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Una modestissima
proposta*
di Diego Zucca
* Come verrà presto in chiaro, il titolo di questo articolo riecheggia quello di un recente
intervento di E. Berti (L’intelletto attivo: una modesta proposta) il quale riprende quello di un
articolo di V. Caston (V. Caston, Aristotle’s Two Intellects: A Modest Proposal): cfr. infra.
1
Cfr. E. Berti, L’intelletto attivo: una modesta proposta, lectio brevis presso l’Accademia dei
Lincei, http://www.accademiadeilincei.it/files/documenti/LectioBrevis_Berti.pdf, 2014. Attraverso
una comunicazione informale con Berti ho appreso che un suo articolo più corposo di questa
lectio brevis, che argomenta la medesima tesi della lectio che qui critico, uscirà a breve in lingua
inglese, entro un volume miscellaneo. Purtroppo non posso prendere in considerazione il contri-
buto venturo, nel quale, secondo quanto anticipatomi dallo stesso Berti, la sua interpretazione di
De An. iii 5 si paleserebbe non essere poi così distante da quella che qui mi accingo a proporre
in alternativa.
2
Poco dopo si caratterizza l’intelletto come “ciò con cui l’anima ha pensiero discorsivo e
credenza” (διανεται κα πλαμνει, 429 a 23-24).
3
Come tutti gli aggettivi in -τς, l’aggettivo verbale ωριστς – probabilmente coniato
dallo stesso Aristotele – può avere un significato statico o uno modale, e indicare l’essere ‘se-
parato’ o l’esser ‘separabile’. Separabile da cosa? Secondo grandezza: dal corpo in generale,
o dalle altre parti corporee che realizzano altre ‘parti’ dell’anima o poteri psichici; secondo
λγς: A è separabile da B se la definizione di A non solo è diversa da quella di B, ma non
implica o include riferimento a B o al λγς di B; l’intelletto è separabile in tal senso, dalle
altre parti dell’anima, se il suo λγς non contiene riferimenti al λγς di altre parti.
4
429 a 11-18. Nemmeno la percezione è mero patire, ma realizzazione di una capacità
innata, che è impassibile in quanto esercitandosi non si corrompe anzi si invera: se percepisco
non vengo semplicemente alterato, ma esprimo, manifesto una capacità cognitiva naturale (cfr.
417 b 3-17). Poi si chiarisce che il ν è impassibile in modo diverso da come lo è la perce-
zione (429 a 29-b 6).
5
Non vi è cosa, fra cielo e terra, che non possa essere colta sub specie universalitatis,
come esempio di un qualche universale. Il particolare in quanto è tale, invece, per Aristotele
non si può pensare, ma solo percepire.
6
429 a 15-24.
7
Cfr. De An. Γ 11, 424 a 1-6.
8
Ogni divenire è fra contrari o loro intermedi, entro un certo genere individuato da due
contrari. Cfr. De Gen. et Corr. i 5.
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Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
9
“[...] la percezione in atto è dei particolari, la scienza degli universali, e questi sono in
certo modo nell’anima stessa; perciò il pensare dipende dal soggetto, qualora lo voglia, mentre
il percepire non dipende da lui poiché è necessario che il sensibile sia presente” (De An. B 5,
417 b 23-26).
10
Cfr. An. Post. ii 19, 99 b 15-100 b 5.
11
Cfr. 429 b 9: κα ατς δ ατν ττε δναται νεν; Ross, accettando un’emendazione
di Bywater, cambia in ατς δι’ατ. Ma che il ν possa pensare ‘da sé’, è stato appena
affermato in 429 b 7, cosicché l’emendazione introduce una ridondanza implausibile, oltre a
perdere di vista la pregnanza teoretica consistente proprio nell’implicazione fra il poter pen-
sare da sé e il poter pensare sé stesso. Quel κα marca, a mio avviso, un importante guadagno
speculativo.
12
La ‘spontaneità’ con cui il ν riattualizza da sé questo o quell’universale, gli rende ac-
cessibile la sua stessa natura, quella di poter diventare non solo questo o quell’universale, ma
qualunque universale: di esser potenza senza confini.
13
La percezione è ricezione di qualità sensibili, la quale comporta che l’organo percettivo
venga alterato fisicamente dall’ambiente. Perciò uno stimolo sensibile troppo intenso desta-
bilizza l’organo e distrugge la capacità relativa, mentre uno ‘stimolo’ intellettuale non è mai
troppo intenso; al contrario, più intenso è, e più potenzia la capacità intellettiva (429 a 29-429
b 6).
