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Fuori dall’ombra. Capolavori restaurati della Galleria Corsini.

A cura di Sivigliano Alloisi e Michele Di Monte

Roma, Galleria Corsini, 8 settembre – 9 dicembre 2007


Presentazione

La Galleria Corsini, pur nelle difficoltà in cui da parecchio tempo si trova per carenze gravissime di
personale, continua a lavorare nel campo della ricerca e della conservazione e in questa mostra se
ne vedono alcuni pregevoli risultati.
Vengono presentate adesso una trentina di opere, molte delle quali raramente visibili, che
permettono a ciascuno di noi di comprendere meglio e apprezzare ancora più seriamente la notevole
consistenza delle raccolte ancora foriere di scoperte e novità.
Una acquisizione notevole è quella delle due Teste di vecchi rubensiane. Non erano mai state
studiate accuratamente e il restauro permette di collocarle meglio. L’ipotesi di una piena autografia,
almeno per una delle due, qui formulata non mancherà di attrarre 1'attenzione di tutti gli esperti e ci
pare di poter dire che si tratta di una proposta ben argomentata e meditata.
Altrettanto interessanti sono alcune nuove proposte inerenti a dipinti fino a oggi mal definiti da una
incerto anonimato. Questo vale tanto per il bellissimo Noli me tangere, ritenuto sostanzialmente una
copia antica, e che adesso viene con convinta analisi presentato come possibile autografo del grande
maestro urbinate, quanto per l’altrettanto interessante Cristo nell’orto, fin qui giudicato una
semplice derivazione dal Correggio e ora interpretato come possibile autografo del grande Lelio
Orsi.
Insomma numerose opere che normalmente sono pressoché invisibili riemergono alla luce per
sollecitare nuovi studi e nuovi approcci con autori trascurati ma meritevoli come Andrea Commodi,
Pietro Lucatelli, Franz de Momper, Justus Sustermans, mentre non può non essere segnalata l’alta
qualità di opere come la coppia dell’Angelo Annunziante e la Vergine del Maratta o i bei dipinti del
Carlevarijs, dell’Anesi e del Vanvitelli.
Ma, come sempre, la piccola mostra consente una verifica sulla varietà delle tipologie contenute nel
nostro museo, dalla veduta, al paesaggio, alla pittura sacra, alla ritrattistica, tipologie più volte
rimarcate grazie all’impegno del direttore Sivigliano Alloisi, ma sempre opportunamente riproposte
per una sempre migliore conoscenza di un patrimonio veramente importante, vanto della nostra
città.

Claudio Strinati
Soprintendente per il Polo Museale Romano
Introduzione alla mostra

Una mostra come questa è l’occasione di una verifica incrociata tra chi vive professionalmente
dentro il museo e chi lo usa a qualsiasi titolo.
I primi mettono in chiaro il loro lavoro, gli altri ne controllano i risultati. Una mostra come questa
quindi non è un “evento”, è una parte della quotidianità che affiora finalmente e dà un senso al
museo. Vuole essere un tentativo, per quanto minimo, di ristabilire la centralità di una istituzione
che oggi appare in crisi sotto i colpi di una cultura dello spettacolo che ha contagiato tutti: lo Stato,
gli utenti e chi, a vario titolo, non sempre confessabile, cavalca l’alea della moda e del profitto.
C’è un bisogno assoluto di chiarezza, di buone intenzioni, di concretezza, di una progettualità che
metta fine agli sperimentalismi avventati, ai personalismi sfrenati, all’assalto infine di una diligenza
scassata, senza guida e soprattutto senza cavalli.
Il museo statale è come un trampoliere stanco che solleva di volta in volta una zampa nel tentativo
di rimanere in piedi, ma fino a quando? Fino a quando si continuerà ad usarlo come mero deposito
di quadri da richiedere per ogni follia espositiva e a ignorare i suoi bisogni più immediati?
È incredibile, ma c’è chi pensa che per risolvere i suoi problemi la cura migliore sia quella di
eliminarne alcuni, nel vano tentativo di rincorrere il modello, ormai desueto, del grande museo
generalista, disperdendo così un patrimonio che rende unica la storia culturale di Roma!

