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Vigilanza spirituale

A ben riflettere, la maggior parte della nostra vita spirituale si svolge nel «tempo ordinario», non nei
«tempi forti». E questo con riferimento non soltanto al tempo liturgico. I tempi forti della vita nello Spirito
sono limitati: Avvento-Natale; Quaresima-Pasqua; esercizi e ritiri spirituali; noviziato; professione dei voti;
ordini sacri e poche altre occasioni... Il resto, la maggior parte del nostro tempo, è vita psicologica e
spirituale ordinaria, abitudinaria … poco entusiasmante. La differenza tra i due tempi si traduce anche in
differenti modalità di funzionamento della coscienza spirituale, cioè dell’attivazione mentale sui temi
spirituali o meglio, di una maggiore disponibilità personale all’azione dello Spirito nella nostra mente.
Tempi forti. Nei tempi forti la coscienza spirituale può beneficiare di una certa attivazione, può
risvegliarsi più facilmente dallo stato ordinario, su singoli temi, sulla nostra storia spirituale e religiosa
complessiva, su tutta la dinamica della salvezza e sulle tematiche ecclesiali. E da una coscienza resa vigile,
soprattutto ma non necessariamente se accompagnata dall’esperienza spirituale della «consolazione»,
possono derivare buoni frutti. Questo in termini sia di desiderio e programmazione di cambiamento, sia di
reale maggiore impegno. «Tempo forte  coscienza vigile conversione»: questa la possibile dinamica
spirituale. Ma si tratta sempre e solo di periodi brevi, non della norma stabile.
Tempo ordinario. Per il resto del tempo, quello ordinario, la coscienza sulle realtà spirituali tende a
mantenersi poco attiva, poco vigile, spesso veramente addormentata. E così, nella maggior parte della nostra
vita spirituale rischiamo superficialità e distrazione, ancor più nell’epoca postmoderna che ci obbliga a
vivere di corsa. E, con una coscienza dormiente, non possono nascere buoni propositi di cambiamento
(conversione), né riusciamo a mantenere stabili i cambiamenti eventualmente avviati. Nasce e perdura,
inoltre, la subdola «abitudine» allo scarso impegno, se non proprio al disimpegno: non ce ne rendiamo più
conto, l’accettiamo come realtà normale… E si disattiva la capacità critica riferita a noi stessi e agli altri,
volta cioè a migliorare noi e la comunità. Ovviamente, vengono meno anche il desiderio e la capacità di
discernimento, nelle scelte sia ordinarie che straordinarie. In tal modo tutta la vita spirituale corre seri rischi.
Realisticamente, è un problema inevitabile, anche se controllabile: questo perché il cervello umano si
difende, tende a conservare le sue energie e quindi non riesce a mantenere per troppo tempo quell’attivazione
che di solito caratterizza le esperienze forti. E questo si ripercuote anche sulla vita spirituale.
E allora, visto che nell’ordinarietà la coscienza spirituale si assopisce, la vigilanza diminuisce, ecco un
obiettivo fondamentale nella vita di tutti i giorni: mantenere la tensione a vivere il tempo ordinario come un
tempo forte. A tal fine lo strumento ideale è: la vigilanza spirituale. Usiamo il termine «vigilanza» – in greco
nepsis – nell’accezione monastica, in particolare con riferimento alla sua radice verbale che significa: «sono
sobrio, temperante, moderato, assennato, cauto, vigilante». E quindi possiede il doppio significato di
«sobrietà» e «vigilanza». Il primo fa chiaro riferimento al controllo dell’uomo naturale nelle sue
intemperanze (ascesi); il secondo significato fa riferimento alla coscienza, all’attenzione, alla motivazione.
Non può esserci vigilanza sulle realtà spirituali senza sobrietà/controllo sull’uomo naturale; così come non si
mantiene la sobrietà senza la vigilanza, cioè senza la coscienza spirituale (che dà senso alla sobrietà). Così
intesa, la nepsis permette e favorisce l’attenzione a Dio (prosoché) e il ricordo di Dio (mnéme Theoû).

