Sei sulla pagina 1di 66

Gamba Francesco Classe 5H

Tesina esame di stato 2003/2004

Materia : Meccanica e Macchine

IL MOTORE ENDOTERMICO
DIESEL A QUATTRO TEMPI

Il 23 febbraio del 1892 l’ingegner Rudolf Diesel depositava all’ufficio


brevetti di Berlino il progetto di un singolare motore. Un progetto,
come descritto nella domanda per il brevetto, relativo a “… un
processo lavorativo per macchine motrici a combustione interna,
caratterizzato dal fatto che in un cilindro l’aria viene compressa dal
pistone di lavoro con una forza tale che la temperatura risultante è di
gran lunga superiore a quella d’accensione del carburante da impiegare
…”

Con questa semplice quanto efficace descrizione nasceva, giusto 112


anni fa, il cosiddetto motore “ad accensione per compressione” in
contrapposizione al già esistente motore a ciclo Otto o semplicemente
a benzina, che veniva e viene tuttora comunemente definito “ad
accensione per scintilla”
INDICE
1. LA STORIA
1.1 Le origini del motore Diesel : Rudolf Diesel
1.2 L’avvento del motore Diesel

2. ORGANI E CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE


2.1 Schema costruttivo generale
2.2 La testata
2.3 Il basamento
2.4 Il pistone
2.5 Segmenti, bielle e albero motore
2.6 Le canne dei cilindri
2.7 Gli organi della distribuzione
2.8 La pompa di iniezione
2.9 Gli iniettori
2.10 Il turbocompressore

3. INIEZIONE DIRETTA E INIEZIONE INDIRETTA


3.1 La formazione della miscela
3.2 La combustione
3.3 Il Diesel a iniezione diretta
3.4 Il Diesel a iniezione indiretta

4. GRUPPI AUSILIARI
4.1 L’alimentazione
4.2 La lubrificazione
4.3 Il raffreddamento

5. CICLO TEORICO E REALE, RENDIMENTI E CALCOLI


5.1 Funzionamento del ciclo a quattro tempi
5.2 Grafico del ciclo e relativa descrizione
5.3 Rendimenti, calcolo della potenza e bilancio termico
1. LA STORIA

Trattore Bubba UT3 con motore testacalda del 1926


1.1 LE ORIGINI DEL MOTORE DIESEL :
RUDOLF DIESEL

Un uomo di genio, un mistificatore, un affarista. Per i suoi contemporanei fu l’una o


l’altra cosa. Inventore di un motore assolutamente rivoluzionario, poi legato
indissolubilmente al suo nome, sarebbe pervenuto quasi per caso alla scoperta che lo
rese famoso. Rodolphe, Chrétien, Charles Diesel nacque a Parigi da genitori bavaresi
il 18 marzo 1858. Già a dodici anni il piccolo Rudolf frequentava assiduamente il
Conservatoire des Arte set Métiers dove abbozzava diligentemente in un quaderno le
forme delle macchine che vi erano ordinate.

Nel 1870 sarebbe dovuto entrare all’Ecole Primarie Supérieure e quasi certamente
sarebbe divenuto cittadino francese. Lo scoppio della guerra francoprussiana mutò il
suo destino. Sebbene la famiglia non fu oggetto di persecuzioni dovette lasciare la
Francia in gran fretta. I Diesel si rifugiarono così a Londra, dove Rudolf frequentò
una scuola inglese e, come a Parigi, la sua meta preferita furono i musei di tecnica.
Nei giorni successivi la città inglese venne accerchiata dai tedeschi così che la
famiglia, per permettere al figlio di studiare, fu costretta a mandarlo all’estero. Rudolf
lasciò così Londra il 1° novembre 1870 diretto ad Augusta in Baviera, dove sarebbe
stato accolto in casa del prof. Cristoph Barnickel e sua moglie, che si offrirono di
fargli da genitori adottivi e di seguirlo negli studi. Restò in questa cittadina per cinque
anni, ebbe così la possibilità di seguire la regia scuola commerciale segnalandosi
subito per la serietà e la passione profusa negli studi. Al termine del corso fu il primo
della graduatoria. Intendeva proseguire gli studi per conseguire la laurea in
ingegneria ma desiderava che i suoi genitori, che non vedeva da tre anni, e che erano
rientrati a Parigi, approvassero la sua scelta. Decise pertanto di trascorrere le vacanze
nella capitale francese sottoponendosi ad un nuovo, faticoso viaggio. Purtroppo le
condizioni familiari erano notevolmente degenerate a causa della morte della sorella,
unico sostegno economico della famiglia, così Rudolf preferì rifiutare il peso delle
responsabilità che inevitabilmente avrebbe dovuto addossarsi. La certezza di essere
ormai in grado di assicurarsi da solo un domani migliore e il convincimento di non
poter mai più contare sui genitori lo indussero a rientrare ben presto ad Augusta dove,
nell’ottobre del 1873 si iscrisse alla scuola industriale frequentando il corso di tecnica
e meccanica. Risale a questo periodo il primo contatto di Rudolf con l’acciarino che
si vuole fosse alla base delle sue scoperte future. Ne fece conoscenza presso la
scuola. Si trattava sostanzialmente di una versione dimostrativa dell’antico acciarino
cinese. Funzionava come una pompa per pneumatici da bicicletta: uno stoppaccio
infiammabile veniva inserito nella parte opposta a quella in cui era ancorato lo
stantuffo. Con un rapido rinculo si poteva osservare lo stoppaccio prendere fuoco per
effetto del calore generato dalla compressione. Ormai Rudolf doveva contare
esclusivamente sulle sue forze. Iscrittosi al Politecnico di Monaco tirò avanti con
borse di studio e con il ricavato di piccole lezioni private. Era tale la voglia di
apprendere da spingerlo a dedicare pochissime ore al sonno. Nel gennaio del 1877,
divenuto cittadino tedesco, si presentò al servizio militare ma venne riformato per
insufficienza toracica. In questi anni i genitori di Rudolf si trasferirono a Monaco e la
famiglia Diesel tornò nuovamente a riunirsi sotto un unico tetto; questo fatto però fu
più un motivo di preoccupazione che di gioia per il giovane studioso. Al Politecnico
di Monaco Rudolf ebbe la prima grande occasione della vita. Vi insegnava il prof.
Karl Linde, un’autorità nel campo della termodinamica, fondatore e presidente di una
società per impianti frigoriferi. Linde non aveva dubbi sull’intelligenza e la fattività
di Rudolf Diesel. Era il suo allievo prediletto. Dapprima lo invitò in Svizzera, presso
la Sulzer per un periodo di praticantato poi, dopo aver completato gli studi al
Politecnico, gli offrì di assumere la direzione di una fabbrica di ghiaccio che Linde
stava progettando che sarebbe sorta a Parigi. Egli dunque tornò nella capitale francese
ed ebbe successo in questo suo primo lavoro, ma ne era insoddisfatto. Vagheggiava
un motore economico particolarmente adatto per la piccola industria, capace di
rivaleggiare con quello a vapore. Pervaso da una sorta di frenesia e misticismo,
Diesel ne fece anche una questione sociale. Il motore ch’egli aveva in mente doveva
servire in primo luogo ad affrancare l’operaio dalle operazioni più gravose. Forte
delle sue esperienze nel campo delle bassissime temperature partì dall’idea di
sfruttare l’ammoniaca come fluido per un motore a vapore a ciclo chiuso.
L’obbiettivo era di aumentare il rendimento rispetto a un motore a vapore
convenzionale. Pensava di riuscirvi elevando sensibilmente la temperatura durante la
fase di espansione del ciclo. Sebbene vi dedicasse ogni minuto del tempo libero e
tutte le proprie risorse finanziarie non ebbe successo, ma le cognizioni acquisite in
questa fallimentare esperienza costituirono la genesi del nuovo motore. Nel 1892 in
un manoscritto Diesel affermò che quale fosse il vapore (acqua o ammoniaca) era
imperativo aumentarne la temperatura onde ottenere l’accensione spontanea del
combustibile. Quando gettò le basi del suo motore Rudolf Diesel viveva a Berlino. Il
primo brevetto Diesel è del 28 febbraio 1892. Reca il n. 67.207 e il titolo “Progetto e
funzionamento di un motore a gas povero”.

L’inventore si preoccupò subito di trovare il modo di farlo costruire, ma il primo


tentativo con la tedesca MAN andò male. Le difficoltà di esecuzione, cioè la
mancanza di tecnologie di lavorazione adatte allo scopo non consentirono di passare
alla fase pratica. Temendo che il tempo volgesse a suo sfavore, Diesel raccolse in un
libro, apparso nel 1893, le sue teorie esprimendo fra l’altro l’avviso che il suo motore
fosse in grado di funzionare con qualsiasi combustibile, anche solido come il
carbone, oltre che con i combustibili liquidi come gli oli minerali o vegetali, gassosi
come l’acetilene o il gas di città o illuminante. Il libro servì a chiarire molti dei dubbi
che esistevano sull’invenzione di Diesel e a convincere la MAN che valeva la pena di
affrontare la costruzione di quel motore, ma quando esso venne realizzato sollevò le
critiche di alcuni scienziati fra i quali il francese Capitaine che accusò Diesel di aver
fatto costruire un motore a petrolio e non uno a polvere di carbone, e che comunque
non era riuscito a dimostrare nulla di nuovo. Diesel si difese replicando che nel suo
libro aveva espresso solo delle teorie. Modifiche e correzioni erano, dunque, più che
normali. La decisione della MAN e della Krupp, consorziatesi allo scopo, fu un
primo passo di grande importanza, ma la gioia di Rudolf Diesel fu di breve durata.
L’atto pratico della costruzione del primo motore (era altro tre metri e pesava più di
due tonnellate) fu piena di contrattempi e di battute d’arresto. Non era dotato, in
effetti, di alcun sistema di raffreddamento. A mettere in moto il meccanismo
provvedeva un motore a vapore posto di fianco. Le pressioni volute non poterono mai
essere raggiunte a causa della precaria tenuta del pistone. Si procedette così a
singhiozzo facendo e disfacendo. Completato nel luglio del 1893, il primo motore, in
pratica, non riuscì mai a funzionare o per pochissimo, in ogni caso con l’ausilio di
una cinghia che faceva ruotare il grosso volano. L’enorme quantità di problemi,
tuttavia, non intaccarono il principio su cui si fondava il motore di Diesel e cioè che
una certa quantità di combustibile, iniettata alla fine della fase di compressione,
poteva essere innescata dal calore generato dalla compressione. L’insoddisfacente
funzionamento del primo motore che provocò, tra l’altro, una violenta esplosione,
non fece nascere alcun tentennamento nel geniale inventore il quale non si perse
d’animo e penso subito al modo di brevettarlo all’estero.

