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UNA BIOGRAFIA INEDITA DI LEONARDO SCRITTA

DAL CONTE DELLA TORRE DI REZZONICO

di Silvio Mara

Il Fondo Bossi dell’Ambrosiana conserva, sotto la segnatura S.P. 6/13


H, dal f. 447 al f. 538r,1 un’inedita biografia di Leonardo da Vinci, scrit-
ta in lingua latina e italiana dal conte Antongioseffo della Torre di
Rezzonico (Como, 1709-Parma, 1785).2
Rezzonico, proveniente da una facoltosa e nobile famiglia comense,
dopo una brillante carriera militare conseguita sul campo e grazie ai ser-
vigi resi durante la guerra di successione austriaca, si stabilì definitiva-
mente nella città di Parma dove ottenne la qualifica di castellano della
cittadella (1765) e gentiluomo di camera con esercizio di sua Altezza
Reale. Grazie al tempo libero che l’incarico per lo più onorifico gli garan-
tiva, si dedicò assiduamente agli studi umanistici, che già in famiglia
erano stati coltivati proficuamente dal padre. È verosimile, come tra l’al-
tro fa presumere l’introduzione alle Memorie storiche del prefetto
dell’Ambrosiana Baldassarre Oltrocchi,3 che una volta conclusa e pubbli-

1 Il manoscritto viene citato nell’inventario Cabella del fondo Bossi, che fu com-
pletato nel 1982 (copia dattiloscritta, segn. K 111 suss.)
2 Per ulteriori notizie biografiche sul conte Antogioseffo (o Anton Giuseppe) della
Torre di Rezzonico si vedano: GUIDO FAGIOLI VERCELLONE, Della Torre di Rezzonico, Anton
Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXX, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 1984, pp. 671-74; CLAUDIA COLLINA, Critica, storia dell’arte e due brevi epistolari
di Antongioseffo e Carlo Castone della Torre di Rezzonico, in “L’Archiginnasio”, XCVII
(2002), p. 185.
3 Baldassarre Oltrocchi e le sue memorie storiche su la vita di Leonardo da Vinci, a cura di
Saverio Ritter, Roma, P. Maglione e C. Strini, 1925.
866 Silvio Mara

cata la sua opera fondamentale sull’Historia naturalis di Plinio4 si sia


occupato della redazione di una biografia vinciana. Rezzonico rappresen-
ta la figura del tipico erudito settecentesco. Fu uno scrittore prolifico ma
le sue opere sono poco note rispetto al figlio Carlo Castone, direttore
dell’Accademia di Parma, anche perché gran parte dei suoi studi rimase-
ro in forma manoscritta.
Un affondo tra le sue carte e in particolare quelle relative a Leonardo
da Vinci ha permesso di riscontrare elementi degni di nota, e a ragione
si può dire che nel complesso la sua biografia può costituire un impor-
tante tassello per la moderna storiografia leonardesca.
Purtroppo il lavoro del Rezzonico non ebbe mai la dignità delle stam-
pe e fu quasi del tutto ignorato fino ai primi del Novecento, quando il
sacerdote comasco Santo Monti (1855-1923) riuscì a recuperarlo presso i
discendenti Ordoño de Rosales assieme a una gran quantità di manoscrit-
ti dei più disparati argomenti. Il Monti si accorse subito dell’importanza
degli scritti di argomento leonardesco e auspicò fin da subito una loro pub-
blicazione integrale. L’impresa non gli riuscì e pubblicò solamente una Vita
di Leonardo che comparve suddivisa in tre parti sul “Periodico della Società
storica per la provincia e diocesi di Como” a partire dal 1912. Anche l’ope-
ra di trascrizione del Monti, seppur limitata, restò lettera morta e non
venne ripresa dagli studiosi; nel frattempo però i manoscritti che aveva rac-
colto giunsero alla Biblioteca Comunale di Como, dove sono tuttora con-
servati. Lo spoglio completo del faldone di Como con segn. A-3-IX 1 (a-
z), che contiene tutti i manoscritti autografi del Rezzonico di argomento
vinciano e leonardesco per un totale di oltre 500 fogli, ha permesso di com-
prendere la vastità degli studi intrapresi dal Conte (che non furono mai
portati a compimento), e in secondo luogo ha rivelato l’arbitrarietà della
trascrizione del Monti che, per poter presentare una narrazione continua,
riassemblò dei brani in origine separati senza nemmeno rispettare una con-
sequenzialità cronologica. Perciò in assenza di ulteriori dati documentari
la biografia di Leonardo conservata nel Fondo Bossi è certamente da prefe-
rirsi poiché rappresenta senza dubbio l’ultima e più affidabile redazione.

4 ANTON GIUSEPPE DELLA TORRE DI REZZONICO, Disquisitiones Plinianae, in quibus


de utriusque Plinii patria, rebus gestis, scriptis, codicibus, editionibus atque interpretibus agitur,
2 voll., Parmae, excudebant Borsini fratres, 1763-67. L’opera doveva essere conclusa già
dal 1756, come si apprende dalla lettera a Baldassarre Oltrocchi del 10 dicembre (cfr.
Ambr. X 337 inf., II, n° 66).
Una biografia inedita di Leonardo 867

Bisogna precisare che nel Fondo Bossi vi sono altri materiali ricondu-
cibili al Rezzonico. Infatti si conservano altri scritti che gli appartenne-
ro come ad esempio la lettera che Andrea De Carli gli spedì il 14 settem-
bre 1782 (segn. S.P. 6/13 A, fasc. a, f. 26), che reca in allegato una copia
del disegno di Leonardo un tempo posseduto dall’oblato Antonio Mussi
in cui è raffigurata la testa del Cristo così come appare nel Cenacolo delle
Grazie. Il disegno è poi accompagnato da una dissertazione che ne spie-
ga la storia e il soggetto. Sempre sotto la stessa segnatura nel fasc. b, ai
ff. 41-75, si trova un altro autografo del Rezzonico contenente la Vita di
Leonardo, Michelangelo e di Raffaello trascritta da un antico manoscritto di
Paolo Giovio che stava presso di lui. Infine sotto la segnatura S.P. 6/13.
H, oltre alla biografia di Leonardo, al f. 584 c’è una lettera che il biblio-
tecario Ireneo Affò inviò al Rezzonico il 28 gennaio 1781.
Mi sono interrogato sul come e sul perché questi materiali siano giunti al
Bossi, al proposito mi sento di formulare alcune possibili spiegazioni. La
prima, forse la più semplice, è che qualcosa al tempo del Bossi si fosse con-
servato tra le carte manoscritte che contengono le Memorie su Leonardo di
Baldassarre Oltrocchi. Queste carte, come è noto, furono esaminate e utiliz-
zate da Carlo Amoretti e forse trasmesse al Bossi. Ciò è possibile perché fu il
conte a richiedere ad Oltrocchi uno spoglio dei codici vinciani alla ricerca di
utili notizie biografiche. Ne consegue che gli studi su Leonardo del Rez-
zonico sono i primi in ordine di tempo e si collocano prima delle Memorie
dell’Oltrocchi,5 e di conseguenza prima dell’importante biografia vinciana
pubblicata dall’Amoretti nel 1804 come prefazione al Trattato della pittura di
Leonardo.6 Più verosimilmente fu l’Amoretti a rivelare al Bossi l’esistenza
degli studi del Rezzonico, come si deduce da una lettera del 22 marzo 1810,7
ma non è scontato che il pittore bustocco abbia fatto richiesta per ottenere il
manoscritto direttamente al Cigalini divenuto erede del Rezzonico. La me-
diazione dell’Oltrocchi forse non era necessaria in quanto Bossi conosceva già
il Cigalini. Nel suo Diario trovo infatti che nel gennaio 1808 aveva fatto la
conoscenza del marchese Marco Cigalini visitando la sua casa di Como.8

5 Secondo il Ritter, che le pubblicò nel 1925, la stesura da parte dell’Oltrocchi fu


iniziata nel 1780.
6 CARLO AMORETTI, Memorie storiche su la vita, gli studj e le opere di Lionardo da Vinci,
Milano, presso Gaetano Motta al Malcantone, 1804.
7 Biblioteca Ambrosiana, fondo Bossi, segn. S.P. 6/13 B, f. 328.
8 Le memorie di Giuseppe Bossi. Diario di un artista nella Milano napoleonica, a cura di
Chiara Nenci, Milano, Jaca Book, 2004, p. 8, 10 gennaio 1808. Il passo è il seguente: «Ho
868 Silvio Mara