La Scrittura

Partiamo dalle riflessioni sulla vigilanza che lo Spirito ha dettato agli scrittori biblici: subito scopriamo
che al tema viene riservata un’attenzione particolare.
Antico Testamento. A più riprese troviamo descritta la stessa situazione che può riguardare ciascuno di
noi: il Signore che ci parla e noi che brilliamo per mancanza di ascolto, «dura cervice», insensibilità, sonno
spirituale: «Ma essi non ascoltarono, anzi resero dura la loro cervice» (2Re 17,14); «non mi hanno ascoltato
né prestato orecchio, anzi hanno reso dura la loro cervice» (Ger 7,26). E così dimostriamo tutta la nostra
ordinaria insensibilità: «Il loro animo è insensibile» (Sal 17,10), e il cuore (la mente) è intorpidita:
«Insensibile come il grasso è il loro cuore» (Sal 119,70). E ciascuno di noi può riconoscersi nella difficoltà a
cambiare direzione, nell’incapacità a guardare in alto: «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a
guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7). Per chi non è vigilante può valere quello che è
scritto per il pigro: «Fino a quando, pigro, te ne starai a dormire?
Quando ti scuoterai dal sonno?
» (Pr 6,9). Il
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sonno o torpore spirituale è il vero antagonista della vigilanza.


Eppure il Signore non perde la pazienza, continua a richiamare ciascuno dei suoi figli all’attenzione, alla
memoria della sua parola: «Figlio mio, fa’ attenzione alle mie parole, porgi l’orecchio ai miei detti; non
perderli mai di vista, custodiscili dentro il tuo cuore, perché essi sono vita per chi li trova e guarigione per
tutto il suo corpo. Più di ogni cosa degna di cura custodisci il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita» (Pr
4,20-23). Ecco, allora, un primo rischio: il Signore ci è vicino, ci parla, ci invita costantemente a svegliarci, a
prestargli attenzione … ma noi spesso non lo ascoltiamo, il più delle volte preferiamo occuparci di altro.

Nuovo Testamento. Sulla vigilanza Gesù torna con frequenza e sempre con chiarezza. Ne parla in termini
di ascolto: «Chi ha orecchi, ascolti» (Mc 13,9); di ascolto e comprensione, come nella parabola del
seminatore: «Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto
e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno» (Mt 13,23). Gesù, poi, associa la veglia alla preghiera:
«Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione» (Mt 26,41), ricordando che l’uomo naturale è debole e può
contrastare lo Spirito: «Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è
debole» (Mc 14,38). Veglia e preghiera, proprio perché fondamenta della vita nello Spirito, devono essere
continue: «Vegliate in ogni momento pregando» (Lc 21,36).
Raccomanda di essere sempre pronti, di vivere in uno stato di attesa vigile: «Siate pronti, con le vesti
strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle
nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno
troverà ancora svegli» (Lc 12,35-37).
Sempre al fine di non farci abbassare la guardia spirituale, ricorda a ciascuno di noi e all’intera umanità
che la vita quaggiù non è eterna: «Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né
il Figlio, ma solo il Padre. Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti,
come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano
marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse
tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato
via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata» ( Mt 24,36-
41).
Conoscendo bene la nostra tendenza immanentistica, a più riprese ritorna sul giusto atteggiamento
escatologico: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire
questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe
scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio
dell'uomo» (Mt 24,42-44). «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un
uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito,
e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se
alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi
trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (Mc 13,33-37).
Ma l’atteggiamento escatologico, cioè la giusta e operosa attesa delle realtà ultime, è sottoposto a un
rischio subdolo: il «ritardo» che usura l’attesa. Ciascuno di noi singolarmente ma anche l’umanità tutta intera
corre il rischio di ragionare come il servo malvagio: «Il mio padrone tarda…» (Mt 24,48) o come le vergini
stolte: «Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro
allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con
sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo
tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: «Ecco lo sposo! Andategli
incontro!». Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle
sagge: «Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono». Le sagge risposero: «No,
perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene». Ora, mentre quelle
andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la
porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: «Signore, signore,
aprici!». Ma egli rispose: «In verità io vi dico: non vi conosco». Vegliate dunque, perché non sapete né il
giorno né l’ora» (Mt 25,1-13).
In pratica Gesù ci invita a mantenere un costante atteggiamento escatologico, conoscendo la tendenza
dell’uomo a lasciarsi appesantire dalla propria natura e dagli affanni della vita, diremmo anche quella
pastorale: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e
affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si
abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra» (Lc 21,34-35).
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Chiesa. Le riflessioni sulla vigilanza sono costanti anche nella Chiesa delle origini. L’autore della lettera
agli Ebrei ricorda che abbassare la vigilanza può allontanarci da Dio e può far crescere il male tra noi:
«Vigilate perché nessuno si privi della grazia di Dio. Non spunti né cresca in mezzo a voi alcuna radice
velenosa, che provochi danni e molti ne siano contagiati» (Eb 12,15). Anche la prima lettera di Pietro
contiene un importante riferimento alla vigilanza, con un’immagine forte: «Siate sobri, vegliate. Il vostro
avversario, il Diavolo, come leone ruggente, va in giro cercando chi divorare» (1Pt 5,8). Il diavolo raggiunge
il suo obiettivo quando s’interpone nella relazione tra Dio e noi, e può riuscirci soltanto grazie al nostro
contributo, che consiste fondamentalmente nella mancanza di sobrietà e di vigilanza.

