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di Silvio Mara
1 Il manoscritto viene citato nell’inventario Cabella del fondo Bossi, che fu com-
pletato nel 1982 (copia dattiloscritta, segn. K 111 suss.)
2 Per ulteriori notizie biografiche sul conte Antogioseffo (o Anton Giuseppe) della
Torre di Rezzonico si vedano: GUIDO FAGIOLI VERCELLONE, Della Torre di Rezzonico, Anton
Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXX, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 1984, pp. 671-74; CLAUDIA COLLINA, Critica, storia dell’arte e due brevi epistolari
di Antongioseffo e Carlo Castone della Torre di Rezzonico, in “L’Archiginnasio”, XCVII
(2002), p. 185.
3 Baldassarre Oltrocchi e le sue memorie storiche su la vita di Leonardo da Vinci, a cura di
Saverio Ritter, Roma, P. Maglione e C. Strini, 1925.
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Bisogna precisare che nel Fondo Bossi vi sono altri materiali ricondu-
cibili al Rezzonico. Infatti si conservano altri scritti che gli appartenne-
ro come ad esempio la lettera che Andrea De Carli gli spedì il 14 settem-
bre 1782 (segn. S.P. 6/13 A, fasc. a, f. 26), che reca in allegato una copia
del disegno di Leonardo un tempo posseduto dall’oblato Antonio Mussi
in cui è raffigurata la testa del Cristo così come appare nel Cenacolo delle
Grazie. Il disegno è poi accompagnato da una dissertazione che ne spie-
ga la storia e il soggetto. Sempre sotto la stessa segnatura nel fasc. b, ai
ff. 41-75, si trova un altro autografo del Rezzonico contenente la Vita di
Leonardo, Michelangelo e di Raffaello trascritta da un antico manoscritto di
Paolo Giovio che stava presso di lui. Infine sotto la segnatura S.P. 6/13.
H, oltre alla biografia di Leonardo, al f. 584 c’è una lettera che il biblio-
tecario Ireneo Affò inviò al Rezzonico il 28 gennaio 1781.
Mi sono interrogato sul come e sul perché questi materiali siano giunti al
Bossi, al proposito mi sento di formulare alcune possibili spiegazioni. La
prima, forse la più semplice, è che qualcosa al tempo del Bossi si fosse con-
servato tra le carte manoscritte che contengono le Memorie su Leonardo di
Baldassarre Oltrocchi. Queste carte, come è noto, furono esaminate e utiliz-
zate da Carlo Amoretti e forse trasmesse al Bossi. Ciò è possibile perché fu il
conte a richiedere ad Oltrocchi uno spoglio dei codici vinciani alla ricerca di
utili notizie biografiche. Ne consegue che gli studi su Leonardo del Rez-
zonico sono i primi in ordine di tempo e si collocano prima delle Memorie
dell’Oltrocchi,5 e di conseguenza prima dell’importante biografia vinciana
pubblicata dall’Amoretti nel 1804 come prefazione al Trattato della pittura di
Leonardo.6 Più verosimilmente fu l’Amoretti a rivelare al Bossi l’esistenza
degli studi del Rezzonico, come si deduce da una lettera del 22 marzo 1810,7
ma non è scontato che il pittore bustocco abbia fatto richiesta per ottenere il
manoscritto direttamente al Cigalini divenuto erede del Rezzonico. La me-
diazione dell’Oltrocchi forse non era necessaria in quanto Bossi conosceva già
il Cigalini. Nel suo Diario trovo infatti che nel gennaio 1808 aveva fatto la
conoscenza del marchese Marco Cigalini visitando la sua casa di Como.8
passato tutto questo giorno dal Marchese Marco Cigalini. Egli ha belle medaglie, bei qua-
dri, bei disegni, bei libri, e bellissima moglie. Quest’ultima ed un’Accademietta di
Raffaele mi hanno lasciato un gran desiderio. Ma il desiderio per le persone de’ vivi è assai
più inquieto che quello delle opere de’ morti».
9 Si tratta del cosiddetto Codice Sforza, menzionato unicamente dal Lomazzo e mai
rintracciato. Per la citazione completa del brano si veda GIOVANNI PAOLO LOMAZZO, Scritti
sulle arti, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Firenze, Marchi & Bertolli, 1973, pp. 87-89.