Ecco rappresentato l’enorme motore realizzato da Diesel nel 1893

Se i diritti di sfruttamento per la Germania erano stati ceduti alla MAN e alla Krupp,
il resto del mondo gli apparteneva. Diesel raddoppiò i suoi sforzi, viaggiò da un capo
all’altro dell’Europa, tenne conferenze, ebbe abboccamenti con industriali e
governanti, ma a prezzo di un grande dispendio fisico. La prosecuzione dei test con il
primo motore fu davvero frustrante, finché nel febbraio del 1894 si riuscì a farlo
funzionare per un minuto intero a 88 giri/min. La potenza che se ne ricavò fu di 13,2
CV. Nel 1896 venne posto allo studio un motore completamente nuovo; e l’anno
seguente si ottennero dei risultati talmente soddisfacenti (potenza 17,8 CV a 154
g/min, rendimento del 26,2%) per cui venne deciso di fare una prova dimostrativa
davanti a un osservatore neutrale. Ciò servì a confermare che Rudolf Diesel aveva
concepito il più efficiente motore termico esistente, il cui rendimento era circa doppio
rispetto a un motore a olio pesante del tempo (∼ 30%). L’eco della raggiunta
affidabilità ed efficienza del motore aveva varcato i confini e per Diesel iniziò un
periodo di continue vendite di licenze a fabbriche motoristiche di tutto il mondo,
dalla Deutz tedesca alla Watson & Varyan scozzese, fino agli Stati Uniti d’America
ed il Canada con la Diesel Motor Company of America. In totale, prima del 1900,
erano già state rilasciate 51 licenze di fabbricazione. Rudolf Diesel poteva dire così di
aver raggiunto fama e ricchezza; ma non fu così, fama a parte. La salute lo stava
progressivamente abbandonando e speculazioni azzardate avevano paurosamente
assottigliato i suoi risparmi. Eppure tutto sembrava ormai volgere al meglio. Nel
giugno del 1898 ben tre suoi motori costruiti da fabbriche diverse figuravano ad
un’esposizione di Monaco: la prova inconfutabile che il futuro del Diesel era
assicurato. Il destino volle che Rudolf Diesel concludesse la sua vita in modo tragico.
Dopo essersi imbarcato verso l’Inghilterra, si persero letteralmente le sue tracce: a
bordo della nave si rinvennero una mattina il cappello ed il soprabito dello scomparso
presso il parapetto. Suicidio o disgrazia? Quello che è certo è che la moglie ed i figli
compresero di essere diventati improvvisamente poveri. Tutte le sostanze di Rudolf
Diesel si erano volatilizzate per una serie di speculazioni sbagliate, ma questo lo
sapevano soltanto lui e il direttore della sua banca.
1.2 L’AVVENTO DEL MOTORE DIESEL

Sino al 1908 il Diesel fu un motore per impianti fissi. Lo condannavano


essenzialmente a quest’impiego il peso rilevante e il sistema di alimentazione a
portata costante del combustibile. Esso si dimostrò molto promettente come motore
marino e la Fiat ne iniziò la produzione con questa destinazione sin dal 1908.
Rispetto al motore a vapore era meno ingombrante, non richiedeva una caldaia e chi
la alimentasse e, ovviamente, nemmeno uno spazio per lo stivaggio del carbone. Lo
scoppio della Prima Guerra Mondiale doveva dare grande impulso alla costruzione di
motori Diesel per uso marino. Così già nel 1910–13 la Fiat costruiva motori Diesel
della potenza di 700 – 800 CV che venivano poi utilizzati dalle diverse marine
europee, da quella italiana a quella tedesca, dalla inglese alla danese e così via. Le
ottime premesse spinsero la Fiat alla costruzione di diversi motori, realizzando nel
1914 il più potente Diesel marino al mondo: 2300 cavalli vapore. Nel 1922 un motore
Diesel Fiat venne applicato su di una locomotiva italiana, era un due tempi da 440
CV. Nel 1929 venne invece realizzato (sempre dalla Fiat) il primo e unico Diesel da
aviazione che abbia volato in Italia, della potenza di 180 – 220 CV a 1500 – 1700
g/min. In questo periodo cominciarono ad essere costruiti dei particolari motori
Diesel a due tempi, i cosiddetti a “testa calda”. In questi motori il combustibile
veniva iniettato in una precamera del cilindro con un notevole anticipo rispetto al
PMS, talvolta anche di 180°, ed il carburante si incendiava spontaneamente a causa
dell’elevata temperatura della precamera, che veniva preriscaldata prima
dell’avviamento e non veniva raffreddata durante il funzionamento.

Disegno di un motore due tempi testacalda

Questi motori vennero costruiti principalmente per installazioni fisse ed ebbero un


discreto successo in agricoltura, in quanto marche come la Landini e la Orsi
costruirono dagli inizi degli anni ‘30 fino ai primi anni ’60 solamente trattori a testa
calda ed ebbero un successo a dir poco strepitoso.
Esempio di un motore stazionario testacalda

Nel frattempo Rudolf Diesel, con la collaborazione di Henri Dechamps, stava


tentando in ogni modo di destinare il suo motore ad un’applicazione terrestre, in
particolare su di una automobile. L’unico problema era relativo all’iniezione, che
Rudolf non voleva che fosse pneumatica (secondo lui questa doveva essere utilizzata
solamente come soluzione d’emergenza) ma bensì meccanico-idraulica. Tuttavia a
causa di diversi problemi finanziari il motore non venne mai costruito e Diesel pochi
giorni prima di morire dichiarò che “la costruzione di un motore Diesel per mezzi
terrestri è fallita per l’imprecisione della pompa d’iniezione”. A partire dal 1909
cominciarono ad essere realizzati i cosiddetti motori ad iniezione indiretta, che
Prosper L’Orange descrisse nel brevetto sotto il titolo “Metodo di combustione per
combustibili liquidi”. All’atto pratico derivarono dal fatto che l’impiego prolungato
del motore provocava la carbonizzazione dell’iniettore sebbene si riuscisse a farlo
funzionare continuamente per 8 giorni e 8 notti. Contemporaneamente all’avvio
dell’attività sperimentale relativa ai motori a precamera, la Benz si dedicò alla
sviluppo di quelli basati sul brevetto del tecnico svedese Hesselman. Il
perfezionamento delle pompe d’iniezione e degli iniettori procedette di pari passo con
quello del motore a precamera, cosicché nel 1922 venne realizzato un bicilindrico di
25 CV a 800 giri in sostituzione di un pari potenza del tipo a ciclo Otto. L’accensione
iniziale, con l’ausilio della cartina al salnitro e, successivamente, con la candela a
incandescenza si rivelò vantaggiosa rispetto al motore a benzina poiché l’accensione
dipendeva soltanto dalla temperatura nella precamera con le sue pareti relativamente
piccole; il motore poteva funzionare subito a pieno carico, il che costituiva un fattore
molto importante. Ai motori di prova del 1922 seguì un 4 cilindri (45 CV a 1000 giri)
del peso di 520 kg, la cui precamera era situata nella testata e che venne ben presto
installato su di un autocarro. Questo motore venne esaltato da un comunicato ufficiale
che ne descriveva il funzionamento come uniforme e ne metteva in risalto l’elasticità
e l’elevato valore della coppia motrice.
Ecco il famoso Diesel 4 cilindri 45 CV costruito dalla Benz nel 1923

Il contributo risolutivo alla diffusione del motore Diesel fu l’invenzione della pompa
meccanica da parte di Robert Bosch. Com’era avvenuto per l’accensione Bosch riuscì
nel 1927 a offrire pompe d’iniezione affidabili mettendo in condizione i costruttori di
come far affluire il combustibile dal serbatoio al motore e del processo d’iniezione in
sé sia sui motori stazionari sia su quelli per autotrazione. La diffusione del Diesel,
proprio in Germania che ne fu il paese natale, non fu del tutto facile anche se non
mancarono sin dall’inizio menti illuminate affatto preoccupate degli inevitabili
contrattempi determinati dalla novità in sé. La critica più consistente, riguardava
ovviamente il motore la cui pressione molto elevata, a detta di molti, avrebbe finito
per incidere sulla sua durata. Si riteneva anche che le emissioni allo scarico avrebbero
avuto effetti nocivi sulle derrate alimentari trasportate a bordo e che il peso rilevante
degli organi meccanici sarebbe stato pure un handicap. Ma le nebbie dell’incertezza
vennero ben presto diradate e in breve volgere di tempo la Diamler Benz raggiunse
accordi con parecchi costruttori anche esteri fra i quali la Bianchi di Milano. Il Diesel
per autocarri ebbe una notevole diffusione negli Stati Uniti dove, dopo il 1931,
sorsero molte iniziative a riguardo al punto che rapidamente la produzione di quel
motore superò quantitativamente quello della Germania. I decisivi risultati raggiunti
nello sviluppo del Diesel ad alto regime di rotazione emersero in un momento
caratterizzato da condizioni economiche fortemente precarie. La particolare economia
d’esercizio del Diesel venne altamente apprezzata. La storia doveva ripetersi anche
decine di anni più tardi, quando, prima ancora della crisi energetica, il Diesel era
sembrato valido anche per ridurre l’inquinamento atmosferico.
2. ORGANI E
CARATTERISTICHE
COSTRUTTIVE

Motore Iveco turbointercooler da 227 CV


2.1 SCHEMA COSTRUTTIVO GENERALE

Un tipico motore diesel per autotrazione è costituito da un basamento, nel quale sono
alloggiati l’albero a gomiti (o albero motore), che ruota sui cuscinetti di banco, le
bielle (articolate sui perni di manovella dell’albero per mezzo di cuscinetti) e i
cilindri. Questi ultimi possono essere ricavati direttamente nella fusione del
basamento (detto anche monoblocco) o essere costituiti da canne riportate.
I pistoni, ciascuno dei quali è vincolato alla relativa biella per mezzo di un perno di
acciaio detto spinotto, scorrono nei cilindri; la tenuta è assicurata da alcuni anelli
elastici (detti comunemente fasce o segmenti) che sono alloggiati in apposite cave
praticate nei pistoni.
La parte inferiore del basamento è chiusa da una coppa nella quale è contenuto l’olio
lubrificante. Superiormente al monoblocco è fissata, mediante viti, la testata, nella
quale sono alloggiate le valvole, con le relative molle, guide e sedi (se queste sono,
come di norme accade, di tipo riportato).
L’albero a camme (che impartisce il moto alle valvole) viene azionato dall’albero
motore tramite catena, ingranaggi o cinghia dentata. Quando esso è alloggiato nel
basamento, il moto viene trasmesso alle valvole per mezzo di punterie, aste e
bilancieri; quando invece esso si trova nella testata, le camme agiscono su bilancieri o
punterie a bicchiere, che trasmettono il moto direttamente all’estremità dello stelo
delle valvole.
La testata può essere unica ma, specialmente nei motori di grossa cilindrata, si
adottano talvolta più testate per ogni “linea” di cilindri (in certi casi vi è addirittura
una testata per ogni cilindro). I motori con un solo cilindro sono molto comuni in
unità destinate ad uso industriale o agricolo, mentre praticamente non hanno
applicazioni nel campo dell’autotrazione; questo vale ormai anche per i bicilindrici e
tricilindrici.
Esempio di motore Diesel ad iniezione indiretta per impiego agricolo

1 Dado per regolazione gioco delle valvole; 2 Asse del bilancere; 3 Albero della leva della decompressione;
4 Coperchio della testa del cilindro; 5 Tubo di scarico dell’acqua; 6 Collettore di aspirazione; 7 Valvola di
scarico; 8 Monoblocco; 9 Spinotto; 10 Tappo di scarico dell’acqua; 11 Pistone; 12 Albero a camme; 13
Cuscinetto a rulli dell’albero a gomiti; 14 Corona dentata del volano; 15 Volano; 16 Pestello della valvola;
17 Vite di scarico dell’olio; 18 Coperchio laterale di sinistra; 19 Vite dilatatrice; 20 Scatola del motore; 21
Ruota a denti elicoidali per pompa dell’olio; 22 Alberino trasmissione moto a pompa dell’olio; 23 Coperchio
anteriore; 24 Scatola della pompa dell’olio; 25 Coperchio della pompa dell’olio; 26 Cuscinetto a rulli
dell’albero a gomiti; 27 Albero motore; 28 Ruota a denti elicoidali dell’albero a gomiti; 29 Puleggia per
trasmissione moto; 30 Cinghia trapezoidale; 31 Ruota dentata dell’albero a camme; 32 Coperchio del
regolatore; 33 Biella; 34 Pompa dell’acqua; 35 Puleggia sull’albero della pompa dell’acqua; 36 Tubo
d’introduzione dell’olio; 37 Ventola; 38 Valvola di aspirazione; 39 Testa; 40 Molla di richiamo; 41 Bilancere
Esempio dello stesso motore precedente, sezionato trasversalmente