S.A.
Elenco delle opere

Paolo Anesi (Roma 1697 – 1773)


1. Veduta del Porto di Nettuno; Inv. 229
2. Paesaggio; Inv. 230

Anonimo
3. Deposizione di Cristo nel sepolcro, Inv. 504

Anonimo, da Correggio
4. Pietà; Inv. 214

Anonimo, da Palma il Giovane


5. Martirio di San Sebastiano; Inv. 248

Federico Barocci (Urbino 1535 – 1612)


6. Cristo appare alla Maddalena; Inv. 202

Pietro Paolo Bonzi, detto il Gobbo dei Carracci (Attr.) (Cortona 1576 ca. – Roma 1636)
7. Frutta, scatola e fiori; Inv. 12

Jacques Courtois, detto il Borgognone (St. Hyppolite 1621 – Roma 1676)


8. Scontro di Cavalleria; Inv. 389

Luca Carlevarijs (Udine 1663 – Venezia 1730)


9. Veduta del molo con la Zecca e la punta della Dogana; Inv. 24
10. Veduta del molo verso palazzo Ducale e la riva degli Schiavoni; Inv. 26

Carlo Cignani (Bologna 1658 – 1719)


11. Gesù Bambino e S. Giovannino
Olio su rame, cm 100 x 75; Inv. 141

Andrea Commodi (?) (Firenze 1560 – 1638)


12. Madonna con Bambino e S. Giovannino; Inv. 485

Carlo Dolci (Firenze 1616 – 1687)


13. Sant’Apollonia; Inv. 139

Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccia (Genova 1639 – Roma 1709)


14. Riposo durante la fuga in Egitto; Inv. 1774

Eberhard Keilhau, detto Monsù Bernardo (Helsingør 1624 – Roma 1687)


15. L’ Inverno; Inv. 33

Giovanni Lanfranco (Parma 1582 – Roma 1647)


16. Giuda e Tamar; Inv. 101

Pietro Lucatelli (Roma 1635 ca. – 1710)


17. La Carità; Inv. 421

Hans Maler zu Schwarz (Attivo tra il 1510 e il 1530)


18. Ritratto di Wolfgang Tanvelder; Inv. 323

Rutilio Manetti (Siena 1571 – 1639)


19. Loth e le figlie; Inv. 1236

Carlo Maratti (Camerano 1625 – Roma 1713)


20. Arcangelo Gabriele; Inv. 392
21. Vergine Annunziata; Inv. 400

Franz De Momper (Anversa 1595 – 1673)


22. Paesaggio boscoso; Inv. 97
23. Paesaggio invernale; Inv. 98

Lelio Orsi (?) (Novellara, 1511 – 1587), da Correggio


24. Cristo nell’orto del Gethsemani; Inv. 453

Giovan Francesco Romanelli (Viterbo 1610 – 1662)


25. Annunciazione; Inv. 228

Peter Paul Rubens (Siegen 1577 – Anversa 1640)


26. Testa di vecchio; Inv. 343
27. Testa di uomo; Inv. 319

Scuola fiamminga del XVII secolo


28. Ritratto Virile; Inv. 331

Giusto Sustermans (Anversa 1597 – Firenze 1681)


29. Ritratto di dama (Caterina de’ Medici?); Inv. 69

Gaspard van Wittel (Amersfoort 1653 – Roma 1736)


30. Le Isole Borromee; Inv. 19
Luca Carlevarijs
(Udine 1663 – Venezia 1730)

9. Veduta del molo con la Zecca e la punta della Dogana


Olio su tela, cm 74 x 118; Inv. 24
Iscrizioni: “L.C.”, in basso a destra

10. Veduta del molo verso palazzo Ducale e la riva degli Schiavoni
Olio su tela, cm 74 x 118; Inv. 26
Iscrizioni: “L.C.”, in basso a destra