10 CARLO PEDRETTI, I manoscritti “inediti” di Leonardo ricercati da Giuseppe Bossi a
Napoli: autografi o apografi?, in “Achademia Leonardi Vinci”, IX (1996), pp. 136-39.
11 Il diario venne pubblicato prima da GIORGIO NICODEMI, Giuseppe Bossi. Un diario,
autografi vari, il carteggio con G.G. Trivulzio e due poesie, in “Archivio Storico Lombardo”,
XXXVII (1960), pp. 587-648, e poi da R.P. Ciardi in GIUSEPPE BOSSI, Scritti sulle arti,
Firenze, Spes, 1982.
Una biografia inedita di Leonardo 869
Sarebbe desiderabile, che il Sig. D. Vincenzo Corazza, uno de’ più va-
lenti conoscitori del bello, intraprendesse di tutto questo Trattato del
Vinci una nuova edizione, inserendovi a proposito que’ frammenti, o
interi Capitoli inediti, ch’egli dice d’avere. L’opera per se stessa interes-
sante lo diverrebbe ancora più, mentre con tali aggiunte si toglierebbe-
ro forse alcune oscurità, che vi s’incontrano, specialmente dai princi-
pianti. È questo il solo difetto ragionevole, che dai conoscitori trovasi
nel Trattato del Vinci, se pure per ragionevole non vuolsi adottare anche
la capricciosa censura, che di questa, o di altr’opera del Vinci azzardò
Federico Zuccaro (Pittoriche To. VI. p. 135), con onorare anche l’autore
de’ titoli di sofistico, e di fanatico.12
l’apografo XII D 79 del Trattato della pittura è in corso lo studio di Alfredo Buccaro (si
incominci a vedere: A. BUCCARO, Ingegneria tra scienza e arte: il Codice Corazza e la per-
manenza del modello Vinciano nella cultura napoletana, in S. D’AGOSTINO (a cura di), Storia
dell’ingegeria: atti del secondo Convegno nazionale, Napoli, Cuzzolin, 2008.
15 Francesco Montignani a Vincenzo Corazza, Bologna, 10 maggio 1772; ms. X
AA 29bis/7.
16 Nel carteggio si trovano alcune lettere inviategli da Antonio Magnani, bibliote-
cario dell’Istituto, che richiede diverse consulenze in ambito artistico; cfr. ms. X AA
29bis/10.
Una biografia inedita di Leonardo 871
giorni dopo torna brevemente sulla questione: «Non lascio però ciò che più
mi preme e si è che mi scriva come mi devo contenere con l’Imperatrice
delle Russie circa il suo manoscritto, e me ne mandi un piccolo detta-
glio».18
Negli anni successivi con la nomina a precettore alla corte borbonica
l’affare non doveva più interessarlo, tuttavia a otto anni di distanza Quaren-
ghi si rifaceva vivo con una lettera inviata da Pietroburgo in cui scriveva:
anni di distanza nel 1831 pervenne alla Giunta della Biblioteca una sup-
plica di Luigi Corazza, figlio di Sebastiano e nipote di Vincenzo, che richie-
deva la prosecuzione dell’«assegnamento di ducati tre al mese, che perce-
piva dall’abolita Real Cassa privata a titolo di compenso per alcuni mano-
scritti offerti in dono dal di lui padre al defunto Sovrano Francesco I di glo-
riosa memoria, ed esistenti in questa Real Biblioteca». Il presidente Mon-
signor Rosini nega che possa essere traccia di questa vicenda nelle carte
della Giunta istituita nel 1802 e perciò suppone che l’episodio si riferisca
ad un periodo anteriore, poi conferma la presenza dei tre succitati codici e
riporta la tradizione orale secondo cui i codici sarebbero stati donati da don
Sebastiano Corazza, dopo la morte del padre Vincenzo.21
Due dei tre codici, il XII D 80 e il XII D 81, sono autografi del
Corazza e rispettivamente copia dal codice Vat. Barb. lat. 4332 e una
sorta di trattazione suddivisa in tre parti che contengono uno spoglio dei
termini tratti dai codici XII D 79 e XII D 80, mentre il codice XII D
79 è un apografo del XVII secolo del Trattato della Pittura, nonché copia
calligrafica del ms. H 229 inf. dell’Ambrosiana.
