in quo evangelium Joannes scripsit, etsi quidam dicunt fuisse Path-
mum insulam plures tamen et probatioris fidei auctores affirmant in Ephesi, quae est
Asiae urbs, fuisse scriptum ab eo evangelium. Huius rei testes sunt Ireneus, Epipha-
nius, Gregorius Nazaz. [inserito dopo], Hieronymus, Chrysostomus.
[10r] Quo autem tempore evangelium scripserit, non constat inter veteres. Alii
enim putant antequam in exilium a Domitiano missus fuisset, alii cum ab exilio
reversum scripsisse aiunt. Epiphanius dicit post reditum ab insula Pathmo et multis
annis posteaquam in Asia versatus fuit evangelium scribere a Spiritu Sancto coactum
fuisse, quamvis in Epiphanii libro puto mendum esse in eo quod dicitur sub Claudio
Caesare ab exilio revertisse. A Domitiano enim fuit missus et a Nerva revocatus et
usque ad tempora Trajani vixit, ut testatur beatus Hieronymus in Commentariis in
Danielem [a margine: cap. IX] et Adversus Jovinianum. | [10v] Dorotheus et Simeon
Metaphrastes scripserunt Joannem evangelium scripsisse dum [?] adhuc in exilio esset.
«In principio erat verbum, et verbum erat apud Deum et Deus erat verbum».
Ne quis putaret, audiens Christum natum fuisse atque hominem factum, tunc
esse coepisse cum natus est, Evangelista | [11r] vel Spiritus Sanctus potius per evan-
gelistam paucis admodum verbis divinam atque aeternam Christi naturam com-
plexus est. «In principio – inquit – erat verbum», illud videlicet verbum quod postea
in fine saeculorum caro factum fuit erat a principio, ne forte aliquo tempore illum
circumscribas. Semper enim erat, neque tempus ullum cogitari potest in quo non
fuerit. Ac ne quis putet verbum illud non esse distinctam personam, sed eandem
270 CECILIA ASSO

quae et patris est, neve in Sabellii errore incidat, hypostasim filii cum patre con-
trahens, adiungit evangelista “et verbum erat apud Deum”: non dixit “in Deo”, ne
suspitio aliqua oriri posset non esse aliquid separatum a Deo, sed “apud | [11v]
Deum”, ut eius hypostasim distinctam esse et consistere intelligeremus, at ne quis
putaret fuisse quidem illud in principio, et apud Deum, sed ipsum verbum [?] non
fuisse Deum, idem Evangelista subiungit “et Deus erat verbum”.
[12r] Totum hunc locum interpretatur Hilarius in secundo libro De trinitate, qui
et lectionem vulgatam sequitur. Eandem invenies et apud beatum Hieronymum in
commentariis in Ezecchielem. Idem et in commentariis in Micheam, explanans
verba illa prophetae “et egressus eius ab initio ex diebus seculi” haec ait: «“Ne putes
eum de genere David non esse, cui repromisi dicens ‘de fructu ventris tui ponam
super sedem meam’, carnis adsumptio divinam non impedit maiestatem. De me
enim natus est ante omnia secula et temporum conditor in tempore non tenetur.
Ipse est cui et in alio psalmo dixi ‘ante Luciferum genui te’. In principio enim erat
| [12v] verbum, et verbum erat apud Deum et Deus erat verbum. Hoc erat in prin-
cipio apud Deum et idcirco egressus eius ab initio a diebus aeternitatis». Haec Hie-
ronymus, iisdem verbis quibus nos posuimus, in commentariis in Micheam scripsit.
Eodem modo legit et Marius Victorinus in libro De generatione divina adversus
Candidum Arianum. Sic et Ambrosius in libro De institutione virginis et in com-
mentariis in Lucam, et omnium horum antiquissimus Victorinus martyr in commen-
tariis in Apocalypsim. Eandem lectionem sequitur et beatus Augustinus. Cum igitur
tot tantique patres veriti non fuerint vul- | [13r] gatae aeditionis lectionem tenere,
non video cur novi quidam interpretes illam sequi noluerint, quorum alii fecerunt
pro “in principio erat verbum” “in principio erat sermo […]”, alii “in principio erat
illud verbum”. A quibus si quis quaereret cur potius articulum vertendum putant in
eo “ὁ λόγος” quam in “πρὸς τὸν θεόν”, ut sit “apud illum Deum” [sic]. Si enim ubique
necessario ponitur, ubique igitur vertendum. Quod si Latinae linguae consuetudo
hoc non patitur, nusquam igitur verti necesse est.
[13v] «Hoc erat in principio apud Deum». Quidnam […] verbum? Dixit enim
“in principio erat verbum” ac postea “et verbum apud Deum erat, et verbum Deus
erat”. Postea summatim repetens ait “hoc igitur verbum Deus in principio erat apud
Deum”.
[14r] «Omnia per ipsum facta sunt et sine ipso factum est nihil».
Cum docuisset Evangelista verbum ab initio semper fuisse ipsumque Deum et
apud Deum fuisse, postea ne quis cum audiret in principio fuisse ita intelligeret in
principio videlicet procreationis, quemadmodum est a Moyse dictum “In principio
creavit Deus coelum et terram”, adiunxit Evangelista per hoc ipsum verbum omnia
facta esse, ut ante omnem creatam naturam tam spectabilem quam quae spectabilis
non est, ac tam diu denique eum fuisse sci- [14v] remus quam diu Deus ipse fuit,
verbum igitur illud esse dicit per quod omnia facta sunt et de quo David dixit
“Verbo Domini coeli firmati sunt”. Locum hunc explicat beatus Hieronymus in
commentariis in Esaiam: «Qui extendit – inquit – caelum quasi pellem non quo
filius excludatur ab extensione caelorum, omnia enim per ipsum facta sunt, et sine
ipso factum est nihil quod factum est, sed quo, ut diximus, per hanc sententiam
excludantur idola. Nam et in Proverbiis Salomonis ex persona Christi Dei virtutis
Deique sapientiae dicitur “Quando para- [15r] bat caelum ego eram cum eo”. Ipse
enim dixit et facta sunt, ipse mandavit et creata sunt et verbo Domini caeli firmati
sunt et spiritu oris sui omnis virtus eorum». Haec beatus Hieronymus. Eosdem Psal-
morum et Proverbiorum locos cum hoc Evangelii dicto contulit et Origenes in
commentariis in Ioannem.
LAMPAS CLARISSIMA 271

«Quod factum est in ipso vita erat».