Collocazione: Roma, Galleria Corsini

Restauri: 1956, Vermehren


Non è del tutto pacifica l’identificazione delle due tele negli inventari Corsini, giacché il
ricorrente riferimento a due vedute “di fiere” o “di mercato di Luca Carlevari, piccoli” non sembra
compatibile con le dimensioni delle opere in questione, che invece potrebbero identificarsi –
nonostante la non perfetta coincidenza della descrizione della scena dipinta – nelle “due vedute
della piazza di S. Marco di Venezia”, lasciate in legato ai Corsini dal Cardinal Ruspoli (Alloisi
2002, p. 36).
I due dipinti costituiscono un perfetto pendant non solo per le identiche misure, ma anche, più
specificamente, per la scelta di un medesimo punto di vista prospettico, che apre su due opposte
inquadrature, precisamente simmetriche: da una parte il palazzo Ducale, verso la riva degli
Schiavoni, dall’altra la libreria Sansoviniana e la Zecca, verso la chiesa della Salute e la punta della
Dogana. La coppia di dipinti è correntemente datata – nonostante i pareri difformi espressi in
passato (Zampetti 1967, p. 48) – intorno alla metà del primo decennio del XVIII secolo, in
prossimità con le commissioni allogate al Carlevarijs dal collezionista lucchese Stefano Conti e
testimoniate dalle lettere dello stesso pittore che ricordano, in particolare, una veduta della punta
della Dogana, consegnata nell’aprile del 1706, avvicinabile, benché non materialmente
identificabile, con una delle due opere Corsini (Succi 1994, p. 45).
Le tele del Carlevarijs sono un cospicuo esempio del genere del vedutismo veneziano
settecentesco che proprio l’artista udinese aveva contribuito in maniera decisiva ad affermare. Qui,
in particolare, la scelta di scorci prospetticamente scenografici e insieme caratteristici – ricorrenti,
con angolature leggermente variabili, nella produzione del pittore – si lega ad una interpretazione
realistica, quotidiana, apparentemente immediata, dell’immagine della città, ma non per questo
meno studiata e “costruita”, da un punto di vista tanto compositivo quanto tematico. Se infatti le tele
corsiniane ci mostrano una Venezia lontana dal fasto e la pompa rituale delle grandi cerimonie
civiche, immersa nello svolgersi di una feriale attività, è altrettanto ovvio che qui non siamo di
fronte a un’estemporanea, impressionistica tranche de vie. L’impianto prospettico è attentamente
ponderato: la posizione del punto di fuga – quasi esattamente la stessa nei due dipinti – segna il
vertice di un rettangolo che misura nella relazione tra altezza e larghezza (oltretutto, pressoché in
rapporto di sezione aurea) le medesime proporzioni dell’intero quadro. Lo spazio virtuale della
scena è poi oculatamente contrappuntato dall’organizzazione planare della composizione: si noti, ad
esempio, come il disegno delle nubi “graviti” sulla bisettrice della tela, in particolare nel n. 26, dove
il centro geometrico dell’immagine è perfettamente inquadrato dalle due colonne e otticamente
“rilevato” dall’albero maestro della barca che svetta sullo sfondo.
Ma non meno studiata è pure la rappresentazione della viva realtà cittadina, non a dispetto, ma
proprio per il deliberato intento antiretorico e realistico, venato di ironia, che spinge il pittore a
disporre con bilanciato equilibrio e scelta evidenza una serie di motivi e scenette di genere – anche
queste poi variamente riutilizzate nella produzione successiva –, dal teatrino delle marionette nella
piazzetta del Broglio (ancora nel n. 26), ai venditori di pollame, in basso a sinistra, al dettaglio
irriverente del canis defaecans giusto in primo piano, cui risponde, nella tela gemella, il ridicolo
mastino che fa la guardia alla sporta della spesa del padrone. Così il brulichio apparentemente
caotico dell’alacre vita cittadina è animato in realtà da una società i cui diversi membri sono
sufficientemente distinti, per le loro divise, i loro contrassegni, i loro ranghi, i loro uffici, che
Carlevarijs diligentemente registra (e che si ritrovano numerosi in vari suoi schizzi ed appunti
grafici): facchini, marinai, gondolieri, mercanti, sfaccendati senza occupazione, nobili e
gentiluomini non molto più occupati. Semmai colpisce, ma fino a un certo punto, il dato
sociologico, forse involontariamente documentario, della sparutissima presenza delle figure
femminili (e dei bambini) – le donne, riconoscibili per l’abito lungo e la testa coperta dal velo, si
contano appena, in entrambi i dipinti, sulle dita di una mano; dei pargoli non sembra esserci traccia,
nemmeno davanti allo spettacolo dei burattini.
Non casuale, infine, si direbbe pure la scelta del luogo in cui apporre la propria firma. Nella
veduta della Dogana (n. 24), la sigla del pittore, “L. C.”, è appena visibile sul bando ormai lacero
incollato sulla colonna del portico sansoviniano; nell’altra tela, le stesse iniziali sono segnate sulla
cassa, nell’angolo in basso a destra, su cui si riposa il marinaio stanco e seminudo, atteggiato però
in classico contrapposto, colto in posa plastica da modello di disegno accademico, magari – per un
celebrato pittore di vedute – non senza una punta di ironia.