In definitiva le informazioni sui manoscritti leonardeschi posseduti dal
Corazza sono poco circostanziate e non permettono di stabilire cosa vera-
mente l’abate aveva tra le mani. D’altronde è verosimile che a Bologna si sia
fatto una conoscenza di Leonardo attraverso lo studio dei suoi scritti,22 in-
fatti secondo diversi indizi nella città si dovevano conservare suoi autografi
o presunti tali. Nel carteggio Corazza viene insistentemente citata la Biblio-
teca dell’Istituto di Scienze e non sembra casuale il fatto che nelle stesse let-
tere vi siano richieste di delucidazioni riguardo al Vinci, come a sottinten-
dere un nesso implicito. Inoltre va considerato che Corazza è in rapporto
epistolare col bibliotecario dell’Istituto, Antonio Magnani, cui offre diverse
consulenze. L’Istituto pare essere molto impegnato nella divulgazione e stu-
dio di Leonardo, e non a caso nel 1786 curerà l’edizione bolognese del Trat-
tato della Pittura, che però dipende in gran parte da quella del Du Fresne.
23 Si cita a proposito l’Orlandi che nel 1704, scriveva: «Leonardo da Vinci compose molti
altri libri d’acque, di machine etc. ed altri ne scrisse con la sinistra mano. Molti manoscritti
spettanti alla pittura di questo celebre Autore si ritrovano nella famosa libreria di San Michele
in Bosco fuori di Bologna» (PELLEGRINO ANTONIO ORLANDI, Abecedario pittorico nel quale com-
pendiosamente sono descritte le patrie […], Bologna, Per Costantino Pisarri, sotto le scuole, 1704,
p. 399). Si veda inoltre il Richardson che nel 1728 scriveva: «J’ai vu d’autres feuilles détaché-
es, avec des Notes sur la Peinture, & quelques Lettres de LEONARD DE VINCI, si je ne me
trompe, dans la Biblithèque de S. Michel du Bois, à Bologne», (JONATHAN RICHARDSON,
Traité de la peinture, et de la sculpture, III, Amsterdam, Chez Herman Uytwerf, 1728, p. 37).
24 Nella lettera del 22 novembre 1757 il Crespi rispondeva: «Lo stesso signor Abate
non sa che vi siano qui lettere di Lionardo, tuttavia se ne farà una diligentissima ricerca».
Poi aggiunge: «So bene che nella Libreria degli Olivetani in San Michele in Bosco è un
manoscritto del Vinci trattante di pittura». E il 28 gennaio dell’anno successivo: «Nel ricer-
care le maggiori notizie del ms. delle lettere del Vinci presso i PP. Olivetani ho sentito con
dispiacere non esservi più, nè sapere dove siasene andato» (GIOVANNI BOTTARI - STEFANO
TICOZZI, Raccolta di lettere sulla Pittura, Scultura ed Architettura, IV, Milano, per Giovanni
Silvestri, 1825, pp. 414, 418).
25 Biblioteca Comunale di Como, ms. A-3-IX 1, f. 84.
Una biografia inedita di Leonardo 875
26 Del lavoro di trascrizione parla ancora una volta coll’amico Trivulzio in data 28
luglio: «La faticona che mi ammazza è la copia d’un codice della Biblioteca Reale, di
450 pagine con centinaja di schizzi e disegni, che è estratto, se non erro, di quanto era
all’Ambrosiana di mano del Vinci. Sono circa alla metà, e puoi credere se ne bramo il
fine. Ma ad ogni modo ora ho una serie d’opere del Vinci, che farà maravigliare, quan-
do la pubblicherò. Ma vi vuol tempo e danari, senza che la mia buona volontà è inuti-
le. Considero anche fatica il dover cercare le bellezze del paese fra i pericoli degli assas-
sini, e facendo lunghe corse, che rubano gran tempo». Non sapeva il Bossi che ciò che
stava trascrivendo era copiato a sua volta da manoscritti esistenti in Ambrosiana. Lorena
Corti nella sua tesi di laurea ha trascritto e studiato il manoscritto S.P. 6/13 D, ff. 1-
24, 95-201, contenente parte della trascrizione fatta dal Bossi (LORENA CORTI, Il mano-
scritto di Giuseppe Bossi Ambrosiano S.P. 6/13 D, Università Cattolica del Sacro Cuore, a.a.