14
Si tenga a mente, sin d’ora, che l’unico intelletto di cui si parla in Γ 4 non è solo mera
passività, ma è anche spontanea attività nei confronti di sé medesimo, capacità di libera auto-
attualizzazione. Le forme colte dall’intelletto sono universali ed essenze, le forme colte dalla
percezione sono qualità sensibili, e particolari.
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nide (132 C) in un contesto teoretico simile: siccome il pensiero degli universali è ‘oggettivo’,
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Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
b) nega la tesi che l’intelletto sia pura potenza senza forme positive,
dunque nega la stessa condizione della sua onni-ricettività, cioè col-
lide col fatto che tutto sia intellegibile.
Tale nucleo aporetico può essere espresso come incompatibilità
fra proposizioni che pure si mostrano necessarie entro la teoria; po-
sto che il ν é auto-intellegibile17:
51
Diego Zucca
vero che il ν, la cui natura è quella di essere pura potenza, di-
venta auto-intellegibile solo in quanto attualizza in sé un’altra forma
intellegibile: come si era anticipato poco sopra23, il ν può pensare
sé stesso solo quando ha acquisito qualche intellegibile e ne è po-
tenza non come lo è prima di acquisirlo, ma come quando, acquisi-
tolo, lo possa esercitare ad libitum.
Dunque la onni-ricettività del ν è salva, grazie al fatto che
esso, per natura, resta sé stesso (pura potenza di tutto) pur diven-
tando ‘altro’ (ricezione di forme ri-attualizzabili in sé e da sé), e tale
natura peculiare rende parimenti concepibile anche la sua auto-intel-
legibilità. 1), 2) e 3) sono vere24.
La seconda aporia si scioglie anche considerando che, per gli
enti senza materia, il soggetto che pensa e l’oggetto pensato si
identificano25: gli intellegibili sono oggetti ‘senza materia’, anche se
sono immanenti nei particolari che hanno materia e il cui modo
d’accesso cognitivo è il percepire; ma nei particolari gli universali
sono ‘in potenza’, non in atto: solo il ν li attualizza cogliendo
i particolari sub specie universalitatis, dunque essi non debbono
avere intelletto, per poter essere ‘intelletti’; l’intelletto non è auto-
intellegibile perché abbia una forma positiva mescolata in sé, che
sia comune a sé e agli altri intellegibili, bensì perché è pura po-
tenza di tutti gli intellegibili e anche di sé; e gli intellegibili non
sono coglibili dal ν perché abbiano o siano ν, ché anzi solo
il ν attualizza in sé quegli universali che nei particolari con
materia sono solo in potenza. Se un albero fosse un universale in
atto, allora sì, che dovrebbe avere intelletto26, ma esso lo è solo
in potenza: solo nel ν, gli universali intellegibili sono in atto, e
attualizzandoli il ν attualizza e coglie anche sé stesso. Tale ‘so-
luzione’ è davvero complicata e speculativamente abissale: bastino
qui questi cenni.
Forti di queste acquisizioni, prepariamoci finalmente ad affron-
tare l’enigmatico testo di Γ 5.
3) è in un senso vera, in un altro falsa: l’intelletto è come una assoluta tabula rasa solo
24
quando nessun universale sia stato acquisito, poi rimane in potenza ogni intellegibile com-
preso quello che ha già acquisito, sebbene sia potenza di quest’ultimo in un senso diverso.
3) può essere falsa perché l’intelletto può essere una o l’altra forma in atto, quando sia in
esercizio, ma questo essere in atto non è come l’avere una determinazione positiva che renda
impossibile, all’intelletto, di essere comunque potenza-capacità di quella forma: anzi, nell’at-
tualizzazione, tale potenza si esprime.
25
Cfr. De An. Γ 4, 430 a 2-9.
26
Qui si può leggere una polemica contro le Forme platoniche. Se sono universali in atto,
dovranno essere ‘pensieri’!
52
Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
1) Sta all’intelletto ‘passivo’ come la tecnica sta alla materia (a).
2) Produce tutte le cose che l’altro intelletto diventa (c).
3) È separato, impassibile, non commisto, atto per essenza (e).
4) È superiore all’altro intelletto (f).