Ut per quem, inquit, omnia facta sunt, per eundem illa et essentiam et vitam
habere intelligeremus, hoc | [15v] adiunxit, “Quod factum est, in ipso vita erat”.
Verum cum multi sint qui putant [?] lectionem hac interpretatione distinguendam,
«Et sine ipso factum est nihil quod factum est» atque haereticos dicant hoc modo
legere solitos fuisse, visum est veterum ac sanctorum patrum testimonia hic parere,
qui sic legere consueverunt, «Quod factum est in ipso vita erat», […] [16r] ut scia-
mus eos qui sic legunt non haereticorum sed veterum lectionem sequi. Clemens
Alexandrinus in eorum librorum quos Paedagogi nomine inscripsit primo, cap. 6
haec ait: σωτηρία τὸ ἕπεσθαι Χριστῷ, ὃ γὰρ γέγονεν ἐν αὐτῷ ζωή ἐστίν, «Salus – inquit
[16v] – est Christum sequi. Quod enim factum est in ipso vita est». Idem in secundo
libro, cap. 9 πρὸς τὸν θεὸν ὁ πεφωτισμένος… [?] ὃ γὰρ γέγονεν ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν.
Clemens Alexandrinus qui fuit ante nos annos fere M et CCCC quique ab illis
didicit qui apostolorum discipulos videre et audire potuerant, ita locum hunc inter-
pretatur ut significet aperte se ita verba illa in legendo atque intelligendo definxisse
“quod factum est in ipso vita erat”. Idem enim et in stromate ς´ superiorem senten-
tiam hac interpretatione terminavit [?]: καὶ χωρὶς αὐτοῦ ἐγένετο οὐδὲ ἕν. | [17r] Orige-
nes in commentariis in Joannem haec scripsit in huius loci explanationem: ὃ γέγονεν
ἐν τῷ λόγῳ ζωή.
[…]
«“Quod factum, inquit, est in ipso, videlicet verbo, vita erat”, ut quemadmodum
Deus omnia ad essentiam perduxit, sic et viva fierent quae per ipsius partecipatio-
nem <quae> vitam habere aptae sunt. Quare convenienter dictum fuit “et vita erat
lux hominum”». [17v] Athanasius patriarca Alexandrinus scripsit epistolam quandam
ad explicandum primum huius [?] evangelii dictum “in principio erat verbum, et
verbum erat apud Deum, et Deus erat verbum, omnia per ipsum facta sunt et sine
ipso factum est nihil”». Cumque hic terminarit lectionem manifeste possumus ex
hoc ipso intelligere Athanasium etiam sic hunc locum legere solitum. Sed manifes-
tius hoc intelligi potest ex his quae scripsit in libro De assumptione hominis, in quo
dicit confert locum illum Pauli “Deus vult omnes homines salvos fieri et ad agnitio-
nem veritatis pervenire” cum illo hoc Joannis [18r] “quod factum est in ipso vita
erat”. Eusebius Caesariensis in libro quarto De demonstratione evangelica hos scripsit in
eundem locum
[…]
[18v] Sic etiam et Hilarius, qui fuit beati Athanasii tempore, lectionem termina-
bat “omnia per ipsum facta sunt et sine ipso factum est nihil”. Locus est in secundo
libro De trinitate. Sequentis enim sententiae initium hinc sumit “quod factum est”,
quamvis [19r] interpunctionem sic faciat “quod factum est in eo” et deinceps adiun-
gat “vita erat”.
Beatus Ambrosius in explanatione psalmi XXXVI «Verbum – inquit – Dei vita
est, quia verbum caro factum est, unde praeclare dixit Evangelista “quod factum est
in ipso vita est”. Alexandrini quidem et Aegyptii legunt “omnia per ipsum facta
sunt, et sine ipso factum est nihil, quod factum est” et interposita distinctione subii-
ciunt “in ipso vita est”. Salva sit fidelibus illa distinctio, ego non vereor legere [19v]
“quod factum est in ipso vita est” et nihil habet quod teneat Arianus, quia non illius
venena considero, sed lectionis sacrae consuetudinem recognosco». Haec Ambrosius.
Et alia multa scripsit ad huius lectionis veritatem comprobandam. Et certe in eo
quod dixit “lectionis sacrae consuetudinem recognosco” significat olim apud Patres
sic legi solitum, ut ex Clemente Alexandrino et reliquis quos supra nominavi cogno-
sci potest. Mirum autem est quod dicat Ambrosius Alexandrinos et Aegyptios sic
legisse, cum Clemens et Origenes, qui apud Alexan- [20r] drinam ecclesiam divinas
272 CECILIA ASSO

litteras profitebantur, non sic legant, “et sine ipso factum est nihil quod factum est”,
sed “quod factum est in ipso vita erat”. Sic etiam Athanasius illius ecclesiae rector et
bonus catholicae fidei magister ac propugnator. Sed puto cum haec dixit Ambrosius,
Alexandrinos et Aegyptios illos dixisse qui adversus Arianos scrib disputabant, qui ut
Arianae objectioni responderent et ut falsae interpretationis ansam praeriperent, sic
ipsi [?] interpungendum asserebant, “et sine ipso factum est nihil, quod factum est”.
Quamobrem Ambrosius adjunxit «nihil habet quod teneat Arianus [20v] quia non
illius venena considero». Non tanti, inquit, est Arianorum perversitas ut […] consue-
tudinem mutare velim, non enim lectionis, sed falsae illorum opinionis atque intel-
ligentiae vitium hoc est. Sed dicet aliquis, quinam igitur sunt isti qui sic legunt, “et
sine ipso factum est nihil quod factum est”? Alexander patriarcha Alexandrinus, Gre-
gorius Nazanzenus, [ins. da nota a margine: Epiphanius in Anchorato, Hieronymus
in Esaiae Commentariis cap. 44 sic legit, “et sine ipso factum est nihil quod factum
est”, sed in Hierem. Cap. 27 terminat lectionem, “et sine ipso factum est nihil”] et
Chrysostomus et Hieronymus omnes hi eo potissimum tempore scripserunt cum
Ariana pestis atque haeresis multorum animos labefactaverat, [21r] vel quo tempore
Macedonius haereticus fuit. Patres [?] igitur illi, qui sic legunt [?], “sine ipso factum
est nihil quod factum est” putandi [?] sunt id fecisse ut quo haeretici nitebantur illud
ab eorum manibus auferrent, cum prave ac perverse Ariani ac Macedoniani hoc
intelligerent, et simpliciores homines eo modo ad se traherent. Itaque laudanda est
illorum prudentia qui temporum rationem habuerunt. In eam praesertim sententiam
dictum interpretantes quae et ipse etiam recta est […]. Nam et Ambrosius in libro
De fide illos qui sic legunt cum de hoc eodem dicto dissereret haec scripsit: «unde
possunt Ariani [21v] dicere sic pronunciasset evangelista? [macchie d’inchiostro] dicit
qui sic leg [macchie] “quod factum est in ipso vita erat” et perverse interpretebantur
plerique enim docti ac fideles sic pronunciant “omnia per ipsum facta sunt, et sine
ipso factum est nihil deinde quod factum est” pronunciant. Alii sic “omnia per
ipsum facta sunt et sine ipso factum est nihil”. Deinde “quod factum est” pronun-
ciant et subiungunt “in ipso”». Audis ut hoc loco Ambrosius et doctos multos et
fideles sic legere ait. [22r] Cum tamen in explanatione psalmi XXXVI affirmet
sacrae lectionis consuetudinem [?] esse quod [macchie] “quod factum est in ipso vita
erat”, quam et in Hexameron sequitur. Accedit ad tot tantorumque Patrum consen-
sum et Cyrilli Alexandrini auctorit sententia qui sic legit et interpretatur ut ex
verbis ipsius quae hic ponimus cognosci potest.
[…]
[23r] Haec Cyrillus in commentariis in Joannem qui fuit [macchie] fidei ac
doctrinae [macchie] delegerit [macchie], qui Ephesi [? macchie] Nestorii haeresim
[…], in sui locum praefecerit. Cum igitur tot tantique viri tam ex graecis quam ex
latinis lectionem hanc sequantur de qua loquimur, videatur quam recte faciant qui
eam reprobant, ac si quis dicit inquit Chrysostomum dicere […] haereticos sic
distinguere, [cancellatura] intelligere oportet de his eum [cancellatura] loqui quando
[?] haec dicit qui ad haeresim suam confirmandam huius dicti testimonio abu- [23v]
tebantur, neque enim haereticus est Ch[cancellature] qui sic legit [cancellature]
Hilarius [cancellature] Cyrillus non Augustinus [?], non Ireneus, vir apostolicus, qui
fuit ante omnes illos quos supra nominavimus. Hic enim respondens Valentino hae-
retico, qui totum hunc locum beati Joannis perverse interpretabatur, omnem eius
interpretationem reprobat. Non tamen in eo reprehendit quo sic [cancellatura] lege-
bat, ὃ γέγονεν ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν, quin immo ipse Ireneus in haec quae scripsit adversus
Valentinum [24r] sic lectionem terminat “in principio erat verbum, et verbum erat
apud Deum, et Deus erat verbum, omnia per ipsum facta sunt et sine ipso factum
est nihil”. Eandem [?] lectionem sequitur et Tertullianus in libro contra Hermoge-
LAMPAS CLARISSIMA 273

