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1. Rappresentanza politica
“La rappresentanza intende rendere presente qualcosa che ciononostante non è letteralmente
presente”. Questa definizione, fornita da Hanna Pitkin nel suo famoso libro a riguardo, cozza
fortemente con la maggior parte delle discussioni moderne sulla rappresentanza politica che
regolarmente delimitano la loro attenzione su questioni tecniche riguardanti l’elezione e l’obbligo di
risposta (la responsabilità). Persino i teorici che vedono nel governo rappresentativo le classiche virtù
necessariamente pure e caste dell’autorità pubblica si basano, fanno affidamento su nozione di
rappresentanza politica povere per quanto riguarda la delineazione del concetto. Come Pitkin stessa
suggerisce, la rappresentanza politica indaga il modo in cui “il popolo (l’elettorato: constituency) è
presente nell’azione del governo, anche se essi non agiscono letteralmente in prima persona”.
Questo articolo esamina la “soluzione” di Carl Schmitt al dilemma della rappresentanza politica, che
suggerisce che la rappresentanza possa portare all’unità politica dello Stato, ma solo se lo Stato
stesso è propriamente rappresentato nella figura o nella persona del sovrano. Nel valutare e spiegare
la centralità della rappresentanza nel pensiero politica di Schmitt, un aspetto che è spesso escluso
nelle discussioni, mi concentrerò sul tentativo di riconciliazione di un personalismo forte e la nozione
hobbesiana della rappresentanza che giustificherebbe il supporto alla carica del Presidente del Reich
nella repubblica di Weimar, attraverso delle digressioni tratte dal repubblicanismo costituzionale di
Abbé Sieyes, che pone il potere costituente del popolo alle basi della democrazia rappresentativa.
L’argomentazione sviluppa e modifica l’ipotesi di Bӧckenfӧrde, per il quale il famoso concetto del
politico di Schmitt, presentato per la prima volta in una conferenza (a Barcellona ???) nel 1927,
fornisce la chiave di volta per la comprensione della sua teoria costituzionale (Verfassunglehre),
pubblicata l’anno successivo. Invece il concetto di rappresentanza di Schmitt fornisce la chiave come
la quale comprendere la sua più densa argomentazione sulla struttura costituzionale. Perciò dopo
aver delineato le radici della teoria schmittiana della teoria della rappresentanza nella prima teologia
e nel personalismo per mostrare la sua lunga preoccupazione sul tema, le argomentazioni centrali di
Sieyes e Hobbes riguardanti la rappresentanza sono dopo delineate, e discusso il loro impatto sulla
teoria politica e costituzionale di Schmitt. Come struttura prendono tagliente supporto le implicazioni
politiche della sua appropriazione ideologica del linguaggio delle moderne democrazie
rappresentativa al fine di giustificare il sostegno a leader presidenziale.
Nel suo saggio del 1923 “Il Cattolicesimo romano e la forma politica” Schmitt afferma che la
razionalità tecnico-economica del moderno capitalismo e la sua dominante espressione politica, il
capitalismo, si presenta non all’altezza dell’espressione di potere politico della chiesa cattolica.
Schmitt si concentrava in questo saggio a mettere in risalto la particolarità della rappresentanza della
chiesa cattolica, come complexio oppositorum, in contraddizione con le tipiche vesti come quelle
della semplicità del Protestantesimo ascetico e industrioso, che si contrappone come “il
temperamento antiromano che ha alimentato il sacrificio con la povertà, il gesuitismo e il
clericalismo con l’aiuto di forze religiose e politiche, che ha stimolato la storia europea per secoli”.