5) Non è il caso che esso pensi in modo intermittente (h).
6) È proprio ciò che è in quanto sia separato (i).
7) Solo esso, è immortale ed eterno, di contro alla corruttibilità
dell’altro (l).
8) Il suo essere immortale ed eterno spiega il nostro ‘non ricor-
dare’ (m).
9) Senza di esso, nulla pensa (n).
27
La traduzione è mia. Seguo l’edizione di Ross (Aristotele, De Anima, edited, with In-
troduction and Commentary, by sir David Ross, Clarendon Press, Oxford 1961) ove non sia
segnalato un discostamento da essa in nota.
28
Molti manoscritti, compreso E (Parisinus graecus 1853), il più antico e attendibile di
tutti, hanno νεργεα, che Torstrik 1862, seguendo Simplicio, ha corretto in νργεια, preferito
anche da Ross. Mantengo il dativo che, come emergerà successivamente, è sensatissimo e non
problematico.
53
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29
Alessandro di Afrodisia, Alexandri Aphrodisiensis praeter commentaria scripta minora, i.
Bruns. ed., Commentaria in Aristotelem Graeca, suppl. 2.1, Reimer, Berlin 1887. In de anima
(pp. 1-100); De anima libri mantissa (pp. 101-186); La traduzione italiana del De Anima di
Alessandro è: Alessandro di Afrodisia, L’anima, trad. a cura di P. Accattino e P. Donini, La-
terza, Roma-Bari 1996, 88, 16-89-22; Alessandro si occupa dell’intelletto agente anche nel De
Intellectu, secondo dei venticinque trattati della Mantissa, o De Anima ii (cfr. pp. 106.19-109-
10 Bruns).
30
Cfr. M. Frede, La théorie aristotélicienne de l’intellect agent, G. Romeyer-Dherbey, C.
Viano (a cura di), Corps et Âme. Sur le De Anima d’Aristote, Vrin, Paris 1996, pp. 377-390;
V. Caston, Aristotle’s Two Intellects: A Modest Proposal, «Phronesis», 44, 1999, pp. 199-227;
M. Burnyeat, Aristotle’s Divine Intellect, The Acquinas Lecture, Marquette University Press,
Milwakee 2008.
31
Cfr. Met. xii 7, 1072 b 3-4.
32
Cfr. Phys. ii 8, 199 a 8-19.
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Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
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Naturalmente, per ‘forma’ qui si intende l’essenza della cosa, che negli artefatti si inden-
tifica con la loro funzione.
34
Secondo Frede (art. cit., p. 387) e un modo di interpretare il De Anima di Alessandro
(cfr. P. Accattino, Alessandro di Afrodisia interprete del De Anima di Aristotele, «Studia greco-
arabica», n. 4, 2014, pp. 275-288), Dio sarebbe causa produttiva della nostra intellezione in
senso remoto o indiretto, come causa prima del movimento del mondo sublunare e della ri-
produzione delle specie che il nostro intelletto conosce, giacché la riproduzione è una sorta di
imitazione dell’eternità divina (cfr. De An. B 4, 414 b 1). Ma non è tale nesso causale remoto,
quello fra la tecnica e la sua materia.
35
Su ciò, cfr. F. Fronterotta, Ou mnhmoneuomen de... Aristot. De Anima Γ 4-5 a 23-5,
«Elenchos», xxviii, 2007, pp. 79-104.
36
Non è un caso che la differenza fra principio passivo e principio produttivo, che per Ari-
stotele è ν τ ψυ (430 a 13), con Alessandro diventi π τ ν (De An. 88.22 Bruns), cioè:
55
Diego Zucca
riguardo alla specie ‘intelletto’. Alessandro, per interpretare Aristotele alla sua maniera, è co-
stretto a correggerlo.
37
Temistio la attribuisce già a Teofrasto (cfr. Temistio, Parafrasi dei libri di Aristotele
sull’anima, trad. it. a cura di V. De Falco, CEDAM, Padova 1965, pp. 152-158, 163). Per Te-
mistio, l’intelletto agente è ciò che noi siamo essenzialmente: mentre io sono composto di in-
telletto attivo e passivo, la mia essenza è l’intelletto attivo, al modo in cui l’individuo è sinolo
di materia e forma, ma la sua essenza è la sua forma. Una rivisitazione di questa tesi è quella
di L. Gerson, The Unity of Intellect in Aristotle’s De Anima, «Phronesis», 49, 4, 2004, pp.