nem et Praxeam. Qui igitur dicunt se graecos libros sequi ac propterea legere “sine
ipso factum est nihil quod factum est”, quam vere hoc dicant ipsi videant. Nihil
enim est in libris graecis quam ob rem possit magis congruere lectio illa quam ipsi
malunt quam haec quam nos dicimus. Tam enim possunt cohaerere verba haec ὃ
γέγονεν cum his [24v] quae sequuntur, quam cum eo quod [macchie] antecedens est,
nam [macchie] ὅς ἥ ὅ [macchie] non solum ad superiora [macchie] inferri, sed etiam
ad inferiora, quemadmodum et apud Latinos “qui” “quae” et reliquae. Sed isti, dum
linguae graecae nimium observantes videri volunt, non animadvertunt eam notam
viris eruditissimis inicere, quod suae linguae proprietates non noverint. Nescivit
igitur graece Ireneus, nescivit Clemens Alexandrinus, Origenes, Eusebius, Athanasius
[25r] Cyrillus, Tertullianus, qui profecto omnes graece et […] et scripserunt ? Nam
et Tertullianus fatetur se quae latine scripsit eadem et graece scripsisse. Aliqui vero ex
his, ut Clemens, Origenes et Eusebius, et linguae et scientiarum praestantia non
solum his qui post illos fuerunt praeferri, sed cum vetustioribus etiam illis merito
conferri possunt.
[26r] Et vita erat lux hominum. Fecit, inquit, omnia [macchie] naturas [macchie]
etiam vitam [macchie] quae in eo est facultas non solum ad vitam [cancellato: naturis]
naturae largiendum [cancellato: idonea est], verum etiam ad humanas animas cogni-
tionis lumine implendas idonea est. Cum enim illud dicturus sit «nemo venit ad me
nisi pater meus traxerit illum», propterea per anticipationem quandam hoc loco dicit
quod ipse est qui illuminat ut et siquid de patre audieris, non patris solius illud esse
arbitraveris. Omnia enim, inquit filius, quae habet pater mea sunt. Primum igitur de
rerum procreatione nos docuit [26v], deinde loquitur de his bonis quae ad animas
[? macchie] ipse cum in [macchie] hominibus con[macchie] lumen. Tenebras autem
nominat aut mortem aut formationem ipsam. Cum enim neque mors neque forma-
tio ipsa eius naturam superarit, sed in fulgore ac propria fortitudine permanserit,
propterea dixit evangelista «et tenebrae eum non apprehenderunt». Etenim inexpu-
gnabile lumen illud est, neque in illorum animis qui nolunt illuminari libenter ver-
satur, neque enim necessitate aut vi, sed voluntate et proposito eorum quos adit
delectatur [?]. Haec Theodorus Heracleensis in hunc locum scripsit [27r] quae et
beatus Hieronymus aliquoties honorifice nominat [?]. Locus quem non e[…] graeca.
Et tenebrae non comprehenderunt eam. Vita haec vivos eos facit ad quos pervenerit,
cum in illo sit vitae effectrix habitudo convenienter his se habens quibus vitam lar-
gitur, sed quoniam priusquam vitam impartiat veritatis cognitionem in animo ingi-
gnit eorum qui illam eam accipiunt, mentem illustrans, propterea et “lux hominum”
nominatur. [27v] Eadem autem et mentes illas caelestes […] prae[…] illustrat […]
multo magis et superiores illustrantur eadem illa luce illuminantur. Lumen Neque
haec lux omnium tenebrarum, omnis ignorantiae ac vitii exterminatrix esse solet,
quamobrem in talibus tenebris apparens ab illis non apprehenditur. Cum enim lux
haec sit sapientia et iustitia Dei, quatenus sapientia est mentis inscitiam expellit, qua-
tenus iustitia, animae gressus dirigit, atque hoc est quod dicitur in tenebris lumen
hoc apparuisse, nequaquam videlicet impe- [28r] ditum quominus in hominem qui
illuminatur sui splendoris vi […] non opprimatur […] ipsius eius luminis […] atque
ex [… cancellato: dispereunt] minantur. Non enim consistentes atque energiam
habentes lucem ipsam non comprehendunt, sed dissolutae et nihil amplius existen-
tes, quemadmodum Paulus quo tempore Christum ignorabat, illum quidem perse-
quebatur […] ad id facinoris impulsus ab illa quae in ipso inerat ignorantia quam
nos tenebras esse diximus. Sed cum lux illa quam ipse insequebatur effulsis- [28v] set
suoque splendore illum irradiasset [?] expulsae […] perseque[macchie] quidem, sed
274 CECILIA ASSO

consequi nequaquam potuerunt. Eodem modo et latro qui in cruce poenitentiam


egit tenebris quas supra diximus excaecatus lucem insequebatur, sed dissolutae sunt
ipsae tenebrae neque adveniente luce substiterunt. Sed ut rem propositam quam
consideramus clarius pertractem, lumen est ipsa veritas. Cum vero mendatium et fal-
laciae omnes, hoc est tenebrae, lumen insecutae [29r] fuerint […] exterminantur […]
id quos persequuntur. Cum enim veritas ipsa [macchie] mendatium et fallacias
dispereunt. Dicam autem et quod mirabilius est, tenebrae cum longe sunt lucem
insequuntur, sed proprius factae in illa ipsa apprehendenda evanescunt. Etenim men-
datium quamdiu a veritate distat [due parole cancellate] in homine ipso efficax est
viget, idque in eo agit ut ab eius mente veritatem expellat. Cum vero prope illam
fuerit, tunc videlicet illud aperit, ostenditur quod mendatium nihil omnino est.
Quamobrem necessario Deus vitium esse permisit ut cum tum illud impe- [29v] […]
virtutis magni […] demonstretur. Haec […] ex catena graeca quae citatur […] ex
Origene.