1999/2000, rel. Claudio Scarpati).
27 G. BOSSI, Del Cenacolo di Leonardo da Vinci libri quattro, Milano, dalla Stamperia
Reale, 1810 (ma uscito nel 1811).
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è completa e nella narrazione dei fatti vinciani non va oltre il periodo mila-
nese. Tutto il lavoro del Rezzonico mostra un notevole aggiornamento
bibliografico e non disdegna gli scritti autografi di Leonardo e le fonti a lui
contemporanee. Spesso la critica ha sottolineato con enfasi il grande meri-
to dell’Oltrocchi, che, come è noto, intraprese la prima e importante tra-
scrizione dai codici di Leonardo in Ambrosiana. Raramente è stato ricor-
dato che tale lavoro gli fu richiesto espressamente dal Rezzonico, che visi-
tò l’Ambrosiana e analizzò sommariamente tutti i codici vinciani, scriven-
done una breve ma precisa descrizione.31
È quanto mai difficile datare questo brano e quindi stabilire in che
anno Rezzonico visitò l’Ambrosiana, perché il testo non fornisce alcun
dettaglio che possa suggerire un appiglio cronologico. Il Monti, che lo
trascrisse nel 1914, nel titolo suggeriva che questa visita si fosse svolta
nel 1779, ma non spiega in alcun modo come sia arrivato a questa con-
clusione e pertanto non mi sento di confermarla. Penso che questa testi-
monianza sia molto interessante perché si tratta forse del primo resocon-
to abbastanza preciso dei manoscritti vinciani, prima che venissero tra-
fugati dai francesi. Infatti, come afferma lo stesso Rezzonico, prima di lui
molti autori avevano riferito notizie abbastanza generiche ingannandosi
anche sul numero dei codici. Perciò può essere utile soffermarsi anche per
comprendere cosa più interessasse al Rezzonico di questi codici. Ovvia-
mente non siamo di fronte a una trattazione esaustiva ma ad una veloce
ricognizione, che tuttavia tiene a fornire alcuni dati precisi e univoci. La
descrizione parte col Codice Atlantico di cui ci offre una dettagliata
descrizione esterna, informazioni sulla provenienza e che constava di 393
fogli.32 Quanto al contenuto pare che il conte sia stato particolarmente
attratto dai disegni di opere idrauliche, che a lui parevano progetti per
opere reali eseguite da Leonardo. All’interno della Vita di Leonardo ho
riscontrato diversi riferimenti ai disegni del Codice Atlantico, poiché
spesso Rezzonico restava ammirato dalla loro precisione e li usava per
argomentare le sue ipotesi. Un’attenzione particolare è riservata alle
notazioni biografiche di Leonardo, poiché utili a chiarire la cronologia
vinciana e la stesura dei manoscritti.
31 SANTO MONTI, Vinciana II, in “Periodico della Società storica per la provincia e
diocesi di Como”, XXI (1914-15), pp. 69-79.
32 In effetti sappiamo che nello sfogliato dovevano risultare sei fogli in meno, quin-
di il resoconto del Rezzonico è corretto.
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43 PAMELA M. JONES, Federico Borromeo and the Ambrosiana: Art Patronage and Reform in
Seventeenth-Century Milan, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, pp. 271, 356.
44 ALESSANDRO ROVETTA - MARCO ROSSI - STEFANIA VECCHIO, Pinacoteca Ambrosia-
na, III, Milano, Electa, 2006, p. 354.
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della Vergine delle Rocce e delle tavole con Angeli musicanti e cantori una volta
facenti parte dell’organo di San Francesco Grande, ora conservate nella
Collezione Sormani e attribuite allo Zenale. Questi due brani si sono rive-
lati di grande interesse perché contengono dei dettagli finora sconosciuti.