348-373.
38
S. Thomae Aquinatis, In Aristotelis Librum De Anima Commentarium, ed. M. Pirotta,
Marietti, Roma 1948, lib. iii, lectio 10.
39
Cfr. F. Brentano, La psicologia di Aristotele. Con particolare riguardo alla dottrina del
nous poietikos, Quodlibet, Macerata 2008 (ed. or. 1867), parte iv; Id., Aristotele e la sua vi-
sione del mondo, Le Lettere, Firenze 2014 (ed. or. 1911).
40
L. Gerson, op. cit.
41
Così anche Trendelenburg, Brandis e moltissimi altri. Qui sorvolo sulle importanti diffe-
renze fra i vari fautori, medievali, moderni e contemporanei, dell’intelletto come parte dell’a-
nima umana, e mi concentro esclusivamente sull’aspetto che condividono.
42
Cfr. S. Thomae Aquinatis, op. cit., lib. iii, Lectio 10.
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Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
43
Cfr. De An. Γ 4, 429 a 15 (impassibile), a 19 (non mescolato), b 6 (separato).
44
[...] ντελεια πρτη σματς υσικ δυνμει ων ντς (De An. B 1, 412 a
34-35).
45
Cfr. De An. A 1, 403 a 27-29.
46
Chi intende specificare la natura dell’anima indipendentemente dal corpo, non è in
grado di spiegare l’unità di anima e corpo, e parla come se qualunque anima potesse entrare e
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Diego Zucca
uscire da qualunque corpo; invece ogni anima ha un corpo proprio e appropriato (De An. A
3, 407 b 20-24). “Questi filosofi si esprimono come chi dicesse che l’arte del carpentiere entra
nei flauti” (24-26): ciascuna anima o capacità psichica ha un corpo adatto e proprio di cui è
attualità, da cui è indissociabile e senza cui, di conseguenza, non può esistere.
47
Cfr. De Mem. et Rem. i, 450 a 22-26.
48
Cfr. J. Barnes, Aristotle’s Concept of Mind, in J. Barnes, M. Schofield, R. Sorabji (a cura
di), Articles on Aristotle, iv, Duckworth, London 1979, pp. 32-41.
49
Inoltre, in An. Post. ii 19 all’intelletto simpliciter è attribuito il possesso dei princìpi
primi, che sono sia ‘concetti’, o termini, che proposizioni che di questi termini si materiano.
58
Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
letto attivo come una sorta di attualità seconda, cioè come esercizio
di abilità previamente acquisite (gli universali), non si spiega come
l’intelletto attivo sia descritto più come condizione, che conseguenza
dell’intelletto passivo; l’intelletto attivo precede e fonda quello pas-
sivo e ne è superiore, mentre i complessi giudicativi non precedono
né fondano l’acquisizione degli ingredienti del giudizio, dunque non
può essere il caso che l’intelletto attivo sia l’esercizio della capacità
sintetico-proposizionale mentre l’intelletto passivo è l’acquisizione
dei concetti da combinare. Inoltre, se l’intelletto attivo fosse l’eserci-
zio dei concetti entro un giudizio, cioè la capacità proposizionale di-
spiegata, allora l’essere ‘in atto per essenza’ (3) sarebbe banalizzato,
risultando nella vuota tautologia per cui l’esercizio di una capacità è
essenzialmente un esercizio.
Ad ogni modo, pare impresa ciclopica il conferire sensatezza
all’idea che l’esercizio della capacità proposizionale sia immortale ed
eterna: che significa, che il nostro esercizio dei concetti è eterno?
Anche Wedin50 interpreta l’intelletto attivo come prestazione
dell’anima individuale e, sulla scia ‘deflazionista’ di Barnes, tende
fatalmente a sottovalutare l’attribuzione di divinità, immortalità ed
eternità, nonché il linguaggio contrastivo che pone due intelletti e
un abisso ontologico fra di essi51. Secondo Wedin, l’intelletto attivo
spiegherebbe la capacità di riattualizzazione di universali già acqui-
siti, al modo seguente: a) il mio intelletto passivo ha acquisito l’uni-
versale [uomo] per via induttivo-percettiva (cfr. An. Post. ii 19) b) il
mio intelletto attivo riattiva, esercita tale concetto, entro un giudizio
e magari entro un’inferenza, e così facendo produce un universale
nell’intelletto passivo, che era quell’universale solo in potenza (ma
diversamente da come lo era in potenza prima di averlo acquisito):
cosicché l’intelletto attivo fa ripassare dalla potenza all’atto l’intel-
letto passivo in quanto serbatoio di concetti previamente acquisiti.