Paolo. È l’autore biblico che parla con maggiore frequenza di attenzione e vigilanza spirituale,
dimostrandosi un vero specialista nel campo. Numerosi i suoi riferimenti, con la ripresa di temi e immagini
bibliche. Ai Romani, e a noi, raccomanda: «è ormai tempo di svegliarvi dal sonno» (Rm 13,11). Agli Efesini
ricorda la loro formazione: «istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di
prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, rinnovarvi nello spirito della
vostra mente» (Ef 4,21-23). Il rinnovamento nello spirito della nostra mente non avviene una volta per tutte,
ma esige una vigilanza continua nel tenere fisso: «il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col
3,2). Non è certo un invito a non impegnarsi nella realtà, ma a farlo senza mai perdere di vista la giusta
prospettiva, il senso primo e ultimo: la relazione con Dio. E questa si vive soprattutto nella preghiera, come
ricorda ai Colossesi: «Perseverate nella preghiera e vegliate in essa» (Col 4,2), e agli Efesini: «In ogni
occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni
perseveranza» (Ef 6,18).
Nella dimensione ecclesiale occorre vigilanza sugli altri, ma prima ancora su noi stessi: «Fratelli, se uno
viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su
te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). E vale per tutti noi quello che vale innanzitutto per gli
episcopi, cioè gli osservatori, i vigilanti: «Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così
facendo, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano» (1Tm 4,16). Con una capacità profetica che colpisce,
ancor più se pensiamo alla nostra epoca, Paolo estende il concetto di vigilanza alla capacità critica: «Verrà
giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si
circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro
alle favole. Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del
Vangelo, adempi il tuo ministero» (2Tim 4,3-5). Ecco, quindi, i tratti caratteristici del cristiano: vigilanza,
fermezza nella fede, maturità e forza: «Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi in modo virile, siate
forti» (1Cor 16,13). Senza dimenticare la prospettiva escatologica, cioè la consapevolezza che: «Il giorno del
Signore verrà come un ladro di notte» (1Ts 5,2). E allora: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma
vigiliamo e siamo sobri» (1Ts 5,6).

Giovanni. L’Apocalisse di Giovanni è per eccellenza il testo della tensione escatologica. Per questo fa
importanti richiami alla vigilanza spirituale, alla consapevolezza della venuta del Signore: «Così parla Colui
che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle. Conosco le tue opere; ti si crede vivo, e sei morto. Sii
vigilante, rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato perfette le tue opere davanti al
mio Dio. Ricorda dunque come hai ricevuto e ascoltato la Parola, custodiscila e convèrtiti perché, se non
sarai vigilante, verrò come un ladro, senza che tu sappia a che ora io verrò da te […]. Chi ha orecchi, ascolti
ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 3,1-6). Per sollecitarci alla vigilanza, il Signore si descrive come
imprevedibile nel suo arrivare: «Ecco, io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante» (Ap 16,15).
Se ci manteniamo in ascolto, sempre pronti ad aprire quando il Signore busserà, il premio non mancherà:
«Sii dunque zelante e convèrtiti. Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la
porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come
anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle
Chiese» (Ap 3,19-22).

Benedetto XVI. Dalla Chiesa delle origini passiamo a quella dei nostri giorni. Chiudiamo con le parole del
nostro attuale pastore: «Per il “tempo intermedio” ai cristiani è richiesta, come atteggiamento di fondo, la
vigilanza. Questa vigilanza significa, da una parte, che l’uomo non si rinchiuda nel momento presente
dandosi alle cose tangibili, ma alzi lo sguardo al di là del momentaneo e della sua urgenza. Ciò che conta è
tenera libera la visione su Dio, per ricevere da Lui il criterio e la capacità di agire in modo giusto. Vigilanza
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significa soprattutto apertura al bene, alla verità, a Dio, in mezzo a un mondo spesso inspiegabile e in mezzo
al potere del male. Significa che l’uomo cerchi con tutte le sue forze e con grande sobrietà di fare la cosa
giusta, non vivendo secondo i propri desideri, ma secondo l’orientamento della fede» (Benedetto XVI, Gesù
di Nazaret, Vol. II, p. 319).