1 Paraurti; 2 Controdado della vite per regolazione gioco valvola; 3 Vite di collegamento della testa; 4 Asse
del bilancere; 5 Bilancere; 6 Albero della decompressione; 7 Coperchio della testa del cilindro; 8 Collettore
di aspirazione; 9 Valvola di aspirazione; 10 Spinotto; 11 Stantuffo; 12 Camicia; 13 Tappo di scarico
dell’acqua; 14 Guarnizione della camicia; 15 Biella; 16 Cappello di biella; 17 Albero a gomiti; 18 Vite di
collegamento; 19 Coperchio laterale di sinistra; 20 Scatola del motore; 21 Tappo di scarico dell’olio; 22
Coperchio inferiore; 23 Asta del livello dell’olio; 24 Motorino d’avviamento; 25 Interruttore dell’avviatore;
26 Cuscinetto a sfere dell’albero a camme; 27 Albero a camme; 28 Conduttura esterna dell’olio; 29
Coperchio laterale di destra; 30 Pompa d’iniezione; 31 Bruciatore; 32 Conduttura d’iniezione; 33 Candeletta
incandescente; 34 Camera di combustione; 35 Raccordo dell’iniettore; 36 Iniettore
2.2 LA TESTATA

La testata dei motori diesel va suddivisa principalmente in due categorie: la testata


per motori ad iniezione indiretta e la testata per motori ad iniezione diretta.
Nei motori diesel a iniezione indiretta la testa si differenzia da quella adottata negli
altri motori principalmente per la presenza della camera ausiliaria, con relativo
iniettore e candeletta a incandescenza. Essa è generalmente ricavata da fusioni in lega
di alluminio o in ghisa. Come possiamo notare dalla figura sottostante, la testa
sezionata trasversalmente presenta una camera ausiliaria di turbolenza e il moto
alterno delle valvole è assicurato da un albero a camme in testa. Le sedi e le guide
delle relative valvole sono riportate (cioè installate con una precisa interferenza nei
loro alloggiamenti) così come la parte inferiore della camera ausiliaria. Sono inoltre
ben visibili i passaggi per il liquido di raffreddamento e la disposizione dell’iniettore
e della candeletta incandescente.

Esempio di testata per motore a iniezione indiretta


I motori diesel a iniezione diretta sono privi di camera ausiliaria e di conseguenza la
testa risulta molto più semplice. In motori di rilevanti dimensioni si usano molto
spesso teste singole (una per cilindro); come materiale di norma si impiega la ghisa.
Le valvole generalmente sono almeno due per cilindro, anche se ultimamente ne
vengono utilizzate quattro. Le teste vengono fissate al basamento per mezzo di viti
che devono essere serrate uniformemente secondo un valore prestabilito dalla casa
costruttrice, il quale impedisce di variare il volume della camera di combustione e
garantisce un funzionamento ottimale del motore.

Esempio di testata per motore ad iniezione diretta


2.3 IL BASAMENTO
Il basamento o monoblocco del motore è chiuso inferiormente dalla coppa dell’olio e
superiormente dalla testa, alloggia al suo interno l’albero motore, con relativi
cuscinetti, bielle, pistoni completi di fasce elastiche e spinotti, e infine le canne dei
cilindri. Possono inoltre essere presenti l’albero a camme e le punterie nel caso che la
distribuzione sia del tipo “ad aste e bilancieri”. Esso è ricavato da una fusione in
ghisa o, più raramente, in lega di alluminio (maggiormente diffusa nei motori ad
accensione comandata); internamente sono ricavate intercapedini per il passaggio del
liquido di raffreddamento e canalizzazioni per il passaggio dell’olio del circuito di
lubrificazione.

Nella figura soprastante possiamo vedere un basamento di un motore diesel a quattro


cilindri in linea, mentre nella fotografia sottostante la parte superiore del monoblocco
di un motore diesel monocilindrico a iniezione indiretta. Sono visibili le quattro viti
per il serraggio della testa e i raccordi per il passaggio del liquido di raffreddamento.
Si può inoltre vedere il cielo dello stantuffo che si trova al punto morto superiore.
2.4 IL PISTONE

I pistoni impiegati nei motori diesel sono abbastanza simili, tutto sommato, a quelli
che si usano nei motori a benzina, ma sono da questi immediatamente riconoscibili
per la particolare forma del cielo. Nei diesel a iniezione diretta infatti la camera di
combustione è ricavata completamente nel cielo del pistone, ovvero sulla testa,
mentre in quelli a iniezione indiretta solitamente la camera principale è praticamente
costituita da una fresatura rettilinea e da due circolari praticate nel cielo.
I pistoni, tralasciando quelli dei primi motori che erano in ghisa, sono sempre in lega
di alluminio e vengono generalmente ricavati mediante fusione in conchiglia (non
mancano però casi i cui essi sono ottenuti per stampaggio a caldo) e successiva
lavorazione alle macchine utensili. La forma apparentemente cilindrica è in realtà
molto complessa: a freddo il diametro maggiore si ha infatti in prossimità della base
del mantello, in direzione perpendicolare all’asse dello spinotto.
Il pistone scorre nella canna del cilindro con un lieve gioco diametrale, indispensabile
per consentire il mantenimento, in qualunque condizione di funzionamento, di un
sottile velo di olio lubrificante che, interponendosi tra le due superfici di lavoro
impedisce il contatto metallico diretto. Per abbreviare il periodo di adattamento
iniziale (rodaggio) e per diminuire il pericolo di grippaggio, durante tale periodo si
ricorre talvolta all’applicazione di un sottilissimo riporto superficiale sul mantello
(stagnatura, piombatura, grafitatura).
Nel disegno sottostante è rappresentato un pistone per motore diesel con camera
ausiliaria ad alta turbolenza. 1 – cielo; 2 – deflettore; 3 – testa; 4 – mantello.
I pistoni per i motori diesel a iniezione diretta sono caratterizzati da una testa
piuttosto alta (in essa è infatti ricavata la camera di combustione, che spesso è
notevolmente profonda).

Nel disegno sottostante è raffigurato un classico pistone per motore a iniezione


diretta; si possono osservare le quattro cave per i segmenti (quella per il raschiaolio è
dotata di numerosi fori, praticati anche subito sotto di essa, per consentire il
passaggio dell’olio lubrificante asportato dalla parete del cilindro), la camera di
combustione toroidale (Saurer) e le due svasature per evitare qualsiasi rischio di
contatto con le valvole durante la fase di “incrocio”.
2.5 SEGMENTI, BIELLE E ALBERO MOTORE

Le bielle sono di norma realizzate in acciaio forgiato; la loro superficie esterna è


talvolta sottoposta a pallinatura per migliorarne la resistenza a fatica. L’estremità più
piccola viene detta piede di biella; in essa è praticato un foro cilindrico in cui,
generalmente tramite interposizione di una boccola, lavora lo spinotto. L’altra
estremità, collegata alla prima tramite il fusto, prende il nome di testa di biella. Nei
diesel per autotrazione attualmente in commercio quest’ultima è di tipo composito,
ovvero è dotata di un cappello che viene fissato a valori precisi mediante viti o
bulloni. In questo modo le bielle, con relativi cuscinetti speciali antifrizione chiamati
comunemente bronzine, possono essere installate sui perni di manovella dell’albero a
gomiti. Quest’ultimo, detto anche albero motore, è in genere in acciaio forgiato; non
mancano comunque esempi, su alcuni motori a iniezione indiretta per impieghi
automobilistici, si alberi in ghisa speciale ottenuti da fusione. I perni di banco e di
biella, i cui primi lavorano generalmente su cuscinetti a rulli o a sfere e meno
frequentemente sulle bronzine, sono rettificati. L’albero a gomiti ruota quindi su dei
cuscinetti alloggiati nei supporti di banco; di norma ciascuno di questi è dotato di un
cappello amovibile che viene fissato al basamento per mezzo di due viti (talvolta, per
assicurare la massima rigidità, le viti di fissaggio sono quattro). I cuscinetti vengono
installati nei loro alloggiamenti con una certa interferenza che impedisce loro
qualunque possibilità di spostamento; sono inoltre dotati di un nasello che ne assicura
il corretto posizionamento.

La figura sottostante mostra un albero a gomiti di un motore a quattro cilindri, con


cinque perni di banco e contrappesi integrali. Varie canalizzazioni interne rendono
possibile il passaggio dell’olio lubrificante dai cuscinetti di banco a quelli di biella.

1 – perni di banco; 2 – perni di biella; 3 – contrappesi per equilibratura

Nella figura, che rappresenta un gruppo pistone-biella di un motore diesel a iniezione


diretta, si possono osservare le sezioni dei due segmenti di tenuta e del raschiaolio;
quest’ultimo è dotato di una molla che lo preme contro la parete del cilindro
migliorandone l’efficacia. La superficie di lavoro dei segmenti, ovvero quella che
entra in diretto contatto con la parete del cilindro, assai spesso viene ricoperta con un
sottile strato di cromo o di molibdeno. In questo modo si ottiene una grande durata ed
un’eccellente resistenza delle fasce alle alte pressioni e temperature ed all’attacco
chimico causato da composti acidi che si formano all’interno del cilindro in
determinate condizioni di esercizio. I segmenti, detti anche fasce elastiche o anelli del
pistone, sono generalmente in ghisa o meno frequentemente, in acciaio.
La biella raffigurata nel disegno è dotata di una canalizzazione che, partendo dal
cuscinetto installato nella testa, la percorre per tutta la lunghezza permettendo così
all’olio in pressione di raggiungere lo spinotto. Questo nei motori diesel a iniezione
diretta è dotato in genere di un diametro piuttosto rilevante.
2.6 LE CANNE DEI CILINDRI

Nel monoblocco sono ricavate le sedi dei cilindri o le pareti laterali dei cilindri stessi.
Quest’ultime prendono il nome di canne e formano un pezzo unico col monoblocco
(canne integrali, cioè ricavate direttamente nel basamento) solo quando questo è
costituito da una fusione in ghisa. Altrimenti, quando si impiegano leghe leggere, si è
costretti ad utilizzare canne riportate, perché il materiale di cui è costituito il
monoblocco non garantisce quell’elevata durezza superficiale necessaria nelle zone a
contatto diretto col moto dello stantuffo. Quindi a questo proposito la superficie di
lavoro delle canne riportate (in ghisa o assai più raramente in acciaio) può essere
sottoposta a trattamenti che le conferiscono una eccellente resistenza all’usura.
Le canne riportate possono essere montate a secco oppure in umido. Nel primo caso
le canne sono inserite nei fori cilindrici ricavati dal basamento e quindi sono in
contatto diretto con questo per tutta la loro lunghezza; nel secondo caso invece sono
di spessore piuttosto cospicuo e vengono lambite esternamente dal liquido
refrigerante (per questo motivo possono anche essere denominate “bagnate”). Mentre
nel secondo caso le camicie fanno anche da tenuta contro le infiltrazioni di acqua nel
cilindro, in quelle a secco non sussistono problemi di tenuta, ma peggiora la
trasmissione di calore fra le intercapedini dei cilindri contenenti il liquido refrigerante
e le camicie stesse.

Per garantire il fissaggio delle canne riportate esse vengono serrate per buona parte
della loro lunghezza tra il piano di appoggio ricavato nel basamento e la testa stessa.
Per questo motivo è indispensabile, al fine di evitare deformazioni, che lo spessore
delle pareti della camicia sia rilevante.
Nella figura sottostante è rappresentata una canna in umido. Con 1 e 2 sono indicati i
due risalti cilindrici che assicurano il corretto posizionamento e, tramite anelli in
gomma sintetica, la tenuta. La canna è dotata superiormente di un bordino che viene
stretto tra l’apposito alloggiamento ricavato nel basamento e il piano della testa.
Le canne che vengono installate a secco sono caratterizzate da uno spessore assai
ridotto (all’incirca 1,5 ÷ 3,0 mm in media) e dal fatto che per la loro installazione e
rimozione, contrariamente a quanto avviene generalmente per quelle in umido, è
necessario ricorrere ad una pressa idraulica data interferenza di montaggio che
talvolta può essere anche piuttosto notevole. Queste camicie vengono fornite, a
seconda delle case, già finite oppure con un certo sovrametallo che deve essere, dopo
il piantaggio, asportato mediale alesatura e levigatura (rettifica del cilindro).