Michele Di Monte

DOCUMENTI: MAGNANIMI 1980a, inv. A, p. 95, nn. 21-22; inv. B, p. 103, nn. 110-111; inv. Ba, p.
114, nn. 32-33; PAPINI 1998, inv. 1770b, nn. 26-27.

Magnanimi G. (1980a), Inventari della Collezione romana dei principi Corsini, in “Bollettino
d’Arte”, 7, pp. 91-126.

Papini M. L. (1998), L’ornamento della pittura, Cornici, arredo e disposizione della Collezione
Corsini di Roma nel XVIII secolo, Roma.
BIBLIOGRAFIA: A. RIZZI, 1967, p. 94; P. ZAMPETTI, 1967 (a cura di), p. 48; D. SUCCI, I. REALE, 1994
(a cura di), pp. 45, 195-200; S. ALLOISI, 2002, pp. 34-37; F. PEDROCCO, in TITIAN TO TIEPOLO.
THREE CENTURIES OF ITALIAN ART (2002), p. 98.

Alloisi S. (2002), Arcadie e vecchi merletti. Paesaggi della collezione Corsini, Roma.

Rizzi A. (1967), Luca Carlevarijs, Venezia.

Pedrocco F., in Titian to Tiepolo. Three Centuries of Italian art (2002), catalogo della mostra,
Canberra, National Gallery of Australia-Melbourne Museum, Firenze.

Succi D., Reale I. (1994), a cura di, Luca Carlevarijs e la veduta veneziana del Settecento, catalogo
della mostra, Padova, Palazzo della Ragione, Milano.

Zampetti P. (1967), a cura di, I vedutisti veneziani del Settecento, catalogo della mostra, Palazzo
Ducale, Venezia.
Lelio Orsi (?), da Correggio
(Novellara, 1511-1587)