Uomo naturale e vigilanza

Ora applichiamo le due dimensione della sobrietà e della vigilanza alla nostra concreta realtà umana.
Ricordiamo che l’uomo naturale è innanzitutto «corpo» e che ben tre Sistemi motivazionali riguardano il
corpo: alimentazione, riposo, sessualità. Dal punto di vista della vita spirituale, nei confronti del corpo e con
particolare riferimento a questi tre sistemi motivazionali, si può verificare un’attenzione eccessiva o troppo
scarsa. Nel primo caso c’è idolatria del corpo, nel secondo si dimentica la nobiltà della vita umana nella sua
interezza, come dimostra la realtà dell’Incarnazione. Il pericolo più subdolo è quello di relativizzare questi
problemi, addomesticando la coscienza. A cominciare dal corpo, quindi, per una buona vita nello Spirito si
rivelano essenziali la sobrietà e la vigilanza.
Alimentazione. Possiamo avere due eccessi nell’alimentazione (mangiare troppo o troppo poco), che
presuppongono un autocontrollo insufficiente o esagerato. Il mangiare troppo ha evidenti effetti sulla vita
spirituale, a cominciare proprio dalla vigilanza. Rientra giustamente tra i peccati capitali (golosità) e apre la
strada agli altri vizi. Ma anche il mangiare troppo poco può condizionare negativamente la vita spirituale.
L’ipervigilanza sul cibo il più delle volte non ha niente a che vedere con la dimensione spirituale, ma è solo
sintomo di problemi psicologici.
Riposo. La vita spirituale, come quella naturale, esige una giusta quantità di riposo. Anche in questo caso
i due eccessi, riposarsi troppo o troppo poco, si rivelano dannosi. Dormire troppo, cioè oltre il naturale
bisogno, può accompagnarsi a eccessivo rilassamento, a pigrizia. In tal senso può rientrare nel vizio
dell’accidia. Ma anche un riposo insufficiente, che appesantisce l’attività mentale, non giova alla vita
spirituale.
Sessualità. La vita sessuale nel religioso viene offerta al Signore. Le cadute, inevitabili, favoriscono
dipendenza proprio perché generatrici di piacere, e come tali si imprimono nella memoria e predispongono a
ulteriori cadute. E oggi il tutto è reso più difficile anche grazie al web (pornodipendenza). Stiamo parlando
della lussuria. Sobrietà e vigilanza, allora, s’impongono assolutamente.
Difesa del territorio. La difesa del territorio è difesa del proprio spazio vitale. Può comportare un
attaccamento eccessivo a spazi e oggetti personali. In campo spirituale si correla ad avarizia e ira.
Esplorazione. Il sistema dell’esplorazione può esitare in utile rinnovamento spirituale, in capacità di
cambiamento, di adattamento della tradizione al nuovo che avanza, tradursi in docilità alle novità dello
Spirito. Ma può anche ridursi a inutile curiosità, spasmodica ricerca del nuovo, bisogno di cambiamento fine
a se stesso, “prurito di novità”... Il rischio è disperdersi nel fare, senza sobrietà né vigilanza.