2.7 GLI ORGANI DELLA DISTRIBUZIONE

Gli organi della distribuzione sono costituiti da tutti quei componenti per mezzo dei
quali viene regolato il flusso dei gas che entrano o escono dai cilindri. L’albero a
camme, che può essere posto nel basamento o nella testata del motore, ruota con
velocità dimezzata rispetto a quella dell’albero a gomiti, dal quale viene azionato per
mezzo di ingranaggi, catene o cinghie dentate. Nei motori di notevole cilindrata,
impiegati su autocarri medi e pesanti, esso è generalmente posto nel basamento e
comanda le valvole per mezzo di punterie, aste e bilanceri.
1 Valvola; 2 Bilancere; 3 Vite di registro; 4 Asta; 5 Punteria; 6 Albero a camme; 7 Catena della distribuzione

Le camme o eccentrici sono indurite o comunque trattate superficialmente; durante la


rotazione esse trasmettono il moto (che da rotatorio si trasforma in rettilineo
alternato) alle punterie o, in alcuni casi, ai pattini dei bilanceri.
Le superfici di lavoro di questi organi sono sottoposte ad elevatissime pressioni di
contatto e devono essere adeguatamente lubrificate in modo da minimizzare l’usura
ed assicurare una grande durata. Nella testa sono installate le guide delle valvole,
costituite da cilindri in ghisa o meno comunemente in bronzo, forati assialmente; in
esse scorrono, con ridottissimo gioco diametrale, (alcuni centesimi di millimetro) gli
steli delle valvole. Le guide, come pure le sedi, sono installate con una certa
“interferenza” nei loro alloggiamenti nella testa (cioè il diametro esterno della guida è
leggermente maggiore rispetto a quello dell’alloggiamento). Per il montaggio è
quindi indispensabile far ricorso a una pressa idraulica o al metodo termico
(riscaldamento della testata e/o raffreddamento della guida).
1 Valvola; 2 Guida della valvola; 3 Sede della valvola; 4 Condotto; 5 Camera di combustione.
(Con H si indica l’alzata della valvola)

Il movimento delle valvole è governato dal profilo degli eccentrici; le molle servono
a mantenere ogni punteria a contatto con il proprio eccentrico durante tutto il periodo
di apertura ed assicurare, quando la valvola è in contatto con la propria sede, la
perfetta ed ermetica chiusura.
Le molle, che sono sempre del tipo ad elica cilindrica, sono spesso due (montate
coassialmente) per ogni valvola.
Le valvole sono del tutto simili, come del resto gli organi di distribuzione, a quelle
impiegate nei motori a benzina. Ciascuna di esse è costituita da una testa o fungo, e
uno stelo. Le valvole di scarico vengono lambite dai caldissimi gas combusti e di
conseguenza lavorano ad un’elevata temperatura; le loro condizioni di funzionamento
sono particolarmente gravose nel caso di motori sovralimentati. Per questo motivo si
impiegano acciai speciali o leghe a base di nickel.
Non sono rari esempi di valvole bimetalliche (stelo in materiale particolarmente
resistente all’usura da sfregamento, e fungo in materiale resistente alle alte
temperature) o di valvole “al sodio” (cave internamente e parzialmente riempite di
sodio metallico); in questo caso si ottiene una notevole riduzione della temperatura di
funzionamento, grazie al migliore smaltimento del calore. Generalmente inoltre le
valvole subiscono trattamenti superficiali (ad esempio, cromatura dello stelo) o
termochimici (nitrurazione morbida) o sono dotate di riporti di materiale duro (stellite
sia sulla superficie di tenuta sia sull’estremità dello stelo) che assicurano loro una
grande durata.

2.8 LA POMPA DI INIEZIONE


La pompa di iniezione invia il gasolio, sotto elevata pressione, agli iniettori per
mezzo di tubazioni metalliche; essa ha anche l’importante funzione di regolare la
quantità di combustibile immessa ad ogni ciclo in ciascun cilindro.
Le pompe di iniezione di più comune impiego sui motori dei veicoli industriali,
diffusissime anche in campo automobilistico, sono quelle in linea, costituite da un
corpo pompa (generalmente in lega leggera) nel quale sono alloggiati un albero a
camme e gli elementi pompanti (uno per ogni cilindro).

Esempio di una pompa di iniezione per motore a sei cilindri

1 Regolatore centrifugo; 2 Pompa alimentazione combustibile; 3 Variatore d’anticipo

Ciascuno di questi ultimi è composto da un cilindretto in acciaio nel quale scorre, con
un gioco diametrale dell’ordine di 0,002 ÷ 0,003 mm, un pistoncino (anch’esso in
acciaio) che viene sollevato da un eccentrico dell’albero a camme tramite una
punteria a rullo e riportato quindi al PMI da una molla.
Un’asta dentata, azionata dal pedale dell’acceleratore, fa ruotare un manicotto
coassiale al cilindretto che causa a sua volta una rotazione parziale del pistoncino sul
proprio asse. Nelle pareti del cilindretto sono ricavati dei fori o luci, una di
ammissione e una di riflusso. Facendo ruotare il pistoncino, che è dotato di una
scanalatura rettilinea e di una elicoidale (quest’ultima può essere dritta o rovescia) si
varia la portata dell’elemento pompante, cioè la quantità di gasolio inviata
all’iniettore ogni ciclo. Il funzionamento è estremamente semplice: durante la fase di
ammissione il pistoncino, spinto verso il basso dalla molla, scopre le due luci ed il
gasolio (che arriva agli elementi pompanti per gravità o molto più frequentemente per
mezzo di una pompetta di alimentazione) entra nel cilindretto. Quando l’eccentrico
dell’albero a camme fa sollevare il pistoncino (fase di mandata), questo chiude le due
luci e spinge con forza il gasolio che fa aprire la valvolina di ritegno (detta anche di
ritenuta o semplicemente di mandata) alloggiata nella parte superiore dell’elemento
pompante, e giunge all’iniettore tramite la tubazione di mandata. Allorché la
scanalatura elicoidale scopre la luce di riflusso, la mandata cessa bruscamente (nel
cilindretto si verifica un improvviso abbassamento di pressione e la molla fa chiudere
la valvolina di ritenuta) ed il gasolio che ancora rimane al di sopra del pistoncino
rifluisce nel condotto di alimentazione. Il comando dell’acceleratore agisce sull’asta
dentata che, tramite un dispositivo a cremagliera, fa ruotare il manicotto e di
conseguenza il pistoncino. E’ anche evidente che, a seconda della posizione assunta
da quest’ultimo, la luce di riflusso verrà scoperta con maggiore o minore anticipo
dalla scanalatura elicoidale. In questo modo si ottiene la variazione di portata nelle
pompe di iniezione in linea dotate di pistoncini con elica dritta (che sono le più
diffuse sui motori ad iniezione indiretta). La tenuta tra pistoncino e cilindretto è
assicurata dalla grande accuratezza delle lavorazioni e dal ridottissimo gioco di
montaggio; il gasolio di trafilamento assicura la lubrificazione di questi due organi.

Pompe di iniezione singole per motore bicilindrico

1 Conduttura del combustibile; 2 Condutture d’iniezione; 3 Conduttura per il recupero del gasolio; 4
Iniettore; 5 Resistenza della candeletta; 6 Dado di serraggio; 7 Coperchio della testa del cilindro; 8 Testa del
cilindro; 9 Candeletta incandescente; 10 Dado per deareazione; 11 Leva del regolatore; 12 Contrappeso del
regolatore; 13 Ruota dentata dell’albero a camme; 14 Pestelli a rulli; 15 Albero a camme; 16 Pompa di
iniezione; 17 Asta dell’acceleratore.
2.9 GLI INIETTORI
Come già detto, la pompa di iniezione invia il gasolio sotto elevata pressione agli
iniettori, che lo immettono nella camera di combustione sotto forma di uno o più getti
opportunamente orientati. Ciascun iniettore è composto da un porta-polverizzatore,
costituito in genere da un cilindro di acciaio fissato alla testata (di norma per mezzo
di una ghiera o due viti), da un polverizzatore (anch’esso in acciaio) la cui estremità è
munita di uno o più fori, e da un ago (o spillo). Quest’ultimo sotto la spinta di una
molla tarata agente su di esso tramite un’asta, impedisce il passaggio del gasolio al
foro (o ai fori) del polverizzatore, consentendolo solo durante la fase di iniezione
(allorché la pompa fa innalzare rapidamente a valori assai cospicui la pressione del
combustibile).

Esempio di un iniettore a foro unico

Il funzionamento è estremamente semplice: attraverso le tubazioni di mandata il


gasolio giunge all’iniettore, all’interno del quale raggiunge, tramite opportune
canalizzazioni, la camera anulare ove grazie alla elevata pressione fa sollevare l’ago e
può quindi fuoriuscire con violenza attraverso uno o più fori del polverizzatore. La
pressione d’iniezione viene determinata dal carico della molla, che in genere può
essere regolato per mezzo di pasticche calibrate in acciaio o di un registro a vite.
Vengono generalmente fissati alla pompa di iniezione o addirittura alloggiati nel
corpo pompa anche un “variatore di anticipo” ed un “regolatore di velocità”. Il primo
ha la funzione di adeguare l’anticipo di iniezione alla velocità di rotazione del
motore. Agli alti regimi, poiché il tempo per la formazione della miscela aria-gasolio
e per la sua combustione è minore e poiché la durata del ritardo all’accensione,
benché inferiore come tempo, in realtà risulta maggiore se espressa in gradi di
rotazione dell’albero a gomiti, è necessario che l’anticipo di iniezione sia maggiore. I
variatori funzionano sfruttando la forza centrifuga agente su delle masse rotanti in
essi installate. I regolatori di velocità che possono essere di tipo meccanico o, meno
frequentemente (e solo in motore ad iniezione indiretta), di tipo pneumatico, servono
ad impedire che il motore raggiunga velocità superiori al regime massimo ammesso o
inferiori a quello minimo, ovvero che, in seguito ad improvvise variazioni della
coppia resistente, si possano avere bruschi e considerevoli cambiamenti di regime. Il
regolatore agisce facendo variare automaticamente la portata della pompa di
iniezione ed assicurando quindi il corretto funzionamento del motore al minimo, a
vuoto ed in qualunque condizione di impiego.
Esempio di iniettore a fori multipli

1 Foro ingresso gasolio; 2 Filtro a barretta; 3 Raccordo uscita gasolio in eccesso; 4 canalizzazione passaggio
gasolio; 5 Rondella calibrata; 6 Molla tarata; 7 Puntalino; 8 Corpo polverizzatore; 9 Vano di pressione; 10
Spillo.

Oltre agli impianti di iniezione ora descritti ve ne sono altri, che prevedono l’invio di
gasolio sotto bassa pressione ad una serie di iniettori-pompa azionati meccanicamente
(di norma dall’albero a camme del motore).
Il sistema iniettore-pompa è costituito da un circuito a bassa pressione, dotato di
pompa di alimentazione e filtro, che alimenta tanti iniettori-pompa quanti sono i
cilindri del motore. Un unico albero a camme aziona i pistoncini di ciascun elemento
pompante. Storicamente, questo sistema si sviluppa a partire da quelli di controllo
meccanico. Con i sistemi iniettore-pompa si eliminano la tubazione ad alta pressione
ed i relativi problemi che ne derivano. La pressione massima e dell’ordine di 1000
bar. Quasi tutti i sistemi iniettore-pompa mancano del variatore di anticipo,
condizione che ne limita notevolmente il campo di impiego ai motori che operano a
regime costante. A questo inconveniente si somma la difficoltà di messa a punto e di
regolazione; diventa perciò sfavorevole la sostituzione dei sistemi meccanici con
sistemi a controllo elettronico.