D. Annotationes a I Giovanni 5, 7.

Vat. lat. 6143, ff. 227v-232r

[227v] «Quoniam tres sunt qui testimonium dant in coelo pater, verbum et spi-
ritus sanctus et hi tres unum sunt». Totum hoc desideratur in his quae interpretes novi
nuper e greco verterunt at in nostris latinis tam impressis quam scriptis totum hoc
legitur, ac si qui sunt libri qui hoc non habent, dubitare non possumus quin corrupti
fuerint. Hoc enim testatur beatus Hieronymus in epistola illa quam scripsit pro
hypothesi harum epistolarum, quae canoni- | [228r] cae vocantur. At ne quis Hie-
ronymi verba cavilletur, illa hic posuimus. Sic enim de his epistolis scribens ait: «Si
ab interpretibus fideliter in latinum eloquium verterentur, nec ambiguitatem legen-
tibus facerem nec sermonum sese varietas impugnarer, illo praecipui loco ubi de tri-
nitatis unitate in prima Joannis epistola positum legimus, in qua etiam ab infidelibus
translatoribus multum erratum esse a fidei veritate comperimus, trium tantummodo
vocabula, hoc est aquae, sanguinis et spiritus in ipsa sua editione ponentes et | [228v]
patris, verbique ac spiritus testimonium omittentes in quo maxime fides catholica
roboratur, et patris et filii et spiritus sancti una divinitatis substantia comprobatur».
Audis lector quam aperte beatus doctor Hieronymus testatur infideles interpretes
multum errasse a fidei veritate, qui testimonium illud omiserunt, quo patris, filii et
spiritus sancti una divinitatis substantia comprobatur. At Erasmus dicit [?] | [229r]
beatum Hieronymum suspicari hunc locum fuisse a quibusdam depravatum. An ea
verba quae supra posuimus suspicantis sint tu ipse iudices. An suspicatur qui sic ait,
ab infidelibus translatoribus multum erratum esse a fidei veritate comperimus et reli-
qua? Quaeso quis magis confirmare potest quam qui se comperisse dicit? Sed haec
tam clara sunt, ut supervacaneum putem plura de hac re scribere. Tantum sciamus
[…] quoscumque libros tales incidimus, illos beati Hieronymi testimonio nobis prae-
notatos ab infidis interpretibus | [229v] fuisse corruptos. Illud etiam animadvertimus
Hieronymum dicere in ab illis infidelibus interpretibus hoc testimonium omissum
fuisse, quod cum dicit significat in exemplaribus graecis illud quidem habitum, sed
ab ipsis in vertendo praetermissum, ut existimare possimus graecos libros tunc
nondum fuisse hac in parte corruptos. Sed – dicet aliquis – quomodo credibile est
locum hunc corruptum esse, cum Cyrillus, auctor graecus et qui fuit ante M. et
centum annos, non faciat mentionem nisi huius testi- | [230r] monii tantum, “tres
LAMPAS CLARISSIMA 275

sunt qui testimonium dant, spiritus aqua et sanguis”? Tantum abest ut negem Cyril-
lum huius testimonii tantum mentionem facere, ut etiam illud addam Gregorium
Nazanzenum, et aetate et auctoritate Cyrillo superiorem, cum ex hac Joannis Evan-
gelistae epistola locum citaret, nihil amplius quam hoc citasse. Addo et Leonem pon-
tificem in epistola quam scripsit ad Flavianum hoc tantum adducere. Sed non sequi-
tur ut quia huius solum testimonii mentionem faciant propterea existimare certo
possimus hos doctores non habuisse etiam illud “tres sunt qui testimonium dant in
coelo, pa- | [230v] ter, verbum et spiritus sanctus sed [sic!] hi tres unum sunt”.
Quod enim hoc testimonium Joannis Evangelistae sit habemus non solum beatum
Hieronymum testem in ea epistola quam supra diximus, verum etiam Athanasium
Alexandriae patriarcham et Cyrillo et Gregorio Nazanzeno vetustiorem, qui haec
scripsit in libro de fide suo: «Ignoras quia pater Deus unus est et filius unus Deus et
Spiritus Sanctus unus Deus est? Unicum nomen est, quia una est eorum substantia
unde et Joannes in epistola | [231r] sua ait “Tres sunt qui testimonium dant in caelo
pater, verbum et spiritus, et unum sunt”. Non tantum unus est, quia non est eorum
una persona». Est et nobis Cyprianus, gloriosissimus martyr Athanasio etiam ipso
multo vetustior, qui librum scribens De unitate ecclesiae, quem alii De simplicitate
praelatorum inscripserunt, «De patre – inquit – et filio et spiritu sancto scriptum est
“et hi tres unum sunt”». Quaeso, ubinam scriptum est, si in hac epistola scriptum
non est? Hunc Cypriani locum adducit beatus Fulgentius episcopus Ruspensis, vir
et doctrina et vetustate ac santitate insignis. Hic in libro quem [231v] scripsit contra
obiectiones Arianorum haec ait: «In patre et filio et spiritu sancto unitatem substan-
tiae accipimus, personas confundere non audemus. Beatus enim Joannes Apostolus
testatur dicens “tres sunt qui testimonium perhibent in coelo pater verbum et spiri-
tus, et tres unum sunt”, quod et beatissimus martyr Cyprianus in epistola De unitate
ecclesiae confitetur». Citat eundem locum Joan- [232r] nis Apostoli et Joannes Pon-
tifex, qui fuit tempore Iustiniani Caesaris. Ille in epistola ad Valerium episcopum
haec scripsit: «Ioannes Evangelista ait: “In principio erat verbum, et verbum erat
apud Deum, et Deus erat verbum” et iterum ipse ad Parthos: “Tres sunt – inquit –
qui testimonium perhibent in caelo, pater, verbum et spiritus et hi tres unum sunt”».

APPENDICE II

Contributo per un’edizione dell’epistolario


a) Vat. lat. 6177/I, f. 57r-v: Sirleto a Cervini (Roma, 13 febbraio 1546).
[57r] R.mo Monsignor mio osservandissimo. Ho già mandato a V.S.R.ma il
resto de la Vita di san Paolo tradotta et sabbato che fu alle [?] di questo ho dato a
ms Gioan Battista una lettera nella quale dicevo alcune cose de concilii, le quali son
certo che non saranno state senza piacer di V.S.R.ma. Se pure l’havete havuto [?]
adesso, per non mancar dal solito almanco in alcuna posta [?] le fo parte di quel che
ho veduto questi giorni. Ireneo volendo demonstrare con una similitudine come
fanno colloro li quali se servono depravatamente de le sacre scritture, dice queste
parole, nel primo libro nel Cap. primo: «Quomodo si quis regis imaginem bonam
fabricatam diligenter ex gemmis preciosis a sapiente artifice solvens subiacentem
hominis figuram transferat gemmas illas et reformans faciat ex his formam canis vel
vulpeculae et hanc male dispositam dehinc conformet et dicat hanc esse regis illam
imaginem bonam quam sapiens artifex fabricavit, ostendens gemmas quae bene
276 CECILIA ASSO

quidem a primo artifice in regis imagine compositae erant, male vero a posteriore
in canis figuram translatae sunt, et per gemmarum phantasiam decipiat idiotas qui
comprehensionem regalis formae non habeant et suadeat quoniam haec turpis vul-
peculae figura illa est bona regis imago. Eodem modo et hi anicularum fabulas assu-
mentes post deinde sermones et dictiones et parabolas hinc inde afferentes, aptare
volunt fabulis suis eloquia Dei». Se alcuna volta accadesse parlar de la autorità de
Ireneo, oltra che V.S.R.ma potrà allegare quel che dice san Gerolimo nel libro de li
Scrittori Ecclesiastici, potrà anchora allegare san Basilio, il quale nel libro De Spiritu
sancto, nel cap. xxviiii, che è κθ´, servendose del testimonio di quelli che son stati
illustri nella | [57v] chiesa, dice: Εἰρηναῖος δέ, ὁ ἐγγὺς τῶν ἀποστόλων γενόμενος, πῶς
ἐμνήσθη τοῦ Πνεύματος ἐν τῷ πρὸς τὰς αἱρέσεις λόγῳ ἀκούσωμεν. Questo dì passato ritro-
vandose qui uno del paese mio, me son ricordato de un mio maestro, persona certo
molto da bene et literata, il quale è stato uno de li discipuli del Pontano et fa boni
versi. Io volendole mostrar un segno di memoria et gratitudine le ho scritto una
epistola in versi et la intentione mia è consolarlo della sua povertà, mostrandole che
per il più la povertà è amica de virtuosi. Et perché ho finita questa epistola nel
giorno de la festa di santo Antonio ho fatto mentione di quel che fe lui, il quale da
piccolo incominciò a gustar la povertà christiana per amor de le vera virtù [?]. Ho
pensato mandarla anche ai Reverendissimi [?], come quelli Cui omnia mea debeo qua-
liacunque illa sint. Non altro. Resto racomandandomi a V.S.R.ma et pregando Idio per
lei. Di Roma, alli xiii di febraro del 1546.
Servitor minimo di V.S.R.ma
Guglielmo Sirleto de Stilo

