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COMITATO DIRETTIVO:
Francesco Adorno, Enrico Berti, Aldo Brancacci, Fernanda Decleva Caizzi, Barbara Faes
de Mottoni, Anna Maria Ioppolo, Giovanni Reale, Carlo Augusto Viano
RESPONSABILE DI REDAZIONE:
Maria Cristina Dalfino
COMITATO DI REDAZIONE:
Michele Alessandrelli, Riccardo Chiaradonna, Alberto Manchi, Luca Simeoni
Editing:
Maria Cristina Dalfino
STUDI E SAGGI
INFORMAZIONI
OU MNHMONEUOMEN DE...
ARISTOT. DE ANIMA G 5. 430 A 23-5∗
∗
Il testo del De anima è citato secondo l’edizione di D. ROSS, Aristotle. De anima,
Edited, with introduction and commentary, Oxford 1961; la traduzione, salvo indicazio-
ne contraria, è mia (anche se ho mantenuto come costante punto di riferimento la tradu-
zione italiana del De anima commentata da G. MOVIA, Aristotele. De anima, Traduzione,
introduzione e commento, Napoli 19912).
ELENCHOS
XXVIII (2007) fasc. 1
BIBLIOPOLIS
80 FRANCESCO FRONTEROTTA
1
È sufficiente attenersi, senza cercare troppo lontano, ai significati di pavqo" e di
paqei'n elencati in metaph. D 21. 1022 b 15-21, che, tutti, hanno a che fare con le nozioni
di “alterazione” (ajlloivwsi") e dell’“alterarsi” (ajlloiou'sqai), che, come è noto, riguarda-
no a loro volta esclusivamente la materia di cui qualcosa si compone e non la sua forma
(cfr. phys. A 6. 190 b 8, ove si definisce l’alterazione come un mutamento che presuppone
una trasformazione della materia di un oggetto e non solo una scomposizione e ricompo-
sizione delle sue parti, e E 2. 226 a 26-b 2). Affermare la “passività” tout court dell’in-
telletto implicherebbe, a qualche titolo, una sua alterazione; e una qualunque alterazione
dell’intelletto dovrebbe necessariamente riguardare la sua materia: ne deriverebbe perciò
l’impossibile conclusione di una “materialità” dell’intelletto.
OU MNHMONEUOMEN DE... ARISTOT. DE ANIMA G 5. 430 A 23-5 81
badi che, qui, non si ha ancora sentore della possibilità che, accanto
all’intelletto impassibile, ricettivo, potenziale e non misto finora
tratteggiato, sussista un’altra funzione intellettiva, né tantomeno
un altro intelletto, di differente natura e statuto.
Il delicato compito di introdurre l’ancor più intricata que-
stione del cosiddetto intelletto “attivo” o “agente” tocca infatti,
come è noto, al capitolo seguente (5. 430 a 10-25). Non è il caso
di proporre una traduzione o un commento di un testo così diffici-
le e controverso, di cui mi limito perciò a ripercorrere schematica-
mente lo svolgimento.
430 a 10-4 – Come nella realtà fisica (ejn aJpavsh/ th'/ fuvsei), in cui
ogni cosa si costituisce in virtù del rapporto fra una materia e un
principio causale che tale materia informa e determina, un rappor-
to, questo, che a sua volta implica una relazione fra potenza e atto –
in modo tale che, in ogni cosa, vi è una materia che corrisponde al-
la condizione potenziale (to; me;n u{lh eJkavstw/ gevnei – tou'to de; o}
pavnta dunavmei ejkei'na) e un principio causale, responsabile del pas-
saggio dalla potenza all’atto (e{teron de; to; ai[tion kai; poihtikovn, tw'/
poiei'n pavnta) –, ebbene, allo stesso modo, è verosimile supporre
che un analogo rapporto sussista sul piano psicologico dell’anima
(ejn th'/ yuch')/ .
ziale e attuale dell’intelletto (429 b 5-9); una nuova spiegazione della distinzione di ruo-
li e di contenuti fra percezione e pensiero (429 b 10-22); un esame di due possibili diffi-
coltà: se l’intelletto è impassibile, e se il pensare è una specie di patire, come potrà pensare
l’intelletto? E l’intelletto è a sua volta intellegibile? (429 b 23-430 a 9). Rispetto a simili
questioni, e alla loro relazione con la dottrina anassagorea del nou'", si veda F.A. LEWIS, Is
There Room for Anaxagoras in an Aristotelian Theory of Mind?, «Oxford Studies in Ancient
Philosophy», XXV (2003) pp. 89-129.