Schema di iniezione con iniettore-pompa

1 Serbatoio combustibile; 2 Pompa d’alimentazione; 3 Filtro; 4 Iniettore-pompa; 5 Asta di regolazione; 6


Punteria comando iniettore-pompa

Tipica disposizione di un iniettore pompa

2.10 IL TURBOCOMPRESSORE
Quando un motore è dotato di un dispositivo che invia aria in pressione ai condotti di
aspirazione, e quindi ai cilindri, si dice che esso è “sovralimentato”. Di norma la
sovralimentazione viene ottenuta adottando dei compressori, che possono essere
volumetrici o centrifughi. Ad azionare questo compressore provvede una turbina che,
ricevendo una buona quantità di energia cinetica dai fumi allo scarico, permette la
cosiddetta sovralimentazione senza sottrarre potenza all’albero motore. Il gruppo
turbina + compressore centrifugo viene detto turbocompressore o turbosoffiante.

Nello spaccato qui di seguito è chiaramente visibile la conformazione di un tipico


turbocompressore.

L’albero, alla cui estremità sono fissate le due giranti, ruota su due cuscinetti che
sono generalmente costituiti da bronzine in metallo antifrizione; non mancano però
esempi in cui l’albero poggia su cuscinetti a sfere di tipo speciale. La lubrificazione è
assicurata da olio in pressione proveniente dal circuito di lubrificazione del motore.
L’olio deve essere del tutto privo di particelle estranee che, se presenti, potrebbero
causare gravi danni ai cuscinetti, seguiti da rapida messa fuori uso del
turbocompressore. Oltre all’azione lubrificante, l’olio ha anche l’importante compito
di raffreddare i cuscinetti. Dietro ogni girante vi è un disco che chiude il carter e che
è dotato, in corrispondenza del foro attraverso il quale passa l’albero, di un elemento
di tenuta avente il compito di impedire la fuoriuscita di olio dalla scatola centrale e

l’ingresso in essa di aria o gas di scarico. I turbocompressori attualmente installati su


motori per autotrazione raggiungono regimi di rotazione elevatissimi, assai spesso
superiori ai 100.000 g/min. Per questo motivo le due giranti, di dimensioni assai
contenute, devono essere equilibrate con estrema accuratezza. L’aria che giunge al
compressore deve essere naturalmente ben filtrata, dato che polvere e particelle
abrasive possono causare rapida usura e danneggiamenti all’elemento di tenuta ed
alla girante. I moderni turbocompressori sono di dimensioni estremamente compatte e
di peso contenuto; essi presentano anche il grande vantaggio di poter essere collocati
in qualunque posizione all’interno del vano motore, dato che al loro azionamento
provvedono i gas di scarico e non ingranaggi o catene, come nel caso dei compressori
volumetrici. Come già detto, il funzionamento è estremamente semplice: i gas di
scarico ad elevata temperatura attraversano la turbina mettendone in funzione la
girante che a sua volta aziona il compressore, il quale invia aria sotto pressione,
attraverso il collettore di aspirazione, ai vari cilindri del motore. Ad ogni ciclo viene
così immessa all’interno del cilindro una quantità di aria assai maggiore di quella che
entrerebbe in caso di normale alimentazione aspirata. La pressione media effettiva
risulta quindi notevolmente più alta e quindi la coppia e la potenza erogata dal motore
sono maggiori.
La sovralimentazione offre così la possibilità di incrementare notevolmente le
prestazioni del motore senza grossa spesa e senza che vi sia necessità di aumentarne
la cilindrata (e quindi le dimensioni ed il peso) o il regime di rotazione; allo stato
attuale della tecnica il metodo più vantaggioso per sovralimentate un motore consiste
nell’adottare un turbocompressore.

Ecco mostrato schematicamente il collegamento di un turbocompressore al motore


3. INIEZIONE DIRETTA
E INIEZIONE
INDIRETTA

Classico motore Diesel ad iniezione indiretta a precamera di


turbolenza
3.1 LA FORMAZIONE DELLA MISCELA

Nei motori ad accensione per scintilla per ottenere una buona combustione il titolo
della miscela deve essere sempre assai prossimo a quello chimicamente corretto
ovvero circa 15:1 (cioè 15 parti, in peso, di aria per ogni parte di benzina), risultando
leggermente ricco alla massima potenza e nel funzionamento al minimo. Nei motori
Diesel invece occorre sempre aria in eccesso per compensare la miscelazione, che
non può mai risultare molto buona, date le modalità secondo le quali essa si svolge.
Con miscele il cui titolo si avvicina a quello chimicamente corretto la combustione
peggiora e si hanno una notevole fumosità allo scarico, una diminuzione della
potenza erogata e un surriscaldamento del motore. In pratica nel Diesel veloce il
titolo più ricco che si può impiegare è di circa 17 ÷ 22; il motore funziona assai bene
con miscele magre, come quelle che si hanno a carichi parziali (si rammenti che,
come già detto, nei Diesel il comando dell’acceleratore agisce sulla mandata del
gasolio e quindi per ridurre la potenza si diminuisce la quantità di combustibile che
va a mescolarsi con l’aria immessa nel cilindro ad ogni ciclo, “smagrendo” così il
titolo della miscela). Il titolo più magro con il quale si ha ancora un funzionamento
corretto è superiore a 50 ÷ 60. La miscela si forma durante un periodo corrispondente
a 20° ÷ 60° di rotazione dell’albero a gomiti (fine della corsa di compressione +
inizio di quella di espansione) ovvero durante il cosiddetto “ritardo all’accensione” e
anche durante la combustione stessa.
I vari metodi di formazione della miscela adottati dalle case costruttrici di motori
Diesel sono tutti studiati, tra l’altro, in modo da ridurre il ritardo all’accensione e da
far si che la quantità di gasolio pronta alla combustione nel momento in cui questa ha
inizio sia piuttosto ridotta (in modo da limitare la rapidità di incremento di pressione
e la quantità di calore generata durante la prima fase della combustione). Inizialmente
è quindi necessario ridurre la velocità di formazione della miscela pronta ad
accendersi, mentre in seguito (dopo cioè che la combustione ha avuto inizio) è
importante ottenere una distribuzione uniforme della composizione della miscela in
tutta la camera, per migliorare l’utilizzazione dell’ossigeno dell’aria ed ottenere una
combustione più completa possibile. La formazione della miscela in pratica non è
altro che la risultante di vari processi fisici quali la polverizzazione del getto, il
riscaldamento e l’evaporazione del carburante e la sua distribuzione nella camera. Le
goccioline si formano per frantumazione del getto di gasolio a causa della presenza
dei fori del polverizzatore e delle forze aerodinamiche. Il grado di polverizzazione
dipende dalla velocità delle particelle in cui il getto si è frantumato, dalle proprietà
fisiche del gasolio, dall’aria e dalle caratteristiche dell’iniettore. In un getto si
possono avere all’incirca 500.000 ÷ 20.000.000 goccioline, il cui diametro è di norma
compreso tra 0,05 e 0,005 mm. La distribuzione delle gocce nel getto non è uniforme:
di norma nella zona centrale esse sono più numerose ed hanno una velocità più
elevata: anche la distribuzione delle dimensioni non è uniforme. Occorre inoltre
tenere presente che le goccioline di diametro minore evaporano vicino all’iniettore e
non vanno quindi molto lontano. La penetrazione del getto dipende, oltre che dal
diametro delle gocce, dall’energia cinetica del combustibile. Il riscaldamento e
l’evaporazione del combustibile avvengono a spese dell’energia termica dell’aria.
Dopo l’inizio della combustione, la pressione e la temperatura nel cilindro aumentano
e di conseguenza sia il riscaldamento che l’evaporazione delle goccioline di gasolio
risultano più rapidi. L’energia impiegata per la distribuzione del combustibile nella
camera è costituita dalla somma dell’energia cinetica del getto più quella dell’aria, e
dipende dal tipo di camera e dal metodo di formazione della miscela. Per far
miscelare il combustibile iniettato con l’aria presente nel cilindro fondamentalmente
vengono adottati due metodi: quello che si può definire spaziale e quello detto a film
(o a velo) di gasolio. Nel primo caso i getti provenienti dall’iniettore, finemente
polverizzati, vengono diretti nell’aria in movimento vorticoso; le goccioline
vaporizzano mentre vengono trascinate dalla corrente gassosa, senza entrare
praticamente in contatto con le pareti della camera. Nel secondo, invece, i getti
vengono inviati a lambire le pareti della camera di combustione (che nei motori ad
iniezione diretta è ricavata interamente nel cielo dello stantuffo) in modo da far
formare su di esse un sottile velo di gasolio, dello spessore di 0,010 ÷ 0,015 mm
circa; a causa dell’elevata temperatura il combustibile passa rapidamente allo stato
gassoso ed i vapori che man mano si formano vengono trascinati via dalla corrente
d’aria che percorre la camera. In realtà la distinzione tra i due metodi non è nettissima
e tra i due casi estremi vi sono numerosissimi esempi di casi intermedi nei quali la
formazione della miscela in pratica avviene sia per evaporazione del velo di gasolio
depositato sulle pareti della camera, sia per vaporizzazione delle goccioline dei getti
a mano a mano che esse attraversano l’aria contenuta nella camera stessa. Sovente si
parla quindi di formazione mista della miscela.
3.2 LA COMBUSTIONE

Verso la fine della corsa di compressione, con un certo anticipo rispetto al PMS, ha
inizio l’iniezione del combustibile all’interno del cilindro; essa si prolunga per un
notevole arco di rotazione dell’albero a gomiti (30° ÷ 40°) e termina in prossimità del
PMS (talvolta poco dopo di esso). Dato che occorre un certo tempo perché la
combustione si svolga completamente, e dato che occorre introdurre il gasolio
progressivamente all’interno del cilindro in modo che essa proceda in maniera
graduale, è infatti indispensabile far cominciare l’iniezione del gasolio con un certo
anticipo rispetto al PMS (15° ÷ 25°). La combustione non comincia esattamente
allorché le prime goccioline di gasolio vengono iniettate nel cilindro, ma con un certo
ritardo (misurabile in millisecondi). Le case costruttrici hanno compiuto e continuano
a svolgere un approfondito lavoro di ricerca per tentare di ridurre al minimo questo
“ritardo all’accensione”, che tra l’altro può causare un funzionamento ruvido e
talvolta rumoroso del motore. Infatti dopo l’inizio dell’iniezione la quantità di gasolio
all’interno del cilindro aumenta rapidamente e quando inizia la combustione si ha
improvvisamente un brusco aumento della pressione, con conseguenti battiti,
trepidazioni e ruvidezza di funzionamento. E’ quindi evidente che il ritardo
all’accensione deve essere ridotto al minimo per ottenere il miglior funzionamento
del motore, esso diminuisce con l’aumentare della temperatura del regime di
rotazione e della turbolenza, ed è assai influenzato dal tipo di camera e di iniettore
adottato. Impiegando rapporti di compressione elevati, si riduce il ritardo
all’accensione ed inoltre si possono usare gasoli con basso numero di Cetano e si
ottiene un funzionamento estremamente dolce del motore. Di importanza
fondamentale è la polverizzazione del combustibile che non deve essere eccessiva,
dato che la penetrazione del getto è proporzionale al diametro delle gocce.
Fortunatamente con rapporti di compressione elevati si hanno camere di combustione
compatte e di dimensioni ridotte in modo tale che i getti possono attraversarle
completamente. Durante il periodo corrispondente al ritardo all’accensione le
goccioline di combustibile, di dimensioni microscopiche (il diametro è compreso
mediamente tra 0,05 e 0,005 mm), vaporizzano, ovvero passano dalla fase liquida a
quella gassosa, a spese del calore dell’aria compressa nel cilindro; in pratica si tratta
di una fase di preparazione e di innesco alla combustione vera e propria. Allorché il
gasolio inizia a bruciare (i vapori si mescolano intimamente all’aria grazie alla
turbolenza di cui questa è dotata) la pressione e la temperatura all’interno del cilindro
cominciano ad aumentare rapidamente. L’istante in cui comincia questo brusco
innalzamento della pressione coincide con l’inizio della combustione vera e propria
(questa fase viene generalmente definita di combustione rapida). Man mano che
nuovo gasolio viene immesso nella camera, esso vaporizza, si mescola con i gas in
combustione e con l’aria ad elevata temperatura e quindi brucia. La massima
pressione di combustione (dell’ordine di 65 ÷ 85 bar) si raggiunge se l’anticipo
d’iniezione è regolato correttamente ad alcuni gradi dopo il PMS (circa 10°÷ 15°).
Se la pressione aumenta molto rapidamente (ovvero se gradiente di pressione è
elevato) il funzionamento del motore è piuttosto ruvido e si possono avere dei
fastidiosi battiti. Lunghi anni di studi ed esperienze da parte delle case costruttrici
hanno portato ad eccezionali risultati per quanto riguarda il controllo della
combustione e gli attuali motori Diesel per autotrazione sono caratterizzati da un
funzionamento estremamente dolce e silenzioso. Dopo aver raggiunto la pressione
massima la combustione prosegue assai più lentamente, fino a terminare durante la
fase di espansione (anche 60° ÷ 70° dopo il PMS).