Durante la trascrizione del manoscritto ho rintracciato un’unica, ma


estremamente significativa, postilla del Bossi. Al punto in cui Bossi inter-
viene l’autore aveva fatto una considerazione sul codice di Leonardo che
secondo il Lomazzo fu composto «a prieghi di Lodovico Sforza» sulla que-
stione se fosse più nobile la pittura o la scultura.9 Facendo chiarezza su un
precedente equivoco sollevato dal Rezzonico, Bossi scrive: «Io l’ho trovato
ma non vi parla d’architettura bensì di scultura». L’affermazione in un pri-
mo momento suonava strana perché il codice è universalmente dato per
disperso e per alcuni addirittura non è mai esistito, tuttavia dopo aver fatto
adeguate ricerche penso che la frase possa avere una verosimiglianza storica
e che perciò sia plausibile, almeno al tempo del Bossi, l’esistenza del cosid-
detto Codice Sforza.
In un articolo del 1996 Pedretti10 avanzava un’affascinante ipotesi,
che a mio parere è utile riprendere in considerazione e supportare con
ulteriori riscontri. Egli lasciava presumere che il Bossi durante il sog-
giorno napoletano del 1810 avesse ricercato e forse anche trovato delle
carte autografe di Leonardo. È nota la grande passione che Giuseppe
Bossi nutriva per Leonardo, del quale, dopo aver analizzato la pratica pit-
torica, cominciò a considerare anche la teoria artistica. Aveva preso tal-
mente sul serio la questione da progettare concretamente una nuova edi-
zione degli scritti vinciani che formavano il Trattato della pittura.
Nell’estate del 1810 si era recato a Napoli per far visita all’amico Cuoco,
per visitare le antichità di Capua, ma verosimilmente anche per cercare
apografi e forse anche autografi di Leonardo.
Il diario che scrisse durante il soggiorno11 contiene diversi indizi sulla
presenza di carte vinciane. Forse il più importante è in data 15 luglio dove

passato tutto questo giorno dal Marchese Marco Cigalini. Egli ha belle medaglie, bei qua-
dri, bei disegni, bei libri, e bellissima moglie. Quest’ultima ed un’Accademietta di
Raffaele mi hanno lasciato un gran desiderio. Ma il desiderio per le persone de’ vivi è assai
più inquieto che quello delle opere de’ morti».
9 Si tratta del cosiddetto Codice Sforza, menzionato unicamente dal Lomazzo e mai
rintracciato. Per la citazione completa del brano si veda GIOVANNI PAOLO LOMAZZO, Scritti
sulle arti, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Firenze, Marchi & Bertolli, 1973, pp. 87-89.
10 CARLO PEDRETTI, I manoscritti “inediti” di Leonardo ricercati da Giuseppe Bossi a
Napoli: autografi o apografi?, in “Achademia Leonardi Vinci”, IX (1996), pp. 136-39.
11 Il diario venne pubblicato prima da GIORGIO NICODEMI, Giuseppe Bossi. Un diario,
autografi vari, il carteggio con G.G. Trivulzio e due poesie, in “Archivio Storico Lombardo”,
XXXVII (1960), pp. 587-648, e poi da R.P. Ciardi in GIUSEPPE BOSSI, Scritti sulle arti,
Firenze, Spes, 1982.
Una biografia inedita di Leonardo 869

annota: «Il Marchesino Serra di Cassano mi ha istruito intorno alle cose di


Leonardo ch’erano in mano di Corazza. Egli regalò questi scritti e disegni al
Principe Reale f.° [figliuolo] di Ferdinando IV. Non si sa che ne avvenisse».
Da queste parole si potrebbe evincere che il Corazza era persona già nota a
Bossi, dal momento che qui e nelle pagine successive si sorvola comple-
tamente sulla sua identità e sul ruolo che svolse a Napoli. Pedretti indicava
che in quegli anni l’unico riferimento a questo personaggio si poteva trova-
re nella Bibliografia di Angelo Comolli, dove in una nota l’autore scriveva:

Sarebbe desiderabile, che il Sig. D. Vincenzo Corazza, uno de’ più va-
lenti conoscitori del bello, intraprendesse di tutto questo Trattato del
Vinci una nuova edizione, inserendovi a proposito que’ frammenti, o
interi Capitoli inediti, ch’egli dice d’avere. L’opera per se stessa interes-
sante lo diverrebbe ancora più, mentre con tali aggiunte si toglierebbe-
ro forse alcune oscurità, che vi s’incontrano, specialmente dai princi-
pianti. È questo il solo difetto ragionevole, che dai conoscitori trovasi
nel Trattato del Vinci, se pure per ragionevole non vuolsi adottare anche
la capricciosa censura, che di questa, o di altr’opera del Vinci azzardò
Federico Zuccaro (Pittoriche To. VI. p. 135), con onorare anche l’autore
de’ titoli di sofistico, e di fanatico.12

Pedretti ipotizzava che Bossi doveva aver letto questo riferimento e in


ciò non si sbagliava, infatti trovo nel Catalogo della libreria, stilato in occa-
sione della vendita della biblioteca appartenuta al pittore bustocco, ben
due esemplari del volume di Angelo Comolli, di cui uno presentava «qual-
che postilla ms. del Cav. Bossi pittore».13 L’altro personaggio menzionato,
don Vincenzo Corazza rimane quasi del tutto sconosciuto ai più, e lo stes-
so Pedretti ammetteva di possedere pochissime notizie. Un primo abboz-
zo di biografia è stato recentemente steso da Maria Rascaglia14 in occasio-
ne della mostra Acqua continuum vitae tenutasi a Padula nel 2000. La

12 ANGELO COMOLLI, Bibliografia storico-critica dell’architettura civile e arti subalterne,


III, Roma, Stamperia Vaticana, 1791 (rist. anast. Milano, Labor riproduzioni e docu-
mentazioni, 1964), p. 197.
13 Catalogo della libreria del fu Cavaliere Giuseppe Bossi, Milano, dalla tip. di
Giovanni Bermardoni, 1817 (rist. anast. Firenze, Spes, 1975).
14 MARIA RASCAGLIA, I manoscritti di Leonardo e un abate del 700, in AA.VV., Acqua
continuum vitae. Il divenire mediterraneo nel racconto dell’Arte e della Scienza, Atti del Con-
vegno, Padula-Certosa di San Lorenzo, 30 settembre-5 novembre 2000, Salerno, Ar-
tecnica production, 2000, pp. 39-51. Sulla figura del Corazza in quanto possessore del-
870 Silvio Mara

Rascaglia cerca di sviscerare alcuni informazioni dal carteggio del Corazza


conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli e dalle scarne citazio-
ni presenti in alcuni volumi a stampa.
Si evince che l’abate Vincenzo Corazza, nato a Bologna presumibilmen-
te nei primi decenni del Settecento, si fece una certa fama come letterato e
poeta, fu pastore arcade col nome di Licinio Foloniano, e in qualità di mem-
bro dell’Accademia Clementina pronunciò tre orazioni nell’Istituto delle
Scienze di Bologna. Negli anni Settanta lasciò definitivamente Bologna e
dopo brevi soggiorni a Venezia e Milano, si stabilì a Napoli. Qui dopo un
certo lasso di tempo ottenne l’incarico di precettore del principe ereditario
dal 1783 al 1797. Dal carteggio di ben 500 lettere inviate al Corazza emer-
ge con chiarezza la stima come serio e impegnato intellettuale e la fama di
conoscitore di Leonardo che una vasta schiera di intellettuali gli tributava-
no. Il primo riferimento in tal senso risale al 1772 quando Francesco
Montignani corrispondente da Bologna invita l’abate ad «arricchire – l’edi-
zione livornese dell’Encyclopédie – di cose riguardanti il celeberrimo Lionardo
da Vinci»,15 si comprende anche che il Montignani intendeva porre questo
contributo a corredo dei suoi articoli riguardanti Bologna e l’Istituto delle
Scienze. Più avanti aggiunge: «Dovreste ancora propor loro, che stampasse-
ro a parte le cose tutte da voi raccolte ed osservate intorno al d.° Autore,
contentandosi di riferirne le massime e principali nella Enciclopedia, e
accennare che a parte si stamperà l’intero corpo delle vostre animadversioni
su dell’Autore med.°». A mio giudizio è particolarmente interessante il
riferimento all’Istituto di Bologna, perché dal carteggio, che ho avuto modo
di consultare, si desume che il Corazza vi collaborò attivamente.16 Inoltre
sembra implicita l’associazione tra gli studi su Leonardo e questa istituzio-
ne. Al riguardo possono essere illuminanti le 24 lettere che Angelo Comolli
inviò al Corazza tra il 1787 e il 1791, in esse oltre a delinearsi una fattiva
collaborazione tra i due per la stesura e revisione della Bibliografia, a cui il

l’apografo XII D 79 del Trattato della pittura è in corso lo studio di Alfredo Buccaro (si
incominci a vedere: A. BUCCARO, Ingegneria tra scienza e arte: il Codice Corazza e la per-
manenza del modello Vinciano nella cultura napoletana, in S. D’AGOSTINO (a cura di), Storia
dell’ingegeria: atti del secondo Convegno nazionale, Napoli, Cuzzolin, 2008.
15 Francesco Montignani a Vincenzo Corazza, Bologna, 10 maggio 1772; ms. X
AA 29bis/7.
16 Nel carteggio si trovano alcune lettere inviategli da Antonio Magnani, bibliote-
cario dell’Istituto, che richiede diverse consulenze in ambito artistico; cfr. ms. X AA
29bis/10.
Una biografia inedita di Leonardo 871