4
Ed è per questa ragione che, pur avendolo introdotto nelle linee iniziali del capi-
tolo 5 ribadendone il carattere potenziale e perciò in qualche modo, per analogia con le
OU MNHMONEUOMEN DE... ARISTOT. DE ANIMA G 5. 430 A 23-5 83
realtà fisiche, materiale, Aristotele riprende adesso, proprio per evitare che l’analogia pos-
sa suscitare delle ambiguità nella trattazione dell’intelletto, solo la qualifica di “poten-
ziale”, lasciando ormai cadere quella di “materiale”. Conviene dunque tradurre qui atte-
nendosi al testo greco («E vi è un intelletto tale da divenire tutte le cose…», kai; e[stin oJ
me;n toiou'to" nou'" tw'/ pavnta givnesqai…, 430 a 14-5), senza integrazioni, forse esplicati-
ve, ma comunque pericolose (come per esempio G. MOVIA, Aristotele. De anima, cit., p.
184: «E c’è un intelletto analogo alla materia perché diviene tutte le cose…»). In questa fra-
se è esplicitamente in gioco solo la connotazione potenziale dell’intelletto, mentre la sua
connotazione (soltanto “analogica”) materiale è discretamente venuta meno.
5
Su questo parallelo, e soprattutto sulla clausola “limitativa” introdotta da Aristo-
tele («in qualche modo…», trovpon gavr tina…), cfr. le osservazioni di M. FREDE, La théo-
rie aristotélicienne de l’intellect agent, in Corps et âme. Sur le ‘De anima’ d’Aristote, sous la dir. de
G. ROMEYER DHERBEY, études réunies par C. VIANO, Paris 1996, pp. 377-90.
84 FRANCESCO FRONTEROTTA
6
Senza addentrarmi in nessun modo nel conflitto interpretativo suscitato intorno a
queste linee, mi limito a presentarne le tre letture e traduzioni grammaticalmente possi-
bili. Mi pare che tutto dipenda dal significato che si intende attribuire al participio aori-
sto passivo cwrisqeiv", che può essere sciolto in tre modi diversi: (1) con significato tempo-
rale («Quando è separato…»); (2) con significato causale («Poiché è separato…[oppure:
poiché è separabile…]»); (3) con significato ipotetico («Se è separato…[oppure: se è sepa-
rabile…]»). La traduzione (1), scelta dalla stragrande maggioranza dei traduttori, è, con
ogni evidenza, la più brutalmente “interpretativa”, perché non solo conduce direttamen-
te all’ammissione netta di una forma di immortalità ed eternità dell’intelletto “attualiz-
zante”, ma lo fa insinuando nell’argomentazione di Aristotele una scansione temporale
che nulla lascia fin qui sospettare (come se, alla maniera di un’anima individuale im-
mortale, l’intelletto prima appartenesse al resto dell’anima unita al corpo, poi, alla morte di
questo, potesse distaccarsene); la traduzione (2) costituisce in qualche modo una versione
più raffinata e sottile della (1), in quanto permette di affermare che, a conclusione della
sequenza costituita dai capitoli 4-5, Aristotele giunge a fornire la risposta all’inter-
rogativo formulato al principio del capitolo 4: l’intelletto è separato (o separabile) oppure
no e, se lo è, lo è in senso fisico o in senso logico (429 a 11-2)? Ecco la risposta, invero al-
quanto contratta: poiché è separato (o separabile) e lo è in senso fisico, questo intelletto è l’unica
OU MNHMONEUOMEN DE... ARISTOT. DE ANIMA G 5. 430 A 23-5 85
ouj mnhmoneuvomen dev, o{ti tou'to me;n ajpaqev", oJ de; paqhtiko;" nou'" fqartov".
