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La Galleria Corsini, pur nelle difficoltà in cui da parecchio tempo si trova per carenze gravissime di
personale, continua a lavorare nel campo della ricerca e della conservazione e in questa mostra se
ne vedono alcuni pregevoli risultati.
Vengono presentate adesso una trentina di opere, molte delle quali raramente visibili, che
permettono a ciascuno di noi di comprendere meglio e apprezzare ancora più seriamente la notevole
consistenza delle raccolte ancora foriere di scoperte e novità.
Una acquisizione notevole è quella delle due Teste di vecchi rubensiane. Non erano mai state
studiate accuratamente e il restauro permette di collocarle meglio. L’ipotesi di una piena autografia,
almeno per una delle due, qui formulata non mancherà di attrarre 1'attenzione di tutti gli esperti e ci
pare di poter dire che si tratta di una proposta ben argomentata e meditata.
Altrettanto interessanti sono alcune nuove proposte inerenti a dipinti fino a oggi mal definiti da una
incerto anonimato. Questo vale tanto per il bellissimo Noli me tangere, ritenuto sostanzialmente una
copia antica, e che adesso viene con convinta analisi presentato come possibile autografo del grande
maestro urbinate, quanto per l’altrettanto interessante Cristo nell’orto, fin qui giudicato una
semplice derivazione dal Correggio e ora interpretato come possibile autografo del grande Lelio
Orsi.
Insomma numerose opere che normalmente sono pressoché invisibili riemergono alla luce per
sollecitare nuovi studi e nuovi approcci con autori trascurati ma meritevoli come Andrea Commodi,
Pietro Lucatelli, Franz de Momper, Justus Sustermans, mentre non può non essere segnalata l’alta
qualità di opere come la coppia dell’Angelo Annunziante e la Vergine del Maratta o i bei dipinti del
Carlevarijs, dell’Anesi e del Vanvitelli.
Ma, come sempre, la piccola mostra consente una verifica sulla varietà delle tipologie contenute nel
nostro museo, dalla veduta, al paesaggio, alla pittura sacra, alla ritrattistica, tipologie più volte
rimarcate grazie all’impegno del direttore Sivigliano Alloisi, ma sempre opportunamente riproposte
per una sempre migliore conoscenza di un patrimonio veramente importante, vanto della nostra
città.
Claudio Strinati
Soprintendente per il Polo Museale Romano
Introduzione alla mostra
Una mostra come questa è l’occasione di una verifica incrociata tra chi vive professionalmente
dentro il museo e chi lo usa a qualsiasi titolo.
I primi mettono in chiaro il loro lavoro, gli altri ne controllano i risultati. Una mostra come questa
quindi non è un “evento”, è una parte della quotidianità che affiora finalmente e dà un senso al
museo. Vuole essere un tentativo, per quanto minimo, di ristabilire la centralità di una istituzione
che oggi appare in crisi sotto i colpi di una cultura dello spettacolo che ha contagiato tutti: lo Stato,
gli utenti e chi, a vario titolo, non sempre confessabile, cavalca l’alea della moda e del profitto.
C’è un bisogno assoluto di chiarezza, di buone intenzioni, di concretezza, di una progettualità che
metta fine agli sperimentalismi avventati, ai personalismi sfrenati, all’assalto infine di una diligenza
scassata, senza guida e soprattutto senza cavalli.
Il museo statale è come un trampoliere stanco che solleva di volta in volta una zampa nel tentativo
di rimanere in piedi, ma fino a quando? Fino a quando si continuerà ad usarlo come mero deposito
di quadri da richiedere per ogni follia espositiva e a ignorare i suoi bisogni più immediati?
È incredibile, ma c’è chi pensa che per risolvere i suoi problemi la cura migliore sia quella di
eliminarne alcuni, nel vano tentativo di rincorrere il modello, ormai desueto, del grande museo
generalista, disperdendo così un patrimonio che rende unica la storia culturale di Roma!
S.A.
Elenco delle opere
Anonimo
3. Deposizione di Cristo nel sepolcro, Inv. 504
Anonimo, da Correggio
4. Pietà; Inv. 214
Pietro Paolo Bonzi, detto il Gobbo dei Carracci (Attr.) (Cortona 1576 ca. – Roma 1636)
7. Frutta, scatola e fiori; Inv. 12
10. Veduta del molo verso palazzo Ducale e la riva degli Schiavoni
Olio su tela, cm 74 x 118; Inv. 26
Iscrizioni: “L.C.”, in basso a destra
Michele Di Monte
DOCUMENTI: MAGNANIMI 1980a, inv. A, p. 95, nn. 21-22; inv. B, p. 103, nn. 110-111; inv. Ba, p.