L’intelletto passivo sarebbe potenza ricettiva sia da parte dell’espe-
rienza, sia in absentia, in quanto attivabile dall’intelletto attivo e riat-
tualizzabile nella sua potenza52.
50
Cfr. M. Wedin, Tracking Aristotle’s νς, in M. Durrant (ed. by), Aristotle’s De Anima
in Focus, Routledge, London 1993, pp. 128-161; Id., Aristotle on the Mechanics of Thought,
«Ancient Philosophy», 9, 1, 1989, pp. 67-86.
51
τι τ μν/τερν δ (430 a 10-11), μν/ δ (430 a 14), τς νς (‘questo’, im-
plicitamente contrapposto a ‘quello’, 430 a 17), τ πιν/τ πσντς (l’uno superiore
all’altro, 430 a 19), ττ μνν (solo questo è immortale ed eterno, 430 a 23), ττ μν/ δ
παθητικς (questo è impassibile, l’intelletto passivo invece è corruttibile, 430 a 23-25).
52
Le letture di Barnes e Wedin sono riconducibili allo stesso Alessandro, il quale di-
stingue un intelletto materiale (νς λικς) o potenziale (νς δυνμει), e un intelletto
come habitus (νς ιν ν) acquisibile che quando si esercita è intelletto in atto (νς
κατ’νργειαν, De An. 85.24 Bruns): l’intelletto come habitus è paragonato a un ripostiglio
per i pensieri in riposo (De An. 85.25-86.6 Bruns); solo che Alessandro si guarda bene dall’i-
dentificare il nostro intelletto in quanto κατ’νργειαν con l’intelletto attivo (πιητικς), come
fanno Barnes e Wedin imbattendosi in tutti i problemi che ho appena indicato.
59
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In realtà, all’intelletto simpliciter: ma è altamente plausibile che l’intelletto di cui Aristo-
tele parla prima dell’introduzione dell’intelletto attivo, sia quello che solo dopo questa intro-
duzione si paleserà essere quello ‘passivo’.
54
Cfr. Temistio, op. cit., 102, 30-35.
55
Cfr. Tommaso, In Aristotelis..., cit., c. 729.
56
Cfr. Berti, art. cit.
57
Ibid., p. 6.
60
Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
58
Cfr. De An. i 4, 408 b 2-16.
59
L’acquisizione dei princìpi primi è una conquista intellettuale molto rara, è appannaggio
di pochissimi: l’uomo ordinario ha opinioni ed esperienze delle cose, ma non possiede scienza;
ogni scienza è dedotta dai princìpi primi del genere di cui è scienza, e tali princìpi sono de-
finizioni e assunzioni di esistenza delle entità definite: per esempio, la definizione di ‘retta’, o
di ‘superficie’ o di ‘triangolo’, e le assunzioni che queste entità esistono, saranno fra i princìpi
primi della geometria da cui i teoremi geometrici si dimostrano. Cfr. An. Post. i 2, 72 a 14-35.
60
Cfr. Fronerotta, art. cit.
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In assoluto, o per natura, l’atto precede la potenza anche a livello dell’individuo. La po-
tenza c’è perché ha da esserci il suo atto: le capacità psichiche sono per natura teleologiche,
sono orientate al loro stesso esercizio, esistono per il loro esercizio.
63
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Lo stato di possesso dell’universale sboccia dalla percezione stessa, “come in battaglia,
quando ha avuto luogo una rottura delle file, essendosi fermato un uomo un altro si ferma,
poi un altro ancora, finché non si giunge di nuovo al principio. E l’anima è tale da avere la
capacità di subire ciò” (An. Post. ii 19, 100 a 10-14): non presuppone che la capacità per-
cettiva, la quale in noi presenta, evidentemente, una originaria tendenza all’unificazione e alla
sintesi.
66
Cfr. De An. iii 4, 429 a 14, Met. xii 7, 1072 a 30.