realtà immortale, eterna e così via. Non è questa, tuttavia, l’unica possibile interpretazio-
ne del passo. La traduzione (3), suggeritami da Giovanna Sillitti, indica un’altra direzio-
ne plausibile: Aristotele potrebbe semplicemente, alla fine dei capitoli 4-5, riconoscere
di non aver adeguatamente dissolto tutte le difficoltà e di non aver trovato una soddisfa-
cente soluzione del problema; in tal caso, la sua conclusione non potrebbe che assumere
una forma ipotetica ed essere, parafrasandola, la seguente: poiché l’intelletto “attualizzan-
te” è superiore e di maggior valore di quello potenziale, solo esso può aspirare a una vera e
propria sussistenza separata; se, in ultima analisi, fosse davvero separato (o separabile), esso solo
sarebbe immortale, eterno e così via; ma ciò rimane in fin dei conti indimostrato e perciò
incerto. Contrariamente alle tesi più diffuse nel dibattito critico su questo punto delicato,
Aristotele non avrebbe dunque potuto o voluto dare una risposta definitiva alla domanda
relativa alla concreta separabilità o separazione della funzione intellettuale dal resto
dell’anima e dal corpo. Si veda, ultimo in ordine di tempo, lo status quaestionis tratteggiato
da L.P. GERSON, The Unity of Intellect in Aristotle’s ‘De anima’, «Phronesis», XLIX (2004)
pp. 348-73.
86 FRANCESCO FRONTEROTTA
7
Cfr. la nota precedente.
8
Questa è l’interpretazione difesa da F.A. TRENDELENBURG (ed.), Aristotelis De
anima libri tres, Jena 1833 (editio altera emendata et aucta, Berlin 1877; Graz 1957, pp.
403-4) e da G. BIEHL (ed.), Aristotelis De anima libri III, Lipsiae 1884, ad loc., secondo i
quali Aristotele vorrebbe precisare qui che, nonostante l’immortalità di una parte o di
una funzione della nostra anima, non possiamo conservare memoria delle esperienze e
delle conoscenze passate né tantomeno di eventuali vite passate.
9
Secondo questa interpretazione, simmetrica a quella presentata nella nota prece-
dente, Aristotele insisterebbe qui sul fatto che, nonostante l’immortalità di una parte o di
una funzione della nostra anima, non potremo ricordare, dopo la morte del corpo, espe-
rienze e conoscenze passate. Sostenitori di questa lettura, nell’antichità, THEMIST. in Ari-
stot. de an. paraph. (CAG, V 3 Heinze) Z 100.37-102.29 (ad 430 a 24; che corrisponde, nel-
la versione latina di Guglielmo di Moerbecke, a VI 229.91-233.64 Verbeke) e SIMPL. in
libros Aristot. de an. comm. (CAG, XI Hayduck; ma la paternità del commento è incerta)
246.15-248.17 (ad 430 a 24; di esemplare chiarezza la conclusione, in 248.8-10: dio; ejn
th'/ peri; tw'n mnhmoneuetw'n nohvsei deovmeqa pavntw" tou' mevcri fantasiva" proiovnto"
lovgou kai; a[neu touvtou oujde; oJ ajpaqh;" tw'n mnhmoneutw'n ti nohvsei); e, fra i commentato-
ri moderni, G. RODIER (ed.), Aristote. Traité de l’âme, Paris 1900, Tome II, Notes, pp. 465-
6, e J. TRICOT (ed.), Aristote. De l’âme, Paris 1934, pp. 183-4 nota 2.