La descrizione della Vergine delle Rocce permette di confermare la rico-
struzione recentemente proposta da Cristina Passoni45 per l’altare
dell’Immacolata Concezione prima della soppressione della chiesa e del-
l’alienazione dell’ancona principale. Rezzonico scrive:
Tra le molte opere, che il Vinci stando in Milano con mirata arte trava-
gliò, campeggia certamente il quadro esistente nella chiesa di San
Francesco, e venne di grande ornamento alla Cappella appellata della
Concezione Immacolata della Vergine. S’incontra al lato dell’altar mag-
giore entrando in chiesa dalla vicina strada di Santa Valeria. Ne parlano
il Lomazzo, lo Scaramuccia, il Sant’Agostino, Latuada, Sormani etc. Nella
collezione di varj disegni d’eccellenti pittori, che il Cardinal Federigo
Borromeo donò alla biblioteca Ambrogiana vi sono due teste d’angeli
appartenenti a questa tavola; ma nella cappella sono le figure poste più in
grande. Di ciò che appartiene al libro dell’Ambrogiana se ne parla altro-
ve. Era il quadro della Vergine in mezzo ai due Angeli, ma di poi sconsi-
gliatamente venne posto più in alto, ed a quello fu sostituita una statua
di marmo di Maria Vergine, opera che bastantemente dimostra la medio-
crità dell’artefice. Ma questo non è di grave danno al quadro; uno molto
più lagrimevole si è l’ingiuria recata allo stesso travaglio del Vinci con
idea di ripulirlo, e lavarlo; per la qual cosa, molti anche a giorni nostri,
credono che alienandosi l’originale di Leonardo, siane l’accennato una
copia. Per me mi attengo al sentimento di Gaetano Callani, il quale sde-
gnandosi del torto fatto all’opera del Vinci: ciò nonostante vi riconosce i
tratteggiamenti della sua inarrivabile mano.
Come si può leggere innanzitutto viene precisato che la tavola stava nella
cappella a fianco dell’altare entrando dalla via Santa Valeria, cioè la cappella
alla destra dell’altare. Questa è la collocazione che le fu data nel 1576 in
seguito alla prescrizione del visitatore apostolico Gerolamo Ragazzoni. La
Passoni propone una ricostruzione del primitivo altare, che stava addossato
alla parete interna della chiesa in posizione opposta rispetto al presbiterio.
45 MARIA CRISTINA PASSONI, Nuovi documenti e una proposta di ricostruzione per l’anco-
na della Vergine delle rocce, in “Nuovi studi: rivista di arte antica e moderna”, IX-X
(2004-2005), 11, pp. 177-97.
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Questa struttura, che già era stata smontata e rimontata nel 1576 con par-
ziali modifiche per adattarla alla cappella che era di San Bonaventura, dovet-
te mutare completamente dopo il rifacimento quasi totale della carpenteria
voluto dal priore della confraternita nel 1579. I documenti lasciano pensare
che già dall’origine l’ancona fosse a due registri, con le tavole dipinte nel
registro inferiore e la statua della Madonna col Bambino in quello superio-
re. Il nuovo altare del 1579 mantenne la stessa disposizione.
La Passoni poi ricava dall’inedito inventario del 19 febbraio 1781,
che la tavola di Leonardo era stata spostata nel registro superiore e la sta-
tua nell’inferiore. Quest’ultimo dato concorda perfettamente con la ver-
sione fornita dal Rezzonico.
Se fosse possibile provare l’esistenza dei disegni che il Rezzonico ci
assicura essere preparatori o comunque riferibili alle teste degli angeli
che affiancavano la Vergine delle Rocce, certo sarebbe una grande conquista
per la critica e certamente fornirebbe un contributo al dibattito sull’at-
tribuzione delle due tavole della National Gallery. Purtroppo i disegni
cui si riferisce il Rezzonico sembrano essere scomparsi, forse nello smem-
bramento del «Libro di disegni».