24. Cristo nell’orto del Gethsemani


Olio su rame, cm 40 x 35,5; Inv. 453

Collocazione: Roma, Galleria Corsini

Restauri: 2006, Piervincenzi – Zivieri

Il dipinto compare negli inventari Corsini almeno dal 1750 e risulta comprato direttamente dal
cardinal nepote Neri Maria Corsini, per il prezzo di 20 scudi, da un tal Ferretti, non meglio
identificato. Dal 1750 in poi il piccolo rame viene regolarmente registrato negli inventari corsiniani,
correttamente indicato come copia, “antica” o “di scuola”, dal rinomato originale di Correggio
(Apsley House, Londra), che a quell’epoca si trovava nelle collezioni reali spagnole a Madrid, ma
era già stato largamente celebrato nella letteratura artistica italiana cinque-seicentesca, a partire dal
Vasari (1568), che lo ricorda a Reggio – dove ancora nel 1584 suscitava l’interesse del re di
Spagna, che tentò di acquistarlo, per il tramite di Pompeo Leoni, dal proprietario Francesco
Signoretti – al Lomazzo (1590), che ne registra il passaggio nella collezione milanese del conte
Pirro Visconti, allo Scannelli (1657), che lo dice ceduto dai Visconti al governatore di Milano,
marchese di Caracena, fino al trasferimento in Spagna, dove risulta negli inventari dell’Alcazar di
Madrid dal 16661.
In effetti, la preziosa tavoletta correggesca dovette esercitare ben presto una significativa
suggestione per la sottigliezza e la novità delle soluzioni iconografiche non meno che degli effetti
luministici, e basti pensare agli esiti che il modello di Correggio promuoverà nelle più tarde
redazioni tintorettesche e veronesiane dello stesso soggetto. In specie per la costruzione
risolutamente eccentrica dell’impianto, che sposta a sinistra il fuoco dell’inquadratura e risolve così
in un’ellissi figurativa la presenza, sempre compositivamente problematica, degli apostoli, compresi
nella scena ma pressoché invisibili, inghiottiti in un’oscurità che è palese metafora della loro caro
infirma, della loro incoscienza, corporea e spirituale, del dramma cristologico, ulteriormente
sottolineata dall’“insufficienza” del livido lume naturale che appena rischiara l’orizzonte. La
dialettica “bifocale” e oppositiva dell’impianto luministico richiama così l’attenzione al cospetto di
Cristo, con lo sguardo levato al cielo, imbevuto di un fulgore superno che riverbera anche sulla
figura dell’angelo, inviato a consolare – secondo il dettato del vangelo di Luca (Lc 22, 43) – la
sofferenza del Messia, ma anche a “rispondere”, con l’indice puntato verso i simboli dell’incipiente
passione, la croce e la corona di spine (nella copia Corsini oggi malamente visibili), alla supplica
drammaticamente umana rivolta al Padre: “si possibile est…” (Mt 26, 39)2.
Se questi elementi contribuiscono a spiegare la fortuna figurativa del capolavoro di Correggio, le
vicende storico-materiali del dipinto rendono più difficile un’esatta valutazione dei rapporti di
dipendenza delle numerose copie e derivazioni, nonché di una loro adeguata collocazione
cronologica rispetto all’originale. È da notare, infatti, che tutte le copie oggi note – comprese le
varie traduzioni incisorie (per le quali vedi Mussini 1995, pp. 169-172) – ci presentano un stato
dell’immagine che non corrisponde precisamente a quanto è attualmente visibile, dopo il restauro
del 1949, nel dipinto londinese, in particolare per quel che riguarda la metà destra del quadro, con le
figure degli apostoli, che nelle copie appaiono in una disposizione sensibilmente diversa (figg. 1-2).
Tale configurazione, appena intuibile anche nella versione Corsini, ricalca le condizioni
dell’originale correggesco dopo una ridipintura piuttosto estesa, se non addirittura un taglio, che
dovette interessare appunto la porzione destra della tavola – forse a seguito di un danneggiamento –
in una data imprecisabile, ma probabilmente precoce, forse persino prima del trasferimento a
Milano (Gould 1950, p. 140); a meno di voler ipotizzare un ripensamento e un rifacimento diretto
ad opera dello stesso Correggio (Ekserdjian 1997, p. 160). Ciò potrebbe anche motivare la presenza
di molte desunzioni parziali dell’opera, più o meno “tagliate” sulla sola figura di Cristo, a scapito
del lato oscuro del quadro, evidentemente ormai poco decifrabile (fig. 3).