10
Ciò che è impassibile, dunque, in quanto non “patisce” né “subisce” alcunché,
non potrà conservare traccia di impressioni “patite” o “subite” in sé né, pertanto, potrà ri-
cordare. Molto esplicito in questa direzione an. post. B 19. 99 b 35-100 a 10, dove Aristote-
le tratteggia, ripercorrendone rapidamente le tappe, l’intero percorso della conoscenza,
dalla sensazione immediata all’apprensione dei principi della dimostrazione. Al livello
inferiore del percorso, egli osserva come si assista in alcuni animali a una “persistenza”
della percezione sensibile, senza la quale sarebbe impossibile andare oltre la facoltà sem-
plicemente percettiva; in virtù di questa “persistenza” della sensazione, invece, avviene
OU MNHMONEUOMEN DE... ARISTOT. DE ANIMA G 5. 430 A 23-5 87
che, anche dopo la cessazione della sensazione in atto, rimane qualcosa nell’anima. Una
volta che molte di queste “persistenze” rimangano impresse nell’anima, una volta che,
insomma, l’anima conservi molte di queste impressioni, sorge in alcuni animali una capa-
cità di gestione razionale di tale insieme di impressioni, che, a questo livello, si fa ricordo
e memoria; la ripetizione del ricordo produce l’esperienza (questo stesso schema episte-
mologico è rapidamente riproposto in metaph. A 1. 980 a 28-9). Ma il quadro più detta-
gliato e la posizione più esplicita in proposito si trovano nell’operetta De memoria et remini-
scentia, in cui la memoria è descritta come un fenomeno comparabile all’incisione su una
tabula – operata, nell’anima, a partire dalla facoltà sensibile nel suo complesso, e, nel cor-
po, dalle forme sensibili che giungono direttamente nella parte del corpo in cui si trovano
gli organi di senso –, come il “possesso” di un’affezione, come il movimento prodotto da
un oggetto esterno che si imprime come un’impronta, alla maniera di un sigillo apposto
su un sostrato (1. 450 a 26-b 1). Cfr. anche infra, nota 15.
11
Questa interpretazione, che non tiene conto delle difficoltà cui faccio riferimen-
to subito oltre, individua nella semplice spiegazione dell’argomento aristotelico l’unico
significato del passo, senza curarsi troppo dei motivi per cui Aristotele può averlo intro-
dotto qui: si veda per esempio R.D. HICKS (ed.), Aristotle. De anima, Cambridge 1907
(19902), pp. 507-8; e, in ultimo, L.P. GERSON, The Unity of Intellect in Aristotle’s ‘De ani-
ma’, cit., p. 368. Analoga a questa, in quanto si concentra esclusivamente sulla possibile
ragione dell’assenza di memoria, è una quarta interpretazione, difesa nell’antichità da
Plutarco in PHILOP. in Aristot. de an. libros comm. (CAG, XV Hayduck) 541.20-542.5 (ad
430 a 24; che corrisponde, nella versione latina di Guglielmo di Moerbecke, a 61.65-
63.36 Verbeke), e oggi, a quanto pare, da R. BODÉÜS, Aristote. De l’âme, Traduction et
présentation, Paris 1993, p. 230 nota 1 (ad 430 a 23-5): secondo questa curiosa interpreta-
zione, il “non ricordare” di cui Aristotele fa menzione qui dipenderebbe semplicemente
ed esclusivamente da improvvisi “salti” di memoria, dovuti alla malattia o alla vecchiaia.
88 FRANCESCO FRONTEROTTA
408 b 25-7 – Ecco perché Aristotele può dedurne che tutte queste
affezioni, «il ragionare, l’amare o l’odiare» (to; de; dianoei'sqai kai;
filei'n h] misei'n), non appartengono all’intelletto in quanto intel-
letto, al’intelletto considerato indipendentemente dal soggetto
concreto in cui si trova, ma sono proprie del soggetto individuale
composto di anima e corpo «che possiede l’intelletto» (toudi; tou'
e[conto" ejkei'no [scil.: l’intelletto]), proprio «in quanto lo possiede»
(h|/ ejkei'no e[cei), ossia precisamente nella misura in cui tale soggetto
individuale composto di anima e corpo, possedendo l’intelletto,
può esercitare una funzione intellettuale.
«Oxford Studies in Ancient Philosophy», XXII (2002) pp. 83-139, partic. 99-102.
OU MNHMONEUOMEN DE... ARISTOT. DE ANIMA G 5. 430 A 23-5 91
13
Non uso a caso questa espressione platonica del Fedone (79 C 5), su cui tornerò
infra, par. 3.
14
Con l’importante precisazione che non ogni “ri-conoscenza” di qualcosa è neces-
sariamente reminiscenza, visto che è ben possibile conoscere nuovamente la stessa cosa,
nel frattempo dimenticata, non solo ricordandola, ma anche, appunto, conoscendola an-
cora come la prima volta, dunque percependola nuovamente.