114, nn. 32-33; PAPINI 1998, inv. 1770b, nn. 26-27.
Magnanimi G. (1980a), Inventari della Collezione romana dei principi Corsini, in “Bollettino
d’Arte”, 7, pp. 91-126.
Papini M. L. (1998), L’ornamento della pittura, Cornici, arredo e disposizione della Collezione
Corsini di Roma nel XVIII secolo, Roma.
BIBLIOGRAFIA: A. RIZZI, 1967, p. 94; P. ZAMPETTI, 1967 (a cura di), p. 48; D. SUCCI, I. REALE, 1994
(a cura di), pp. 45, 195-200; S. ALLOISI, 2002, pp. 34-37; F. PEDROCCO, in TITIAN TO TIEPOLO.
THREE CENTURIES OF ITALIAN ART (2002), p. 98.
Alloisi S. (2002), Arcadie e vecchi merletti. Paesaggi della collezione Corsini, Roma.
Pedrocco F., in Titian to Tiepolo. Three Centuries of Italian art (2002), catalogo della mostra,
Canberra, National Gallery of Australia-Melbourne Museum, Firenze.
Succi D., Reale I. (1994), a cura di, Luca Carlevarijs e la veduta veneziana del Settecento, catalogo
della mostra, Padova, Palazzo della Ragione, Milano.
Zampetti P. (1967), a cura di, I vedutisti veneziani del Settecento, catalogo della mostra, Palazzo
Ducale, Venezia.
Lelio Orsi (?), da Correggio
(Novellara, 1511-1587)
Il dipinto compare negli inventari Corsini almeno dal 1750 e risulta comprato direttamente dal
cardinal nepote Neri Maria Corsini, per il prezzo di 20 scudi, da un tal Ferretti, non meglio
identificato. Dal 1750 in poi il piccolo rame viene regolarmente registrato negli inventari corsiniani,
correttamente indicato come copia, “antica” o “di scuola”, dal rinomato originale di Correggio
(Apsley House, Londra), che a quell’epoca si trovava nelle collezioni reali spagnole a Madrid, ma
era già stato largamente celebrato nella letteratura artistica italiana cinque-seicentesca, a partire dal
Vasari (1568), che lo ricorda a Reggio – dove ancora nel 1584 suscitava l’interesse del re di
Spagna, che tentò di acquistarlo, per il tramite di Pompeo Leoni, dal proprietario Francesco
Signoretti – al Lomazzo (1590), che ne registra il passaggio nella collezione milanese del conte
Pirro Visconti, allo Scannelli (1657), che lo dice ceduto dai Visconti al governatore di Milano,
marchese di Caracena, fino al trasferimento in Spagna, dove risulta negli inventari dell’Alcazar di
Madrid dal 16661.
In effetti, la preziosa tavoletta correggesca dovette esercitare ben presto una significativa
suggestione per la sottigliezza e la novità delle soluzioni iconografiche non meno che degli effetti
luministici, e basti pensare agli esiti che il modello di Correggio promuoverà nelle più tarde
redazioni tintorettesche e veronesiane dello stesso soggetto. In specie per la costruzione
risolutamente eccentrica dell’impianto, che sposta a sinistra il fuoco dell’inquadratura e risolve così
in un’ellissi figurativa la presenza, sempre compositivamente problematica, degli apostoli, compresi
nella scena ma pressoché invisibili, inghiottiti in un’oscurità che è palese metafora della loro caro
infirma, della loro incoscienza, corporea e spirituale, del dramma cristologico, ulteriormente
sottolineata dall’“insufficienza” del livido lume naturale che appena rischiara l’orizzonte. La
dialettica “bifocale” e oppositiva dell’impianto luministico richiama così l’attenzione al cospetto di
Cristo, con lo sguardo levato al cielo, imbevuto di un fulgore superno che riverbera anche sulla
figura dell’angelo, inviato a consolare – secondo il dettato del vangelo di Luca (Lc 22, 43) – la
sofferenza del Messia, ma anche a “rispondere”, con l’indice puntato verso i simboli dell’incipiente
passione, la croce e la corona di spine (nella copia Corsini oggi malamente visibili), alla supplica
drammaticamente umana rivolta al Padre: “si possibile est…” (Mt 26, 39)2.