1
Per la documentazione circa i vari passaggi di proprietà del dipinto correggesco vedi Gould 1950 e, più recentemente,
Monducci 2004.
2
Sulle complesse implicazioni esegetiche e tematiche del soggetto nella pittura cinquecentesca, scarsamente o per nulla
studiate, vedi ora l’eccellente Casellato 2003.
1. Correggio, Orazione nell’orto, Wellington Museum, Apsley House, Londra

2. Giovanni Volpato, Orazione nell’orto, incisione da Correggio, 1773.


3. Pierre Etienne Moitte, Orazione nell’orto, incisione da Correggio, 1754.

Anche per queste ragioni non è facile dire se la copia Corsini – che rappresenta una soluzione
dimensionalmente “intermedia”, leggermente più stretta e più alta dell’originale (che misura cm 37
x 40) – possa ritenersi esemplata direttamente sul modello correggesco oppure derivata
indirettamente da altra copia o incisione. La questione è poi ulteriormente complicata dal cattivo
stato di conservazione del dipinto, che ha sofferto purtroppo ampie perdite della superficie pittorica,
localizzate soprattutto nella zona destra, assai limitatamente fronteggiabili dal recente restauro
(2006). Nondimeno, nonostante lo stato lacunoso dell’insieme, le parti meglio conservate hanno
ritenuto a sufficienza l’originale, raffinata qualità della pittura – in particolare, fortunatamente, per
le figure di Cristo e dell’angelo, cui la pulitura ha restituito piena leggibilità. Qualità che, oltre a
testimoniare una meticolosa esecuzione, evidenzia pure una notevole fedeltà al modello e nello
stesso tempo una non banale autonomia di reinterpretazione stilistica, soprattutto a confronto con
altre copie più note, ad esempio la redazione della National Gallery di Londra – datata con largo
margine tra 1640 e 1750 – o la versione ascritta a Fede Galizia, nel Museo Diocesano di Milano.
Rispetto a queste e altre derivazioni il dipinto Corsini mostra una maggior finezza di disegno e
modellato che guadagna – si direbbe deliberatamente – in incisività e nitore quel che perde in
termini di vibratilità luministica atmosferica, tanto tipicamente correggesca quanto difficilmente
replicabile.
Per quel che concerne la non facile questione della possibile autografia, anche a fronte delle
condizioni in cui si presenta oggi l’opera, la proposta, sia pur con riserva, del nome di Lelio Orsi
sembra potersi accordare abbastanza plausibilmente con gli elementi in nostro possesso, a
cominciare da considerazioni stilistiche. Per quanto è possibile giudicare, si può qui ravvisare,
specialmente nella figura dell’angelo, quel carattere polito di forme ben levigate, pur nell’elegante
tormento della linea, quell’acuminato profilarsi del panneggio, quella vividezza di contrasti
cromatici con cui, nei lavori maturi e tardi di Lelio Orsi, si trascrive, come cristallizzato, il caldo
modellato del Correggio. È ben noto, d’altra parte, che proprio il Cristo nell’orto della Apsley
House, che l’Orsi può aver certo direttamente conosciuto nel suo ultimo soggiorno a Reggio,
costituì a più riprese motivo d’ispirazione per la sua pittura: dal dipinto di identico soggetto oggi in
collezione privata (venduto da Sotheby’s, a Firenze, nel 1974) – che pure esibisce alcune citazioni
letterali – alla surreale, onirica invenzione con Cristo tra le croci; per tacere di altre versioni note
solo dalle fonti3.
Ma anche a una analisi più ravvicinata sono individuabili dettagli, di morelliana memoria, che
potrebbero avere qualche valore diagnostico. Si noti, per esempio, la concisa, rapida pennellata con
cui il pittore suggerisce, in termini assai stilizzati e compendiari, il fogliame illuminato ancora in
parte visibile (e in effetti presente nell’originale) alla base del tronco su cui poggia la croce e la
corona di spine: una caratteristica sigla grafica che si ritrova, con le stesse funzioni, in opere come i
Pellegrini a Emmaus della National Gallery di Londra, il Noli me tangere di Hartford, la Pietà di
Palazzo Venezia a Roma. Quanto al supporto, il rame, non si tratterebbe di un materiale estraneo
alla produzione dell’Orsi, che ne fece uso più d’una volta per dipinti di analogo, piccolo formato: si
pensi alla Leda di collezione privata o ai SS. Cecilia e Valeriano della Galleria Borghese, utilmente
confrontabile anche dal punto di vista dei preziosismi calligrafici e cromatici ottenibili grazie alla
pittura su rame.
Nulla sappiamo, tuttavia, della provenienza del dipinto Corsini prima del suo acquisto da parte del
cardinal Neri. Sennonché, il Ferretti citato in inventario potrebbe forse identificarsi con il pittore
Giovan Domenico Ferretti, fiorentino di nascita, ma imolese di origine e formazione, parente del
noto erudito e antiquario Anton Francesco Gori, e certamente in contatto con i Corsini, per i quali,
nel 1753, aveva contribuito alla decorazione della cappella di famiglia nella chiesa del Carmine a
Firenze4.