92 FRANCESCO FRONTEROTTA
15
Per quanto riguarda la memoria, cfr. anche supra, nota 10; e, per la ajnavmnhsi", le
altre occorrenze del termine nel corpus aristotelico non mutano questa prospettiva. Eccone
un elenco: de mem. et remin. 449 b 7; b 8; 451 a 6; a 21; b 1; b 10; b 20; b 28; 452 a 1; a 8;
453 a 5; a 15; a 17; de long. et brev. vit. 465 a 22 (dove si precisa che la ajnavmnhsi" distrugge
l’ignoranza, come nel caso di contrari che si sostituiscono reciprocamente senza che ne
risulti affetto il soggetto di essi); eth. nic. G 13. 1118 a 13 (dove si pone come base della
ajnavmnhsi" un insieme di esperienze realizzate). Questo elenco si completa con le occor-
renze segnalate qui di seguito, che non appaiono particolarmente significative: metaph. K
12. 1068 a 31; phys. E 2. 225 b 32; probl. 886 a 25; rhet. B 8. 1386 a 2; G 16. 1417 b 14;
19. 1419 b 13; b 27; soph. el. 34. 183 a 35; fragm. 1.4.38.7; 3.22.133.8; 3.24.145.8.
OU MNHMONEUOMEN DE... ARISTOT. DE ANIMA G 5. 430 A 23-5 93
16
Si badi che il fatto che in A 4 il riferimento alla memoria sia correttamente posto
in relazione con l’esercizio della sensibilità, mentre in G 5 il nostro (non) ricordare ri-
guarda invece, verosimilmente, le forme intelligibili, anzi, propriamente, quegli “indi-
visibili” di cui è questione subito oltre, in G 6, aggrava ulteriormente, forse duplica,
l’aporia. In primo luogo, infatti, l’impossibilità del ricordo non dipende qui dalla natura
dell’oggetto-contenuto della memoria (sensibile o intellegibile), ma dalla struttura stessa
del soggetto-contenitore, dell’intelletto (precisamente dalla sua impassibilità); in secon-
do luogo, l’esclusione in A 4 di ogni ricordo dei sensibili, per l’intelletto, rende ancor più
paradossale che la questione riemerga in G 5 relativamente agli intelligibili. L’intelletto
di per sé, indipendentemente dal composto anima-corpo, non può infatti conservare nes-
sun ricordo – e ciò vale in generale; ma, aggiuntivamente, gli intelligibili non ricadono
in ogni caso, per loro natura, nell’ambito dell’ordinario processo della memoria (che ha a
che fare con i sensibili).
94 FRANCESCO FRONTEROTTA
Ritengo che Aristotele introduca qui, nel corso della sua ri-
flessione intorno alla natura e alla funzione della facoltà più alta
dell’anima, al suo ruolo di soggetto proprio della conoscenza intel-
legibile e alla sua possibile durata eterna (dunque indipendente-
mente dalla durata limitata della vita presente), un argomento po-
lemico contro la dottrina platonica che affronta e chiarisce gli stessi
problemi, ossia la dottrina della reminiscenza. Solo ammettendo
questa ipotesi, diviene possibile comprendere le “oscillazioni” ar-
gomentative segnalate sopra. In effetti, «noi non ricordiamo» –
non possiamo in nessun modo ricordare – perche la facoltà o la parte più
alta della nostra anima, l’intelletto, non può esercitare la memoria:
(1) l’intelletto “attualizzante” che aspira all’eternità, in quanto la
sua impassibilità, che ne garantisce l’incorruttibilità, lo rende an-
che non “informabile” e perciò incapace di “trattenere” la forma o la
traccia di alcunché; (2) l’intelletto potenziale e corruttibile, in
quanto la sua corruttibilità, che ne permette la capacità ricettiva e
passiva, la “passibilità”, e che lo rende quindi “informabile” e su-
scettibile di trattenere in sé la forma o la traccia dei propri oggetti,
ne impone anche la mortalità e, con essa, la necessità di disperdere
con la morte ogni eventuale ricordo. Tutto ciò diviene perfetta-
mente coerente, se tradotto nei termini di una polemica anti-
platonica contro la dottrina della reminiscenza: se Platone ha inteso
la vera conoscenza intellegibile come null’altro che il ricordo (hJ
mavqhsi" oujk a[llo ti h] ajnavmnhsi") di conoscenze precedentemente ac-
quisite e successivamente dimenticate, egli deve aver posto un’anima
(razionale) immortale ed eterna, incorruttibile e auto-identica, come
soggetto epistemologico di tale conoscenza; a una simile ricostru-
zione, che corrisponde del resto largamente alla prospettiva artico-
lata nei dialoghi platonici17, Aristotele obietta che, se le cose stanno
davvero così, per poter concepire l’anima (razionale) come una realtà
immortale e incorruttibile, Platone deve averla considerata immate-
riale e, s’intende, impassibile, e dunque, in ultima analisi, incapace
17
I luoghi canonici dell’esposizione platonica della dottrina della reminiscenza sono
naturalmente Men. 81 A-86 C; e soprattutto Phaed. 72 E-76 A; Phaedr. 246 E-251 A.