Se questi elementi contribuiscono a spiegare la fortuna figurativa del capolavoro di Correggio, le
vicende storico-materiali del dipinto rendono più difficile un’esatta valutazione dei rapporti di
dipendenza delle numerose copie e derivazioni, nonché di una loro adeguata collocazione
cronologica rispetto all’originale. È da notare, infatti, che tutte le copie oggi note – comprese le
varie traduzioni incisorie (per le quali vedi Mussini 1995, pp. 169-172) – ci presentano un stato
dell’immagine che non corrisponde precisamente a quanto è attualmente visibile, dopo il restauro
del 1949, nel dipinto londinese, in particolare per quel che riguarda la metà destra del quadro, con le
figure degli apostoli, che nelle copie appaiono in una disposizione sensibilmente diversa (figg. 1-2).
Tale configurazione, appena intuibile anche nella versione Corsini, ricalca le condizioni
dell’originale correggesco dopo una ridipintura piuttosto estesa, se non addirittura un taglio, che
dovette interessare appunto la porzione destra della tavola – forse a seguito di un danneggiamento –
in una data imprecisabile, ma probabilmente precoce, forse persino prima del trasferimento a
Milano (Gould 1950, p. 140); a meno di voler ipotizzare un ripensamento e un rifacimento diretto
ad opera dello stesso Correggio (Ekserdjian 1997, p. 160). Ciò potrebbe anche motivare la presenza
di molte desunzioni parziali dell’opera, più o meno “tagliate” sulla sola figura di Cristo, a scapito
del lato oscuro del quadro, evidentemente ormai poco decifrabile (fig. 3).
1
Per la documentazione circa i vari passaggi di proprietà del dipinto correggesco vedi Gould 1950 e, più recentemente,
Monducci 2004.
2
Sulle complesse implicazioni esegetiche e tematiche del soggetto nella pittura cinquecentesca, scarsamente o per nulla
studiate, vedi ora l’eccellente Casellato 2003.
1. Correggio, Orazione nell’orto, Wellington Museum, Apsley House, Londra
Anche per queste ragioni non è facile dire se la copia Corsini – che rappresenta una soluzione
dimensionalmente “intermedia”, leggermente più stretta e più alta dell’originale (che misura cm 37
x 40) – possa ritenersi esemplata direttamente sul modello correggesco oppure derivata
indirettamente da altra copia o incisione. La questione è poi ulteriormente complicata dal cattivo
stato di conservazione del dipinto, che ha sofferto purtroppo ampie perdite della superficie pittorica,
localizzate soprattutto nella zona destra, assai limitatamente fronteggiabili dal recente restauro
(2006). Nondimeno, nonostante lo stato lacunoso dell’insieme, le parti meglio conservate hanno
ritenuto a sufficienza l’originale, raffinata qualità della pittura – in particolare, fortunatamente, per
le figure di Cristo e dell’angelo, cui la pulitura ha restituito piena leggibilità. Qualità che, oltre a
testimoniare una meticolosa esecuzione, evidenzia pure una notevole fedeltà al modello e nello
stesso tempo una non banale autonomia di reinterpretazione stilistica, soprattutto a confronto con
altre copie più note, ad esempio la redazione della National Gallery di Londra – datata con largo
margine tra 1640 e 1750 – o la versione ascritta a Fede Galizia, nel Museo Diocesano di Milano.
Rispetto a queste e altre derivazioni il dipinto Corsini mostra una maggior finezza di disegno e
modellato che guadagna – si direbbe deliberatamente – in incisività e nitore quel che perde in
termini di vibratilità luministica atmosferica, tanto tipicamente correggesca quanto difficilmente
replicabile.
Per quel che concerne la non facile questione della possibile autografia, anche a fronte delle
condizioni in cui si presenta oggi l’opera, la proposta, sia pur con riserva, del nome di Lelio Orsi
sembra potersi accordare abbastanza plausibilmente con gli elementi in nostro possesso, a
cominciare da considerazioni stilistiche. Per quanto è possibile giudicare, si può qui ravvisare,
specialmente nella figura dell’angelo, quel carattere polito di forme ben levigate, pur nell’elegante
tormento della linea, quell’acuminato profilarsi del panneggio, quella vividezza di contrasti
cromatici con cui, nei lavori maturi e tardi di Lelio Orsi, si trascrive, come cristallizzato, il caldo
modellato del Correggio. È ben noto, d’altra parte, che proprio il Cristo nell’orto della Apsley
House, che l’Orsi può aver certo direttamente conosciuto nel suo ultimo soggiorno a Reggio,
costituì a più riprese motivo d’ispirazione per la sua pittura: dal dipinto di identico soggetto oggi in
collezione privata (venduto da Sotheby’s, a Firenze, nel 1974) – che pure esibisce alcune citazioni
letterali – alla surreale, onirica invenzione con Cristo tra le croci; per tacere di altre versioni note
solo dalle fonti3.