3
Per i vari riferimenti alle opere di Lelio Orsi si veda complessivamente Monducci, Pirondini 1987. Sull’interesse del
pittore per il Cristo nell’orto del Correggio, e più in generale sulla fortuna del dipinto, vedi da ultimo Spagnolo 2005, in
part. pp. 75 e 280.
4
Sul Ferretti si veda il breve profilo biografico stilato da A. G. De Marchi (1987).
Un’altra copia dell’originale correggesco, anch’essa dipinta su rame (cm 41 x 25,4), è comparsa sul
mercato antiquario qualche anno fa con un’attribuzione a Lelio Orsi, in un’asta Christie’s a New
York (29 gennaio 1999), e mostra, a giudicare dalla riproduzione fotografica, una certa affinità con
il dipinto Corsini. Attribuita, invece, alla bottega dell’Orsi una più scadente tavoletta (cm 35 x 25,5)
andata recentemente all’incanto a Vienna (Dorotheum, 22 marzo 2002).

Michele Di Monte

DOCUMENTI: MAGNANIMI 1980a, inv. A, p. 96, n. 43; inv. B, p. 101, n. 38; PAPINI 1998, inv. 1784,
p. 198, n. 354; inv. 1812, p. 226, n. 506; inv. ante 1845, p. 252, n. 435.

Magnanimi G. (1980a), Inventari della Collezione romana dei principi Corsini, in “Bollettino
d’Arte”, 7, pp. 91-126.

Papini M. L. (1998), L’ornamento della pittura, Cornici, arredo e disposizione della Collezione
Corsini di Roma nel XVIII secolo, Roma.

BIBLIOGRAFIA:

Casellato L. (2003), Agonia e apologia. L’Orazione nell’orto nella cultura figurativa veneziana del
Cinquecento, in “Venezia Cinquecento”, XIII, 25, pp. 5-98.

De Marchi A. G. (1987), Ferretti Giovan Domenico, in Dizionario Biografico degli Italiani, 47,
Roma, 1997, pp. 81-83.

Ekserdjian D. (1997), Correggio, Cinisello Balsamo.

Gould C. (1950), A Correggio Discovery, in “Burlington Magazine”, XCII, pp. 136-140.

Monducci E. (2004), Il Correggio. La vita e le opere nelle fonti documentarie, Cinisello Balsamo.

Monducci E., Pirondini M. (1987), Lelio Orsi 1511-1587, Milano.

Mussini M. (1995), Correggio tradotto, Milano.

Spagnolo M. (2005), Correggio. Geografia e storia della fortuna, Cinisello Balsamo.

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