Il grafico illustra l’andamento della pressione all’interno del cilindro in prossimità del PMS a fine
fase di compressione

1 inizio iniezione; 1-2 ritardo all’accensione; 2-3 fase di combustione rapida. In 3 si ha la massima pressione
del ciclo. La linea tratteggiata mostra quale sarebbe l’andamento della pressione in assenza della
combustione.

Il processo di combustione è influenzato, oltre che dalla durata del ritardo


all’accensione, dalle modalità secondo le quali avviene la miscelazione tra aria e
gasolio. Si tenga presente che, a differenza di quanto accade nei motori a benzina, nei
motori Diesel la combustione può iniziare contemporaneamente in punti diversi della
camera ed inoltre non si ha un vero e proprio fronte di fiamma.
3.3 IL DIESEL A INIEZIONE DIRETTA

Nel motore a iniezione diretta la camera di combustione viene detta “aperta”, in


quanto si trova tra il cielo dello stantuffo e la testata: la turbolenza dell’aria è
relativamente bassa ed una buona miscelazione viene assicurata principalmente da
polverizzazione molto spinta. Questa viene ottenuta adottando iniettori dotati di più
fori (da 2 a 6) ed elevate pressioni di iniezione (150 ÷ 240 bar). Per ridurre il ritardo
all’accensione, i condotti sono conformati e disposti in modo da impartire all’aria un
moto di rotazione. Talvolta si usano, per questo scopo, valvole di ammissione
schermate ovvero dotate di un deflettore atto a conferire all’aria un moto vorticoso,
mentre in altri casi si impiegano due valvole di aspirazione per ogni cilindro, dotate
ciascuna di un proprio condotto avente una conformazione opportuna.
Questa turbolenza viene denominata swirl.
Alla fine della corsa di compressione il pistone si avvicina notevolmente alla testata
fino a sfiorarla allorché raggiunge la posizione di PMS. Durante questa fase l’aria
viene espulsa dalla zona anulare posta attorno alla camera di combustione e viene
praticamente “schizzata” in quest’ultima con rapido movimento centripeto.
Questo tipo di turbolenza viene denominata squish.

Le camere aperte possono essere di vari tipi, con differenti conformazioni. Tra le più
diffuse sono da citare le camere toroidali (o semplicemente aperte), in origine studiate
ed adottate dalla ditta Saurer (per questo motivo si chiamano anche camere Saurer).
Per migliorare la turbolenza dell’aria che entra nel cilindro, talvolta si adottano
valvole con deflettore o condotti di aspirazione sdoppiati. Gli iniettori sono dotati di
un numero di fori normalmente compreso tra 4 e 6.

Esempio di camera toroidale “Saurer”


Le camere a sombrero sono piuttosto diffuse su motori di grandi dimensioni destinati,
ad esempio, ad essere impiegati su motrici ferroviarie. Per ottenere una buona
miscelazione dell’aria con il gasolio si impiegano polverizzatori da 4 a 7 fori e
pressioni di iniezione molto elevate.

La camera Man, che prende il nome dalla famosissima casa tedesca, ha una forma
pressoché sferica. L’iniettore è in genere dotato di uno o due fori soltanto, la
formazione della miscela avviene per mezzo del sistema a film di gasolio e di
conseguenza l’energia richiesta dal getto risulta relativamente bassa. Il calore
necessario per vaporizzare il gasolio viene sottratto al pistone (le pareti della camera
hanno una temperatura che va dai 200 ai 300°C).
La camera adottata dalla Mercedes-Benz ha una forma cilindrica molto appiattita
nella quale la formazione della miscela avviene secondo il metodo spaziale.
L’iniettore è dotato di 4 fori. Data la conformazione estremamente semplice, è molto
importante ai fini della formazione della miscela la turbolenza che viene impartita
all’aria dai condotti di aspirazione. Il pistone risulta piuttosto leggero e poco
sollecitato termicamente.

La camera Deutz, impiegata sui ben noti motori raffreddati ad aria prodotti dalla asa
tedesca, è anch’essa, come le precedenti, ricavata interamente nel cielo dello
stantuffo ed ha una forma di un cilindro a base emisferica inclinato di 30°. Il
polverizzatore emette due getti la cui direzione è all’incirca parallela alle pareti della
camera. Il condotto di aspirazione impartisce in intenso moto rotatorio all’aria su di
un piano grossomodo perpendicolare a quello dei getti; questi devono essere dotati di
un’elevata energia cinetica in modo da poter penetrare per quasi tutta la lunghezza
della camera (il fondo della quale non deve, però, essere raggiunto da quantità
significative di gasolio).
Ecco qui rappresentate due tabelle, che illustrano rispettivamente le caratteristiche
delle camere di combustione sia per motori ad iniezione diretta ed indiretta;

ed un confronto tra le camere di combustione di motori Diesel esclusivamente ad


iniezione diretta.
3.4 IL DIESEL A INIEZIONE INDIRETTA
Nel motore Diesel a iniezione indiretta la combustione avviene in due vani separati,
collegati tra di loro tramite un condotto di sezione piuttosto ridotta. Il gasolio viene
iniettato nella camera ausiliaria all’interno della quale l’aria è dotata di un energico
moto turbolento. La formazione della miscela avviene principalmente a spese
dell’energia cinetica dell’aria e di conseguenza grazie anche alle ridotte dimensioni
della camera ausiliaria la pressione di iniezione non è molto elevata (solitamente da
100 a 160 bar) e si possono impiegare polverizzatori con un solo foro dal diametro
talvolta piuttosto rilevante (1 ÷ 2 mm). Le camere ausiliarie possono essere
incorporate di fusione (Deutz) o fissate mediante avvitamento o interferenza; talvolta
esse sono riportate solo parzialmente. I tipi attualmente impiegati sui motori destinati
ad autotrazione sono due: le camere di precombustione (dette anche semplicemente
precamere) e le camere ad alta turbolenza.

Esempio di camera ausiliaria ad alta turbolenza tipo “Comet III”

Ecco una figura che rappresenta il moto vorticoso impartito all’aria


In queste ultime quando il pistone sale verso il PMS, dato che il condotto di
collegamento è tangente alla parete della camera ausiliaria, all’aria viene impartito un
vigoroso movimento rotatorio nel passaggio dalla camera principale (ricavata tra
pistone e testa) e quella ausiliaria. La massima velocità dell’aria che entra in
quest’ultima si ha circa 40° prima del PMS, con valori di 100 ÷ 200 m/s; essa è
inoltre molto influenzata dal diametro del condotto di passaggio. Il polverizzatore è
posto nella camera ausiliaria e, allorché inizia l’iniezione del gasolio ed ha quindi
inizio la combustione, l’alta pressione che viene a crearsi fa si che i gas caldi si
riversino ad elevata velocità nella camera principale portando con sé gasolio
incombusto che si miscela con l’aria fresca presente e brucia a sua volta. L’esempio
più tipico di camera ausiliaria ad alta turbolenza è costituito indubbiamente dalla
“Comet V” della Ricardo, adottata da numerosi costruttori.

Esempio di camera ad alta turbolenza tipo “Comet V”

Varie case, come ad esempio la Deutz e la Perkins, hanno realizzato interessanti


camere ad alta turbolenza, adottate con successo su motori di loro produzione.
Le camere di precombustione sono in genere di dimensioni leggermente minore
rispetto a quelle ad alta turbolenza. Anche in questo caso verso la fine della fase di
compressione l’aria entra ad elevata velocità (si raggiungono valori massimi di 230 ÷
320 m/s circa 15° ÷ 20° prima del PMS) nella camera ausiliaria, all’interno della
quale si viene quindi ad avere un’elevatissima turbolenza ma non un vortice definito
e nettamente orientato. L’iniettore è posto lungo l’asse della precamera ed il getto,
unico, viene diretto verso il condotto di collegamento. Dopo l’inizio della
combustione si ha un rapido innalzamento della pressione nella camera ausiliaria e
con i gas in combustione dai piccoli fori posti all’estremità del condotto di
collegamento viene “soffiato fuori” violentemente anche gasolio incombusto che,
miscelandosi intimamente con l’aria presente nella camera principale, brucia
completamente. Per ottenere una buona miscelazione ed una combustione completa
sono di grande importanza il numero, l’orientamento e le dimensioni dei fori praticati
nella parte inferiore del condotto di collegamento.

Esempio di camera a precombustione tipo Mercedes-Benz

Rispetto al motore a iniezione diretta, quello a iniezione indiretta presenta le seguenti


differenze:
Vantaggi: Minore pressione massima di combustione e minor gradiente di pressione
nella camera principale, il quale assicura un funzionamento più dolce e silenzioso e
permette di impiegare organi non molto pesanti (date le minori sollecitazioni).
Pressione di iniezione piuttosto ridotta. Grazie alla elevata turbolenza, la miscela si
forma praticamente a spese dell’energia cinetica dell’aria e non occorre quindi una
grande polverizzazione del getto.
Fumosità ridotta, grazie all’ottima utilizzazione dell’ossigeno dell’aria.
Possibilità di funzionare a regimi di rotazione piuttosto elevati.
Le emissioni di scarico risultano ancor meno inquinanti.
Svantaggi: Consumo maggiore (mediamente del 10 ÷ 12%). A causa delle maggiori
perdite di calore dovute alla presenza della camera ausiliaria ed al cattivo rapporto
superficie/volume, il rendimento risulta inferiore e quindi maggior consumo.
Testata più complessa a causa della presenza della camera ausiliaria. Questo porta a
costi proporzionalmente più alti e ad una maggiore sofisticazione costruttiva.
Il rapporto di compressione deve essere generalmente più elevato, aumentando si il
rendimento ma anche le dimensioni del motore stesso.
L’avviamento a freddo risulta più difficoltoso, ma ciò non costituisce più un
problema grazie all’impiego di efficienti candelette ad incandescenza che
preriscaldano la camera ausiliaria prima dell’avviamento.