b) Vat. lat. 6177/I, ff. 55r-56v: Sirleto a Cervini (Roma, 20 febbraio 1546).
(cit. in Concilium Tridentinum. Epistolarum cit., p. 934, e in PASCHINI, Tre ricerche cit.,
p. 178)
[55r] R.mo Monsignor mio, ho havuto a caro che V.S.R.ma habbi havuto il
resto de la Vita li Canoni et li altri libri [?]. Il giovane greco ha scritto hormai [?] la
mità del Theodoreto Contra le heresie. Spero che presto sarà scritto, et cercaremo
diligentemente nella libraria se potessemo ritrovarne un altro. Per insin’adesso nol
ritroviamo. Questi dì considerando la diversità grande che se ritrova nelle bibie tra-
dotte dal hebreo me son risoluto che la traduttione de li Settanta è molto meglio et
conforme alla santa madre chesa. Prima perché le autorità che son allegate da li apo-
stoli et evangelisti et da tutti li homini et doctori de la primitiva chesa solamente
nella Settanta se ritrovano. Appresso per haver il parer di dottori gravissimi sopra
questo. Non dirò quel che dice Philone nella Vita di Mosè del auttorità di questi,
che pure sarebbe di grandissima importanza essendo lui hebreo et confessando che
per providentia divina fu fatto che questi huomini santissimi habbino tradotto la sua
Lege nella lingua greca senza aggiunger o diminuire acciò che li gentili per questo
mezo havessero ad haver notitia del vero Idio et vera religione et che in quel loco
dove havevano tradotto ogni anno se facea festa in memoria di quelli homeni san-
tissimi. Per non esser di nostri io non dimorerò troppo in recitar a V.S.R.ma le stesse
parole di Philone. Dirò sibene che Ireneo nel iii Contra hereses Cap. XXIIII dispu-
tando contra alcuni li quali partendose da la tradottione de li lxx davano fede alla
tradottione di Theodotione et Aquila Pontico, come dire hoggi a Buccero o Zoin-
glio o Monstero o altri simili, | [55v] dice dunque: «Non ergo vera est quorundam
interpretatio qui ita audent interpretari Scripturam: Ecce adolescentula in ventre
habebit et pariet filium quemadmodum et Theodotion est interpretatus Ephesius et
Aquila Ponticus, utrique judaei proselyti, quos sectati hebionei ex Joseph generatum
LAMPAS CLARISSIMA 277

eum dicunt, tantum dispositionem Dei dissolventes quantum ad ipsos est, frustrantes
prophetarum testimonium quod operatus est Deus». Come dire hoggi, Monsignor
R.mo, quelli li quali in loco di «foderunt manus meas et pedes meos, dinumerave-
runt omnia [?] ossa mea» han detto: «cinxit me ceu leo manus meas et pedes meos,
numerarunt omnia ossa mea». Di questi si potrebbe dir quel midesmo che dice S.
Ireneo in questo loco «quantum in ipsis est prophetarum testimonium frustrave-
runt». Similmente, in loco de dir «irascimini et nolite peccare», dicono «contrami-
scite et ne peccatis». Né se moveno punto [?] che san Paolo alleghi questo loco nella
epistola ad Ephesios nel 4 Cap. in quel modo, «irascimini etc.», et «sol non occidat
super iracundiam vestram». Similmente «filii hominum usque quo gravi corde; o
viri, quousque gloriam meam in ignominiam». Et perciò il Nazanzeno autor gravis-
simus et santissimo la allega in dui o tre lochi [?] che io ho veduto. «Filii hominum
usque quo gravi corde». «Tecum principium in die virtutis», «ex utero ante Lucife-
rum genui te», «Habet promptissimum populum quum edictis tuis cogeas, tibi etiam
est ros generationis eumque in summo decore et sanctitate ex utero aurorae».
V.S.R.ma veda [?] simile [?] potrei dar molti altri lochi diversi, ma non voglio [?]
esser più largo. Seguita Ireneo nel medesimo Cap.: «Prophetatum est quidem prius-
quam in Babylonem fieret populi transmigratio, idest antequam Medi et Persae
acciperent principatum | [56r] interpretatum vero in graecum ab ipsis Iudeis
multum ante tempora adventus Domini nostri, ut nulla relinquatur suspicio ne forte
morem nobis gerentes Iudaei haec ita sint interpretati. Qui quidem si cognovissent
nos futuros et usuros his testimoniis quae sunt ex Scripturis nunquam dubitassent
ipsi comburere Scripturas». Nel Cap. seguente, XXV: «Prius enim quam Romani
possiderent regnum suum, adhuc Macedonibus Asiam possidentibus, Ptolomaeus
Lagi filius cupiens eam bibliothecam quae a se fabricata esset in Alexandria omnium
hominum dignis conscriptionibus implere, petiit a Hierosolymis in graecum sermo-
nem interpretatas habere Scripturas eorum. Illi vero obediebant tunc adhuc Mace-
donibus eos quos habebant perfectiores Scripturarum intellectores et utriusque
loquelae lxx seniores miserunt Ptolomaeo facturos hoc quod ipse voluisset. Ille
autem experimentum eorum sumere volens et metuens ne forte consentientes eam
veritatem quae esset in Scripturis absconderent per interpretationem, separans eos ab
invicem iussit omnes eandem interpretari Scripturam. Convenientibus autem ipsis in
unum apud Ptolemeum et comparantibus suas interpretationes Deus glorificatus est
et Scripturae vere divinae creditae sunt, omnibus eandem et hisdem verbis et hisdem
nominibus recitantibus ab initio usque ad finem, uti et praesentes gentes cognosce-
rent quoniam per aspirationem Dei et [sic] interpretatae sunt Scripturae. […] Cum
igitur tanta veritate et gratia Dei interpretatae sint Scripturae ex quibus praeparavit
et reformavit Deus fidem nostram quae in filium eius est, et servavit nobis simplices
Scripturas in Aegypto […], cumque haec earum Scripturarum interpretatio prius-
quam Dominus noster descenderet facta sit et antequam christiani ostenderentur,
(natus est enim Dominus noster circa primum et | [56v] quadragesimum annum
Augusti imperii) multo autem vetustior fuit Ptolemeus sub quo interpretatae sunt
Scripturae, vere impudorati et audaces ostenduntur qui nunc volunt aliter interpre-
tationes facere, quando ex ipsis Scripturis arguantur a nobis. […] Etenim Apostoli,
cum sint his omnibus vetustiores, consonant praedictae interpretationi, et interpreta-
tio consonat apostolorum traditioni. Etenim Petrus et Ioannes et Mattheus et Paulus
et reliqui deinceps et horum sectatores prophetica omnia ita annunciaverunt quem-
admodum seniorum interpretatio continet». Finalmente dice quel che santo Augus-
tino dice nel 2 libro De doctrina Christiana nel cap. 15: «Septuaginta interpretum –
inquit divus Augustinus – quod ad Vetus Testamentum attinet excellit auctoritas, qui
iam per omnes peritiores ecclesias tanta praesentia Spiritus sancti interpretati esse
278 CECILIA ASSO