Relazionalità e vigilanza

L’uomo è un essere geneticamente predisposto alla relazione, grazie ai suoi Sistemi motivazionali
relazionali. Anche questi interagiscono con la dimensione spirituale e quindi vanno sottoposti a vigilanza.
Attaccamento. Fin dalla nascita e per tutta la vita, il nostro attaccamento (richiesta di aiuto) agli altri è
inevitabile, soprattutto nei momenti di bisogno (quando, per esempio, ci sentiamo isolati e non capiti nella
comunità). In questi casi c’è il rischio che l’attaccamento non sia equilibrato, possa sfociare in altre modalità
relazionali (sessualità) o tradursi in dipendenza. Occorre, allora, molta sobrietà e continua vigilanza perché
questo non accada. Anche l’attaccamento a Dio va vigilato: tendiamo a ricorrere a Lui prevalentemente o
soltanto quando ci sentiamo fragili e bisognosi di aiuto, e poi, una volta risolto il problema, dimenticarci di
Lui.
Accudimento. Il sistema dell’accudimento (aiuto all’altro) è certamente il più implicato nella vita
spirituale, soprattutto come “dovere” prioritario del credente: la «carità». Ma anche nell’accudimento
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spirituale occorre vigilanza. Il rischio è soprattutto quello di accudire l’altro per ottenere anche solo
inconsciamente il suo accudimento o il riconoscimento dagli altri. E molta attenzione occorre perché
l’accudimento può tradursi in un vero e proprio controllo dell’altro o sfociare in sessualità.
Competizione. Il sistema agonistico in ambito spirituale può correlarsi a egoismo, rabbia, desiderio di
dominanza, competizione con i confratelli. Il religioso “dominante” non si mette in discussione, è convinto
di possedere la verità e pretende sempre ragione, cerca la fama e il potere, e lotta per mantenerli. I vizi
capitali corrispondenti sono: superbia, invidia, ira. Il religioso “sottomesso” tende a evitare conflitti, anche a
costo di perdere la capacità critica e di rinunciare alla verità, a volte nascondendosi dietro l’umiltà o
l’abbandono alla divina provvidenza.
Cooperazione. Il sistema della cooperazione è particolarmente funzionale alla vita spirituale, soprattutto
nell’ottica ecclesiale. Ma nel privilegiare soltanto la cooperazione si può nascondere anche una incapacità di
vivere la relazione “personale” con Dio.
Sessualità. La sessualità intesa come bisogno di vivere in coppia, rimane sempre attiva anche nella vita
religiosa. Il rischio che si corre, soprattutto quando la propria comunità si rivela deludente, è quello di
affezionarsi in modo esclusivo a una persona in particolare. Di solito i primi passi in questa direzione sono
coperti dal sistema dell’attaccamento (chiediamo aiuto) e dell’accudimento (otteniamo aiuto), o sono
razionalizzati (resi leciti) dall’esercizio della carità. Ovviamente proprio questo è un ambito in cui la
vigilanza deve avere la priorità.