Corazza avrebbe dovuto aggiungere un articolo su Leonardo da Vinci, si


registra la richiesta, espressa già fin dal settembre 1787, di poter avere dal-
l’abate il catalogo dei libri di belle arti dell’Istituto di Bologna.
Si trattava verosimilmente di un manoscritto scritto dal Corazza men-
tre stava in Bologna e che forse si era portato via alla sua partenza. Nel frat-
tempo Comolli, che non aveva ottenuto risposte, l’aveva fatto ricercare
infruttuosamente dal conte Fantuzzi nella biblioteca dell’Istituto e solo il
27 maggio 1788, finalmente se l’era visto recapitare.
L’abate viene riconosciuto come conoscitore di Leonardo anche da Carlo
Bianconi, che in una lettera inviatagli da Roma il 2 settembre 1777 rende
noto che in casa Albani aveva potuto consultare una copia del Trattato della
Pittura di Leonardo con delle figure che a suo dire dovevano essere quelle
che il Poussin aveva approntato per l’edizione francese.
Da tutte queste testimonianze pare proprio che la fama di esperto di
Leonardo gli fosse stata tributata in quanto possessore di scritti vinciani,
purtroppo non sono note le risposte a queste lettere che certamente avrebbe-
ro chiarito molte circostanze. Notizie abbastanza vaghe su ipotetici mano-
scritti vinciani si possono ricavare dalla lettera inviata al nostro da Francesco
Zacchiroli il 10 agosto 1779. Si desume che l’abate aveva fatto un’insolita
richiesta presso la Segreteria di Stato del Granducato di Toscana: in cambio
della vendita di un’opera particolarmente preziosa in suo possesso, il Coraz-
za avrebbe chiesto di essere assunto a corte con un incarico prestigioso. La
risposta è negativa per due motivi: innanzitutto l’interlocutore mette in
dubbio che le opere offerte dal Corazza siano le stesse conservate in Am-
brosiana e in secondo luogo se anche fossero stati ciò che Corazza promette-
va il granduca avrebbe potuto farli venire da Milano con minore spesa.
Senza dubbio lo Zacchiroli fa riferimento alla vendita dei manoscrit-
ti leonardeschi di proprietà del Corazza, copie degli originali conservati
presso la Biblioteca Ambrosiana.
L’abate aveva progettato un tentativo analogo con l’architetto Giacomo
Quarenghi, che poco prima della partenza per Pietroburgo rispondeva al
Corazza: «Già averà inteso dal Sig. Abate Taddei li miei appuntamenti con
la Imperatrice di Russia e martedì gli scriverò tutto in lungo, e sopra anco-
ra il suo manoscritto di Leonardo da Vinci, perché ora ho la testa talmente
confusa, come lei può immaginare in chi si trova in tali situazioni».17 Pochi

17 Giacomo Quarenghi a Vincenzo Corazza, Roma, 20 agosto 1779; ms. X AA


29bis/13.
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giorni dopo torna brevemente sulla questione: «Non lascio però ciò che più
mi preme e si è che mi scriva come mi devo contenere con l’Imperatrice
delle Russie circa il suo manoscritto, e me ne mandi un piccolo detta-
glio».18
Negli anni successivi con la nomina a precettore alla corte borbonica
l’affare non doveva più interessarlo, tuttavia a otto anni di distanza Quaren-
ghi si rifaceva vivo con una lettera inviata da Pietroburgo in cui scriveva:

Non ho mai dimenticato il suo rarissimo manoscritto ma ho sempre atte-


so il momento favorevole di poter far avanzare la notizia a questa Augusta
Sovrana, che meritamente forma l’ammirazione del mondo tutto [...] e
spero, come le dissi, d’esserne venuto a capo questa mattina, facendo cader
il discorso sopra il merito di Leonardo ad un suo Bibliotecario, e da un
discorso nell’altro siamo venuti finalmente sul suo Manoscritto, che molto
si è consolato nel sentire essere in mano di un mio amico in unica copia,
m’ha pregato che ne faccia una breve descrizione in Francese, che farò ben
tosto, e ne vedremo in appresso il risultato. Sono sicuro che non crederà
ch’abbia dimenticato e lei e il manoscritto suo, benché sarebbe una gran
perdita per l’Italia che sì rara ed unica copia avesse a finire con tanto danno
dell’arti in quest’ultima parte di mondo colto.19

Considerata la scarsità di informazioni non è possibile stabilire con


assoluta certezza che i manoscritti indicati in queste lettere siano i tre codi-
ci XII D 79, XII D 80 e XII D 81 ora conservati nel Fondo Palatino della
Biblioteca Nazionale di Napoli perché non ne viene mai esplicitato il con-
tenuto. La storia di questi tre codici è parzialmente nota, si sa infatti che il
2 agosto 1804 a pochi mesi dall’apertura al pubblico della Real Biblioteca
Borbonica essi erano collocati negli scaffali delle opere manoscritte.20 Ad

18 Giacomo Quarenghi a Vincenzo Corazza, Roma, 24 agosto 1779; ms. X AA


29bis/13.
19 Giacomo Quarenghi a Vincenzo Corazza, Pietroburgo, 20 gennaio 1787; ms. X
AA 29bis/13.
20 Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Nazionale, serie Reale [Andrea Belli a
Francesco Seratti]. Nota del 2 agosto 1804: «Essendosi compiaciuta V. E. di far perve-
nire a questa Regal Biblioteca le copie de’ quattro pregevolissimi Mss. di Leonardo da
Vinci racchiuse in due volumi […]; ed inoltre un terzo volume in 4° piccolo che con-
tiene la spiegazione di vari vocaboli tecnici usati dallo stesso Vinci, dal Cellini e dal
Vasari; siamo con ogni rispetto a far presente a V. E. di averli già situati nella stanza
degli altri Mss. e propriamente nella scansia IX nel pluteo delle cose più rare».
Una biografia inedita di Leonardo 873

anni di distanza nel 1831 pervenne alla Giunta della Biblioteca una sup-
plica di Luigi Corazza, figlio di Sebastiano e nipote di Vincenzo, che richie-
deva la prosecuzione dell’«assegnamento di ducati tre al mese, che perce-
piva dall’abolita Real Cassa privata a titolo di compenso per alcuni mano-
scritti offerti in dono dal di lui padre al defunto Sovrano Francesco I di glo-
riosa memoria, ed esistenti in questa Real Biblioteca». Il presidente Mon-
signor Rosini nega che possa essere traccia di questa vicenda nelle carte
della Giunta istituita nel 1802 e perciò suppone che l’episodio si riferisca
ad un periodo anteriore, poi conferma la presenza dei tre succitati codici e
riporta la tradizione orale secondo cui i codici sarebbero stati donati da don
Sebastiano Corazza, dopo la morte del padre Vincenzo.21
Due dei tre codici, il XII D 80 e il XII D 81, sono autografi del
Corazza e rispettivamente copia dal codice Vat. Barb. lat. 4332 e una
sorta di trattazione suddivisa in tre parti che contengono uno spoglio dei
termini tratti dai codici XII D 79 e XII D 80, mentre il codice XII D
79 è un apografo del XVII secolo del Trattato della Pittura, nonché copia
calligrafica del ms. H 229 inf. dell’Ambrosiana.
In definitiva le informazioni sui manoscritti leonardeschi posseduti dal
Corazza sono poco circostanziate e non permettono di stabilire cosa vera-
mente l’abate aveva tra le mani. D’altronde è verosimile che a Bologna si sia
fatto una conoscenza di Leonardo attraverso lo studio dei suoi scritti,22 in-
fatti secondo diversi indizi nella città si dovevano conservare suoi autografi
o presunti tali. Nel carteggio Corazza viene insistentemente citata la Biblio-
teca dell’Istituto di Scienze e non sembra casuale il fatto che nelle stesse let-
tere vi siano richieste di delucidazioni riguardo al Vinci, come a sottinten-
dere un nesso implicito. Inoltre va considerato che Corazza è in rapporto
epistolare col bibliotecario dell’Istituto, Antonio Magnani, cui offre diverse
consulenze. L’Istituto pare essere molto impegnato nella divulgazione e stu-
dio di Leonardo, e non a caso nel 1786 curerà l’edizione bolognese del Trat-
tato della Pittura, che però dipende in gran parte da quella del Du Fresne.

21 Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Nazionale, serie Borbonica, 1831/17.


Nota della Giunta della R. Biblioteca Borbonica alla R. Segreteria e Ministero di Stato
di Casa Reale. Napoli, 20 giugno 1831.
22 A Bologna si conserva anche l’apografo B 271 del Trattato della Pittura databile
al XVII sec., che proveniva dalla Biblioteca Hercolani e di cui è ignoto il trascrittore e
la precedente collocazione. Si veda C. PEDRETTI, Un apografo del Trattato della pittura di
Leonardo da Vinci conservato nella biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Bologna,
Tipografia Asca, 1953.
874 Silvio Mara

Si aggiunga che diverse fonti antiche affermano che nella Biblioteca


di San Michele in Bosco si conservavano scritti appartenenti alla pittura
e diverse lettere di Leonardo,23 di cui a partire dal 1758 si perdono le
tracce. Infatti su richiesta di Giovanni Bottari, che aveva sentito di alcu-
ne lettere vinciane conservate in San Michele in Bosco, Luigi Crespi
prima si interessò coll’abate Branchetti, che rispose negativamente, poi
ricercò personalmente e infine comunicò di non aver trovato nulla.24
Anche il Rezzonico si era messo alla ricerca di questi manoscritti; ho
trovato una testimonianza della sua visita a San Michele intramezzata ai
suoi appunti. Dice il conte:

Lo stesso Richardson afferma che suo padre possedeva un disegno d’una


Istoria sotto la quale appariva una scrittura dell’indicata forma dell’Am-
brogiana. Sembra che restando edotto dell’uso che doveva pratticarsi collo
specchio ci potesse istruire della spiegazione, o almeno di che trattasse la
storia. Altri fogli staccati, egli pure ha esaminati, con note spettanti alla
Pittura che non ispiega se appartenghino al trattato che pubblicò Raffaelle
du Fresne, ovvero ad opera differente. Le lettere che suppone aver vedute
di Leonardo nella biblioteca di S. Michele in Bosco, non vi esistono, né tal
cosa è nota a quei Padri Olivetani, che ogni minuscola cosa fecero vedere
a S. A. R. il S. Infante Duca di Parma il giorno 17 di Gennaio dell’anno
1773, ed a me che in quella occasione ebbi l’onore di accompagnarlo.25