dicuntur ut os unum tot hominum fuerit». Da poi altre parole bellissime a questo
proposito, le quali V.S.R.ma sarà bene che le veda, conclude: «Quamobrem etiamsi
aliquid aliter in haebraeis exemplaribus invenitur quam isti posuerint, cedendum esse
arbitror divinae dispensationi quae per eos facta est ut libri quos gens Iudaea caeteris
populis, vel religione vel invidia prodere nolebat credituris per Dominum gentibus
ministra regis Ptolemei potestate tanto ante proderentur». Per un’altra scriverò a
V.S.R.ma alcuni altri testimonii gravissimi sopra questo. Adesso resto raccomandan-
domi a V.S.R.ma et pregando Idio per lei. Di Roma, alli XX di febraro del 1540.
Servitor minimo di V.S.R.ma Gulielmo Sirleto

c) Vat. lat. 6177/I, ff. 61r-62v: Sirleto a Cervini (Roma, 18 marzo 1546).
[61r] R.mo monsignor mio molto osservando, ho veduto in la libraria di N.S.
Antiocho Monacho il quale scrisse il libro per nome chiamato παντέκτη et l’ho quasi
letto tutto per vedere quel che in esso se tracta et in effetto gli è una opera dove se
contengono le regole et institutioni d’uno bon monacho, et a questo proposito
adduce molti exempi et detti et belle sententie di Eremiti et padri santi antiqui,
come santo Antoni[o], santo Esaia Eremita, il beato Ephrem, san Basilio, san Gioan
Chrysostomo, il Nazanzeno et altri simili. Procede in quel modo che san Basilio
nelle sue regole, et non vi è altro che institutioni pertinenti ad monaci. Il libro è
piccolo. Il libro De preparatione evangelica ms Gioan Battista il manda a V.S. R.ma.
Quel De demonstratione non l’habiam visto. Credo che non ve sia, perché non me
ricordo mai haver inteso che ha V.S. R.ma habbi quel De demonstratione. Il Theodo-
rito è scritto assai più de la mita [sic] et questo giovane me dice che al fermo in
meza quaresima sarà finito. Io non manco sollicitarlo. Se forse alcuno dubitasse che
li lxx habbino tradotto tutta la bibia trovandose scritto in Aristea il qual fu legato di
Ptolemeo ad Eleazaro per chiamar quelli lxx et appresso Philone che questi non tra-
dusseno si non la Lege et per questo dicono che non fu tradotto da essi salvo che il
Pentateucho, dico che nomine Legis continebantur Psalmi et reliqui prophetae,
perché se altrimente [sic] fosse il Signore non harrebbe mai detto, allegando nel XV
Cap. di san Giovanni un verso del psalmo 23, «ut adimpleatur sermo qui in Lege
eorum scriptus est, quia odio me habuerunt me gratis». Un’altra volta in san
Gioanne nel cap. X allegando un loco del psalmo 81, «ego dixi dii estis», dice:
«nonne scriptum est in Lege vestra “ego dixi dii estis”?». V.S. R.ma vede che Christo
benedetto chiama li Psalmi anche Lege et per questo credo che | [61v] li lxx hanno
fatto il titulo τὰ βιβλία per demonstrar che haveano tradotti tutti li libri sacri. Se
V.S.R.ma lege Aristea tradotto da Matthia Palmerio pisano, perché non è in stampa
greco, pure io l’ho veduto qui nella libraria, vederà tutta l’historia de li lxx, la caussa
per la quale Ptolemeo mandò ad cheder ad Eleazaro questi interpreti, l’epistole del
uno et de l’altro, li nomi de li lxx, in che modo furono eletti sei per tribu da le xii
tribu, come hebbero grandissima accoglienza dal re, et che Ptolemeo re pianse per
allegrezza quando vidde quelli libri sacri et disse «Haec dies per omne vitae tempus
magna mihi semper in annos erit et celebris, in qua et vos mihi adfuistis, et evenit
ut adversus Antigonum navali praelio victor evaderem. Et quapropter et vos hodie
una mecum convivio laetari volumus». Quo in convivio dicit Aristeas se interfuisse
et a rege lxxii quaestiones propositas fuisse. Cum per septem dies illis convivium
exhibuisset et singulis diebus decem quaestiones decem ex illis proposuisset,
postremo vero die convivii duodecim, ut perficerentur lxxii, quorum responsiones
non solum regem, sed etiam viros doctissimos, qui sibi aderant, fuisse admiratos. In
extremo fere libro idem Aristeas dicit duobus et lxx diebus quasi e composito huiu-
smodi scripturae interpretationem fuisse absolutam. Demetrius Phalereus, qui autor
LAMPAS CLARISSIMA 279

fuerat Ptolemaeo ut libri verterentur, omnem iudaeorum multitudinem in eundem


locum ubi interpretatio perfecta est advocat, rem omnem a principio edocet a prae-
stantibus interpretibus perfectum. Quos universa multitudo maximis gratiis et laudi-
bus prosecuta est, quippe qui praestantium bonorum caussa extiterint. Exinde
Demetrium orant ut Legem huiusmodi transcriptam suis principibus relinquere
velit, donec eius | [62r] interpretationem considerent. Igitur dum lex cognoscitur,
astantes interpretum seniores, urbiumque legati et multitudinis principes una omnes
obtestantur recte sancteque unumquodque interpretum esse, beneque se habere si sic
permaneat neque in uno permutetur. Approbantibus ea omnibus et rogationi
applaudentibus iubet Demetrius ut pro sua consuetudine imprecentur, si quis vel
addere vel mutare, transferre, delereve audeat quicquam ex iis omnibus quae scripta
sunt. Cum universa haec rite explevissent, ut perennis illa sit semperque servetur,
adiurat Demetrius, quae et illi laeto plauso confirmarunt, regique Demetrius ipse gra
tias egit tificatus est maxime quod munus susceptum egregie perfecisset. Rex vero
cum omnia didicisset et legislatoris sententias adeo praeclaras admiratus esset, ait
Demetrio qui fieri potuerit ut haec talia tamque perfecta nemo ex poëtis aut histo-
ricis sibi conscribenda sumpserit. Tum ille, «Cum ob venerandam – inquit – legis
institutionem, tum quia Deus prohibuit, id minime factum est. Nam quidam tantum
opus aggressi mox divina poena percussi, a consilio abstitere». Testaturque se audisse
Theopompum, quoniam ex Lege secretiora quaedam in historiam audacius tran-
sferre conaretur, supra triginta dies mentis turbatione correptum. Qui, cum per
morbi intervalla Deum implorasset, ei manifesto per insomnium demonstratum est
ea gratia id sibi contigisse, quod divina pervertens in vulgus ea proiicere tentasset.
Quibus visis emendatus et menti redditus est. Aitque Aristeas ipse se apud Theodec-
tem, tragoediarum scriptorem comperisse ipsum luminibus captum, dum quaedam
ex huiusmodi libri in suum poëma tranferre vellet, verum ubi eam caecitatis caussam
animadverterit, Deum plures orasse dies, atque ita se restitutum visui affirmat. Tum
rex obtestatur [?] | [62v] haec a Demetrio perpulchre dici, adiurat iubetque ut in
servandis custodiendisque ab omni macula libris summa exhibeatur cura. Da poi
dice in che modo il re remandò questi homini tanto excellenti con grandissimi
doni. La quale historia de Aristea è confirmata da Philone et santo Epiphanio, et
molti altri che scriveno sopra ciò. In una cosa solo disconvengono con Aristea che
comunicassero insiemi innanci che traducesseno et che all’ultimo tutti convenessero.
Il che facciamo che sia cussì, santo Agostino dice che poco importa. «Si autem
(inquit in libro De doctrina christiana, Cap. XV) contulerunt ut una omnium com-
muni tractatu iudicioque vox fieret, nec sic quidem quenquam unum hominem
qualibet peritia ad emendandum tot seniorum doctorumque consensum aspirare
oportet aut decet». Occurrendome altro adviserò V.S.R.ma. Resto basciando le mane
et pregando N. Signor Idio che la mantenghi. Di Roma alli 18 di Martio del 1546.
Servitor minimo di V.S. R.ma
Guglielmo Sirleto