Inoltre in questa descrizione si riferisce che l’ancona fu malamente
«lavata» al punto che molti la credevano una copia dell’originale. Molto
interessante è poi la citazione del pittore e scultore Gaetano Callani,46
noto a Milano per l’esecuzione della decorazione plastica nella Sala delle
Cariatidi a Palazzo Reale. Sappiamo con certezza che l’artista soggiornò
a Milano dal 1774 al 1780, perciò possiamo dedurre che la relazione del
Rezzonico si collochi entro questo arco cronologico. Stupisce il fatto che
il Rezzonico l’abbia interpellato in quanto esperto di Leonardo, tuttavia
è possibile che si sia fatto delle conoscenze al riguardo anche grazie
all’amicizia con Agostino Gerli,47 di cui sposò nel 1777 la figlia Angela.
Come ricordato precedentemente, Rezzonico si sofferma a descrivere
un’altra opera che stava nella chiesa di San Francesco. Si tratta delle tavole
con Angeli musicanti, opere che hanno sempre goduto di una notevole for-
tuna critica testimoniata anche dai frequenti spostamenti e passaggi colle-
zionistici.48 Le tavole dipinte costituivano il parapetto dell’antico organo
della chiesa di Santa Maria di Brera a Milano, l’organo doveva presentare
una forte monumentalità, componendosi oltre che del parapetto, di due
ante con figure di profeti in prospettiva. In seguito alla soppressione
dell’Ordine degli Umiliati nel 1571, la chiesa e il monastero di Santa
Maria subirono radicali rinnovamenti. Perciò l’organo fu smontato e cedu-
to ai padri conventuali di San Francesco Grande, che proprio in quegli anni
stavano portando avanti un analogo programma di rinnovamento edilizio
che coinvolgeva l’intera area presbiteriale. Le tavole, di cui fu certamente
riconosciuto il grande valore, furono collocate in posizione di rilievo sul
lato sinistro del presbiterio. I dipinti, che già recavano un’attribuzione al
Bramantino,49 vennero improvvisamente nobilitati dopo l’assegnazione
che fece Carlo Torre dei soli Angeli al pennello del Vinci.50
Il motivo della diversa attribuzione stava forse nella nuova collocazio-
ne delle tavole con Profeti, poste sopra le porte laterali della chiesa, come
ci testimoniano il Bartoli,51 il De Pagave52 e il Bianconi.53 Gli Angeli al
contrario seguirono a partire da una data imprecisata la via collezionisti-
ca. Si sa con certezza che le tavole erano già nella collezione di Gian
Matteo Pertusati prima del 1733, anno in cui vengono registrate nel-
l’estratto dell’eredità del conte al figlio Carlo.
48 Per una ricognizione completa delle vicende si veda la scheda di PAOLA ASTRUA
in AA.VV., Zenale e Leonardo: tradizione e rinnovamento della pittura lombarda, Milano,
Electa, 1982, pp. 158-64, e una sintesi più recente nella scheda di STEFANIA BUGANZA
nel catalogo della mostra Il Cinquecento lombardo. Da Leonardo a Caravaggio, a cura di
Flavio Caroli, Milano-Firenze, Skira-Artificio, 2000, pp. 92-93, cat. III.7.
49 Il Resta fece uno schizzo del pannello centrale con Angeli cantori attestandone
l’autografia bramantinesca (GIULIO BORA, I disegni del Codice Resta, Cinisello Balsamo
[Mi], Credito Italiano, 1976, n° 19, pp. 15, 267).
50 CARLO TORRE, Il ritratto di Milano, Milano, per gl’Agnelli scult. & stamp., 1714
(I ed. 1674), p. 268.
51 FRANCESCO SAVERIO BARTOLI, Notizia delle pitture, sculture ed architetture che orna-
no le chiese e gli altri luoghi pubblici di tutte le più rinomate città d’Italia […], Venezia, pres-
so Antonio Savioli in Merceria, 1776, p. 162.
52 WILLIAM SUIDA, Bramante pittore e il Bramantino, Milano, Ceschina, 1953, pp.
234-35.
53 CARLO BIANCONI, Nuova guida di Milano per gli amanti delle belle arti e delle sacre,
e profane antichità milanesi, Milano, nella Stamperia Sirtori, 1787, p. 281.
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però a mio giudizio andrebbe rivista alla luce di quanto è emerso dai
manoscritti del Rezzonico.