Esempio di una moderna candeletta ad incandescenza


4. GRUPPI AUSILIARI

Esempio schematico del raffreddamento a liquido di un motore


4.1 L’ALIMENTAZIONE

Dal serbatoio il gasolio giunge, dopo esser passato attraverso un filtro, alla pompa di
alimentazione; questa generalmente è del tipo a pistoncino e viene quasi sempre
azionata meccanicamente per mezzo di un eccentrico dall’albero a camme del motore
o da quello della pompa d’iniezione. Quando la pressione nella tubazione di mandata
supera un dato valore, la portata della pompa (se questa è del tipo a pistoncino)
diviene proporzionalmente minore. Questa capacità di autoregolazione protegge la
tubazione di mandata da pressioni troppo elevate. Il gasolio viene inviato, sotto una
pressione di 1 ÷ 2 bar, ad uno o due filtri a cartuccia, installati il più delle volte in
posizione piuttosto elevata onde poter permettere una facile eliminazione dell’aria
eventualmente presente nelle tubazioni (le bolle di aria vengono intrappolate nella
parte più alta del circuito). Questi filtri sono in grado di trattenere particelle anche di
dimensioni ridottissime; il gasolio che giunge alla pompa d’iniezione deve infatti
essere pulitissimo poiché anche la minima impurità potrebbe causare danni agli
elementi pompanti, i quali sono molto delicati.

Disegno schematico

1 canalizzazioni; 2 spillo a punta conica; 3 molla tarata; 4 tubo di mandata; 5 tubo di recupero; 6 cilindretto;
7 pistoncino; 8 albero a camme; 9 punteria a rullo; 10 valvola di mandata; 11 asta a cremagliera; 12
manicotto di regolazione; 13 settore dentato; 14 pompa di alimentazione; 15 pozzetto; 16 tappo spurgo aria;
17 valvola di sovrapressione; 18 adescatore a mano.
4.2 LA LUBRIFICAZIONE

Come è noto quando due corpi a contatto tra loro sono in movimento reciproco, a
causa dell’attrito gran parte dell’energia meccanica viene trasformata in calore. Se
pressione e velocità sono sufficientemente elevate, in pochi attimi si arriva al grave
danneggiamento delle superfici e, nel caso di oggetti metallici, addirittura
all’ingranamento e a principi di fusione localizzata. Per evitare tutto ciò si ricorre alla
lubrificazione.

Schema per la lubrificazione di un motore bicilindrico

1 bilanciere; 2 valvola d’aspirazione; 3 boccola della valvola; 4 monoblocco; 5 albero a gomiti; 6 ruota
dentata; 7 Ruota dentata della pompa dell’olio; 8 – 9 pompa dell’olio ad ingranaggi; 10 scatola della pompa;
11 valvola di sovrapressione; 12 lamelle del filtro; 13 coperchio inferiore; 14 raccordo di scarico; 15 filtro a
lamelle; 16 staccio dell’olio; 17 conduttura dell’olio; 18 asta del livello; 19 albero a camme; 20 pestello della
valvola; 21 paraurti; 22 nastro a molla; 23 valvola di sovraccarico.
Le superfici degli organi mobili del motore vengono separate da un velo di olio di
spessore cospicuo, che impedisce il contatto metallico diretto e riduce quindi a valori
trascurabili l’usura. L’olio è contenuto nella coppa e viene inviato sotto pressione
tramite una pompa generalmente ad ingranaggi ai cuscinetti di banco e di biella, e a
quelli che sopportano l’albero a camme. Fuoriuscendo lateralmente dalla testa di
biella, l’olio viene lanciato per forza centrifuga nelle canne, ove lubrifica i pistoni, le
pareti dei cilindri, i segmenti e gli spinotti. In alcuni casi le bielle sono forate per tutta
la loro lunghezza in modo da consentire l’arrivo dell’olio in pressione alla boccola
sulla quale lavora lo spinotto. Il circuito di lubrificazione comprende inoltre delle
canalizzazioni attraverso le quali l’olio viene inviato a tutti gli organi della
distribuzione (valvole, guide, bilancieri, punterie, eccentrici dell’albero a camme).
Dopo aver adempito alla propria funzione lubrificante (ma non è da trascurare il fatto
che una certa quantità di calore viene sottratta tramite l’olio da punti assai sollecitati
come cuscinetti e pistoni), l’olio ritorna per gravità nella coppa, ove ha modo di
raffreddarsi. E’ della massima importanza che il lubrificante che circola nel motore
sia assolutamente privo di impurità (in caso contrario molti organi – in maniera
particolare i cuscinetti – si usurano rapidamente); per questo motivo il circuito di
lubrificazione è dotato anch’esso di un filtro a cartuccia (o autopulitore a lamelle) in
grado di trattenere particelle anche di piccolissime dimensioni.

In alcuni motori molto sollecitati, come ad esempio tutti quelli sovralimentati mediante
turbocompressore, per migliorare il raffreddamento dei pistoni si impiegano dei getti di olio lanciati
da appositi ugelli posti alla base delle canne dei cilindri. (vedi figura sottostante)
4.3 IL RAFFREDDAMENTO

Per evitare che si raggiungano temperature troppo elevate (durante la combustione i


gas superano i 2000° C e buona parte del calore ottenuto bruciando la miscela aria-
gasolio viene assorbita dagli organi del motore) che causerebbero in breve tempo la
messa fuori uso di alcuni componenti vitali, è indispensabile dotare il motore di un
efficiente circuito di raffreddamento. Come fluido refrigerante si può impiegare
l’acqua (che per mezzo del radiatore cede il calore assorbito all’atmosfera) o, meno
comunemente, l’aria.

I motori raffreddati ad acqua sono dotati di intercapedini e passaggi per il liquido di raffreddamento
(che viene fatto circolare per mezzo di una pompa centrifuga) ricavati nel basamento e nella testata
e conformati e dimensionati in modo da assicurare l’asportazione di grandi quantità di calore dalle
zone più sollecitate termicamente. Tra i pregi di questo sistema di raffreddamento occorre
menzionare la silenziosità di funzionamento del motore, la facilità con la quale si riesce ad ottenere
una buona uniformità di temperatura, anche nei componenti più sollecitati e di forma più complessa,
e la maggiore semplicità delle fusioni del basamento e della testa.

In quest’ultimo caso, per migliorare lo scambio termico, si aumenta la superficie a


contatto con l’aria (che viene “soffiata” per mezzo di una ventola e di adatti
convogliatori) dotando teste e cilindri di una adeguata alettatura. Quando invece si
impiega il raffreddamento ad acqua, attorno alle canne dei cilindri e nella zona più
sollecitata della testata (vicino all’iniettore, alle sedi valvola e al condotto di scarico)
vengono praticate delle intercapedini e delle canalizzazioni per il passaggio del
liquido refrigerante. Questo viene messo in movimento per mezzo di una pompa. Per
permettere al motore di raggiungere la temperatura di esercizio nel più breve tempo
possibile il circuito è dotato di un termostato il quale fa si che al di sotto di una certa
temperatura l’acqua non circoli attraverso il radiatore. Attualmente tutti i motori
Diesel destinati ad essere impiegati sulle autovetture sono raffreddati ad acqua; tra i
veicoli industriali e agricoli, invece, vi sono alcuni ottimi esempi di motori con
raffreddamento ad aria (Deutz, VM).
Nel campo della autotrazione solo la casa tedesca Deutz adotta il raffreddamento ad
aria sui motori Diesel. Tra i vantaggi offerti da questo sistema sono da menzionare il
minor peso, la maggior semplicità costruttiva (almeno quando il numero dei cilindri è
limitato), l’impossibilità che si verifichino perdite di liquido refrigerante, come pure
l’impossibilità che questo possa gelare o bollire, il rapido riscaldamento del motore,
le minori necessità di manutenzione.

Nel disegno, si possono chiaramente osservare numerose alette di raffreddamento del cilindro e
della testa.
5. CICLO TEORICO E
REALE, RENDIMENTI E
CALCOLI

Ciclo teorico Diesel in coordinate pressioni-volumi

5.1 FUNZIONAMENTO DEL CICLO A


QUATTRO TEMPI

Considerando un solo cilindro, disposto verticalmente, esaminiamo la successione


delle varie fasi del ciclo all’interno di esso.
Aspirazione. Il pistone si muove verso il PMI trascinato dall’albero a gomiti e
attraverso il condotto e la valvola di aspirazione, che è in posizione di apertura, entra
nel cilindro una certa quantità d’aria depurata ad una pressione leggermente inferiore
a quella atmosferica.
Compressione. In questa seconda fase il pistone risale verso il PMS con entrambe le
valvole (aspirazione e scarico) chiuse, l’aria viene fortemente compressa aumentando
così pressione e temperatura del fluido. Ad un certo punto, poco prima del PMS,
viene iniettato gasolio finemente polverizzato per mezzo di un iniettore; esso si
mescola con l’aria caldissima ed ha così inizio la combustione (la temperatura
dell’aria e superiore a quella di accensione del gasolio).
Espansione. Questa è la fase “utile” del ciclo, ovvero quella nella quale l’energia
termica prodotta dalla combustione (o meglio, una parte di essa) viene trasformata in
energia meccanica. La combustione innalza a valori molto elevati la temperatura dei
gas all’interno del cilindro e la pressione assai elevata che si genera agisce sul pistone
spingendolo bruscamente al PMI.
Scarico. Verso la fine della fase di espansione, ancor prima che il pistone raggiunga
il PMI, comincia ad aprirsi la valvola di scarico ed i gas combusti si riversano ad
elevata velocità nel condotto di scarico. Risalendo poi al PMS il pistone completa la
fase di scarico espellendo forzatamente (scarico forzato) i gas residui.
E’ a questo punto evidente il motivo per cui il ciclo viene detto a “quattro tempi”; le
fasi si compiono infatti in quattro corse del pistone, ovvero in due giri dell’albero a
gomiti.
Fasi del ciclo a quattro tempi ad accensione spontanea

5.2 GRAFICO DEL CICLO E RELATIVA


DESCRIZIONE

Come appare dalla figura sottostante, il ciclo Diesel ideale è costituito principalmente
dalle seguenti trasformazioni termodinamiche:
1 – 2 compressione adiabatica;
2 – 3 introduzione a pressione costante della quantità di calore Q1 ;
3 – 4 espansione adiabatica;
4 – 1 espulsione a pressione costante della quantità di calore Q2 .