Ma anche a una analisi più ravvicinata sono individuabili dettagli, di morelliana memoria, che
potrebbero avere qualche valore diagnostico. Si noti, per esempio, la concisa, rapida pennellata con
cui il pittore suggerisce, in termini assai stilizzati e compendiari, il fogliame illuminato ancora in
parte visibile (e in effetti presente nell’originale) alla base del tronco su cui poggia la croce e la
corona di spine: una caratteristica sigla grafica che si ritrova, con le stesse funzioni, in opere come i
Pellegrini a Emmaus della National Gallery di Londra, il Noli me tangere di Hartford, la Pietà di
Palazzo Venezia a Roma. Quanto al supporto, il rame, non si tratterebbe di un materiale estraneo
alla produzione dell’Orsi, che ne fece uso più d’una volta per dipinti di analogo, piccolo formato: si
pensi alla Leda di collezione privata o ai SS. Cecilia e Valeriano della Galleria Borghese, utilmente
confrontabile anche dal punto di vista dei preziosismi calligrafici e cromatici ottenibili grazie alla
pittura su rame.
Nulla sappiamo, tuttavia, della provenienza del dipinto Corsini prima del suo acquisto da parte del
cardinal Neri. Sennonché, il Ferretti citato in inventario potrebbe forse identificarsi con il pittore
Giovan Domenico Ferretti, fiorentino di nascita, ma imolese di origine e formazione, parente del
noto erudito e antiquario Anton Francesco Gori, e certamente in contatto con i Corsini, per i quali,
nel 1753, aveva contribuito alla decorazione della cappella di famiglia nella chiesa del Carmine a
Firenze4.
3
Per i vari riferimenti alle opere di Lelio Orsi si veda complessivamente Monducci, Pirondini 1987. Sull’interesse del
pittore per il Cristo nell’orto del Correggio, e più in generale sulla fortuna del dipinto, vedi da ultimo Spagnolo 2005, in
part. pp. 75 e 280.
4
Sul Ferretti si veda il breve profilo biografico stilato da A. G. De Marchi (1987).
Un’altra copia dell’originale correggesco, anch’essa dipinta su rame (cm 41 x 25,4), è comparsa sul
mercato antiquario qualche anno fa con un’attribuzione a Lelio Orsi, in un’asta Christie’s a New
York (29 gennaio 1999), e mostra, a giudicare dalla riproduzione fotografica, una certa affinità con
il dipinto Corsini. Attribuita, invece, alla bottega dell’Orsi una più scadente tavoletta (cm 35 x 25,5)
andata recentemente all’incanto a Vienna (Dorotheum, 22 marzo 2002).
Michele Di Monte
DOCUMENTI: MAGNANIMI 1980a, inv. A, p. 96, n. 43; inv. B, p. 101, n. 38; PAPINI 1998, inv. 1784,
p. 198, n. 354; inv. 1812, p. 226, n. 506; inv. ante 1845, p. 252, n. 435.
Magnanimi G. (1980a), Inventari della Collezione romana dei principi Corsini, in “Bollettino
d’Arte”, 7, pp. 91-126.
Papini M. L. (1998), L’ornamento della pittura, Cornici, arredo e disposizione della Collezione
Corsini di Roma nel XVIII secolo, Roma.
BIBLIOGRAFIA:
Casellato L. (2003), Agonia e apologia. L’Orazione nell’orto nella cultura figurativa veneziana del
Cinquecento, in “Venezia Cinquecento”, XIII, 25, pp. 5-98.
De Marchi A. G. (1987), Ferretti Giovan Domenico, in Dizionario Biografico degli Italiani, 47,
Roma, 1997, pp. 81-83.
Monducci E. (2004), Il Correggio. La vita e le opere nelle fonti documentarie, Cinisello Balsamo.