23 Si cita a proposito l’Orlandi che nel 1704, scriveva: «Leonardo da Vinci compose molti
altri libri d’acque, di machine etc. ed altri ne scrisse con la sinistra mano. Molti manoscritti
spettanti alla pittura di questo celebre Autore si ritrovano nella famosa libreria di San Michele
in Bosco fuori di Bologna» (PELLEGRINO ANTONIO ORLANDI, Abecedario pittorico nel quale com-
pendiosamente sono descritte le patrie […], Bologna, Per Costantino Pisarri, sotto le scuole, 1704,
p. 399). Si veda inoltre il Richardson che nel 1728 scriveva: «J’ai vu d’autres feuilles détaché-
es, avec des Notes sur la Peinture, & quelques Lettres de LEONARD DE VINCI, si je ne me
trompe, dans la Biblithèque de S. Michel du Bois, à Bologne», (JONATHAN RICHARDSON,
Traité de la peinture, et de la sculpture, III, Amsterdam, Chez Herman Uytwerf, 1728, p. 37).
24 Nella lettera del 22 novembre 1757 il Crespi rispondeva: «Lo stesso signor Abate
non sa che vi siano qui lettere di Lionardo, tuttavia se ne farà una diligentissima ricerca».
Poi aggiunge: «So bene che nella Libreria degli Olivetani in San Michele in Bosco è un
manoscritto del Vinci trattante di pittura». E il 28 gennaio dell’anno successivo: «Nel ricer-
care le maggiori notizie del ms. delle lettere del Vinci presso i PP. Olivetani ho sentito con
dispiacere non esservi più, nè sapere dove siasene andato» (GIOVANNI BOTTARI - STEFANO
TICOZZI, Raccolta di lettere sulla Pittura, Scultura ed Architettura, IV, Milano, per Giovanni
Silvestri, 1825, pp. 414, 418).
25 Biblioteca Comunale di Como, ms. A-3-IX 1, f. 84.
Una biografia inedita di Leonardo 875

Ritornando al diario napoletano di Bossi è possibile fare un’ulteriore


riflessione. Come è già stato ricordato, è del 15 luglio la notizia delle
«cose di Leonardo ch’erano in mano di Corazza», ed è quindi impossibi-
le che Bossi stia parlando del codice XII D 79 della Biblioteca Reale, di
cui aveva intrapreso la trascrizione già dall’8 giugno e che proseguì ser-
ratamente, ne sono prova i resoconti quasi giornalieri, fino al 17 ago-
sto.26 Non si può escludere quindi che stesse parlando di altro materia-
le, forse anche autografo. Il che non fa altro che rafforzare l’ipotesi che
Corazza possedesse altri scritti di Leonardo.
Per ora comunque un altro dato rilevante è che Bossi esaminò attenta-
mente il manoscritto del Rezzonico. Conferme in tal senso si possono trova-
re nel suo volume intitolato Del Cenacolo.27 Innanzitutto il breve Compendio
della vita di Leonardo che introduce il testo, pur essendo molto vago e caren-
te di notizie biografiche, risente a mio parere dell’ipotesi formulata dal
Rezzonico che intendeva anticipare la venuta di Leonardo a Milano. Poi a p.
19, sotto la voce Paolo Giovio, trascrive integralmente la biografia gioviana di
Leonardo copiata dal Rezzonico, e non manca di citare gli studi del conte e
il manoscritto con la Vita di Leonardo che gli era stato trasmesso dal Cigalini.
Questa Vita gioviana, a cui tra l’altro seguivano la Vita di Michelangelo
e di Raffaello, non era di secondaria importanza per Rezzonico, anzi desu-
mo dai suoi scritti che l’occasione per l’inizio della sua opera su Leonardo
fu proprio il ritrovamento di questo antico manoscritto che stava presso
i discendenti di casa Giovio, che a sua volta erano imparentati col
Rezzonico. Effettivamente questa antica biografia, compilata in forma di

26 Del lavoro di trascrizione parla ancora una volta coll’amico Trivulzio in data 28
luglio: «La faticona che mi ammazza è la copia d’un codice della Biblioteca Reale, di
450 pagine con centinaja di schizzi e disegni, che è estratto, se non erro, di quanto era
all’Ambrosiana di mano del Vinci. Sono circa alla metà, e puoi credere se ne bramo il
fine. Ma ad ogni modo ora ho una serie d’opere del Vinci, che farà maravigliare, quan-
do la pubblicherò. Ma vi vuol tempo e danari, senza che la mia buona volontà è inuti-
le. Considero anche fatica il dover cercare le bellezze del paese fra i pericoli degli assas-
sini, e facendo lunghe corse, che rubano gran tempo». Non sapeva il Bossi che ciò che
stava trascrivendo era copiato a sua volta da manoscritti esistenti in Ambrosiana. Lorena
Corti nella sua tesi di laurea ha trascritto e studiato il manoscritto S.P. 6/13 D, ff. 1-
24, 95-201, contenente parte della trascrizione fatta dal Bossi (LORENA CORTI, Il mano-
scritto di Giuseppe Bossi Ambrosiano S.P. 6/13 D, Università Cattolica del Sacro Cuore, a.a.
1999/2000, rel. Claudio Scarpati).
27 G. BOSSI, Del Cenacolo di Leonardo da Vinci libri quattro, Milano, dalla Stamperia
Reale, 1810 (ma uscito nel 1811).
876 Silvio Mara

elogio, era molto importante perché introduceva delle varianti significa-


tive rispetto a quanto era stato scritto dal Vasari.
In una lettera inviata il 12 dicembre 1778 Rezzonico scrive al canonico
bolognese Luigi Crespi28 e spiega il progetto editoriale della sua opera. Egli
pensava di riscrivere le vite dei tre grandi artisti Leonardo, Michelangelo e
Raffaello in latino e per venire incontro alle richieste di alcuni artisti par-
mensi anche in italiano. Sul frontespizio d’ogni vita voleva porre un ritrat-
to, che nella prima vita, cioè quella di Leonardo, doveva essere eseguito dal
«Sig. Zoffani»29 che a suo dire era «uno dei più grandi Pittori che ora ador-
nino l’Europa». Per il ritratto di Michelangelo avrebbe utilizzato quello
conservato nel Museo Giovio di cui possedeva una copia. In tutte e tre i
ritratti, gli artisti sarebbero stati caratterizzati con le qualità principali che
li distinguevano. Chiaramente le aspirazioni letterarie del conte erano fin
troppo grandiose e in effetti, per quel che si può valutare dall’analisi di ciò
che ci è pervenuto in forma manoscritta, si può concludere che non riuscì a
portare a compimento nemmeno la Vita di Leonardo, mentre degli altri due
artisti raccolse qualche appunto. Ma il progetto del Rezzonico venne in
parte intralciato dal nipote Giovan Battista Giovio che divulgò contro la sua
volontà il manoscritto gioviano al Tiraboschi, che lo pubblicò nelle Giunte
e Correzioni della prima edizione della Storia della letteratura italiana (1772-
1781). Nonostante ciò il Rezzonico incluse la breve biografia, sostenendo
che quella pubblicata dal Tiraboschi non era corretta.30
Passo ora a descrivere il contenuto del manoscritto e i punti storiogra-
fici più importanti. Innanzitutto occorre precisare che questa biografia non

28 COLLINA, Critica, storia dell’arte e due brevi epistolari, pp. 207-208.


29 Si tratta verosimilmente di Johann Zoffany (1733-1810), pittore celebratissimo che
doveva la sua fama specialmente ai ritratti che fece alle più importanti famiglie reali euro-
pee. Lo Zoffany nel 1778 si trovava a Parma, al termine di un viaggio pluriennale in Italia
che era iniziato nel 1772 a seguito della commissione da parte della regina d’Inghilterra di
un dipinto che raffigurava La tribuna degli Uffizi. A Parma aveva avuto importanti com-
missioni ed era stato nominato accademico nel prestigioso istituto. Recentemente gli è
stato attribuito un ritratto di Carlo Castone della Torre di Rezzonico, figlio di Anton
Gioseffo, nonché segretario dell’Accademia di Belle Arti (si veda la scheda critica di Paolo
Versienti in Il trionfo dell’ornato: Giocondo Albertolli (1742-1839), a cura di Enrico Colle e
Fernando Mazzocca, Cinisello Balsamo (Mi), Silvana, 2005, pp. 103-105).
30 Si veda PAOLO GIOVIO, Scritti d’arte, lessico ed ecfrasi, a cura di Sonia Maffei, Pisa,
Scuola Normale Superiore, 1999, pp. 234-45. La Maffei nella sua edizione critica degli
scritti gioviani emenda la versione pubblicata dal Tiraboschi con quella trasmessaci dal
Rezzonico e poi pubblicata dal Bossi (BOSSI, Del Cenacolo di Leonardo da Vinci, p. 19).
Una biografia inedita di Leonardo 877