64
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Cfr. Met. i 10, 993 a 15-17: “la filosofia primitiva, infatti, pare che balbetti, essendo essa
giovane e ai suoi primi passi”. Cfr. Met. i 2, 982 b 11-23, ove è chiaro che gli uomini hanno
cominciato a filosofare solo a un certo momento. E il discorso sulla filosofia, come teoria delle
cause e dei princìpi, può essere esteso anche alle scienze coi loro princìpi.
68
Aristotele è ben lungi dal pensare, come purtroppo siamo portati a fare noi, che la spe-
cie umana potrebbe smettere di esistere.
69
Cfr. Cfr. Met. i 2, 982 a 18-19.
70
Cfr. El. Soph. xxxiv, 183 b 17-184 b 8: vi si dice che “fra tutte le scoperte, alcune as-
sunte da altri, che furono precedentemente elaborate, hanno fatto un parziale progresso ad
opera di coloro che le hanno ereditate» (184 b 17-20); si aggiunge che la retorica ha fatto
molti progressi, accumulatisi attraverso Tisia, Trasimaco, Teodoro etc., e si osserva che invece,
quanto allo studio delle confutazioni sofistiche, prima di El. Soph. non c’era assolutamente
nulla. La produzione di nuovo sapere, propria di tutti i campi, mi pare incompatibile con l’e-
ternità dell’intelletto attivo, se quest’ultimo fosse un patrimonio eterno di sapere umano.
71
Cfr. Met. i 2, 981 b 13-25.
72
Cfr. Met. i 9, 993 a 1-2: “se poi [questa conoscenza] fosse innata, come potremmo pos-
sedere, senza accorgercene, la più elevata delle scienze?”.
65
Diego Zucca
che non nasciamo già coi princìpi, come voleva Platone, e nessuno
nasce coi princìpi inscritti nell’anima, come concepire questa eterna
prossimità dei princìpi al genere umano? Come concepire il fatto
che tutti quelli che apprendono i princìpi, li apprendono a un certo
punto della loro vita da parte di altri, ma nessuno li ha mai appresi
per la prima volta? Sono essi già da sempre ‘in circolo’?
Questi rilievi mostrano che anche questa audace interpretazione
non è completamente soddisfacente, nonostante le sue indiscutibili
virtù, compresa quella di valorizzare il passo vertente sulla prio-
rità anche temporale della scienza in atto: il candidato che propone
non soddisfa appieno i requisiti 1), 2), 6) e soprattutto 7) (requisito
dell’eternità). Tuttavia, forse una sua variante potrebbe ovviare a
queste debolezze, o perlomeno a qualcuna di esse.
73
Come capacità di ricezione dell’universale, l’intelletto è responsabile dell’attività con-
cettuale, proposizionale ed inferenziale in generale: anche i pensieri falsi, o le opinioni, o le
inferenze non scientifiche, sono comunque prestazioni cognitive dell’intelletto; ma esso, nella
sua eccellenza, è anzitutto coglimento dei princìpi primi e propri delle scienze e, in secondo
luogo, capacità di inferire deduttivamente gli attributi necessari dei generi di cui le scienze
sono scienze, a partire dai rispettivi princìpi propri. I princìpi primi sono proposizioni e ter-
mini che le materiano: se i princìpi primi sono universali, non tutti gli universali sono princìpi
primi; se tutti gli uomini hanno intelletto, non tutti gli uomini acquisiscono scienza, infatti
solo alcuni, fra gli uomini, realizzano l’eccellenza cognitiva dell’intelletto.
74
Almeno, secondo il modo più diffuso di interpretare le Forme platoniche.
66
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cognitivo, per poter ricevere il suo oggetto, deve essergli, per così
dire, connaturale.
Che dire dell’essere in atto per essenza, ultimo attributo del
punto 3)? Per i princìpi e le verità prime, essere ‘in atto’ significa
semplicemente essere veri, avere realtà attuale come struttura for-
male dell’universo. Sono essenzialmente in atto poiché sono sempre,
e necessariamente, veri e ‘reali’.
è evidente che l’oggetto precipuo dell’intelletto, le obbiettive
realtà formali che esso coglie, gli siano superiori (4), come lo scibile
è sempre superiore alla scienza, che da questo è misurata75.