96 FRANCESCO FRONTEROTTA
19
Altre difficoltà da Aristotele sollevate, più o meno allusivamente, contro la dot-
trina platonica della reminiscenza si trovano, sempre negli Analitici secondi, in A 1.
98 FRANCESCO FRONTEROTTA
20
Fornisco un quadro dettagliato di tale ricognizione in una versione più ampia di
questo articolo, che sarà pubblicata in M. MIGLIORI (a cura di), Attività e virtù: anima e
corpo in Aristotele, Atti del Colloquio internazionale Università di Macerata, 24-26 marzo
2004.
21
Cfr. I. ZABARELLA, In tres Aristotelis libros De anima, Venetiis 1605, liber III,
textus XX, pp. 66-8, partic. p. 67. In realtà, una traccia importante, ma di cui non ho po-
tuto trovare nessuno sviluppo significativo, emergeva già nella Anonymi Magistri Artium
Lectura in librum de anima, a quodam discipulo reportata (note derivanti da un corso data-
bile fra il 1245 e il 1250; Ms Rom. Naz VE 828, éd. par R.A. GAUTHIER, Grottaferrata
1985), in cui la spiegazione del nostro passo si conclude ambiguamente così (III 2. 5):
«item, non sequitur quod addiscere sit reminisci», senza che, tuttavia, tale riferimento sia
in qualche modo sviluppato o chiarito, né sia fatta nessuna menzione di Platone – ciò che
impedisce di valutarne la reale portata.
OU MNHMONEUOMEN DE... ARISTOT. DE ANIMA G 5. 430 A 23-5 99
22
Cfr. F.A. TRENDELENBURG, Aristotelis De anima libri tres, cit., pp. 403-4. Da no-
tare invece che altri due commentatori, sulla scia di Trendelenburg, fanno menzione di
un possibile riferimento a Platone e di un’auto-difesa, da parte di Aristotele, dall’obie-
zione della reminiscenza, l’uno, Kirchmann, correggendo in parte l’interpretazione di
Trendelenburg, l’altro, Hicks, respingendola invece del tutto. Si vedano V. KIRCHMANN,
Aristoteles. Drei Bücher über die Seele, Jena 1924, pp. 168-9, nota 252: «Plato hatte, dem
entgegen, alles Wissen als Erinnern aufgefasst, wie namentlich in seinem Dialog Menon
ausgeführt wird. Trendelenburg meint, dass A. hier dem Plato entgegen eine andere
Ansicht habe geltend machen wollen. Allein Plato nimmt die Erinnerung in seiner
Darstellung auch nur als ein Wiederauftreten der allgemeinen Gesetze und Begriffe,
welche dem Denken von Ewigkeit innewohnen, genau so, wie A. es sich denkt, und
auch Plato will damit nicht sagen, dass der Mensch bei der Anwendung dieser Gesetze
und Begriffe sich bewusstsei, dass er zeitlich schon früher diese Begriffe besessen und zu
einer bestimmtent Zeit oder bei einer bestimmten Gelegenheit ausgeübt habe. Plato
und A. stimmen also hier in der Sache überein und weichen nur in den Worten von ei-
nander ab»; e R.D. HICKS, Aristotle. De anima, cit., pp. 507-8, in cui Hicks ricorda
l’ipotesi di Trendelenburg che egli considera tuttavia come del tutto implausibile. Nello
stesso senso della lettura di Trendelenburg va invece una cursoria notazione di I.