è completa e nella narrazione dei fatti vinciani non va oltre il periodo mila-
nese. Tutto il lavoro del Rezzonico mostra un notevole aggiornamento
bibliografico e non disdegna gli scritti autografi di Leonardo e le fonti a lui
contemporanee. Spesso la critica ha sottolineato con enfasi il grande meri-
to dell’Oltrocchi, che, come è noto, intraprese la prima e importante tra-
scrizione dai codici di Leonardo in Ambrosiana. Raramente è stato ricor-
dato che tale lavoro gli fu richiesto espressamente dal Rezzonico, che visi-
tò l’Ambrosiana e analizzò sommariamente tutti i codici vinciani, scriven-
done una breve ma precisa descrizione.31
È quanto mai difficile datare questo brano e quindi stabilire in che
anno Rezzonico visitò l’Ambrosiana, perché il testo non fornisce alcun
dettaglio che possa suggerire un appiglio cronologico. Il Monti, che lo
trascrisse nel 1914, nel titolo suggeriva che questa visita si fosse svolta
nel 1779, ma non spiega in alcun modo come sia arrivato a questa con-
clusione e pertanto non mi sento di confermarla. Penso che questa testi-
monianza sia molto interessante perché si tratta forse del primo resocon-
to abbastanza preciso dei manoscritti vinciani, prima che venissero tra-
fugati dai francesi. Infatti, come afferma lo stesso Rezzonico, prima di lui
molti autori avevano riferito notizie abbastanza generiche ingannandosi
anche sul numero dei codici. Perciò può essere utile soffermarsi anche per
comprendere cosa più interessasse al Rezzonico di questi codici. Ovvia-
mente non siamo di fronte a una trattazione esaustiva ma ad una veloce
ricognizione, che tuttavia tiene a fornire alcuni dati precisi e univoci. La
descrizione parte col Codice Atlantico di cui ci offre una dettagliata
descrizione esterna, informazioni sulla provenienza e che constava di 393
fogli.32 Quanto al contenuto pare che il conte sia stato particolarmente
attratto dai disegni di opere idrauliche, che a lui parevano progetti per
opere reali eseguite da Leonardo. All’interno della Vita di Leonardo ho
riscontrato diversi riferimenti ai disegni del Codice Atlantico, poiché
spesso Rezzonico restava ammirato dalla loro precisione e li usava per
argomentare le sue ipotesi. Un’attenzione particolare è riservata alle
notazioni biografiche di Leonardo, poiché utili a chiarire la cronologia
vinciana e la stesura dei manoscritti.

31 SANTO MONTI, Vinciana II, in “Periodico della Società storica per la provincia e
diocesi di Como”, XXI (1914-15), pp. 69-79.
32 In effetti sappiamo che nello sfogliato dovevano risultare sei fogli in meno, quin-
di il resoconto del Rezzonico è corretto.
878 Silvio Mara

Ampio spazio viene dedicato anche al codice «De lumine et umbra»


ora noto come ms. C. Rezzonico riconosce il notevole interesse del testo,
che a suo dire era stato copiato da un certo Cesare Croce e di cui auspica
una veloce pubblicazione. Il terzo codice descritto è inequivocabilmente
il ms. B, perché dopo una veemente nota di biasimo sulle iscrizioni appo-
ste da un ignoto antico possessore spagnolo, vi descrive i disegni al f. 2
- s 1482» che conferma la falsità della leggen-
e cita l’iscrizione al f. 3 «yh
da nera che Vasari aveva creato attorno a Leonardo. Dice infatti
Rezzonico: «l’avere poi recato il nome Santissimo del Salvatore in fronte
al suo travaglio dimostra che egli a lui ricorreva, come a dator d’ogni
bene, e questo foglio segnato 37 anni avanti la sua morte è una prova
della sua religione ingiustamente attaccata dal Vasari». Segue una rela-
zione quasi completa, che pagina per pagina elenca tutti i disegni più
rilevanti. Vi nota infine che al codice è aggiunto un libretto in cartonci-
no, che ora è separato e noto come Codice sul volo degli uccelli.
Senza dubbio il quarto codice descritto è il ms. A, di cui viene rico-
nosciuta la legatura alla spagnola, e che consisteva di 114 fogli, mentre
oggi dopo varie decurtazioni ne conta solo 63. Sorprende invece la reti-
cenza rispetto all’importante contenuto: si ricorda infatti che le parti
riguardanti la pittura vennero copiate dal Melzi ed entrarono a far parte
del Trattato della Pittura. Invece Rezzonico si limita a citare le parti
riguardanti l’ottica, perciò è evidente che nel poco tempo che poté dedi-
care allo studio dei codici si limitò a prendere i dati fondamentali e qual-
che informazione che potesse essergli utile ai fini degli argomenti che poi
tratterà nella sua Vita.
Il quinto codice descritto è facilmente identificabile col ms. D, poiché
consta di soli 10 fogli e tratta di ottica. I successivi tre codici sono descrit-
ti molto sbrigativamente ma devono essere necessariamente i mss. E, F, G,
perché sono gli unici in ottavo e rilegati in cartoncino.
Seguendo l’ordine assegnato dal Rezzonico il decimo codice va iden-
tificato col ms. H, in cui viene correttamente riconosciuto l’assemblag-
gio dei codici 33 e 34 (ma non del 35) insieme alle antiche numerazioni
e alcuni disegni. Quello che viene definito come undicesimo codice è il
ms. I che per l’appunto è costituito da due codici rispettivamente di 48
e 91 carte. Rezzonico tralascia completamente di definirne il contenuto
perché a suo dire tratta di «materie poco importanti».
Il dodicesimo codice è il ms. K donato all’Ambrosiana dal conte
Orazio Archinto, di cui viene descritta la rilegatura in marocchino rosso
con l’iscrizione LEONARDI VINCII e il titolo apposto dal bibliotecario Pier
Una biografia inedita di Leonardo 879

Paolo Bosca sulla prima pagina. Rezzonico conclude perentoriamente


che d’ora in avanti non ci sarebbero più stati errori e inesattezze sul com-
puto dei codici e sul fatto che senza dubbio da più di centocinquanta
anni essi erano stati conservati senza apportare alcun danno o modifica-
zione. Ma, ironia della sorte, nonostante le accortezze usate il computo
del Rezzonico non è esatto, perché arriva a dodici conteggiando anche il
Codice Atlantico e il Codice sul volo degli uccelli. Evidentemente l’au-
tore ha completamente trascurato i due manoscritti L e M entrambi
fascicolati in sedicesimo e rilegati in cartoncino. Tutto ciò è difficile da
spiegare proprio perché tutto fa pensare che non sia semplicemente una
svista, e dal momento che è certa la loro esistenza in quegli anni, non si
può pensare altro che quei manoscritti di così piccolo formato siano sfug-
giti all’occhio attento del visitatore perché fuori posto.
Per quanto riguarda il contenuto del manoscritto ambrosiano, la
prima problematica che viene affrontata dal Rezzonico è quella sulla
nascita di Leonardo: l’autore aveva appreso dall’Elogio di Leonardo scritto
nel 1772 da Antonio Francesco Durazzini33 che Leonardo era nato nel
1452 e morto nel 1519. La notizia si basava sui documenti autentici, di
cui tuttavia si riportava solo una parte della genealogia della famiglia
Vinci. Rezzonico volle approfondire la questione e si adoperò per procu-
rarsi i documenti. Perciò con la mediazione del Prefetto della Libreria
medicea Bandini, riuscì ad ottenere da Giovanni Battista Dei le copie di
numerosi documenti riguardanti Leonardo.34
Fin dalle prime pagine si avverte che il tono della biografia del
Rezzonico è tutto teso a esaltare il genio poliedrico del Vinci già fin dagli
esordi, che ripercorre attraverso la narrazione vasariana. È lodevole il ten-
tativo di contestualizzare e precisare storicamente gli aneddoti vasariani,
e questo sforzo in alcuni punti conduce a formulare ipotesi abbastanza
verosimili. Come nel caso dei possibili contatti di Leonardo con la corte
sforzesca, prima in occasione della visita a Firenze di Galeazzo Maria nel
1471 e poi col Moro durante il suo esilio a Pisa dal 1477 al 1478. Ma il
dato storiografico più importante è certamente quello inerente alla venu-

33 ANTONIO FRANCESCO DURAZZINI, Elogio di Leonardo da Vinci, in AA.VV., Elogi


degli uomini illustri toscani, II, Lucca, s.n.t., 1772.
34 Si veda la trascrizione: S. MONTI, Albero ossia discendenza della famiglia da Vinci,
in “Periodico della Società storica per la provincia e diocesi di Como”, XVIII (1908-
1909), pp. 212-40.
880 Silvio Mara

ta di Leonardo a Milano. Egli è infatti il primo ad affermare che Leonardo


era presente a Milano già a partire dal 1482. Giunge a questa conclusio-
ne impostando una critica al proemio e ai primi due sonetti delle Rime
del poeta fiorentino Bernardo Bellincioni.35 Come è noto, nel proemio in
terza rima, che introduce la raccolta di sonetti e fornisce una cornice sto-
rica ed ambientale, compare la prima menzione di Leonardo.
Il poeta sotto l’espediente della visione si rivolge all’anima del defunto
duca, Galeazzo Maria Sforza, rassicurandolo sull’educazione impartita a suo
figlio Gian Galeazzo, quindi prosegue con un elenco della folta schiera di
musici, cantori, umanisti, medici e architetti, che stavano presso la corte.
A questo punto il verso «Da Fiorenza uno Apelle quivi e condotto» atte-
sta inequivocabilmente la presenza di Leonardo alla corte sforzesca, espli-
citata anche dalla nota a margine «magistro Lionardo da Vinci», apposta
dall’editore. L’operazione critica del Rezzonico consiste nel fornire una da-
tazione convincente a questo componimento,36 e di conseguenza stabilire
da che anno è certa la presenza di Leonardo in Milano.
Il suo criterio sembra quello di affermare la diacronia nella successione
dei sonetti per cui il proemio sarebbe cronologicamente il primo componi-
mento scritto dal Bellincioni. A conferma di questo principio Rezzonico
osserva che nel secondo sonetto i versi «Questa pace che ha fatto? Ha spento
un fuoco / che il bel giardino d’Italia tutto ardeva» alludono alla pace fatta
con i veneziani nel luglio 1484. Nel sonetto precedente si era presentata la
Lega formata contro i veneziani, che avevano attaccato Ferrara. Rezzonico
conclude che il proemio deve essere stato composto prima del 1483, anno in
cui iniziò la guerra contro i veneziani cui fa riferimento il primo sonetto, per-
ciò ne consegue che Leonardo era a Milano già nel 1482. L’affermazione del
Rezzonico è senza dubbio coraggiosa, infatti se prendiamo ad esempio
l’Oltrocchi, su questo punto si mostrerà ben più prudente, proponendo l’an-
no 1486, e solo l’Amoretti nel 1804 arriverà a presentare una datazione simi-
le al Rezzonico. Andrebbe valutato se la critica che l’autore fa al testo possa
essere valida; a mio giudizio potrebbe essere filologicamente corretta, tutta-
via di questo componimento si sono fatte diverse interpretazioni. Ad esem-
pio, Vecce sostiene che questi versi siano del 1487, perché il duchino Gian