Ciclo teorico Diesel in coordinate p-v e T-S

Vediamo ora di descrivere brevemente le quattro fasi fondamentali del ciclo a quattro
tempi tenendo sott’occhio il grafico soprastante.
Aspirazione: l’aria viene aspirata all’interno del cilindro secondo la isobara 5 – 1, la
temperatura T1 del fluido risulta dipendere dalla temperatura dell’aria aspirata e dal
peso dei gas combusti rimasti all’interno del cilindro durante le fasi precedenti.
Compressione: lo stantuffo risale al PMS comprimendo adiabaticamente l’aria
secondo la linea 1 – 2 raggiungendo una pressione P2 che si aggira intorno ai 65 ÷ 85
bar ed una temperatura T2 di circa 600 ÷ 700° C.
Combustione espansione: la isobara 2 – 3 rappresenta la combustione del gasolio
iniettato nel cilindro. In un primo tempo la pressione rimane costante perché mentre
aumenta a causa della combustione diminuisce a causa del movimento discendente
dello stantuffo. In un secondo tempo poi, per l’accresciuta velocità dello stantuffo, la
pressione decresce rapidamente con l’aumentare del volume generato dallo stantuffo.
Per questo motivo si può ritenere che il calore Q1 venga introdotto alla pressione
costante P2 . I prodotti della combustione poi si espandono adiabaticamente secondo
la linea 3 – 4, spingendo verso il basso lo stantuffo, mentre la temperatura discende
da T3 a T4 .
Scarico: per diminuire la contropressione allo scarico che frenerebbe il movimento
dello stantuffo, la fase di espansione viene interrotta prima che lo stantuffo raggiunga
il PMI aprendo la valvola di scarico con un certo anticipo. Per questo i gas combusti
che si trovano nel cilindro alla pressione P4 > P1 si scaricano nell’atmosfera
spontaneamente. Il salto di pressione P4 - P1 , trasformandosi in energia cinetica,
imprime ai gas combusti la velocità di uscita. Contemporaneamente la temperatura si
abbassa da T4 a T1 secondo la linea 4 – 1 a volume costante. Durante questo fase
viene sottratto il calore Q2 . Lo stantuffo poi completa lo scarico secondo la linea 1–5.
Studiando ora più attentamente il suddetto ciclo, il suo rendimento ideale che viene
considerato come il rapporto fra la differenza tra calore fornito Q1 e calore sottratto
Q2 ed il calore fornito Q1 si può ridurre quindi alla seguente formula generale:

ηid = (Q1 – Q2) / (Q1) = 1 – (Q2) / (Q1)

Conoscendo inoltre le due trasformazioni nelle quali avviene l’introduzione e


l’espulsione di calore Q1 e Q2 , che risultano essere rispettivamente una isobara ed
una isovolumica, la quantità di calore si può semplicemente calcolare con le seguenti
formule:

isobara 2 – 3 Q1 = cp (T3 – T2)

isovolumica 4 – 1 Q2 = cv (T4 – T1)

A questo punto la formula del rendimento ideale del ciclo Diesel si può scrivere
molto più semplicemente come:

ηid = 1 – [(T4 – T1) / (T3 – T2)]

Dopo alcuni semplici passaggi algebrici la formula risultante risulta essere:

ηid = 1 – (1 / ρk-1) [(τk – 1) / (k (τ – 1))]

dove ρ rappresenta il rapporto di compressione, ovvero il rapporto tra il volume del


cilindro V1 (dato dalla somma tra la cilindrata unitaria ed il volume della camera di
combustione) ed il volume della sola camera di combustione V2 ;

ρ = (V1) / (V2)
τ rappresenta il rapporto di combustione, ovvero il rapporto tra i due diversi volumi
rispettivamente nei punti 3 e 2 oppure tra le due diverse temperature sempre nei punti
3 e 2, cioè praticamente l’inizio e la fine della combustione;

τ = (V3) / (V2) = (T3 / T2)

ed infine K rappresenta il rapporto tra il cp ed il cv di un gas, che nel caso del ciclo
Diesel è aria ed il valore di K, che è tabellato, vale

K = (cp) / (cv) = 1,4 (aria)

In realtà il ciclo ideale non avviene mai, in quanto per ottenerlo bisognerebbe
supporre istantanea sia la combustione che l’apertura e la chiusura delle valvole, che
risultano essere praticamente impossibili. Infatti, come già detto precedentemente, le
valvole si aprono e si chiudono con uno certo anticipo o ritardo rispetto ai punti
morti, mentre la combustione inizia parecchi gradi prima che lo stantuffo raggiunga il
PMS e finisce parecchi gradi dopo. Il ciclo ideale quindi risulta essere leggermente
“deformato” se disegnato tenendo conto di questi fattori, e questo nuovo ciclo che
possiamo definire reale prende spesso il nome di ciclo indicato.

Confronto fra ciclo Diesel teorico e indicato


Osserviamo ora attentamente il ciclo Diesel reale e confrontiamolo con il ciclo Diesel
teorico. Come prima cosa notiamo differenze di forma e nei valori delle pressioni e
delle temperature; differenze dovute alla variazione dei calori specifici, alle perdite di
calore, al tempo di apertura e chiusura delle valvole, alle perdite di pompaggio ed
infine nella combustione, che non avviene a pressione costante come nel caso del
ciclo ideale.
Combustione a pressione costante. Come si vede dal diagramma indicato in pratica la
combustione avviene in condizioni tali per cui la pressione varia durante il processo,
mentre nel ciclo teorico avevamo supposto che si mantenesse costante. La
combustione in realtà avviene infatti in parte a volume costante e in parte a pressione
costante. Solo nel caso di motori molto lenti la combustione si sviluppa in modo da
avvicinarsi un poco al processo teorico.
Dissociazione dei prodotti della combustione. Nel motore Diesel la dissociazione non
ha effetto così importante come nel motore ad accensione comandata, in quanto
l’eccesso d’aria e la mescolanza dei prodotti della combustione sono tali da ridurre la
temperatura massima e perciò anche la dissociazione dei prodotti della combustione.
Perdite per pompaggio. Le perdite di pompaggio sono inferiori a quelle dei motori ad
accensione comandata, in quanto nei motori Diesel non esiste la valvola a farfalla.
Perciò l’area negativa D del ciclo Diesel reale è nettamente minore di quella del ciclo
Otto.
5.3 RENDIMENTI, CALCOLO DELLA POTENZA E
BILANCIO TERMICO

Parlando dei rendimenti si definisce rendimento termodinamico del motore il


rapporto tra la quantità di energia termica realmente trasformata in energia meccanica
e la quantità di calore ottenibile mediante combustione completa della miscela aria-
combustibile presente nei cilindri ad ogni ciclo. Esso cresce, come abbiamo visto,
all’aumentare del rapporto di compressione; di conseguenza risulta assai più elevato
nei Diesel che non nei motori ad accensione comandata (si ottengono infatti valori di
34 ÷ 40 % contro 26 ÷ 32 %). Il rapporto tra la potenza che l’albero a gomiti può
realmente trasmettere alla frizione e quella generata nei cilindri (ovvero quella
teoricamente disponibile) costituisce il rendimento meccanico del motore. Esso
risulta leggermente inferiore nei Diesel (84 ÷ 88 %). Ciò che fa perdere la potenza
effettivamente generata sono le perdite meccaniche che possono essere divise in
quelle dovute ad attrito (fra segmenti e pareti dei cilindri, nei cuscinetti, per
azionamento degli organi di distribuzione, della pompa dell’olio, ecc…) e quelle
dovute al pompaggio (ovvero alle resistenze incontrate dal pistone nella corsa di
aspirazione ed in quella di scarico). L’entità delle perdite per attrito è superiore a
quella delle perdite per pompaggio; queste ultime ai carichi parziali, ovvero quando
l’acceleratore è premuto solo parzialmente, sono minori di quelle che si hanno nei
motori ad accensione comandata. Il rendimento meccanico diminuisce notevolmente
all’aumentare del regime di rotazione. Un ultimo rendimento infine è il rendimento
volumetrico. In realtà esso non può essere considerato un vero e proprio rendimento,
infatti viene spesso definito coefficiente di riempimento. Rappresenta praticamente il
rapporto tra la quantità di aria realmente introdotta nel cilindro ad ogni ciclo e quella
che, a pressione atmosferica, occupa un volume corrispondente alla cilindrata del
motore. Nelle migliori condizioni esso raggiunge valori di 80 ÷ 85 %. Il coefficiente
di riempimento varia con il regime di rotazione dell’albero a gomiti e, dopo aver
raggiunto il valore più elevato (ad un regime prossimo a quello di coppia massima)
scende fino a valori che possono, al regime di massima potenza, risultare anche molto
bassi (65 ÷ 70 %). Ne risulta da questo discorso che il motore utilizza l’energia
sviluppata dalla combustione della miscela aria-gasolio in maniera molto redditizia.
Circa il 34 ÷ 40 % di essa viene utilizzato (ovvero trasformato in energia meccanica)
mentre il rimanente 60 ÷ 65 % viene sprecato. Il rendimento totale (o globale) di un
motore può quindi essere espresso come il rapporto tra la potenza effettiva (o erogata)
e la potenza ottenibile dalla completa combustione del gasolio, ovvero:

ηtot = (Pe) / (Mc Hi)

essendo Mc la portata massica del combustibile e Hi il potere calorifico inferiore del


combustibile.
Il rendimento totale può anche essere visto come il prodotto fra i diversi rendimenti
parziali del motore, ovvero:
ηtot = ηid ηi ηm

essendo ηid il rendimento ideale del ciclo, ηi il rendimento indicato e ηm il


rendimento meccanico.

Passando ora a parlare delle potenze di un motore, bisogna come prima cosa bisogna
distinguere principalmente tra tre diverse potenze:
la potenza indicata Pi che si può calcolare partendo dal ciclo indicato;
la potenza assorbita dalle resistenze passive Pr che generalmente si misura facendo
trascinare il motore (senza accensione) da un altro motore ausiliario; può anche
essere calcolata come differenza tra la potenza indicata e la potenza al freno;
la potenza effettiva (o erogata) che si misura mediante un freno e perciò viene anche
chiamata potenza al freno.
Potenza indicata
La sua espressione si ricava partendo dalla pressione media indicata Pmi che risulta
essere il rapporto fra l’area del ciclo indicato e la cilindrata del motore.
Il lavoro indicato Li è quindi dato dalla seguente formula:

Li = Pmi V i
essendo V la cilindrata unitaria e i il numero di cilindri.
Dividendo il lavoro indicato Li per il tempo occorrente a svilupparlo si ottiene la
potenza indicata. Detto n il numero di giri che il motore compie in un minuto primo,
per un motore a 4 tempi il tempo (in secondi) occorrente per compiere un ciclo è
120 / n perciò la potenza indicata è:

Pi = Pmi V i (n / 120)

Potenza effettiva
Dalla definizione di rendimento meccanico ricaviamo la potenza effettiva Pe

Pe = ηm Pi = ηm Pmi V i (n / 120)

e ponendo

Pme = ηm Pmi

Pe = Pme V i (n / 120)
Come già detto precedentemente, solo una parte dell’energia termica del combustibile
bruciato viene trasformata in energia meccanica. La parte rimanente viene dispersa
per vie diverse: l’acqua di raffreddamento, per mezzo del radiatore, ne disperde una
forte percentuale; i gas di scarico uscendo a elevata temperatura ne asportano una
percentuale ancora maggiore; le parti stesse del motore trasmettono il resto per
radiazione all’aria ambiente. La quantità di calore equivalente al lavoro compiuto per
vincere le resistenze passive è assorbita pure attraverso queste tre vie fondamentali di
dispersione. La misurazione delle percentuali del calore perduto si esegue nelle sale
prova con metodi abbastanza semplici: in base ai risultati viene registrato il
cosiddetto bilancio termico.

Bilancio approssimativo di un motore a 4 tempi per autovettura

Bilancio termico di un motore Diesel lento


BIBLIOGRAFIA
I seguenti libri o manuali sono stati utilizzati per la stesura di questa breve tesina.

• “L’automobile a motore diesel”, scritto da Piero Casucci e pubblicato dalla


Arnoldo Mondadori editore nell’anno 1982 ;

• “Motori Endotermici” XV edizione, scritto da Dante Giacosa e pubblicato


dalla Ulrico Hoepli Editore nell’anno 2003 ;

• “Motori Endotermici”, scritto da Rosario Bonforte e Alfredo Rocca e


pubblicato dalla Casa Editrice Carlo Signorelli nell’anno 1966 ;

• “Fondamenti di macchine”, scritto da G. Cornetti e pubblicato dalla Signum


Scuola Editore nell’anno 2001 ;

• “Trattori Testacalda italiani”, scritto da William Dozza e pubblicato dalla


Giorgio Nada Editore nell’anno 2000 ;

• “Trattore Diesel Steyr tipo 180a” istruzioni per il funzionamento, si tratta di un


piccolo manuale di un trattore agricolo Steyr della prima metà degli anni ’50.

• “Diesel” motori e componenti per OEM, rivista mensile, n° 4 Aprile 1999,


pubblicata dalla Vado e Torno Edizioni.

Potrebbero piacerti anche