Persino il “democratico e parlamentare diciannovesimo secolo” era un periodo in cui il cattolicesimo
era definito come “niente poco di meno che opportunismo senza limiti”. Nell’asserzione di Schmitt,
dunque, per la quale questa ha mancato un fondamentale punto come la complexio oppositorum,
che era proprio “il carattere formale del cattolicesimo romano basato su una stretta realizzazione
con il principio della rappresentanza”. Nella sua particolarità ciò divenne più chiaro nella sua antitesi
del pensiero tecnico-economico oggi dominante. Schmitt asserì polemicamente che la peculiarità
stessa della rappresentanza cattolica aveva permesso di rendere presente la vera essenza di qualcosa
rappresentandola. Inoltre, poiché l’idea di rappresentanza è completamente governata da concezioni
di autorità personale che il rappresentante cosi come la persona rappresentata devono mantenere
Carl Schmitt’s political representative theory Kelly Duncan
una dignità personale, ciò non era un concetto materialistico. Per rappresentare nel massimo grado è
possibile solo attraverso una persona, una persona autorevole o un’idea, che, se rappresentata,
viene personificata. Perciò nonostante la chiesa cattolica avesse relazione amichevoli con un’ampia
fascia di governi particolari, e nonostante spingesse verso un pensiero “irrazionalista”, aveva una sua
propria logia. È “basata su un particolare modo di pensare il cui metodo di prova è una specifica
logica giuridica e la cui attenzione di interessi è la normazione della vita sociale umana”. La chiesa
cattolica ha la sua propria razionalità, una diversa non tanto rispetto ai diversi governi, ma piuttosto
con la dominante razionalità economica del capitalismo moderno. Invero “in forte contrasto con
questa assoluta materialità economica, il Cattolicesimo è politico in senso eminente”. Attraverso un
argomento pedante che recupera molti aspetti rispetto alla natura della legge e ai limiti del
formalismo giuridico contemporaneo, Schmitt arriva a suggerire che la Chiesa sia “la vera erede del
diritto romano” preoccupata rispetto al superiore compito che è semplicemente il mantenimento
della legalità. Lo sviluppo storico del liberalismo, pensa Schmitt, ha mostrato una mancanza di
consapevolezza sul carattere personalista del rappresentante politico. Infatti, la prima concezione
schmittiana della rappresentanza affermava che la specifica razionalità, logica della chiesa cattolica,
come complessione degli opposti, “riposa su un’assoluta realizzazione della autorità” rinforzata “da
un potere che assume questa o quella forma solo perché ha il potere della rappresentazione”.
Inoltre, questo potere della rappresentazione trova il suo luogo nella particolare forma della
personalità autorevole, un’autorità che implica aspetti di dignità e valore. La sua responsabilità
chiaramente si ricollega alle prime teorie sulla rappresentanza e ai “due corpi” del sovrano, che
sorreggono la sua argomentazione che “tutti i concetti significativi della moderna teoria dello Stato
sono concetti teologici secolarizzati”. Analogamente Schmitt afferma che tale sostanziale o
“eminente” rappresentazione “può procede solo all’interno della sfera pubblica”, la sfera dove giace
il luogo della sovranità. L’affermazione è inoltre costruita sulla fede che il dominio corrente del
pensiero tecnico-economico capitalista si basa su una “privatizzazione” dell’azione individuale. La
prima istanza di questa privatizzazione riguarda la fede religiosa individuale. Per Schmitt
l’interdipendenza di liberalismo e stato moderno, nata dalla Riforma e dalle dispute sulla tolleranza
religiosa, corrispondono all’ascesa di qualcosa che si approccia alla teoria del “possessive
individualismo” reso più tardi famosa da MacPherson. Schmitt asseriva che “la fondazione giuridica
della Chiesa Cattolica nella sfera pubblica si poneva in antitesi la fondazione liberale della sfera
privata”. Pertanto, ciò fu sviluppato nelle sue argomentazioni che vedevano il protestantesimo e le
prime varianti della teoria della resistenza calvinista, che aveva infatti portato questi cambiamenti,
responsabili della depauperazione del politico e del suo carattere proprio: “La Chiesa esige di
riconoscersi come la sposa di Cristo (il papa il suo vicario); essa rappresenta il regno di Cristo,
amministratore e dominatore. La sua dichiarazione di prestigio e onore ripossa sull’idea di
rappresentazione in senso eminente”. Allo stesso modo, osserva McCormick, l’argomentazione di
Weber “predice la tesi schmittiana” per la quale “il Cattolicesimo ha oggi dichiarato il Calvinismo il
suo vero nemico”. Ma la connessione è forse anche più stretta. Nonostante per entrambi, Weber e
Schmitt, è possibile dire che concordano sul fatto che l’ascesa del tipo particolare del
“Berufsmensch” sia il risultato, in parte, della cosiddetta etica protestante, entrambi hanno previsto
gli involontari effetti largamente negativi della sua diffusione. Schmitt, comunque, riferisce
all‘influenza del Protestantesimo il contemporaneo periodo di spoliticizzazione. Quando si concentra
sulle distorsioni dei moderni governi rappresentativi, dice: “il senso elementare del principio di
rappresentanza è quello per il quale i membri di un parlamento sono rappresentanti di tutto il popolo
e perciò hanno un’autorità indipendente rispetto agli elettori. Invece di derivare la autorità da singoli
elettori, loro continuano a derivarla dal popolo. “Il membro di un parlamento non è legato da
istruzioni o comandi e risponde alla sua sola coscienza”. Ciò significa che la personificazione del
popolo e l’unità del parlamento come loro rappresentante infine implica l’idea della complessione
degli opposti, che è, unità della pluralità degli interessi e dei partiti. È concepita in termini più
Carl Schmitt’s political representative theory Kelly Duncan