L’incisione è di Domenico Cunego, reca la data 1782 ed è tratta da un
disegno di Gaetano Callani, che è stato rintracciato nella Biblioteca Pa-
latina di Parma e pubblicato anch’esso in due occasioni.55 Di questa inci-
sione esiste anche un esemplare identico presso l’Ente Raccolta Vinciana.
In base ad una notizia tramandata dall’Allegri Tassoni,56 che a sua volta
deve averla ricavata dal manoscritto di fine Ottocento compilato dallo Sca-
rabelli Zunti,57 la critica ha sempre accettato che l’incisione sia tratta da un
dipinto che il Callani avrebbe eseguito per un «milord» inglese. Così com’è
riportata la notizia appare molto incerta, e nessuna fonte al momento può
attestarla con certezza. Inoltre se si osserva la strana iconografia di questo
ritratto, non si possono negare le sorprendenti attinenze con la fatica lette-
raria del Rezzonico, di cui quest’incisione pare essere una perfetta sintesi.
Vediamo un Leonardo seduto e in vesti settecentesche,in posizione di as-
soluto rilievo su uno scranno, quasi a ricordare il suo ruolo di presunto fon-
datore di Accademia. Fondamentale richiamo all’opera del Rezzonico è un
dettaglio finora sfuggito alla critica: Leonardo infatti tiene appoggiata alla
mano sinistra una «lira». Si tratta dello strumento di sua invenzione che qui
corrisponde fedelmente alla descrizione fattane dal Rezzonico, che riteneva
avesse una cassa d’argento a forma di cranio di cavallo su cui erano fissate 24
corde.
Il fastoso ambiente in cui sta Leonardo è affollato da richiami molto pre-
cisi a una serie di oggetti che simboleggiano le arti in cui il Vinci eccelle-
va. A simboleggiare la pittura sta una tavolozza appoggiata sul tavolo, per
al XIX secolo, a cura di Clelia Alberici e Mariateresa Chirico De Biasi, Milano, Electa,
1984, scheda 172, pp. 122-23. Si vedano anche le schede critiche di FEDERICO
TOGNONI in AA.VV., L’immagine di Leonardo: testimonianze figurative dal XVI al XIX sec.,
a cura di R.P. Ciardi, Carlo Sisi, Firenze, Giunti, 1997, scheda 1.15, pp. 91-92, e di
EDOARDO VILLATA, in AA.VV., Leonardo da Vinci, la vera immagine: documenti e testimo-
nianze sulla vita e sull’opera, a cura di Vanna Arrighi - Anna Bellinazzi - E. Villata,
Firenze, Giunti, 2005, scheda 1.4, p. 113.
55 G. ALLEGRI TASSONI, Gaetano Callani (1736-1809), in “Aurea Parma”, LIX
(1975), pp. 32-58, tav. V; la scheda 1.4, p. 113 di E. VILLATA, in AA.VV., Leonardo da
Vinci, la vera immagine.
56 G. ALLEGRI TASSONI, Gaetano Callani (1736-1809), p. 48.
57 Si tratta del ms. 116 conservato presso la Sovrintendenza alla Galleria di Parma.
Lo Scarabelli Zunti aveva composto una biografia del Callani in base alle carte trovate
in archivio.
888 Silvio Mara
finora inosservato (E. MOTTA, Il restauro del Cenacolo nel secolo XVII e l’auto-difesa del pit-
tore Mazza, in “Raccolta vinciana”, III [1907], p. 128).
59 Di questo pittore si conosce veramente poco, l’unico a parlare di lui pare sia
Giovanni Battista Giovio che gli dedica una scarna biografia (G.B. GIOVIO, Gli uomini della
comasca diocesi nelle arti, e nelle lettere illustri, Modena, Presso la Società Tipografica, 1784, p.
235). Il pittore realizzò parte degli affreschi per il rinnovato palazzo Giovio a Como, sap-
piamo anche che nel 1784 doveva essere ultrasessantenne e che dimorava in Milano. La col-
laborazione col Rezzonico è attestata dal Giovio, che ricorda un affresco realizzato per lui a
Como, ma anche dai manoscritti del conte che lo ricorda assieme al Callani esprimere un
giudizio sul Cenacolo (Bibl. Com. Como, ms. A-3-IX-1 o, f. 26).
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