Che non sia il caso che ora pensi e ora non pensi (5), si com-
prende, visto che il nostro candidato non pensa punto, non essendo
un soggetto cognitivo o una mente: si tratta dell’oggetto che in pri-
mis attualizza le menti, piuttosto; i princìpi primi sono sempre veri,
sempre attuali, è solo il nostro intelletto che ‘ora li pensa, e ora non
li pensa’, mentre essi sussistono, nella loro realtà, anche quando non
siano colti. Perciò tale intelletto è ‘proprio ciò che è in quanto sia
separato’ (5), proprio perché la verità dei princìpi, il loro essere ciò
che sono, non è dipendente dal fatto che questo o quell’intelletto in-
dividuale sia da essi attualizzato o informato: la separatezza di tale
oggetto è la sua sussistenza, realtà, verità, in quanto indipendente
dalla notizia, o cognizione, che noi possiamo averne. Pur essendo
essenzialmente conoscibili, non è l’esser conosciuti di fatto, che dà
loro realtà.
Il punto 7), problematico per altre letture, è per noi chiarissimo:
solo l’insieme dei princìpi primi è immortale ed eterno – esiste, iden-
tico a sé, da sempre e per sempre – di contro ai nostri intelletti, cor-
ruttibili, che nascono, muoiono, e anche quando esistono colgono i
princìpi in modo discontinuo, intermittente76. I nostri mortali intelletti
si rivolgono a verità eterne che li precedono e gli succederanno: que-
ste verità ‘scientifiche’ sono dedotte, dalle scienze, a partire dai prin-
cìpi primi.
L’eternità e immortalità di tale intelletto di contro alla corrut-
tibilità del nostro spiega il nostro non ricordare (8), perché non è
ricordandoli – pace Platone – che possediamo i princìpi, infatti dob-
75
Cfr. Met. v 15, 1020 b 30-33: la scienza e lo scibile sono dei relativi, poiché il secondo
misura la prima.
76
Temistio (102, 33-35) considera en passant l’idea che l’intelletto attivo consista nei prin-
cìpi delle scienze, ma la scarta in modo troppo sbrigativo dicendo che coloro che la sosten-
gono sono “storditi” e “sordi” alle parole del filosofo quando quest’ultimo dice che “questo
intelletto è divino e impassibile, che la sua essenza è identica all’atto, e che solo questo è im-
mortale, eterno e separato”: ma i princìpi primi delle scienze sono immortali, eterni e ‘sepa-
rati’, in quanto verità eterne sono ‘divini’, in quanto sono sempre veri sono, in questo senso,
sempre in atto ed essenzialmente in atto. Neppure Berti valuta la proposta di Temistio come
tale, ma ne propone direttamente una integrazione, identificando questo intelletto non già coi
princìpi primi, bensì col loro possesso da parte del genere umano.
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Diego Zucca
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Cfr. De Mem. et Rem. 1, 450 a 28-33.
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Così, per esempio, Berti, art. cit.
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L’essenza di un oggetto X di un certo genere, per esempio di un certo animale, sarà una
specie colta da una definizione per genus et differentiam, e si può risalire a un genere supe-
riore [animale], che appartiene al genere [vivente] secondo la differenza [percipiente], su su
sino a [vivente], che è l’oggetto più generale della biologia, e la cui essenza sarà pertanto un
principio primo della biologia.
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Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
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Le verità prime, in quanto eterne e necessarie, sono ‘divine’, senza essere, ovviamente,
delle divinità.
81
Cfr. Et. Nic. x 7, 1177 b 26-33: la vita secondo l’intelletto è divina, e nell’attività intel-
lettiva ci “rendiamo eterni”, coltivando la parte di noi che è più divina e che ogni uomo è
‘specialmente’.
82
La natura è analoga a un medico che cura sé stesso (Phys. ii 8, 199 a 30-32), e le parti
corporee del vivente sono strumentali al vivente come un tutto (cfr. De Part. An. i 1, 642 a
12-13; Pol. i 2, 1253 a 25). Tutte le attività vitali, cognitive e locomotorie – dunque tutte le
capacità psichiche – sono finalizzate alla sopravvivenza e al bene (cfr. De An. Γ 12-13).
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Diego Zucca
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Già in De An. A 4, 408 b 29 il nostro ν è caratterizzato come divino.
84
Cfr. De An. B 5, 417 b 18-26.
85
De An. Γ 5, 430 a 24.