35 Le rime di Bernardo Bellincioni, emendate e annotate da Pietro Fanfani, Bologna,


Romagnoli, 1876-78 (rist. anast. Bologna, 1968).
36 Si ricorda infatti che le Rime furono date alle stampe solo nel 1493, un anno dopo
la morte del Bellincioni.
Una biografia inedita di Leonardo 881

Galeazzo apparirebbe quasi ventenne, e quindi Leonardo comparirebbe per


la prima volta inserito nella corte dopo quasi cinque anni di anticamera.37
Tra le prime opere del Vinci viene citata la tavola raffigurante la
Medusa, e a proposito di questo dipinto, che l’autore non aveva visto di
persona, si pone il dubbio se credere alle parole del Bottari38 che lo voleva
in ottimo stato o a quelle del Cochin39 secondo cui il colore sarebbe stato
quasi del tutto sbiadito. Il Rezzonico risolve la questione prestando fidu-
cia alla testimonianza del Bottari, ma la vicenda a mio giudizio va chiari-
ta. Occorre infatti stabilire a quale dipinto facciano riferimento i due scrit-
tori. Richard Turner, che si è occupato della Medusa e del mito tardo set-
tecentesco creatosi attorno ad un dipinto di analogo soggetto, ha ricostrui-
to le vicende dell’originale vinciano, ora perduto, che a partire dal 1783
sarebbe stato confuso con una copia di scuola fiamminga del Seicento.40 A
mio parere è utile esaminare meglio queste due testimonianze a cui si
aggiunge quella dell’abate Lanzi,41 che nel 1782 descrive un dipinto, che
non assicura essere di Leonardo, ma che corrisponde alla descrizione vasa-
riana e a cui manca «l’ultimo compimento, come alle altre del Vinci per la
maggior parte». Se presupponiamo che la testimonianza del Cochin sia
attendibile, il che è molto probabile perché la descrizione pur non essendo
estesa è abbastanza precisa, non si può negare che ben si accorda con quel-
la del Lanzi, quindi indicherebbero entrambe la tavola vinciana.
Bottari invece non può che far riferimento al dipinto fiammingo:
infatti risulta dagli inventari che fu conservato a Palazzo Pitti solo fino
al 1753, e poi trasferito agli Uffizi.42 Si potrebbe ragionevolmente pen-
sare che i due quadri convivessero almeno per un trentennio, dopodiché
si persero le tracce dell’originale.

37 CARLO VECCE, Leonardo, Roma, Salerno, 1998, pp. 87-88.


38 G. BOTTARI, Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architetti scritte da Giorgio Vasari
pittore e architetto aretino [...], Firenze, per G.B. Stecchi e A.G. Pagani, 1771, p. 19.
39 CHRISTIAN MICHEL, Le voyage d’Italie de Charles-Nicolas Cochin (1758): édité en fac-
simile avec une introduction et des notes, in “Collection de l’Ecole Française de Rome”,
CXLV (1992), p. 203.
40 RICHARD TURNER, Words and Pictures: the Birth and Death of Leonardo’s Medusa,
in “Arte lombarda”, LXVI (1983), pp. 103-11.
41 LUIGI LANZI, La Real Galleria di Firenze accresciuta e riordinata per comando di S.
A. R. l’Arciduca Granduca di Toscana, Firenze, per Francesco Moucke, 1782 (rist. anast.
Firenze, 1982), p. 132.
42 LUCIANO BERTI - CATERINA CANEVA, Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze,
Centro Di, 1979, p. 485.
882 Silvio Mara

Approfondendo una bizzarra ipotesi, che il Rezzonico fondava su un


disegno creduto il ritratto di Artus Gouffier di Boisy, ciambellano del re
di Francia Francesco I, ho esaminato un passo tratto dagli appunti del
Rezzonico conservati a Como in cui si descrive questo disegno.
L’estrema precisione dell’autore, che vide di persona questo foglio, mi
ha permesso di identificare il «presunto ritratto» con il disegno F 274
inf. 11 dell’Ambrosiana, che purtroppo non possiede più l’antica scritta
che lo additava come ritratto di mano di Leonardo. Il disegno, ora attri-
buito al Bramantino, rientra nella tipologia di anziano sdentato che si
trova riprodotta frequentemente tra i leonardeschi. Mentre descrive il
citato disegno Rezzonico ci offre un’altra testimonianza preziosa, dicen-
do che il foglio al suo tempo era contenuto in un libro di disegni da lui
definito come «rarissima collezione» che il cardinale Federico Borromeo
donò alla Biblioteca Ambrosiana.
Questo libro evidentemente è stato smembrato ma con opportune
ricerche si potrebbe ricostruirne il contenuto. La provenienza federiciana
potrebbe essere verosimile; infatti nell’atto di donazione del cardinale
Federico Borromeo alla Biblioteca Ambrosiana del 28 aprile 1618, nel
paragrafo indicato con la lettera G, c’è un elenco di disegni: tra questi si
segnalano «Diversi disegni, i quali sono inseriti in un libro di carta
imperiale, che è nella Libreria Ambrosiana». Secondo la Jones, il libro
non esiste più, ma pensa di poterlo identificare col volume che Ludovico
Besozzo, intermediario del Borromeo, intendeva comprare da Pompeo
Leoni.43 Purtroppo gli inventari del 1661 e del 1685 non ci vengono
incontro, infatti nel secondo al f. 67 si registrano alcuni libri di disegni,
ma le indicazioni non sono sufficienti per identificare quello descritto dal
Rezzonico.44 I volumi che potrebbero rispondere alle caratteristiche
indicate dal Rezzonico sarebbero sei, e uno solo di questi, a detta di chi
stese l’inventario, conteneva disegni di Leonardo da Vinci.
Il manoscritto si conclude con il progetto per il famoso monumento
equestre in onore di Francesco Sforza e con un breve accenno al «Leone
meccanico» che Leonardo progettò per Francesco I. Ma negli ultimi fogli
del fascicolo, che non fanno parte della narrazione, vi sono le descrizioni

43 PAMELA M. JONES, Federico Borromeo and the Ambrosiana: Art Patronage and Reform in
Seventeenth-Century Milan, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, pp. 271, 356.
44 ALESSANDRO ROVETTA - MARCO ROSSI - STEFANIA VECCHIO, Pinacoteca Ambrosia-
na, III, Milano, Electa, 2006, p. 354.
Una biografia inedita di Leonardo 883

della Vergine delle Rocce e delle tavole con Angeli musicanti e cantori una volta
facenti parte dell’organo di San Francesco Grande, ora conservate nella
Collezione Sormani e attribuite allo Zenale. Questi due brani si sono rive-
lati di grande interesse perché contengono dei dettagli finora sconosciuti.
La descrizione della Vergine delle Rocce permette di confermare la rico-
struzione recentemente proposta da Cristina Passoni45 per l’altare
dell’Immacolata Concezione prima della soppressione della chiesa e del-
l’alienazione dell’ancona principale. Rezzonico scrive:
Tra le molte opere, che il Vinci stando in Milano con mirata arte trava-
gliò, campeggia certamente il quadro esistente nella chiesa di San
Francesco, e venne di grande ornamento alla Cappella appellata della
Concezione Immacolata della Vergine. S’incontra al lato dell’altar mag-
giore entrando in chiesa dalla vicina strada di Santa Valeria. Ne parlano
il Lomazzo, lo Scaramuccia, il Sant’Agostino, Latuada, Sormani etc. Nella
collezione di varj disegni d’eccellenti pittori, che il Cardinal Federigo
Borromeo donò alla biblioteca Ambrogiana vi sono due teste d’angeli
appartenenti a questa tavola; ma nella cappella sono le figure poste più in
grande. Di ciò che appartiene al libro dell’Ambrogiana se ne parla altro-
ve. Era il quadro della Vergine in mezzo ai due Angeli, ma di poi sconsi-
gliatamente venne posto più in alto, ed a quello fu sostituita una statua
di marmo di Maria Vergine, opera che bastantemente dimostra la medio-
crità dell’artefice. Ma questo non è di grave danno al quadro; uno molto
più lagrimevole si è l’ingiuria recata allo stesso travaglio del Vinci con
idea di ripulirlo, e lavarlo; per la qual cosa, molti anche a giorni nostri,
credono che alienandosi l’originale di Leonardo, siane l’accennato una
copia. Per me mi attengo al sentimento di Gaetano Callani, il quale sde-
gnandosi del torto fatto all’opera del Vinci: ciò nonostante vi riconosce i
tratteggiamenti della sua inarrivabile mano.

