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L’OPERA IN ITALIA NEI Alcuni fra i primi melodrammi, nati nelle corti italiane del primo
PRIMI DECENNI DEL SEICENTO Seicento, rappresentati in genere in occasioni festive, a solenniz-
zare eventi di corte, ci sono stati trasmessi attraverso edizioni a
stampa. L’edizione aveva lo scopo di lasciare memoria di spet-
Antolini, L’opera nel Sei e Settecento 2
L’OPERA A VENEZIA L’apertura del primo teatro pubblico a Venezia, nel 1637, segna
NEL SEICENTO una data importante nella storia dell’opera. Ora lo spettacolo me-
lodrammatico è aperto a un pubblico pagante e si organizza su
regolari basi stagionali. A Venezia nel Seicento sono aperti diversi
teatri, che mettono in scena opere sempre nuove. Per le opere
veneziane non possediamo alcuna partitura completa a stampa.
Un unico caso di edizione a stampa riguarda arie estratte da ope-
re differenti: si tratta delle Arie a voce sola di Francesco Lucio,
pubblicate da Alessandro Vincenti nel 1655. Nella dedica il com-
positore accenna al fatto che queste sue «povere Canzonette …
guadagnarono sopra le sene qualche aura di lode»: in effetti un
Antolini, L’opera nel Sei e Settecento 7
sieme all’inizio del II e III) e divisa in due porzioni: una alla Bri-
tish Library, l’altra al Fitwilliam Museum di Cambridge. Sempre
alla British Library è conservata una copia manoscritta redatta
da Linike, il principale copista del Teatro Haymarket durante i
primi anni londinesi di Handel, e violista nell’orchestra ai tempi
della prima rappresentazione di Rinaldo. Le copie di Linike furo-
no preparate fra 1712 e 1725: Winton Dean data la copia di Rinaldo
intorno al 1716. Non si tratta di una copia usata per rappresen-
tazioni, ed è infatti piena di errori, sia nel testo sia nella musica;
tuttavia ha una grande importanza poiché contiene annotazioni
autografe di Handel, che mostrano le sue intenzioni per la revi-
sione del 1731. Divenne quindi una sorta di copia di lavoro per il
compositore.
Handel creò questa volta una sorta di pasticcio con musiche pro-
prie: infatti, della versione 1711 rimasero invariati solo quattro
(forse cinque) numeri, per il resto dieci numeri furono traspor-
tati per adattarsi ad altri tipi di voce; dieci vennero sottoposti a
revisione – di questi, alcuni furono assegnati ad altro personaggio
(per esempio fece cantare Ah crudel non da Armida ma da Almi-
rena, e affidò il duetto Al trionfo del nostro furore a Goffredo e Al-
Antolini, L’opera nel Sei e Settecento 20
e gli Spiriti beati (II, 2); Orfeo e Euridice (III, 1); Orfeo e Amore
(III, 2); Orfeo e un insieme costituito da Euridice, Amore e cori
festanti (III, 3). Il ruolo del coro, come si può vedere, è anch’esso
assai rilevante nel piano drammatico predisposto da Calzabigi,
poiché è presente in modo costante nei primi due atti, e poi alla
fine del terzo. Lungi dal limitarsi ad una funzione di commento,
il coro interagisce con Orfeo mettendone in luce lo stato d’animo.
L’apporto di Gluck accresce il significato conferito al coro, grazie
alla finezza e alla ricchezza della sua scrittura corale. Va ricordato
peraltro che l’argomento mitologico e l’ampia parte riservata al
coro e alla danza erano tratti caratteristici del genere cui l’Orfeo
apparteneva, ovvero l’azione teatrale: non nell’introduzione di
questi elementi, ma nel loro diverso trattamento sta quindi la no-
vità dell’Orfeo di Calzabigi e Gluck. Anche dal punto di vista me-
trico, Calzabigi sperimentò in Orfeo forme diversificate, distanti
quindi dalla uniformità metrica delle arie metastasiane.
Anche la scena delle Furie all’inizio del II atto subì una modifica
nella partitura francese: essa venne infatti conclusa con l’inseri-
mento di una danza di Furie, tratta da un precedente balletto di
Gluck, Don Juan. Si tratta di un brano efficace come conclusione e
tra l’altro collegato motivicamente al coro delle Furie, ma dal pun-
to di vista espressivo appare abbastanza incongruo: esso infatti ci
presenta le Furie in atteggiamento aggressivo, mentre a quel punto
esse sono già state sottomesse da Orfeo. La scena dei Campi Elisi
fu invece ampliata espandendo la danza iniziale degli spiriti beati
e aggiungendo un’aria per Euridice (Cet asyle aimable). Nel terzo
atto, l’aria di Euridice Che fiero momento fu trasformata, nella par-
te centrale, in un duetto che porta avanti l’azione; inoltre nella II
scena venne aggiunto un terzetto e nella III scena inserì prima del
coro finale un esteso divertissement (ma la successione dei vari pez-
zi in esso non è uguale nelle diverse fonti).
allegati
17) a: scena dei Campi elisi nella versione 1762 (dall’ed. critica a c.
di Anna Amalie Abert, Kassel, Bärenreiter, 1962, Opere complete
di C.W. Gluck)
18) b: scena dei Campi elisi nella versione francese 1774 (dall’ed.
critica a c. di Ludwig Finscher, Kassel, Bärenreiter, 1967, Opere
complete di C.W. Gluck)
19) elenco delle arie aggiunte da J.C. Bach nella versione londi-
nese di Orfeo; le arie di Bach nei Favourite songs (da The collected
works of Johann Christian Bach 1735-1782, ed. by E. Warburton, vol
9, New York, Garland, 1990)
20) Le arie da Orfeo in A select collection of the most admired songs,
duetts…di D. Corri (facs. a c. di P. Bernardi e G. Nappo).
21) indice del manoscritto con la versione di Orfeo per Napoli
1774, e alcune pagine di partitura con Che puro ciel (da The col-
lected works of Johann Christian Bach 1735-1782, ed. by E. Warbur-
ton, New York, Garlamd 1987, vol 11).
22) tabella di confronto fra la versione italiana 1762 e quella fran-
cese 1774 di Orfeo
23) alcune pagine della partitura a stampa di Orphée et Euridice,
Paris [1774]
24) frammenti autografi di Orphée et Euridice
25) lista dei sottoscrittori e prima pagina di musica dell’edizione
di Rellstab