DURING, Aristoteles. Darstellung und Interpretation seines Denkens, Heidelberg 1966 (trad. it.
100 FRANCESCO FRONTEROTTA
di P.L. DONINI, Milano 1976), secondo il quale «la […] frase significa o a) non esiste
alcuna forma di reminiscenza come Platone ammetteva, oppure b) la parte immortale
dell’anima dopo la morte non può portare con sé nell’al di là alcuna reminiscenza della
vita terrena», con l’ulteriore precisazione che, a suo avviso, è l’interpretazione (a) a essere la
più plausibile (p. 655 e nota 144). Ringrazio Paolo Accattino per questa indicazione.
23
Cfr. supra, par. 2.
OU MNHMONEUOMEN DE... ARISTOT. DE ANIMA G 5. 430 A 23-5 101
24
Cfr. supra, l’inizio di questo par. 3.
102 FRANCESCO FRONTEROTTA
passo è molto netto: quando l’anima «si serve del corpo» (tw'/
swvmati proscrh'tai), nell’esercizio della propria funzione conosciti-
va, non potrà che procedere attraverso organi corporei, attraverso i
sensi, perché l’indagine condotta per mezzo del corpo (dia; tou'
swvmato") è un’indagine percettiva (di∆ aijsqhvsew"); in tal caso, però,
la sintonia con il corpo sconvolge l’attività dell’anima e ne com-
promette l’efficacia, conducendola verso cose mutevoli e instabili e
verso conoscenze che non hanno nessuna certezza. Quando invece
l’anima non si serve che di se stessa nell’esercizio della propria fun-
zione conoscitiva (aujth; kaq∆ auJth;n skoph'/), allora accede a quegli
oggetti puri, immobili, eterni e immortali, ai quali essa è congene-
re e dai quali scaturisce la vera conoscenza; in tal caso, l’anima pura e
sciolta dal corpo assume la condizione degli oggetti eterni e immu-
tabili con cui è in contatto (peri; ejkei'na ajei; kata; taujta; wJsauvtw"
e[cei, a{te toiouvtwn ejfaptomevnh) e attua una condizione di perfetta
“intelligenza” (tou'to aujth'" to; pavqhma frovnhsi" kevklhtai). Se si tiene
conto del fatto che la prima di queste due condizioni è quella che ca-
ratterizza l’anima nel corso della sua vita nel corpo, mentre la seconda è
quella in cui l’anima si trova quando è libera dal corpo, prima della
sua discesa in esso o dopo la sua uscita da esso, risulterà chiaro, credo,
come questo passo del Fedone costituisca il pendant di De anima G 5.
Infatti, una volta stabilita la netta distinzione platonica fra
un’anima impura e compromessa con il corpo, incapace di realizzare
una vera conoscenza, e un’anima pura e sciolta dal corpo, cui spetta
il compito di attingere alla verità e all’intelligenza, e una volta po-
stulato che queste due condizioni dell’anima sono fra loro tanto al-
ternative da potersi realizzare pienamente, ciascuna, in tempi diver-
si, l’una durante la vita mortale, l’altra prima o dopo di essa, Platone
non potrà che condannare l’anima “incorporata” all’ignoranza e all’in-
sipienza totali (con catastrofiche conseguenze per la sua concezione
dell’individuo, della città e della storia) oppure dovrà porre la remi-
niscenza come un “ponte” epistemologico fra le due distinte condi-
zioni dell’anima: l’anima impura “incorporata”, benché esclusa dalla
concreta e “attuale” acquisizione della verità e della conoscenza, po-
trà però riportare alla luce, con l’esercizio della filosofia, quelle co-
noscenze acquisite quando sussisteva invece pura e in sé e per sé e
OU MNHMONEUOMEN DE... ARISTOT. DE ANIMA G 5. 430 A 23-5 103