d) Vat. lat. 6177/I, ff. 68r-69r: Sirleto a Cervini (Roma, 10 aprile 1546).
[68r] Rev.mo monsignor mio osservandissimo, a confirmatione de la mia let-
tera de li vii di questo che li testi greci alcuni son più scorretti che li latini et alla
autorità di santo Ambrosio, m’ha apparso aggiongerne questo de più. Per demostrar
che li latini antiqui son più corretti de alcuni greci, nel XV Capitolo de la prima
epistola di san Paolo alli Corinthii vi è questa authorità: «Ecce mysterium vobis
dico, omnes quidem resurgemus, sed non omnes immutabimur». Il testo greco de
adesso dice in tale modo [?]: ἰδοῦ μυστήριον ὑμῖν λέγω, πάντες μὲν οὐ κοιμηθησόμεθα,
280 CECILIA ASSO

πάντες δὲ ἀλλαγησόμεθα, «Non omnes quidem dormiemus, omnes tamen immutabi-


mur». Cussi traduce Erasmo. E lasciamo star che nelle sue annotationi dice che [?]
San Gerolimo habbi vista l’una et l’altra lezione, ma che la seconda è più vera. Hila-
rio in explanatione psalmi LXVII [?] explanans versum illum “omnis consummatio-
nis vidi finem” adducit [?] unum ex divo Paulo eo modo quo legit ecclesia: “omnes
quidem resurgent, sed non omnes commutabuntur”. Origenes etiam contra Celsum,
“omnes quidem – inquit – resurgemus, sed non omnes immutabimur». Vostra Signo-
ria Reverendissima può veder da qui che è vero quel che dica santo Ambrosio sopra
l’epistola ad Romanos, «quosdam latinorum codices veriores esse iis graecis quos
nunc habemus, quippe qui de vetustis graecis conversi sint». Vostra Signoria Reve-
rendissima vede che non solamente santo Hilario, ma anche Origene dottor greco
et antiquo allega questo loco di san Paolo ad quel modo che la santa madre Chiesa
il lege: «Omnes quidem resurgemus, sed non omnes immutabimur». Item in epistola
ad Romanos Cap. XII [v. 11], ubi legitur editione vulgata «Spiritu ferventes, domino
servientes», divus Ambrosius | [68v] in explanatione huius loci haec ait: «Tempori
servientes. In graeco dicitur sic habere “Deo servientes”, quod nec loco competit.
Quid enim opus erat summam hanc ponere totius devotionis, quando singula
membra quae ad obsequia et servitia Dei pertinent memoret? In omnibus enim his
quae enumerat, plenum Deo servitium exhibet venam [?]. Servire tempori quid sit
alibi docet, cum dicit “redimemus tempus quoniam dies mali sunt, ut sciatis quem-
admodum unicuique respondeatis”. Quoniam autem dixerat “spiritu ferventes”, ne
hoc sic acciperent ut passim et importune verba religionis ingererent tempore ini-
mico, per quod forte scandalum excitarent, statim subiecit “tempori servientes” ut
modeste et cum honestate aptis et locis et personis, et apto tempore religionis fidem
loquerentur. Sunt enim quidam, etiam hoc tempore quo pax est, qui sic perhorrent
verba Dei ut audientes cum magna ira blasphement viam Christianam. Nam ipse
servivit tempori quando quod noluit fecit. Invitus enim circumcidit Timotheum et
raso capite purificatus secundum Legem ascendit templum ut judaeorum sopiret
insaniam». Ho voluto scriver tutte queste parole di Sant’Ambrosio per esser notabili
sopra questo loco «tempori servientes», quantunque la editione vulgata lega [sic!]
«Domino servientes», dove se vede che il testo di Santo Ambrosio hebbe καιρῷ et
l’altro [?] κυρίῳ. Item nel XV Cap. di San Mattheo [ver. 8], dove Christo benedetto
allega quelle parole che so’ in Esaia propheta Cap. 29: Populus hic labiis me honorat, cor
autem eorum longe est a me. Erasmo, volendo correger secondo li testi greci de adesso,
dice [?]: «apud graecos plusculum | [69r] est verborum: ἐγγίζει μοι ὁ λαὸς οὗτος τῷ
στόματι αὐτῶν καὶ τοῖς χείλεσί με τιμᾶ, id est «appropinquat mihi populus hic, ore suo
et labiis me honorat». Et pure in la bibia scritta a penna di lettere maiuscule che è
nella libraria di Nostro Signore non ve son più parole di queste: ὁ λαὸς οὗτος τοῖς
χείλεσί με τιμᾶ, ἡ δὲ καρδία αὐτῶν πόῤῥω ἀπέχει ἀπ’ἐμοῦ, «Populus hic labiis me honorat,
cor autem eorum longe est a me». V. S. R.ma vede che il testo antiquo greco con-
corda con il [?] latino.
La tertia domenica di quaresima il procurator di S. Agostino ha detto un’ora-
tione in cappella, la quale fu molto lodata et auscultata con grandissima attentione.
Et il R.mo nostro S.r Morone ha voluto cognoscer il padre procurator et fattole
molte [?] carezze. Et Monsignor B.mo Ridolphi se congratulò con il predetto. Il
suggetto fu in mostrar quanto imperio haveva il Demonio sopra l’humana genera-
tione et quanta fu la benignità et gratia del nostro Salvator, il quale ne liberò da una
servitù et tyrannide tanto acerba. Fundando il ragionamento suo su quel detto del
sacro evangelio di san Luca nel cap. XI, «Cum fortis armatus custodit atrium suum,
in pace sunt ea quae possidet», demostrò che questo era l’inimico il quale senza
disturbo niuno signoreggiava nel mondo. «Si autem fortior illo superveniens vicerit
LAMPAS CLARISSIMA 281

eum, universa arma eius aufert in quibus confidebat». Questo dimostrò che fu il
figliol de Idio, il quale con la sua gratia et potentia espugnò il Demonio, et talmente
il disarmò che qualsevoglia Christiano facilmente il può superare mediante la gratia
del nostro Salvatore, il quale mantenghi V.S. R.ma salva. Di Roma alli X di Aprile
del 1546.
Servitor minimo di V.S. R.ma Guglielmo Sirleto.