Vizi capitali

I vizi, profondamente radicati nell’uomo naturale, corrodono la vita spirituale, in modo subdolo ma
profondo. I vizi capitali spesso sfuggono all’esame di coscienza, perché danno meno l’idea di peccato in
senso classico. Ci portano molto lontani dalle parole di Gesù: «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro
celeste» (Mt 5,48). Per i vizi capitali, in modo davvero particolare, contano la sobrietà e la vigilanza
spirituale. A queste devono seguire la volontà, l’impegno concreto e continuo, il veloce rialzarsi dopo ogni
caduta.
Superbia. Si potrebbe definire un vizio «relazionale», nel senso che si rapporta sempre agli altri. È la
presunzione e il bisogno di sentirsi e di essere superiore agli altri. Il superbo non sopporta che qualcuno sia
“sopra” di lui, di non essere considerato superiore (in questo senso si correla all’invidia). In campo spirituale
è il peggiore dei vizi. La superbia è definita “l'inizio di ogni peccato”, non come se ogni peccato provenga
dalla superbia, ma perché ogni tipo di peccato è naturalmente suscettibile di derivare da essa. È una sorta di
autosufficienza, un poter fare a meno anche di Dio che, prima o poi, si rivela una pericolosa illusione (es.:
Lucifero). Il superbo disprezza la sottomissione a Dio e sceglie di essere sottomesso ad altre creature o cose.
Dimentica che tutto è dono di Dio, finalizzato alla salvezza personale e ad aiutare gli altri. È un peccato
particolarmente odioso agli occhi di Dio: «Io detesto la superbia e l’arroganza» (Pr 8,13). E Paolo ci ricorda:
«Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto?
 E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi
ricevuto» (1Cor 4,7). La vigilanza su questo vizio ci conduce all’umiltà, molto elogiata dalle Scritture.
Avarizia. È un desiderio smodato di conservare o accumulare o non privarsi di alcune cose, anche a danno
di altri bisogni personali e senza considerare i bisogni altrui. In campo spirituale è un patologico
attaccamento all’immanenza, alle «cose di quaggiù», a cose che cessano di essere semplici mezzi per
diventare fini. Secondo Paolo: «L’avidità del denaro […] è la radice di tutti i mali» (1Tm 6,10). E Gesù è
molto chiaro e drastico: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24). Un ottimo sistema per vigilare
sull’avarizia è mantenersi sobri nell’attaccamento ai beni e, soprattutto, esercitare la carità.
Lussuria. È uno smodato desiderio di piaceri, soprattutto ma non soltanto sessuali. È un’assolutizzazione
del corpo, o sue parti, proprio o dell’altro. Il corpo e la persona diventano oggetti, soltanto fonte di piacere. È
un vizio per il quale occorrono in modo particolare la sobrietà e la vigilanza. In tale ottica è molto utile
l’esercizio quotidiano di «rinuncia» a qualcosa che ci fa o produce piacere.
Invidia. Come la superbia, anche l’invidia è un vizio relazionale: è il dispiacere per il bene altrui, spesso
anche se non si è personalmente privi di ciò che si invidia all’altro. L’invidioso si sente sminuito dal
confronto con l’altro, per quello che è o per quello che ha. Si traduce in tristezza e rabbia, in desiderio che
l’altro non abbia qualità, cose o vantaggi. Impregna di sé una delle prime e più drammatiche pagine della
Bibbia: Caino che uccide il fratello «per invidia». Davvero, allora: «L’invidia è la carie delle ossa» (Pro
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14,30). La vigilanza su tale vizio si esercita proficuamente attraverso l’esercizio della carità.
Golosità. È uno smodato desiderio di piaceri legati al senso del gusto (si correla alla lussuria). Il cibo non
è più prevalentemente un mezzo per la sopravvivenza, anche fonte di piacere, ma diventa stabilmente e
primariamente un mezzo per solleticare e soddisfare il senso del gusto, per procurarsi piacere. Il vizio può
essere esteso alla “oralità” in genere, coinvolgendo per esempio il bere e il fumare. Gesù ricorda: «State ben
attenti che i vostri cuori non si appesantiscono in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita» (Lc 21,34).
Tale vizio necessita di un continuo esercizio di sobrietà e rinunce, e di un’attenta vigilanza.
Ira. Anche questo è un vizio relazionale. È la tendenza a perdere il controllo dei propri impulsi aggressivi,
a perdere facilmente la pazienza, ritenendo che sia sempre colpa dell’altro. Genera molti problemi soprattutto
nelle relazioni e in modo particolare nelle comunità. Anche senza volerlo, tende a suscitare negli altri
l’attivazione dello stesso sentimento. All’ira non bisogna dare tempo, come ricorda Paolo: « non tramonti il
sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). La sobrietà applicata a tale vizio si traduce nel difficile esercizio
dell’autocontrollo; la vigilanza deve essere soprattutto preventiva, cioè attenta ai primi segnali dell’ira
crescente.
Accidia. È fastidio nel fare e far bene le cose, incuria, negligenza, pigrizia o indifferenza spirituale,
dovuta al rilassamento dell’ascesi, al venir meno proprio della vigilanza. Spinge al disimpegno, allo
scoraggiamento, di fronte alle difficoltà, alla tristezza. A questo proposito il Siracide ricorda: «Non darti in
balìa della tristezzae non tormentarti con i tuoi pensieri» (Sir 30,21). Procura un indebolimento delle forze
spirituali, della risposta attiva alla proposta di Dio. È un’apatia da non scambiare assolutamente per capacità
di “abbandono” alla provvidenza. È chiaro come sia proprio l’accidia, con la sua scarsa appariscenza, a
mettere in difficoltà l’esercizio della vigilanza.

Sentinelle

Con riferimento solo alla dimensione umana, è praticamente impossibile mantenere uno stato continuo di
vigilanza: quindi nessuna illusione in merito. Le cadute sono inevitabili e quindi non ha senso farne una
tragedia (anche questa è una tentazione…). Ma la tensione, quella sì, non dovrebbe venir meno. A tal fine un
aiuto può venire dal fratello che ci è posto accanto, dalla comunità in cui viviamo, da un padre spirituale.
Anche in quest’ottica si può ulteriormente apprezzare il valore della Chiesa. E così, singolarmente e come
Chiesa, soltanto se «vigilanti» possiamo essere sale e luce: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il
sapore, con che cosa lo si renderà salato?
 A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una
lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così
risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre
vostro che è nei cieli» (Mt 5,13-16).
E forse l’immagine più bella dell’essere vigilanti è quella delle «sentinelle». Essere sentinelle per noi
stessi e per gli altri: a queste siamo chiamati. E così, con l’aiuto dello Spirito, possiamo incarnare le parole di
Isaia:

«Sulle tue mura, Gerusalemme,ho posto sentinelle;per tutto il giorno e


tutta la nottenon taceranno mai.Voi, che risvegliate il ricordo del
Signore,non concedetevi riposoné a lui date riposo,finché non abbia
ristabilito Gerusalemmee ne abbia fatto oggetto di lode sulla terra»
(Is 62,6-7).

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