Come si può leggere innanzitutto viene precisato che la tavola stava nella
cappella a fianco dell’altare entrando dalla via Santa Valeria, cioè la cappella
alla destra dell’altare. Questa è la collocazione che le fu data nel 1576 in
seguito alla prescrizione del visitatore apostolico Gerolamo Ragazzoni. La
Passoni propone una ricostruzione del primitivo altare, che stava addossato
alla parete interna della chiesa in posizione opposta rispetto al presbiterio.

45 MARIA CRISTINA PASSONI, Nuovi documenti e una proposta di ricostruzione per l’anco-
na della Vergine delle rocce, in “Nuovi studi: rivista di arte antica e moderna”, IX-X
(2004-2005), 11, pp. 177-97.
884 Silvio Mara

Questa struttura, che già era stata smontata e rimontata nel 1576 con par-
ziali modifiche per adattarla alla cappella che era di San Bonaventura, dovet-
te mutare completamente dopo il rifacimento quasi totale della carpenteria
voluto dal priore della confraternita nel 1579. I documenti lasciano pensare
che già dall’origine l’ancona fosse a due registri, con le tavole dipinte nel
registro inferiore e la statua della Madonna col Bambino in quello superio-
re. Il nuovo altare del 1579 mantenne la stessa disposizione.
La Passoni poi ricava dall’inedito inventario del 19 febbraio 1781,
che la tavola di Leonardo era stata spostata nel registro superiore e la sta-
tua nell’inferiore. Quest’ultimo dato concorda perfettamente con la ver-
sione fornita dal Rezzonico.
Se fosse possibile provare l’esistenza dei disegni che il Rezzonico ci
assicura essere preparatori o comunque riferibili alle teste degli angeli
che affiancavano la Vergine delle Rocce, certo sarebbe una grande conquista
per la critica e certamente fornirebbe un contributo al dibattito sull’at-
tribuzione delle due tavole della National Gallery. Purtroppo i disegni
cui si riferisce il Rezzonico sembrano essere scomparsi, forse nello smem-
bramento del «Libro di disegni».
Inoltre in questa descrizione si riferisce che l’ancona fu malamente
«lavata» al punto che molti la credevano una copia dell’originale. Molto
interessante è poi la citazione del pittore e scultore Gaetano Callani,46
noto a Milano per l’esecuzione della decorazione plastica nella Sala delle
Cariatidi a Palazzo Reale. Sappiamo con certezza che l’artista soggiornò
a Milano dal 1774 al 1780, perciò possiamo dedurre che la relazione del
Rezzonico si collochi entro questo arco cronologico. Stupisce il fatto che
il Rezzonico l’abbia interpellato in quanto esperto di Leonardo, tuttavia
è possibile che si sia fatto delle conoscenze al riguardo anche grazie
all’amicizia con Agostino Gerli,47 di cui sposò nel 1777 la figlia Angela.
Come ricordato precedentemente, Rezzonico si sofferma a descrivere
un’altra opera che stava nella chiesa di San Francesco. Si tratta delle tavole

46 Per una completa biografia dell’artista si vedano la voce a cura di PAOLA


LAVAGNETTO CESCHI, Callani, Gaetano, in Dizionario Biografico degli Italiani, XVI, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 732-34; l’articolo di GIUSEPPINA ALLEGRI
TASSONI, Gaetano Callani (1736-1789), in “Aurea Parma”, LIX (1975), pp. 32-58 e il
saggio di EUGENIO RICCOMINI, Gaetano Callani e il Neoclassicismo cattolico, in AA.VV.,
L’arte a Parma dai Farnese ai Borbone, Bologna, Edizioni Alfa, 1979, pp. 170-75.
47 Come è noto, il fratello Carlo Giuseppe incise e pubblicò i disegni leonardeschi
presenti a Milano.
Una biografia inedita di Leonardo 885

con Angeli musicanti, opere che hanno sempre goduto di una notevole for-
tuna critica testimoniata anche dai frequenti spostamenti e passaggi colle-
zionistici.48 Le tavole dipinte costituivano il parapetto dell’antico organo
della chiesa di Santa Maria di Brera a Milano, l’organo doveva presentare
una forte monumentalità, componendosi oltre che del parapetto, di due
ante con figure di profeti in prospettiva. In seguito alla soppressione
dell’Ordine degli Umiliati nel 1571, la chiesa e il monastero di Santa
Maria subirono radicali rinnovamenti. Perciò l’organo fu smontato e cedu-
to ai padri conventuali di San Francesco Grande, che proprio in quegli anni
stavano portando avanti un analogo programma di rinnovamento edilizio
che coinvolgeva l’intera area presbiteriale. Le tavole, di cui fu certamente
riconosciuto il grande valore, furono collocate in posizione di rilievo sul
lato sinistro del presbiterio. I dipinti, che già recavano un’attribuzione al
Bramantino,49 vennero improvvisamente nobilitati dopo l’assegnazione
che fece Carlo Torre dei soli Angeli al pennello del Vinci.50
Il motivo della diversa attribuzione stava forse nella nuova collocazio-
ne delle tavole con Profeti, poste sopra le porte laterali della chiesa, come
ci testimoniano il Bartoli,51 il De Pagave52 e il Bianconi.53 Gli Angeli al
contrario seguirono a partire da una data imprecisata la via collezionisti-
ca. Si sa con certezza che le tavole erano già nella collezione di Gian
Matteo Pertusati prima del 1733, anno in cui vengono registrate nel-
l’estratto dell’eredità del conte al figlio Carlo.

48 Per una ricognizione completa delle vicende si veda la scheda di PAOLA ASTRUA
in AA.VV., Zenale e Leonardo: tradizione e rinnovamento della pittura lombarda, Milano,
Electa, 1982, pp. 158-64, e una sintesi più recente nella scheda di STEFANIA BUGANZA
nel catalogo della mostra Il Cinquecento lombardo. Da Leonardo a Caravaggio, a cura di
Flavio Caroli, Milano-Firenze, Skira-Artificio, 2000, pp. 92-93, cat. III.7.
49 Il Resta fece uno schizzo del pannello centrale con Angeli cantori attestandone
l’autografia bramantinesca (GIULIO BORA, I disegni del Codice Resta, Cinisello Balsamo
[Mi], Credito Italiano, 1976, n° 19, pp. 15, 267).
50 CARLO TORRE, Il ritratto di Milano, Milano, per gl’Agnelli scult. & stamp., 1714
(I ed. 1674), p. 268.
51 FRANCESCO SAVERIO BARTOLI, Notizia delle pitture, sculture ed architetture che orna-
no le chiese e gli altri luoghi pubblici di tutte le più rinomate città d’Italia […], Venezia, pres-
so Antonio Savioli in Merceria, 1776, p. 162.
52 WILLIAM SUIDA, Bramante pittore e il Bramantino, Milano, Ceschina, 1953, pp.
234-35.
53 CARLO BIANCONI, Nuova guida di Milano per gli amanti delle belle arti e delle sacre,
e profane antichità milanesi, Milano, nella Stamperia Sirtori, 1787, p. 281.
886 Silvio Mara

Il breve racconto del Rezzonico forse può aiutare a ricostruire i pas-


saggi prima dell’ingresso in casa Pertusati. L’autore ricorda che quando
fu smontato il vecchio organo di San Francesco, le tavole con Angeli furo-
no vendute a un certo Caimi, bombardiere del Regio Ducal Castello.
Costui era anche un rigattiere e in quanto tale mostrò a molti le tavole,
ma la notizia giunse ai frati, che si vergognarono della vendita e recupe-
rarono i dipinti, ricompensando il Caimi con un regalo.
L’aneddoto è ritenuto veritiero e infatti in una nota il conte tiene a pre-
cisare che ai suoi tempi viveva ancora il figlio del bombardiere, che aveva
raccontato la storia al pittore Giuseppe Mazza, il quale a sua volta l’aveva
riferita al Rezzonico. In questo modo il conte ci mette a conoscenza di un
altro elemento importante, cioè che era in relazioni con Giuseppe Mazza,
pittore che restaurò il Cenacolo nel 1770. Evidentemente Rezzonico si av-
valeva dei pittori contemporanei per pareri e notizie sulle opere del Vinci.
Prosegue poi sostenendo che sicuramente sia gli Angeli che le ante coi Pro-
feti dovevano ascriversi al Bramantino. Questa osservazione è rilevante perché
nel periodo in cui scrive, l’attribuzione a Leonardo era sostenuta con forza
quasi da tutti, tant’è vero che quando entrarono nella collezione di Antonio
Greppi, una perizia di Martin Knoller del 19 agosto 1780 confermò la pater-
nità vinciana. Per quel che si sa, solo Venanzio de Pagave aveva espresso un
parere contrario nella sua Vita di Bramantino, che però essendo manoscritta
non poteva essere nota a chiunque. Oggi si ritiene con certezza che l’autore
di tutto il complesso dell’antico organo di Brera sia lo Zenale, mentre delle
ante dipinte si sono perse le tracce subito dopo la soppressione del monaste-
ro e chiesa di san Francesco. Se Rezzonico si dice così certo dell’attribuzione,
significa che la notizia gli era giunta in qualche modo. Non ho alcuna testi-
monianza che Rezzonico conoscesse il de Pagave, e in attesa che si possano
trovare prove in questo senso, si può comunque ipotizzare che qualcuno abbia
riferito questo giudizio di merito. In effetti subito dopo Rezzonico parla di
una relazione di Gaetano Callani e Carlo Giuseppe Gerli. Abbiamo già visto
come entrambi dovevano essere stimati come esperti di cose leonardesche,
perciò questa ulteriore testimonianza non può che confermarlo.
Non a caso il Callani fu anche l’autore di un ritratto di Leonardo: si
tratta dell’acquaforte conservata presso la Raccolta Bertarelli (RI.M.43-
49), e già abbastanza conosciuta54 perché esposta in diverse mostre, che