86
Del resto, anche in altri contesti Aristotele caratterizza qualcosa in modo diverso a se-
conda del termine con cui il qualcosa viene rapportato: gli animali capaci di locomozione
muovono sé stessi, sono automotori se rapportati a piante e animali senza locomozione, ma
sono mossi dall’ambiente, se rapportati quell’automotore par excellence che è il motore im-
mobile (cfr. Phys. vii 3, 4, 6); le piante sono viventi di contro agli enti naturali inanimati, ma
paiono quasi non viventi, se rapportati agli animali: “la natura passa per gradi dall’animato
all’inanimato, risulta nascosta la linea di demarcazione che li separa. La pianta sembra ani-
mata nei confronti degli altri corpi naturali, ma inanimata in rapporto al genere degli animali”
(Hist. An. viii 1, 588 b 4-7).
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Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
IA Intelletto Agente IA
potenza prima → attualità prima = potenza seconda → attualità seconda
poter acquisire un universale U → possedere U → esercitare U
L Luce L
potenza prima → attualità prima = potenza seconda → attualità seconda
poter divenire visibile → essere divenuto visibile → essere visto
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Cfr. Phys. iii 3, 202 a 31-34.
88
Anche la percezione (cfr. De An. B 5) viene paragonata a una ις ma non è una ις.
Come la scienza è capacità acquisita e la contemplazione suo esercizio, così la percezione è
capacità – naturale e non acquisita – che si esprime in esercizi.
89
De An. B 7, 418 b 9-10.
90
De An. B 7, 418 a 26.
91
De An. B 7, 419 a 9-11.
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Diego Zucca
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Il colore è reso visibile dalla luce, mentre i princìpi sono sia il conoscibile sia ciò che
rende il conoscibile tale: sono resi visibili da sé medesimi, sono luce che si autoillumina, giac-
ché sono l’originariamente intellegibile. Come spesso accade in Aristotele, le analogie sono in-
formative anche grazie alle differenze che emergono fra i loro termini.
93
Non qualsivoglia intellegibile, ma quel sottoinsieme degli intellegibili che sono le essenze
e i princìpi primi.
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Un po’ come il Sole nell’immagine platonica della caverna, il quale è ad un tempo prin-
cipio ontologico e cognitivo.
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Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
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Cfr. Met. xii 9, 1074 b 29-32.
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Sulla mortalità dell’anima tutta, come conseguente alla definizione aristotelica dell’a-
nima come attualità di un corpo, Alessandro insiste nella prima parte del suo De Anima (1-26
Bruns): solo i corpi celesti sono immortali ed eterni.
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L’intelletto agente, afferma Alessandro, è esterno (θραθν), viene ad essere in noi dal
di fuori (ωθεν) ed è separato da noi (ωριστς μν) (De Intellectu, 108.21-26 Bruns).
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Diego Zucca
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L’intelletto agente “rende l’intelletto potenziale e materiale intelletto in atto” (De Intel-
lectu, 107.32-34 Bruns) ed “è produttore del pensare ed è lui a condurre all’atto l’intelletto
materiale” (De Intellectu, 108.1-2 Bruns).
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È definito da Alessandro “la sostanza incorruttibile priva di materia” (De Intellectu,
108.29), espressione che rimanda chiaramente a Met. xii 6, 1071 b 20-21 e dunque al primo
motore immobile: una sostanza separata individua.
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Per questo non ho neppure preso in considerazione le grandi interpretazioni di tradi-
zione araba (Averroè e Avicenna) in quanto, nonostante il loro intrinseco interesse storico e
filosofico, contengono sviluppi teoretici che nulla hanno a che fare con Aristotele. Sarebbe
dunque fuorviante chiamarle in causa quando ciò che si ha in animo, è di penetrare al meglio
il testo aristotelico nel suo significato originario.
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Di cosa parla De Anima Γ 5? Una modestissima proposta
buto per attributo, che questo candidato si palesa essere il più sod-
disfacente e il più esplicativo, sia dal un punto di vista esegetico che
da quello teoretico.
Naturalmente, anche questa interpretazione ha le sue debolezze
e può destare perplessità, soprattutto in quanto non è immediata-
mente chiaro perché i princìpi primi debbano esser qualificati come
ν.
Ma tutte le interpretazioni di De Anima Γ 5, fatalmente, presen-
tano aspetti claudicanti: e considerando questa proposta compara-
tivamente, sulla base dei vantaggi e svantaggi delle altre interpreta-
zioni ‘classiche’ e non, mi pare che essa risulti perlomeno degna di
considerazione e di approfondimento.
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