e) Vat. lat. 6177/I f. 33r: Sirleto a Cervini (Roma, 17 aprile 1546). Pubblicata (par-
zialmente) in VERCELLONE Studi cit. p. 8, e in Concilium Tridentinum. Epistularum
partes 1-2 (1916), p. 939.
Rev.mo monsignor mio molto osservando. Ho scritto a V.S. R.ma del Greco
che non me parea che restasse contento per la provisione de dui scudi, massime non
essendo d’oro, pure per insin’adesso perche s’acquieti. Non so quel che farà. Non
perde il tempo, perché oltra che insieme riscontriamo il Theodorito, cava certe cor-
rettioni in uno libro de m. Lodovico Beccategli. Ho scritto in una mia a V.S. R.ma
che saria stato bene dar il carico a persone docte in tutte tre lingue che revidesseno
la biblia hebrea, greca et latina, et le conferissino insieme co’ esemplari antiqui, et
facessero una, la quale fusse conforme alla S.ta Madre Chesa et S.ti Padri [i.e. la tra-
dizione], et dove nel hebreo fosse de più, che l’aggiongessero, et anche havessero
boni esemplari greci antiqui, perché ve so’ molte scorrectioni cussi nel greco come
nel latino. Et me par che queste parole d’Herma Letmatio le quali in una lettera ho
scritto a V.S. R.ma son da notare: «Nemo – inquit – hoc ita intelligat ut putet hanc
septuaginta versionem sufficere et propterea hebraicam originem reiiciendam, sed, ut
teste Tertulliano Ptolomaeus fecit, potius utramque coniungi debere [cancellato con
una sottolineatura: oportere], quod illa huic nostrae translationi autoritatem, haec
vero hebraicae veritati multum addat lucis et perspicuitatis». Dico questo perché
alcuni m’han detto, quantunque homini di poco momento, che quella parola che se
dice essere stata determinata in la ultima sessione «ut aeditio vetus et vulgata pro
authentica habeatur» non par che satisfacci. Io l’ho risposto che il parere di tanti
homeni gravissimi et esercitatissimi nella Sacra Scrittura et il Concilio tutto insieme
non se ha d’accomodar al parer di quattro o cinque, ma l’altri conformarse al judicio
di tante persone savie, massime dicendo che sia autentica quella traduttione che la
S.ta madre chesa ha sempre autenticata et tenuta. È ben vero Quella parola «quae
legi consueverunt» me par che risolvi tutto, intendendose da qui che niuna cosa de
novo s’è determinato. È ben vero che volendo determinar una cosa di tanta impor-
tanza credo che saria stato bene dichiarar meglio la cosa parlando de la hebrea, de la
greca et de la latina et determinando che se habbi ad tener quella che per constitui-
tione del Concilio sarà proposta emendata ad fidem veterum exemplarium. Io ho
sentito dir qui alcune chiachare et per questo ne scrivo a V.S. Rev.ma. Resto pre-
gando Idio benedetto per lei. Di Roma alli XVII de Aprile del 1546.
Servitor minimo di V.S.R.ma Guglielmo Sirleto

f) Vat. lat. 6178, f. 29r: Cervini (?) a Sirleto, senza firma né data. Probabilmente con-
segnata a mano, a Roma.
Messer Guglielmo carissimo. Pensando al ordine qual bisognaria tenere a esplicare
bene il ragionamento nostro d’hoggi, mi pareria (quando così paia a voi) che la prima
cosa si provasse bene con gli autori, et con tutti gli altri testimonii della chiesa che si
possono addurre quel che fu fatto in l’hora 3a et quel che in la VIa et quel che in la
IXa *, tal che questa parte si stabilisse bene come fondamento del tutto. Di poi segui-
282 CECILIA ASSO

tando di edificare sopra questo fondamento mostrarei con li esempli del Testamento
Vechio et de li Evangelii medesimi come è costume degli Hebrei de non servar l’or-
dine de le cose nostre [?] et soggiongnerei [sic] anche come gli Evangeli non furo
scritti tanto per historia a populi, quanto per Indice delli Predicatori, ponendo questo
con l’usanza perpetua de la Chiesa di far sempre le Homelie doppo la letione de lo
Evangelio. Et con quella ragione quale è necessaria, che l’Evangelio non fu dato in
scritto, né comandato che si scrivesse, ma predicasse. Et quel che han fatto poi gli
Evangelisti è stato per un memoriale a’ Predicatori che colla voce lo destendessero poi
et esplicassero. Come si vede et legge che fece San Matteo sicondo che nella sua Vita
del Breviario si legge. Ultimamente mi ingegnarei d’assegnar la causa et l’occasione
per la quale San Marco pospose l’hora, et San Giovanni l’anticipò.
CECILIA ASSO
cecilia.asso@libero.it
INDICE

S.E. Mons. V. BERTOLONE, Indirizzo di saluto. . . . . . . . . . . . 5


P. B. ARDURA, Indirizzo di saluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
P. VIAN, Guglielmo Sirleto fra s. Filippo Neri e la Chiesa Nuova. . . 9
L. NOIA - A. PINCITORE, Giorgio Leone, la Galleria di Palazzo Cor-
sini e il convegno su Sirleto: un ricordo . . . . . . . . . . . . . . 13

Premessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
P. PETITMENGIN, Le cardinal Guglielmo Sirleto: homme des livres,
homme du livre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
G. FRAGNITO, Guglielmo Sirleto prefetto della Congregazione dell’In-
dice (1571-1585) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
S. GIOMBI, Guglielmo Sirleto e Marcello Cervini, cardinale legato al
Concilio di Trento: appunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
S. ZEN, Guglielmo Sirleto, l’«Historia Ecclesiastica» e il contributo alla
costruzione degli Annales del Baronio. . . . . . . . . . . . . . 73
L. SINISI, Il cardinale Guglielmo Sirleto e il diritto canonico del suo
tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
V. GROSSI, Sull’entroterra del decreto tridentino De iustificatione (1547).
Girolamo Seripando, Marcantonio Flaminio, Guglielmo Sirleto . . 155
F. BUZZI, Guglielmo Sirleto e Carlo Borromeo. Un’amicizia edificante
al servizio della Riforma cattolica . . . . . . . . . . . . . . . . . 187
P. SACHET, Guglielmo il Greco: Sirleto e i progetti editoriali del cardi-
nale Marcello Cervini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209
C. ASSO, Lampas clarissima. Appunti su Sirleto e la Sacra Scrittura . 221
X. LEQUEUX, Sirleto chez les Théatins du Quirinal (1563-1565). La
patrologie au noviciat. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283
2 INDICE

J.-L. QUANTIN, Sirleto, le concile de Trente et Jean Chrysostome . . . 293


A. BALDONCINI, Sirleto traduttore di Gregorio Nazianzeno . . . . . . 339
A. LUZZI, La traduzione sirletiana della Vita Nili . . . . . . . . . . 357
B. CLAUSI, Sirleto agiografo malgré lui. La leggenda di san Marco in
Calabria e il riuso delle origini cristiane . . . . . . . . . . . . . . 387
B. AGOSTI, Il cardinal Sirleto e il mondo degli artisti (intorno a Capra-
rola) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 421
A.E. SIGNORINI, Guglielmo Sirleto ed Ermete Cavalletti per la reno-
vatio del culto mariano nella Roma di fine Cinquecento . . . . . 433
P. COEN, «A honor de Dio et utilità del prossimo»: il cardinale
Guglielmo Sirleto e il suo rapporto con l’arte nella Chiesa romana
della Madonna dei Monti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453
M.L. AGATI, I manoscritti greci grammaticali di Sirleto, con l’identifica-
zione di nuovi testimoni di Erotemata . . . . . . . . . . . . . . 473
G. DE GREGORIO - D. SURACE, Giovanni Santamaura, copista al ser-
vizio del cardinale Guglielmo Sirleto . . . . . . . . . . . . . . . 495
S. LUCÀ, Guglielmo Sirleto e Francisco Torres . . . . . . . . . . . . 533

Indici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 603
Indice dei manoscritti e dei documenti d’archivio . . . . . . 605
Indice dei passi biblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 615
Indice dei nomi di luogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 617
Indice dei nomi di persona . . . . . . . . . . . . . . . . . . 623

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