54 L’esemplare RI.M.43-49 conservato presso la Raccolta A. Bertarelli di Milano è


riportato in AA.VV., Leonardo e l’incisione, stampe derivate da Leonardo e Bramante dal XV
Una biografia inedita di Leonardo 887

però a mio giudizio andrebbe rivista alla luce di quanto è emerso dai
manoscritti del Rezzonico.
L’incisione è di Domenico Cunego, reca la data 1782 ed è tratta da un
disegno di Gaetano Callani, che è stato rintracciato nella Biblioteca Pa-
latina di Parma e pubblicato anch’esso in due occasioni.55 Di questa inci-
sione esiste anche un esemplare identico presso l’Ente Raccolta Vinciana.
In base ad una notizia tramandata dall’Allegri Tassoni,56 che a sua volta
deve averla ricavata dal manoscritto di fine Ottocento compilato dallo Sca-
rabelli Zunti,57 la critica ha sempre accettato che l’incisione sia tratta da un
dipinto che il Callani avrebbe eseguito per un «milord» inglese. Così com’è
riportata la notizia appare molto incerta, e nessuna fonte al momento può
attestarla con certezza. Inoltre se si osserva la strana iconografia di questo
ritratto, non si possono negare le sorprendenti attinenze con la fatica lette-
raria del Rezzonico, di cui quest’incisione pare essere una perfetta sintesi.
Vediamo un Leonardo seduto e in vesti settecentesche,in posizione di as-
soluto rilievo su uno scranno, quasi a ricordare il suo ruolo di presunto fon-
datore di Accademia. Fondamentale richiamo all’opera del Rezzonico è un
dettaglio finora sfuggito alla critica: Leonardo infatti tiene appoggiata alla
mano sinistra una «lira». Si tratta dello strumento di sua invenzione che qui
corrisponde fedelmente alla descrizione fattane dal Rezzonico, che riteneva
avesse una cassa d’argento a forma di cranio di cavallo su cui erano fissate 24
corde.
Il fastoso ambiente in cui sta Leonardo è affollato da richiami molto pre-
cisi a una serie di oggetti che simboleggiano le arti in cui il Vinci eccelle-
va. A simboleggiare la pittura sta una tavolozza appoggiata sul tavolo, per

al XIX secolo, a cura di Clelia Alberici e Mariateresa Chirico De Biasi, Milano, Electa,
1984, scheda 172, pp. 122-23. Si vedano anche le schede critiche di FEDERICO
TOGNONI in AA.VV., L’immagine di Leonardo: testimonianze figurative dal XVI al XIX sec.,
a cura di R.P. Ciardi, Carlo Sisi, Firenze, Giunti, 1997, scheda 1.15, pp. 91-92, e di
EDOARDO VILLATA, in AA.VV., Leonardo da Vinci, la vera immagine: documenti e testimo-
nianze sulla vita e sull’opera, a cura di Vanna Arrighi - Anna Bellinazzi - E. Villata,
Firenze, Giunti, 2005, scheda 1.4, p. 113.
55 G. ALLEGRI TASSONI, Gaetano Callani (1736-1809), in “Aurea Parma”, LIX
(1975), pp. 32-58, tav. V; la scheda 1.4, p. 113 di E. VILLATA, in AA.VV., Leonardo da
Vinci, la vera immagine.
56 G. ALLEGRI TASSONI, Gaetano Callani (1736-1809), p. 48.
57 Si tratta del ms. 116 conservato presso la Sovrintendenza alla Galleria di Parma.
Lo Scarabelli Zunti aveva composto una biografia del Callani in base alle carte trovate
in archivio.
888 Silvio Mara

la musica delle pagine di uno spartito, per la scultura un martello e alcuni


strumenti a terra in primo piano e forse i busti sulle mensole a destra (non
si capisce bene se sono sculture dall’antico o altro), per la geometria il libro
aperto in primo piano e un compasso, per l’arte militare un cannone e un
piccolo mortaio copiato dal f. 33r (già 9v a) del Codice Atlantico, per
l’idraulica la ruota dentata sulla sinistra anch’essa copiata dal foglio 1070r
(già 387r a), per l’astronomia la sfera armillare sullo scaffale e per la geogra-
fia il mappamondo a terra. L’eccellenza di Leonardo nella geografia viene
affermata dal Rezzonico nella Vita al foglio 470v, dopo aver ricordato la
carta geografica della Val di Chiana al foglio 918r (già 336r) del Codice
Atlantico, prosegue poi col tessere le lodi dell’altro disegno al foglio 1006v
(già 361v b) raffigurante una carta geografica dell’Europa con i suoi Stati.
Inoltre nell’incisione si scorgono altre due citazioni palesi di opere leo-
nardesche. Sullo sfondo dietro un portico si vede un cavallo che secondo
Villata richiama il monumento Sforza, ma che per Tognoni allude alla sta-
tua mai realizzata per Gian Giacomo Trivulzio. Infine dietro alla «bom-
barda» si distingue un leone, che evoca chiaramente l’automa inventato da
Leonardo per Francesco I.
Alla figura seduta viene conferita una connotazione precisa nel volto in
profilo, che è esemplato sul ritratto di Leonardo che stava nel Museo giovia-
no, noto anche attraverso una copia di Cristofano dell’Altissimo a Firenze.
È davvero singolare che tutte queste connotazioni, oltre che il preciso ri-
ferimento a opere di Leonardo, siano menzionate nell’opera del Rezzonico.
Diconseguenza pare quasi impossibile che il Callani abbia elaborato tali idee
iconografiche autonomamente prescindendo dall’opera del nobile comense.
Come si è accennato precedentemente è nota l’intenzione del Rezzonico di
porre a corredo del suo testo un ritratto di Leonardo che avrebbe fatto ese-
guire al pittore Zoffany. Per quel poco che ci è dato di sapere il pittore non
eseguì il ritratto prima della sua partenza per l’Inghilterra nel 1779.
L’artista incaricato infatti fu altra persona rispetto a quelle già citate. Il
fortunato ritrovamento di un ulteriore ritratto di Leonardo58 mi ha permes-

58 Si tratta di un foglio acquerellato incollato al f. 1v del volume Triv. At. 245. 1-


2 a cui anticamente fu posta la seguente iscrizione: «Giambattista Rodriguez Pittore
oriondo di Como, inventò e fece questo disegno l’anno 1779 per il Sig.r Conte Antone
Rezzonico, il quale in quel tempo era appresso a comporre la Vita di Leonardo da Vinci,
ma che prevenuto dalla morte non potè condurre a fine». In realtà la presenza di que-
sto disegno fu segnalata, ma senza riprodurla, da Emilio Motta ma l’appunto è rimasto
Una biografia inedita di Leonardo 889

so di risolvere il problema. In apertura di un volume miscellaneo conservato


presso la Biblioteca Trivulziana è presente il ritratto di Leonardo che il conte
fece realizzare dal pittore comasco Giovanni Battista Rodriguez.59 Il disegno
acquerellato, esemplare unico e finora inedito, fu realizzato nel 1779 e incon-
fondibilmente si può riconoscere come prototipo per il disegno del Callani e
l’acquaforte di Cunego. Il foglio infatti ripropone con un linguaggio ancora
profondamente tardo barocco gran parte degli elementi presenti nel ritratto
eseguito da Callani. Si distanzia per l’ambientazione e per la fantasiosa ela-
borazione della cosiddetta “lira”, che qui assume una forma molto particola-
re e viene coronata alla sommità con una testa di cavallo. Altrettanto curio-
sa è la postura quasi michelangiolesca dell’effigiato, mentre il profilo è trat-
to dal ritratto gioviano con l’aggiunta della berretta da viaggio così come
compare nella stampa realizzata per la seconda edizione delle Vite vasariane.
E’ singolare che questo esemplare sia finito nella biblioteca dei prin-
cipi Trivulzio, segno evidente dei numerosi rapporti che intrattenevano
gli eruditi. In questo caso è forse più verosimile che ancora una volta sia
giunto per mezzo di Giuseppe Bossi, che vantava una solida amicizia con
Gian Giacomo Trivulzio.

finora inosservato (E. MOTTA, Il restauro del Cenacolo nel secolo XVII e l’auto-difesa del pit-
tore Mazza, in “Raccolta vinciana”, III [1907], p. 128).
59 Di questo pittore si conosce veramente poco, l’unico a parlare di lui pare sia
Giovanni Battista Giovio che gli dedica una scarna biografia (G.B. GIOVIO, Gli uomini della
comasca diocesi nelle arti, e nelle lettere illustri, Modena, Presso la Società Tipografica, 1784, p.
235). Il pittore realizzò parte degli affreschi per il rinnovato palazzo Giovio a Como, sap-
piamo anche che nel 1784 doveva essere ultrasessantenne e che dimorava in Milano. La col-
laborazione col Rezzonico è attestata dal Giovio, che ricorda un affresco realizzato per lui a
Como, ma anche dai manoscritti del conte che lo ricorda assieme al Callani esprimere un
giudizio sul Cenacolo (Bibl. Com. Como, ms. A-3-IX-1 o, f. 26).
890 Silvio Mara

GIOVANNI BATTISTA RODRIGUEZ, Ritratto di Leonardo, Milano, Archivio Storico


Civico e Biblioteca Trivulziana.

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